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62 DEDALUS N.2/3 GIUGNO / LUGLIO 2007 APPROFONDIMENTI in collaborazione con l'ISEM di Palermo con interventi di Franco Carlini, Marcello Cini, Martino Incarbone Ignazio Licata, Gianfranco Minati Le emergenze della complessità Vedere la complessità significa costruire uno spazio aperto transdisciplinare dove idee, concet- ti, metodi e stili si incrociano per descrivere e gestire le emergenze della conoscenza. Le teorie stesse sono dunque ponti emergenti tra l'osservatore e il mondo. Da questa prospettiva, compito cognitivo e responsabilità etica della descrizione del mondo si scoprono aspetti inscindibili di un unico atto epistemico. Attraverso il contributo offerto dall’ISEM (Institute for Scientific Methodology) di Palermo, scopriamo nuovi orizzonti di ricerca nel campo della complessità, e delle sue ricadute metodologiche.

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APPROFONDIMENTI

in collaborazione con l'ISEM di Palermocon interventi di

Franco Carlini, Marcello Cini, Martino IncarboneIgnazio Licata, Gianfranco Minati

Le emergenze della complessità

Vedere la complessità significa costruire uno spazio aperto transdisciplinare dove idee, concet-ti, metodi e stili si incrociano per descrivere e gestire le emergenze della conoscenza. Le teoriestesse sono dunque ponti emergenti tra l'osservatore e il mondo.Da questa prospettiva, compito cognitivo e responsabilità etica della descrizione del mondo siscoprono aspetti inscindibili di un unico atto epistemico. Attraverso il contributo offertodall’ISEM (Institute for Scientific Methodology) di Palermo, scopriamo nuovi orizzonti diricerca nel campo della complessità, e delle sue ricadute metodologiche.

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IGNAZIO LICATA

Complessità come Apertura Logica

1) Il mito del metodo unicoLa matrice fondamentale del pensiero “razionale” moderno

e di quella sua caratteristica creatura che è la scienza, consi-ste nell’idea di poter disporre di un Metodo in grado dicostruire un percorso ordinato di pensieri ed esperienze egarantire con cristallina evidenza la Verità delle varie acquisi-zioni, pensate come una successione crescente verso la con-quista definitiva del Sapere Assoluto ed Incontrovertibile.Man mano che questo ambizioso programma “laico” di con-quista del “cielo” si sviluppava, fu necessario ammettere la suadifficile realizzabilità, ma questa non veniva imputata ad undifetto di principio, bensì ad “intoppi” pratici e contingenti,ad una non “perfetta” applicazione del metodo.

L’“imperfezione” umana veniva così ad essere valutata inbase ad un ideale di perfezione che continuava a funzionarecome principio regolatore della concezione del Sapere intesocome possibilità di accesso alla Totalità del Reale. Sotto que-sto profilo è emblematica l’avventura intellettuale di Cartesioe l’ “onda lunga” della sua eredità, che ancora oggi permea ilsenso comune nella concezione della scienza. La propostametodologica cartesiana è centrata su unaserie di assunzioni che indicheremo global-mente con E. Morin come PensieroSemplice, le cui caratteristiche riduzioniste,lineari e dicotomiche, possono così essereriassunte:

- l’accumulo di conoscenza è inversamenteproporzionale alla variazione dell’ignoranza;

- se un problema è troppo complesso perpoter essere risolto può sempre essere suddi-viso in tanti sotto-problemi, per i quali èpossibile una spiegazione. La “sommatoria”delle micro-spiegazioni fornirà la soluzione almacro-problema di partenza;

- proprio come in matematica, il metododeve permettere di distinguere tra questioni“valide”, suscettibili di chiara definizione edimostrazione, e idee irrimediabilmente“confuse”, da rigettare nel flusso temporaledel gioco delle opinioni, dei desideri e dellechimere;

- il metodo permette dunque di fissare una direzione delProgresso, una “rotta” ben definita rispetto alla quale even-tuali blocchi, deviazioni, ritorni e convergenze sono sempresubordinati e riassumibili nella storia globale della “stradamaestra” della conoscenza.

La separazione tipica del cartesianesimo tra “ego cogitans”e “res extensa” è una conseguenza necessaria dell’adozionedel metodo. Questo infatti, prima ancora di fornire uno stru-mento di conoscenza, è un esercizio di purificazione ed ascesiintellettuale, capace di mettere la mente razionale in grado dicogliere gli aspetti universali, necessari ed atemporali dell’or-dine del creato, lasciando il resto al suo destino contingentedi “accidente” deteriorabile, prima tra tutte la corporeità.

Anche l’“epurazione” delle tonalità emotive si rende neces-saria, nella misura in cui vengono a distorcere con “capricci”soggettivi la riflessione “asettica” sulla realtà esterna oggettivaed immutabile. Dunque la novità che definisce la razionalità

moderna, dal ‘600 ad oggi, consiste nell’essersi auto-costituitacome strumento unico nella costruzione del territorio dellaconoscenza, grazie all’adozione di un metodo privilegiato. Inseguito a quest’atto di hybris, il suo primo provvedimento èstato quello si espellere dalle sue “colonie” ogni altro approc-cio con il reale incapace di esibire le necessarie caratteristichedi “chiarezza”, costringendolo o ad auto-confinarsi nelle riser-ve protette del “sacro”, oppure a nascondersi nei “boudoir”del privato o nelle caverne di una vaga “spiritualità”, fondan-do quel gioco schizofrenico tipico della civiltà moderna che èstato così acutamente analizzato da M. Foucault.

Le avventure della conoscenza negli ultimi due secolihanno visto l’incrinarsi progressivo e inesorabile dello sche-ma monolitico del pensiero semplice, con la conseguentenecessità di esorcizzare definitivamente il fantasma del meto-do “assoluto ”. L’erosione di una visione monolitica dellascienza all’interno della comunità non ha però sostanzial-mente intaccato il mito del metodo come garanzia di un cor-retto approccio con l’acquisizione di conoscenza. E’ interes-sante infatti notare che anche scienziati estremamente com-

petenti nella loro specifica area di indagine,fuori dal loro laboratorio o dal loro ambitoteorico, mostrano un’ ingenuità epistemolo-gica spesso disarmante. Infine, la visionemitologica del metodo è ancora la garanziasu cui poggia lo status sociale della scienzanella nostra società.

2) Linguaggi formali e universi semanti-ci

L’impetuoso sviluppo delle conoscenzescientifiche porta, intorno all’800, allacostituzione dell’ epistemologia come disci-plina autonoma dedita allo studio dello sta-tuto delle teorie scientifiche. Va rilevato chequesto bisogno di controllare il funziona-mento della propria disciplina non ha maicoinvolto in maniera particolare gli scien-ziati, non più di quanto i mistici si sianointeressati allo statuto linguistico-procedu-rale della teologia.

Il dibattito epistemologico classico si è incentrato essenzial-mente su tre temi principali:

IL PROBLEMA DEI CRITERI DI SCIENTIFICITÀIl proliferare delle conoscenze, ed in particolare la nascita

delle cosiddette “scienze umane”, pose il problema di stabili-re dei criteri in base ai quali una certa procedura d’indaginepoteva essere giudicata scientifica oppure lasciata nell’ambitodell’ingenua empiria o della “sporcizia” della prassi.

È evidente che a questo stadio di sviluppo della civiltà occi-dentale il certificato di “scientificità” è

già una vera e propria garanzia di conoscenza “solida”, sullaquale costruire tecnologie e definire

linee terapeutiche, garante perciò anche dell’ordine sociale.Per lungo tempo la “conditio sine qua

non” per giudicare scientifica una disciplina è stata la suacapacità di “reggere il confronto” con la fisica (fisicalismo),

Ignazio Licata

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la scienza che ha beneficiato più di tutte le altre, almenofino agli inizi del nostro secolo, degli assunti del pensierosemplice, sviluppandosi secondo uno schema sostanzialmen-te meccanicista, riduzionista e lineare, e potendosi cosìavvantaggiare di una forte matematizzazione che deriva dallapossibilità di identificare chiaramente un sistema e le suerelazioni interne ed esterne.

Questo confronto veniva ad essere penalizzante per le“scienze umane” ma anche piuttosto difficile da sostenere perdiscipline come la biologia o persino la geologia. Uno dei cri-teri richiesti sui quali si era trovato un certo accordo era infat-ti quello della consistenza interna, secondo il quale all’inter-no di una teoria non dovevano trovare posto proposizionicontraddittorie. Questo è un criterio certamente ragionevole,ma tendente a privilegiare come scientifiche le discipline conun elevato livello di formalizzazione, situazione nella qualeverificare la soddisfazione del criterio di consistenza è una fac-cenda praticamente immediata. La richiesta di consistenzapuò infatti considerarsi come un’ipotesi sull’arcipelago delleconoscenze. Ciò che appare separato superficialmente, devemostrare una serie di connessioni profonde ad un maggiorlivello di analisi. Questa è la linea che la fisica teorica ha sem-pre seguito con successo ed ha portato oggi ad un interessepredominante verso le Teorie del Tutto. L’idea è che ognimomento teorico può essere alla fine ordinato secondo unasequenza del tipo: dove ogni teoria è compresa nella successi-va secondo una relazione di “più forte di”.

Un’altra questione è quella della testabilità di una teoria,ossia del procedimento tramite il quale connettere gli enun-ciati della teoria ai dati osservativi-sperimentali. Anche inquesto caso le discipline altamente matematizzate sono favori-te, poiché si tratta di confrontare un valore ottenuto tramitela soluzione delle equazioni che descrivono il fenomeno conla misura ricavata dalla situazione di laboratorio. Un terzo cri-terio di rilevante importanza è costituito dalla fecondità diuna teoria, cioè dalla capacità di risolvere un maggior nume-ro di problemi rispetto alle teorie concorrenti e di fornirenuove previsioni. Questo criterio implica però un certo gradodi “commensurabilità” tra le teorie “in gioco”. Questa com-mensurabilità, come del resto una precisa valutazione del“grado” di fecondità, è sicuramente agevolata dall’adozione diun linguaggio formale, capace di fornire strumenti di confron-to quantitativi. Come nei due casi precedenti, anche questocriterio è più adatto ad analizzare discipline costruite secondoil modello fisicalista, o meglio,

a valutare singole teorie fisiche.

IL PROBLEMA DELLA SCELTA TRA TEORIEQuesto problema è strettamente connesso alla questione

della consistenza. In questo caso però l’accento è spostatosull’aspetto “architettonico” della teoria da valutare e sul tipodi connessione con il corpus di conoscenze già acquisite. Adesempio, ci si aspetta che in una teoria fisica mirata alla spie-gazione di un certo fenomeno non vengano introdottenozioni in aperto contrasto con le leggi note. Se pensiamoallo sviluppo della fisica quantistica, però, si capisce come,più che un astratto “problema della scelta”, abbiamo qui ache fare con processi di adattamento evolutivo nel senso dar-winiano, e come tali possono essere valutati soltanto “aposteriori”, dopo una storia articolata di tentativi e modifica-zioni. Ci fu un lungo periodo - più lungo in effetti di quantonon si riporti nei testi di fisica -durante il quale si continuòa pensare che fosse possibile spiegare la struttura atomica uti-lizzando le leggi della meccanica e dell’elettromagnetismoclassici, derivando da queste la costante di Planck ed i model-li chiave della prima fisica dei quanti.

Questo periodo somiglia al tentativo di salvare la teoria

degli epicicli attraverso assunzioni sempre più complicateprima della “deviazione” di Keplero. In seguito, com’è noto,si accettò l’idea della necessità di principi fisici radicalmentenuovi, dove il problema era costituito piuttosto dall’emerge-re del mondo classico da un background quantistico. Anchein questo caso, però, il modo di intendere questo back-ground non è univocamente fissato dal formalismo, e trovia-mo uno spettro di posizioni interpretative variegate ed ispira-te ognuna ad uno scenario meta-teorico che va dall’acausali-smo radicale dell’interpretazione standard, che trova la non-località e gli aspetti contestuali della fisica quantistica come“inaspettata sorpresa”, all’ontologia di Bohm e Hiley, che laincorporano ab initio nella struttura concettuale della teoriasalvando in qualche modo gli “elementi di realtà fisica” cosìimportanti per Einstein.

Questo esempio può farci capire come la configurazionedelle teorie scientifiche, ad un dato momento, è il risultato diuna serie di assestamenti più o meno “tellurici” avvenutidurante un dibattito storicamente articolato ed, in genere,mai definitivamente concluso.

IL PROBLEMA DELLA STRUTTURA DELLA SPIE-GAZIONE SCIENTIFICA

La necessità dell’analisi storica per arrivare a stabilire le“ragioni” di una teoria su un’altra mise in crisi definitival’ideale neo-positivista di mettere a punto una volta per tutteuna sintassi generale delle procedure scientifiche, quasi si trat-tasse delle regole degli scacchi. Questo ideale, diretto erededella concezione “onnipotente” del metodo, mirava allacostruzione di un linguaggio formale universale, di leibnizia-na memoria, tramite il quale mettere a punto una sorta digrammatica dove trovassero posto non soltanto le “regoledella scienza” ma anche i risultati di ogni singola disciplinache via via si andavano accumulando. Un simile programmaappare retrospettivamente ingenuo per la sua inutilità, più omeno come i “Principia Mathematica” di Russel e Whiteheadche risultarono più interessanti per i logici che per i matema-tici; ancora di più per la sua concreta irrealizzabilità, legata aiteoremi di Gödel ed in generale all’impossibilità di “chiude-re” formalmente un sistema di conoscenze “in fieri”. Eppurepiù di un tentativo fu fatto, il più famoso dei quali resta cer-tamente l’abbozzo della “Encyclopedia of Unified Science”,pubblicato intorno agli anni ‘40. Influenzati dalla filosofiaanalitica inglese, dagli sviluppi della logica simbolica e dal-l’impostazione fisicalista, un’intera generazione di epistemo-logi tentò ripetutamente di inquadrare il problema della strut-tura della spiegazione scientifica come un procedimentoessenzialmente formale. Infatti, sia per il verificazionismodegli empiristi logici (Circolo di Vienna, 1928), che per il fal-sificazionismo di Popper (1934) e dei suoi numerosi seguaci,la spiegazione scientifica consiste nel connettere enunciatiparticolari ed enunciati generali attraverso una catena dedut-tiva, dalla quale è poi possibile ricavare un enunciato base dasottoporre a verifica per gli uni o che funga da “falsificatorepotenziale” per gli altri. Già i lavori di P. Duhem e poi di G.Bachelard avevano minato alla base questa concezione forma-le dell’epistemologia, mostrando che non c’è comprensionedella scienza senza l’analisi storico-critica delle modalità dicostituzione del sapere scientifico. Del resto anche R. Carnap,uno dei fondatori del Circolo di Vienna, dal 1947 in poi, con-centrò la sua attenzione sulla semantica delle teorie, abbando-nando la vecchia visione puramente sintattica e rendendosiconto di come anche i termini scientifici fossero soggetti a“variazioni di significato” in relazione dinamica al contestodel discorso entro il quale venivano inquadrati, analogamen-te al processo di “semiosi illimitata” studiato da C. S. Peirce.

L’idea di una scienza “pura”, chiaramente distinguibile dal

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contesto culturale e storicamente continua e lineare attraver-so un progressivo accumulo di conoscenze, fu messa in crisidalle analisi di G. Bachelard (1938) e di H. Blumemberg(1979), che mostrarono come lo “spirito scientifico” sia sem-pre stato imprescindibilmente collegato al bagaglio di imma-ginario e mito che è parte integrante e fondamentale del rap-porto Uomo-Natura, e come la stessa scienza moderna, nellasua assiomatica “infallibilità”, tenda di fatto a costituirsi comeuna sorta di mito contemporaneo che trova il suo narratoreomerico nella persuasività mass-mediatica.

Un altro contributo decisivo verrà dall’“archeologia delsapere” elaborata negli anni ‘60 da M.Foucault con la dottri-na delle epistemi, reti concettuali sotterranee che caratterizza-no l’atmosfera comune dei saperi di un’epoca. Le mutazioniepistemiche non si succedono secondo un ordine lineare, maper “discontinuità enigmatiche”; non c’è una Ragione, adispetto dell’“ autobiografia” che la scienza costruisce a suouso e consumo, ma una successione di ragioni che cambiano“senza ragione” (Piaget), attraverso biforcazioni improvvise ecatastrofi momentanee. È in questo clima di “demitizzazione”della scienza che appaiono gliormai classici lavori di T. Kuhn edi P. Feyerabend, durante gli anni‘60 e ‘70. Riprendendo daBachelard la nozione di rotturaepistemologica, che indica la crisidelle abitudini di pensiero e degliatteggiamenti psicologici cultural-mente consolidati durante i pas-saggi da una visione scientifica adun’altra, Kuhn si concentrò sul-l’analisi dei modi storici in cui difatto la scienza procede, in chiaraopposizione con la vecchia episte-mologia formale degli empiristilogici e di Popper. Nella sua“Struttura delle RivoluzioniScientifiche” (1962) delinea unmodello “non cumulativo” dellosviluppo delle scienze che avvienesecondo il passaggio da un para-digma ad un altro, dove con para-digma si intende “una solida strut-tura di assunti concettuali, teorici,strumentali e metodologici” cheguida la comunità scientifica nella ricerca su un determinatocampo; il crollo avviene quando all’interno del vecchio para-digma si accumulano tante “anomalie” tali da “far saltare” loschema in favore del nuovo. Bisogna dire che Kuhn utilizzòquesta nozione nell’analisi dei processi macro -storici, come ilpassaggio dal sistema tolemaico a quello copernicano o dallafisica classica alla quantistica. In seguito il concetto di paradig-ma è stato utilizzato anche come nozione micro-storica, perrendere conto delle divergenze di vedute che possono con-trapporre micro-comunità scientifiche che si trovano comun-que d’accordo sugli asserti generali.

Anche P. Feyerabend, basandosi su un’analisi prevalente-mente storico -critica della scienza, mostra non soltanto chele regole metodologiche proposte dalle epistemologie forma-li sono state più volte violate nella prassi della ricerca, ma chequeste “trasgressioni” si sono rivelate estremamente feconde.Da quest’opera di “liquidazione del metodo”(inteso comemetodo generalista e meramente formale!) Feyerabend giun-ge ad un radicale anarchismo metodologico. In “Contro ilMetodo” (1975) sostiene che la scienza crea di volta in voltale regole di cui ha bisogno, in relazione allo specifico proble-ma trattato. Non esiste dunque un “metodo generale”, ma

una pluralità dinamica e mutevole di strategie ed atteggia-menti teorici. Coerentemente con le proprie posizioni con-trometodologiche, in “La Scienza in una Società Libera”(1978), mostrerà che è impossibile distinguere in modo rigo-roso fra scienza e non-scienza e giustificare la posizione pre-dominante che la scienza pretende di avere nel sistema cultu-rale e sociale contemporaneo. Questa posizione ha suscitatoaspre polemiche, poiché il senso della provocazione cambiase viene proposta in una realtà dove la scienza è “forte”,oppure in realtà culturali dove il suo ruolo è più sfaccettatoed incerto, come possono essere l’Italia, che risente ancoradell’eredita di Croce e Gentile, o la Russia post-comunista,con il suo revival di magia e parapsicologia. E’ evidente cheanche l’intento democratico della provocazione assume con-notazioni diverse in contesti diversi, confermando la tesi difondo che un esauriente “concetto generale” di scienza ètroppo povero per poterne cogliere i nodi cruciali interni allacomunità ed i meccanismi di consenso e comunicazione conil contesto socio-politico.

In questo senso è stimolante la proposta di N.Goodman(1978) di una “commensurabilità”tra lo scienziato e l’artista come“fabbricanti di mondi”, superan-do così la “dispotica” dicotomiatra modelli formali e contesti, esostituendola con un bacino frat-tale di sottili interpenetrazioni.

Comincia così ad apparire chia-ro che non si danno “fatti” se nonall’interno di un contesto teorico;modificando il contesto cambia-no le relazioni tra i fatti e il lorostesso significato (tesi di Duhem-Quine). In questa direzione va ilmodello a rete di M. Hesse, secon-do il quale non vi è differenza diprincipio tra enunciati teorici edosservativi. Infatti, se non sidanno fatti se non all’interno diun’articolazione teorica di questi,è vero più in generale che non esi-ste scienza che non sia inserita inun più ampio assetto culturale esocio-economico.

H. Marcuse in “L’Uomo a unaDimensione” (1964) individua nelle epistemologie formali enella stessa immagine “asettica” del modello di produzionescientifica delle vere e proprie “filosofie dell’integrazione”nell’ambito del sistema di produzione neo -capitalista. Piùavanti J. Habermas riprenderà il tema analizzando la connes-sione cruciale tra scienza e dominio tecno-burocratico, conl’alienante conseguenza della scissione tra le crescenti ten-denze auto-refenziali della produzione scientifica ed i biso-gni della gente.

La separazione tra scienza e cultura rivela che il saperescientifico non è una strategia “pura” per la comprensionedella natura, ma si è ormai costituito come l’ultima roccafor-te ideologica della cultura occidentale. È ormai chiaro, soprat-tutto dopo lo sviluppo delle nuove impostazioni di sociologiacritica della scienza e di analisi scientifica della ricerca stessa apartire dal saggio di D. Bloor(1976) che il binomio “scien-za/metodo” è un pretesto per dare un senso unitario e fonda-tivo ad un modello di sviluppo economico e sociale È impos-sibile negare l’importanza della ricerca scientifica, ma dobbia-mo interrogarci se l’assetto scienza-cultura tradizionalmenteproposto ed ancora garante della comunicazione “ufficiale”tra ricercatori, gruppi di ricerca e società sia l’unico possibile

Arte e complessità. Escher, Caos e Ordine

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o se non sia invece un meccanismo logoro e sclerotizzato cheimpedisce a sé stesso nuove possibilità evolutive.

3) La complessità tra cibernetica e teoria dei sistemiLa storia scientifica della complessità nasce con le esigenze

interdisciplinari sempre più marcate della ricerca moderna, esuggerisce un approccio epistemologico radicalmente diversoda quello tradizionale. Non c’è più una realtà esterna “fissa”da rappresentare mediante l’uso di principi “universali” dipartenza e una successione di teorie organizzate secondouno schema lineare. Piuttosto, il sistema della conoscenza ècaratterizzato da un processo di evoluzione ed auto-organizza-zione delle informazioni che procede per successivi anelli diretro-azione dai risultati ai principi, modificando gli uni e glialtri, in una progressiva “costruzione” della realtà. Alla defini-zione di questa linea di pensiero hanno dato un contributodecisivo le ricerche di W.Mc Culloch,Von Bertalannffy, N.Wiener, J. Piaget, H. von Foerster, G. Bateson, H. Maturana,F. Varela ed H. Atlan.

Per fissare le idee, ricordiamo la definizione di sistema diHall-Fagen (1956): un sistema è un insieme di elementi (azio-ni, individui, concetti, teorie) in relazione tra loro. Nella suaapparente semplicità questa definizione nasconde insidie con-cettuali formidabili, che furono al centro dei dibattiti della“Macy Foundation”, tra il 1946 ed il 1957, una serie di incon-tri “trans -disciplinari” che passarono in seguito alla storia conil termine in verità un po’ genericoed ormai irrimediabilmente inflazio-nato di “cibernetica”.

Durante il dibattito emersero conparticolare evidenza due posizionidiverse nel considerare sistemi divaria complessità e lo scambio d’in-formazioni tra loro. J.vonNeumann, interessato più alla teoriadegli automi e degli elaboratori digi-tali, mise l’accento sull’ eteronomiadel sistema e sulla sua capacità diessere “in -formato” dagli input del-l’ambiente che ne determinano gliout-put; in questo modo si stabilisceuna corrispondenza tra sistema edambiente attraverso una relazioneche può essere definita di tipo istrut-tivo-rappresentazionale. L’ambiente“istruisce” il sistema in modo chequesto sia in grado di “rappresentar-lo”. Vediamo in questa concezione un legame stretto con lavecchia epistemologia formale e soprattutto l’intuizione innuce del paradigma della mente come elaboratore digitaleche ispirerà la prima Intelligenza Artificiale.

N. Wiener, interessato alle macchine ma anche alla biologiae più in generale ad un “uso umano degli esseri umani” -come recita il titolo originale del suo famoso “Introduzionealla Cibernetica” (1950) -, mise in evidenza i limiti della con-cezione di von Neumann, osservando che macchine di queltipo andrebbero in “ tilt” in presenza di paradossi, entrandoin cicli ricorsivi senza fine. Passò in seguito ad analizzare glielementi di novità contenuti nella motrice a vapore di Watt,capace di essere “informata” sui cambiamenti del mondoesterno da un meccanismo di auto -regolazione, e sviluppòquest’ultimo concetto in relazione al gioco stimolo -rispostanegli organismi viventi. La posizione di Wiener si contrappo-neva a quella di von Neumann perché centrata sulla nozionedi autonomia del sistema rispetto all’ambiente e di come que-sta autonomia permetteva una “ chiusura operazionale” capa-ce di garantire dei processi di auto-adattamento, secondo una

visione sistemica molto più adatta allo studio dei sistemi bio-logici e cognitivi.

