La rivolta de ’I Santarielli del 5 marzo 1963 sulla ... · Oltre alle finalità storiche della...

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La rivolta de ’I Santarielli del 5 marzo 1963 sulla gradinata di S.Biagio di Antonio Cima 05-03-2013 …cinquant’anni dopo Da Chjazza alla Taverna ni pruvvide lu Patreternu”, ma in quel 5 marzo di 50 anni fa neppure Lui potè evitare la sommossa che si concluse con gran risentimento nei confronti del parroco e del vescovo. Si trattò di una reazione al tentativo di spostare la processione delle Varette dalla chiesa del quartiere antico (Chjazza) alla chiesa del quartiere moderno (Taverna). Prima di scrivere il presente testo sono state sentite più di venti persone testimoni oculari e protagonisti dei fatti. Tante se ne raccontano, ognuno espone i propri ricordi deducendo a posteriori, alcuni coinvolti fattivamente mitigano, qualcuno “non ricorda”, altri s’infiammano. Gli elementi complessivamente raccolti sono stati valutati assolutamente confacenti, ritenuti base di affidabile riscontro integrabile con ulteriori aspetti che ne possano ulteriormente arricchire il quadro storico. Non esistono foto, nè filmati, nè atti documentali conseguenti, oltre alla lettera di commiato di Don Cortese del 10-06-1963 (allegata a fondo testo) determinante nella ricostruzione delle date. Oltre alle finalità storiche della vicenda si è ritenuto opportuno spaziare in ambito territoriale su come Amantea era strutturata a quel tempo. In una precedente riflessione scherzosa (‘a china dugnu dugnu..) ebbi a dire che la contesa più aspra della storia tra opposte fazioni fu quella amanteana tra il quartiere alto della Chjazza (1) e quello basso della Taverna (1). Se dovessimo assumere come riferimento di tal contesa quanto è insito nei fatti che seguono, la riflessione da scherzosa potrebbe diventare seriosa. La premessa è obbligatoria quanto lunga. E’ una storia che confonde religione e campanilismo con iniziative non ragionate, un po’ colpose, e reazioni esagerate, non giustificabili, solo parzialmente comprensibili. Tante sono le località con una storia cittadina che è iniziata e si è sviluppata nel borgo antico, cedendo gradualmente il passo ad una zona nuova, emergente, più confacente alle moderne esigenze. Anche ad Amantea, come in quasi tutti i paesi della costa Calabrese, è avvenuto un graduale spopolamento dal centro storico sulla rocca verso i nuovi quartieri pianeggianti sul mare. Ai tempi in cui è collocato l’accadimento, 5 marzo 1963, il centro storico di Amantea, pur nel contesto di una scia d’emigrazione iniziata dalla fine dell’800, sempre presente ed accentuata poi con il “miracolo economico” italiano, era ancora popolatissimo. Il borgo antico vedeva presente tutta la marineria (2) chjazzitana con una moltitudine di famiglie (3) con numerosa prole. Lo spopolamento è cominciato da fine ’60 fino agli inizi degli anni ‘80 a causa dell’emigrazione di massa e del consistente trasferimento alla Taverna nelle abitazioni popolari che hanno preso il toponimo locale “‘i palazzini di marinari” (4). I pochi non coinvolti nell’emigrazione e non beneficiari di alloggio popolare sono anch’essi scesi nella zona marina in case più confacenti al tempo. Nel 1963 tutti gli uffici pubblici e il mercato domenicale (5) erano ancora nel quartiere antico. Quanto sopra per chiarire che le motivazioni ufficiali addotte (di un presunto spopolamento del centro storico), che hanno generato la contestazione, non esistevano al momento dei fatti. Da più parti si sostiene che al Vescovado fossero arrivate notizie di una processione delle Varette ormai decadente e con poca partecipazione per via della esigua popolazione. Per quanto attiene le tradizioni religiose, si può ulteriormente aggiungere che, in fatto di riti, tutte le località hanno mantenuto lo status che si è stabilizzato nei secoli. Chi ha conoscenza dei riti religiosi calabresi (6) sà che ancora oggi, ovunque, si fanno le stesse cose negli stessi luoghi e con lo stesso percorso di sempre. Questa considerazione non può, in nessun caso, soccorrere le spropositate reazioni che dal prossimo capoverso prendono consistenza.

