La Rivelazione Di Dio
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La Rivelazione di Dio
di Maximos Lavriotis
Peterhouse - Cambridge
La Rivelazione di Dio
La differenza cruciale tra la teologia orientale e quella occidentale
Biografia di Maximos Lavriotis: Maximos è nato nel 1949 a Pireo
(Grecia). Nel 1971 si è laureato in teologia all’Università di Atene. Nel
1971-72 è divenuto monaco postulante nei monasteri della Meghisti
Lavra e di Dionisiou (Monte Athos). Nel 1973-75 ha proseguito i suoi
studi frequentando corsi post-universitari di filologia bizantina
all’Università di Londra. Nel 1975 ha fatto la professione monastica e
nel 1979 ha ricevuto il "grande schema" nel Sacro monastero della
Meghisti Lavra. Dal 1978 al 1987 è divenuto assistente presso la Facoltà
teologica dell’Università di Salonicco. Nel periodo che va dal 1983 al
1989 ha prodotto la prima edizione critica delle opere su San Gregoro il
Sinaita con il professore Hans Veit Besser dell’Università di Bonn. Nel
1989 è divenuto presbitero e archimandrita. Nel periodo che va dal 1989
al 1996 è stato priore al Sacro Tempio di Sant’Atanasio in Cambridge
(UK). In questo periodo ha rappresentato l’Arcivescovo di Thiatira al
Consiglio britannico delle Chiese e al Consiglio delle Chiese di Bretagna
e Irlanda. Inoltre ha fatto parte del Comitato di teologia e unione
intervenendo per le questioni balcaniche e orientali. Nel 1993 è divenuto
ricercatore presso la Facoltà teologica dell’Università di Cambridge
presentando la tesi Le precoci spiegazioni delle teofanie manifestate
nell’Antico Testamento. Nel 1994 è divenuto membro del dialogo
cristiano-buddista. Dal 1994 al 1997 è stato Lettore di Storia della
teologia della Chiesa ortodossa presso l’Università di Cambridge. Fino
ad oggi ha scritto e pubblicato numerosi articoli. Il presente articolo
teologico, nonostante qualche particolare e personale considerazione
propria all'autore, riflette e spiega bene la posizione tradizionale della
Chiesa ortodossa.
LA RIVELAZIONE DI DIO
L' ebraismo e il cristianesimo sono tradizionalmente definiti come
religioni rivelate. Effettivamente Dio si rivela pienamente alla prima
coppia umana già nel primo capitolo della Genesi. Gli ebrei e similmente
i cristiani ammettono che nelle loro Sacre Scritture non si può facilmente
distinguere tra il racconto e la Rivelazione divina. Dio rimane in intimità
con gli uomini non solo prima della caduta ma pure dopo, come se nulla
fosse intervenuto. Egli appare ad Adamo prima e dopo la sua caduta e si
rivela a Caino dopo che questo ha ucciso il fratello. Apparentemente non
esiste alcun limite morale che impedisca a Dio di rivelarsi alle sue
creature. L’aspetto più significativo della Rivelazione Biblica è il
semplice fatto che Dio manifesta Se stesso. La percezione medievale e
moderna secondo cui la Rivelazione mira inestricabilmente a comunicare
un messaggio e quindi Dio, in un modo o in un altro, deve rivelarsi sia
per impartire il messaggio all’umanità sia per punirla, non può essere
biblicamente fondata. La Rivelazione biblica è primariamente l’auto-
manifestazione di Dio. Infatti Dio stesso è il messaggio perché nella
Rivelazione Egli coincide con il medesimo Evento. In quest’aspetto ciò
che interessa veramente è il contatto intimo dell’uomo con la realtà
increata. Le conseguenze di tale contatto potrebbero essere sintetizzate in
determinati messaggi o potrebbero comporre più tardi un ampio discorso,
ma il semplice fatto che [normalmente] non si possa pervenire
all’esperienza rivelatoria, non significa che la Rivelazione si possa ridurre
ad un messaggio visto che essa esprime sempre la Presenza divina, il
contatto reale tra la realtà increata di Dio e quella creata dell’uomo. Ciò
che emerge dal moderno pensiero teologico è che l’elemento intellettuale
costituisce il totale significato della Rivelazione. Tutti i teologi moderni
pensano principalmente alla comunicazione e non pongono attenzione
alla realtà dell’evento nel suo insieme, al semplice fatto che Dio abbia
rivelato Se stesso alle Sue creature. In tutto questo studio emergerà
quanto sia significativa questa differenza. Prima di tutto dobbiamo
considerare seriamente l’iniziativa divina: è sempre Dio che prende tale
l’iniziativa e si rivela in maniera da far entrare l’uomo nella Sua realtà
increata: il Regno divino. Non accade mai il contrario. A parte il caso
singolare della Sua incarnazione, Dio non entra mai nel regno creato
attraverso l’azione delle Sue continue rivelazioni. Non parla mai all’uomo
in termini creati, termini che sono di questo mondo. Ciò è avvenuto solo
nel caso di Cristo e anche qui senza che l’elemento increato fosse venuto
meno. Nel Figlio di Dio entrambi gli elementi erano presenti in modo
misterioso. Dionigi dice a tal proposito: L’automanifestazione di Cristo è
rimasta ignota quanto ogni atto rivelatorio da parte di Dio; più
precisamente, nel manifestarsi attraverso la carne di Cristo, Dio è rimasto
così ignoto che si può descrive la Sua autorivelazione come qualcosa di
incomprensibile. Qualunque cosa possiamo pensare o dire di Lui rimane,
di fatto, arcana [1]. Così nella Rivelazione di Dio in Cristo l’
inaccessibilità del Regno divino rimane intatta includendo questa volta la
Sua umanità. Il provvisorio adattamento di Dio piuttosto che adeguarsi ai
termini della creazione, si prospetta come un’immanenza eterna della Sua
umanità nel Regno increato. Non esiste alcuna Rivelazione senza un
contatto reale tra gli esseri creati e il Dio increato. Nella lingua ebraica
tali contatti sono espressi chiaramente senza cadere nel rischio di
fraintenderli. A differenza della lingua greca e di quelle moderne, il
termine ‘Parola di Dio’, in ebraico, non ha mai comportato valenze
intellettuali per cui si possa identificare la Parola divina con l’Intelletto
divino o con parole create, con espressioni o rivelazioni di messaggi. La
Parola di Dio (Davar Yehwa) in ebraico richiama sempre un’entità
divina: infatti quando leggiamo che, ‘La Parola di Dio è giunta al tale e al
talaltro profeta’ significa che si manifestava prima di loro [2]. Nel libro di
Isaia leggiamo che il profeta vide la Parola (2, 1) e similmente può dire
Luca con la sua testimonianza visiva (1, 2); in tal modo tale Parola, così
spesso confusa con ‘discorso’ o con ‘espressione’, è principalmente una
visione nell’Antico Testamento [3], un Deus absconditus nel Nuovo [4],
il vertice di un’esperienza e il contatto reale con il Regno increato di Dio.