È dall’impostazione di Wiener che ha origine la nozione disistema autopoietico utilizzata nella teoria di Maturana -Varela-Bateson. I sistemi autopoietici sono sistemi dotati diuna struttura a rete che connette gli elementi in gioco trami-te una gerarchia di anelli di feed-back. Un sistema di questotipo è in grado di mantenere la propria configurazione graziea cicli di auto-rinnovamento e di modificarla attraverso nuoveconnessioni nella struttura a rete. In questo modo si auto-organizza, modificandosi ed al contempo conservando la pro-pria identità.

I sistemi autopoietici sono in continua relazione dinamicacon l’ambiente circostante tramite interazioni ricorrenti e per-turbazioni, un procedere “fianco a fianco” che è detto accop-piamento strutturale. È importante sottolineare la differenzacon il modello di von Neumann: in quel caso l’ambiente for-niva degli input di tipo “istruttivo” al sistema, mentre nel casodell’accoppiamento strutturale è la natura stessa del sistema,in base alla sua peculiare configurazione dinamica a rete edalle sue “soglie di sensibilità”, a “selezionare” gli input del-l’ambiente e ad “assestarsi” internamente, in un modo chel’ambiente non può ne’ specificare ne’ dirigere. I cambiamen-ti strutturali interni sono cambiamenti evolutivi. Questomodifica profondamente la visione tanto diffusa quantoimprecisa, se non ideologicamente “viziata”, dell’evoluzione

come un processo di ottimizzazione.Ritornando alle idee originali diDarwin, bisogna invece dire che“ambiente ed organismi co-evolvo-no” (J. Lovelock). Nella concezionedell’accoppiamento strutturale èimplicita l’idea dell’evoluzionecome possibilità di compatibilità traorganismo ed ambiente e tra sistemidiversi. Nel corso del processo onto-genetico, esiste perciò uno strettolegame tra evoluzione, sviluppo edapprendimento, poiché i vari livelligerarchici di un sistema si riconfigu-rano continuamente sulla base dellestrutture interne precedenti e dellastoria del sistema.

È qui che entra in gioco unanuova visione della conoscenza edei compiti di un’epistemologiadella complessità. Scrive efficamen-

te Maturana : “I sistemi viventi sono sistemi cognitivi ed ilvivere in quanto processo è un processo di cognizione”. Neiprocessi auto-poietici si viene così a stabilire una “rete seman-tica” che definisce il dominio cognitivo di ogni sistema; que-sto dominio non caratterizza soltanto quello che ci arriva ecome ci arriva, ma anche - e forse in misura maggiore - tuttociò che non “vediamo” del mondo. La rete semantica èanch’essa un processo e dunque il dominio cognitivo cambiain continuazione. Dunque ogni organismo non rappresenta ilmondo, ma lo genera continuamente. In questo senso Varelaafferma che la mente ed il mondo sorgono assieme. Vienecosì re-integrato ad un livello fondamentale l’osservatore nelprocesso della conoscenza: non si dà alcun “Mondo” indipen-dente

dagli osservatori, bensì un mondo per ogni osservatore.Questo non significa in alcun modo rinunciare ad ogni formadi elementare e “sano” realismo, ma semplicemente afferma-re che esiste un circolo virtuoso tra la biologia della conoscen-za (R. Reidl) e le strategie epistemologiche che produciamo inrelazione ad un problema.

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4) Il ruolo dell’osservatore e l’apertura logicaUn esempio illuminante della diversa strategia epistemica

sono i cosiddetti processi emergenti tipici delle aree inter-disciplinari. Bisogna sottolineare con forza la relazione tracrossing disciplinare e fenomeni emergenti, perché la possi-bilità di identificare l’emergenza è strettamente connessaall’utilizzazione di approcci metodologici diversi convergen-ti su un problema, in modo tale da determinare un amplia-mento del dominio cognitivo delle discipline di partenza inuna nuova visione prospettica. Una prima definizioneintuitiva di emergenza è quella di “novità”. Una novità ètale sempre in relazione ad uno schema o un modello pre-definito, un’ottica epistemica, anche questo significatonaive è dunque utile per fissare le idee. Più significativa è ladistinzione tra due tipi di emergenza, l’emergenza computa-zionale e l’emergenza intrinseca (Baas- Emmeche,1997). Nelprimo caso il ruolo dell’osservatore è quello identificareuna forma che può comunque essere prevista in base almodello teorico del sistema. Questo significa che il proces-so individuato, per quanto non banale, può comunqueessere ricondotto, tramite l’analisi del modello, ad unadescrizione computazionale. Questo è il caso di molti siste-mi non-lineari, come i sistemi dissipativi e caotici, e ci sonobuoni motivi per supporre che ogni tipo di emergenza com-putazionale rientri strutturalmente in una delle quattroclassi di automi cellulari di Wolfram-Langton. L’emergenzaintrinseca invece appare più “radicale”, poiché non soltan-to non può essere prevista in base alleassunzioni di modelli precedenti, anche secompatibili con questi, ma richiede all’os-servatore la formulazione di un nuovomodello mirato alla comprensione di carat-teristiche peculiari. Questo equivale allacreazione di un’ottica epistemica nuovaper “vedere” ciò che in altri modelli è “invi-sibile”. In questo senso parliamo anche diemergenza osservazionale, poiché essadipende dalle scelte dell’osservatore e daisuoi obiettivi.

Questo aspetto è stato inquadrato concet-tualmente e formalmente nella recente teo-ria dell’apertura logica dei sistemi (Minati,Penna, Pessa,1998; Licata, 2006, 2007) cheindaga e sviluppa la nozione di accoppia-mento strutturale dal punto di vista matema-tico. Sugli aspetti formali non ci soffermeremo in questa sede,ricordando soltanto che è in atto un’intensa ricerca in variedirezioni che include la logica formale, la teoria delle catego-rie ed alcuni modelli basati sulla sintassi della teoria quantisti-ca. Dal punto di vista concettuale possiamo limitarci a direche la teoria fornisce gli strumenti per ordinare i sistemi inuna “gerarchia di classi di complessità” individuata dal tipo direlazioni con l’ambiente prese in considerazione in ognimodello. E’ interessante notare che in questo caso non è sem-pre possibile ordinare i vari modelli in una sequenza regolatadall’operatore “è più forte di”, e che modelli diversi hannopotenzialità descrittive diverse e complementari, cosa che haportato naturalmente all’uso di un principio di indetermina-zione generalizzato tra modelli (Volkenshtein). Nella teoriagiocano un ruolo chiave i cosiddetti indici di apertura logica,che individuano la complessità informazionale delle relazionisistema-ambiente. Sistemi tipicamente a bassa apertura logicasono i sistemi classici dell’intelligenza artificiale, che sonodescritti da modelli formali su domini semantici limitati,mentre i processi cognitivi mostrano un’apertura logica altis-sima, non riconducibile ad un singolo modello formale. Unsistema ad alta apertura logica (tipicamente un organismo bio-

logico), non può essere “catturato” da un unico modello for-male, ed in particolare da un modello formale con un minorgrado di apertura, che al più potrà coglierne soltanto alcuniaspetti. Tutto ciò porta naturalmente ad una sorta di “indeci-dibilità” formale tra modelli diversi, ed è possibile infattimostrare che l’apertura logica è l’equivalente dei teoremi diGodel-Turing-Chaitin applicati ai modelli formali di sistemicomplessi. La visione della complessità che deriva da questaimpostazione teorica va in direzione radicalmente diversa diquella delle tradizionali “teorie del tutto” della fisica. Infattiin queste ultime la ricerca va in direzione di un modello uni-ficato delle diverse teorie fisiche in una struttura coerente edindipendente dalla descrizione dell’osservatore, mentre nelleteorie dell’organizzazione e della complessità l’accento è postosulla triade osservatore-sistema-ambiente. In altre parole, l’im-postazione delle teorie del tutto è fondamentalmente quelladi una “fisica delle leggi”, mentre lo scenario dell’aperturalogica è soprattutto una “scienza del processo e dei vincoli”.

Nella concezione tradizionale dell’epistemologia l’informa-zione, attraverso una serie univoca di procedimenti, veniva“presa” dal mondo ed andava poi a costituirne una rappresen-tazione la cui ambizione era quella di essere una “fotografia”del mondo. In un’epistemologia della complessità si ha lasituazione esattamente inversa: ogni dominio cognitivo, ad unmomento del suo sviluppo, è una rappresentazione delmondo peculiare del sistema ed è entro questa rete semanticache le perturbazioni esterne diventano informazioni ed assu-

mono una valenza significativa. Al posto diuna rappresentazione “ultima” troviamoinvece una galleria di quadri del mondo,ciascuno diverso dall’altro, con soggetti,colori, prospettive e stili estremamentediversificati: un paradigma “artistico” dellaconoscenza.

Questi approcci alla complessità possonoessere applicati anche alla dinamica internadelle teorie, ed ai loro processi evolutivi, algioco reciproco dei conflitti ed assestamen-ti strutturali, permettendo così all’episte-mologia di costituirsi come disciplina degli“organismi teorici”, capace di coniugare glistrumenti formali per lo studio dei processidi produzione della conoscenza scientificasia di mantenere il proprio ruolo “meta-teo-rico”, facendo convergere le intuizioni filo-

sofiche sul ruolo dell’osservatore e l’analisi formale della suaattività rappresentazionale. Tutto ciò stabilisce una connessio-ne naturale e profonda tra biologia e cognizione, particolar-mente evidente nei recenti studi sulla embodied cognition ( vediCappuccio, 2006; Freitas, Maldonato, Pietrobon, 2006).

Il sistema della scienza- in modo analogo, sotto molti aspet-ti, al sistema dell’arte (vedi Poli, 2006 )- è un sistema ad altaapertura logica, non riconducibile ad un unico schema forma-le. In particolare, l’osservatore ed il costruttore di modellisono in modo ovvio, un sistema con un’apertura logica assaipiù alta di quella del suo “prodotto”, e dunque l’attività epi-stemologica non può prescindere dal prendere in esame, inmodo esplicito, il gioco complesso di finalità e ruoli che unmodello viene ad avere all’interno della dinamica culturale esociale in cui si sviluppa ogni impresa scientifica.

5) Stili nella scienza ed ecologia dei saperiL’esplorazione della dimensione della complessità intesa

come recupero del ruolo centrale dell’osservatore non puòridursi semplicemente ad una nuova e diversa concezionedella conoscenza. Il rischio che si corre infatti è quello già sto-ricamente attraversato sia dalla cibernetica che dalla teoria dei

Natura e complessità. L'uragano Linda

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sistemi, ossia di essere risolte ad una dimensione appiattita dimere “strategie” ingegneristiche. Avremmo in questo caso unasorta di sottile “rivincita” del pensiero semplice, riduttivo emutilante, sostenuto non più dal vecchio fondamentalismoepistemologico, ma da una nuova ed articolata logica di domi-nio e manipolazione in accordo con l’attuale assetto sociale edeconomico. In tal modo laNatura e complessità. L'uraganoLinda complessità diventerebbe, in un modo sottilmenteparadossale, uno strumento di parcellizzazione del mondo edun epigono “post-moderno” del riduzionismo.

Il punto essenziale è che la complessità non è “lì”, ma èqualcosa in cui siamo “dentro” e ci riporta a quella radice ori-ginaria del processo di conoscenza che è il “dialogo” tra l’os-servatore ed i sistemi che esso definisce nella sua esplorazionedel mondo. Questo pone naturalmente la questione tra eticae conoscenza come nucleo centrale di una nuova epistemolo-gia della complessità. Se nelle impostazioni tradizionali infat-ti l’espulsione del soggetto portava inevitabilmente con sé unaseparazione tra scienza, intesa come luogo dei fatti, ed etica,considerata come dibattito sui giudizi morali e di valore, lacentralità ed il ruolo attivo dell’osservatore impongono diriconsiderare anche questo aspetto delle dicotomie ereditatecome deriva dei dualismi precedenti.

L’accento sul nuovo ruolo attivo dell’osservatore come rile-vatore di complessità - o potremmo anche dire come comples-sità che osserva e descrive se stessa - implica la necessità diprendere in considerazione esplicita le motivazioni e le finali-tà che hanno fatto da sottodominante allo sviluppo delleimprese scientifiche. La visione della scienza come gestionedinamica di modelli porta naturalmente ad includere nell’at-tività scientifica una dimensione di auto-descrizione criticache si realizza pienamente nello sviluppo di una concezione

“etica” della propria attività. In altre parole, ogni attivitàscientifica, lungi dall’essere “asettica”, nasce già con una seriedi assunzioni meta-teoriche che ne regolano non soltanto lafilosofia interna ed il rapporto con le altre teorie, ma ne gui-dano anche la vita sociale ed il destino “ideologico”. Questo,ancora una volta, non significa in alcun modo negare validitàalle procedure scientifiche, ma riconoscere che la scelta trauna descrizione del mondo ed un’altra contiene in sé elemen-ti che non riguardano soltanto la “prassi” scientifica, ma piut-tosto il suo background filosofico e sociale. In questo senso iltermine “etica” va inteso non puramente come giudizio divalore sull’eventuale impatto sociale dell’impresa scientifica,ma come una forma di emergenza dal tessuto stesso del siste-ma di produzione scientifica che regola il rapporto della scien-za con le forze produttive e, non ultimo, con l’immaginariocollettivo ed il consumo culturale(Cini). L’etica scientificanon è dunque, in un’ottica di complessità, “semplicemente”una valutazione a posteriori dei contenuti e dei “fatti” dellascienza, ma più in generale il sistema di gestione delle risorseculturali che emerge all’interno di ogni rappresentazione delmondo e che viene codificato nelle scelte teoriche operate.

In questo senso la nuova epistemologia è chiamata ad unadiversa consapevolezza dell’attività scientifica e non limitarsia definire criteri di scientificità, ma, conseguentemente con lavisione “artigianale” del prodotto scientifico, a configurarsicome analisi critica della pluralità di stili e tendenze nellascienza. Si delinea così un compito per l’epistemologia che ladefinisce come attività che coniuga strumenti formali e anali-si meta-teoriche per esplorare il dominio cognitivo di una teo-ria e studiare l’articolazione dialogica ed il gioco di convergen-ze ed interferenze all’interno dell’irriducibile complessità del-l’ecologia dei saperi.

Nota bibliograficaNils A. Baas & Claus Emmeche, On Emergence and Explanation, in Intellectica 2, 25, 67-83,1997Ludwig von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi,MOndadori, Milano,2004David Bloor, Knowledge and Social Imaginery, Chicago Univ. Press, 1976Massimiliano Cappuccio (a cura di), Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Bruno MondatoriEd., Milano, 2006Marcello Cini, Un paradiso perduto, Feltrinelli, Milano,1998Marcello Cini,Il supermarket di Prometeo.La scienza nell’era dell’economia della conoscenza, Codice edizioni, Torino,2006F. Conway & J. Siegelman,L’eroe oscuro dell’età dell’informazione. Alla ricerca di Norbert Wiener, il padre della cibernetica,Codice Ed.,Torino, 2005Renan S. Freitas, Mauro Maldonato, Ricardo Pietrobon, Ricerca sulla ricerca. Verso una fondazione teoretica, in Dedalus, 1,56-62, 2006Steven Heims, I cibernetici. Un gruppo e un’idea, Ed. Riuniti, Roma,1997Ignazio Licata, Physics and Logical Openness in Cognitive Models, e.print in http://arxiv.org/abs/nlin/0703066 Ignazio Licata, Comunicazione, Emergenza, Apertura Logica, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 4,41-73,2007Humberto Maturana & Francisco Varela, L’albero della conoscenza, Garzanti ,Milano, 1987Gianfranco Minati, Maria P. Penna, Eliano Pessa, Thermodynamic and Logical Openness in General Systems, in Syst. Res. And Beh.Sci.,15,3, 131-145, 1998Francesco Poli, Il sistema dell’arte contemporanea. Produzione artistica, mercato, musei, Laterza, Bari,2006Mark C. Taylor, Il momento della complessità. L’emergere di una cultura a rete, Codice Ed., Torino,2005F. Varela, E. Thompson, E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza, Feltrinelli edizioni , Milano, 1992

Ignazio Licata è un fisico teorico ed epistemologo. Ha studiato con D. Bohm, J. P. Vigier, A. Salam e G. Arcidiacono. I suoiinteressi principali sono i fondamenti della meccanica quantistica, la teoria dei campi, la struttura dello spazio-tempo sullascala di Planck, gli approcci gruppali in cosmologia quantistica, la teoria dei sistemi e l’epistemologia costruttivista, il ruolodella computazione nei sistemi fisici e biologici. Ha scritto il libro Osservando la Sfinge. La realtà Virtuale della FisicaQuantistica, (1a ed. 1992, 2a editione 2003, Di Renzo Editore, Roma), ed ha curato le antologie Informazione & Complessità(Andromeda, Bologna,1998), Majorana Legacy in Contemporary Physics (EJTP/Di Renzo, 2006); Physics of Emergence andOrganization (EJTP/World Scientific, in press). Membro di numerose istituzioni scientifiche, come la NY Academy ofSciences, l’International Society of Systems Sciences (ISSS), l’Associazione Italiana Ricerche Sistemiche (AIRS). È editordelle riviste Electronic Journal of Theoretical Physics (EJTP) e Quantum BioSystems. In 1998 ha fondato l’IxtuCyber forComplex Systems il cui progetto è confluito nelle recente costituzione dell’ISEM, Institute For Scientific Methodology, unprogetto sostenuto dal CNR e dall’Università di Palermo con la partecipazione della Confindustria, dedicato allo studiodella complessità ed all’analisi dei processi di produzione e comunicazione della conoscenza scientifica.

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Sorge nell’affascinante scenario di Villa dei Principi a Bagherial’Institute for Scientific Methodology, il nuovo centro inter-disciplina-re siciliano dedicato allo studio della complessità e dell’emergenza.Ne parliamo con il direttore scientifico, il fisico teorico IgnazioLicata, che ci racconta origine e vocazione del progetto.

[Dedalus] Ci racconti come questo progetto è legato al tuo per-corso di ricerca? In particolare vorrei sapere che collegamento c’è conun’area di cui ti sei occupato a lungo come i fondamenti della fisi-ca quantistica.

[Ignazio Licata] Sono un fisico teorico e dunque, come midicono scherzando alcuni amici non-fisici, sono afflitto daltipico “imperialismo” dei fisici, che sarebbe poi il voler “invade-re” i campi altrui! In realtà, anche al di là delle fortissime ten-sioni inter-disciplinari che caratterizzano la scienza oggi, la fisi-ca teorica ha mostrato sempre vitalità proprio quando si è occu-pata di problemi che sorgono sul confine frattale di due ottichedisciplinari. Tutta la storia delle teorie unificate può essere vistain questo modo, ma ci sono anche altri esempi. Qui mi limitoa ricordare l’incontro tra le reti neurali ed i vetri di spin nell’or-mai classico lavoro di Hopfield dell’1982. Posso anche fareappello ad un dato: il maggior numero di articoli sulle riviste difisica oggi non riguardano più le particelle e la cosmologia, mail cervello e le proteine. Venendo al mio percorso, il lavoro sullateoria di Bohm ha avuto durature conseguenze epistemologi-che. E’ un caso esemplare per comprendere a fondo come unateoria può essere non soltanto “letta” ma anche sviluppata edusata in direzioni diverse a seconda dell’interpretazione adotta-ta, e questo in senso anche molto concreto che si riflette diret-tamente nell’ambito sperimentale, ad esempio il quantum com-puting. In altre parole, la comprensione profonda di ciò cheavviene sul “territorio” della scienza implica l’adozione di unapluralità di “mappe” meta-teoriche e dunque di un’autenticasensibilità epistemologica.

Infatti mi sono sempre chiesto qual è, al di là delle dichiarazioniufficiali, il reale impatto del dibattito epistemologico sull’attivitàdegli scienziati.

Se concepiamo l’epistemologia in modo tradizionale, comeun insieme di prescrizioni, bisogna ammettere che lo scienziatoin genere non ritiene che questi temi abbiano a che fare reali-sticamente con il suo lavoro. Parliamo di quella che potremmodefinire epistemologia top-down. Se partiamo invece da unavisione dell’epistemologia bottom-up, come la consapevolezza cri-tica della propria “cassetta degli attrezzi”, per usare un’espressio-ne di Feynman, allora l’epistemologia è sempre stata un ele-mento fondante e centrale del lavoro scientifico. Ogni proble-ma infatti richiede un approccio globale che raramente puòridursi a considerazioni meramente formali o di laboratorio. Lascelta di un “pezzo di mondo” sul quale indagare, ed il tipo dirisposte che vogliamo ottenere, tutto ciò è già “carico” di episte-mologia. Di più, una teoria spesso nasce già con una vocazioneculturale e sociale connessa al tipo di immagine del mondo chepropone. In questo senso più profondo, ogni attività scientifi-

ca, ed ogni gruppo di ricerca, è – in un senso piuttosto “politi-co”- un insieme, più o meno dichiarato, di scelte epistemiche.Ogni teoria scientifica ha un dominio cognitivo.

E veniamo al collegamento tra il progetto dell’ISEM e la culturasistemico-cibernetica e l’epistemologia costruttivista…

L’idea essenziale del costruttivismo e dell’approccio sistemi-co-cibernetico è che ogni epistemologia, per quanto possaanche presentarsi con ambizioni ontologiche “forti”, è di tipobottom-up. E’ centrata dunque sulla nostra attività di osserva-tori e costruttori di modelli spinti da un gioco complesso discelte e finalità che rimandano da un lato alla bio-logica dellacognizione, dall’altro al nostro essere sociale. Oggi i termini“teoria dei sistemi” e “cibernetica” sono piuttosto screditatiper due motivi opposti: un uso improprio ed eccessivamentegenerico dell’approccio ed una serie storica di “contrazioni”di sapore ingegneristico che ne hanno diminuito la portataculturale. Fortunatamente il dibattito ha ripreso vita con illavoro di Maturana e Varela sulla teoria dell’autopoiesi, che èun esempio brillante di ciò che dicevamo prima: una posizio-ne epistemologica che genera al suo interno una teoria com-pleta dei rapporti tra vita e cognizione. E’ interessante notareil ruolo culturale delle etichette. Marvin Minsky ha dichiara-to spesso che avrebbe di gran lunga preferito “scienze cogniti-ve” a “intelligenza artificiale”, ma nel primo caso non sarebberiuscito probabilmente a mobilitare le risorse (e le aspettati-ve!) necessarie. Maturana una volta mi confidò che uno deisuoi problemi all’inizio, da cibernetico, era quello di evitare iltermine “cibernetica”! Sicuramente nella filosofia del nuovoistituto è confluita la mia frequentazione con queste idee e lalunga collaborazione con il Santa Fé Institute, La LondonSchool of Economics ed in particolare gli amici sistemici,come Gianfranco Minati, presidente dell’AIRS (Associazioneitaliana ricerche sistemiche).

Qual è il vostro approccio alla complessità?

Oggi c’è il rischio che la complessità, paradossalmente,diventi un termine-totem onnicomprensivo, una forma di“neo-riduzionismo” e dunque uno slogan vuoto. Il problemacentrale è che la complessità è la dimensione originaria delrapporto osservatore-sistema, ed in un senso molto più radi-cale di quanto non sia inteso in fisica quantistica, dove l’osser-vatore è già altamente formalizzato, o nelle dinamiche non-lineari, dove troviamo complessità computazionale.Prima diuna scelta osservazionale non c’è sistema. Dopo una sceltaabbiamo definito un confine arbitrario tra il sistema ed ilmondo. Questo significa che abbiamo di fatto operato unariduzione di complessità per trarre l’informazione su cuicostruiremo il nostro modello. E’ possibile dare una versioneformale piuttosto sofisticata di questo processo che è conflui-ta nella teoria dell’apertura logica, sviluppata riflettendo suilimiti dell’intelligenza artificiale e di certi modelli bio-mate-matici. In sintesi, ogni modello può essere inquadrato in una“gerarchia di complessità” sulla base delle scelte operate dal-l’osservatore nella costruzione del modello, e caratterizzatocon un opportuno “indice di apertura logica”. Ad esempio imodelli tradizionali dell’IA hanno un basso grado di apertu-

La complessità in giocoL'ISEM E L’EPISTEMOLOGIA SISTEMICA

Intervista aIGNAZIO LICATA

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ra logica ed infatti funzionano all’interno di domini semanti-ci molto ristretti, come gli scacchi. Altri modelli basati sugliagenti autonomi o sulle reti neurali sono più articolati edhanno una maggiore plausibilità biologica. Non si tratta diteorie “rivali”, ma di scelte diverse, e spesso complementari,sulla scelta operata sul grado di apertura logica del sistemache si vuole descrivere. Un risultato interessante è che più èalto il grado di apertura logica, cioè più è ambiziosa la teorianel voler descrivere le inter-relazioni tra il sistema e l’ambien-te, meno è possibile “comprimerla” in un singolo modello for-male. L’osservatore è così incluso nella teoria con il ruolo cen-trale di gestore dinamico di modelli. La complessità è un prez-zo da pagare per ogni scelta descrittiva, ed il grado di apertu-ra logica, in un certo senso, misura questo prezzo.

Questo suona molto simile ai risultati di Goedel-Turing. Che rap-porto c’è con la questione della computazione?

