La Rivelazione Di Dio

42
La Rivelazione di Dio di Maximos Lavriotis Peterhouse - Cambridge La Rivelazione di Dio La differenza cruciale tra la teologia orientale e quella occidentale Biografia di Maximos Lavriotis: Maximos è nato nel 1949 a Pireo (Grecia). Nel 1971 si è laureato in teologia all’Università di Atene. Nel 1971-72 è divenuto monaco postulante nei monasteri della Meghisti Lavra e di Dionisiou (Monte Athos). Nel 1973-75 ha proseguito i suoi studi frequentando corsi post-universitari di filologia bizantina all’Università di Londra. Nel 1975 ha fatto la professione monastica e nel 1979 ha ricevuto il "grande schema" nel Sacro monastero della Meghisti Lavra. Dal 1978 al 1987 è divenuto assistente presso la Facoltà teologica dell’Università di Salonicco. Nel periodo che va dal 1983 al 1989 ha prodotto la prima edizione critica delle opere su San Gregoro il Sinaita con il professore Hans Veit Besser dell’Università di Bonn. Nel 1989 è divenuto presbitero e archimandrita. Nel periodo che va dal 1989 al 1996 è stato priore al Sacro Tempio di Sant’Atanasio in Cambridge (UK). In questo periodo ha rappresentato l’Arcivescovo di Thiatira al Consiglio britannico delle Chiese e al Consiglio delle Chiese di Bretagna e Irlanda. Inoltre ha fatto parte del Comitato di teologia e unione intervenendo per le questioni balcaniche e orientali. Nel 1993 è divenuto ricercatore presso la Facoltà teologica dell’Università di Cambridge

description

maximos lavriotis

Transcript of La Rivelazione Di Dio

La Rivelazione di Dio

di Maximos Lavriotis

Peterhouse - Cambridge

La Rivelazione di Dio

La differenza cruciale tra la teologia orientale e quella occidentale

Biografia di Maximos Lavriotis: Maximos è nato nel 1949 a Pireo

(Grecia). Nel 1971 si è laureato in teologia all’Università di Atene. Nel

1971-72 è divenuto monaco postulante nei monasteri della Meghisti

Lavra e di Dionisiou (Monte Athos). Nel 1973-75 ha proseguito i suoi

studi frequentando corsi post-universitari di filologia bizantina

all’Università di Londra. Nel 1975 ha fatto la professione monastica e

nel 1979 ha ricevuto il "grande schema" nel Sacro monastero della

Meghisti Lavra. Dal 1978 al 1987 è divenuto assistente presso la Facoltà

teologica dell’Università di Salonicco. Nel periodo che va dal 1983 al

1989 ha prodotto la prima edizione critica delle opere su San Gregoro il

Sinaita con il professore Hans Veit Besser dell’Università di Bonn. Nel

1989 è divenuto presbitero e archimandrita. Nel periodo che va dal 1989

al 1996 è stato priore al Sacro Tempio di Sant’Atanasio in Cambridge

(UK). In questo periodo ha rappresentato l’Arcivescovo di Thiatira al

Consiglio britannico delle Chiese e al Consiglio delle Chiese di Bretagna

e Irlanda. Inoltre ha fatto parte del Comitato di teologia e unione

intervenendo per le questioni balcaniche e orientali. Nel 1993 è divenuto

ricercatore presso la Facoltà teologica dell’Università di Cambridge

presentando la tesi Le precoci spiegazioni delle teofanie manifestate

nell’Antico Testamento. Nel 1994 è divenuto membro del dialogo

cristiano-buddista. Dal 1994 al 1997 è stato Lettore di Storia della

teologia della Chiesa ortodossa presso l’Università di Cambridge. Fino

ad oggi ha scritto e pubblicato numerosi articoli. Il presente articolo

teologico, nonostante qualche particolare e personale considerazione

propria all'autore, riflette e spiega bene la posizione tradizionale della

Chiesa ortodossa.

LA RIVELAZIONE DI DIO

L' ebraismo e il cristianesimo sono tradizionalmente definiti come

religioni rivelate. Effettivamente Dio si rivela pienamente alla prima

coppia umana già nel primo capitolo della Genesi. Gli ebrei e similmente

i cristiani ammettono che nelle loro Sacre Scritture non si può facilmente

distinguere tra il racconto e la Rivelazione divina. Dio rimane in intimità

con gli uomini non solo prima della caduta ma pure dopo, come se nulla

fosse intervenuto. Egli appare ad Adamo prima e dopo la sua caduta e si

rivela a Caino dopo che questo ha ucciso il fratello. Apparentemente non

esiste alcun limite morale che impedisca a Dio di rivelarsi alle sue

creature. L’aspetto più significativo della Rivelazione Biblica è il

semplice fatto che Dio manifesta Se stesso. La percezione medievale e

moderna secondo cui la Rivelazione mira inestricabilmente a comunicare

un messaggio e quindi Dio, in un modo o in un altro, deve rivelarsi sia

per impartire il messaggio all’umanità sia per punirla, non può essere

biblicamente fondata. La Rivelazione biblica è primariamente l’auto-

manifestazione di Dio. Infatti Dio stesso è il messaggio perché nella

Rivelazione Egli coincide con il medesimo Evento. In quest’aspetto ciò

che interessa veramente è il contatto intimo dell’uomo con la realtà

increata. Le conseguenze di tale contatto potrebbero essere sintetizzate in

determinati messaggi o potrebbero comporre più tardi un ampio discorso,

ma il semplice fatto che [normalmente] non si possa pervenire

all’esperienza rivelatoria, non significa che la Rivelazione si possa ridurre

ad un messaggio visto che essa esprime sempre la Presenza divina, il

contatto reale tra la realtà increata di Dio e quella creata dell’uomo. Ciò

che emerge dal moderno pensiero teologico è che l’elemento intellettuale

costituisce il totale significato della Rivelazione. Tutti i teologi moderni

pensano principalmente alla comunicazione e non pongono attenzione

alla realtà dell’evento nel suo insieme, al semplice fatto che Dio abbia

rivelato Se stesso alle Sue creature. In tutto questo studio emergerà

quanto sia significativa questa differenza. Prima di tutto dobbiamo

considerare seriamente l’iniziativa divina: è sempre Dio che prende tale

l’iniziativa e si rivela in maniera da far entrare l’uomo nella Sua realtà

increata: il Regno divino. Non accade mai il contrario. A parte il caso

singolare della Sua incarnazione, Dio non entra mai nel regno creato

attraverso l’azione delle Sue continue rivelazioni. Non parla mai all’uomo

in termini creati, termini che sono di questo mondo. Ciò è avvenuto solo

nel caso di Cristo e anche qui senza che l’elemento increato fosse venuto

meno. Nel Figlio di Dio entrambi gli elementi erano presenti in modo

misterioso. Dionigi dice a tal proposito: L’automanifestazione di Cristo è

rimasta ignota quanto ogni atto rivelatorio da parte di Dio; più

precisamente, nel manifestarsi attraverso la carne di Cristo, Dio è rimasto

così ignoto che si può descrive la Sua autorivelazione come qualcosa di

incomprensibile. Qualunque cosa possiamo pensare o dire di Lui rimane,

di fatto, arcana [1]. Così nella Rivelazione di Dio in Cristo l’

inaccessibilità del Regno divino rimane intatta includendo questa volta la

Sua umanità. Il provvisorio adattamento di Dio piuttosto che adeguarsi ai

termini della creazione, si prospetta come un’immanenza eterna della Sua

umanità nel Regno increato. Non esiste alcuna Rivelazione senza un

contatto reale tra gli esseri creati e il Dio increato. Nella lingua ebraica

tali contatti sono espressi chiaramente senza cadere nel rischio di

fraintenderli. A differenza della lingua greca e di quelle moderne, il

termine ‘Parola di Dio’, in ebraico, non ha mai comportato valenze

intellettuali per cui si possa identificare la Parola divina con l’Intelletto

divino o con parole create, con espressioni o rivelazioni di messaggi. La

Parola di Dio (Davar Yehwa) in ebraico richiama sempre un’entità

divina: infatti quando leggiamo che, ‘La Parola di Dio è giunta al tale e al

talaltro profeta’ significa che si manifestava prima di loro [2]. Nel libro di

Isaia leggiamo che il profeta vide la Parola (2, 1) e similmente può dire

Luca con la sua testimonianza visiva (1, 2); in tal modo tale Parola, così

spesso confusa con ‘discorso’ o con ‘espressione’, è principalmente una

visione nell’Antico Testamento [3], un Deus absconditus nel Nuovo [4],

il vertice di un’esperienza e il contatto reale con il Regno increato di Dio.

La Fede non è necessaria per tale incontro. Giovanni Crisostomo nel suo

Sermone su Abramo dimostra molto sinteticamente che, le sole cose

necessarie per tutti i destinatari delle apparizioni divine sono l’integrità

umana e l’estrema fedeltà alla vocazione per mantenere in loro

l’Immagine e Somiglianza di Dio. Malgrado ogni inesorabile tentativo

demoniaco e umano per adulterare l’automanifestazione di Dio attraverso

l’inganno e altre apparizioni, quest’ ultima rimane sempre

straordinariamente autoautenticante. Ogni contatto e assorbimento umano

nel Regno increato rimane un mistero ineffabile, incomprensibile e

incomunicabile. L’evento si può narrare, tuttavia la narrazione non può

rendere partecipi. Quando nella Bibbia leggiamo che Dio è apparso ad

Abramo non raggiungiamo la situazione rivelatoria di Abramo. La Bibbia

stessa è fatta di parole e concetti creati. Ogni concetto che possa essere

concepito dal cervello umano è di origine creata; il cervello umano può

funzionare solo nei limiti dello spazio e del tempo; non può percepire

qualche realtà increata e nemmeno comprenderla. Siccome nessuna

parola o concetto creato conterrà mai la realtà divina, è inevitabile che

ogni testimonianza creata esistente, come la Bibbia o qualunque altra

cosa dove si dimostra la divina Rivelazione (per es. le sante icone),

trasmetta ben poco, estremamente poco, la realtà divina stessa, quella

realtà che Dio manifesta nella Sua reale Rivelazione agli esseri umani.

Confidare in concetti creati e in un linguaggio creato per esprimere o

apprendere la realtà increata di Dio è un grossolano errore metodologico,

poiché non esiste alcuna analogia entis e alcuna analogia fidei né alcuna

realtà tra creato e increato; nulla che possa riprodurre fedelmente la realtà

divina nella nostra realtà creata. San Paolo afferma quest’importante ed

evidente situazione. L’Apostolo inizia la sua lettera ai Galati dicendo: Vi

dichiaro dunque, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non è

modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da

uomini ma per rivelazione di Gesù Cristo [5]. I teologi moderni, come

quelli del precedente periodo scolastico, non hanno mai posto molta

attenzione a tale espressione. Nel Medioevo, da un certo periodo in poi, la

Rivelazione di Dio è stata identificata interamente con un determinato

messaggio divino. Precedentemente gli ebrei e i cristiani non si

occupavano mai pienamente della comprensione e dell’interpretazione

del messaggio; salvare una determinata opinione sulla Rivelazione non

rientrava nelle loro intenzioni. Il loro atteggiamento è stato reso

gradualmente insignificante: quello che cominciava ad importare era il

messaggio. Nella Chiesa primitiva, comunque, la divina Rivelazione

come realtà dell’increato emergente fra e dal Corpo risorto di Cristo era la

realtà definitiva e, come tale, veniva conservata silenziosamente in

atteggiamento d’adorazione. Parlare di questo era ritenuto empio e

improprio, almeno all’inizio quando gli Apostoli erano ancora vivi.