La Fede non è necessaria per tale incontro. Giovanni Crisostomo nel suo
Sermone su Abramo dimostra molto sinteticamente che, le sole cose
necessarie per tutti i destinatari delle apparizioni divine sono l’integrità
umana e l’estrema fedeltà alla vocazione per mantenere in loro
l’Immagine e Somiglianza di Dio. Malgrado ogni inesorabile tentativo
demoniaco e umano per adulterare l’automanifestazione di Dio attraverso
l’inganno e altre apparizioni, quest’ ultima rimane sempre
straordinariamente autoautenticante. Ogni contatto e assorbimento umano
nel Regno increato rimane un mistero ineffabile, incomprensibile e
incomunicabile. L’evento si può narrare, tuttavia la narrazione non può
rendere partecipi. Quando nella Bibbia leggiamo che Dio è apparso ad
Abramo non raggiungiamo la situazione rivelatoria di Abramo. La Bibbia
stessa è fatta di parole e concetti creati. Ogni concetto che possa essere
concepito dal cervello umano è di origine creata; il cervello umano può
funzionare solo nei limiti dello spazio e del tempo; non può percepire
qualche realtà increata e nemmeno comprenderla. Siccome nessuna
parola o concetto creato conterrà mai la realtà divina, è inevitabile che
ogni testimonianza creata esistente, come la Bibbia o qualunque altra
cosa dove si dimostra la divina Rivelazione (per es. le sante icone),
trasmetta ben poco, estremamente poco, la realtà divina stessa, quella
realtà che Dio manifesta nella Sua reale Rivelazione agli esseri umani.
Confidare in concetti creati e in un linguaggio creato per esprimere o
apprendere la realtà increata di Dio è un grossolano errore metodologico,
poiché non esiste alcuna analogia entis e alcuna analogia fidei né alcuna
realtà tra creato e increato; nulla che possa riprodurre fedelmente la realtà
divina nella nostra realtà creata. San Paolo afferma quest’importante ed
evidente situazione. L’Apostolo inizia la sua lettera ai Galati dicendo: Vi
dichiaro dunque, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non è
modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da
uomini ma per rivelazione di Gesù Cristo [5]. I teologi moderni, come
quelli del precedente periodo scolastico, non hanno mai posto molta
attenzione a tale espressione. Nel Medioevo, da un certo periodo in poi, la
Rivelazione di Dio è stata identificata interamente con un determinato
messaggio divino. Precedentemente gli ebrei e i cristiani non si
occupavano mai pienamente della comprensione e dell’interpretazione
del messaggio; salvare una determinata opinione sulla Rivelazione non
rientrava nelle loro intenzioni. Il loro atteggiamento è stato reso
gradualmente insignificante: quello che cominciava ad importare era il
messaggio. Nella Chiesa primitiva, comunque, la divina Rivelazione
come realtà dell’increato emergente fra e dal Corpo risorto di Cristo era la
realtà definitiva e, come tale, veniva conservata silenziosamente in
atteggiamento d’adorazione. Parlare di questo era ritenuto empio e
improprio, almeno all’inizio quando gli Apostoli erano ancora vivi.
Subito dopo la loro morte è nato un contrasto incentrato sulla seguente
questione: Cristo poteva essere ancora visibile dalla seconda generazione
dei Suoi discepoli? Coloro che erano incapaci di vederLo dibattevano
profondamente sul vero significato del Cristianesimo e si volgevano a
vangeli e lettere di ambigua provenienza. Tuttavia, più tardi, Giovanni
Crisostomo indicò chiaramente l’autentico atteggiamento: I cristiani non
avrebbero mai dovuto avere bisogno di fonti scritte. Ciò è avvenuto solo
in seguito a causa del loro fallimento nel raggiungere la loro vera
vocazione; ma anche così la Rivelazione dovrebbe prendere luogo nei
nostri cuori, laddove verrebbe scritta dallo Spirito Santo (2 Cor 3, 3). Non
avremmo mai dovuto tornare alla Bibbia, tuttavia si è manifestato
assolutamente necessario per coloro che erano caduti in errori dottrinali o
morali, in errori o in peccati, ricordarsi nuovamente delle Sacre Scritture
[6]. Così, da un certo momento in poi, si sono conservati nella Chiesa
quattro vangeli provenienti da quattro uomini, [gli evangelisti], mentre
Paolo, precedentemente, poteva ancora dire d’aver ricevuto un Vangelo
che non provenisse da uomo. È altamente significativo che nella liturgia
ortodossa il popolo non risponda mai "Questo è il Vangelo di Gesù
Cristo" come si fa al termine delle letture evangeliche nelle tradizioni
occidentali [protestanti]. Nelle liturgie ortodosse non si dice neppure
"Parola di Dio" come si fa usualmente in altre denominazioni cristiane.