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La rivolta de ’I Santarielli del 5 marzo 1963 sulla gradinata di S.Biagio di Antonio Cima 05-03-2013 …cinquant’anni dopo ”Da Chjazza alla Taverna ni pruvvide lu Patreternu”, ma in quel 5 marzo di 50 anni fa neppure Lui potè evitare la sommossa che si concluse con gran risentimento nei confronti del parroco e del vescovo. Si trattò di una reazione al tentativo di spostare la processione delle Varette dalla chiesa del quartiere antico (Chjazza) alla chiesa del quartiere moderno (Taverna). Prima di scrivere il presente testo sono state sentite più di venti persone testimoni oculari e protagonisti dei fatti. Tante se ne raccontano, ognuno espone i propri ricordi deducendo a posteriori, alcuni coinvolti fattivamente mitigano, qualcuno “non ricorda”, altri s’infiammano. Gli elementi complessivamente raccolti sono stati valutati assolutamente confacenti, ritenuti base di affidabile riscontro integrabile con ulteriori aspetti che ne possano ulteriormente arricchire il quadro storico. Non esistono foto, nè filmati, nè atti documentali conseguenti, oltre alla lettera di commiato di Don Cortese del 10-06-1963 (allegata a fondo testo) determinante nella ricostruzione delle date. Oltre alle finalità storiche della vicenda si è ritenuto opportuno spaziare in ambito territoriale su come Amantea era strutturata a quel tempo. In una precedente riflessione scherzosa (‘a china dugnu dugnu..) ebbi a dire che la contesa più aspra della storia tra opposte fazioni fu quella amanteana tra il quartiere alto della Chjazza (1) e quello basso della Taverna (1). Se dovessimo assumere come riferimento di tal contesa quanto è insito nei fatti che seguono, la riflessione da scherzosa potrebbe diventare seriosa. La premessa è obbligatoria quanto lunga. E’ una storia che confonde religione e campanilismo con iniziative non ragionate, un po’ colpose, e reazioni esagerate, non giustificabili, solo parzialmente comprensibili. Tante sono le località con una storia cittadina che è iniziata e si è sviluppata nel borgo antico, cedendo gradualmente il passo ad una zona nuova, emergente, più confacente alle moderne esigenze. Anche ad Amantea, come in quasi tutti i paesi della costa Calabrese, è avvenuto un graduale spopolamento dal centro storico sulla rocca verso i nuovi quartieri pianeggianti sul mare. Ai tempi in cui è collocato l’accadimento, 5 marzo 1963, il centro storico di Amantea, pur nel contesto di una scia d’emigrazione iniziata dalla fine dell’800, sempre presente ed accentuata poi con il “miracolo economico” italiano, era ancora popolatissimo. Il borgo antico vedeva presente tutta la marineria (2) chjazzitana con una moltitudine di famiglie (3) con numerosa prole. Lo spopolamento è cominciato da fine ’60 fino agli inizi degli anni ‘80 a causa dell’emigrazione di massa e del consistente trasferimento alla Taverna nelle abitazioni popolari che hanno preso il toponimo locale “‘i palazzini di marinari” (4). I pochi non coinvolti nell’emigrazione e non beneficiari di alloggio popolare sono anch’essi scesi nella zona marina in case più confacenti al tempo. Nel 1963 tutti gli uffici pubblici e il mercato domenicale (5) erano ancora nel quartiere antico. Quanto sopra per chiarire che le motivazioni ufficiali addotte (di un presunto spopolamento del centro storico), che hanno generato la contestazione, non esistevano al momento dei fatti. Da più parti si sostiene che al Vescovado fossero arrivate notizie di una processione delle Varette ormai decadente e con poca partecipazione per via della esigua popolazione. Per quanto attiene le tradizioni religiose, si può ulteriormente aggiungere che, in fatto di riti, tutte le località hanno mantenuto lo status che si è stabilizzato nei secoli. Chi ha conoscenza dei riti religiosi calabresi (6) sà che ancora oggi, ovunque, si fanno le stesse cose negli stessi luoghi e con lo stesso percorso di sempre. Questa considerazione non può, in nessun caso, soccorrere le spropositate reazioni che dal prossimo capoverso prendono consistenza.