Infatti la teoria dell’apertura logica può essere consideratail corrispettivo dei teoremi “limitativi” di Godel-Turing appli-cata ai modelli formali dei sistemi. In generale il rapporto traapertura logica e computazione può essere sintetizzato dicen-do che più un sistema ha bassa apertura logica più è “compri-mibile” in un modello algoritmico. In un sistema ad altissimaapertura logica come la mente umana, invece, bisogna ricor-rere ad una pluralità di approcci diversi, ed ogni tentativoalgoritmico, per quanto utile e suggestivo, deve essere conside-rato come una “sezione” limitata di un singolo aspetto dellacomplessità originaria del sistema. La cosa importante è chetutto ciò è legato ai processi di emergenza intrinseca. Per usareun termine caro a Maturana e Varela, nel corso del suo accop-piamento strutturale con l’ambiente, in un sistema ad altaapertura logica si ha un processo continuo di assestamenti dilivelli gerarchici, transizioni da un parametro ordinatore adun altro, modifiche del dominio informazionale e delle suesoglie critiche. Questo porta all’emergenza di nuovi codici edunque ai limiti della teoria della computazione tradizionalenei sistemi cognitivi e biologici, che infatti non rientranonella giurisdizione della diagonalizzazione di Cantor e neilimiti dell’halting problem. Per questi sistemi si sta sviluppan-do una nuova teoria, ancora in fase embrionale, che è la teo-ria della computazione bio-morfa. Non possiamo costruireuna “teoria del tutto” dei sistemi complessi perché un sistemaad altissima apertura logica mostra aspetti di emergenzaintrinseca che non possono essere “catturati” da un unicomodello teorico. Se pensi alla visione di Gregory Chaitindella matematica come sistema aperto, ecco che il legame coni teoremi di Godel-Turing diventa evidente.

Come nasce ISEM e che obiettivi si propone?

Come tutte le emergenze, nasce in modo imprevedibile ecasuale, ma dall’incontro di percorsi ben radicati. Con il chi-mico Mario Magliaro, un esperto di nuovi materiali e nanotec-nologie, abbiamo scoperto di avere in comune una passioneper le transizioni di fase, Feyerabend e per il famoso libro diRobert Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motociclet-ta. E naturalmente una certa dose di incoscienza. Da qui l’ideadi un centro dove studiosi di provenienze diverse potesserofare il punto sui processi di crossing disciplinare che caratteriz-zano gli aspetti più vitali della ricerca contemporanea. Vorreisottolineare che un conto è parlare di inter e trans disciplina-rietà, un conto è praticarla davvero. Ogni studioso ha nella suaformazione un “nucleo” forte e spesso non esplicito, di posizio-ni, convinzioni, approcci metodologici. Rimetterli in discus-sione in un circolo che si vorrebbe virtuoso non è facile!Naturalmente questo è possibile soltanto se il Centro mantie-

ne un rapporto “vivo” con la ricerca di base ed applicata, altri-menti si rischia di lavorare su materiale “archeologico”. La par-ticolare natura del consorzio su cui ISEM è centrato- CNR,Università di Palermo e Confindustria- ci permette di tenerealto il livello di attenzione sia sul fronte della ricerca che suquello della formazione. In particolare il ruolo dellaConfindustria è un indicatore attivo di una delle nostre preoc-cupazioni, ossia il dialogo tra i ricercatori ed i policy makers.Una volta, durante la polemica che Sciascia ebbe con Amaldie Segre a ridosso dell’uscita del pamphlet sulla scomparsa diMajorana, il grande illuminista di Racalmuto scrisse- credo suLa Stampa del 24 dicembre 1975- che viviamo come cani per colpadella scienza. Una frase forte ma che contiene un quantum veri-tatis: si vive come cani se la scienza la si subisce. Bisogna cono-scerla per prendere decisioni difficili in un mondo complesso.Decodificare posizioni, stili e miti della ricerca, denunciare gliatteggiamenti auto-referenziali. Questo presuppone un rappor-to diverso e più articolato tra scienza, società e politica all’in-terno di una nuova ecologia dei saperi.

Mi hai raccontato la storia di una “e” scomparsa…

All’inizio il nome dell’istituto era Institute for ScientificEthics and Methodology. Poi, per qualche oscura ragioneburocratica, il comitato del CNR che pianifica i nuovi istitutiha cancellato “Ethics”, che è rimasta però nell’acronimo esoprattutto nello spirito del nuovo istituto. Il termine è pernoi strettamente connesso al ruolo centrale dell’osservatore ecostruttore di modelli ed alla necessità di prendere in consi-derazione le ragioni meta-teoriche che lo guidano nella suaattività, i contesti della scienza. Più concretamente c’è il biso-gno di sviluppare modelli d’impatto dell’attività scientificasulla società, tenendo in conto anche i parametri culturali edeconomici dentro cui la scienza si fa effettivamente.Intendiamo l’“etica” dunque come lo studio dei comporta-menti emergenti che regolano il rapporto tra i sistemi dellaricerca ed il più vasto ambiente in cui sono immersi e dalquale traggono, in ogni senso, nutrimento. Tutto ciò è con-nesso anche ai temi della complessità aziendale e dei modellieconomici. Questo è un campo in cui si possono dire e farecose effimere- come la dichiarazione di qualche anno fa diChris Langton di poter predire l’andamento dei mercati!-oppure che va dritto al cuore di uno dei problemi vitali delrapporto scienza-società, ossia la gestione delle risorse neisistemi complessi, lo sviluppo sostenibile, ed il ciclo di vitadella conoscenza. Quest’ultimo è un argomento di cui mi stooccupando da qualche anno utilizzando la teoria delle reticomplesse. Ormai non si tratta più di discutere astrattamentedell’impatto della scienza sul nostro modo di vivere, ma divalutare attraverso quali processi diffusivi e quali modalitàsarebbe desiderabile che i risultati dell’attività scientifica con-fluiscano nella vita della gente.

Ritieni che i modelli attuali di comunicazione della scienza sianoefficaci?

Assolutamente no. Sin dall’inizio abbiamo pensato diconiugare l’analisi dei processi di produzione della scienza conuna riflessione sulle forme di comunicazione. Il modello reto-rico della divulgazione è ampiamente insufficiente e con lui ipiù recenti meccanismi di spettacolarizzazione con cui la scien-za è entrata nel circuito del consumo culturale. Non soltantoinfatti questa informazione è generica ed imprecisa- pensiamoad esempio ai modi di presentare la fisica quantistica, fermi algatto di Schrodinger e ai suoi “paradossi”-, ma più spesso èanche volutamente parziale. Oggi certa comunicazione ha lafunzione pervasiva di un moderno ipse dixit. In genere funzio-

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na così: un guru riconosciuto scrive un libro o partecipa ad unFestival ed indica una teoria come buona, giusta e vincente.Fornisce al pubblico una descrizione immaginifica del nuovoscenario- per comprenderlo realmente sarebbe necessario inve-ce spiegare da quali problemi è sorto, e quali teorie concorren-ti o alternative esistono-, ed in questo modo si raggiungonodue obiettivi: la conquista del consenso ed il messaggio traver-sale al resto della comunità, del tipo “o ti adegui o sei fuori”.Consideriamo ad esempio un libro come l’Universo elegante diBrian Greene. E’ un libro di grande suggestione che riflettel’eleganza matematica della teoria, ma soltanto nell’ultimocapitolo, e di sfuggita, si accenna ai grossi problemi irrisoltidella teoria. Un testo sicuramente meno famoso è quello diPeter Woit, Neanche sbagliata, in corso di pubblicazione pressoCodice. Woit, da serissimo teorico della teoria quantistica deicampi qual è, smonta criticamente molte ambizioni degli strin-ghisti. Personalmente trovo il libro di Woit più utile di quellodi Greene, ma il maggior successo di quest’ultimo porta inevi-tabilmente la gente a farsi l’idea di Woit come una sorta di“eretico”. E questo influenza anche le scelte dei giovani studio-si. In tal modo si innescano meccanismi auto-referenziali nelletendenze della ricerca. Un altro caso esemplare sono le primedichiarazioni iperboliche sulla “decodifica del genoma”. Delresto la logica dei Festival e della divulgazione spettacolare pro-duce forse risultati in termini di pubblico, ma se analizziamole statistiche non mi sembra che il numero di studenti dellefacoltà scientifiche sia influenzato da queste iniziative, anzisiamo in una fase decisamente regressiva. Bisogna puntare suiproblemi, ed educare i giovani a riconoscerli, approfondirli,insegnare loro a “smontare” le teorie. Diceva saggiamenteBohr che i grandi problemi restano, le risposte- soprattutto sed’occasione e di tendenza- passano.

Qual è il rapporto di ISEM con il territorio?

Sappiamo di aver accettato una sfida difficile, sotto moltipunti di vista. A Catania la collaborazione tra università e priva-ti ha permesso lo sviluppo di quella che ormai è chiamata EtnaValley. Palermo è ancora un potenziale largamente inespresso,che riposa su una grande eredità storica. Non dimentichiamo lastagione culturale del Circolo Matematico di Palermo, i cuiRendiconti furono tra fine ‘800 ed inizi ‘900 una delle principa-li pubblicazioni matematiche del mondo. O in tempi più recen-ti la formidabile sequenza di nomi che hanno insegnato e lavo-rato a Palermo, da Emilio Segre a Lucio Lombardo Radice.Figure come il geochimico Marcello Carapezza, cui è intitolatauna serie di seminari all’ISEM organizzati da Mario Pagliaro, edil biologo Alberto Monroy hanno creato a Palermo brillantiscuole scientifiche e posto le basi per un dialogo culturale trastudiosi di formazioni diverse. Il nostro obiettivo è anche quel-lo di riprendere e continuare questa tradizione e creare nuoveoccasioni di collaborazione tra università, CNR e industria.Inoltre, consapevoli di vivere in un territorio “difficile”, siamoconvinti che una proposta culturale forte possa costituire uncontributo contro le derive di legalità che minacciano la ricercacome ogni altro ambito della società civile, questione di cui ingenere si parla poco. Abbiamo in programma alcune iniziativein questa direzione. E’ stata dunque una grande gioia per noivedere quanti amici e colleghi hanno risposto all’appello per lacostituzione dell’Advisory Board: David Avnir, Marcello Cini,Liane Gabora, Jean Marc Levy Leblond, Gianfranco Minati,Gloria Origgi, Eliano Pessa, Nicla Vassallo.

Quali iniziative sono già in programma?

Il Master “Paul K. Feyerabend” ha già ricevuto numero ade-sioni e partirà ad ottobre. Stiamo organizzando dei seminari

con il “cattivo maestro” Marcello Cini e con Nicla Vassallo.Per i convegni “Focus” abbiamo previsto due appuntamentiimportanti, uno dedicato alla struttura dello spazio-temposulla scala di Planck ed un altro sulle nanotecnologie. Unappuntamento importante è poi la cerimonia annuale per ilMajorana Prize, organizzata in collaborazione con l’ElectronicJournal of Theoretical Physics di cui sono co-editor. E come sai,uno dei progetti che più mi sta a cuore è un incontro sullaNeurofenomenologia con voi di Dedalus.

L’idea di intitolare il Master a Feyerabend ha un intento polemico?

Chi ha letto con attenzione i lavori di Paul Feyerabend,ed ha anche avuto il piacere di conoscerlo personalmente,sa bene che il suo “anarchismo metodologico” è stato sem-pre assai più rigoroso dell’immagine che solitamente se neoffre. Negli ultimi anni stava preparando un libro doveavrebbe corretto certe interpretazioni del suo lavoro, mapurtroppo la morte ha impedito che questo progetto, a cuilui teneva molto, potesse vedere la luce. Bisogna ricordareche le sue provocazioni si inserivano in un contesto, quel-lo anglo-americano, dove la cultura scientifica è più radica-ta e solida che da noi, e dunque molto più in grado di assi-milarne le suggestioni senza rischiare reazioni visceralmen-te anti-scientifiche. Il famoso anything goes non è mai stato,come a volte si dice, un‘equivalenza tra scienza e non-scien-za, ma il bisogno di distinguere tra le vicende intricate dell’impresa scientifica e la loro rappresentazione razionalecostruita a posteriori. Inoltre Feyerabend è stato uno deiprimi, con la sua scrittura paradossale e provocatoria, aporre efficacemente il problema del decision making nellesocietà tecnologicamente avanzate in cui si ripropone con-tinuamente una situazione di squilibrio tra il sistema dellascienza ed i meccanismi decisionali della democrazia.

Che mi dici del logo dell’ISEM, “Twistors”?

E’ un lavoro di Teresa Iaria che ho visto quest’anno ad“Artissima” a Torino e l’ho subito adottato. Oggi si fa ungran parlare del rapporto tra scienza ed arte, in genere inmodo piuttosto banale. Nella maggior parte dei casi è unmatrimonio forzato che nasce all’interno del carrozzonedella scienza- spettacolo di cui abbiamo discusso. L’arteispirata alla scienza non dovrebbe essere una mera rap-presentazione dei concetti scientifici- pensiamo ad esem-pio ai famigerati frattali colorati!-, proprio come la scien-za non è in alcun modo una “fotografia” della realtà. Ilvero punto di contatto tra scienza ed arte è che sonoespressioni profonde della nostra attività cognitiva, delbisogno di dare una forma all’esperienza. Si tratta diapprocci diversi che devono rivendicare la loro autono-mia e non appiattirsi in una simbiosi didascalica. Perusare un’efficace espressione dell’artista “guardarsi dasponde opposte”. In “Twistors” la risonanza gioiosa traun concetto della fisica teorica più “ardua” ed una trot-tola infantile rende benissimo l’idea dei “creatori dimondi” e fissa in modo inequivocabile lo spirito e lavocazione del nuovo istituto.

Una tua immagine finale sulle necessità della ricerca scien-tifica.

Meno dichiarazioni faustiane e titaniche e più artigianato.E’ necessario, per citare la bellissima lezione inaugurale diJean Marc Levy Leblond, Re-mettre la Scienze en Culture, contutte le sfumature irriducibili ed “incomputabili” dell’espres-sione. Meno Achab e più Ismaele.

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L E E M E R G E N Z E D E L L A C O M P L E S S I T À

L’Isem (Institute for scientific methodology) nasce comeluogo di riflessione critica e di formazione sui processi di pro-duzione e comunicazione della scienza contemporanea. Il suoobiettivo è quello di sviluppare una visione sistemica meta-disciplinare che favorisca l’affrancamento da una concezionerigida, lineare e piramidale del processo di produzione scien-tifica, che recuperi e valorizzi pienamente il ruolo del ricerca-tore come costruttore e gestore dinamico di modelli negli sce-nari post-industriali delle relazioni tra scienza, tecnologia esocietà. In questo modo la questione metodologica si collegadirettamente al ruolo culturale e sociale dell’impresa scienti-fica ed alla necessità di una valutazione globale del valore edell’impatto della produzione di conoscenza scientifica. Lanuova necessità della formazione e di un feedback costante conle realtà politiche e sociali che alimentano la scienza portanaturalmente ad un bisognonuovo di comunicazione scienti-fica, ispirato non più al modelloretorico della divulgazione, maalla necessità di un’informazionecritica e pertinente sui granditemi della ricerca e sul loroimpatto sociale a medio e lungotermine.

Formazione - Master “Paul K.Feyerabend”

L’Istituto condurrà il Masterannuale di alta formazione sullametodologia della ricerca scienti-fica “Paul K. Feyerabend” rivoltoa corsisti selezionati a livellointernazionale fra laureati ericercatori di tutte le disciplinescientifiche. I corsi si svolgeran-no nei pressi di Palermo, a Bagheria, nella splendida sede diVilla Cattolica, già sede permanente del Museo “Guttuso”. IlMaster inizia a gennaio e dura fino a giugno. Le lezioni saran-no condotte interamente in lingua inglese da docenti scelti fraalcuni dei migliori ricercatori internazionali. I temi chiave delMaster saranno l’epistemologia, i processi di produzione ecomunicazione della conoscenza ed il quality managementnella ricerca scientifica.

Majorana PrizeL’Isem, in collaborazione con l’Electronic Journal of

Theoretical Physics, sarà sede della cerimonia per l’assegnazionedella Majorana Medal per la categoria Best Person in Physics.

Convegni “Focus”l’Isem curerà la promozione di corsi e convegni “focus” sui

temi caldi della ricerca scientifica, da quelli più specificata-mente teorici che coinvolgono temi di vasto impatto cultu-rale (come le teorie unificate, la genomica e le teorie dellamente) a quelli di interesse più direttamente tecnologico-produttivo, con particolare riguardo ad aree inter-disciplina-

ri (nuovi materiali, bio- informatica, nano tecnologie,quan-tum computing, information tecnology).

RicercaAccanto alle attività formative, l’Istituto opererà attività di

ricerca di frontiera in chimica e in fisica teorica. In chimica,nel segno della versatilità con cui il Laboratorio diretto daMario Pagliaro al Cnr di Palermo si è distinto negli ultimicinque anni fra i principali gruppi di ricerca internazionalicon decine di lavori scientifici riguardanti i più svariaticampi (dalla catalisi alla sensoristica; dalla scienza dei mate-riali alle sostanze rinnovabili; dalla fotochimica alla sintesi)condotti in collaborazione con ricercatori di 11 Paesi. In fisi-ca teorica, modelli matematici in biologia teorica ed episte-mologia cognitiva con la guida di Ignazio Licata, full profes-

sor di fisica teorica negli StatiUniti, Palm Harbor, recente-mente ritornato in Sicilia.Anche qui le aree privilegiatesaranno quelle con forti caratte-ristiche interdisciplinari: bio equantum computing, nanotec-nologie, sistemi simbolici e sub-simbolici per la rappresentazio-ne della conoscenza, quantumsystemics.

Contatti:[email protected]@ejtp.info

I ricercatori dell’ISEM: MarioPagliaro

Mario Pagliaro holds a Ph.D.in chemistry from Palermo’s

University (1998) with a thesis on the “Selective oxidations ofcarbohydrates” carried out with his two mentors: David Avnirin Jerusalem and Arjan de Nooy in Holland. In 1993 hegraduated cum laude in chemistry studying one of the firstapplication of fractal geometry to chemistry (“Structural char-acterization of palladium catalysts supported on silica”). He hasstudied and worked in Israel, Netherlands, France andGermany and currently collaborates with Rosaria Ciriminnaand researchers of eight Countries doing research on newfunctional materials of scientific and industrial interest. In2005 he was appointed “Maître de conférences associé” atthe France’s ENSCM and was invited speaker at the XV edi-tion of the International Symposium on Fine Chemistryand Functional Polymers in Shangai (Cina). Between 1993and 1994 he worked in Holland (first at Leiden’s RijksUniversiteit and then at the TNO Food Research Institutein Zeist). In 1998 he was at Grenoble’s Cnrs with Dr. MichelVignon, and in 2001 he joined Carsten Bolm at Aachen’sPolytechnic. In 2004 and in 2005 he has worked with JoëlMoreau and Michel Wong at Montpellier’s Ecole NationaleSuperieure de Chimie.

ISEMInstitute for Scientific Methodology

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I S E M

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ISEMMaster "Paul K. Feyerabend"

Master & Corsi

- Verso un’Epistemologia della Complessità Un quadro prospettico delle evoluzioni dell’epistemologia, da discor-so normativo “esterno” sulla pratica scientica a “disciplina”, pas-sando per la critica “politica” della scienza.A sinistra e a destra diPopper.- Informazione, Complessità e SistemiIl problema del riduzionismo mono-disciplinare.Dagli Insiemi aiSistemi: Una Scienza che parla di Scienza, Wiener e Co.- il proble-ma della “falsificabilità” degli approcci metodologici- Modelli di produzione di conoscenzaCrossing:Mono, multi, inter, trans disciplinare. Il ruolo dell’osser-

vatore nella scienza.- Apertura SistemicaModelli sistemici basati su apertura termodinamica e logica. Teoriee Modelli Isomorfi. Gerarchie modellistiche- Utilizzo Dinamico dei Modelli (DYSAM)Il problema della scelta modellistica tra “teoria” e “fenomenolo-gia”. Produzione di conoscenza, oggettivismo, costruttivismo.LeMappe Fuzzy.- Modelli computazionali ed Emergenza IntrinsecaLa conoscenza come “novità” irriducibile- Simulazione e mondi gio-cattolo- Il ruolo dell’osservatore come rilevatore d’emergenza.Emergenza e Fenomeni Collettivi.- Sistemi di produzione della conoscenza ed eticaValori, Valutazioni e Bilancio Etico come fattore di crescita e svi-luppo. La conoscenza nella società post- industriale.

- Intelligenza CollettivaLa scienza al tempo di internet, nuovi processi di produzione ecomunicazione della scienza. Le riviste on-line. Il Caso di ArXiv.- Il Laboratorio ed il problema della condivisione delle com-petenzeDa Gottinga a Los Alamos- La Big- Science- Il ruolo storicodell’Università- Il Modello del CNR- L’Esperienza di Santa Fè.

Strumenti teorici per un’epistemologia sistemica

- Linguaggi Formali, Automi e Modelli- Teoria classica della computazione- Teoria dei sistemi dinamici- Formalismi Quantistici, Sistemi Complessi e Fuzziness- La Scienza Classica: oggettivismo, riduzionismo e causalità- Principi Generali della Sistemica- La nozione classica di Emergenza e l’oggettivismo causale- Emergenza ed Auto-Organizzazione: Automi Cellulari, ArtificialLife, AlChemy (Artificial Chemistry),Algoritmi Genetici, IA Forte,Sistemi Dissipativi, Sinergetica, Connessionismo e Reti Neurali- Una Teoria Generale dei Sistemi Osservanti: Emergenza e dina-mica delle Distinzioni,HyperSTructure, Apertura Logica,Quantum Systemics- Processi Cognitivi e Psicologia Connessionistica- Ingegnerie della Conoscenza.

26 Marzo 2002. Inaugurazione dell'ISEM con Armando Massarenti e Jean Marc Levy Leblond

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L E E M E R G E N Z E D E L L A C O M P L E S S I T À

Professore emerito, Università di Roma La Sapienza

MARCELLO CINI

La scienza e i suoi valoriVerità, etica, ricerca

1. Conoscenza scientifica e veritàNonostante gli anni trascorsi dal famoso Convegno di

Londra del 1965 di filosofia della scienza nel quale si confron-tarono sulla natura della verità scientifica i più famosi protago-nisti del dibattito epistemologico del Novecento - ThomasKuhn e Paul Feyerabend, Karl Popper e Imre Lakatos – la que-stione è oggi sempre più aperta. Dopo avere, infatti, instaura-to, nel secolo appena finito, il suo dominio sulla materia iner-te, l’uomo si è avviato, nel nuovo secolo, a stabilire il pienocontrollo sulla materia vivente e sui suoi stessi fenomeni men-tali. È essenziale a questo punto riconoscere che questa svoltacambia profondamente la natura stessa della scienza.

È infatti venuto al pettine cla-morosamente il nodo che con-cettualmente fin da allora con-trapponeva chi negava la possi-bilità di definire un criterio didemarcazione netto fra la scien-za e le altre “verità” sulla realtàcircostante, e chi, vedendo nellascienza l’unica forma di cono-scenza oggettiva e razionale delmondo, cercava di individuareun metodo certo e universaleper distinguerla da tutte le cre-denze soggettive e irrazionali dialtra natura.

Prima di analizzare meglio lanatura di questo nodo alla lucedella svolta epocale che stiamovivendo, vorrei tuttavia riassu-mere brevemente il mio puntodi vista sul complesso rapportofra l’oggettività del mondo realenel quale viviamo e la soggettivi-tà della rappresentazione che nediamo come esseri umani ingenere e come “scienziati” inparticolare. Ho avuto infattianch’io modo - non come filosofo ma più modestamentecome fisico interessato a capire i limiti e le potenzialità cono-scitive dell’attività di ricerca mia e dei miei colleghi – di riflet-tere, scrivendone per più di quarant’anni in numerose occa-sioni e in vario formato.

Per esempio, nel 1981 scrivevo: “Mi sembra dunque diffici-le negare che siamo noi, con le nostre scelte soggettive, i nostrischemi concettuali, i nostri criteri di validità e di priorità acostruire - ritagliando pezzi [di realtà] che acquistano significa-to, individuando elementi che ci appaiono semplici, isolandocatene di eventi che secondo una certa ottica si mostrano cor-relati - gli oggetti della conoscenza all’interno di una realtà che

si presenta a priori come un flusso fenomenico continuo eproteiforme privo di connessioni significative di per sé.”

Tredici anni dopo ribadivo: “Se si riconosce, e mi pare chenon ci sia altra alternativa, che il metodo universale per arri-vare alla “verità” non esiste, il massimo di “oggettività” dellaconoscenza raggiungibile è assicurato soltanto dal carattereintersoggettivo del giudizio di validità [sulla proposta di inno-vazione avanzata dai singolo scienziato] pronunciato dai depo-sitari del sapere”.

Cerchiamo a questo punto di approfondire meglio la que-stione Conviene distinguere, secondo me, le diverse fasi delprocesso di scoperta/creazione di “verità” nell’ambito della

scienza, facendo anche qual-che riferimento a un conte-sto più vasto. Uso un termi-ne composto per sottolinea-re il nesso indissolubile trasoggetto e oggetto che il con-cetto di “verità” implica.Queste fasi sono almeno tre.