Le assemblee dei fedeli orientali ed occidentali non esclamano con la
stessa intenzione "Gloria a Dio" o "Amen". Nella liturgia ortodossa i
fedeli dicono anche "Gloria a Te o Dio, Gloria a Te", tuttavia non
identificano mai il testo biblico, consistente in concetti e in enunciati
creati, con la Parola del Dio increato. Nella tradizione orientale la Parola
di Dio è la seconda persona della Trinità, il Logos, l’unigenito Figlio di
Dio che si è incarnato. Identificare un’entità creata come un libro con la
realtà increata della seconda persona della Trinità era impensabile nella
Chiesa primitiva poiché avrebbe espresso una confusione tra i due regni
[quello creato e quello increato] oltre a suggerire una lettura eretica della
cristologia neotestamentaria. Il Credo niceno dichiara che la Parola di Dio
è "generata non creata" indicando così succintamente che generare e
creare (o fare) non è la stessa e identica azione divina. Diversamente,
l’atto di creare il mondo e l’atto di generare il Figlio di Dio
coinciderebbero con la stessa e identica azione divina. È precisamente
questo che l’arianesimo manteneva vigorosamente. Il capitolo più
importante del Nuovo Testamento è il quindicesimo capitolo della prima
lettera ai Corinti, dove Paolo ricorda ai cristiani di Corinto il suo Vangelo
che non proviene da uomo e da un’ istruzione umana, ma direttamente
dalla Rivelazione. L’Apostolo dice: Vi ho insegnato secondo questo
Vangelo che cioè Gesù Cristo è morto e risorto il terzo giorno. Né il
discorso di Paolo né il suo Vangelo si concludono con la Risurrezione e
con la Pentecoste. Infatti l’Apostolo continua dicendo: Apparve a Cefa e
quindi ai dodici; in seguito apparve a più di cinquecento nostri fratelli in
una volta, la maggior parte di essi sono ancora vivi, mentre alcuni sono
morti. Inoltre apparve a Giacomo e quindi a tutti gli Apostoli. Ultimo fra
tutti apparve anche a me come a un aborto [7]. La perpetua presenza di
Cristo nel suo popolo, fra coloro che sono degni e possono partecipare
alla Sua Rivelazione divina, sembra essere l’elemento più importante del
Vangelo di San Paolo. L’auto-manifestazione di Dio ai Santi dell’Antico
Testamento, ai Profeti e ai giusti è stata sostituita dalla Rivelazione del
Corpo risorto di Cristo nel Nuovo Testamento. Non esisteva alcuna
differenza nella comprensione della cristianità primitiva tra le apparizioni
di Dio ad Abramo, Mosé, Daniele, a tutti i Profeti e ai Santi e le
apparizioni del Corpo risorto di Cristo ai suo prediletti nel Nuovo
Testamento. Nelle lettere paoline è espressa l’evidenza del contenuto
reale del Cristianesimo, il Vangelo increato non-concettuale identico alla
visione di Dio che porta direttamente alla reale unione con Lui in
entrambi i Testamenti. Infatti nei due Testamenti la salvezza si è sempre
realizzata tramite il reale contatto con Dio stesso. Precedentemente,
avveniva con la visione del Verbo non ancora incarnato, più tardi, con la
visione del Verbo incarnato. In tal modo, leggiamo dalla Genesi che
Giacobbe lotta tutta la notte con l’Angelo di Dio e in seguito dice: "Ho
visto Dio faccia a faccia e la mia vita è stata preservata" [8]. La
traduzione dei Settanta riporta: "…e la mia anima è stata salvata". La
salvezza è realizzata al massimo attraverso un rapporto diretto, un
contatto frontale e reale con la realtà deificante di Dio. Se ci volgiamo a
Sant’Ireneo, uno dei teologi più importanti di tutti i tempi, troviamo la
sintesi del destino umano in una densa citazione: L’uomo dovrebbe
inizialmente passare dal non essere all’essere, [solo] in seguito crescere,
poi maturare, moltiplicarsi e prevalere in lui la virtù [9]. In seguito egli
viene glorificato e finalmente vede il suo maestro; perché è Dio stesso ad
essere visto; e la visione di Dio attribuisce all’umanità l’ incorruzione
mentre l’incorruzione comporta la perpetua unione con Dio [10]. Pare che
la suprema ragione per cui si riunisse la Chiesa primitiva fosse la visione
di Dio; ed era il Vangelo di Paolo a condurre direttamente verso questa
visione abilitando i suoi destinatari a vedere il Corpo risorto di Cristo
dovunque le Sue membra si riunissero in Suo ricordo. Quando Paolo era
ancora vivo più di cinquecento persone avevano visto il Cristo risuscitato
e il numero di tali testimoni oculari aumentava di giorno in giorno.
Possiamo riferirci a San Seraphim di Sarov come ad uno di quelli che si
trovano nello stesso benedetto elenco, visto che tale elenco è composto da
persone di tutti i secoli fino al definitivo ritorno di Cristo.
Quest’approccio alla divina Rivelazione è piuttosto differente da quello
consueto, essendo un’automanifestazione di Dio invece di un messaggio
trascritto in un libro che necessita di un’ interpretazione. L’Apostolo San
Pietro è divenuto capo di tutti coloro che ebbero una visione diretta del
Corpo risorto di Cristo; anche se molte persone nella Chiesa primitiva
non erano in condizione di vederLo per diverse ragioni, non avendo alcun
accesso ad un’immediata Rivelazione. Così, abbastanza presto, si sono
formate due scuole di atteggiamenti diversi. Una di esse era la scuola
petrina che sosteneva il primato di Pietro, un primato non identificato al
fatto d’aver preso delle chiavi per gestire un regno creato. Il primato
petrino si basava sul fatto che l’Apostolo fu il primo ad aver conosciuto il
Corpo risorto di Cristo nella primitiva evidenza neotestamentaria [11].
San Paolo è colui che ha stabilito l’autorità petrina la cui scuola prestava
attenzione al primato della visione e ne gioiva nelle sue riunioni. Ecco
perché il vangelo di San Matteo termina dicendo: "Sono con voi tutti i
giorni fino alla fine del tempo" (originale greco). Questa non era una vaga
promessa; era una situazione di fatto per le comunità cristiane esistenti
che hanno redatto il vangelo di San Matteo. Tuttavia non tutte queste
comunità potevano seguire questa linea; a seguito di una reazione molto
grande si creò un’altra scuola, quella giovannea, la quale affermava il
primato della fede sulla visione. Tale scuola divenne molto popolare
rispetto alla precedente nel ceto colto dei convertiti. All’ improvviso,
verso la fine del primo secolo, troviamo stabilita la prospettiva secondo
cui erano maggiormente benedetti coloro che avrebbero creduto senza
vedere, rispetto a quelli che avrebbero visto il Corpo risorto di Cristo
[12]. Inevitabilmente le due scuole entrarono in un conflitto che durò per
otto secoli. Il dibattito verteva sulla visibilità e sull’invisibilità di Dio e
generava una disperata lotta per affermare un equilibrio tra la
trascendenza e l’immanenza divine nel Corpo di Cristo. La tradizione
giudeo-cristiana aveva attestato il primato della visione sopra la fede ed
elevato a principio fondamentale la distinzione tra il regno creato e il
Regno increato. Ebrei ortodossi e cristiani non avrebbero mai mescolato i
due piani, riducendo Dio a una parte della sua creazione o viceversa.