Subito dopo la loro morte è nato un contrasto incentrato sulla seguente

questione: Cristo poteva essere ancora visibile dalla seconda generazione

dei Suoi discepoli? Coloro che erano incapaci di vederLo dibattevano

profondamente sul vero significato del Cristianesimo e si volgevano a

vangeli e lettere di ambigua provenienza. Tuttavia, più tardi, Giovanni

Crisostomo indicò chiaramente l’autentico atteggiamento: I cristiani non

avrebbero mai dovuto avere bisogno di fonti scritte. Ciò è avvenuto solo

in seguito a causa del loro fallimento nel raggiungere la loro vera

vocazione; ma anche così la Rivelazione dovrebbe prendere luogo nei

nostri cuori, laddove verrebbe scritta dallo Spirito Santo (2 Cor 3, 3). Non

avremmo mai dovuto tornare alla Bibbia, tuttavia si è manifestato

assolutamente necessario per coloro che erano caduti in errori dottrinali o

morali, in errori o in peccati, ricordarsi nuovamente delle Sacre Scritture

[6]. Così, da un certo momento in poi, si sono conservati nella Chiesa

quattro vangeli provenienti da quattro uomini, [gli evangelisti], mentre

Paolo, precedentemente, poteva ancora dire d’aver ricevuto un Vangelo

che non provenisse da uomo. È altamente significativo che nella liturgia

ortodossa il popolo non risponda mai "Questo è il Vangelo di Gesù

Cristo" come si fa al termine delle letture evangeliche nelle tradizioni

occidentali [protestanti]. Nelle liturgie ortodosse non si dice neppure

"Parola di Dio" come si fa usualmente in altre denominazioni cristiane.

Le assemblee dei fedeli orientali ed occidentali non esclamano con la

stessa intenzione "Gloria a Dio" o "Amen". Nella liturgia ortodossa i

fedeli dicono anche "Gloria a Te o Dio, Gloria a Te", tuttavia non

identificano mai il testo biblico, consistente in concetti e in enunciati

creati, con la Parola del Dio increato. Nella tradizione orientale la Parola

di Dio è la seconda persona della Trinità, il Logos, l’unigenito Figlio di

Dio che si è incarnato. Identificare un’entità creata come un libro con la

realtà increata della seconda persona della Trinità era impensabile nella

Chiesa primitiva poiché avrebbe espresso una confusione tra i due regni

[quello creato e quello increato] oltre a suggerire una lettura eretica della

cristologia neotestamentaria. Il Credo niceno dichiara che la Parola di Dio

è "generata non creata" indicando così succintamente che generare e

creare (o fare) non è la stessa e identica azione divina. Diversamente,

l’atto di creare il mondo e l’atto di generare il Figlio di Dio

coinciderebbero con la stessa e identica azione divina. È precisamente

questo che l’arianesimo manteneva vigorosamente. Il capitolo più

importante del Nuovo Testamento è il quindicesimo capitolo della prima

lettera ai Corinti, dove Paolo ricorda ai cristiani di Corinto il suo Vangelo

che non proviene da uomo e da un’ istruzione umana, ma direttamente

dalla Rivelazione. L’Apostolo dice: Vi ho insegnato secondo questo

Vangelo che cioè Gesù Cristo è morto e risorto il terzo giorno. Né il

discorso di Paolo né il suo Vangelo si concludono con la Risurrezione e

con la Pentecoste. Infatti l’Apostolo continua dicendo: Apparve a Cefa e

quindi ai dodici; in seguito apparve a più di cinquecento nostri fratelli in

una volta, la maggior parte di essi sono ancora vivi, mentre alcuni sono

morti. Inoltre apparve a Giacomo e quindi a tutti gli Apostoli. Ultimo fra

tutti apparve anche a me come a un aborto [7]. La perpetua presenza di

Cristo nel suo popolo, fra coloro che sono degni e possono partecipare

alla Sua Rivelazione divina, sembra essere l’elemento più importante del

Vangelo di San Paolo. L’auto-manifestazione di Dio ai Santi dell’Antico

Testamento, ai Profeti e ai giusti è stata sostituita dalla Rivelazione del

Corpo risorto di Cristo nel Nuovo Testamento. Non esisteva alcuna

differenza nella comprensione della cristianità primitiva tra le apparizioni

di Dio ad Abramo, Mosé, Daniele, a tutti i Profeti e ai Santi e le

apparizioni del Corpo risorto di Cristo ai suo prediletti nel Nuovo

Testamento. Nelle lettere paoline è espressa l’evidenza del contenuto

reale del Cristianesimo, il Vangelo increato non-concettuale identico alla

visione di Dio che porta direttamente alla reale unione con Lui in

entrambi i Testamenti. Infatti nei due Testamenti la salvezza si è sempre

realizzata tramite il reale contatto con Dio stesso. Precedentemente,

avveniva con la visione del Verbo non ancora incarnato, più tardi, con la

visione del Verbo incarnato. In tal modo, leggiamo dalla Genesi che

Giacobbe lotta tutta la notte con l’Angelo di Dio e in seguito dice: "Ho

visto Dio faccia a faccia e la mia vita è stata preservata" [8]. La

traduzione dei Settanta riporta: "…e la mia anima è stata salvata". La

salvezza è realizzata al massimo attraverso un rapporto diretto, un

contatto frontale e reale con la realtà deificante di Dio. Se ci volgiamo a

Sant’Ireneo, uno dei teologi più importanti di tutti i tempi, troviamo la

sintesi del destino umano in una densa citazione: L’uomo dovrebbe

inizialmente passare dal non essere all’essere, [solo] in seguito crescere,

poi maturare, moltiplicarsi e prevalere in lui la virtù [9]. In seguito egli

viene glorificato e finalmente vede il suo maestro; perché è Dio stesso ad

essere visto; e la visione di Dio attribuisce all’umanità l’ incorruzione

mentre l’incorruzione comporta la perpetua unione con Dio [10]. Pare che

la suprema ragione per cui si riunisse la Chiesa primitiva fosse la visione

di Dio; ed era il Vangelo di Paolo a condurre direttamente verso questa

visione abilitando i suoi destinatari a vedere il Corpo risorto di Cristo

dovunque le Sue membra si riunissero in Suo ricordo. Quando Paolo era

ancora vivo più di cinquecento persone avevano visto il Cristo risuscitato

e il numero di tali testimoni oculari aumentava di giorno in giorno.

Possiamo riferirci a San Seraphim di Sarov come ad uno di quelli che si

trovano nello stesso benedetto elenco, visto che tale elenco è composto da

persone di tutti i secoli fino al definitivo ritorno di Cristo.

Quest’approccio alla divina Rivelazione è piuttosto differente da quello

consueto, essendo un’automanifestazione di Dio invece di un messaggio

trascritto in un libro che necessita di un’ interpretazione. L’Apostolo San

Pietro è divenuto capo di tutti coloro che ebbero una visione diretta del

Corpo risorto di Cristo; anche se molte persone nella Chiesa primitiva

non erano in condizione di vederLo per diverse ragioni, non avendo alcun

accesso ad un’immediata Rivelazione. Così, abbastanza presto, si sono

formate due scuole di atteggiamenti diversi. Una di esse era la scuola

petrina che sosteneva il primato di Pietro, un primato non identificato al

fatto d’aver preso delle chiavi per gestire un regno creato. Il primato

petrino si basava sul fatto che l’Apostolo fu il primo ad aver conosciuto il

Corpo risorto di Cristo nella primitiva evidenza neotestamentaria [11].

San Paolo è colui che ha stabilito l’autorità petrina la cui scuola prestava

attenzione al primato della visione e ne gioiva nelle sue riunioni. Ecco

perché il vangelo di San Matteo termina dicendo: "Sono con voi tutti i

giorni fino alla fine del tempo" (originale greco). Questa non era una vaga

promessa; era una situazione di fatto per le comunità cristiane esistenti

che hanno redatto il vangelo di San Matteo. Tuttavia non tutte queste

comunità potevano seguire questa linea; a seguito di una reazione molto

grande si creò un’altra scuola, quella giovannea, la quale affermava il

primato della fede sulla visione. Tale scuola divenne molto popolare

rispetto alla precedente nel ceto colto dei convertiti. All’ improvviso,

verso la fine del primo secolo, troviamo stabilita la prospettiva secondo

cui erano maggiormente benedetti coloro che avrebbero creduto senza

vedere, rispetto a quelli che avrebbero visto il Corpo risorto di Cristo

[12]. Inevitabilmente le due scuole entrarono in un conflitto che durò per

otto secoli. Il dibattito verteva sulla visibilità e sull’invisibilità di Dio e

generava una disperata lotta per affermare un equilibrio tra la

trascendenza e l’immanenza divine nel Corpo di Cristo. La tradizione

giudeo-cristiana aveva attestato il primato della visione sopra la fede ed

elevato a principio fondamentale la distinzione tra il regno creato e il

Regno increato. Ebrei ortodossi e cristiani non avrebbero mai mescolato i

due piani, riducendo Dio a una parte della sua creazione o viceversa.