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Come in ogni “film” che si rispetti iniziamo dal titolo e dai protagonisti. Siamo al 5 marzo del 1963, Amantea appartiene alla Diocesi di Nicotera-Tropea (7) governata da Mons. Giuseppe Bonfiglioli, ordinato sacerdote il 4 febbraio 1934, vescovo della diocesi calabrese dal 21 maggio 1961, successivamente a capo delle diocesi di Siracusa e di Cagliari ove concluse la sua opera ecclesiastica e la propria vita. Ad Amantea esistevano quattro parrocchie: a) – centro storico (Chjazza) - San Biagio (9) che raggruppava le chiese: Matrice, del Carmine; il parroco era Don Bruno Caruso (10), arciprete cittadino, originario di Lago; b) – rione Catocastro – Sant’Elia (Collegio) (11) con parroco Don Franco Furchì (13); c) – zona marina (Taverna) - Santa Maria la Pinta (Cappuccini) (12) con il parroco Don Gaetano Cortese (13). d) – frazione di Campora – San Pietro Apostolo (14) con parroco Don Giovanni Posa. Il parroco maggiormente coinvolto nei fatti fu Don Cortese. Originario di Tropea, ad Amantea dal 1941, era persona attenta, dinamica, presente nel territorio, attiva in vari contesti sociali. Nel 1961 si adoperò per far rinascere il calcio amanteano decaduto e praticamente inattivo. Il 4 gennaio di quell’anno scrisse una lettera aperta al sindaco di Amantea sul "Corriere dello Sport" chiedendo, ed ottenendo, la concessione dal campo sportivo. Da tale iniziativa il calcio amanteano si riprese riconquistando il prestigio confacente alla sua storia (fonte: libro di Leonardo Anelli sulla storia del calcio amanteano). Fondò associazioni religiose e civili, aprì la libreria “Sacro Cuore”, si adoperò in varie attività con coinvolgimento di giovani (16 e 17) e meno giovani. Il grande dinamismo gli causò qualche malinteso in ambito dell’organizzazione con gli attivisti religiosi con conseguente “scissione” di un gruppetto che confluì nella parrocchia del quartiere alto. La grande motivazione di crescita della parrocchia guidata lo portò ad iniziative ecclesiasticamente alternative. Istituì le “40 Ore” dei Cappuccini che si svolgevano in contemporanea a quelle di San Biagio; dispose, per le ore serali del Venerdì Santo, una mini processione di Varette (18) dalla chiesa Santa Maria la Pinta (Cappuccini) per la sola zona marina (Taverna) con le sole statue del Crocifisso e dell’Addolorata accompagnate dalla confraternita dei pescatori di via Margherita (‘a congreja ‘i vasciu –così veniva definita per distinguerla da quella dei pescatori da Chjazza). Le processioni religiose erano moltissime; le più importanti si svolgevano sopra, alla San Biagio (9). Una di esse fù al centro della controversia. Non è dato con certezza sapere se si trattasse della “40 Ore” conclusiva (19) o quella delle Varette (‘I Santarielli) (20). Gli sviluppi di risentimento lasciano supporre che si trattasse delle Varette considerando inverosimile una reazione popolare per le “40 Ore”. Della processione delle “40 ore” in ogni chiesa se ne svolgeva una, ma quella principale di chiusura (definita della “Benedizione Papale”), con competenza della confraternita Madonna del S.S. Rosario dei pescatori del borgo antico, si svolgeva nella chiesa di S.Biagio (Matrice), nel centro storico, il Martedì Santo tre giorni prima delle Varette. Il pomo della discordia, che avvampò il non taciuto campanilismo tra quartiere storico e quartiere moderno, fù il tentativo di spostare quella processione (“40 Ore” o Varette che sia) dalla chiesa da Chjazza (San Biagio - Matrice) nella chiesa da Taverna (Santa Mara la Pinta - Cappuccini), ovvero dal quartiere vecchio al quartiere nuovo. Le motivazioni di tale tentativo di traslazione, per quanto da molti viene raccontato e come sopra accennato, sarebbero state originate dalla crescente valenza demografica del rione marino e dalla presunta regressione di quello antico con pari riflessi sulle relative parrocchie. Senza timori di smentite si può affermare che in tal periodo nel borgo antico permaneva una folta popolazione con una moltitudine di famiglie con tanti figli (3). Si può ritenere verosimile un dialogo avvenuto tra parrocchie e vescovado sulle evoluzioni organizzative prospettate. Quanto presumibilmente concordato avrebbe dovuto essere ufficializzato (così apparve a tanti) in un incontro avvenuto nella chiesa di San Biagio il 5 marzo del 1963.