La prima è quella del con-cepimento del nucleo di“verità” che il soggetto intui-sce. In questa fase emozionee riferimento ai dati senso-riali (i fatti) si intreccianoi n d i s s o l u b i l m e n t e .Chiunque faccia il miomestiere sa, per averlo pro-vato – nel mio caso pochissi-me volte, purtroppo - chel’intuizione di un’idea che“funziona” per far tornarecerti fatti, produce unaemozione fortissima, assen-te invece quando si tratta diuna semplice ipotesi razio-nale sul come essi potrebbe-ro essere collegati tra loro.

È noto, tanto per fare un esempio, che il chimico Kekuléracconta di aver intuito la struttura ad anello della molecoladi benzene avendo sognato un cerchio di ballerine che danza-vano tenendosi per mano. La danza fu per il suo inconscio ilsimbolo di un legame flessibile, regolare e stabile tra gli atomidi carbonio della molecola in questione. C’è forse, in questafase della formazione di una nuova idea scientifica, un nessocon la creazione artistica. Mi vengono in mente, per restare intema, i grandi quadri di Matisse in cui la danza diventa sim-bolo di grazia e di leggerezza depurate da ogni gravame mate-riale. In sostanza l’invenzione di una metafora appropriata,con la sua anbiguità essenziale, gioca sempre un ruolo fonda-

Hermes e Athena, giustizia e verità

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mentale nella formulazione di “verità” individuali.La seconda fase, spesso indistinguibile dalla prima, ma con-

cettualmente molto diversa, è quella del tentativo di dareall’intuizione una forma capace di comunicarne agli altri lanatura della “verità” intuita. Nei grandi scienziati questaforma consiste nell’invenzione di un vero e proprio nuovo lin-guaggio. Per esempio, il linguaggio inventato dai padri dellameccanica quantistica, a partire da Einstein fino a Heisenberge Schrödinger, rappresenta gli oggetti del mondo atomicocome dotati, a seconda del contesto, di proprietà ondulatorieo corpuscolari, che nel mondo macroscopico sarebberoincompatibili. Non è tuttavia questo l’unico linguaggio possi-bile, anche se è quello di gran lunga più diffuso. Wigner,tanto per fare un nome, ne ha inventato un altro che mettedirettamente in evidenza la natura intrinsecamente aleatoriadegli eventi quantistici. In modo del tutto analogo i grandipittori del primo Novecento, uno per tutti Picasso, hannoinventato un linguaggio in cui lo stesso soggetto può essererappresentato simultaneamente di lato e di fronte: una visio-ne anche questa incompatibile con l’esperienza comune.

So bene che gli scienziati non amano questo genere diparagoni, ma mi sembra necessario insistere sul fatto cheogni rappresentazione della realtà sceglie necessariamentealcuni aspetti, ritenuti essenziali, di quella ontologicamenteesistente indipendentemente dalla percezione che ne possia-mo avere. La differenza dunque fra i linguaggi delle scienze equelli delle arti, non èche i primi si riduconoall’unica “vera” rappre-sentazione della realtà“così com’è” mentre isecondi sono metaforetutte più o meno accetta-bili. Le rappresentazionidel mondo sono tutteparziali e ognuna portal’mpronta ineliminabiledel soggetto che l’ha con-cepita e realizzata.

Esiste certamente unadifferenza fra i linguaggiinventati per comunicarele “verità” scientifiche equelli che esprimono le“verità” artistiche. Ma ladifferenza non è dicoto-mica. C’è un continuumche ha ad un estremo larazionalità pura ed all’altro la pura emozione, all’interno delquale ogni linguaggio si colloca più meno vicino all’uno oall’altro. Chiunque abbia sperimentato, nel corso di una psica-nalisi individuale, in che modo si possa arrivare, attraverso ilmetodo freudiano delle libere associazioni, a stabilire il carat-tere di “verità” della interpretazione di un determinato sogno,sa bene che questa comprensione è essenzialmente emotiva: inquesto caso la parte inconscia dell’individuo crea il sogno e lasua parte conscia ne coglie la “verità”. Comunque, capire una“verità” provoca sempre una emozione. È vero per una dimo-strazione matematica come per un quadro.

La terza fase della formulazione di una “verità” scientifica èquella della sua accettazione (o del suo rifiuto) da parte dellacomunità degli esperti. Questo giudizio di validità si basa suun insieme informale di criteri metateorici che si riferiscononon soltanto alla corroborazione empirica, alla completezza,alla coerenza interna della proposta, ma anche alla sua utilitàpratica, alla sua coerenza rispetto alle tradizioni culturali, alla

sua adeguatezza rispetto alle aspettative sociali nei confrontidella disciplina e così via.”

In particolare un elemento importante per la comprensio-ne da parte degli “altri” della “verità” scoperta/inventata èanche la “bellezza”. Questo appare ovvio per l’opera d’arte,ma è vero anche per il linguaggio scientifico. Diceva PaulDirac, uno dei fondatori della formulazione universalmenteaccettata della meccanica quantistica, che un formalismomatematico “bello” trova sempre, prima o poi, una realtà fisi-ca che gli va a pennello. Ma è vero anche l’inverso. Non c’èdubbio, ad esempio che l’invenzione della prospettiva, concet-to geometrico e razionale per eccellenza, caratterizza in modoassolutamente dominante la straordinaria bellezza delle operedi Paolo Uccello e di Piero della Francesca.

2. Dalla scienza della materia inerte a quelle della vita edella mente

Il passaggio dalle scienze della materia inerte a quelle dellavita e della mente deve infatti tener conto della differenza trai principi organizzativi che caratterizzano le due diverse sfere.La logica che tradizionalmente sta dietro ai grandi successidella fisica del Novecento nella interpretazione delle proprie-tà della materia inerte è riduzionista: dalla conoscenza deicomponenti elementari e delle loro interazioni si risale alleproprietà del sistema. Da questo deriva anche che queste pro-prietà sono indipendenti dal contesto.

È stato tuttavia unNobel della fisica, PhilipAnderson, a mettere indiscussione, nel 1972, inun intervento ormai sto-rico molto controverso, ildogma del riduzionismo.“L’ipotesi riduzionista –scrive – non ne implicaaffatto una ‘costruzioni-sta’: l’abilità di ridurretutto a leggi semplici fon-damentali non implica lacapacità di partire daquelle leggi per ricostrui-re l’universo. Infatti,quanto più i fisici delleparticelle elementari cidicono sulla natura delleleggi fondamentali, tantomeno sembra siano ingrado di farlo per i veri

problemi degli altri settori della scienza, e ancor meno suquelli della società. L’ipotesi costruzionista crolla quando siconfronta con le difficoltà gemelle della scala e della comples-sità.” Ne segue che “il comportamento di un aggregato vastoe complesso di ‘entità’ elementari, non può essere compresoin termini di semplice estrapolazione delle proprietà di pocheparticelle. Perciò, anche se possono esserci suggestive indica-zioni sul modo di mettere in relazione un livello con l’altro, èpraticamente impossibile dedurre la complessità e la novitàche emergono in questo passaggio”.

In contrasto con la chiara presa di posizione di Anderson,viene tuttavia ancora attribuita nella comunità dei fisici unaimportanza primaria alla ricerca della Legge Fondamentale (lacosiddetta Teoria del Tutto) che regolerebbe l’universo intero.Personalmente ritengo che così facendo, la fisica abbia imboc-cato una strada sterile. Per fortuna sono in buona compagnia.In un libro appena uscito in edizione italiana, intitolato UnUniverso diverso, il Nobel per la fisica Robert Laughlin, dopo

Marcello Cini

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L E E M E R G E N Z E D E L L A C O M P L E S S I T À

aver definito ccome “definitivamente infalsificabili”, e quindi“assimilabili ai miti greci della creazione del mondo”, le teo-rie cosmologiche che parlano dei primi istanti infinitesimidella vita dell’universo dopo il Big Bang, estende il suo giudi-zio critico alla teoria delle stringhe, che della Teoria del Tuttodovrebbe essere la base.

Si tratta della teoria di “un tipo immaginario di materia,costituita da oggetti allungati” che esistono in uno spazio amolte dimensioni (alcuni dicono dieci, altri addirittura ven-totto), della cui esistenza non esiste né potrà mai esistere alcu-na prova sperimentale. “La teoria – scrive - non ha alcuna uti-lità pratica, se non quella di sostenere il mito della teoria ulti-ma. Per giunta, la speciale matematica, peraltro bella ed ele-gante, che la contraddistingue, non permette di calcolare oprevedere più facilmente alcun comportamento sperimentaleconosciuto.” “La teoria delle stringhe – conclude – è un belsistema concettuale che rimarrà all’infinito fuori della nostraportata sperimrentale.”

La logica invece che occorre adottare per spiegare le proprie-tà di un organismo vivente è radicalmente diversa. Essa sifonda su due principi: la dipendenza dal contesto e la dipen-denza dalla storia passata. La prima permette all’organismo didare risposte differenti allo stesso stimolo a seconda delle cir-costanze nelle quali si trova ad agire: un comportamento cheun pezzo di materia inerte non è in grado di avere. La secon-da implica che le pro-prietà di un organismonon sono riducibili allasua struttura (spiegazio-ne sincronica) ma sonoanche frutto di unalunga successione tem-porale (spiegazione dia-cronica) di due momen-ti indipendenti e com-plementari ma intrec-ciati che agiscono sul-l’insieme degli organi-smi simili vissuti in pas-sato al quale esso appar-tiene: quello della gene-razione aleatoria delladiversità tra loro e quel-lo della selezione diquelli più compatibilicon i vincoli esterni einterni all’insieme aiquali sono sottoposti.

In sostanza si passada una scienza “galileiana”, tesa a individuare la legge comu-ne che regola fenomeni che appaiono differenti a causa di fat-tori secondari e contingenti (“diffalcando gli impedimenti”diceva Galileo) a una scienza “darwiniana” (“Non ci sono, peri fenomeni biologici, altre spiegazioni possibili che quelle evo-lutive”, affermava già una trentina di anni fa il pioniere dellabiofisica Mario Ageno) che cerca di spiegare come possa avve-nire che piccole differenze esterne possano indurre organismiidentici a imboccare percorsi spaziali o temporali radicalmen-te differenti.

3. Barriere che cadonoIl mutamento epistemologico e metodologico legato allo

spostamento del baricentro dello sviluppo della scienza dallasfera della materia inerte a quella della materia vivente èanche alla base dello sgretolamento dei due steccati che tradi-zionalmente separavano la scienza dalle altre attività sociali

umane: uno separava la scienza (in quanto conoscenza disin-teressata della natura ottenuta attraverso la scoperta) dalla tec-nologia (in quanto utilizzazione pratica dei risultati dellaprima realizzata attraverso l’invenzione), e l’altro separava leattività che si occupano di fatti da quelle che si occupano deivalori che stanno alla base delle norme (etiche e giuridiche)intese a regolare le finalità e i comportamenti degli individuinei loro rapporti privati e nelle loro azioni sociali.

Per quanto riguarda il primo steccato, il nesso tra la ricercascientifica “pura”, cioè perseguita al solo scopo di conoscerein modo disinteressato la natura, e l’innovazione tecnologica,stimolata dall’interesse a inventare continuamente nuovi stru-menti per soddisfare la domanda di un mercato sempre piùesigente e sofisticato. La ragione è semplice: le leggi della natu-ra non si possono brevettare, mentre conoscenza e applicazio-ne si intrecciano nell’individuazione delle modalità che ren-dono efficace un processo rispetto a un altro apparentementesimile che non lo è.

Anche per quanto riguarda la separazione fra fatti e valori lasvolta ha un effetto dirompente. È ormai esperienza comuneche i dibattiti e le polemiche interne alla scienza comincianoa entrare nelle arene del discorso e dell’azione non scientifi-che. Le scoperte scientifiche sono messe in discussione, criti-cate o utilizzate insieme ad altre fonti di conoscenza disponi-bili da parte di un pubblico sempre più vasto. Una cosa è

infatti manipolare,controllare, forgiareun oggetto fatto dimateria inerte e altracosa è compiere le stes-se operazioni su unorganismo vivente oaddirittura sull’uomo.Nel primo caso il lecitopuò coincidere conl’utile, nel secondo illecito dovrebbe per lomeno dipendere ancheda una valutazione dinatura etica. Dunqueanche la seconda sepa-razione tende a svani-re: diventa sempre piùdifficile decontamina-re i fatti dai valori edestirpare gli interessidalla conoscenza. Le“verità” della scienza egli “strumenti” della

tecnologia acquistano proprietà che dipendono dal contesto.Nasce il problema del rapporto fra conoscenza e valori, cioè delnesso fra la ricerca della “verità” e il perseguimento di “retti”comportamenti individuali e collettivi.

Lo sgretolamento di questi due steccati tradizionali va a suavolta collocato, per valutarne appieno le conseguenze sociali,all’interno di un’altra svolta epocale compiuta, al passaggiodel secolo, dall’economia capitalistica globalizzata. Vediamorapidamente di che si tratta.

4. La produzione di merci immaterialiNella società contemporanea tutto è ormai ridotto a merce.

Da questo punto di vista diventa “naturale” attribuire le fat-tezze di merce a ogni componente - dal singolo gene al’interoorganismo - della straordinaria varietà di forme viventi e aogni manifestazione - dal singolo bit all’opera più monumen-tale - delle infinite possibili espressioni del pensiero umano.

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Nel XX secolo il meccanismo di accumulazione del capitalesi è fondato sulla formazione del profitto nel processo di pro-duzione delle merci materiali (molecole) e sull’espansione delloro consumo da parte dei lavoratori stessi (fordismo). NelXXI secolo il meccanismo di accumulazione del capitale sem-pre più si fonderà sulla formazione del profitto nella produ-zione di merci immateriali. La proprietà fondamentale deibeni immateriali è infatti che, a differenza di quelli materiali,la fruizione da parte di un “consumatore” non ne impediscela fruizione da parte di altri. Anzi, è improprio parlare di con-sumatori, perché le merci immateriali, in realtà non si “con-sumano”. In un disco non è la plastica che conta, è la canzo-ne che c’è incisa. Ma la canzone non si consuma se io l’ascol-to: la possono ascoltare altre milioni di persone.

La riduzione dell’informazione a merce destinata ad essereacquistata e fruita individualmente in esclusiva, è dunque unaartificiosa reificazione di un bene che, se è da un lato fruttodella creatività individuale di persone eccezionalmente dotate,dall’altro non nasce dal nulla ma trae ispirazione dal patrimo-nio culturale comune dell’umanità e a sua volta acquista sensosoltanto se va ad accrescere questo patrimonio. A confermadella natura prettamente sociale della produzione di conoscen-za sta il fatto innegabile che la diffusione della conoscenza ècondizione indispensabile per produrne di nuova.

L’avvento dell’economia della conoscenza implica che ogniforma di conoscenza debba acquistare la forma di merce.Dunque anche la scienza, che era la forma di conoscenza delmondo per definizione disinteressata e liberamente a disposi-zione di tutti, diventa, da bene comune che era, un bene scar-so da immettere sul mercato, del quale può fruire soltanto chiha il denaro per acquistarlo. Questa trasformazione dellascienza, tuttavia, non investe soltanto la sfera dell’economia,ma penetra in profondità anche nella sfera dei suoi contenu-ti, cioè dei concetti utilizzati per rappresentare la realtà e degliobiettivi da perseguire.

Mi spiego meglio. La riduzione a merce di un bene implicasempre che ad esso venga attribuito un valore quantitativo (discambio), e dunque che di esso venga definita l’unità di misu-ra. Si vede dunque che il riduzionismo epistemologico è il pre-requisito per poter procedere al riduzionismo del mercato.L’esempio più ovvio è ancora una volta il riduzionismo gene-tico. Soltanto attribuendo a un gene una proprietà specificaindipendente dal contesto (riduzionismo epistemologico) essopuò essere privatizzato per mezzo di un brevetto, ed essereimmesso sul mercato con un valore determinato. Se invece siriconosce, come dimostrano tra l’altro i recentissimi progres-si della genetica, che le proprietà di un gene dipendono dalcontesto intracellulare e dai messaggi provenienti dal restodell’organismo e dal mondo esterno, la pretesa di farne ogget-to di “proprietà intellettuale” perde la sua giustificazione“scientifica” e rivela la sua vera natura di appropriazione pri-vata, volgarmente un furto, di un bene comune. È la ripetizio-ne pura e semplice della privatizzazione forzata delle terrecomunali nell’Inghilterra del XVII secolo.

5. La crisi della deontologia professionale degli scienziatiLe due svolte che abbiamo discusso hanno anche una

influenza radicale sugli imperativi dell’ethos della scienza, cheRobert Merton, il fondatore della moderna sociologia dellascienza riassumeva con i termini; universalismo comunitari-smo, disinteresse e dubbiio sistematico.

Abbiamo già discusso in dettaglio la questione delle dif-ferenze epistemologiche tra le discipline della materia iner-te e quelle della vita e della mente che mettoni in crisi l’im-perativo dell’universalismo. Un effetto ancor più drasticohanno i nuovi vincoli che vengono dal tessuto sociale e inparticolare dal mercato. Il crescente intreccio tra scienza etecnolgia, ad esempio, mina alla base il principio del disin-teresse. Lo sgretolamento della barriera che separava fatti evalori mette in dubbio la possibilità di adottare criteri uni-versali e impersonali nella scelta degli obiettivi della ricerca.Ma è soprattutto l’imperativo del comunitarismo che è bru-talmente vanificato dall’appropriazione privata dei risultatidella conoscenza attraverso la loro brevettazione. Semprepiù spesso accade che, anche nella ricerca fondamentale,prima si brevetta e poi si pubblica. Emblematico è il casodella PCR /Polymerase Chain Reaction), che ha fruttato alsuo autore Kary Mullis il premiuo Nobel, e miliardi di dol-lari di royalties alla Cetus Corporation titolare del relativobrevetto.

In genere si giustifica il brevetto con l’argomento della pro-tezione della “proprietà intellettuale”. Scrive tuttavia a questoproposito il noto finanziere George Soros: “L’istituzione dibrevetti e diritti di proprietà intellettuale ha contribuito a tra-sformare l’attività dell’ingegno in un affare, e naturalmentegli affari sono mossi dalla prospettiva del profitto. È lecitoaffermare che ci si è spinti troppo oltre. I brevetti servono aincoraggiare gli investimenti nella ricerca, ma quando scienza,cultura e arte sono dominate dalla ricerca del profitto, qual-cosa va perduto.”

In realtà gli interessi che vengono tutelati sono assai piùconsistenti e potenti di quelli degli scienziati. Dietro la ban-diera del riconoscimento della “proprietà intellettuale” cisono gli interessi delle multinazionali dei farmaci, dell’alimen-tazione, dell’energia e, non dimentichiamolo, degli armamen-ti. Una cosa dunque è ricompensare adeguatamente la creati-vità degli scienziati e altra cosa è riempire le tasche degli azio-nisti delle imprese per le quali lavorano. Nascondere la secon-da dietro la prima è fuorviante e disonesto.

Occorre perciò arrivare a riconoscere che la ricerca in gene-rale, e dunque in particolare anche quella biotecnologicadovrebbe essere gradatamente sottratta al dominio esclusivodel mercato, e sottoposta a vincoli fatti rispettare dalle istitu-zioni nazionali e sovranazionali. Mi rendo conto di quantoquesto obiettivo sia lontano e difficile da raggiungere, se nonaddirittura utopico.

Tagliare il cordone ombelicale che lega la ricerca alla produ-zione di conoscenza in forma di merce è comunque, secondome, la via maestra per garantire la libertà di ricerca. La ragio-ne è semplice. È ancora George Soros a spiegarla: “Il mercatoè amorale: permette di agire secondo il proprio interesse, manon esprime un giudizio morale sull’interesse medesimo...Ma la società non può funzionare senza qualche distinzionetra giusto e sbagliato. Prendere decisioni collettive su cosa

Marcello Cini è uno dei grandi maestri della fisica teorica italiana. Nato a Firenze nel 1923 è professore emerito all’univer-sità La Sapienza di Roma. Ha dato contributi fondamentali alla teoria delle particelle ed ai fondamenti della fisica quantisti-ca. Ha partecipato attivamente alle discussioni degli ultimi decenni sulla storia della scienza, i temi epistemologici, la criticadella scienza e della sua pretesa neutralità. Collabora al quotidiano “Il manifesto”. Tra i suoi libri L’ape e l’architetto. Paradigmiscientifici e materialismo storico, Feltrinelli, Milano 1976 (con G. Ciccotti, M. de Maria, G. Jona-Lasinio); Il gioco delle regole,Feltrinelli, Milano 1982 (con D. Mazzonis); Un paradiso perduto. Dall’universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi,Feltrinelli, Milano 1994, Il Supermarket di Prometeo. La scienza nell’era dell’economia della conoscenza, Codice Edizioni, Torino,2006. Ha ricevuto il premio Nonino 2004 “A un maestro italiano del nostro tempo”.

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L E E M E R G E N Z E D E L L A C O M P L E S S I T À

Mai come di questi tempi scienza etecnologia sono sui media e nei pubbli-ci convegni. Per non dire della magicaparola «ricerca» che all’improvviso, e inmaniera assolutamente generica, sem-bra tornata a essere, ma solo nel vuotociarlare dei politici, rimedio alla crescitaeconomica che non viene. Tanta generi-ca popolarità si accompagna peraltro aun diffuso sentire fatto di magicheaspettative e insieme di diffidenza, persuperare le quali – molti pensano - ser-virebbe «soltanto» un po’ di sana e cor-retta divulgazione.

Non stanno così le cose e a ricordar-celo è un fisico teorico importante,Marcello Cini, che molti lettori delmanifesto conoscono per lunga frequen-tazione, fin dai tempi del debutto comerivista e passando poi per il quotidianoche state leggendo.

Il Supermarket di Prometeo. La scienzanell’era dell’economia della conoscenza(Codice Edizioni, 29 euro) è il luogo col-loquiale, il seminario in tre parti e ottocapitoli, dove Cini ci invita a entrarecon la dovuta voglia di rileggere, di ristu-diare e di rifarsi molte domande colpe-volmente accantonate, le quali nonriguardano solo la scienza e la tecnolo-gia, ma anche il capitalismo più recente,il fallimento teorico di alcune idee diMarx e il senso della sinistra oggi. E illegame profondo tra tutte queste cose.

A molti questo libro non piacerà. Adalcuni ricercatori perché mette in dub-bio certi fondamenti teorici e metodolo-gici delle loro discipline: sono quelli cheper contrapporsi giustamente all’anti-scientismo troppo dilagante, della scien-za così com’è oggi finiscono difendonotutto o quasi, richiudendo la torre erivendicando una separatezza che erainvece felicemente stata intaccata daimovimenti sociali. Ad altri, a sinistra,apparirà forse post moderno e cioèprivo di una teoria politica generale edeventualmente rivoluzionaria. E certa-mente non incontrerà l’interesse deipolitici moderati perché troppo drasticonei giudizi sullo stato del mondo. Ma

questi sono esattamente i suoi pregi e ibuoni motivi per leggerlo. E del resto,che cosa deve fare un giovane fisico(l’età in questi casi non conta) se noncontinuare a minare con pazienza ecuriosità le fondamenta di un discorsosolo apparentemente solido? E cosadeve fare un comunista se non interro-garsi sullo stato di cose presenti e sullapossibilità di cambiarlo, con il pensieroe con l’azione? Questo giornale (IlManifesto) venne immaginato proprioper questo.

Il saggio di Cini offre una estesa rilet-tura di importanti controversie scientifi-che, filosofiche e politiche. La scienza,ci ricorda l’autore, è tutto fuorché unrobusto edificio di consenso immutabi-le, ma è, continuo confronto critico tradiversi metodi, visioni e anche idee di sestessa. Lo stesso ovviamente per le scien-ze della politica. Tutti i corni delle que-stioni sono esposti con precisione, mal’autore non nasconde le sue preferenzeper alcune delle teorie, spesso presen-tando un suo punto di vista originale,capace di spostare in avanti le contrap-posizioni più laceranti. Nel campo del-l’evoluzione e della biologia l’adesioneva soprattutto alle idee di Steve J. Goulde Niles Eldredge i famosi paleontologidella teoria degli equilibri punteggiati(ma non solo) e al biologo evoluzionistaRichard Lewontin, per le sue battagliecontro il riduzionismo della sociobiolo-gia, alla Dawkins. Un posto di rilevooccupa anche Jared Diamond, un orni-tologo fattosi ecologo e studioso dellesocietà umane complesse. Importante èil legame che viene stretto (e chiarito)con un altro faro del pensiero moderno,pur oggi così trascurato, l’antropologoGregory Bateson. Tra gli studiosi italia-ni ci sono soprattutto Mario Ageno, trai primi fisici a transitare dalle scienzedure alla biologia, la filosofa dellascienza Elena Gagliasso e il genetistaMarcello Buiatti.

I riferimenti politici e sociologicisono specialmente a Manuel Castells,l’autore dell’opera fondamentale sullasocietà dell’informazione e delle reti,ma anche a Immanuel Wallerstein,Ulrich Beck e Zygmund Baumann.Numerose le citazioni di Jeremy Rifkin,di Joseph Stiglitz, di George Soros eAmartya Sen, sulk fronte dell’economiae della globalizzazione. Anche per que-sto è un libro utile che ripropone in unnuovo contesto la letteratura piùimportante degli ultimi anni e a chi

non l’avesse frequentata offre una pre-ziosa mappa concettuale.