Tuttavia la scuola che sostenne il primato della fede fu fortemente

influenzata da elementi filosofici greci come quelli che derivano in

particolare dalla tradizione di Filone [13]. I fondamentali principi di

questa tradizione erano piuttosto diversi dai precedenti. Non

distinguevano attentamente il Regno increato da quello creato. Seguendo

il modello platonico della piramide dell’essere – la cui cima è Dio stesso

essendo in Lui la pienezza dell’essere medesimo – tali principi

attribuiscono diversi gradi di essere tra Dio e il mondo creato. Per la

tradizione di Filone la distinzione teologica più importante passava tra i

regni materiali e quelli spirituali, una distinzione pagana puramente

filosofica contenuta già in Platone e in altri filosofi greci. Dio è il solo

che possiede la pienezza dell’essere; tutti gli altri esseri, specialmente

quelli creati, sono sempre meno veri e reali poiché possiedono un minor

essere. Anche se inconsapevolmente, la creazione di Dio veniva messa in

pericolo dal momento che le creature con minor essere esistono e la

minor creazione esiste. In questa prospettiva arriviamo al punto di

meravigliarci come possa essere considerata reale la creazione e si è

tentati di giungere a conclusioni simili a quelle indù in base alle quali il

creato è un’illusione (Maya). Nel V secolo troviamo espressioni come

quelle di Sant’Agostino. Il vescovo d’Ippona confrontando Dio con le

creature, giunge alla conclusione che "Se Egli è, noi non siamo" [14]. Le

conseguenze furono ben gravi. Nella tradizione biblica ortodossa giudeo-

cristiana nessuno potrebbe mai dubitare sulla realtà della creazione di

Dio. Il Dio increato e il Suo creato hanno la stessa reale estensione. La

creazione non è considerata meno reale di Dio la cui volontà è abbastanza

forte da farla consistere facendola emergere dal non essere. In senso

contrario, Dio sarebbe incapace a creare e capace unicamente

d’ingannare. Questo dibattito giunse al suo culmine con la controversia

ariana nel IV secolo. Nel Concilio di Nicea (325 d.C.) la Parola di Dio è

stata dichiarata increata e consustanziale con Dio Padre. Seguendo la

tradizione di Filone, gli antagonisti al Credo contrapposero il loro

argomento principale sottovalutato pure dagli studiosi moderni: nessun

essere visibile poteva essere improvvisamente ritenuto divino, visto che

l’invisibilità è la principale proprietà di Dio ed è la caratteristica più

importante della realtà divina. In tal modo, qualunque cosa sia visibile,

qualunque cosa sia fatta di carne, qualunque cosa divenga tangibile, non

può mai essere contemporaneamente Dio. Il risultato di questa prospettiva

comportava che gli ariani non avrebbero mai potuto accettare Cristo come

divino; tuttavia il metodo teologico degli ariani e dei loro avversari era lo

stesso e constatare ciò è di eminente importanza. Entrambe le parti erano

d’accordo che, per risolvere il loro problema, si sarebbero dovute

accostare alla realtà divina. Ciò non si poteva fare direttamente – Dio non

può essere esaminato – ma attraverso le attività proprie di Dio. Erano

infatti entrambi d’accordo che un’attività riflette la natura propria di un

essere. Inoltre convenivano che Dio agisce in una maniera increata e,

come tale, indica che ha natura o essenza increata. Chi agisce in modo

creato è inevitabilmente una creatura. A causa dell’ umanità visibile di

Cristo, gli ariani non potevano che riconoscere unicamente la sua attività

creata. Il Concilio niceno è stato in grado di discernere la Rivelazione di

Dio attraverso il vaso d’argilla dell’ umanità di Cristo e ha potuto così

dichiarare che Cristo era sia creato che increato. Essendo il supremo

contatto che univa entrambi i regni, Cristo possedeva le attività proprie a

ciascuna delle Sue nature. Più tardi, questa particolare dottrina è stata

elaborata in altri Concili ecumenici. Comunque per gli ariani era

impossibile che la realtà increata di Dio potesse rendersi visibile. (Essa,

infatti, non era immediatamente evidente poiché rimaneva nascosta

nell’umanità di Cristo). Il cristiano ortodosso, d’altra parte, riteneva non

solo il fatto che la Parola di Dio è divenuta carne visibile, ma pure che la

Sua Gloria increata può, per grazia, divenire visibile al fedele. Questo

momento fu cruciale nella storia del Cristianesimo. Per la prima volta fu

chiaro che la visibilità non poteva più indicare una semplice realtà creata

e l’invisibilità non coincise più con la realtà increata di Dio: pur esistendo

tante creature invisibili, sia anime che angeli, Dio rimane sempre "fattore

di tutte le cose visibili e invisibili", come afferma il Credo niceno.

Divenne pure evidente che la Gloria increata di Dio può divenire visibile

per grazia come nel caso di tutte le apparizioni divine nell’Antico

Testamento e nelle apparizioni di Cristo risorto nel Nuovo, ogni qualvolta

Cristo prende gli esseri umani nel Suo Regno increato e permette loro di

vedere la Sua Gloria increata. In effetti Cristo ha rivelato la Sua natura

increata ai Suoi tre discepoli sul Monte Tabor e a molte persone dopo la

Sua risurrezione. Sfortunatamente le opinioni ariane non sono mai state

ben capite in Occidente (Sant’Ambrogio e Sant’Ilario sono le uniche

grandi eccezioni) nei termini con cui il principale dibattito aveva preso

corpo nella lingua greca e in Oriente. Gli ariani si diffusero in Spagna e

più tardi nell’Europa del nord da dove si riversarono nella Chiesa

occidentale. Sfortunatamente pure Sant’Agostino aveva frainteso le loro

argomentazioni. Credendo fermamente che l’essenza della controversia

ariana fosse la natura visibile di Cristo, dichiarò che la Santa Trinità è

assolutamente invisibile ed è incapace di apparire. Come risultato di tale

atteggiamento egli ha dovuto risolvere un altro problema: in quale

maniera Dio avrebbe potuto entrare in contatto con i profeti? Lo risolvette

suggerendo che Dio aveva realizzato e poi distrutto molte apparizioni

create e si era servito pure delle apparizioni di un Suo Angelo con il quale

avrebbe comunicato con l’umanità. Inoltre insistette che ogni particolare

teofania (sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento) fosse un’

apparizione appositamente creata da Dio per ciascuna occasione,

apparizione da distruggere in seguito quando non serviva più.

Quest’opinione tradotta nei termini della Patristica orientale e

specialmente nei termini dei Concili ecumenici (i quali avevano definito

che le attività indicano la natura degli agenti), non poteva che significare

che, nel corso della Heilsgeschichte [=storia della salvezza], Dio Padre

aveva creato migliaia di Figli o Angeli della Sua Gloria – che non

sarebbero più stati "unigeniti" e li avrebbe distrutti immediatamente dopo

il recapito del Suo messaggio all’ umanità. Mantenendo questa

spiegazione per la Santa Trinità, diveniva sempre più incongruo pensare

ad un Padre che avesse un unico coeterno ed unigenito Figlio. Inoltre,

ora, era dubbio che l’origine o la generazione del Figlio nel suo

comparire e nel suo sparire fosse in qualche modo diversa dalla creazione

di qualunque altra creatura. Era in gioco proprio ciò che il Credo niceno

preclude quando enuncia: "generato, non creato". Se l’opinione

agostiniana fosse stata vera, sarebbe significato che Dio Padre avrebbe

dovuto creare molti Figli o Angeli della Sua Gloria, per poi distruggerli;

una di quelle creature avrebbe potuto essere la Parola incarnata inviataci,

alla fine, in carne umana. Queste opinioni erano pure peggiori dell’

insegnamento dei teologi ariani sulla preesistenza di Cristo. Davanti a

queste idee pare che in Occidente nessuno contestò. Non solo venne

teorizzata la creazione e la distruzione di molte creature e le apparizioni

dei messaggeri o Angeli di Dio (secondo Sant’Agostino), ma pure la

grazia stessa che Dio ci invia fu dichiarata d’origine creata,

semplicemente perché Dio, essendo totalmente trascendente, non avrebbe

potuto realmente entrare in diretto rapporto, o avere un contatto reale con

il mondo creato. Nel suo commento al salmo 82, che inizia col versetto

"Dio si alza nell’assemblea degli dei (Settanta); giudica in mezzo agli

dei", Agostino ritiene che il vero Dio biblico disceso su questa terra abbia

incontrato tutte le sculture esistenti e le effigi di pseudo-dei e abbia detto

loro: "Voi non siete che idoli, effigi e sculture; io sono il vero Dio" [15].

Ora se osserviamo l’interpretazione patristica greca dello stesso versetto

[16], osserviamo che gli altri dei in mezzo ai quali Dio sta in piedi sono

tutti quei Santi che hanno un reale contatto con Lui in questa vita e sono

divenuti dei per grazia a causa di ciò [17]. Chiunque partecipa al Regno

divino per gioire della divina Rivelazione deve inevitabilmente divenire

identico a Colui che manifesta se stesso; altrimenti non ci può essere

alcuna Rivelazione. Possiamo constatare come le diverse interpretazioni

del salmo 82,1 evidenzino le due scuole esistenti ancora nel corso del V

secolo. Nell’VIII secolo prese luogo un altro evento sorprendente che

denota la mentalità di questo periodo. La Teologia islamica ebbe un

grande impulso nel discernimento tra il regno creato e Quello increato

dopo Giovanni Damasceno che tenne lunghe discussioni al riguardo con

dei teologi musulmani, gli assariti. Nell’ermeneutica islamica si formò

una nuova scuola in base alla quale l’archetipo del Corano era increato e

coeterno con Allah. La controversia assarita durò per 150 anni ed alla fine

la scuola si sciolse. È di eminente significato notare che pure i teologi

islamici hanno avuto bisogno di porre l’origine della Rivelazione divina

nel Regno increato. Nel frattempo, l’impatto scolastico sulla Rivelazione

divenne chiaro con la dottrina della trascendenza divina sviluppatasi in

Occidente specialmente durante il XIII secolo. L’incarnazione di Dio

divenne impossibile, almeno teoricamente e sul piano filosofico, visto che

non esisteva alcun modo nel sistema filosofico scolastico con il quale l’

elemento creato e quello increato avessero potuto stare assieme o

integrarsi. Agostino, già nel V secolo, aveva così interpretato Col 2, 9:

"In Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità" è come

una metafora e suggerisce che è impossibile per la Divinità dimorare in

un corpo umano [18]. Di conseguenza gli scolastici non avrebbero potuto

accettare che l’Essere increato, assoluto e immutabile di Dio potesse

accondiscendere alla mutabilità e alla relatività in modo da divenire una

creatura. Tommaso d’Aquino disse chiaramente che la seconda persona

della Trinità dovrebbe essere chiamata Filius genitus et creatus (generato

e creato) [19]. Il semplice fatto dell’eterna generazione del Figlio dal

Padre significa, per Tommaso, che il Figlio è stato creato per essere

generato. Una volta di più "generato" fu identificato con "fatto",

contrariamente alla dottrina nicena. Tuttavia, secondo i criteri niceni, un

tale Cristo non può avere i poteri o le energie increate. Tommaso,

comunque, ha affermato che Cristo ha queste energie ma è incapace di

comunicarle all’umanità. Ciò che può comunicare, invece, è solo la Sua

potestas excellentiae posseduta in ragione della Sua umanità come grazia

creata. Questo potere verrebbe dato ai ministri dei sacramenti per poter

accordar loro una tal pienezza di grazia creata in modo che i loro meriti

possano operare nei riguardi dell’effetto sacramentale [20]. Ma la visione

tomista non era senza precedenti. Giovanni Scoto Eriugena, basa i suoi

contraddittori argomenti su principi platonici per cui egli fu il primo a

stabilire che è impossibile per l’ increato divenire creato. Dio Padre,

essendo increato, è incapace di essere Creatore. Ha avuto bisogno di

alcuni intermediari per concepire, dapprima nel suo pensiero, le idee

archetipe di tutte le creature; questo fu il suo unico creato o unigenito

Figlio da cui la definizione creatur et creat [21]. Significativamente Cristo

fu identificato con l’ostia la quale, sebbene fosse come una semplice

creatura, avrebbe potuto essere ancora lo stesso Cristo attraverso la

transustanziazione una dottrina che, dati i presupposti, può sembrare solo

la divisione della natura divina di Cristo dalla Sua umanità. La

promulgazione di questa dottrina nel quarto Concilio Lateranense (1215)

specifica distintamente che gli elementi dell’eucarestia sono

transustanziati "affinché noi prendiamo da Lui, quello che Egli prende da

noi" (ut… accipiamus ipsi de suo, quod accepit ipse de nostro);

sicuramente Egli non riceve mai da noi la Divinità e quindi noi non

possiamo mai ricevere la Divinità dal Suo Corpo… La lettera enciclica di

Papa Paolo VI, Mysterium Fidei (1965), tende a rivendicare la divisione

di Cristo sottolineando che l’ostia trasustanziata contiene "l’intero Cristo,

nella Sua realtà fisica… presente corporalmente". Cristo, in base ai

principi della cristologia agostiniana e scolastica di cui la suaccennata

interpretazione di Col 3, 9, se è presente fisicamente e corporalmente non

può che coerentemente precludere l’increata essenza divina. Ma se Cristo

è stato la grande eccezione alla regola agostiniano-tomista perché

nessuno ha avuto bisogno di menzionarlo? Naturalmente è estremamente

ostico, per coloro che seguono ancora la primitiva scuola cristiana della

fede, ammettere il fatto che la natura increata di Cristo venga partecipata

ai fedeli comunicandi attraverso l’ostia come grazia creata (gratia creata),

che trasustanzia l’ostia, essendo quest’ ultima radicalmente

impossibilitata a causare effetti increati… Ora l’enciclica Mysterium

Fidei asserisce che l’ostia trasustanziata contiene "una nuova realtà che

possiamo giustamente definire ontologica" ma per niente increata.