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Arrivò ad Amantea il vescovo Mons. Bonfiglioli accompagnato dal segretario e dall’autista; furono accolti nella chiesa Matrice alla presenza dei parroci del comprensorio e da altre personalità che la visita di un Vescovo richiama. Dai piedi della gradinata l’alto prelato salì in chiesa tra gli astanti che, diversamente da come abitualmente avviene, non si mostrarono felici della venuta dell’importante ospite. La presenza del Vescovo ad Amantea avvalorò i timori che da un po’ di tempo correvano nei vicoli della Chjanura (21). L’incontro si svolse a porte chiuse nel riserbo della sagrestia (22). Dalla chiusura della porta della chiesa alla riapertura trascorse circa un’ora. In quella ora il bacino del risentimento si colmò come l’acqua nella vallata limitata dalla diga del Vajont che l’anno successivo segnò la tragica data dell’alluvione. Nessuno sà come successe, ma immediatamente tra Pantalia (23) e Chjazza (24), passando dallo spiazzo del teatro Carratelli (25), circolò la voce che il Vescovo fosse venuto ad Amantea per portare la processione alla Taverna. La voce si sparse rapidamente. Come avveniva in ambito marinaro, per il pescato, ove la cassetta di alici sulla spiaggia diventava ‘na varcata alla Chjanura, si sommarono “40 ore” e Santarielli (così allora veniva comunemente chiamata la processione delle Varette del Venerdì Santo). La notizia vola veloce di bocca in bocca (De Andrè) e quell’ora fu sufficiente per far ritrovare una moltitudine di gente sul sagrato, sulla gradinata e davanti al teatro Carratelli (25). Si racconta di una grande folla come all’uscita delle Varette (26). Il timore che si stesse decidendo per il trasferimento delle processioni di chiusura delle “40 ore” e/o dei Santarielli , nel cuore e nella mente dei fedeli prese forma e sostanza. I giovani lungo la strada si misero a gridare ossessivamente “’I Santarielli ‘i vulimu alla Chjazza” come oggi si fa negli stadi “chi non salta…”. Alcuni si “armarono” di ramoscelli strappati agli alberi di acacia presenti nella sciolla ‘i Pantalia (23). I ragazzi più vigorosi si misero a piantonare il magazzino del vicolo S.Biagio (27) che sale nel cuore del rione, da sempre alloggio delle statue minori delle Varette che non trovano posto in chiesa. La tensione montava come lo tsunami quando arriva sotto costa. Ma di tale rimestio nulla perveniva nel chiuso della sagrestia. Finalmente la porta della chiesa si spalancò, i manifestanti si zittirono; uscì il sagrestano (10) mentre il vescovo, attorniato dai “confabulatori”, da metà della navata centrale si avviò verso l’uscita. Nel frattempo dalla vicina caserma (28) arrivarono alcuni carabinieri, dai palazzi del borgo confluirono davanti alla chiesa persino i “nobili” del quartiere. Quando il vescovo oltrepassò la porta si trovò davanti ad una folla silente che dovette interpretare come disposta al baciamano. Dal gradino della porta mise il piede sul sagrato avanzando di alcuni passi predisponendosi al rituale bacio dell’anello. Ma sull’anulare destro di Mons. Bonfiglioli non arrivarono i baci d’obbedienza consueti per gli alti prelati in tali contesti. Cosa successe a tal punto è figlio di una esasperazione irragionevole, che poteva essere evitata con il buonsenso generale. Si prosegue il racconto sulla base di quanto di questi momenti, da tante persone, viene ricordato, raccontato, confrontato, dedotto. Dalla versione più ricorrente, tra quelle raccontate dai testimoni, si avvicinarono all’alto prelato un uomo di minuta statura e una donna di robuste fattezze; il vescovo allungò la mano destra verso l’uomo che si chinò sull’arto dell’eminente ospite, ma non fù un bacio; la donna che stava dietro all’uomo si fece avanti, avvicinò il palmo della mano destra aperto sul volto del vescovo, ma non fù una carezza. Sembrò l’innesco di una miccia. Ne seguì un gran tramestio, urla, insulti, spintoni, i ramoscelli di acacia vibrati in aria (ma non fù un gesto pasquale), qualche mano e qualche piede orbitarono intorno al segretario del vescovo e al parroco dei Cappuccini. I carabinieri si adoperarono al meglio sedando immediatamente le intemperanze, ma in pochi secondi i gesti incancellabili erano stati compiuti. Vescovo, Segretario e parroco con non poche difficoltà ripararono nell’auto che, a sportelli chiusi, fù sollevata dall’asfalto da un gruppo di esagitati che la scossero prima di riposizionarla sul manto stradale.