Tuttavia la scuola che sostenne il primato della fede fu fortemente
influenzata da elementi filosofici greci come quelli che derivano in
particolare dalla tradizione di Filone [13]. I fondamentali principi di
questa tradizione erano piuttosto diversi dai precedenti. Non
distinguevano attentamente il Regno increato da quello creato. Seguendo
il modello platonico della piramide dell’essere – la cui cima è Dio stesso
essendo in Lui la pienezza dell’essere medesimo – tali principi
attribuiscono diversi gradi di essere tra Dio e il mondo creato. Per la
tradizione di Filone la distinzione teologica più importante passava tra i
regni materiali e quelli spirituali, una distinzione pagana puramente
filosofica contenuta già in Platone e in altri filosofi greci. Dio è il solo
che possiede la pienezza dell’essere; tutti gli altri esseri, specialmente
quelli creati, sono sempre meno veri e reali poiché possiedono un minor
essere. Anche se inconsapevolmente, la creazione di Dio veniva messa in
pericolo dal momento che le creature con minor essere esistono e la
minor creazione esiste. In questa prospettiva arriviamo al punto di
meravigliarci come possa essere considerata reale la creazione e si è
tentati di giungere a conclusioni simili a quelle indù in base alle quali il
creato è un’illusione (Maya). Nel V secolo troviamo espressioni come
quelle di Sant’Agostino. Il vescovo d’Ippona confrontando Dio con le
creature, giunge alla conclusione che "Se Egli è, noi non siamo" [14]. Le
conseguenze furono ben gravi. Nella tradizione biblica ortodossa giudeo-
cristiana nessuno potrebbe mai dubitare sulla realtà della creazione di
Dio. Il Dio increato e il Suo creato hanno la stessa reale estensione. La
creazione non è considerata meno reale di Dio la cui volontà è abbastanza
forte da farla consistere facendola emergere dal non essere. In senso
contrario, Dio sarebbe incapace a creare e capace unicamente
d’ingannare. Questo dibattito giunse al suo culmine con la controversia
ariana nel IV secolo. Nel Concilio di Nicea (325 d.C.) la Parola di Dio è
stata dichiarata increata e consustanziale con Dio Padre. Seguendo la
tradizione di Filone, gli antagonisti al Credo contrapposero il loro
argomento principale sottovalutato pure dagli studiosi moderni: nessun
essere visibile poteva essere improvvisamente ritenuto divino, visto che
l’invisibilità è la principale proprietà di Dio ed è la caratteristica più
importante della realtà divina. In tal modo, qualunque cosa sia visibile,
qualunque cosa sia fatta di carne, qualunque cosa divenga tangibile, non
può mai essere contemporaneamente Dio. Il risultato di questa prospettiva
comportava che gli ariani non avrebbero mai potuto accettare Cristo come
divino; tuttavia il metodo teologico degli ariani e dei loro avversari era lo
stesso e constatare ciò è di eminente importanza. Entrambe le parti erano
d’accordo che, per risolvere il loro problema, si sarebbero dovute
accostare alla realtà divina. Ciò non si poteva fare direttamente – Dio non
può essere esaminato – ma attraverso le attività proprie di Dio. Erano
infatti entrambi d’accordo che un’attività riflette la natura propria di un
essere. Inoltre convenivano che Dio agisce in una maniera increata e,
come tale, indica che ha natura o essenza increata. Chi agisce in modo
creato è inevitabilmente una creatura. A causa dell’ umanità visibile di
Cristo, gli ariani non potevano che riconoscere unicamente la sua attività
creata. Il Concilio niceno è stato in grado di discernere la Rivelazione di
Dio attraverso il vaso d’argilla dell’ umanità di Cristo e ha potuto così
dichiarare che Cristo era sia creato che increato. Essendo il supremo
contatto che univa entrambi i regni, Cristo possedeva le attività proprie a
ciascuna delle Sue nature. Più tardi, questa particolare dottrina è stata
elaborata in altri Concili ecumenici. Comunque per gli ariani era
impossibile che la realtà increata di Dio potesse rendersi visibile. (Essa,
infatti, non era immediatamente evidente poiché rimaneva nascosta
nell’umanità di Cristo). Il cristiano ortodosso, d’altra parte, riteneva non
solo il fatto che la Parola di Dio è divenuta carne visibile, ma pure che la
Sua Gloria increata può, per grazia, divenire visibile al fedele. Questo
momento fu cruciale nella storia del Cristianesimo. Per la prima volta fu
chiaro che la visibilità non poteva più indicare una semplice realtà creata
e l’invisibilità non coincise più con la realtà increata di Dio: pur esistendo
tante creature invisibili, sia anime che angeli, Dio rimane sempre "fattore
di tutte le cose visibili e invisibili", come afferma il Credo niceno.
Divenne pure evidente che la Gloria increata di Dio può divenire visibile
per grazia come nel caso di tutte le apparizioni divine nell’Antico
Testamento e nelle apparizioni di Cristo risorto nel Nuovo, ogni qualvolta
Cristo prende gli esseri umani nel Suo Regno increato e permette loro di
vedere la Sua Gloria increata. In effetti Cristo ha rivelato la Sua natura
increata ai Suoi tre discepoli sul Monte Tabor e a molte persone dopo la
Sua risurrezione. Sfortunatamente le opinioni ariane non sono mai state
ben capite in Occidente (Sant’Ambrogio e Sant’Ilario sono le uniche
grandi eccezioni) nei termini con cui il principale dibattito aveva preso
corpo nella lingua greca e in Oriente. Gli ariani si diffusero in Spagna e
più tardi nell’Europa del nord da dove si riversarono nella Chiesa
occidentale. Sfortunatamente pure Sant’Agostino aveva frainteso le loro
argomentazioni. Credendo fermamente che l’essenza della controversia
ariana fosse la natura visibile di Cristo, dichiarò che la Santa Trinità è
assolutamente invisibile ed è incapace di apparire. Come risultato di tale
atteggiamento egli ha dovuto risolvere un altro problema: in quale
maniera Dio avrebbe potuto entrare in contatto con i profeti? Lo risolvette
suggerendo che Dio aveva realizzato e poi distrutto molte apparizioni
create e si era servito pure delle apparizioni di un Suo Angelo con il quale
avrebbe comunicato con l’umanità. Inoltre insistette che ogni particolare
teofania (sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento) fosse un’
apparizione appositamente creata da Dio per ciascuna occasione,
apparizione da distruggere in seguito quando non serviva più.
Quest’opinione tradotta nei termini della Patristica orientale e
specialmente nei termini dei Concili ecumenici (i quali avevano definito
che le attività indicano la natura degli agenti), non poteva che significare
che, nel corso della Heilsgeschichte [=storia della salvezza], Dio Padre
aveva creato migliaia di Figli o Angeli della Sua Gloria – che non
sarebbero più stati "unigeniti" e li avrebbe distrutti immediatamente dopo
il recapito del Suo messaggio all’ umanità. Mantenendo questa
spiegazione per la Santa Trinità, diveniva sempre più incongruo pensare
ad un Padre che avesse un unico coeterno ed unigenito Figlio. Inoltre,
ora, era dubbio che l’origine o la generazione del Figlio nel suo
comparire e nel suo sparire fosse in qualche modo diversa dalla creazione
di qualunque altra creatura. Era in gioco proprio ciò che il Credo niceno
preclude quando enuncia: "generato, non creato". Se l’opinione
agostiniana fosse stata vera, sarebbe significato che Dio Padre avrebbe
dovuto creare molti Figli o Angeli della Sua Gloria, per poi distruggerli;
una di quelle creature avrebbe potuto essere la Parola incarnata inviataci,
alla fine, in carne umana. Queste opinioni erano pure peggiori dell’
insegnamento dei teologi ariani sulla preesistenza di Cristo. Davanti a
queste idee pare che in Occidente nessuno contestò. Non solo venne
teorizzata la creazione e la distruzione di molte creature e le apparizioni
dei messaggeri o Angeli di Dio (secondo Sant’Agostino), ma pure la
grazia stessa che Dio ci invia fu dichiarata d’origine creata,
semplicemente perché Dio, essendo totalmente trascendente, non avrebbe
potuto realmente entrare in diretto rapporto, o avere un contatto reale con
il mondo creato. Nel suo commento al salmo 82, che inizia col versetto
"Dio si alza nell’assemblea degli dei (Settanta); giudica in mezzo agli
dei", Agostino ritiene che il vero Dio biblico disceso su questa terra abbia
incontrato tutte le sculture esistenti e le effigi di pseudo-dei e abbia detto
loro: "Voi non siete che idoli, effigi e sculture; io sono il vero Dio" [15].