Evidentemente tale ontologia si può comodamente adattare alla piramide

platonica dell’essere e della metafisica aristotelica, ma mai all’atmosfera

del Credo niceno. Non crea alcuna sorpresa, perciò, che un tema sul quale

si contendeva al Concilio di Trento (1551) sia stato debitamente ripreso

nel recente Catechismo della Chiesa cattolica (al n° 1377): La presenza di

Cristo nell’eucaristia comincia al momento della consacrazione e dura

fintanto che sussistono le specie eucaristiche. Se si pensa così non ci si

può che meravigliare sentendo che la Santa Comunione dimora nei corpi

e nelle anime dei comunicati come un contatto reale e perpetuo tra la

realtà increata di Cristo e le membra del Suo Corpo (1 Cor 12, 27). Da

questo momento, la Chiesa poteva sostituire il benedetto Sacramento di

Cristo al Suo Corpo risorto giacché ignorava che Esso fosse stato visto

dai veri cristiani. Così, dal dodicesimo secolo, l’ostia è stata adorata in

particolari liturgie come la benedizione eucaristica e la festa del Corpo

del Signore (Corpus Domini). Questo fatto ha marcato l’inizio del

sacramentalismo con le seguenti serie implicazioni nella mentalità

medievale: 1) Dio non può amare realmente il mondo come Egli vorrebbe

poiché non rimarrebbe più inaccessibile e trascendente. Secondo le

posizioni filosofiche platoniche, già assunte dalla primitiva scuola della

fede ed ora adottate dallo scolasticismo, per Dio era impossibile amare il

mondo con un amore che producesse una vera dipendenza di Dio nel

mondo stesso. 2) I teologi scolastici affrontarono il seguente problema: o

accettare un panteismo assoluto che identificasse la creazione col

Creatore stesso, o accettare un intermediario creato, sia esso una grazia o

una casualitas, che si interponesse tra i due rendendo possibile a Dio

distinguersi da ogni azione da Lui compiuta. I teologi giunsero al punto di

enfatizzare così intensamente la trascendenza divina da rendere

intrasmissibile alle creature non solo la realtà divina ma pure ogni Suo

attributo poiché, diversamente, si sarebbe arrivati direttamente al

panteismo. Particolarmente dalla metafisica aristotelica, essi imposero la

percezione di Dio come Actus Purus cosicché tutte le distinzioni

teologiche tra "generato" e "creato" divennero totalmente insignificanti e

la stessa Attività divina avrebbe potuto consistere solo in un’Essenza

divina! A partire da questo momento, il compito principale della teologia

medievale fu quello di salvaguardare, con ogni mezzo, che Dio e la Sua

creazione rimanessero sempre separati. Se ci volgiamo in Oriente, per

vedere come veniva affrontato lo stesso problema, dobbiamo considerare

la definizione di Regno di Dio offertaci da Massimo il Confessore nel VII

secolo. Cos’è il Regno di Dio? Nell’Occidente fu identificato come una

realtà creata [22], realizzata sulla terra per consentire la salita in cielo a

tempo debito. Invece, secondo Massimo il Confessore, "Quando Dio ci

dona per grazia qualsiasi cosa che appartenga a Lui per natura, questo è il

Regno di Dio". Tale è la sua definizione e in Oriente non ci fu alcun

dubbio che Dio ci donasse veramente, per grazia increata, qualunque cosa

appartenesse a Lui per natura. Prima del diciassettesimo secolo, in

Oriente non si è mai sviluppato il sacramentalismo; non è mai avvenuta

l’adorazione dei Santi Doni. Gli iconoclasti, nel sinodo di Iereias,

espressero la singolare posizione per cui il pane eucaristico si divinizza.

Malgrado ciò, neppure essi affermarono che il pane eucaristico si deve

adorare. Questo è spiegabile se si tiene conto che gli iconoclasti

conoscevano molto bene che la prassi liturgica non aveva l’adorazione

eucaristica né in Oriente né in Occidente. La loro posizione, secondo la

quale il pane eucaristrico si divinizza, è stata condannata nel settimo

Concilio ecumenico (787) il quale ha anatematizzato i diffusori di tali

idee proclamando che l’adorazione è dovuta solo alla Trinità la quale

contiene pure la natura umana di quella Persona che si è incarnata. Tale

natura divinizzata non si è mai identificata con il pane eucaristico. Questo

è il motivo per cui, in Oriente, non si è mai sviluppata la teoria della

trasustanziazione che appare, per la prima volta, al Sinodo di

Gerusalemme nel 1672. L’espressione "Santa Comunione", comune in

Oriente ed in Occidente, ha precisamente significato che l’enfasi veniva

inizialmente posta sulla Koinonia (comunione) tra il fedele e Cristo

stesso, piuttosto che su ciò che accadeva ai Santi Doni dopo la loro

consacrazione; così il Corpo risorto di Cristo rimaneva la suprema

Rivelazione che si sarebbe pienamente manifestata a tutti [23] nel Suo

secondo arrivo. Papa Pio XII ha riassunto la cruciale differenza tra

Oriente ed Occidente, amplificatasi nei tempi moderni, nella sua lettera

enciclica Mystici Corporis pubblicata nel 1943. In essa il papa parla del

Corpo di Cristo e dei membri di tale Corpo. Tra le altre cose dice: Però

tutti abbiano questo per certo ed indiscusso, se non vogliono allontanarsi

dalla genuina dottrina e dal retto insegnamento della Chiesa: respingere

cioè, in questa mistica unione, ogni modo con il quale i fedeli, per

qualsiasi ragione, sorpassino talmente l’ordine delle creature ed invadano

erroneamente il campo divino, che anche un solo attributo di Dio eterno

possa predicarsi di loro come proprio. Rinveniamo qui l’estrema

differenza tra quanto ha insegnato San Massimo e quanto ha conservato

l’ontologia neoscolastica. Meister Eckhart nel XIII secolo fu il primo nel

Medioevo ad avanzare l’idea che la salvezza dev’essere

un’identificazione reale con Dio; fu immediatamente condannato dal

Papa. Dunque costoro perché non potevano capire e continuavano a

ritenere impossibile la salvezza come unione reale con Dio nella

Rivelazione divina? Al posto di ciò essi introdussero la via d’imitazione e

di relazione personale. Ritenevano che l’uomo potesse personalmente

riferirsi a Dio e sviluppare una relazione personale con Cristo senza che

questa coinvolgesse necessariamente un qualche genere di contatto reale

con la realtà divina. Questa relazione sarebbe stata solo un "abito" –

qualcosa assunta ad una certa distanza – e, naturalmente, un’imitazione.

Qui i più virtuosi sono coloro che raggiungono maggiormente la fedele

imitazione di Cristo. In questo contesto esisterà sempre una prossimità a

Dio (un nexus amoris), mai un’ identificazione con Lui. In Oriente, nel

XIV secolo, esplose la controversia palamita la quale diede molto spazio

alla considerazione dell’esistenza di un contatto reale con Dio: essere in

unione con Dio significava identificarsi realmente con la Luce increata. A

tal proposito, uno tra i più importanti documenti è la Dichiarazione dei

padri del Monte Athos, recentemente tradotta e pubblicata nella

Philokalia. La corretta traduzione d’un importante passo tratta da questo

documento dice: Chiunque dichiari che la perfetta unione con Dio è

compiuta soltanto come imitazione e relazione con Lui senza la Grazia

deificante dello Spirito, come se fosse una relazione tra persone umane

che condividono la stessa disposizione e amore l’un verso l’altro, è

eretico. (È ovvia ad ognuno come la moda di utilizzare i termini "amore

scambievole" sia divenuta parte della teologia moderna, malgrado ogni

denominazione cristiana). Dio non ha mai contatti in termini personali.

Egli, piuttosto, penetra la creazione con la Sua Natura; perciò i Padri

orientali hanno definito l’immensa diversità delle attività divine increate

come i Suoi poteri naturali o le energie, "innumerabili nella loro infinità,

ineffabili nella loro grandezza" (Basilio il Grande). La Dichiarazione

continua: Chiunque segue, si affianca all’opinione e ritiene che la Grazia

deificante di Dio è uno stato della nostra facoltà intellettuale acquisito

unicamente da imitazione e non che sia un’illuminazione increata ed

un’ineffabile e divina energia contemplata invisibilmente e concepita

inconcepibilmente da coloro che hanno il privilegio di parteciparvi, allora

deve sapere che è caduto inconsapevolmente negli inganni dei messaliani.

Osserviamo qui gli opposti atteggiamenti tra Oriente ed Occidente. A

questo punto giunse Gregorio Palamas che si oppose alla sua controparte,

il monaco Barlaam, seguace fedele della tradizione agostiniano-tomista.

Barlaam propose un complesso di opinioni tendenti all’amore

vicendevole [tra Dio e la creatura] e all’imitazione di Cristo, alla

relazione e al contatto personale con Cristo. Gregorio Palamas offrì il

contributo più significativo nella storia del Cristianesimo sulla questione

del mantenimento di un contatto reale con Dio. Egli scrisse: Poiché tutto

ciò che attualmente esiste, è reso veramente partecipe in Dio, e

ciononostante la supersustanziale essenza divina rimane totalmente

incomunicabile, ci dev’essere qualcos’altro tra l’essenza incomunicabile

di Dio e i Suoi partecipanti, in virtù della quale ogni realtà continua, di

fatto, a partecipare della Divinità. Ma quale perdita se elimini qualsiasi

possibile unione tra l’incomunicabile essenza di Dio e i Suoi partecipanti!