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Intervennero subito i carabinieri che fecero spazio e l’auto potè avviarsi in direzione del municipio per riparare nella chiesa dei Cappuccini. Durante l’attraversamento del centro storico in auto agli intimoriti “fuggitivi” non furono risparmiate frasi di risentimento. Vescovo e accompagnatori raggiunsero la chiesa di Santa Maria La Pinta (Cappuccini) accolti da volti preoccupati dei parrocchiani tavernuoti. Intanto, tra le Case Sciullate, Pantalia e teatro Carratelli, ritornò lentamente la ragionevolezza con il disorientamento di moltissimi e l’appagamento di alcuni. La giornata della rivolta fini lì, ma un seguito vi fù. Nei giorni che seguirono si verificarono scaramucce tra risentiti tavernuoti e chjazzitani scesi nelle vie della zona marina. Mai si verificarono veri scontri, ma per anni reciproche accuse mantennero in vita il ricordo di quella “sommossa”. Due amanteani molto attendibili, figli di funzionari pubblici in servizio in quel periodo, hanno riferito quanto raccontato dai genitori, ovvero che, il mattino della processione delle Varette (che si svolse dopo alcune settimane dai fatti), fu notato in via V.Emanuele il segretario del Vescovo ad “osservare” la consistenza della processione. Viene citato questo particolare, per come illustrato, con le inevitabili riserve sulla figura individuata come segretario del vescovo. Dopo alcune settimane dall’accadimento una decina di “rivoltosi” furono convocati in pretura (29) per rispondere sui fatti. Fù incaricato della difesa un avvocato amanteano che riuscì a farli prosciogliere nell’udienza preliminare. Gran parte dei dieci nel frattempo sono emigrati e attualmente vivono all’estero da molti anni; quelli che sono rimasti ad Amantea sostengono che solo alcuni dei convocati furono reali protagonisti; citano alcuni nomi di personalità dell’epoca che non tennero le mani in tasca nè i piedi sul sagrato, ma di costoro nessuno fu convocato davanti al pretore. Tre mesi dopo i fatti, nel giugno 1963 (vedi lettera commiato allegata), la curia dispose alcuni trasferimenti (verosimilmente correlati ai fatti): -Don Franco Furchì finì alle parrocchie di San Pietro (30) e Terrati (31) con beneficio di posizione. -Don Gaetano Cortese andò a Parghelia ritornando praticamente nei luoghi d’origine essendo egli della confinante Tropea. -Nella parrocchia della Matrice rimase Don Bruno Caruso; in tanti sostengono che gli fu revocata la carica di arciprete, ma elementi certi non sussistono nè appare significativo indagare su ciò. -Nella parrocchia di Sant’Elia (Collegio), al posto di Don Franco Furchì, arrivò Don Filippo Aloisio parroco di Fiumefreddo, che successivamente (nel 1979) fù erede di Don Bruno nella parrocchia di San Biagio che da allora accorpò la parrocchia di Sant’Elia (Collegio). -A seguire arrivò nella parrocchia dei Cappuccini Don Giulio Spada (15). A fine anno 1963 fu riorganizzato il territorio diocesano (ma i fatti di Amantea non entrarono in tali decisioni della Curia). Con decreto del 16 dicembre 1963 vennero staccati dalla diocesi di Tropea: - nove comuni in provincia di Cosenza (Amantea e circondario) assegnati alla diocesi di Cosenza-Bisignano (8); -tre comuni in provincia di Catanzaro (Falerna, Nocera Terinese, San Mango d'Aquino) assegnati alla diocesi di Nicastro. Questa storia è nota a pochi amanteani, in prevalenza ad anziani, in misura maggiore a persone del centro storico. Cinquant’anni sono sufficienti per ragionare in modo distaccato su questa boccaccesca vicenda che oggi non potrebbe in nessun modo verificarsi. Si ritiene utile averla raccontata perché facente parte, comunque, di un contesto che non può essere cancellato. Antonio Cima 05-03-2013