Ora se osserviamo l’interpretazione patristica greca dello stesso versetto
[16], osserviamo che gli altri dei in mezzo ai quali Dio sta in piedi sono
tutti quei Santi che hanno un reale contatto con Lui in questa vita e sono
divenuti dei per grazia a causa di ciò [17]. Chiunque partecipa al Regno
divino per gioire della divina Rivelazione deve inevitabilmente divenire
identico a Colui che manifesta se stesso; altrimenti non ci può essere
alcuna Rivelazione. Possiamo constatare come le diverse interpretazioni
del salmo 82,1 evidenzino le due scuole esistenti ancora nel corso del V
secolo. Nell’VIII secolo prese luogo un altro evento sorprendente che
denota la mentalità di questo periodo. La Teologia islamica ebbe un
grande impulso nel discernimento tra il regno creato e Quello increato
dopo Giovanni Damasceno che tenne lunghe discussioni al riguardo con
dei teologi musulmani, gli assariti. Nell’ermeneutica islamica si formò
una nuova scuola in base alla quale l’archetipo del Corano era increato e
coeterno con Allah. La controversia assarita durò per 150 anni ed alla fine
la scuola si sciolse. È di eminente significato notare che pure i teologi
islamici hanno avuto bisogno di porre l’origine della Rivelazione divina
nel Regno increato. Nel frattempo, l’impatto scolastico sulla Rivelazione
divenne chiaro con la dottrina della trascendenza divina sviluppatasi in
Occidente specialmente durante il XIII secolo. L’incarnazione di Dio
divenne impossibile, almeno teoricamente e sul piano filosofico, visto che
non esisteva alcun modo nel sistema filosofico scolastico con il quale l’
elemento creato e quello increato avessero potuto stare assieme o
integrarsi. Agostino, già nel V secolo, aveva così interpretato Col 2, 9:
"In Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità" è come
una metafora e suggerisce che è impossibile per la Divinità dimorare in
un corpo umano [18]. Di conseguenza gli scolastici non avrebbero potuto
accettare che l’Essere increato, assoluto e immutabile di Dio potesse
accondiscendere alla mutabilità e alla relatività in modo da divenire una
creatura. Tommaso d’Aquino disse chiaramente che la seconda persona
della Trinità dovrebbe essere chiamata Filius genitus et creatus (generato
e creato) [19]. Il semplice fatto dell’eterna generazione del Figlio dal
Padre significa, per Tommaso, che il Figlio è stato creato per essere
generato. Una volta di più "generato" fu identificato con "fatto",
contrariamente alla dottrina nicena. Tuttavia, secondo i criteri niceni, un
tale Cristo non può avere i poteri o le energie increate. Tommaso,
comunque, ha affermato che Cristo ha queste energie ma è incapace di
comunicarle all’umanità. Ciò che può comunicare, invece, è solo la Sua
potestas excellentiae posseduta in ragione della Sua umanità come grazia
creata. Questo potere verrebbe dato ai ministri dei sacramenti per poter
accordar loro una tal pienezza di grazia creata in modo che i loro meriti
possano operare nei riguardi dell’effetto sacramentale [20]. Ma la visione
tomista non era senza precedenti. Giovanni Scoto Eriugena, basa i suoi
contraddittori argomenti su principi platonici per cui egli fu il primo a
stabilire che è impossibile per l’ increato divenire creato. Dio Padre,
essendo increato, è incapace di essere Creatore. Ha avuto bisogno di
alcuni intermediari per concepire, dapprima nel suo pensiero, le idee
archetipe di tutte le creature; questo fu il suo unico creato o unigenito
Figlio da cui la definizione creatur et creat [21]. Significativamente Cristo
fu identificato con l’ostia la quale, sebbene fosse come una semplice
creatura, avrebbe potuto essere ancora lo stesso Cristo attraverso la
transustanziazione una dottrina che, dati i presupposti, può sembrare solo
la divisione della natura divina di Cristo dalla Sua umanità. La
promulgazione di questa dottrina nel quarto Concilio Lateranense (1215)
specifica distintamente che gli elementi dell’eucarestia sono
transustanziati "affinché noi prendiamo da Lui, quello che Egli prende da
noi" (ut… accipiamus ipsi de suo, quod accepit ipse de nostro);
sicuramente Egli non riceve mai da noi la Divinità e quindi noi non
possiamo mai ricevere la Divinità dal Suo Corpo… La lettera enciclica di
Papa Paolo VI, Mysterium Fidei (1965), tende a rivendicare la divisione
di Cristo sottolineando che l’ostia trasustanziata contiene "l’intero Cristo,
nella Sua realtà fisica… presente corporalmente". Cristo, in base ai
principi della cristologia agostiniana e scolastica di cui la suaccennata
interpretazione di Col 3, 9, se è presente fisicamente e corporalmente non
può che coerentemente precludere l’increata essenza divina. Ma se Cristo
è stato la grande eccezione alla regola agostiniano-tomista perché
nessuno ha avuto bisogno di menzionarlo? Naturalmente è estremamente
ostico, per coloro che seguono ancora la primitiva scuola cristiana della
fede, ammettere il fatto che la natura increata di Cristo venga partecipata
ai fedeli comunicandi attraverso l’ostia come grazia creata (gratia creata),
che trasustanzia l’ostia, essendo quest’ ultima radicalmente
impossibilitata a causare effetti increati… Ora l’enciclica Mysterium
Fidei asserisce che l’ostia trasustanziata contiene "una nuova realtà che
possiamo giustamente definire ontologica" ma per niente increata.