Ci vuoi render parte di Dio e ci liberi del vero legame tra noi e Lui

fissando in tal modo un abisso insormontabile tra Dio e la creazione come

pure tra la Sua provvidenza e qualunque realtà attualmente esistente. Di

conseguenza, dopo ciò, dobbiamo cercare qualche altro Dio – non solo un

Essere Assoluto, indipendente nel muoversi e che si autocontempli, ma,

definitivamente, pure un Essere buono. Più esattamente, nella Sua

abbondanza di bontà, Egli non sarà soddisfatto né nell’agire da solo

autocontemplandosi né rimanendo senza voler niente ma, piuttosto,

volgendosi sovrabbondantemente verso di noi. Per cui solo in questo caso

Egli farà del bene, non volendo mostrarsene incapace; [ed è così che] sarà

immobile e anche mobile. Solo in quest’ultimo caso sarà immanente in

tutta la creazione attraverso i Suoi approcci creativi e le Sue

provvidenziali attività. Dopo un Dio che è in un modo o nell’altro

comunicabile, noi dobbiamo semplicemente cercarne [un altro] in modo

che partecipando di Lui ciascuno di noi (secondo il grado con il quale può

impossessarsene) possa in sé goderne attendendosi esistenza, vita e anche

divinità… Questo testo ci conduce inevitabilmente alla conclusione che

l’Oriente e l’Occidente finirono per credere in due Dei profondamente

diversi, ma solo per un breve tempo; sottomettendosi inavvertitamente al

predominio scolastico filosofico come pure alla perdita di considerazione

del Corpo risorto, la scuola orientale della visione empirica è stata quasi

interamente assorbita dalla teologia speculativa occidentale fedele in un

Dio incomunicabile e ancora da riconoscere... L'arcivescovo William

Temple fu forse il primo teologo moderno in Occidente ad osservare che

la divina Rivelazione non ha nulla a che vedere con "comunicazioni di

asserti divini. Essa è, infatti, un confronto tra Dio e l’uomo attraverso

reali eventi storici". Naturalmente è discutibile che degli eventi di

dimensione teofanica siano "storici", visto che la Rivelazione può

accadere solo assorbendo le creature nel Regno increato. Ma egli

aggiunse: "Ciò che viene dischiuso nella Rivelazione non è la verità

riguardante Dio ma lo Stesso Dio vivente" [24]. Questo era un enorme

passo verso la primitiva esperienza cristiana. Ci avvicineremo a questa

prospettiva osservando l'azione dello stesso Dio vivente in un episodio

storico che i cristiano ortodossi conoscono molto bene ma a cui ancora

non hanno prestato particolare attenzione. È il dialogo tra San Seraphim

di Sarov e Nicholas Motovilov avvenuto in Russia verso la fine del

diciottesimo secolo. La gente ha letto questa storia e forse ha notato la sua

importanza, ma il suo significato reale non è mai stato pienamente

apprezzato a Oriente e a Occidente. Prendo un particolare passo dal libro

Flame in the snow di Giulia de Beausobre. San Seraphim parla prima

della preghiera. Afferma che non si può andare sempre in Chiesa ma si

può sempre pregare, non essendoci alcuna difficoltà nel farlo: – [La

preghiera] è sempre a disposizione… Questa sorgente fluente di supplica

procura molto facilmente la risposta, lo Spirito Santo! Allora quando il

Consolatore viene, la nostra preghiera si trasforma in gioia pura. E là

dove vivono assieme coloro che si rallegrano, esiste la Chiesa. Là la gioia

di ognuno non è come un singolo granello di polvere d’oro. Ogni polvere,

pure quella d’oro, si disperde davanti ad un forte vento. Nella Chiesa tutti

i granelli d’oro sono fusi assieme e formano una roccia maestosa che

nessuna tempesta può frantumare e nessun acquazzone può sciogliere. La

roccia rimane stabile contro ogni furioso e scaltro assalto del maligno.

Coloro la cui gioia è completa sanno che la roccia è un vascello d’oro che

naviga come nessun altro: le sue bianchissime vele, intessute da Nostra

Signora, sono ricolme del soffio dello Spirito Santo, Colui che risplende

di Gloria. – Se solo la potessi vedere una volta, quella Gloria! – esclamò

Motovilov rivolto al vecchio monaco. – Ogni qualvolta facciamo

consapevolmente la Sua volontà, stiamo di fronte a Lui. Siamo cresciuti

come ciechi pur avendolo vicino, ma ecco che Egli è davanti a noi.

Proprio come nei giorni quando gli uomini dicevano: "Noi andiamo e lo

Spirito Santo viene con noi", "Noi e lo Spirito Santo deliberiamo..." – Gli

rispose Seraphim. – Ma come posso essere certo di Lui, in questi nostri

giorni? – domandò Motovilov. Deponendo la sua ascia Seraphim gli si

fece innanzi. Nicholas si alzò. Il monaco zoppo lo afferrò dalle spalle e

gli disse: – Ora siamo entrambi nello Spirito. Guardami! – Non posso, ho

male agli occhi! – disse Motovilov. Seraphim aggiunse – Fà nulla.

Guarda! Al centro d’un enorme sole raggiante, si vedeva il ben noto e

amato viso del monaco che sorrideva. Nicholas distingueva le labbra di

Seraphim muoversi mentre gli parlava e poteva notare il cambiamento

d’espressione dei suoi occhi profondamente azzurri. Sentiva la voce e la

stretta delle mani. Ma queste mani, tanto quanto le spalle di Nicholas e il

corpo di Seraphim, erano persi in una luminosità che li invadeva e li

sommergeva purificando tutto, rendendo lucenti i fiocchi della neve che

cadevano e rendendo quelli caduti a terra d’un candore brillante. – Com’è

bello! – esclamò Motovilov. – In che modo è bello? – gli chiese

Seraphim. – È così tranquillo e c’è tanta pace in me e attorno a me. –

rispose Motovilov. – Che altro c’è? – aggiunse Seraphim. – C’è una tal

gioia che il mio cuore ne è ricolmo. – rispose Motovilov. – Che altro c’è?

– aggiunse Seraphim. – C’è caldo, un ardente caldo. – gli rispose

Motovilov. – Che altro c’è? – continuò Seraphim. – C’è un profumo

celestiale. – rispose Motovilov. Riflettendo la Luce, gli occhi di Seraphim

scintillavano. – La Grazia di Dio è in te e tu sei in Lei. Se tu vedessi come

risplende il tuo viso! Ricorderai sempre la Grazia che è stata profusa su di

te, mia gioia? – Eppure io non sono un monaco! – escalmò meravigliato

Motovilov. – Ciò non significa nulla. – Lo rassicurò Seraphim – È

all’uomo, non al suo stato o condizione, che Dio dice: "Figlio, dammi il

tuo cuore". Se glieLo diamo Egli viene. Pure nelle comunità ortodosse le

persone hanno apprezzato il fatto che entrambi (Seraphim e Motovilov)

facessero esperienza di questa Rivelazione; entrambi gioissero della

stessa divina e increata Luce; tuttavia pensando a questa vicenda a noi

viene in mente San Seraphim di Sarov, non San Nicholas Motovilov.

Questo prova che gli ortodossi moderni si sono distanziati dall'esperienza

di Rivelazione. L’aspetto più importante, nel caso dei Santi Seraphim e

Motovilov, non è solo il diretto incontro di Dio con un Santo, ma pure

l’incontro di un Santo con un altro Santo; in ciò si è verificato il fatto che

i Santi divengono identici con lo stesso Dio. È la stessa cosa con il fuoco

o la luce; qualunque cosa venga congiunta al fuoco diviene fuoco;

qualunque cosa venga congiunta alla luce diviene luce. La Rivelazione

non accade sempre come un incontro diretto tra Dio e l’uomo; è

abbastanza sicuro che accada quando due Santi si incontrino [25].

Parimenti quest’aspetto non è stato ancora pienamente apprezzato nella

teologia ortodossa moderna. Ogniqualvolta i Santi manifestano l’increata

gloria di Dio, Dio li rende manifesti. Questa è la prova che la divina

Rivelazione non può essere soltanto un indifferente modo di avvicinarsi

alla divinità o di essere in personale relazione con Dio; si può solo

identificare con Lui. L’uomo riceve la Rivelazione solamente se si

identifica con la grazia di Dio e viene riempito della divina Luce. Tale

condizione, molto più tardi, è stata anche definita deificazione. Non

possiamo trovare il termine deificazione nei documenti della chiesa

primitiva, semplicemente perché il termine Rivelazione di Dio era

succintamente implicito in esso. Per la divina Rivelazione non esiste

alcun modo di realizzarsi diversamente senza causare la deificazione ai

suoi destinatari. La conseguenza è inevitabile: il destinatario della

Rivelazione diviene identico con Dio stesso cioè dio per grazia, per tutta

la durata della Rivelazione; altrimenti la Rivelazione divina non può

assolutamente prendere luogo. La prova che i moderni ortodossi hanno

perso il loro orientamento verso la Rivelazione si ha dal fatto che non

venerano più dei Santi come Motovilov; tendono, invece, a venerare degli

eroi popolari (come l’ultimo Zar Nicholas) che per tutta la durata della

loro esistenza non si sono mai fondati sulla Luce divina. San Simeone il

Nuovo Teologo, comunque, opera una chiara distinzione tra coloro che

vedono la Luce e coloro che dimorano in essa. I primi cristiani vengono

purificati e illuminati mentre si trovano ancora nel loro percorso verso la

piena integrazione con il Corpo risorto; i secondi si identificano già con il

Corpo di Cristo e ne divengono "particolarmente membri" [26]. Dal

momento che Dio ci impartisce per grazia qualunque cosa appartenga a

Lui per natura, tutti coloro che ricevono la divina Rivelazione divengono

increati per grazia, onnipotenti, onniscienti, senza inizio e senza fine,

come San Massimo il Confessore li descrive nella sua Contemplazione in

Melchisedek [27]. È quest’identità con Dio che garantisce quella vera

Rivelazione — iniziativa divina non semplice trasmissione

d’informazioni — accaduta realmente ai destinatari di essa. Unicamente

attraverso quest’ assunzione di grazia in Dio i Santi possono vedere, non

con i loro occhi fisici, la Luce divina della Rivelazione. È il potere dello

Spirito Santo che rende possibile tale visione. Coloro che stanno della

parte dei Santi che hanno avuto delle rivelazioni, sono incapaci di vedere

con gli occhi qualche cosa di esse (Atti 9, 7). Queste visioni non hanno

nulla a che vedere con i sensi. Sono un’assunzione di esseri umani nel

Regno divino. I Santi Seraphim e Nicholas Motovilov hanno visto questa

Luce riempire ciascuno il corpo dell’altro. La convenzionale percezione

della santità oggi, pure fra molti cristiani ortodossi ha a che fare solo con

i valori morali e i risultati personali, piuttosto che con l’assunzione nel

Regno increato di Dio. Avviene ciò perché è stata persa la significativa

differenza tra un Santo ed un eroe. Oggi, Oriente ed Occidente,

identificano similmente i Santi con gli eroi e con gli uomini che

operarono grandi imprese. Un grande filantropo, un grande statista o

qualcuno che è morto al posto di un altro in un campo di concentramento

è una qualifica per la santità. Le virtù e il comportamento eroico sono

stati confusi con la santità. Di fatto la deificazione dell’uomo è l’unico

modo perché un essere umano possa ricevere la santità per grazia di Dio e

ciò non ha nulla a che fare con la moralità. Presume il ristabilimento

dell’umanità in un modo di vita immacolato secondo la propria creazione,

affinché gli esseri umani siano elevati nel Regno increato della santità di

Dio e partecipino pienamente di Lui. È ciò che Dio aveva creato

originalmente a Sua immagine e somiglianza, ciò che è santificato, non

quello che l’uomo raggiunge come compimento morale di certi principi e

certe leggi. Questo non significa che l’immoralità sia accettabile a Dio.

Significa solo che la moralità, in se stessa, è inadeguata a causare la

santità. Vivere secondo natura è la sola condizione che conduce il popolo

all’ impeccabilità. L’essere umano, tornando per grazia di Dio al modo di

vita ad immagine e somiglianza divina ossia al modo con il quale gli

uomini erano stati inizialmente creati, non può rimanere peccatore [28].

Gli esseri umani ritornano, per Grazia di Dio, a vivere a immagine e

somiglianza divine cioè nel modo con il quale erano stati inizialmente

creati. Ecco perché non possono rimanere nel peccato. Vivere secondo

natura non solo favorisce la Rivelazione divina ma mantiene anche le

persone innocenti dopo la loro prima esperienza di Rivelazione.