L’universo, immenso libro non lo sipuò capire se non se ne impara prima lalingua ed esso «è scritto in lingua mate-matica». Così Galileo nel Saggiatore. Etuttavia, scrive Cini (p. 7) « Galileoaveva torto. È un pregiudizio neoplato-nico identificare il carattere ‘oggettivo’della conoscenza scientifica con la sco-perta del linguaggio matematico in cuil’universo è scritto. La realtà è talmentericca, complessa e articolata da nonessere rappresentabile se non dopo aver-ne selezionato, all’interno dell’infinitavarietà dei suoi differenti aspetti, alcunitratti riconosciuti, nel contesto storicodato e per ogni disciplina, come fonda-mentali. Utilizzando una ben nota e cal-zante metafora, la scienza è l’insiemedelle possibili mappe diverse. E, come sisa, confondere la mappa con il territo-rio, è un grave errore epistemologico».

La citazione si riferisce a una questio-ne centrale nella storia e nella filosofiadella scienza. Il «realismo ingenuo» dialcuni scienziati sostiene che la realtàfisica esista di per sé e che il compitodella scienza sia solo quella di disvelarlaal meglio; in questo senso è platonismo.Il fatto che così facendo sia stato possi-bile creare delle applicazioni tecnicheche funzionano, sarebbe la dimostrazio-ne che la realtà è proprio reale. Altri, inmolte sfumature, hanno sostenuto inve-ce che la realtà è solo percepita, solo unprodotto delle nostre costruzioni menta-li e concettuali, un relativismo estremo.Di fronte a questi due atteggiamenti, tradi loro irriducibili, l’autore sostiene chesono entrambe sbagliate perché l’imma-gine del mondo che abbiamo «è fruttodi un’esplorazione da parte della nostraspecie nel corso dei millenni dellanostra storia, interpretata per mezzo dicategorie elaborate socialmente». In que-sto approccio scienza e conoscenza tor-nano nella storia, frutti di un a continuainterazione tra natura e cultura.

«Senza diversità non c’è evoluzione,c’insegna Darwin, e dunque non c’èvita, come sostiene il genetista MarcelloBuiatti con l’aforisma: Essere diversi èuna condizione imprescindibile peressere vivi». Ma allora, si chiede Cini,come «scongiurare gli esiti disastrosi del-l’attuale meccanismo di sviluppo», basa-to sulla riduzione a merce delle cono-scenza? «La risposta – scrive l’autore –non può essere altro che cercare diricreare un variegato arco di nicchie

Giù dalla torre d'avorio

Codice Edizioni, 29 euro

IL SUPERMARKET DI PROMETEOLa scienza nell'era dell'economia

della conoscenza

Marcello Cini

a cura di Franco Carlini

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M A R C E L L O C I N I

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naturali e sociali protette dallo strapote-re dei padroni del commercio interna-zionale; di far nascere e rivitalizzarevecchie e nuove relazioni tra individui egruppi; insomma di ripristinare le millesorgenti del flusso locale di creatività,iniziativa e attività umane che rende fer-tile il tessuto della società, erigendoargini contro l’alluvione del capitaleglobale, che, trasformando tutto inmerce, deforma la diversità, ricchezzadella vita, fino a ridurla a quella suaorrida caricatura che è la disuguaglianzatra ricchi di denaro e poveri di tutto».

Preziose al riguardo le indicazioni delsociologo Immanuel Wallerstein: «Ilcapitalismo è stato un programma perla mercificazione di ogni cosa. I capitali-sti non lo hanno ancora completamen-te realizzato, ma sono andati assai avan-ti, con tutte le conseguenze che cono-sciamo. Il socialismo dovrebbe essereun programma per la demercificazionedi ogni cosa».

La scienza più critica può essere d’aiu-to, non solo perché per statuto è apertaalle idee, ma anche perché, nella suaversione migliore, ispirata all’evoluzio-ne, si fa forza della incessante produzio-ne di diversità. La cosa è a tal puntovera che il tema della diversity si è impo-sto anche alle aziende capitalistiche piùavanzate, consapevoli che né il fordi-smo, né gli organigrammi meccanicisti-ci garantiscono più la sopravvivenzaquando l’ambiente sia continuamentemutevole. Se «fare sistema» era lo slogandel secolo scorso, «fare rete» nelle orga-nizzazioni complesse è l’orizzonte del21esìmo secolo. Che poi è una lezioneche si apprende ancora una volta dallanatura, per come l’evoluzione l’ha pla-smata, per tentativi, errori e correzioni,ma sempre conservando un magazzinodi diversità, per ogni buona evenienza.

Marcello Cini torna a intrecciare scien-za e società. I mutamenti concettualidella prima possono dire molto allapolitica e alla sinistra, nell’epoca del capi-talismo della conoscenza, supermarketdelle idee mercificate e omogeneizzate.

Era il 26 giugno 2000 e due capi distato, Bill Clinton e Tony Blair, annun-ciarono solennemente al mondo che ilprogetto genoma umano era concluso.Non era proprio così, dato che la pub-blicazione dei risultati sarebbe avvenutasolo nel febbraio successivo, ma pazien-za. Quel grande progetto scientifico,peraltro, è un’ottima illustrazione dimolte delle idee che Marcello Cini svi-luppa nel suo libro, al quale questa inte-ra pagina è dedicata. Vediamo.

(1) La festa pubblica dei due presiden-ti ci ricorda che scienza e politica siintrecciano assai, specialmente quandodiventano tecnoscienza: quel giorno si

celebrava certamente una conquista delsapere di enorme importanza, ma soprat-tutto la leadership acquisita in un campomolto promettente quanto ad affari futu-ri. Di per sé sequenziare il genoma vuoldire «soltanto» aver messe in fila le «lette-re» del Dna, per un totale di 30 mila genicirca, e questa è informazione allo statopuro, decisiva non solo per la conoscen-za di noi stessi, quanto per l’«economiadella conoscenza». A questa trasformazio-ne accelerata dell’informazione in merceCini dedica pagine nette: il nuovo capita-lismo ha come obbiettivo di fare mercedi ogni informazione e sapere, persino isentimenti e le relazioni tra le persone.Questa è una svolta epocale, alla quale lasinistra non ha finora risposto in manie-ra adeguata. L’obbiettivo invece, oggicome ai tempi di Marx, dovrebbe esserequello di demercificare il mondo. Tantopiù che la «merce» conoscenza ha duecaratteristiche che la fanno diversa daibeni fisici: la sua fruizione non va a sca-pito della fruizione da parte di altri edessa può crescere solo se circola il piùliberamente possibile.

(2) Quello show Clinton-Blair dell’an-no duemila ci ricorda poi un’altra svol-ta già avvenuta, ossia il passaggio del pri-mato scientifico dalla fisica alla biolo-gia. La prima fu scienza regina del seco-lo scorso, anzi la Scienza per eccellenza,della quale tutte le altre erano debitrici.La seconda è molto cambiata, dato chesi è fatta quantitativa, più che descritti-va, si è fatta genetica, grazie alle cono-scenze del Dna, e soprattutto, evoluzio-nistica. Su questo terreno Cini è giusta-mente assai severo contro le interpreta-zioni iper darwiniane, che di questitempi non mancano, e semmai vannocrescendo, persino in banalità.Rivalutando il principe e anarchicorusso Peter Alexeyevich Kropotkin, eglici ricorda che non c’è solo la competi-zione degli individui per le risorse scar-se (nel qual caso vince il più adatto), mac’è anche la lotta degli umani con la

natura, la quale, per essere vinta, richie-de cooperazione e altruismo, for profitma anche non profit. Le ricerche sulleradici evolutive della cooperazioneumana si sono da tempo arricchite dicontributi significativi.

(3) E ancora: il progetto genomaapparve inizialmente, ai suoi cantoriingenui o interessati, come il trionfo diun’idea semplificata e riduttiva dellascienza: il Dna sarebbe come un pro-gramma di computer, dove ogni gene,ben precisato dalla sequenza delle suebasi non fa che contenere la istruzionicon cui fabbricare le proteine, mattonidel corpo umano: «un gene, una protei-na», così recitava l’ingenuo modello.Bene. Quel punto di vista così limpido,«elegante» e riduzionista oggi infinevacilla, e proprio per effetto del genomasequenziato. Cosa significhi e dove siala ridondanza dei geni, quali si accendo-no e si spengono (vengono attivati) indiverse persone e in diversi momentidella vita di un organismo; quali siano ipercorsi che dalle «istruzioni» portanoall’effettiva produzione di una proteina,è campo di ricerca appena aperto edentusiasmante, dove però fin da orarisulta chiaro che se all’inizio è benesemplificare e tagliare le ipotesi con l’ac-cetta, poi occorre comunque confron-tarsi con l’enorme complessità della vitae della materia.

(4) Qui entra in gioco un’altra novi-tà recente (degli ultimi 25 anni), lescienze della complessità, appunto,che portano Cini a mettere in guardiadall’attribuire un carattere tropposicuramente predittivo alla scienza.Come fisico ebbe il privilegio di viveregli anni d’oro della meccanica quanti-stica, dove l’indeterminazione è laregola piuttosto che un errore. Sulfinire della carriera egli come tuttiincontrò le matematiche non lineari ei sistemi caotici, per non dire della«teoria delle catastrofi» che a un certopunto sembrò la risposta universale aogni problema complicato. Il sognoche fu di Laplace di poter predire ognifenomeno con esattezza, una volta chesi conoscano per bene lo stato inizialee la legge che lo governa, è andato infrantumi da 43 anni, grazie al meteo-rologo Edward Lorenz, quellodell’«effetto farfalla». E il guaio è chenon si tratta di limiti della teoria o delcalcolo, prima o poi superabili, ma diuna impredicibilità connaturata acerti fenomeni. Il mondo non è inpreda al caos, ma il caso non solo esi-ste, ed è un fattore decisivo nella storiadella vita. La qual cosa ad alcuni appa-re blasfema, ma a Cini e a molti dinoi, meravigliosa, a wonderful life.

(Da Il Manifesto, 7 dicembre 2006)

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L E E M E R G E N Z E D E L L A C O M P L E S S I T À

Associazione Italiana per la Ricerca sui Sistemi (AIRS), www.AIRS.it Politecnico di Milano

GIANFRANCO MINATI

Verso una scienza costruttivistaLa scienza come progetto

1. IL RUOLO CREATIVO DELL’OSSERVATORENELLA SCIENZA

Considerare il ruolo dell’osservatore in fisica ha contribui-to a introdurre nuove strategie per la scienza.

In una semplicistica, vecchia, concezione l’osservatoreintroduce relativismo, per esempio nei giudizi e nelle misura-zioni. Da qui la ricerca di riferimenti assoluti (cioè indipen-denti dall’osservatore) o condivisi secondo processi di varianatura (ad es. la democrazia –la scienza però non è democra-tica, cioè non funziona come vuole la maggioranza).

In fisica il termine relatività con riferimento all’osservatoreè usato in diversi modi.

Per Galileo, ad esempio, il principio di relatività stabilisce chele leggi della fisica sono le stesse per qualsiasi osservatore.

Nella fisica moderna, dopo i contributi di Maxwell, Lorentze la teoria della relatività di Einstein cade lavalidità del concetto di tempo assoluto. Lateoria della relatività si basa sul fatto che lavelocità della luce è costante e di conse-guenza è lo spazio-tempo che deve variarein riferimento all’osservatore. In questomodo l’osservatore assoluto è stato privatodel tempo assoluto.

Vi é inoltre da considerare una serie diapprocci nei quali l’osservatore svolge unruolo attivo, teoricamente integrato con ilfenomeno che si considera, quali:

1) La fine del comportamentismo, per cuil’impostazione stimolo-risposta per spiega-re il comportamento (Skinner, 1938;1953) non è più sufficiente, dovendo con-siderare l’elaborazione dell’input da partedel soggetto di studio (Anderson, 1983;1993). La fine del comportamentismo èsegnata dall’avvento delle scienze cogniti-ve;

2) La teoria della Gestalt o psicologiadella Gestalt (1959; (Koffka, 1935; Kohler,1975; Wertheimer, 1925; 1959) mette l’accento, nel campodella percezione, sul fatto che gli insiemi percettivi (e anchedelle rappresentazioni del pensiero) si presentano al soggetto,all’osservatore, sotto forma di unità coerenti. che si struttura-no nel campo di osservazione quando presentano caratteristi-che particolari, indicate come leggi dell’organizzazione dellaforma:

1. Legge della vicinanza, stabilente che quanto minore è ladistanza, spaziale e temporale, separante gli oggetti di un insie-me, tanto maggiore é la percezione di quegli oggetti comeappartenenti ad un’unità;

2. Legge della similarità, stabilente che all’interno di un insie-me, si tenderà a raggruppare gli elementi maggiormente simi-li tra loro;

3. Legge del destino comune, stabilente come elementi che simuovono allo stesso tempo e nella stessa direzione sarannopercepiti appartenere ad un unico oggetto;

4. Legge della direzione, stabilente che se un modello conti-nua nella stessa direzione di un altro, essi verranno percepiticome appartenenti alla stessa unità;

5. Legge della forma chiusa, stabilente la tendenza a percepirecome appartenenti ad un’unità coerente, oggetti dispostisecondo figure chiuse, regolari e simmetriche.

3) L’abduzione, come processo di invenzione di ipotesi. Ilsuo inventore Charles S. Peirce (1839–1914) la definisce inquesto modo: “Abduction is the process of forming an expla-

natory hypothesis. It is the only logicaloperation which introduces any new idea”(Peirce, 1998).

4) Lo stabilirsi del costruttivismo(Maturana and Varela, 1992; VonFoerster, 2003; Von Glasersfeld, 1995;Watzlawick, 1983) per cui la realtà non vaconsiderata come oggettivamente ed indi-pendentemente esistente dall’osservatore,che invece partecipa attivamente e teorica-mente alla sua creazione. Conoscere puòessere considerato basarsi su due strategie:

- come è meglio pensare che qualcosa ée- cercare di scoprire come qualcosa real-

mente è.La seconda strategia è un caso particola-

re della prima.La cosiddetta realtà può solo rispondere

alle nostre domande e quando ciò avvienenon è più realtà in quanto tale. Infatti larealtà è silente fino a che non la esploria-mo: e per far questo abbiamo bisogno

della conoscenza e così l’oggettività della realtà sparisce. Unesperimento è una domanda alla realtà, che risponde facendo-lo avvenire. Il telescopio di Galileo è una domanda le cuirisposte contrastavano con quelle precedentemente assuntecome valide.

5) La seconda cibernetica (Von Foerster 1979; 1981). Insostanza la prima cibernetica è la scienza dei dispositivi in gradodi autoregolarsi (ad es. il regolatore di Watt), mentre la secon-da cibernetica è la scienza che studia dispositivi capaci non solodi applicare regole di autoregolazione, ma di crearle e modifi-carle (ad es. dispositivi capaci di apprendimento e di adatta-

Gianfranco Minati

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mento, come le interfacce uomo-macchina).In questo contesto concettuale diventano cruciali tematiche

come:a) La descrizione usata dall’osservatore (la conoscenza disci-

plinare, il tipo e numero di variabili, la scala);b) L’esistenza come fatto cognitivo più che fenomenologico

per cui, ad esempio, gli elementi di un sistema possono esse-re considerati dati quando il sistema è artificiale (è nota laprogettazione), mentre sono scelti dall’osservatore quandoopera con sistemi non-artificiali.

Si considerano le differenza tra funzionalità di oggetti e disistemi, tra funzione ed uso. La funzione di per sé prevede uncontesto fisso, mentre l’uso non solo determina la funzione,ma ne è anche dialetticamente determinato da essa.Approfondiremo in seguito questi punti.

2. SCIENZA COME PROGETTOLa scienza è stata per molto tempo intesa come ricerca per

scoprire ciò che esiste ed è ancora sconosciuto.Da quanto abbiamo già introdotto precedentemente possia-

mo vedere come si tratti di una visione semplicistica, iniziale.Prendendo alla lettera i verbi ricercare e scoprire, potremmo

metaforicamente rappresentare una tale impresa come loscavo in una miniera per portare alla luce oggetti di interesseper l’operatore. Tuttavia vediamo come già in questa metafo-ra occorra considerare dove l’operatore decide di scavare, indipendenza da un suo piano.

Come si è trattato al punto 4. precedente, relativo alcostruttivismo, ciò che si trova non è indipendente da ciò chesi cerca e da ciò che si può riconoscere.

La scienza quindi non è ritenibile come un’astratta attivitàdi ricerca a 360 gradi. Si cerca e si riconosce ciò che il conte-sto culturale, cognitivo e scientifico attuale permette di conce-pire (Berger and Luckmann, 1966; Butts and Brown, 1989).In questo non vi è assunzione di operare in una sorta di ine-luttabile continuità, fatta solo di estensioni e miglioramentidi ciò che già si ha, anzi vi è la ricerca di discontinuità comemassima creatività. Occorre che vi sia una disponibilità con-cettuale a cercare e riconoscere il discontinuo, il che è già diper su un’impostazione costruttivista.

Possiamo ritenere che vi siano due tipi di progetto.- Progetti che potremmo dire chiusi, per i quali si tratta di

realizzare partendo dalla conoscenza attuale ed usandola pron-ti ad innovare ed aggiornare. Vi sono, ad esempio, progettichiusi riguardanti problemi generati da soluzioni adottate per altriproblemi. Si tratta, ad esempio, dei problemi relativi a questio-ni ambientali e dell’inquinamento della catena alimentare,conseguenza a loro volta di soluzioni adottate per motivazionidi convenienza economica. Non viene quasi mai considerato

di rimuovere le cause, e cioè le soluzioni adottate a monte, madi affrontare i nuovi problemi con progetti chiusi.

- Progetti che potremmo dire aperti, per i quali si tratta dicercare contesti nuovi in cui applicare la conoscenza attuale ecostruirne di nuova attraverso processi di apprendimento e diabduzione (ad esempio l’esplorazione spaziale o affrontaretematiche nuove come lo studio del cervello, le nanotecnolo-gie ed approcci considerati non scientifici, ma efficaci comel’agopuntura).

La scienza è da intendersi come una continua attività progettualeriferentesi a dove, come, cosa, quando cercare ed all’attrezzarsi perriconoscere ed avere progetti d’uso.

Tratteremo in questo contesto di un progetto ormai impo-stato da anni, ma ancora da sviluppare e per cui bisogna supe-rare difficoltà di varia natura dovute alle enormi implicazioniproprio sullo stesso sistema scienza e cioè il modo di produrla(ricerca e didattica), progettarla (si tratta del potere di supporta-re ed incentivare progetti scientifici) ed applicarla (aspetti eco-nomici interessati).

Si tratta dell’impostazione sistemica, termine abusato ed infla-zionato da usi superficiali, divulgativi ed approssimativi fino afarne una non più innovativa né pericolosa ovvietà.

Cercheremo di condurre il lettore attraverso un percorsoesplicativo, il più possibile coinvolgente, allo scopo di mostra-re come si tratti di un approccio concettuale per impadronir-si, capire e gestire il progetto della scienza, non ricostruibilené coincidente con migliaia di frammentate iniziative.

Per introdurre e affrontare le tematiche della Sistemica ènecessario partire da tre categorie concettuali fondamentali:quelle di insieme, relazione e interazione.

3. SISTEMI: LORO COSTITUZIONE E GESTIONE3.1 Insiemi, relazioni, interazioni e sistemiIntroduciamo prima di tutto tre categorie concettuali fon-

damentali per l’esposizione:InsiemeIl salto concettuale tra singolarità e collettività è stato stori-

camente affrontato in matematica con l’introduzione del con-cetto di insieme. Si ha un insieme quando si dispone di unaregola con cui decidere se una qualsiasi entità appartiene omeno ad un insieme (es. insiemi di numeri pari).Accenniamo solamente al fatto che nella matematica moder-na si è introdotto il concetto di fuzzy set, per cui l’appartenen-za o meno all’insieme può essere non deterministica, ma pro-babilistica e dinamica;

RelazioneQuando tra gli elementi esistono rapporti di qualsiasi natu-

ra – quantitativi, di sincronizzazione e di posizione geometri-ca – essi sono considerati in relazione tra loro. Le relazioni traelementi permettono la costituzione di strutture. Esempi diinsiemi strutturati sono: componenti elettronici catalogati,cellule per tipo, parole connesse con regole sintattiche o inordine alfabetico, musicisti considerati per ruolo nell’orche-stra o ordinati per età, studenti in ordine alfabetico o raggrup-pati per altezza o per sesso, lavoratori organizzati in una cate-na di montaggio eccetera;

InterazioneQuando il comportamento di un elemento influenza il comporta-

mento dell’altro, gli elementi sono considerati in interazione traloro. Condizione necessaria perché degli elementi costituisca-no un sistema, cioè entità aventi proprietà diverse da quelledegli elementi costituenti, è che siano in interazione tra loroEsempi di sistemi sono dati da insiemi strutturati i cui ele-menti sono fatti interagire, come: un amplificatore di segnalei cui elementi interagiscono grazie alla somministrazione di

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energia; un corpo vivente in quanto gli elementi costitutiviinteragiscono (fisicamente, chimicamente e biologicamente);un poema, una storia in quanto le parole interagiscono nellamente del lettore; un’azienda in cui gli elementi interagiscononell’operare; sciami, stormi, formicai che interagiscono con ilcomportamento e le forme organizzative. L’interazione tra glielementi è condizione necessaria ma non sufficiente perché sicostituiscano sistemi. Occorre che vi siano organizzazione oprocessi di emergenza.

È importante rilevare come i sistemi abbiano caratteristichee proprietà diverse da quelle degli elementi componenti. Adesempio le proprietà di uno stormo sono diverse da quelle disingoli uccelli; le funzionalità di un dispositivo elettronicosono diverse da quelle dei componenti; il significato di unafrase è diverso da quello delle singole parole.

Il problema del salto concettuale tra singolarità e collettivi-tà è trattato con diversi approcci dalle discipline. In chimica,per esempio, si introduce il concetto di composizione per cuipiù elementi interagendo danno luogo, come risultato, al costi-tuirsi di entità con proprietà diverse da quelle dei componen-ti. In tal caso il processo di interazione comporta che gli ele-menti si configurino in modo diverso, adottando ruoli diversiin una nuova configurazione (ad esempio miscelazione dicolori diversi oppure lo stabilirsi di composti chimici stabilicome H2O dal comporsi di atomi di idrogeno ed ossigeno).In tal caso lo stabilirsi di nuove proprietà è frutto di processidi interazione.

Ancora, in biologia, in meccanica, nei sistemi sociali, incontesti artistici come la musica, la pittura, e la letteratura,l’attenzione è posta sui risultati e sul processo di comporreelementi.

Si possono avere risultati di processi di interazione, dicomposizione (composti chimici stabili, fusioni aziendali,strutture), ma anche entità generate da continui processi diinterazione (stormi di uccelli, traffico automobilistico, lavita stessa). E tali entità sono i sistemi. E’ da notare chequando il processo di interazione cessa anche la nuova enti-tà, il sistema, si dissolve.

3.2 Cenni all’introduzione del concetto di sistema con lamatematica

La Teoria Generale dei Sistemi fu introdotta dal biologo teori-co e matematico Ludwing Von Bertalanffy (Von Bertalanffy,1968). Un sistema S può essere considerato costituito da ele-menti interagenti Pi (i = 1,2, …, n). Si consideri una misura Qper gli elementi Pi. In un sistema S una variazione di Qi è fun-zione di tutte le altre Qi e la variazione di una certa misura Qiinduce variazioni in tutte le altre Qi. Per descrivere questasituazione è allora possibile scrivere un sistema di equazionidifferenziali ordinarie simultanee del tipo:

Se i componenti sono tutti dello stesso tipo è possibile scri-vere la singola equazione:

dQ / dt = f (Q)

Ma come avviene la magia della trasformazione di elementi inte-ragenti in questo modo nel fatto che si stabilisca non solo una realtà

nuova come una macchina, una struttura o una composizione, maun sistema ?

La risposta è attraverso processi di organizzazione e di emer-genza.

3.3 Due tipi di sistemiPrima di tutto occorre sottolineare che i sistemi come intro-

dotti non sono da intendersi come oggettualità fenomenologica,ma come rappresentazione efficace di fenomeni. Possiamoconsiderare sistemi artificiali (progettati) e naturali (non pro-gettati). Per i sistemi artificiali conosciamo quali sono gli ele-menti componenti e le interazioni tra loro. Il livello di descri-zione efficace è quello usato per progettare. Per quanto riguar-da fenomeni ed entità non progettate possiamo assumere unlivello d descrizione tale per cui sono considerabili come siste-mi. Occorre non confondere l’efficacia che si ha nel conside-rarli tali con la verità. Infatti si deve essere disponibili ad adot-tare una eventuale descrizione completamente diversa in casoquest’ultima sia più efficace (Guberman and Minati, 2007).

Per livello di descrizione si intende sia la conoscenza discipli-nare utilizzata (ad es. considerare l’aspetto fisico o chimico oeconomico di un problema) sia l’interesse, il ruolo specificodell’osservatore. Si consideri l’uso di specifici modelli cogniti-vi, come in Architettura (Di Battista et al., 2006; Della Torreand Minati, 2004). I sistemi si possono costituire almeno indue modi (mai nettamente distinti) ad esempio:

1) attraverso l’organizzazione derivante da progettazione dicomportamenti strutturati, organizzati come nel caso di mac-chine, dispositivi, organizzazioni sociali (aziende, ospedali,scuole, squadre).