Evidentemente tale ontologia si può comodamente adattare alla piramide
platonica dell’essere e della metafisica aristotelica, ma mai all’atmosfera
del Credo niceno. Non crea alcuna sorpresa, perciò, che un tema sul quale
si contendeva al Concilio di Trento (1551) sia stato debitamente ripreso
nel recente Catechismo della Chiesa cattolica (al n° 1377): La presenza di
Cristo nell’eucaristia comincia al momento della consacrazione e dura
fintanto che sussistono le specie eucaristiche. Se si pensa così non ci si
può che meravigliare sentendo che la Santa Comunione dimora nei corpi
e nelle anime dei comunicati come un contatto reale e perpetuo tra la
realtà increata di Cristo e le membra del Suo Corpo (1 Cor 12, 27). Da
questo momento, la Chiesa poteva sostituire il benedetto Sacramento di
Cristo al Suo Corpo risorto giacché ignorava che Esso fosse stato visto
dai veri cristiani. Così, dal dodicesimo secolo, l’ostia è stata adorata in
particolari liturgie come la benedizione eucaristica e la festa del Corpo
del Signore (Corpus Domini). Questo fatto ha marcato l’inizio del
sacramentalismo con le seguenti serie implicazioni nella mentalità
medievale: 1) Dio non può amare realmente il mondo come Egli vorrebbe
poiché non rimarrebbe più inaccessibile e trascendente. Secondo le
posizioni filosofiche platoniche, già assunte dalla primitiva scuola della
fede ed ora adottate dallo scolasticismo, per Dio era impossibile amare il
mondo con un amore che producesse una vera dipendenza di Dio nel
mondo stesso. 2) I teologi scolastici affrontarono il seguente problema: o
accettare un panteismo assoluto che identificasse la creazione col
Creatore stesso, o accettare un intermediario creato, sia esso una grazia o
una casualitas, che si interponesse tra i due rendendo possibile a Dio
distinguersi da ogni azione da Lui compiuta. I teologi giunsero al punto di
enfatizzare così intensamente la trascendenza divina da rendere
intrasmissibile alle creature non solo la realtà divina ma pure ogni Suo
attributo poiché, diversamente, si sarebbe arrivati direttamente al
panteismo. Particolarmente dalla metafisica aristotelica, essi imposero la
percezione di Dio come Actus Purus cosicché tutte le distinzioni
teologiche tra "generato" e "creato" divennero totalmente insignificanti e
la stessa Attività divina avrebbe potuto consistere solo in un’Essenza
divina! A partire da questo momento, il compito principale della teologia
medievale fu quello di salvaguardare, con ogni mezzo, che Dio e la Sua
creazione rimanessero sempre separati. Se ci volgiamo in Oriente, per
vedere come veniva affrontato lo stesso problema, dobbiamo considerare
la definizione di Regno di Dio offertaci da Massimo il Confessore nel VII
secolo. Cos’è il Regno di Dio? Nell’Occidente fu identificato come una
realtà creata [22], realizzata sulla terra per consentire la salita in cielo a
tempo debito. Invece, secondo Massimo il Confessore, "Quando Dio ci
dona per grazia qualsiasi cosa che appartenga a Lui per natura, questo è il
Regno di Dio". Tale è la sua definizione e in Oriente non ci fu alcun
dubbio che Dio ci donasse veramente, per grazia increata, qualunque cosa
appartenesse a Lui per natura. Prima del diciassettesimo secolo, in
Oriente non si è mai sviluppato il sacramentalismo; non è mai avvenuta
l’adorazione dei Santi Doni. Gli iconoclasti, nel sinodo di Iereias,
espressero la singolare posizione per cui il pane eucaristico si divinizza.
Malgrado ciò, neppure essi affermarono che il pane eucaristico si deve
adorare. Questo è spiegabile se si tiene conto che gli iconoclasti
conoscevano molto bene che la prassi liturgica non aveva l’adorazione
eucaristica né in Oriente né in Occidente. La loro posizione, secondo la
quale il pane eucaristrico si divinizza, è stata condannata nel settimo
Concilio ecumenico (787) il quale ha anatematizzato i diffusori di tali
idee proclamando che l’adorazione è dovuta solo alla Trinità la quale
contiene pure la natura umana di quella Persona che si è incarnata. Tale
natura divinizzata non si è mai identificata con il pane eucaristico. Questo
è il motivo per cui, in Oriente, non si è mai sviluppata la teoria della
trasustanziazione che appare, per la prima volta, al Sinodo di
Gerusalemme nel 1672. L’espressione "Santa Comunione", comune in
Oriente ed in Occidente, ha precisamente significato che l’enfasi veniva
inizialmente posta sulla Koinonia (comunione) tra il fedele e Cristo
stesso, piuttosto che su ciò che accadeva ai Santi Doni dopo la loro
consacrazione; così il Corpo risorto di Cristo rimaneva la suprema
Rivelazione che si sarebbe pienamente manifestata a tutti [23] nel Suo
secondo arrivo. Papa Pio XII ha riassunto la cruciale differenza tra
Oriente ed Occidente, amplificatasi nei tempi moderni, nella sua lettera
enciclica Mystici Corporis pubblicata nel 1943. In essa il papa parla del
Corpo di Cristo e dei membri di tale Corpo. Tra le altre cose dice: Però
tutti abbiano questo per certo ed indiscusso, se non vogliono allontanarsi
dalla genuina dottrina e dal retto insegnamento della Chiesa: respingere
cioè, in questa mistica unione, ogni modo con il quale i fedeli, per
qualsiasi ragione, sorpassino talmente l’ordine delle creature ed invadano
erroneamente il campo divino, che anche un solo attributo di Dio eterno
possa predicarsi di loro come proprio. Rinveniamo qui l’estrema
differenza tra quanto ha insegnato San Massimo e quanto ha conservato
l’ontologia neoscolastica. Meister Eckhart nel XIII secolo fu il primo nel
Medioevo ad avanzare l’idea che la salvezza dev’essere
un’identificazione reale con Dio; fu immediatamente condannato dal
Papa. Dunque costoro perché non potevano capire e continuavano a
ritenere impossibile la salvezza come unione reale con Dio nella
Rivelazione divina? Al posto di ciò essi introdussero la via d’imitazione e
di relazione personale. Ritenevano che l’uomo potesse personalmente
riferirsi a Dio e sviluppare una relazione personale con Cristo senza che
questa coinvolgesse necessariamente un qualche genere di contatto reale
con la realtà divina. Questa relazione sarebbe stata solo un "abito" –
qualcosa assunta ad una certa distanza – e, naturalmente, un’imitazione.