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Si ringraziano per la fattiva collaborazione i tanti che hanno contribuito alla ricostruzione dei fatti. Saranno accolti con gratitudine eventuali interventi ed elementi documentali ad integrazione, revisione ed arricchimento storico dei contenuti qui rappresentati. Segue un quadro documentale e fotografico di persone, luoghi ed eventi di allora che dell’inusitato “film” rappresentano personaggi e ambientazione. Le foto di ambiti personali sono state fornite dagli interessati consapevoli della pubblicazione delle stesse sul sito.

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la lettera di commiato di Don Cortese, utilissima per determinare le date; sentiti ringraziamenti vanno al prof. Salvatore Sciandra che gentilmente ne ha resa disponibile una copia

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(1) Amantea nel ’60 – sulla rocca il centro storico (Chjazza); nella zona pianeggiante la zona moderna (Taverna)

(2) Confraternita Madonna SS Rosario dei pescatori nel ‘60 – una piccola parte dei capifamiglia della marineria – in basso sulla destra si nota il parroco Don Bruno Caruso coinvolto nei fatti

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(3) Famiglie tipo di pescatori con numerosa prole tipiche del periodo nel borgo antico Erano tantissime le famiglie con tale composizione a quell’epoca

(4) Amantea oggi – la zona cerchiata indica le cosiddette “palazzine di marinari” ove si trasferì una moltitudine di famiglie dal borgo antico nel ‘60

(5) anni ’60 mercatino domenicale nel centro storico - vendita pesce salato al Bancato (spiazzo lato est municipio)

(6) Madonna delle Grazie di Scalea 2011 – il rito si svolge secondo antichissima tradizione nel borgo antico tra vicoletti più impervi di quelli del centro storico di Amantea; in alcuni punti la statua deve scivolare sul selciato per passare sotto gli archi. Pur avendo Scalea un’ampia zona pianeggiante e un centro storico pochissimo abitato così va la processione.