2) attraverso l’emergenza (vedi par. 3.3.2) di comportamen-ti auto-organizzati come nel caso di superconduttività, ferro-magnetismo, stormi, sciami, formicai, traffico automobilisti-co, distretti industriali.

Nel primo caso l’interazione avviene all’interno di un’orga-nizzazione, una struttura tra elementi aventi ruoli specifici.

Nel secondo caso l’interazione avviene senza che gli elemen-ti abbiano ruoli specifici. I due tipi di processo non sono sepa-rati, ma possono essere simultanei anche se spesso il simulta-neo avvenire dell’uno o dell’altro è trascurabile secondo illivello di descrizione utilizzato. Ad esempio:

- In un’azienda solitamente é predominante il ruolo organiz-zato degli agenti, anche se l’interazione tra agenti indipenden-temente dal loro ruolo può avere una certa importanza incondizioni particolari. In una macchina la struttura degliingranaggi è predominante sullo stabilirsi di fenomeni dimagnetismo emergenti.

- In un distretto industriale é predominante l’interagiretra aziende, costituendo effetti cooperativi e sinergici indi-

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pendenti dalla loro volontà, anche se qualche azienda puòassumere occasionalmente ruoli specifici. Così in presen-za di condizioni particolari, come la rilevazione di un pre-datore, l’elemento di uno stormo può svolgere un ruolospecifico.

3.3.1 Sistemi dall’organizzazioneI sistemi costituiti dall’organizzazione sono progettati esplici-

tamente, per regole dichiarate (in informatica ciò corrispondeal processing simbolico, per regole esplicite). I ruoli degli elemen-ti costituenti sono identificabili e distinguibili.

L’operare degli elementi in modo organizzato fa sì che si sta-biliscano funzionalità che hanno caratteristiche e proprietàdiverse da quelle degli elementi costituenti.

E’ possibile individuare sottosistemi aventi funzionalità spe-cifiche complesse.

Esempi di tali sistemi sono dati dalle organizzazioni socialicome aziende, scuole e ospedali e da dispositivi artificiali, adesempio elettronici e meccanici.

Per la gestione di tali sistemi è efficace agire sugli elementiall’interno dell’organizzazione in quanto hanno ruoli specifici.

E’ poi possibile considerare sistemi naturali come prodottida organizzazione come nel caso dello studio della funzionali-tà e dei sottosistemi negli esseri viventi.

3.3.2 Sistemi dall’Emergenza (emergence e non emergency)Per introdurre il concetto di emergenza occorre prima men-

zionare il concetto di auto-organizzazione, introdotto come ilpassaggio ordine-disordine (Holland, 1998), cioè la formazionenon guidata dall’esterno di nuove strutture (ad es. come neglisciami, stormi, distretti industriali). Ma considerando il com-portamento individuale di un’ape, di un uccello e di un’azien-da e la struttura stabilita tra loro, l’osservatore non realizza losciame, lo stormo ed il distretto industriale: occorre un livellodi osservazione più astratto, quello appunto dell’emergenza(Baas, 1994; Baas and Emmeche, 1997; Bedau, 1997;Corning, 2002; Crutchfield, 1994a; 1994b; Minati and Pessa,2006; Minati et al., 2006; Ronald et al., 1999; Rueger, 2000;Pessa, 2002; 2006):

Si tratta in sostanza di un- processo di formazione di nuove entità collettive auto-orga-

nizzate costituite dal comportamento coerente di componen-ti interagenti (ad es. sciami, traffico autobilistico, comporta-mento di mercati):

- processo che può essere solamente considerato comedipendente dall’osservatore e cioè: le proprietà collettiveemergono ad un livello di astrazione superiore rispetto a quel-lo usato per i componenti, in grado di rilevare coerenza.

Il concetto di coerenza in questo caso é usato non come inlogica, ma, potremmo dire, in un modo fenomenologico.

Per esempio un comportamento collettivo non é stabilito

dal comportamento dei componenti assunto come coeren-te a priori in quanto segue una certa regola di coerenza, masta all’osservatore realizzare un fenomeno come comporta-mento collettivo coerente di elementi da lui abduttivamen-te scelti.

Quando gli elementi hanno un comportamento coerente dannoluogo a qualcosa che ha proprietà diverse dalle loro.

La coerenza a cui ci si riferisce non è quella logica, implica-tiva, legata alle teorie della verità (ad es. coerenza di assiomi,coerenza di implicazioni) ma comportamentale, fenomenologia,rilevata da un osservatore come tale.

La coerenza è definita dal fenomeno che si vuol definirecome tale in relazione al comportamento degli elementi chel’osservatore abduttivamente ritiene componenti. Ad esempionon si costituisce uno stormo quando gli uccelli volano in uncerto modo, ma è la fenomenologia dello stormo che defini-sce coerente il loro comportamento. Ciò si riferisce allo stabi-lirsi di comportamenti collettivi, cioè coerenti, non perché glielementi seguano una regola di coerenza, ma perché si com-portano in modo tale che la coerenza si stabilisca come pro-prietà non deducibile.

L’osservatore vede una proprietà stabilirsi dal comportamento col-lettivo di quelli che lui ritiene gli elementi costitutivi operanti inmodo coerente e cioè tale da stabilire la proprietà collettiva.

E’ l’osservatore che inventa a) la partizione degli elementi ed b) illoro conseguente modo di interagire.

In questo modo gli elementi sono coerenti quando danno luogo aqualcosa che ha proprietà diverse dalle loro. La definizione genera-le di coerenza riguarda così questo processo di partizionamen-to abduttivo da parte dell’osservatore che lo porta ad indivi-duare agenti ed interazioni.

Un comportamento coerente è indipendente dal numerodei componenti, dalla stabilità del numero dei componenti.

Concepire un sistema non artificiale (di cui cioè sia nota laprogettazione e strutturazione dei componenti) stabilito daentità interagenti collettivamente in modo non organizzato ècosì un fatto di coerenza.

Base della coerenza è la disponibilità concettuale e potenzia-le di tutte le partizioni possibili.

Diverse coerenze corrispondono a diverse partizioni e diver-se interazioni.

Una coerenza corrisponde ad una partizione ed alla relati-va interazione tra le parti inventata dall’osservatore per spie-gare una proprietà da lui rilevata come emergente. E’ possi-bile che vi siano diverse coerenze per una medesima proprie-tà corrispondenti a diversi livelli di descrizione (ad es. per lostabilirsi di proprietà evolutive emergenti, un ambiente puòessere considerato frequentato da animali aventi interazionitra loro, come preda-predatore, o da specie nel tempo aven-ti interazioni tra loro, come l’influenza sul contesto e nontra loro direttamente).

Esempi di processi di emergenza sono dati dallo stabilirsi dicomportamenti collettivi, come la superconduttività, ferroma-gnetismo, stormi, sciami, formicai, traffico automobilistico,distretti industriali.

E’ inefficace agire sugli elementi per gestire le proprietàemergenti in quanto non hanno ruoli specifici: occorre agiresulle interazioni tra loro (ad esempio variando l’energia forni-ta si varia il modo in cui gli elementi possono interagire,oppure si agisce sulle informazioni o sul modo di comunicarenei sistemi sociali).

Come abbiamo già accennato i due aspetti, organizzazione edemergenza, sono spesso simultanei e distinguibili solo cambiando illivello di descrizione dell’osservatore.

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3.4 Contributi disciplinari per lo studio dell’emergenzaVi sono stati numerosi contributi disciplinari di applicazio-

ni di teorie dell’emergenza in campo scientifico. Ricordiamotra i tanti (come in Minati, 2004):

- in fisica la teoria delle transizioni di fase, la formulazionedei fenomeni non lineari, lo studio delle strutture dissipative,la Sinergetica, la teoria quantistica dei fenomeni collettivi, laformulazione della Teoria Quantistica dei Campi;

- nelle neuroscienze con la scoperta della correlazioni a lungoraggio nel cervello (e nei muscoli), la scoperta del ruolo diprocessi caotici nel bulbo olfattivo e la nascita della psiconeu-roimmunologia;

- nell’intelligenza artificiale con l’introduzione delle reti neu-trali, algoritmi evolutivi, modelli di vita artificiale;

- in ingegneria con l’introduzione delle nanotecnologie, del-l’elaborazione quantistica e delle self-designing machines.

Altre problematiche trattate in vari contesti disciplinaricome la fisiologia, le scienze cognitive e la filosofia sono, adesempio, il cosiddetto “problema del collegamento”, BindingProblem. Il problema consiste nel fatto che se si ritiene che ilcorrelato neurale della consapevolezza visiva corrisponda allascarica sincronizzata di cellule nervose rispondenti alle diver-se caratteristiche di un oggetto, occorre allora spiegare comesi organizzano le cellule ed in particolare come possano scari-care ad determinato istante e ad una determinata frequenza.Si tratta, in breve, della differenza tra guardare e vedere. “Il pro-blema di come facciano questi neuroni ad attivarsi tempora-neamente come un’unica unità funzionale è spesso descrittocome il problema del collegamento. Poiché un oggetto visto èspesso anche udito, odorato o toccato, questo collegamentodeve stabilirsi anche trasversalmente fra modalità sensorialidiverse.” (Crick 1994, pp. 249-250). Si veda anche (Crickand Koch, 1995).

Un’altra problematica è quella relativa al cosiddetto SymbolGrounding Problem introdotto in (Harnad, 1990). Si tratta delmodo con cui i simboli sono correlati al mondo reale.Nell’Intelligenza Artificiale tradizionale i simboli sono defi-niti in modo puramente sintattico, i sistemi sono considera-ti chiusi, senza cioè porsi il problema della connessione deisimboli con il mondo esterno. Il ruolo dell’osservatore, dota-to di sistema cognitivo, è proprio quello di assicurare una cor-retta, cioè efficace, interpretazione dei simboli, stabilendo leopportune ed appropriate relazioni con un mondo esterno.Nel caso dei sistemi autonomi artificiali, cioè con sistemacognitivo artificiale, (come i robots) il significato dei simbolideve essere ancorato (grounded) nel sistema interagente conl’ambiente.

Citiamo ancora lo studio dell’emergenza della coerenza edella consapevolezza. L’approccio a cui qui ci si riferisce è l’ipo-tesi emergentista relativa all’emergenza della coscienza comeprodotto della complessità della struttura mente-corpo chela manifesta. In tale ipotesi la coscienza non è ritenuta coin-cidere con l’attività mentale e neppure è intesa come copiadell’esperienza. L’ubicazione della coscienza non sarebbeobbligatoriamente il cervello. La mente conscia soggettivasarebbe da intendersi piuttosto come una ricostruzione del-l’esperienza e costituirebbe un analogo del mondo reale(Jaynes, 2002) in particolare in una visione quantistica(Licata, 2003; Vitiello, 2001).

3.5 Cenni al riduzionismoIl riduzionismo consiste nel non considerare l’aspetto emergen-

te dei sistemi considerati solo in riferimento alla componenteorganizzativa e strutturale. Per cui il paradigma concettualegenerale è quello del dispositivo, della macchina (si progetta, si

guasta, si ripara, si avvia, si spegne, si alimenta, ecc.). Un altro aspetto del riduzionismo sta nel considerare il

livello macroscopico come linearmente corrispondente aquello microscopico. Si tratta in sostanza di ritenere che pro-prietà relative a livelli di descrizione macroscopici possanoessere interpretate e gestite con quelle relative al livello micro-scopico. Ad esempio spiegare proprietà sistemiche con pro-prietà dei componenti. Un’azienda non sarebbe altro cheorganizzazione, la vita non altro che biologia molecolare.

Inoltre in tale visione si considera che la conoscenza sia som-mativa e cioè data dall’accumularsi infinito di conoscenze didettaglio sempre più precise. In questo caso il non-riduzioni-smo consiste nell’usare e progettare conoscenza di dettaglioper formulare teorie più generali.

4. SISTEMICA, GENERALIZZAZIONE EGENERICITÀ

Occorre innanzitutto specificare che l’aggettivo interdiscipli-nare si riferisce al fatto che medesime proprietà hanno signifi-cato in diversi contesti disciplinari. Il corrispondere dello stes-so significato in diversi contesti disciplinari può essere debolee cioè metaforico, dovuto ad analogia, oppure forte quando èapplicato in diverse discipline uno stesso modello, adattandodescrizioni e variabili.

Ad esempio una metafora è generalmente definita comedescrizione di qualcosa usando i termini e le proprietà con cuisi definisce un’altra. Tale processo aiuta a vedere in lucenuova entrambe le situazioni. Ad esempio in fisica la conce-zione primordiale di corrente elettrica si basava sull’uso meta-forico del concetto di flusso, in analogia con i liquidi. Oggi siusa una definizione più precisa di flusso per cui il concetto diflusso elettrico si riferisce al numero di linee del campo elet-trico attraversanti un’area.

L’uso di modelli evolutivi basati, ad esempio, sugli automi cel-lulari e sull’attribuire diverso significato alle variabili e alle leggidi evoluzione è invece un esempio di interdisciplinarità forte.

L’interdisciplinarità si basa sull’uso di proprietà sistemichecome adattività, allopoieticità, anticipazione, apertura-chiu-sura, autonomia, autorganizzazione, autopoieticità, caos,complessità, connessionismo, dissipatività, equifinalità, capa-cità di apprendere, goal-seeking ed omeostasi, applicabili indiversi contesti disciplinari, come la fisica, la chimica, la biologia,l’economia, la psicologia, l’architettura e l’ingegneria. Proprietànon sistemiche sono invece quelle degli elementi, come peso,forma, volume, elasticità, assorbimento di luce o calore ecomprimibilità.

La transdisciplinarietà si basa invece sullo studio delle pro-prietà sistemiche di per se stesse, senza considerarle in contestidisciplinari.

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In riferimento alle proprietà sopra elencate, si tratta dellostudio dell’adattività, dell’apertura, della chiusura, dell’auto-nomia, dell’autorganizzazione, della caoticità, della complessi-tà, ecc. in astratto, come proprietà generali di un sistema. Lostudio della Teoria dell’emergenza è transdisciplinare. Inoltresi tratta dello studio delle relazioni tra le proprietà sistemiche.

E’ opportuno delineare alcuni aspetti definitori che, se nonchiariti, contribuiscono a delineare ambiti di ovvietà, generi-cità, quando non di contraddittorietà (Minati, 2004).

Con il termine Teoria dei Sistemi si indica, in breve, comeusato in ingegneria, la Teoria dei controlli, l’Analisi dei siste-mi e la Cibernetica.

Con il termine Teoria Generale dei Sistemi si fa riferimentoalle proprietà sistemiche considerate nei vari contesti discipli-nari (interdisciplinarità) e di per se stesse in generale (trans-disciplinarità).

Con il termine Approccio Sistemico ci si riferisce alla dimen-sione metodologica generale, per cui considerando un proble-ma in un contesto disciplinare si identificano le interazioni, ilivelli di descrizione, i livelli micro, macro e mesoscopico, pro-cessi di emergenza ed il ruolo dell’osservatore.

Con il termine Sistemica si fa riferimento ad un’estensioneconcettuale, culturale, della Teoria Generale dei Sistemi. LaSistemica è così intesa come corpus di concetti, principi, appli-cazioni e come metodologia basata sull’operare con i concettidi sistema, interazione, emergenza, inter e transdisciplinarità.

Specifichiamo perché si usa il termina generale. Per chiarire iltermine è utile distinguere tra generalizzazione e genericità:

Generalizzazione - L’ elemento concettuale centrale dellasistemica è la generalizzazione e cioè la possibilità di applica-re approcci, metodologie e teorie a contesti disciplinaridiversi, grazie all’uso di concetti, proprietà e modellizzazioniusanti proprietà sistemiche, utilizzabili e riconoscibili indiversi contesti disciplinari. Si tratta ad esempio di studiareil processo di apprendimento in diverse discipline come inBiologia, Economia (leaning organizations), IntelligenzaArtificiale, Psicologia e di per se stesso (trans-disciplinarità)cercando una Teoria Generale dell’Apprendimento.L’attività di generalizzazione, in breve, è trans-disciplinarità(studio delle proprietà sistemiche per se) basata su rigore,astrazione e complessità nella convinzione che una tale tra-sversalità del sapere non possa prescindere dalla comunica-zione, reciproca rappresentabilità, condivisione e pari digni-tà tra diversi tipi di conoscenza.

Genericità - La genericità, legata al divulgare ed al procedereper parziali ed occasionali analogie e metafore, porta anch’essaa poter applicare concetti ed approcci a contesti disciplinaridiversi, ma al prezzo dell’imprecisione, dell’approssimazione(ad es. considerare un’azienda come una macchina perché,

similmente, usa risorse e produce, oppure spiegare in terminiriduzionistici, cioè riducendo un livello di descrizione superio-re ad uno inferiore, come ridurre la psicologia alla neurologia,la vita alla biologia, apprendere a ricordare, considerandosolamente aspetti fisico-chimici). Così approcci divulgativipagano la generica comprensibilità con mancanza di rigore.Va tuttavia rilevato come impostazioni metaforiche e basatesu analogia possono contribuire, proprio per la loro limitataefficacia, ad attivare, indurre successivi processi di specifica-zione disciplinare e di generalizzazione.

In base ai concetti introdotti la Sistemica costituisce alme-no uno dei modi con cui si può concepire la scienza, comeprogetto esplicito (attraverso l’organizzazione) e non-esplicito(attraverso l’emergenza) basata sul ruolo teorico, costruttivisti-co dell’osservatore.

5. QUALCHE CENNO AD ALCUNE TEMATICHE DIRICERCA ED APPLICATIVE

La scelta di produrre conoscenza usando gli approcci dellaSistemica non è di natura ideologica, ma, piuttosto, di effica-cia. I concetti sistemici sono usati in qualsivoglia ambito disci-plinare. Tuttavia questo avviene spesso senza che tale modo dioperare corrisponda ad un’impostazione epistemologica com-plessiva su cui operare a superiori livelli di generalizzazione.La finalità della Sistemica è quella, oltre che di produrre teo-rie e strumenti a meta livelli superiori (Van Gigch, 1991), diidentificare contributi sistemici che provengono dalla ricercadisciplinare e multidisciplinare, rendendoli generali e produ-cendo proposte per strutturare e generalizzare risultati disci-plinari. Esempi di aspetti teorici di un tale impegno sonoquelli riguardanti il costituirsi di una Teoria Generaledell’Emergenza, di una Teoria dei Processi di Generalizzazione, diModelli Logico Filosofici relativi alla Sistemica ed il tema dellaVarietà nei diversi contesti disciplinari (Minati, 2006), i siste-mi multipli, l’Utilizzo Dinamico dei Modelli (DYSAM) comein (Minati and Pessa, 2006) e metodologie per la rilevazionedel costituirsi di processi di emergenza come in (Boschetti etal., 2005; Minati and Pessa, 2006, pp. 291-313).

Vi sono stati numerosi contributi disciplinari su tematichesistemiche, dell’auto-organizzazione e dell’emergenza comeaccennato al par. 3.4.

Per quanto riguarda i sistemi sociali ci limitiamo a menzio-nare un paio di tematiche particolarmente significative per laloro strategicità.

a) Etica, emergenza, organizzazioneUn contributo innovativo, come introdotto in vari lavori,

è stato quello relativo al considerare l’ etica come generatada processi di emergenza (Minati, 2002) o di strutturazione(Minati, 1995; 1999; Minati and Resconi, 1996), introdu-cendo la metafora dell’ etica come software per i sistemi socia-li in un contesto concettuale computazionalista. Sono cosìda individuare i centri ed i processi di distribuzione e som-ministrazione di software sociale. Inoltre si è considerato dioperare con approcci di tipo economico, come la conside-razione dell’efficacia e redditività di un’etica e della conve-nienza di operare secondo un’etica capace di mantenerestruttura nei sistemi sociali e quindi di mantenere valore.Tali tematiche sono riconducibili solo superficialmente aquelle dell’etica normativa, operante con strumenti qualiquelli del codice e bilancio etico ed adiacente con le tema-tiche della qualità. Infatti tale approccio è di natura simbo-lica, normativa appunto, mentre ci si riferisce agli aspettiemergenti ed agli effetti sullo stesso sistema generante cheper gestirla non può considerarla linearmente una norma,ma deve saperne individuare i micro-processi comporta-

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mentali generativi e le interazioni tra loro (Minati andPessa, pp. 336-346).

b) Cenni allo sviluppo come proprietà di sistemi di crescite Il concetto, introdotto in letteratura (Minati and Pessa,

2006, pp. 321-336) si riferisce al fatto che vi possono esserediversi tipi di sviluppo. Da un lato lo sviluppo può essere vistocome armonicità tra processi di crescita all’interno di determi-nate condizioni al contorno (si veda l’appendice 1).

Un altro approccio è quello di considerarlo emergente dasistemi di processi di crescita. In questo caso si considereran-no processi di emergenza da popolazioni di curve di crescitainteragenti.

Il tema è di particolare interesse quando si considera ilconcetto di sviluppo sostenibile. Nella sua versione originale,introdotta dal rapporto Brundtland Our Common Future,1987, sviluppato nel contesto delle Nazioni Unite, uno svi-luppo è considerato sostenibile quando non basato su unconsumo di risorse ad un ritmo superiore a quello necessarioper il loro ricostituirsi e neppure basato sullo sottosviluppodi altri sistemi con cui si interagisce, del cui sottosviluppo siha bisogno per crescere.

Secondo quanto abbiamo precedentemente introdotto unosviluppo sarebbe sostenibile quando è basato su processi dicrescita sostenibili.

Tuttavia questa linearità nella conservazione della sostenibilitànon è garantita quando vi è un processo di emergenza. Il processo diemergenza, e cioè il considerare sistemi di crescita, fa sì che la soste-nibilità dei processi di crescita non garantisca la sostenibilità dellosviluppo. D’altra parte, risorse generate dal sistema di crescite, comele scoperte scientifiche e tecnologiche, potrebbero sopperire alla nonsostenibilità dei processi di crescita.

E’ la sostenibilità generabile solo da organizzazione, modellizza-zioni basate su computabilità simbolica?

Queste considerazioni si potrebbero prestare a strumentalizzazio-ni da parte di chi ha interesse a bruciare risorse senza preoccuparsidella non sostenibilità. L’emergenza di uno sviluppo sostenibile daprocessi di crescita non sostenibili è una possibilità, ma non deveessere un pretesto.

CONCLUSIONISi sono introdotti alcuni riferimenti alla visione sistemica,

distinguendo tra sistemi costituiti da organizzazione, emergen-za e combinazione dei due aspetti.

Si è fatto particolare riferimento al processo di emergenzain contrasto con quello di progettazione ed organizzazione.

La Sistemica, basata sul ruolo costruttivistico dell’osservato-re, sull’ inter e transdisciplinarità è di per se stessa di naturaprogettuale. Questo approccio è inoltre in grado di studiare sestesso, come nelle scienze cognitive, quando la scienza studial’organo che la crea, il cervello. Facendo riferimento all’emer-genza, la progettualità della scienza non va considerata sola-mente in modo esplicito, simbolico di natura organizzativa. Lascienza è di per se stessa emergente e non sommativamente compostada diverse attività disciplinari. Analogamente ai processi evoluti-vi, le progettualità contribuiscono a far continuativamenteemergere il progetto complessivo, che così non ha autore comeper i processi evolutivi e di emergenza in genere.

La Sistemica non va però considerata un punto d’arrivo,ma piuttosto una via verso livelli di astrazione e generalizzazio-ne sempre maggiori. Il miglior risultato della Sistemica saràquello di aver contribuito al suo superamento.

La tematica relativa alla scienza come progetto è cruciale per leSocietà Post-Industriali (Bell, 1973; Druker, 1968; 1970) nellequali la risorsa principale è la conoscenza. La tematica puòessere affrontata almeno a due livelli corrispondenti ai due

modi indicati con cui si costituiscono i sistemi. Uno per cui la scienza è vista come un’attività imprenditoria-

le i cui risultati sono frutto, in breve, di organizzazione, mana-gement ed investimenti.

Un altro per cui la scienza emerge in modo evolutivo dall’atti-vità umana nel suo complesso.

Come abbiamo visto i due aspetti sono spesso simultanei.La Sistemica permette di descrivere e quindi distinguere

questi due livelli da gestire appropriatamente. I processi diemergenza possono essere gestiti non certo organizzandoli odecidendoli, in quanto in tal caso non sarebbero più tali, cosache accade nei sistemi sociali quando si confonde, spessovolutamente, libertà con libertà di scelta (prestabilite, come i cana-li sul telecomando). Essi possono essere a) indotti operando conmodelli che tengano conto di parametri d’ordine cruciali perl’emergere di scienza come il linguaggio, la rappresentazionedella conoscenza e la sua gestione, i valori, la auditabilità e lacompetitività e b) gestiti, come abbiamo accennato, agendosulle condizioni contestuali (disponibilità della conoscenza esul modo di interagire degli elementi).

La scienza si trova così a studiare se stessa e progettare i pro-cessi da cui emerge.

In economia, ad esempio, si stanno costituendo esperienze dinatura simile per sostenere processi emergenti come i distrettiindustriali (insiemi di imprese geograficamente prossime ed eco-nomicamente interconnesse tali da costituire un sistema, comela Silicon Valley per l’informatica, l’industria della seta nell’areadi Como, l’industria tessile nell’area di Prato e quella calzatu-riera nell’area di Napoli) ed i mercati in generale.