Motovilov non ha più potuto commettere peccato dopo l’esperienza della

Luce increata avuta con San Seraphim. I pensieri malvagi non possono

attraversare la mente di quelli che, anche solo una volta, sono stati

riempiti dalla Luce divina. Questa è la grande differenza tra gli esseri

umani la cui natura è stata ripristinata ed è stata elevata nel Regno

dell’increata Gloria divina e coloro che si mantengono negli standard

morali confidando soltanto nei loro sforzi. Le persone che sostengono un

buon grado di moralità non hanno assolutamente alcuna garanzia che

alcun pensiero malvagio non attraversi mai la loro mente, malgrado il

grande sforzo che continuamente fanno. In questo scopo ci sono persone

che riescono e altre che falliscono; ma in ogni modo nessuno può uscire

dall’ordinario livello peccaminoso. Invece nel caso della vera

santificazione tutto il corpo, l’anima e la mente sono resi saturi dalla

Gloria increata e restano sempre puri, secondo la natura umana, tranne

nel caso in cui rischino di tornare al peccato. Oggi quest’aspetto

dell’umanità rinnovata è stato perso in gran parte delle denominazioni

cristiane. Perciò è inevitabile che ogni sorta di persone buone e diligenti

siano elevate alla santità e vengano conformemente venerate. Ci sono tre

stati possibili nei quali gli esseri umani possono ritrovarsi: a) lo stato

secondo natura (cioè ad immagine e somiglianza di Dio). Tuttavia questi

uomini rimangono innocenti solo sconfiggendo qualche attacco del

nemico; b) lo stato contro natura. È una condizione peccaminosa nella

quale ogni pensiero malvagio attraversa liberamente la mente umana e

conduce ad atti e parole altrettanto malvagi; c) lo stato oltre i limiti della

natura umana che nasce sempre dall’iniziativa di Dio con la quale Egli

unisce Se stesso alle Sue creature manifestandoSi immediatamente. È

precisamente quant’è accaduto ai Santi Seraphim e Motovilov durante il

loro incontro. Non esiste alcun modo per gli esseri umani di evitare uno

di questi tre stati. Possiamo trovare persone che vivono secondo natura,

cosa molto rara oggi, persone che vivono contro natura, che sono la

norma, e scoprire delle persone che, per un certo tempo, hanno vissuto

oltre i limiti della loro natura, cioè in suprema unione con Dio gustando

un anticipo della prossima vita. Nella vita futura tutti gli esseri umani

senza eccezione si troveranno, per grazia di Dio, oltre i limiti della loro

natura. Secondo San Marco l’eremita "Astenersi dal peccato è la vera

funzione della natura umana, non una somma da versare in cambio del

Regno di Dio". La natura umana è stata fatta da Dio specialmente con la

capacità di astenersi dal peccato. In termini pratici come potrebbe

accadere? Ci sono modi in cui la natura umana viene purificata come

necessaria condizione per avvicinarsi alla santificazione. Questo è

praticamente possibile nell’ascesis. La vita ascetica richiede disciplina

fisica ed intellettuale per preparare le persone a raggiungere lo stato d’

illuminazione divina che non è un semplice miglioramento intellettuale.

Contrariamente all’approccio agostiniano-tomista, l’illuminazione divina

non può divenire una proprietà naturale dell’intelletto umano; è

un’attività divina nel corpo e nell’anima che rende le persone innocenti

attraverso una sinergia tra lo sforzo umano e la grazia di Dio. Lo stato

successivo è la Rivelazione divina o la deificazione, causata interamente

dall’increato potere dell’Uno che Si identifica direttamente con la Sua

creatura. È significativo che gli esseri umani abbiano il diritto di

comprendere la colpevolezza e il peccato, per tenere desta la loro naturale

capacità d’ innocenza. Il peccato non è una condizione inevitabile di

caduta della natura umana, come pure Agostino ritenne; può rimanere

inerte in un’umanità che funziona ad immagine e somiglianza di Dio. Il

peccato non è neppure la principale ragione per cui esiste la Chiesa come

se essa dovesse semplicemente purificare l’uomo, mentre nel caso d’un

umanità innocente non avesse ragione d’esistere. Nel Medioevo

occidentale il sacramento della penitenza era ritenuto d'eminente

importanza. Solo enfatizzando il peccato la Chiesa poteva stringere a sé

gli uomini. Anche se non ne troviamo un’esplicita ammissione, non era

raro che gli esseri umani si sentissero come dei peccatori già condannati a

causa della dottrina agostiniana sull’eredità del peccato originale, dottrina

ingiustamente attribuita all’insegnamento di San Paolo nella sua lettera ai

Romani. A causa di queste concezioni amartiocentriche le persone si

sentivano colpevoli d’essere uomini, dal momento che l’umanità e la

colpevolezza erano associate in un identico status e che nessuno avrebbe

considerato il peccato come un semplice difetto di un’ umanità creata ad

immagine e somiglianza di Dio. Lo stesso Agostino insegnò che pure il

battesimo, assieme a tutti gli altri sacramenti, era incapace di ripristinare

l’innocenza originale all’umanità. Recitare il Credo riconoscendo "un

battesimo per la remissione dei peccati" non significava più il

ristabilimento dell’innocenza della condizione umana, visto che la

concupiscenza era empiricamente considerata più forte rispetto alla

Grazia divina. Nessuno è parso particolarmente irritato da tale debolezza

di Dio. Così la Chiesa medievale, essendo incapace di allontanarsi dal

peccato, si era allontanata dal Cristianesimo stesso. Al contrario la Chiesa

primitiva non avrebbe mai potuto promettere che i peccati commessi

dopo il battesimo potessero essere perdonati prima dell’ultimo giudizio.

Cristo stesso lo avrebbe potuto fare in qualsiasi momento nei riguardi di

ogni persona sinceramente pentita, ma nessuna autorità ecclesiastica sulla

terra avrebbe potuto assumersi tale responsabilità senza sentire quegli

Asceti e Confessori, (uomini che avevano sopportato con successo la

tortura per amore di Cristo ed erano sopravvissuti) che avevano già

raggiunto la deificazione. Ai Vescovi di eminenti sedi come Roma o

Alessandria fu negata ogni autorità per aver perdonato ai lapsi (= coloro

che cadevano) i quali, sacrificando agli idoli, avevano rinnegato Cristo

nei periodi di persecuzione. Solo uomini veramente Santi, uniti con Dio

attraverso torture subite o attività ascetiche, potevano ricevere la

Rivelazione di quale, tra i lapsi, era stato perdonato [29]. La Chiesa di

quel tempo non pare che conoscesse il rituale del perdono dei peccati,

dopo che era stato amministrato il battesimo. Oggi il rito dell’ assoluzione

dei peccati è compiuto normalmente in tutte le Chiese cristiane. Ogni

prete è considerato possessore del potere d’assoluzione ed è colui che

dispone propriamente di ciò, esattamente come aveva insegnato Giovanni

di Parigi [30] nel 1290. I vescovi – specialmente quello di Roma –

avevano rivendicato come loro particolare prerogativa il perdono e l’

assoluzione di tutti peccati dei credenti già battezzati. Ma negli Atti degli

Apostoli Pietro stesso si presenta come colui che nega di conferire questa

possibilità quando Simon Mago gli chiede perché non sia disposto a fare

uso dei diritti donatigli direttamente da Cristo. Invece Pietro indicò

succintamente che forse solo Dio potrebbe perdonare Simone, dal

momento che era stato già battezzato [31]. Questo ci conduce

direttamente ad un’ appropriata comprensione di ciò che chiamiamo

Successione Apostolica ed autorità nella Chiesa: perché dal serio

equivoco sulla Rivelazione divina come se essa fosse il conferimento

d’un messaggio, i teologi del Medioevo sono arrivati a credere che la

Successione Apostolica può essere ottenuta imponendo le mani nello

stesso modo magico pensato da Simon Mago negli Atti per abilitare, in

tal maniera, le persone a divenire successori degli Apostoli. Non esiste

nulla di più lontano dalla verità. Posare le mani sul capo di persone già

battezzate nell’epoca neotestamentaria era indicativo del fatto che la

divina Rivelazione (cioè la visione del Corpo risorto) aveva nel frattempo

già preso luogo e, per riconoscere tale Evento, venivano imposte le mani

su coloro che erano rimasti pieni di Spirito Santo a causa di quella stessa

visione [32]. Questo gesto non dovrebbe mai essere confuso con

l’imposizione delle mani subito dopo il battesimo [33]. Chiunque riceva

la vera Rivelazione di Dio nella Luce divina non diviene successore di

Pietro, ma successore di Cristo Stesso, per la sua identificazione con Lui

avvenuta al momento della deificazione. È stata la deificazione che ha

assegnato a San Pietro la sua condizione sociale Apostolica; è perciò

ovvio che tutti i Santi, inclusi Seraphim e Motovilov, partecipano alla

stessa condizione sociale Apostolica ed alla sua stessa estensione come

Pietro stesso, siano essi uomini o donne, come nel caso delle quattro

figlie di San Filippo [34]. Essere un Profeta nella Chiesa primitiva era

una condizione sociale d'eminente importanza, di sicura autorità divina.

Era paragonabile ad una condizione sociale più alta rispetto a quella di un

vescovo, di un patriarca o, parimenti, di un papa. Nelle prime riunioni

cristiane, alla presenza di tali Profeti, nessun’altro avrebbe potuto offrire

l’ Eucaristia. L’importanza di queste persone la desumiamo dall’elenco

paolino dei successori apostolici dove vediamo che "Dio li ha posti nella

Chiesa in primo luogo come Apostoli, in secondo luogo come Profeti" (1

Cor 12, 28). Uomini carismatici non ordinati, come Pietro e Paolo, furono

i veri Principi della Chiesa primitiva. Gli uomini ordinati erano i servitori

della Chiesa. Questo è il motivo per cui i papi di Roma si sono

abbastanza anticamente firmati "Servus servorum Dei". Non era una

retorica espressione di umiltà; era un atteggiamento realistico verso il loro

ministero. I primi cristiani avrebbero potuto divenire vere membra del

Corpo di Cristo risorto solo identificandosi con Lui nello stato di

deificazione; questo era il solo modo per loro di partecipare alla

Successione Apostolica dal momento che intendevano l’Apostolicità una

piena partecipazione alla Rivelazione divina nel Cristo incarnato e risorto.

Nessuno avrebbe potuto porre la sua candidatura e nemmeno succedere a

Cristo e ai Suoi Apostoli senza identificarsi con il Corpo risorto nella

Luce divina. Questo è il senso più corretto dell’asserzione paolina: "Ora

voi siete corpo di Cristo e sue membra" (1 Cor 12, 27). Nessuno può mai

divenire membro del Corpo risorto senza una reale unione nella

Rivelazione divina. Nessuno può avere la Successione Apostolica senza

avere visto il Corpo risuscitato: "Sono io un Apostolo? Non ho visto

Gesù, Signore nostro?" (1 Cor 9, 1), San Paolo affermò questo proprio in

tal senso. L’ultima prova dell’autorità nella Chiesa primitiva è basata

sulla Rivelazione divina. Non avrebbero mai potuto essere inerenti alla

successione apostolica questioni di luogo, dignità, ordinazione, o di

particolare privilegio attribuito a una determinata Sede. La Successione

apostolica e l’appartenenza al Corpo di Cristo sono una stessa e identica

realtà, assegnata ugualmente a uomini e donne di tutte le età, malgrado

ogni discriminazione, e garantita attraverso la manifestazione di Cristo

risorto, specialmente nelle riunioni eucaristiche. Una volta che i cristiani

hanno cessato d’essere innocenti (com’è iniziato da un certo periodo in

poi), non era più possibile per loro raggiungere la Successione

Apostolica. La condizione necessaria davanti alla presenza di Cristo

nell’Eucaristia era che la natura umana di coloro che si riunivano per

divenire vere membra del Suo Corpo dovesse propriamente funzionare

esercitando la sua vera funzione: astenenersi dal peccato. Non esisteva

alcuna ragione in base alla quale coloro che praticavano l’ascesi fossero

privati della Sua Gloria. Nel suo Sermone sulla prima domenica dopo

Pasqua, San Gregorio Palamas esprime concetti molto importanti che

riflettono la sua personale esperienza. Egli dice: Una volta che è

terminata la Santa Liturgia e tu hai ricevuto la Santa Comunione va'

immediatamente nella tua stanza, chiudi bene le porte e le finestre come

fecero i Discepoli prima dell’ apparizione di Cristo e posso garantirti che

Egli verrà allo stesso modo in cui venne a loro; se rimani prima tu a porte

chiuse, darai poi veramente la stessa benedizione che Egli diede ai suoi

discepoli e vedrai un reale miracolo (che nessuno potrebbe produrre e

nemmeno descrivere se non coloro che l’hanno sperimentato). Accade

esattamente l’opposto di quello che noi proviamo in una casa illuminata

dall’ esterno con le finestre aperte. [La visione de] Le ferite delle mani [di

Cristo] e dei Suoi piedi sono come finestre che irradiano una Luce che

proviene dall’ interno del Suo tempio corporale. Tale luce illumina con

lampi increati tutti coloro che si trovano in quel luogo precedentemente a

Lui e che gioiscono della Sua manifestazione. Tutti vengono sommersi

dalla luce che irradia dalle Sue ferite. Questo passo riflette l’esperienza

posseduta da Gregorio: il Corpo risorto di Gesù continua ad apparire ma

non a qualsiasi fedele, perché non sono tutti degni di vederLo. Il Suo

Corpo risorto è ancora manifestato a coloro che ne sono degni. Tale

Corpo riempie le persone con la stessa Luce increata diffusa a Seraphim e

Motovilov. Questo conduce inevitabilmente alla conclusione che l’ultima

autorità nella Chiesa sono i testimoni della Gloria increata del Cristo

risorto: gli Apostoli, i Profeti, i maestri, gli operatori di miracoli, i

guaritori, gli assistenti, i governanti e coloro che parlano in lingue [35].