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(7) Cattedrale e sede diocesana di Tropea a cui Amantea apparteneva nel marzo1963

(8) Cattedrale e sede diocesana di Cosenza a cui Amantea appartiene dal dicembre1963

(9) Chiesa di S.Biagio (Matrice) della omonima parrocchia nel borgo antico

(10) il parroco di S.Biagio, Don Bruno Caruso, arciprete di Amantea; in alto a destra il sagrestano

(11) Chiesa Sant’Elia (Collegio) della omonima parrocchia (Don Franco Furchì)

(12) Chiesa Santa Maria la Pinta (Cappuccini) della omonima parrocchia - Don G. Cortese

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(13) Processione della Madonna della Consolazione da San Bernardino fine anni ‘50 (una delle ultime, soppressa poco dopo); si notano al margine sinistro della foto il parroco Don Franco Furchì

e al suo fianco il parroco Don Gaetano Cortese

(14) Chiesa S.Pietro Apostolo di Campora della omonima parrocchia (oggi dismessa)

(15) Don Giulio Spada che divenne parroco di S.Maria La Pinta (Cappuccini) dopo Don

Cortese

(16) Don Gaetano Cortese con giovani - fine ‘50

(17) Don Gaetano Cortese durante l’inaugurazione della scuola media a S.Bernardino metà ‘50

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(18) A sinistra fine anni ’50 L’Addolorata esce dalla chiesa dei Cappuccini (in primo piano sulla destra Don Gaetano Cortese; a destra (metà anni ‘40) la processione pomeridiana del Venerdì Santo che usciva dalla chiesa dei Cappuccini, con Addolorata e Crocifisso, e attraversava le vie della zona marina (Taverna) accompagnata dalla confraternita dei pescatori di via Margherita (‘a via di marinari) denominata ‘a congreja ‘i vasciu.

(19) Processioni attuali delle “40 Ore”; a sinistra quella della confraternita del Cuore di Gesù (2009); a destra quella della confraternita della Madonna del SS Rosario (2010 - dei pescatori); Entrambe dalla chiesa San Biagio con percorso fino al Crocevia del Carmine e ritorno

(20) Processione delle Varette del Venerdì Santo dalla chiesa di S.Biagio per tutta Amantea. Nella foto a sinistra (anni ’40) si notano il giovane Don Bruno e l’anziano Don Ninno Fuoco che era parroco di Sant’Elia (collegio) prima di Don Franco Furchì.

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(21) Largo Chianura, cuore del quartiere marinaro (22) anni ‘40 - La sagrestia con Don Bruno

impegnato in operazioni di ratifiche nuziali

(23) Zona Pantalia sotto la chiesa S.Biagio; alberi di acacia sulla strada e nella sciolla

(24) Spiazzo del municipio, centro nevralgico dell’ampio rione Alto detto Chjazza

(25) Teatro Carratelli – nello spiazzo dell’attuale balconata fronte chiesa S.Biagio esisteva il teatro Carratelli. I ruderi sono stati presenti fino agli anni ’80. La foto di sinistra mostra l’intera struttura negli anni ’30; a destra il gioco della cuccagna nello spiazzo del teatro con i ragazzi seduti sui muri dei ruderi.

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(26) Lo spiazzo sotto la gradinata di San Biagio in attesa dell’uscita delle Varette; si racconta che

così apparve lo spazio che allora era davanti al teatro Carratelli

(27) Il magazzino che fino a pochi anni fa ospitava le statue delle Varette che non trovavano posto in chiesa. Oggi sono custodite in altri ambienti annessi alla chiesa. Pochi giorni prima delle processione le Varette vengono predisposte in chiesa per la pulizia e piccoli restauri. A sinistra il vicolo e la porta del magazzino; a destra l’annuale spostamento in chiesa

(28) il palazzo sotto la parete rocciosa, ad est di Catocastro era allora Caserma dei Carabinieri

(29) Il palazzo a sinistra del municipio (oggi anch’esso municipio) era allora Pretura

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(30) Chiesa della parrocchia di San Pietro (31) Chiesa della parrocchia di Terrati