Accenniamo solamente come tale impostazione si possaconcettualmente applicare alla disputa tra creazionismo (anchedetto progetto intelligente) ed evoluzionismo.

Va rilevato come il creazionismo riduca il capire all’indi-viduazione di cause. Nella storia dell’uomo quando si sonopresentati problemi per i quali non si era in grado di indi-viduare le cause esplicative si è fatto ricorso a rappresenta-zioni delle cause che, da sconosciute ed incomprensibili,acquisivano un nome e quindi un’identità autonoma. Illoro comportamento sostituiva la teoria esplicativa man-cante. Lo studio dei processi di emergenza in genere è unarisorsa per costruire teorie esplicati-ve in contesti la cui complessità éirriducibile alle dinamica causa-effet-to. Inoltre il capire stesso è un pro-cesso molto complesso. Dal secoloscorso la scienza ha iniziato a cerca-re di capire se stessa, e cioè lo stessocapire (scienze cognitive).

Potrà lo studio dell’emergenza con-tribuire a capire il passaggio dellamateria dalla fase non vivente a quellavivente che innesca a sua volta proces-si evolutivi che arrivano a far inmodo che la materia si capisca,all’emergere della coscienza e, comedice Edelman, della coscienza di esse-re cosciente?

APPENDICERiferendoci a sistemi socio-econo-

mici la crescita può essere consideratacome un processo incrementaledescritto ad esempio da curve logisti-che (crescita decrescente), il cui grafi-co è indicato in fig. 1:

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Un processo di sviluppo può essere rappresentato in modoelementare considerando:

1. sia la successione nel tempo delle crescite relative ad unsingolo processo, attivate ad esempio dall’innovazione incampo economico (fig. 2).

2. sia l’armonicità dei processi di crescita del sistema inesame in base ad un piano, un progetto di sviluppo.L’armonicità è così intesa come un fatto interno al sistemastesso, quasi fosse un aspetto inerente alla coerenza, alla reci-proca compatibilità tra i processi di crescita stessa.Concettualmente si opera con considerazioni basate sul pre-supposto di operare in sistemi chiusi. Ad esempio crescitedisarmoniche di vari aspetti aziendali come produzione,distribuzione, aspetti finanziari e risorse umane porteranno alfallimento. Allo stesso modo quando si parla di sviluppo diun bambino si parla dell’armonicità tra crescite.Disarmonicità nella crescita di singoli aspetti porteranno airregolarità antropometriche spesso di natura patologica.

3. fasi della crescitaFacendo riferimento alla crescita logistica possiamo indivi-

duare quale sia, avendo in mente un’ipotetica attività azienda-le, il luogo opportuno per attività del quali (fig. 3):

a - fare cose vecchie in modo nuovo e cioè produrre in modopiù efficiente grazie a nuove forme organizzative e/o a nuove tecno-logie, prodotti già noti ed in uso corrente;

b - fare cose nuove in modo nuovo e cioè produrre nuovi pro-dotti o fornire nuovi servizi in base a nuove forme organizzative e/onuove tecnologie;

c - fare cose nuove in modo vecchio e cioè usare vecchi siste-mi di produzione e/o vecchie forme organizzative per produrre nuoviprodotti e offrire nuovi servizi: Usare cioè in modo innovativo le risor-se produttive già disponibili;

d - usare in modo vecchio le cose nuove e cioè usare nuovi pro-dotti e nuovi servizi in modo non adeguato allo sfruttamento di tuttele loro potenzialità, riproducendo usi tradizionali usando tecnologienuove;

e - usare in modo vecchio le cose vecchie e cioè riprodurre inmodo massivo usi di tecnologie e servizi già consolidati, perseguendosolo “economie di scala”.

Un primo schema per rappresentare processi di sviluppopotrebbe riferirsi al passaggio tra curve di crescita come indicatoin fig. 2 ove è considerato il caso della crescita con limitedescritta da una logistica.

Consideriamo ora un sistema di curve di crescita logistichecome in figg. 2 e 3 e notiamo come il passaggio da una all’al-tra, riferendoci ad un’ipotetica attività aziendale, possa esserel’evento in cui:

f - si usano in modo nuovo le cose vecchie, ad esempio inconseguenza all’introduzione di un’innovazione.

I temi precedenti sono ampliamente illustrati in (Minati andPessa, 2006, pp. 324-330).

fig. 1 - Un esempio di curva logistica

fig. 2 - Uno schema illustrante il passaggio da una curva di crescita adun'altra basato su innovazione nell'uso di ciò che è disponibile

fig. 3 - Curva logistica con indicati i punti per gli eventi a - e

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Gianfranco Minati, matematico, è Adjunct Associate Professor presso l’OHIO State University e Doctoral Lecturer alPolitecnico di Milano presso il Dip.Scienza e Tecnologie dell’Ambiente Costruito(BEST). E’ Consulting Faculty presso la“Saybrook Graduate School and Research Center”, San Francisco (CA), USA e Fondatore e Presidente della SocietàItaliana per la Ricerca sui Sistemi (AIRS); è co-presidente dell’Unione delle Società Europee di Sistemica; rappresentanteitaliano presso l’International Society for the Systems Sciences (ISSS) e presso l’International Federation for SystemResearch (IFSR) University of Linz, Austria. E’ membro del comitato editoriale di “Systems Research and BehavioralScience” e di prestigiose associazioni tra cui l’AAAS-American Association for the Advancement of Science, l’ACM-Association for Computing Machinery (USA), l’AFSCET-Association Française de Science des Systèmes Cybernétiques,Cognitifs et Techniques, l’ASC-American Society for Cybernetics; la Cognitive Science Society; l’IEEE-The Institute ofElectrical and Electronics Engineers (USA), l’ISSS-International Society for Systems Sciences (USA), la New YorkAcademy of Sciences (USA) e la UKSS-United Kingdom Systems Society. E’ autore di varie pubblicazioni nel campo dellasistemica, i suoi interessi di ricerca, come la sua attività, sono centrati sulla teoria dell’emergenza, gli esseri collettivi,l’usodinamico dei modelli e l’etica per lo sviluppo sostenibile. Tra i suoi lavori recenti ricordiamo Collective Beings, con PessaE.) Kluwer Academic/Plenum Publishers, New York, 2006 e Dialogue about Systems ( con Shelia Guberman), Polimetrica,Milano, 2007.

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Il volumetto Educare gli educatori, unariforma del pensiero per la democraziacognitiva1, essendo strutturato a brevisaggi, si configura quasi come una con-versazione tra il sociologo francese e illettore, una conversazione veramente atutto campo, superficiale si direbbe, aduna prima lettura, in quanto dimostradi voler trattare in modo pertinentepressoché ogni campo del sapere o,ancora piu’ arditamente, del vivere del-l’uomo sulla terra. Non è un pensieroche convince, che piega il lettore alleragioni esposte, è un pensiero sussurra-to, percorso da parecchie intuizioni edaffermazioni generali che toccano l’esi-stenza dell’uomo e che, sempre ad unaprima lettura, sembrano adagiarsisotto il velo dolce e rassicurante delsenso-luogo comune; si comprendeperò sin dall’inizio che le affermazionie le intuizioni, che riguardano politica,scienza ed etica, sono frutto diretto del-l’evoluzione del pensiero e la storiapersonale del filosofo francese, dallasua azione politico culturale dei primianni, alla sociologia della cultura, allaapprofondita riflessione attorno allasistemica e ricorsiva complessità delmondo, per approdare alla tematizza-zione dell’etica o meglio dell’antropo-etica.

Nella prima intervista (del 1997)contenuta nel volumetto, Educare glieducatori2, si tesse un filo che lega poli-tica, conoscenza ed etica: quandoMorin è stimolato a prendere posizio-ne sulla configurazione internazionaledel mondo e afferma che gli stati nazio-ne sono “mostri paranoici incontrolla-bili se non con la minaccia reciproca”vuole colpire direttamente il cuoredelle tesi che stanno alla base della teo-ria delle relazioni internazionali, come

la tesi dell’anarchia dell’arena interna-zionale e dell’minaccia-uso della forzacome sola garanzia di sopravvivenzadegli stati stessi; colpisce al cuore unaltro ganglio vitale della scienza politi-ca quando afferma che lo stato nazioneè vittima di una terribile malattia, lapurificazione, che va incontro al biso-gno di far coincidere con lo stato attra-verso l’epurazione; è quasi un postula-to della scienza politica il fatto che con-dizione essenziale per la sopravvivenzadi una comunità politica è quella dimantenere in condizioni di strettaminoranza le parti di popolazione nonomogenee culturalmente ed etnica-mente al ceppo maggioritario; bersa-glia tra le righe il concetto di ragion distato che scolorisce di fronte al perico-lo di morte che minaccia il pianetaindicando la nostra salvezza collettivanella capacità di evitare il disastro di

una prematura fine dell’umanità eindica l’Organizzazione delle NazioniUnite, organismo elogiato nei discorsie bistrattato nei fatti da tutta la comu-nità politica e scientifica, come possi-bile propulsore di un garante della giu-

stizia mondiale, come centro catalizza-tore per la risoluzione dei grandi pro-blemi del mondo come il nucleare, iltraffico di droga, l’AIDS, la povertà.Cerca poi di superare il concetto poli-tico per antonomasia, amicus-hostis,con la necessità di sottolineare ciò cheunisce, ciò che lega, ciò che permettedi comprendere l’altro per raggiungereil sentimento di fraternità umana.Come raggiungere tutto ciò? Comesuperare ciò che l’uomo è da sempre?Riconoscendo anzitutto i segnali dicrisi di questo modo di agire (la crisidello stato nazione, i movimenti globa-li per i diritti dell’uomo) e riconoscen-do i segnali di crisi di questo modo dipensare soprattutto (la crisi della scien-za classica, la ricerca di multidisciplina-rità, la nascita di nuove scienze multi-disciplinari con al centro l’uomo).Tutto ciò seguito da piccoli passi, attra-verso piccoli gruppi con il meccanismodella disseminazione gratuita, attraver-so la riforma del pensiero e l’educazio-ne alla complessità che va ad intaccarestrutture mentali e istituzionali perintrodurre la democrazia cognitiva,perché si colmi la frattura tra la tecno-sceinza iperspecializzata e le conoscen-ze a disposizione dei cittadini: ciò ètanto piu necessario quanto piu i pro-blemi politici piu pressanti hanno unaforte componente scientifica che è soli-tamente riservata alle valutazioni deitecnici; di fronte ad uno scenario simi-le si rende necessario un sapere orga-nizzativo non quantitativo, un pensie-ro complesso che permette di rilegareinsieme gli elementi che fanno parte diuno stesso sistema. Verso la fine del-l’intervista emerge il discorso etico,simile ed opposto a quello cristiano: èpressante la necessità di amarsi, dicapirsi ma non tanto perché così si saràsalvati, quanto perché altrimenti ilmondo sarà perduto (il Vangelo dellaPerdizione annunciato nel suo libroTerra-Patria). Se l’antropologia dimo-stra che l’umanità è unitas multiplex,che abbiamo tutti le stesse cose masempre diverse, da questo deriverebbesempre una posizione etica del rispetta-re nell’altro ciò che è simile a noi e ciò

La formazione come luogo della costruzione di un'etica della complessità

Edup, Roma, 2005

EDUCARE GLI EDUCATORIUna riforma del pensiero per la

democrazia cognitiva

Edgar Morin

a cura di Martino Incarbone

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che è differente da noi, ne deriverebbeuna atropo-etica che consacra l’uomoin quanto individuo e l’umanità inquanto umanità.

Nel saggio che segue l’intevista, Unnuovo pensiero per il terzo millennio3,Morin approfondisce la necessità di unsapere multidimensionale e contestua-lizzato: è necessario tornare ai proble-mi dei bambini con la consapevolezzadegli adulti, è necessario mettere afuoco i grandi problemi del mondoche sono trasversali alle scienze, tran-snazionali, complessi, transdisciplinarie nella nostra epoca addirittura plane-tari. Le nuove scienze sono ormaiemerse, la cosmologia, le scienze dellaterra, l’ecologia, l’astrofisica così comela teoria delle organizzazioni, la ciber-netica, sono emerse ed hanno spazzatovia i compartimenti stagni che divide-vano le discipline scientifiche.

Ma in cosa si concretizza la riformadel pensiero? Quali sono i presuppostidella democrazia cognitiva? Di tuttociò tratta la seconda intervista aMorin, La riforma del pensiero presupponeuna riforma dell’essere4; la riflessioneprende le mosse dal fatto che ciascunuomo è a sua volta “individuo”, “partedi una specie” e “parte di una società”,ciascuno di noi è causa e prodottodella società e per questo una riformadella società implica e presuppone unariforma dell’individuo, in un circolovirtuoso. Per ciò che riguarda l’indivi-duo la necessità pressante è di avere unpensiero “corretto”, un pensierocosciente della complessità, consapevo-le degli effetti perversi di certe buoneintenzioni, ed estremamente compren-sivo nei confronti degli altri in mododa creare piccoli gruppi che costituisca-no una sfida credibile e diffusa allaminaccia di estinzione del mondo. Èparadossale che la comprensione del-l’altro sia in diminuzione a beneficiodell’individualismo, dell’egocentri-smo, di tutti i fattori che hanno degra-dato le solidarietà proprio nel momen-to in cui è in continuo aumento ladisponibilità di strumenti per com-prendere, dalle conoscenze ai mezzitecnici.

Tutta la riflessione del volume nonruota attorno nè al concetto né allateorizzazione, ma al problema etico del-l’umanità, visto ed interpretato dall’an-golatura particolare della complessità,pivot attorno al quale si sviluppa tuttoil lavoro scientifico del grande pensato-re francese. Le tesi che sottopone nonsono strabilianti e nemmeno moltoinnovative rispetto sia alle grandicostruzioni etiche come religioni e filo-

sofie, sia più prosaicamente rispetto aiprogrammi degli attuali partiti politicio ai principi enunciati nei documentidelle Organizzazioni Internazionali enei programmi dei ministeri dell’istru-zione dei paesi occidentali. Anzi sonoanche molto facilmente soggette a criti-che fondate ed argomentate da partesia di scienziati che di pensatori politi-ci che da filosofi; perché auspicare lacomprensione reciproca? Perché auspi-care la fraternità, addirittura l’amoretra gli uomini? Perché invocare l’ONUcome risolutore delle controversieinternazionali e foro adatto per affron-tare insieme i grandi problemi delmondo di oggi? La particolarità delleaffermazioni moreniane sta nella loroprofonda radice teorica che mette alsicuro e dà solidità al suo pensiero edalle sue proposte. Chi avesse avutooccasione di accostarsi al pensiero diMorin, ai suoi scritti sociologici, allasua opera La Methode sicuramentesente riecheggiare i principi, le intui-zioni, le scoperte della sociologia delgrande maestro francese. Tenendoconto di tutto ciò non si corre ilrischio di scambiare le affermazioni diMorin con un atteggiamento buonistao forzatamente politicamente corretto:tutto è ben radicato scientificamente,in una scienza sociale certo non orto-dossa o ossequiosa di scuole o tradizio-ni sociologiche, in una scienza socialeche si pone in rottura con la tradizionema allo stesso tempo interpretandonefedelmente la linea di evoluzione, chesi staglia solitaria ma orgogliosa nelpanorama scientifico attuale cercandoallo stesso tempo di lanciare il maggiornumero di ponti verso altri paradigmied affondando solide radici nellamigliore riflessione epistemologica delsecondo novecento.

Il pensiero di Morin è infatti forte-mente antitradizionale e al di là deglischemi che orientano ed hanno orien-tato la scienza sociale della secondametà del Novecento, non solo dalpunto di vista delle implicazioni etichesia per ciò che riguarda la teoria. Nellaprefazione alla prima edizione de Leregole del metodo sociologico, Durkeimscrive: “En effet l’essence du spirituali-sme ne tient-elle pas dans cette idéeque les phénomènes physiques ne peu-vent pas être immédiatement dérivésdes phénomènes organiques ? […]Comme les spiritualistes séparent lerègne psychologique du règne biologi-que, nous séparons le premier durègne social”5. Edgar Morin come sisitua in un punto di vista diametral-mente opposto a questo: il suo è un

pensiero che lega, non che divide; cheinsieme alle differenze mostra le simi-litudini, le interazioni e le dipenden-ze; che rifiuta la monocausalità, chevuole in tutti i modi ed in tutti i campi(dall’antropologia, alla sociologia, allapolitica) proporre discorsi e spiegazio-ni che rispettino il più possibile lacomplessità, la multidimensionalità,l’interdipendenza del mondo. Scriveinfatti: “Comme on le sait, la théorierégnante de l’homme se fonde, nonseulement sur la séparation, mais surl’opposition entre le notions d’hom-me et d’animal, de culture et de natu-re, et tout ce qui n’est pas conforme àce paradigme est condamné comme‘biologismÈ, ‘naturalismÈ, ‘évolution-nismÈ.”6 Tutto il suo pensiero èmodellato sulla multidimensionaleunità dell’uomo, che è allo stessotempo fenomeno fisico, biologico,sociale, culturale.

Tre in particolare sono i punti che sivogliono ora portare all’attenzione dellettore per illustrare la profonda perti-nenza delle affermazioni morenianesopra esposte nel quadro della sociolo-gia contemporanea: in primo luogol’interdisciplinarità e unità allo stessotempo, in secondo luogo la novità del-l’antropologia peninsulare, in terzoluogo l’approfondimento generoso,addirittura la fondazione si potrebbeazzardare, del paradigma della com-plessità.

Anzitutto dunque è lo stesso pensie-ro di Morin è fondamentalmente inter-disciplinare, polidisciplinare, transdi-sciplinare.7 Si occupa di questionitransdisciplinari con metodo transdi-sciplinare, e ciò si può vedere in tutti isuoi scritti da quelli di antropologia, aquelli di politica passando per l’episte-mologia, il campo al quale ha dedicatoi suoi sforzi maggiori. Scrive: “D’unemanière générale, dès que vous avez unobjet ou tous les éléments sont en rela-tion, vous faites appel aux différentsspécialités concernés par cet objet, touten vous cultivant, en incorporant lesconnaissances clés de leurs discipli-nes.”8 Egli spazia infatti con grandecapacità intuitiva e pertinenza tra i varicampi del sapere, tra le varie disciplinescientifiche raccogliendo all’interno diesse i concetti fondamentali e collegan-doli in modo pertinente ai concettifondamentali delle altre discipline. Inalcuni suoi scritti come vedremo mettea tema la transdisciplinarità e ne spie-ga, ancora una volta, il grande valoreeuristico ed epistemologico; in partico-lare opposizione ad un certo tipo dispecializzazione e di frammentazione

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disciplinare. “Il serait tout à fait insuf-fisant de se contenter de convoquer cesdisciplines autour d’une table ronde[…] Ce n’est pas une necessité dejustapposition de facturs isolés, maisde leurs interactions au sein d’un systè-me global”9. La transdisciplinaritàdunque “ce n’est pas seulement unenécessité euristique, c’est une nécessitéparce que l’individu dissocié entreorganisme (biologie) et esprit (psycho-logie) perd sa réalité d’individu”. Ilpensiero di Morin è allo stesso tempopensiero profondamente unitario; uni-tario però, non secondo una concezio-ne determinista o organicista. È unaunità che riposa nell’unità del mondoe dell’uomo; non è una unità di puntodi partenza, di mono-spiegazione: èunità di punto di arrivo, di ricostruzio-ne e di ricomposizione di senso. Èl’unità delle parti in inter-relazione:“Dès le XVIIème siècle, deux types depensée se posaient. Celui de Descartes(qui a triomphé) disait ‘Quand je voisun problème trop compliqué, je diviseses difficultés en petites parties et unefois que je les ai toutes résolues, j’airésolu le tout’. Celui de Pascal disait‘Je ne peut pas comprendre le tout si jene connais pas les parties et je ne peuxpas comprendre les parties si je ne con-nais le tout’, invitant à une pensée ennavette.”10 È pensiero unitario nelsenso che, come lui stesso afferma,ogni sua opera è contenuta e contienesecondo il principio ologrammaticotutte le sue altre opere. In questosenso, leggendo Morin, è sempliceindividuare e ricostruire la linea difondo che lega ogni sua riflessione:affronta gli argomenti più svariati conl’impostazione della complessità, con iltentativo di creare legami, con la ricer-ca della sintesi nel senso etimologicodel termine.

In seconda istanza il pensiero diMorin ricerca una nuova antropologia(peninsulare): “Ancrer la science del’homme sur une base naturelle”11; ciòè vero sin dai suoi primi scritti: “Mivenne l’idea [scrive parlando a proposi-to del suo libro L’homme et la mort del1951] di trattare della morte da unpunto di vista ad un tempo antropolo-gico, sociale, storico, e biologico, diconsiderare cioè la morte come un‘fenomeno umano totalÈ, per ripren-dere l’espressione di Marcel Mauss. […]Vengo a scoprire che la morte, fenome-no totalmente biologico, è nel contem-po, fin dalla preistoria, un fenomenoumano totalmente culturale. Mi siimpone l’idea che in ogni realtà umanaoccorra integrare la realtà biologica e

quella mitologica.”12 Scrive ancora:“Ainsi, le schéma multipolarisé quenous avons dessiné vaut pour com-prendre, non seulement l’hominisa-tion mais tout ce qui est humain. Cetteproposition générale signifie entreautres que toute unité de comporte-ment humain (praxique) est à la foigénétique/cérébrale/sociale/culturel-le/écosystémique. […] Ce schémaimplique un autre polycentrisme,celui, bien connu, entre l’espèce, lasociété, l’individu.”13 Da questo terre-no deriva appunto la nuova antropolo-gia di Morin che è portatrice di unaidea di uomo che salvaguarda l’origina-lità, irriducibilità, la specificità antro-po-sociale dell’uomo fondandola allostesso tempo, alimentandola e legando-la alla vita. Tutto questo per romperecon la visione idealista di un uomosoprannaturale, con una visionedisgiuntiva, nella quale la vita (intesain senso biologico) è rilevante per lostudio dei geni e del corpo mentre nonriguarda lo spirito e la società.

In terza istanza, per ciò che riguardala complessità, Edgar Morin è un po’pioniere perché come lui stesso scrive“La complexité a du mal à émergertout d’abord parce qu’elle n’as pas étéle centre de grands débats et de gran-des réflexions, comme par exemple çaa été le cas de la rationalité. […] Lascientificité, la falsifiabilité sont desgrands débats dont on parle”14; ne con-stata la difficoltà di ricezione nel pen-siero sociologico, lamentandone ancheuna bibliografia assai ridotta (se con-frontata con altri problemi cardinedelle scienze sociali). Ne individua ilpercorso più noto attraverso l’articolodi Weaver, collaboratore di Shannon,che scrisse riguardo alla teoria dell’in-formazione ‘Science and complexity’apparso sullo Scientific American; la teo-ria ‘On self reproducing automata’ divon Neumann che confronta la com-plessità delle macchine naturali conquella degli automi artificiali; l’operadi von Foerster in particolare ‘On selforganising systems and their environ-ment’; l’articolo ‘Architecture of com-plexity’ di Herbert Simon; l’opera diHenri Atlan, in particolare quella dedi-cata all’emergenza della vita Entre le cri-stal et la fumée; ricorda anche un artico-lo di von Hayek ‘The theory of com-plex phenomena’ in Studies in philoso-phy, politics and economics.15 A partireda questi presupposti Morin impostala sua indagine e il suo lavoro, metten-do in atto la sua propria epistemologiadella complessità. Vediamo ora più neldettaglio come si compone questa epi-

stemologia.Come si può intuire da queste sinte-

tiche linee dunque, le istanze etiche dicui Morin si fa portavoce pacato nelleinterviste hanno un solido retroterrascientifico sulle quali poggiano salda-mente; ma la pertinenza di questeistanze non si limita all’approfondi-mento dello studioso ma va a toccare igangli vitali della sociologia contempo-ranea, ne sfida in modo egregio le piucomplicate aporie.

Sono interessanti in questo contestoun esempio riguardante il valore euri-stico ed esistenziale della transdiscipli-narità nelle scienze sociali e la presa inconsiderazione dell’unità dell’essereumano ai fini di una teoria atropo-psico-sociale pertinente. Per megliocomprendere il valore euristico dellabanale affermazione che l’uomo è esse-re fisico, biologico, fisiologico, psicolo-gico, sociale, politico ed ecologico èutile soffermarsi sul concetto di episte-mologia multilivello e su ciò che legaun livello all’altro, così come li defini-sce Ervin Laszlo nel suo contributo allanota raccolta di saggi La sfida della com-plessità di Bocchi e Ceruti.