Qui i più virtuosi sono coloro che raggiungono maggiormente la fedele
imitazione di Cristo. In questo contesto esisterà sempre una prossimità a
Dio (un nexus amoris), mai un’ identificazione con Lui. In Oriente, nel
XIV secolo, esplose la controversia palamita la quale diede molto spazio
alla considerazione dell’esistenza di un contatto reale con Dio: essere in
unione con Dio significava identificarsi realmente con la Luce increata. A
tal proposito, uno tra i più importanti documenti è la Dichiarazione dei
padri del Monte Athos, recentemente tradotta e pubblicata nella
Philokalia. La corretta traduzione d’un importante passo tratta da questo
documento dice: Chiunque dichiari che la perfetta unione con Dio è
compiuta soltanto come imitazione e relazione con Lui senza la Grazia
deificante dello Spirito, come se fosse una relazione tra persone umane
che condividono la stessa disposizione e amore l’un verso l’altro, è
eretico. (È ovvia ad ognuno come la moda di utilizzare i termini "amore
scambievole" sia divenuta parte della teologia moderna, malgrado ogni
denominazione cristiana). Dio non ha mai contatti in termini personali.
Egli, piuttosto, penetra la creazione con la Sua Natura; perciò i Padri
orientali hanno definito l’immensa diversità delle attività divine increate
come i Suoi poteri naturali o le energie, "innumerabili nella loro infinità,
ineffabili nella loro grandezza" (Basilio il Grande). La Dichiarazione
continua: Chiunque segue, si affianca all’opinione e ritiene che la Grazia
deificante di Dio è uno stato della nostra facoltà intellettuale acquisito
unicamente da imitazione e non che sia un’illuminazione increata ed
un’ineffabile e divina energia contemplata invisibilmente e concepita
inconcepibilmente da coloro che hanno il privilegio di parteciparvi, allora
deve sapere che è caduto inconsapevolmente negli inganni dei messaliani.
Osserviamo qui gli opposti atteggiamenti tra Oriente ed Occidente. A
questo punto giunse Gregorio Palamas che si oppose alla sua controparte,
il monaco Barlaam, seguace fedele della tradizione agostiniano-tomista.
Barlaam propose un complesso di opinioni tendenti all’amore
vicendevole [tra Dio e la creatura] e all’imitazione di Cristo, alla
relazione e al contatto personale con Cristo. Gregorio Palamas offrì il
contributo più significativo nella storia del Cristianesimo sulla questione
del mantenimento di un contatto reale con Dio. Egli scrisse: Poiché tutto
ciò che attualmente esiste, è reso veramente partecipe in Dio, e
ciononostante la supersustanziale essenza divina rimane totalmente
incomunicabile, ci dev’essere qualcos’altro tra l’essenza incomunicabile
di Dio e i Suoi partecipanti, in virtù della quale ogni realtà continua, di
fatto, a partecipare della Divinità. Ma quale perdita se elimini qualsiasi
possibile unione tra l’incomunicabile essenza di Dio e i Suoi partecipanti!
Ci vuoi render parte di Dio e ci liberi del vero legame tra noi e Lui
fissando in tal modo un abisso insormontabile tra Dio e la creazione come
pure tra la Sua provvidenza e qualunque realtà attualmente esistente. Di
conseguenza, dopo ciò, dobbiamo cercare qualche altro Dio – non solo un
Essere Assoluto, indipendente nel muoversi e che si autocontempli, ma,
definitivamente, pure un Essere buono. Più esattamente, nella Sua
abbondanza di bontà, Egli non sarà soddisfatto né nell’agire da solo
autocontemplandosi né rimanendo senza voler niente ma, piuttosto,
volgendosi sovrabbondantemente verso di noi. Per cui solo in questo caso
Egli farà del bene, non volendo mostrarsene incapace; [ed è così che] sarà
immobile e anche mobile. Solo in quest’ultimo caso sarà immanente in
tutta la creazione attraverso i Suoi approcci creativi e le Sue
provvidenziali attività. Dopo un Dio che è in un modo o nell’altro
comunicabile, noi dobbiamo semplicemente cercarne [un altro] in modo
che partecipando di Lui ciascuno di noi (secondo il grado con il quale può
impossessarsene) possa in sé goderne attendendosi esistenza, vita e anche
divinità… Questo testo ci conduce inevitabilmente alla conclusione che
l’Oriente e l’Occidente finirono per credere in due Dei profondamente
diversi, ma solo per un breve tempo; sottomettendosi inavvertitamente al
predominio scolastico filosofico come pure alla perdita di considerazione
del Corpo risorto, la scuola orientale della visione empirica è stata quasi
interamente assorbita dalla teologia speculativa occidentale fedele in un
Dio incomunicabile e ancora da riconoscere... L'arcivescovo William
Temple fu forse il primo teologo moderno in Occidente ad osservare che
la divina Rivelazione non ha nulla a che vedere con "comunicazioni di
asserti divini. Essa è, infatti, un confronto tra Dio e l’uomo attraverso
reali eventi storici". Naturalmente è discutibile che degli eventi di
dimensione teofanica siano "storici", visto che la Rivelazione può
accadere solo assorbendo le creature nel Regno increato. Ma egli
aggiunse: "Ciò che viene dischiuso nella Rivelazione non è la verità
riguardante Dio ma lo Stesso Dio vivente" [24]. Questo era un enorme
passo verso la primitiva esperienza cristiana. Ci avvicineremo a questa
prospettiva osservando l'azione dello stesso Dio vivente in un episodio
storico che i cristiano ortodossi conoscono molto bene ma a cui ancora
non hanno prestato particolare attenzione. È il dialogo tra San Seraphim
di Sarov e Nicholas Motovilov avvenuto in Russia verso la fine del
diciottesimo secolo. La gente ha letto questa storia e forse ha notato la sua
importanza, ma il suo significato reale non è mai stato pienamente
apprezzato a Oriente e a Occidente. Prendo un particolare passo dal libro
Flame in the snow di Giulia de Beausobre. San Seraphim parla prima
della preghiera. Afferma che non si può andare sempre in Chiesa ma si
può sempre pregare, non essendoci alcuna difficoltà nel farlo: – [La
preghiera] è sempre a disposizione… Questa sorgente fluente di supplica
procura molto facilmente la risposta, lo Spirito Santo! Allora quando il
Consolatore viene, la nostra preghiera si trasforma in gioia pura. E là
dove vivono assieme coloro che si rallegrano, esiste la Chiesa. Là la gioia
di ognuno non è come un singolo granello di polvere d’oro. Ogni polvere,
pure quella d’oro, si disperde davanti ad un forte vento. Nella Chiesa tutti
i granelli d’oro sono fusi assieme e formano una roccia maestosa che
nessuna tempesta può frantumare e nessun acquazzone può sciogliere. La
roccia rimane stabile contro ogni furioso e scaltro assalto del maligno.