Abbiamo un’ampia evidenza nei testi patristici orientali, almeno fino al

regno di Pietro il Grande, che nessun credente ortodosso avrebbe mai

pensato alla Bibbia come ad un’autorità nella Chiesa. Il testo più

sorprendente proviene da Massimo il Confessore il quale spiega come i

Santi avessero sempre avuto accesso immediato alla divina Rivelazione:

Per acquisire la beatifica conoscenza di Dio, i Santi non hanno mai

sviluppato la nostra stessa percezione materialistica e vile della creazione

o delle Sacre Scritture; la loro visione non potrebbe essere per nulla

ristretta da semplici dati sensibili, né da un’osservazione superficiale di

forme e moduli. Perciò essi non usano mai parole e concetti con i quali si

cade in inganno ed errore, particolarmente nel giudicare la verità. Essi

hanno solo purificato completamente la loro mente, liberandola da ogni

tenebra materialistica [36]. La purificazione completa della loro mente

era il solo strumento da essi utilizzato per accedere direttamente a Dio,

visto che ogni sorta di parole e concetti conducono direttamente

all’inganno. San Gregorio Palamas ripete la stessa cosa: La nostra vera

conoscenza di Dio si gloria di avere Dio stesso come maestro; per cui non

c’è né un essere angelico, né un essere umano ma è solo Dio che ci

istruisce e ci salva. Sono esistiti migliaia di migliaia di cristiani lungo i

secoli che non hanno mai ricevuto istruzione attraverso libri o concetti

intellettuali (essendo stati analfabeti) ma solo da Dio stesso. Questo è

anche il caso di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosé, Daniele, ecc. prima

dell’Incarnazione e di molte migliaia di Asceti, Confessori e Martiri dopo

di essa. Molti uomini non hanno avuto bisogno di parole ed erano

incapaci di accedere ai libri; ecco perché il Cristianesimo è veramente la

"religione" degli analfabeti piuttosto che del popolo colto. Aggiungendo

una voce dalla tradizione russa, ci volgiamo a San Nil Sorsky: Senza

intelligenza pure il buono può divenire cattivo; nella Bibbia sono state

scritte molte cose, ma non tutto ciò che è scritto è divino. Ecco perché

dobbiamo esaminare quanto leggiamo e seguire solo quanto corrisponde

ai veri bisogni [37]. Nel Suo secondo arrivo Cristo accorderà a tutti gli

esseri umani la Sua Rivelazione divina senza alcuna discriminazione.

Nessuno sarà escluso. San Massimo il Confessore ha descritto ciò

perfettamente: La natura umana non contiene i principi intimi di ciò che

la oltrepassa più di contenere le leggi contrarie alla natura stessa. Per ciò

che è oltre natura intendo il divino ed inconcepibile piacere che Dio

genera spontaneamente in coloro che sono ritenuti degni d’essere uniti a

Lui per grazia; per ciò che è contrario alla natura intendo l’indescrivibile

pena causata dalla privazione di tale piacere. Questa pena è generata da

Dio spontaneamente negli indegni quand’è unito a loro in una maniera

contraria alla grazia. Dio è unito ad ogni uomo secondo la fondamentale

qualità del loro intimo stato. Provvede per ciascuno la capacità di

riceverLo e percepirLo, Egli che sarà inevitabilmente unito con tutti alla

fine dei tempi [38]. La Rivelazione divina viene concessa a tutti ma è

offerta sempre in termini increati e deifica in due modi coloro che ne

partecipano, come San Paolo aveva già osservato dicendo: "Tuttavia egli

si salverà però come attraverso il fuoco" [39]. Infatti sappiamo che: "Il

Nostro Dio è un fuoco divorante" [40]. Ci sono due modi per tutti gli

uomini di ricevere la divina Rivelazione e di far diretta esperienza della

realtà divina senza alcun concetto o intermediario: Il piacere ineffabile d’

essere meritevolmente unito a Lui e la pena ineffabile d’essere pure

meritevolmente unito a Lui. Gesù Cristo, destinato ad unirsi con

l’umanità prima di tutti i tempi, è simultaneamente Cielo ed Inferno. Il

Suo Corpo risorto incorpora tutta l’ umanità per l’eternità. Se ora ci

volgiamo alla presente situazione, ci meravigliamo di come molti

ortodossi credano veramente alla divina Rivelazione. Da quando Pietro il

Grande ha ordinato la traduzione dei Catechismi tedeschi luterani in

russo, gli elementi più sostanziali sia della dottrina cattolico-romana che

di quella protestante sono stati incorporati nella tradizione e nella fede

ortodossa. Come risultato di questa fusione, le Chiese ortodosse hanno

adottato il fondamentale errore che esistono delle fonti create della divina

Rivelazione sulle quali è stato edificato il Cristianesimo. Assieme ai

cattolici-romani della controriforma, i teologi ortodossi hanno accettato

che le Sacre Scritture e la Santa Tradizione della Chiesa siano le due fonti

incontrastate di tutta la Rivelazione divina. I criteri del primo Concilio

niceno sull’increaturalità di ogni Rivelazione divina è stato, così,

dimenticato. Come risultato di questa negligenza le Chiese ortodosse

odierne tendono a credere inavvertitamente che quanto stabilito dai criteri

niceni sia un Dio creato, precisamente perché credono in una divina

Rivelazione creata [41]. Un’affermazione della più sorprendente evidenza

può essere presa, ad esempio, dal libro di Timothy Ware The Orthodox

Church (Pinguin Books 1987). Il capitolo sulla tradizione ortodossa (p.

203) come fonte di fede ortodossa comincia con una citazione di

Vladimir Lossky: "La Tradizione è la vita dello Spirito Santo nella

Chiesa". Esaminiamo appropriatamente quest’ asserzione secondo i

criteri niceni. Se lo Spirito Santo è davvero increato allora conduce pure

una vita increata. Se la vita increata dello Spirito Santo coincide con la

tradizione della Chiesa, allora la Chiesa ha una tradizione increata che

dovrebbe inevitabilmente coincidere con un potere increato ed eterno o

con un’energia della stessa Santa Trinità. Ma sappiamo che la Chiesa non

è increata e la sua tradizione è iniziata nel tempo e nello spazio. Perciò se

davvero la vita dello Spirito Santo è la tradizione della Chiesa, lo Spirito

Santo dovrebbe inevitabilmente vivere di una vita creata. Ma qualunque

vita creata non può appartenere al Regno increato. L’asserzione di Lossky

implica inavvertitamente che lo Spirito Santo è una creatura! È

un’asserzione di fede eunomiana che tacitamente rifiuta il Credo niceno:

lo Spirito increato può solo avere vita increata! La Tradizione non può

per nessun motivo essere increata. La Tradizione non può in nessun modo

essere la vita dello Spirito Santo nella Chiesa o al di fuori di essa. Simili

gravi errori sono correnti negli scritti di Lossky; ma ci sono così tanti

gravi errori sulla Rivelazione divina nei contemporanei scrittori ortodossi,

da spiegare a sufficienza la recente confusione che prevale nell’

Ortodossia su tale questione. Per esempio Giorgio Florovsky, citato nello

stesso libro, definisce la tradizione "la Rivelazione incessante dello

Spirito e la predicazione della buona novella" (p. 206). I criteri patristici

che hanno aiutato molte generazioni ortodosse nel discernere con

proprietà tra errore e verità nella dottrina cristiana sono stati qui

abbandonati. Osserviamo cosa quest'Autore crede sulla Bibbia. Cito dallo

stesso libro (pp. 207-8): La Bibbia è l’espressione suprema della

Rivelazione di Dio. I cristiani devono essere sempre il popolo del Libro.

L’Ortodossia crede fermamente a ciò con una solidità forse più forte del

Protestantesimo. […] Il cristiano ortodosso crede che le variazioni dei

Settanta furono operate per inspirazione dello Spirito Santo e vengono

accettate come parte della continua Rivelazione di Dio. Paradossalmente

questa è precisamente la comprensione agostiniana dei Settanta. È

pertinente notare che Agostino attribuiva un’eminente autorità alla

Settanta perché credeva fermamente che Dio avesse provveduto,

attraverso quella versione, ad istruire i gentili come a suo tempo aveva

stabilito il testo israelitico per l’istruzione degli ebrei. Questo è il motivo

per cui, secondo Agostino, lo Spirito Santo aveva ispirato i traduttori

della Settanta a deviare per tempo dal testo israelitico: solo così facendo

essi avrebbero potuto esprimere la verità nella maniera con la quale Dio

voleva fosse espressa ai gentili [42]. L’autore ha un'enorme scusa per tali

visioni offerte nel suo libro The Orthodox Church proprio perché la

Chiesa, nella quale è stato ferventemente ricevuto, ha mantenuto gli stessi

orientamenti. Egli ha fedelmente riprodotto la situazione che trovò nella

Chiesa ortodossa quando vi si congiunse curando attentamente in nota

ogni singola frase del suo libro. Crea meraviglia che un punto

appartenente ai criteri fondamentali proposto ai cristiani occidentali che si

convertono rimanga identico tra Oriente ed Occidente com’è iniziato ad

accadere dall’epoca di Pietro il Grande. La recente pubblicazione del

nuovo Catechismo della Chiesa cattolica (1994) prova ampiamente

quest’identità. Nella prima sezione, capitolo secondo all’articolo primo

intitolato "La Rivelazione di Dio" troviamo che: Il disegno divino della

Rivelazione si realizza ad un tempo con "gesti e parole" (53); Dio si

comunica gradualmente all’uomo (53); Dio offre agli uomini nelle cose

create una perenne testimonianza di sé (54); il Figlio è la Parola definitiva

del Padre, cosicché, dopo di Lui, non vi sarà più un’altra Rivelazione

(73); Nell’articolo 2 leggiamo: "La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura

costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio", nel quale, come

in uno specchio, la Chiesa pellegrina contempla Dio, fonte di tutte le sue

ricchezze (97); tutto il popolo di Dio... non cessa di accogliere il dono

della Rivelazione divina, di penetrarlo sempre più profondamente ... (99);

Nell’articolo 3 leggiamo: Dio, attraverso tutte le parole della Sacra

Scrittura, non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale dice

se stesso interamente (102); nei Libri Sacri, infatti, il Padre che è nei cieli

viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in

conversazione con loro (104); Dio parla all’uomo in maniera umana...