Iniziando il suo percorso con l’illu-strazione di due tesi forti16, Laslo pre-senta un punto di vista molto interes-sante e chiaro, a proposito del legameche passa tra un livello epistemologicoe l’altro. Scrive infatti di seguito:“L’evoluzione decolla dal livello dellanatura fisica ma la trascende secondouna linea graduale di sviluppo, unacostruzione teorica in grado di descri-vere questo processo agirà da integra-tore verticale della teoria fisica con leteorie delle scienze naturali e sociali.Questa è una richiesta esorbitante enon può essere eseguita compiutamen-te, almeno fino ad oggi: possiamoperò indicarne dei punti di partenza etentare un’approssimazione qualitati-va.”17 Individua i tre livelli nella dina-mica evolutiva dei sistemi termodina-mici lontani dall’equilibrio, nella teo-ria della macroevoluzione biologica,nello schema concettuale della evolu-zione socioculturale umana. Partendodal presupposto che “un processo evo-lutivo unitario suppone un universounitario, un universo unitario che siain grado di generare un unico flussoevolutivo” e affermando che “questoflusso ha origine nel campo della fisi-ca”18 egli afferma che la condizioneper l’evoluzione in ogni livello è l’esi-stenza di sistemi aperti capaci di scam-bi costruttivi con gli altri sistemi aper-ti dello stesso livello; in ognuno di essil’oggetto di scambio è diverso, può

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essere energia nel caso della fisica, puòessere materia nel caso dei sistemi bio-logici, può essere informazione nelcaso dei sistemi socio-culturali. Sorgequindi il bisogno di una integrazioneche non sia solamente orizzontale,limitata al singolo livello, ma ancheverticale: egli individua una possibilebase per l’integrazione verticale, inuna teoria della dinamica evolutiva.Non si tratta però di “cercare delleprove attraverso una comparazionefenomenologica dei processi di trasfor-mazione dei sistemi fisico-chimici edei sistemi organici. È probabile che lafenomenologia dei processi sia diver-sa, giacché le popolazioni di organismisono sistemi di gran lunga più com-plessi. […] Dobbiamo ricercare le inva-rianti della dinamica dei processi evo-lutivi”19. Interpreta il primo dei duesalti di livello attraverso il confrontodella logica di evoluzione dei sistemitermodinamici aperti (ne abbiamoillustrato un esempio più sopra) equella della evoluzione delle speciepost-darwiniana. Ma molto più inte-ressanti per il nostro discorso sono leconsiderazioni riguardo al secondosalto, quello dall’evoluzione biologicaa quella socio-culturale; emerge infattila dimensione culturale che è origina-ta dal mondo materiale ma si sviluppasecondo logiche di legame proprie enon fisiche (identificazione, apparte-nenza, controllo sociale, organizzazio-ne, assegnazione di ruoli), che sonoabbastanza forti da garantire un com-portamento coerente da parte di unnumero molto alto di individui; que-sto comportamento coerente, questamonodirezionalità, è veramente strabi-liante se si misura ilfatto che gli elemen-ti dell’evoluzionesocioculturale sonouomini ai qualisiamo soliti attribui-re libertà ed inten-zionalità.20 È in que-sto campo che leintegrazioni tra lediverse disciplinedelle scienze socialisaranno determinan-ti: è certo che lasocietà è determina-ta dalla natura fisicadell’ambiente in cuivive e dalla qualenon si può prescin-dere21, ma è altret-tanto vero che granparte delle regole dievoluzione della

società provengono dalla menteumana intesa come generatrice diquella dimensione di trasmissione del-l’informazione ipercomplessa e raffi-natissima che è la cultura. Questocampo si sta ormai divincolando dailacci della riflessione filosofica (chepure è arrivata a livelli di pertinenzanon trascurabili) per passare al campodella ricerca empirica (delle scienzecognitive e neuroscienze). Da questaangolatura le proposte che Morin fariguardo ad un possibile pensiero peril terzo millennio vengono ad assume-re pienezza di significato ed autorevo-lezza scientifica: Morin ha applicatoquesto paradigma di livelli distinti sof-fermandosi sul legame di un livellocon l’altro nella sua opera principaleLa Methode, che è divisa tomi per cia-scun livello, dalla natura fino all’etica.

Per approfondire il valore euristicodella transdisciplinarità nelle scienzesociali è interessante notare che: 1)Nello studio dei problemi interdiscipli-nari che riguardano la società nel suocomplesso, ci troviamo di fronte ad unturbinio di discipline, di paradigmi, ditradizioni, di teorie; in un tale conte-sto, l’intuizione del singolo ricercatoreè in molti casi occupata da un sovrac-carico di operazioni di traduzione traparadigmi, più di quanto non lo siaper lo studio dei problemi rilevanti perla propria materia.22 2) La tendenzaalla interdisciplinarità è segno del pro-gredire in profondità della scienza; “Ilne faut pas donc concevoir l’interdisci-plinarité comme un objectif abstrait,mais plutôt comme un mouvementsans cesse déclanché par les besoins dela recherche scientifique”23 È chiaro

infatti come il progresso dell’interdisci-plinarità dipenda dal progresso dellesingole discipline. D’altra parte “Lesrésultats les plus prometteurs de l’évo-lution de la connaissance scientifiquesemblent actuellement être conquisaux frontières communes à différentesdisciplines.”24. E ciò è ben presente almondo scientifico: “Selon WolfgangMommsen, l’histoire est essentielle-ment transdisciplinaire puisqu’elleprofite du travail accompli dans nom-bre d’autres disciplines et qu’à certai-nes époques elle a prétendu au rôle dediscipline majeure.”25. 3) Agli studiosiche si avventurano nel terreno non bat-tuto dalla propria disciplina, trovanoconcetti che sono parzialmente sovrap-ponibili a quelli esistenti nel proprioparadigma, non solo formalmente oconcettualmente ma in modo sostan-ziale si riferiscono a cose simili. Peresempio, per ciò che riguarda le pre-messe cognitive all’azione, il lebensweltdi Habermas, l’habitus di Bourdieu, ilparadigma di Kuhn, gli idoms ofunderstanding di Oaekshott, il referen-ziale di una politica pubblica, il crono-topo nell’analisi di un testo letterario,pur essendo concetti elaborati in con-testi, in discipline, in logiche diverse sipuò intuire che abbiano qualcosa incomune. Sarebbe interessante studiareapprofonditamente queste trasversalitàconcettuali; se infatti attraverso percorsidiversi, tentando di affrontare proble-mi diversi si è giunti a qualcosa di simi-le si può pensare che ci sia qualcosa dimolto pertinente in gioco. Ciò richie-derebbe anzitutto l’individuazioneintuitiva delle trasversalità concettuali,in seguito il loro approfondimento

Conferimento della laurea honoris causa in Scienze dell'Educazione ad Edgar Morin, Università di Bergamo 2003

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all’interno di ciascuna disciplina, pertentare poi una indagine incrociatache permetta di dare un contenuto aconcetti cruciali, spesso conosciutisolo dall’esterno. 4) Esistono poi con-cetti trasversali nati in un ambientedisciplinare che dimostrano grandepertinenza anche in altri contesti teori-ci, e che ormai sono diventati punticardinali di ogni riflessione nelle scien-ze sociali; tra di essi ci sono per esem-pio istituzione, sistema, identità – dif-ferenza, organizzazione, capitale socia-le, idealtipo, cultura. Anche per essi sipuò intuire la pertinenza di tali concet-ti, che in qualsiasi campo siano utilizza-ti sono profondamente esplicativi; citroviamo di fronte, in un certo senso, atrasversalità concettuali già affermate,da sottoporre ancora una volta adindagine incrociata, magari secondoun metodo specifico, per non lasciareche sia solo l’intuizione dei singoliricercatori o il peso delle tradizioni diricerca a dettare il passo dell’integrazio-ne interdisciplinare. Un simile approc-cio potrebbe anzitutto portare a scardi-nare o a reinterpretare anche alcunegrandi aporie delle scienze sociali edelle scienze umane contemporanee;esse si ripresentano ogni volta che sipassa da una ricerca empirica ad unacostruzione teorica e sembrano vera-mente attraversare sia la storia dellescienze sociali, sia i confini disciplinaridi cui abbiamo parlato più sopra.Probabilmente una sociologia cheriparte dalla ammissione della com-plessità, che si situa nell’universoscientifico come sapere tipico di unlivello attento alle logiche emergenti egenerative, che studia prima di tuttocome avvenga il passaggio di livello,che si concentri sulla conoscenza stu-diata con i mezzi delle neuroscienze, eche attraverso di esse rilegga e unifichii suoi campioni concettuali (individua-ti attraverso trasversalità concettuali econcetti trasversali), potrebbe permet-tere di superare alcune di queste gran-di aporie che molto probabilmentesono eredità del pensiero razionalista edell’epistemologia positivista, dell’ap-proccio determinista della fisica classi-ca.26 Vediamo ora con una semplifica-toria carrellata quali sono alcune diqueste aporie: 1) Per cominciare conl’ambito sociologico la prima è la com-posizione tra fenomeni micro e macrosociali, che attraversa la storia dellasociologia dall’inizio. In economia illegame sembra molto chiara, trattan-dosi di un legame quantitativo, maresta terribilmente parziale in quantotiene conto di poche dimensioni della

società; questa difficoltà teorica non èper niente limitata al campo dellasociologia, si allarga per esempio anchealla storia: quando si vuole determina-re la responsabilità di fronte a degliavvenimenti macrosociali: si veda ilcaso del popolo tedesco per la shoà,oppure la questione sulle cause del sot-tosviluppo; come determinare l’inten-zione, come suddividere la responsabi-lità? Si allarga anche alla scienza dellepolicy: come gestire la società di massa?Ci sono strumenti adeguati? Fino a chepunto è possibile imporre delle struttu-re sociali dall’alto? È possibile dunqueinterpretare questa dualità senza ricor-rere a circoli viziosi o concetti che sem-brano avere un fascino quasi misteri-

co?27 2) La seconda aporia, e anche quile scienze della complessità hannomolto da dire, è quella che pone incontrasto la visione a priori (progettua-le o dogmatica) tipica del diritto e quel-la a posteriori (processuale o fattuale)tipica per esempio della scienza politi-ca; ma questi due approcci convivonoin ogni campo, come quello per esem-pio della teoria dell’organizzazione,perché la conoscenza dell’uomo èconoscenza del passato ma anche cono-scenza progettante proiettata verso ilfuturo. È disaccordo tra razionalitàlogica e razionalità empirica, ancheriguardo ai medesimo oggetti di studio(pensiamo allo studio delle strutturerappresentative della democrazia vistedal diritto e viste dalla scienza politica,ma anche per le politiche pubbliche28);il diritto spesse volte è costretto a veri epropri voli pindarici per costringere la

realtà processuale nelle sue categoriedogmatiche. Le istituzioni della storia,del diritto, della scienza politica sonola stessa cosa? 3) Quali sono le rispostedella scienza sociale al paradosso del-l’intenzionalità – libertà di azione indi-viduale e la pretesa di regolarità a livel-lo macro – sociale? È possibile per noiuna azione libera o siamo totalmentecondizionati dalla struttura? Ha sensochiedersi quale ordine cercare di com-prendere, tra l’ordine naturale(cosmos), l’ordine progettato (taxis) el’ordine emergente (quello di Burke, diHayek ma anche di Atlan)? Questa que-stione non è nuova per la storia delpensiero occidentale; ogni volta che sifa un tentativo di comprendere unordine generale rispunta il sentimentodi libertà che ciascuno di noi sente.29

Forse le riflessioni di Prigogine e diAtlan (finalità senza intenzioni, inten-zioni senza finalità…)30 sanno darequalche risposta impostando il proble-ma in modo differente. 4) Altro fonda-mentale disaccordo, che riflette sulpiano metodologico il problema prece-dente, è quello tra l’approccio storicodelle cause e quello scientifico delleregole, che sono alla base di una ster-minata letteratura ciascuno. Comecomporre riflessioni con statuto episte-mologico così diverso? Come poterseguire allo stesso tempo l’azione nelsuo svolgersi e individuare la strutturainvariante nella società? Come estende-re una collaborazione che può rivelarsiveramente fruttifera? Localmente neabbiamo un bell’esempio nel modellodi Rokkan per la formazione dei siste-mi partitici in Europa. Affermare chemacrofenomeni come lo stato moder-no o la rivoluzione francese sono frut-to del corso della storia e della sedi-mentazione istituzionale è segno dellecarenze esplicative fondamentali dellateoria dell’azione collettiva che fannopensare veramente ad una anarchiametodologica.

È chiaro che questi problemi, antichiper la filosofia e oggi ereditati dallasociologia sono tutt’altro che problemiteorici. Hanno risvolti politici ed eticie questo collegamento è esattamenteciò che Edgar Morin illustra pacata-mente nelle libricino in questione.Ancora una volta le proposte formula-te da Morin nelle interviste sono tut-t’altro che semplicistiche, buoniste eprive di radici. Sono ben radicate in unpensiero che risulta pertinente oltreche interessante ed eticamente caratte-rizzato. Ecco allora che affermazionisopra ricordate come la necessità daparte del pensiero politico di vedere la

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Note1 MORIN, E., (2005), Educare gli educatori, una riforma del pensiero per la democrazia cognitiva, Edup, Roma2 MORIN, E., (2005), Educare gli educatori, una riforma del pensiero per la democrazia cognitiva, Edup, Roma3 MORIN, E., (2005), cit., p. 114 MORIN, E., (2005), cit., p. 435 MORIN, E., (2005), cit., p. 656 DURKHEIM, E., (1937), Les règles de la méthode sociologique, PUF, Paris, p. IX7 MORIN, E., (1973), Le paradigme perdu: la nature humaine, Seuil, Paris , p. 118 per un breve approfondimento in materia: MORIN, E., (1997), Sur la transdisciplinarité, in La Revue du MAUSS, n. 10, p.

21-29 in cui presenta alcuni casi di fecondità transdisciplinare nella storia delle scienze del Novecento.9 CYRULNIK, B., MORIN, E., (2000) Dialogue sur la nature humaine, editions de l’aube, p.810 MORIN, E., PIATTELLI – PALMARINI, M., L’unité de l’homme comme fondement et approche interdisciplinaire, in AA.VV.,

UNESCO (1983), Interdisciplinarité et sciences humaines, PUF, Paris, p.20811 CYRULNIK, B., MORIN, E., (2000), cit., p.12

multidimensionalità31, come la neces-sità pressante di operare una democra-tizzazione della conoscenza per colma-re la frattura tra la scienza specializzatae la conoscenza a disposizione dei citta-dini32, oppure ancora l’importanzaassegnata alla logica della dissemina-zione come metodo di diffusione ededucazione alla complessità33, vengonoad assumere un chiaro significato nelcontesto dell’intero pensiero di EdgarMorin. Per questo motivo si può aragione affermare che il contributo cheil paradigma Moriniano della comples-sità ha dato non è solamente scientifi-co e teorico. Quello che può essereriassunto nella frase a prima vista bana-le ‘I fenomeni sono complessi quindile spiegazioni non possono esserenecessariamente semplici’ intervieneanche su un secondo versante, centralein Educare gli educatori, che è più sbilan-ciato sul versante culturale; in questoversante il contributo e l’impegno diEdgar Morin sono particolarmentesignificativi: egli deriva direttamentedall’epistemologia complessa, comeabbiamo visto, una antropologia pro-fondamente umana, l’antropologiapeninsulare: tenta di ancorare la scien-za dell’uomo su una base naturale,andando certamente molto oltre ilriduzionismo; così facendo riesce aindividuare le caratteristiche (che sonoemergenze) che differenziano i sistemiviventi da quelli non viventi e l’uomodagli altri sistemi viventi (quali peresempio l’emergenza del senso e la logi-ca generativa dei sistemi complessi). Ele conseguenze politiche di tutto ciòseguono direttamente: il pensiero dellacomplessità è estremamente rispettosodel reale ed allo stesso tempo anche deibisogni che nell’essere umano deriva-no dalla necessità di conoscere e diconoscere l’unità prima di tutto.Morin afferma, al contrario di LeviStrauss, che le scienze umane hanno lapossibilità reale di rivelare l’uomo non

di dissolverlo. Egli esprime in mododiffuso queste sue riflessioni in duelibricini (in origine tre, di cui solo duetradotti in Italia)34 apparsi negli ultimianni, a loro modo profondamenteinnovativi: I sette saperi necessari all’edu-cazione del futuro35 e La testa ben fatta.

Egli propone una riforma del pensie-ro che si articola in tre sfide, quella cul-turale (integrare la conoscenza scientif-co-tecnica all’interno della culturaumanistica), quella sociologica (nellaquale si afferma la preminenza del pen-siero sulla conoscenza e sull’informa-zione), quella civica (il sapere relativoal mondo inteso come diritto e doveredi ogni cittadino). Queste tre sfide for-mano l’ossatura della riforma del pen-siero “che consentirebbe il pienoimpiego dell’intelligenza per risponde-re a queste sfide […] Si tratta di unariforma non programmatica ma para-digmatica, che concerne la nostra atti-tudine a organizzare la conoscenza”36.

Questa riforma riguarda una miglio-re organizzazione del sapere e una cir-colazione culturale delle scopertescientifiche, perché se ne possano deri-vare conseguenze antropologiche;riguarda un nuovo spirito scientificoche leghi i problemi anziché dividerli,che abbia al centro l’uomo intesocome unità; riguarda una riforma del-l’educazione, che possa prendere inconto questa unità, che sia luogo diricerca di senso personale e collettivo,che sia una polarità che orienti l’ani-ma; riguarda il modo di affrontare illimite e l’incertezza della conoscenza,rilevando i tre limiti fondamentali adessa (limite cerebrale, fisico, epistemo-logico) e superarli attraverso tre attitu-dini: lo sforzo di pensar bene, l’elabo-razione di una strategia non di un pro-getto, l’importanza della scommessavera, perché “Conoscere non è arriva-re a un verità assolutamente certa, èdialogare con l’incertezza”37; riguardauna dimensione di responsabilità poli-

tica che poggi su identità che leganonon che dividono, su identità che por-tino all’oltre, che permettano di iden-tificarsi con l’altro piuttosto che di dif-ferenziarsi; che riguarda una vera epropria declinazione di queste ideenella scuola, ai differenti livelli finoall’università. Nella scuola, proponeMorin, le conoscenze andrebbero rior-ganizzate secondo questa logica, perpreparare, insegnare, radicare la rifor-ma del pensiero.38

Ne risulta quindi una proposta che èprofondamente scientifica e profonda-mente umana, conscia dei limiti del-l’uomo ma diametralmente oppostaalla antropologia nichilista, ne risultauna proposta che prende in considera-zione l’incertezza del mondo ma chenon si sottrae alla responsabilità dimigliorarlo. Si tratta di un pensieroche riconosce i propri limiti ma pro-prio per questo si apre alla speranza: èquesta una attitudine sorprendente-mente umana che nobilita ed assegnaalla ricerca scientifica un preciso, perti-nente e costruttivo ruolo all’internodella società.

In conclusione vale la pena solamen-te di fare un accenno ad una esperien-za intellettuale, scientifica e culturaleche si muove in una direzione simile aquella proposta da Morin: è l’esperien-za del MAUSS (Mouvement anti-utili-tariste dans les sciences sociales), citatoe discusso da Morin, che incentra lasua ricerca sulla logica del dono comespiegazione delle azioni e delle scelteumane piuttosto che lasciarla all’utili-tarismo ed all’incontro scontro di inte-ressi. Ne sono parte alcuni noti intel-lettuali francesi come Latouche, Aznar,Caillé, Lipiez,39. Pur essendo menoorganica, coerente e conosciuta del-l’opera e del pensiero di Morin, l’atti-tudine degli intellettuali del MAUSSrisulta solidamente basata scientifica-mente e impegnata culturalmente ecostruttivamente nella società40.

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12 MORIN, E., (1973), cit., p. 2113 MORIN, E., (1984), Scienza con coscienza, Franco Angeli, Milano, Ed or.: (1982) Sceince avec conscience, Fayard, Paris.

p. 5ss14 MORIN, E., (1973) cit., p.21415 MORIN, E., LE MOIGNE, J.L., (1999) L’intelligence de la complexité, L’Harmattan, Paris, p. 4516 Il riferimento a von Hayek è veramente molto interessante perché permette di legare, e seppur minimamente ne abbiamo

parlato nel capitolo precedente, la tematica della complessità alla grande tradizione del pensiero conservatore che, al di là dellesoluzioni politiche di volta in volta proposte, è sempre stato molto attento ad intendere la società come processo storico com-plesse ed a denunciare il semplicismo delle pretese positiviste e razionaliste della ragione umana progettante (vedere per esem-pio al dibattito che seguì la rivoluzione francese). Il paradigma della complessità potrebbe permettere una circolazione virtuo-sa tra il pensiero progettante ed il pensiero storico, entrambi componenti fondamentali ella nostra cultura. Il problema del-l’azione è brevemente affrontato in MORIN, E., LE MOIGNE, J.L., (1999) cit., p.81

17 Scrive infatti: “Questo articolo asserisce due tesi principali. La prima è che il corso dell’evoluzione, così come ci appare, èsottoposto a talune leggi semplici e generali che possono essere comprese con i metodi dell’indagine scientifica. La seconda èche queste leggi valgano con la medesima forza per i sistemi fisici, fisico-chimici e biologici, e forse anche per i sistemi sociocul-turali.” LASZLO, E., in BOCCHI, G., CERUTI, M., (1985), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano , p.362

18 LASZLO, E., cit., p.36919 LASZLO, E., cit., p.36620 LASZLO, E., cit., p.376 È qui esposta una indicazione programmatica profondamente rispettosa della complessità21 “La questione fondamentale non è in che modo nelle società venga garantito un comportamento coerente, ma proprio il

fatto che questo comportamento è garantito in maniera precisa e sicura” LASZLO, E., cit., p.38722 Di questo fattore sono ben coscienti gli storici, vedere per esempio l’ampia parte dedicata alla descrizione geografica e

geofisica del bacino mediterraneo che occupa la prima parte del famoso studio “La mediterranée” di Braudel. Oppure, semprea titolo di esempio l’affascinante saggio sulla demografia “Essai de geometrie sociale” di uno studioso dell’Ecole polytechnique,nel quale l’evoluzione della popolazione francese è studiata a partire dalla geofisica della Francia e con metodi di analisi prove-nienti dalla teoria del caos.

23 Si intende, il lavoro di traduzione o di interpretazione sono una costante ineliminabile e in molti casi fruttifera per illinguaggio e per il pensiero nella conoscenza di senso comune e nella conoscenza scientifica. Vedere per esempio le rifles-sioni si Gadamer sul versante filosofico dell’interpretazione e di Callon e Latour sul versante della teoria sociologica. “Lesacteurs travaillent constamment à traduire leurs langage, leurs problèmes, leurs identitées ou leurs intérêts dans ceux desautres” CALLON, M., in CORCUFF, P., Les nouvelles sociologies, PUF, Paris, p.70

24 AA.VV., UNESCO (1983), Interdisciplinarité et sciences humaines, PUF, Paris, p.1725 MSHVENIERADZE, V.V. (1974), Aspectes epistemologiques des sciences sociales et biologiques, in UNESCO, Revue internatio-

nale des sciences sociales, vol. XXVI (1974), n° 4, , PUF, Paris, p.63626 AA.VV., UNESCO (1983), cit., p.1727 Molto interessante in questo senso come suggestione la pagina di chiusura del saggio di Prigogine, nella quale allarga il

campo ai problemi mai tramontati della filosofia quali l’essere, l’individuazione, la temporalità dell’universo. PRIGOGINE, I.,cit., p.192

28 HEATH, C., KNOBLAUCH, H., LUFF, P., Technology and social interaction: the emergence of ‘workplace studies’, in BritishJournal of Sociology, Vol.51 Issue n.2, giugno 2000, p.307 e 315. Si riporta in questo articolo per esempio il fatto che alcune nuoviapprocci che chiarificano il rapporto tra cognizione e società possano chiarificare il problema vizioso del rapporto tra mico emacro.

29 Vedere per esempio la “Logica more geometrico demonstrata” di Spinoza, per il paradosso dell’intenzionalità.30 In BOCCHI, G., CERUTI, M., (1985), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano // Nelle ultime pagine del contri-

buto di Atlan c’è una reinterpretazione interessante del concetto di intenzionalità, come significato sostanzialmente prodottodall’osservatore e nel caso della società reciprocamente prodotto dagli uomini che si osservano a vicenda. ATLAN. H., cit., p.172

31 MORIN, E., (2005), cit., p.3932 MORIN, E., (2005), cit., p.2933 MORIN, E., (2005), cit., p.2734 Il terzo è MORIN, E., (1999) Relier les connaissances, Seuil, Paris35 In Educare gli educatori, il capitolo finale è dedicato a sintetizzare i passaggi salienti di I sette saperi necessari all’educazione

del futuro, a p. 7736 MORIN, E., (2000) La testa ben fatta, Raffaello Cortina Editore, Milano, p.1337 MORIN, E., (2000) cit., p.5938 Il libro MORIN, E., (2001) I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano contiene

appunto uno schema possibile di questa riorganizzazione, pensata attorno a sette pilastri: riconoscere i limiti della conoscen-za, produrre conoscenza pertinente, insegnare la condizione umana unitaria, trasmettere l’identità terrestre responsabile,affrontare le incertezze, insegnare la comprensione come fine della comunicazione, elaborare l’etica della complessità.

39 Maggiori informazioni oltre che dai volumi pubblicati dai componenti si trovano negli archivi della rivista pubblicata dalgruppo presente sul web: http://www.revuedumauss.com.fr/

40 Anche GODBOUT, J. T., si è occupato della logica del dono e ha pubblicato con Alain Caillé nel 1992, L’Esprit du don(Paris et Montréal, La Découverte et Boréal), e Le don, la dette et l’identité.