(109) Nella Bibbia, il cristiano ha il compito di "scoprire l’intenzione

degli autori sacri"! (110); le Sacre Scritture contengono la Parola di Dio

e, perché inspirate, sono veramente Parola di Dio (135). Dio agisce negli

autori della Sacra Scrittura e per mezzo di loro (136); la Chiesa ha sempre

venerato la divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore

(141). Nella seconda sezione, articolo primo al paragrafo secondo

intitolato "Il Padre" leggiamo: Tutta la storia della salvezza è identica con

la storia dei modi e dei mezzi con i quali l’unico vero Dio si rivela agli

uomini [43] (234). Dio ha lasciato tracce del suo essere Trinitario

nell’opera della creazione e nella sua Rivelazione lungo il corso

dell’Antico Testamento (237). Dall’evidenza delle succitate asserzioni è

ovvio, una volta di più, che i cattolici moderni (precisamente come i

moderni ortodossi) credono ad un Dio la cui Parola è Rivelazione

(separatamente da alcune tracce Trinitarie?), disegno di salvezza, mezzi,

gesti, parole, chiamate, incontri e, specialmente, doni. Tutte cose create.

Come potrebbe, Dio increato, rimanere sulla terra? Come lo stesso

Catechismo chiaramente indica: Le opere di Dio rivelano chi Egli è in se

stesso; e, inversamente, il mistero del suo Essere intimo illumina

l’intelligenza di tutte le cose. Avviene così, analogicamente, tra le

persone umane. La persona si mostra attraverso le sue azioni, e, quanto

più conosciamo una persona, tanto più comprendiamo le sue azioni (236).

Le persone che conoscono ampiamente Dio quasi come Egli conosce il

Suo Essere intimo, non hanno il bisogno di unirsi a Lui nella Luce

increata, visto che ogni cosa (Dio incluso) si rivela ai loro occhi... Nel

libro di Paul Avis, Divine Revelation, (1997) l’editore nota

significativamente che: La divina Rivelazione è una tra le questioni

teologiche più fondamentali; alcuni potrebbero davvero sapere se esiste

una chiarezza nella Rivelazione da parte di Dio, dove essa sia localizzata,

che forma essa prenda, chi abbia l’autorità per interpretarla? In questo

caso noi potremmo risolvere ogni altro genere di problema teologico. Ma

esistono ancora dei cristiani capaci di formulare delle sintetiche risposte

prescindendo dalle deviazioni della loro tradizione? Tutti i fatti sopra

evidenziati rispondono negativamente. I moderni cristiani non sono giunti

a considerare che la divina Rivelazione è ingiustamente percepita su

concetti e mezzi creati, come se il Rivelatore fosse una creatura. Esiste

solo un mezzo appropriato per portare la divina Rivelazione all’umanità:

il corpo umano, la sola creatura che è stata privilegiata a divenire increata

per grazia. Questa è l’ultima ragione per cui Dio stesso lo ha assunto in

Cristo. Solo quelle persone i cui corpi sono stati deificati possono rivelare

propriamente in loro Dio Stesso. E questo spiega perché dall’842 d.C.

venga letta fuori dalle chiese ortodosse la Dichiarazione di Ortodossia in

occasione dell’annuale celebrazione del ripristino delle Sante Icone

(domenica dell’Ortodossia). In questa dichiarazione non si fa alcuna

menzione della Bibbia o di altri mezzi creati, di mediatori o operatori

della divina Rivelazione. Essa recita: Noi crediamo, confessiamo e

predichiamo Cristo, nostro vero Dio esattamente come Lo hanno visto i

Profeti, come Lo hanno insegnato gli Apostoli, come L’ha ricevuto la

Chiesa, come Lo hanno decretato i Padri e i Maestri, come vi ha

convenuto l’insieme dei fedeli, come Lo ha riconosciuto la Grazia, come

Lo ha manifestato la verità, com’è stato ripudiato dall’errore, com’è pure

stato chiaramente dichiarato dalla Sapienza, come Cristo stesso ha

dichiarato. Questa Dichiarazione verifica pienamente la perfetta certezza

della Chiesa che la Successione Apostolica è condivisa da tutti coloro

che, come veri membri del Corpo risorto di Cristo, divengono increati per

grazia malgrado ogni distinzione di sesso, educazione, razza, ecc. Costoro

sono tradizionalmente chiamati Santi Martiri, Apostoli, Profeti, Santi

Padri e Sante Madri e compongono il coro dei Santi. Questo spiega

perché ogni Concilio Ecumenico abbia dichiarato che i Santi Padri sono

l’ultima autorità nella Chiesa e, conformemente a ciò, iniziava ogni

promulgazione dottrinale con la frase: "Seguendo fedelmente i nostri

Santi Padri crediamo...". Malgrado tale chiara eredità dell’epoca

patristica, la totalità dei teologi ortodossi odierni crede che l’ultima

autorità nella Chiesa ortodossa è l’ istituzione dei Concili ecumenici e

non i corpi deificati dei Santi. Essi non percepiscono neppure il fatto che

per sostenere tale errore finiscono implicitamente per mostrare che la loro

Chiesa è senza un’autorità, visto che negli ultimi dieci secoli non si è

tenuto alcun Concilio ecumenico... Delle istituzioni secolari della

Cristianità Imperiale, come i Concili Ecumenici riuniti dagli imperatori

per mantenere l’ordine e l’unità in uno Stato "ortodosso", non possono

divenire increate per grazia e perciò sono incapaci di funzionare come

rappresentanti della Rivelazione divina. I veri rappresentanti della

Rivelazione sono solo quei Santi Padri [della Chiesa] i cui corpi e menti

sono stati deificati e, come tali, hanno dato autorità a quei Concili —

ecumenici o meno — nei quali hanno partecipato. Istituzioni

ecclesiastiche secolarizzate non possono in nessun modo essere

identificate con il Corpo risorto per questa incapacità d’essere l’una,

cattolica e apostolica Chiesa, visto che questa Chiesa coincide totalmente

con il Corpo risorto stesso. Questo Corpo esiste ancora e continuerà ad

esistere nei secoli dei secoli "e le porte dell’inferno non prevarranno

contro di esso" (Mt 16, 18). Viceversa immaginare che determinate

istituzioni geografiche ed etniche saranno perpetuate nella vita futura, è

una semplice utopia. Dall’epoca degli Scribi e dei Farisei l’umanità è

stata provata dal sommo dilemma se prendere la parte della Sacre

Scritture o la parte della Chiesa; coloro che optano per la seconda, si

trovano ancora nel dilemma: a quale Chiesa appartenere? Ad un'

istituzione secolarizzata, inevitabilmente dominata dal principe delle

tenebre (Lc 4, 5-6) come ogni cosa di questo mondo, o al Corpo risorto di

Cristo? San Simeone il Nuovo Teologo ha offerto un criterio realistico in

base al quale le persone possono discernere esattamente dove si trovano:

Se c’è verità in ogni asserzione di Cristo, che è la Luce del mondo, allora

chiunque in questa vita manca di vedere quella Luce, è sicuramente cieco.

Il cristianesimo su questa terra può essere significativo soltanto quando

l’increata Luce sommerge infinitamente il fedele, causando l'unione con

il Corpo risorto; come mostrò uno dei Padri orientali del quarto secolo

(Sant'Epifanio di Salamina) nel tentativo di confutare l'arianesimo: "La

Santa Trinità si manifesta perpetuamente, ora e sempre, in una forma

increata".

--------------------------------------------------------------------------------

NOTE [1] PG 3, 1069 B. [2] Cfr. Gv 10, 34. [3] Nahum 1, 1. [4] 1 Gv 1,

1. [5] Gal 1, 11. [6] Commento su San Matteo 1, 1. [7] 1 Cor 15, 3-8. [8]

Gen 32, 30. [9] Gen 32, 28. [10] Adv. Haer. IV 38, 3. [11] 1 Cor 15, 5.

[12] Gv 20, 29. [13] Tradizione proveniente dagli scritti dell’ebreo

Filone, famoso autore del primo secolo. [14] Enar. In Ps. 143, 11; 38, 6;

134, 6. De Civ. Dei 8, 12. De Trin. 5, 23. Contra Secundinum, 15. Cfr. a

tal proposito il capitolo: Dio solo È nel Catechismo della Chiesa cattolica

212-13. [15] F. Dolbeau, Sermons inedits de Sant Augustin, 1993. [16]

PG 90, 11 36 C. [17] Cfr. Gv 10, 34. [18] De Gen. ad lit. 12, 17. [19] ST

1, 41, 3. [20] ST 3, 64,4. [21] De Divisione Naturae 2, 2 PL 122, 529.

[22] Si veda La città di Dio di Sant’Agostino. [23] 1 Cor 15, 28. [24] The

Guilford Lectures, 1934, Nature, Man and God, p. 232. [25] Mt 18, 20.

[26] 1 Cor 12, 27. [27] PG 91, 1137-1141. [28] È evidente la principale

differenza tra questa posizione e quella dei novaziani. Quest’ultimi

rifiutavano sia la possibilità del pentimento che del perdono di Dio a

coloro che, dopo il battesimo, peccavano. Questa rigidità fa pensare che

tali eretici si credessero espressione della mente divina! Contrariamente a

ciò, la Chiesa ortodossa cattolica riconosceva il pentimento in Oriente e

in Occidente e pregava per ottenere il perdono da Dio. Non escludeva mai

i peccatori dalle sue membra. [29] Cfr. Dom. Gregory Dix., The Ministry

in the Early Church, in Kenneth E. Kirk, The Apostolic Ministry, London

1947, pp. 224 ss. [30] De potestate regia et papali, XII. [31] Atti 8, 22.

[32] Atti 6, 3; 13, 3. 1 Tim 4, 14. [33] Atti 8, 17. [34] Atti 21, 9.

[L’opinione dell’Autore non dev’essere ritenuta come se la deificazione

squalifichi, appiattisca e confonda ogni carisma e ministero nella Chiesa.

Si deve invece ritenere che la deificazione è come un sommo vertice

davanti al quale ogni altro ministero lasciato nel tempo e nello spazio

storico alla Chiesa militante non è che ombra. N.d.t.] [35] 1 Cor 12, 28.

[36] PG 91, 1160. [37] Louis Bouyer, History of Christian Spirituality,

vol. 4, p. 21. [38] Quarta centuria di vari testi, 20. [39] 1 Cor 3, l5. [Il

passo specifica che il dannato non muore in eterno, "si salverà", ma vivrà

la sua unione con Dio stando come in un fuoco divorante, "come

attraverso il fuoco". N.d.t.]. [40] Ebr 12, 29. [41] [Questo dimostra che

l’Ortodossia non è un corpo amorfo e fossilizzato, per cui si possa dire:

"Si sono fermati a mille anni fa!". È una realtà viva con i suoi valori ma

pure con le sue tentazioni. Nonostante quest’ultime, in essa non sono mai

venute meno le voci profetiche che hanno riportato gli uomini ai valori

essenziali contro possibili ingiustificati adattamenti, riduzioni filosofiche

e secolaristiche tendenze. N.d.t.] [42] Sulla Dottrina Cristiana, 2, 15-22;

La Città di Dio, 18, 43. [43] [Questo punto dell’edizione italiana recita:

"... tutta la storia della salvezza è la storia del rivelarsi del Dio vero e

unico...". N.d.t.]