Coloro la cui gioia è completa sanno che la roccia è un vascello d’oro che
naviga come nessun altro: le sue bianchissime vele, intessute da Nostra
Signora, sono ricolme del soffio dello Spirito Santo, Colui che risplende
di Gloria. – Se solo la potessi vedere una volta, quella Gloria! – esclamò
Motovilov rivolto al vecchio monaco. – Ogni qualvolta facciamo
consapevolmente la Sua volontà, stiamo di fronte a Lui. Siamo cresciuti
come ciechi pur avendolo vicino, ma ecco che Egli è davanti a noi.
Proprio come nei giorni quando gli uomini dicevano: "Noi andiamo e lo
Spirito Santo viene con noi", "Noi e lo Spirito Santo deliberiamo..." – Gli
rispose Seraphim. – Ma come posso essere certo di Lui, in questi nostri
giorni? – domandò Motovilov. Deponendo la sua ascia Seraphim gli si
fece innanzi. Nicholas si alzò. Il monaco zoppo lo afferrò dalle spalle e
gli disse: – Ora siamo entrambi nello Spirito. Guardami! – Non posso, ho
male agli occhi! – disse Motovilov. Seraphim aggiunse – Fà nulla.
Guarda! Al centro d’un enorme sole raggiante, si vedeva il ben noto e
amato viso del monaco che sorrideva. Nicholas distingueva le labbra di
Seraphim muoversi mentre gli parlava e poteva notare il cambiamento
d’espressione dei suoi occhi profondamente azzurri. Sentiva la voce e la
stretta delle mani. Ma queste mani, tanto quanto le spalle di Nicholas e il
corpo di Seraphim, erano persi in una luminosità che li invadeva e li
sommergeva purificando tutto, rendendo lucenti i fiocchi della neve che
cadevano e rendendo quelli caduti a terra d’un candore brillante. – Com’è
bello! – esclamò Motovilov. – In che modo è bello? – gli chiese
Seraphim. – È così tranquillo e c’è tanta pace in me e attorno a me. –
rispose Motovilov. – Che altro c’è? – aggiunse Seraphim. – C’è una tal
gioia che il mio cuore ne è ricolmo. – rispose Motovilov. – Che altro c’è?
– aggiunse Seraphim. – C’è caldo, un ardente caldo. – gli rispose
Motovilov. – Che altro c’è? – continuò Seraphim. – C’è un profumo
celestiale. – rispose Motovilov. Riflettendo la Luce, gli occhi di Seraphim
scintillavano. – La Grazia di Dio è in te e tu sei in Lei. Se tu vedessi come
risplende il tuo viso! Ricorderai sempre la Grazia che è stata profusa su di
te, mia gioia? – Eppure io non sono un monaco! – escalmò meravigliato
Motovilov. – Ciò non significa nulla. – Lo rassicurò Seraphim – È
all’uomo, non al suo stato o condizione, che Dio dice: "Figlio, dammi il
tuo cuore". Se glieLo diamo Egli viene. Pure nelle comunità ortodosse le
persone hanno apprezzato il fatto che entrambi (Seraphim e Motovilov)
facessero esperienza di questa Rivelazione; entrambi gioissero della
stessa divina e increata Luce; tuttavia pensando a questa vicenda a noi
viene in mente San Seraphim di Sarov, non San Nicholas Motovilov.
Questo prova che gli ortodossi moderni si sono distanziati dall'esperienza
di Rivelazione. L’aspetto più importante, nel caso dei Santi Seraphim e
Motovilov, non è solo il diretto incontro di Dio con un Santo, ma pure
l’incontro di un Santo con un altro Santo; in ciò si è verificato il fatto che
i Santi divengono identici con lo stesso Dio. È la stessa cosa con il fuoco
o la luce; qualunque cosa venga congiunta al fuoco diviene fuoco;
qualunque cosa venga congiunta alla luce diviene luce. La Rivelazione
non accade sempre come un incontro diretto tra Dio e l’uomo; è
abbastanza sicuro che accada quando due Santi si incontrino [25].
Parimenti quest’aspetto non è stato ancora pienamente apprezzato nella
teologia ortodossa moderna. Ogniqualvolta i Santi manifestano l’increata
gloria di Dio, Dio li rende manifesti. Questa è la prova che la divina
Rivelazione non può essere soltanto un indifferente modo di avvicinarsi
alla divinità o di essere in personale relazione con Dio; si può solo
identificare con Lui. L’uomo riceve la Rivelazione solamente se si
identifica con la grazia di Dio e viene riempito della divina Luce. Tale
condizione, molto più tardi, è stata anche definita deificazione. Non
possiamo trovare il termine deificazione nei documenti della chiesa
primitiva, semplicemente perché il termine Rivelazione di Dio era
succintamente implicito in esso. Per la divina Rivelazione non esiste
alcun modo di realizzarsi diversamente senza causare la deificazione ai
suoi destinatari. La conseguenza è inevitabile: il destinatario della
Rivelazione diviene identico con Dio stesso cioè dio per grazia, per tutta
la durata della Rivelazione; altrimenti la Rivelazione divina non può
assolutamente prendere luogo. La prova che i moderni ortodossi hanno
perso il loro orientamento verso la Rivelazione si ha dal fatto che non
venerano più dei Santi come Motovilov; tendono, invece, a venerare degli
eroi popolari (come l’ultimo Zar Nicholas) che per tutta la durata della
loro esistenza non si sono mai fondati sulla Luce divina. San Simeone il
Nuovo Teologo, comunque, opera una chiara distinzione tra coloro che
vedono la Luce e coloro che dimorano in essa. I primi cristiani vengono
purificati e illuminati mentre si trovano ancora nel loro percorso verso la
piena integrazione con il Corpo risorto; i secondi si identificano già con il
Corpo di Cristo e ne divengono "particolarmente membri" [26]. Dal
momento che Dio ci impartisce per grazia qualunque cosa appartenga a
Lui per natura, tutti coloro che ricevono la divina Rivelazione divengono
increati per grazia, onnipotenti, onniscienti, senza inizio e senza fine,
come San Massimo il Confessore li descrive nella sua Contemplazione in
Melchisedek [27]. È quest’identità con Dio che garantisce quella vera
Rivelazione — iniziativa divina non semplice trasmissione
d’informazioni — accaduta realmente ai destinatari di essa. Unicamente
attraverso quest’ assunzione di grazia in Dio i Santi possono vedere, non
con i loro occhi fisici, la Luce divina della Rivelazione. È il potere dello
Spirito Santo che rende possibile tale visione. Coloro che stanno della
parte dei Santi che hanno avuto delle rivelazioni, sono incapaci di vedere
con gli occhi qualche cosa di esse (Atti 9, 7). Queste visioni non hanno
nulla a che vedere con i sensi. Sono un’assunzione di esseri umani nel
Regno divino. I Santi Seraphim e Nicholas Motovilov hanno visto questa
Luce riempire ciascuno il corpo dell’altro. La convenzionale percezione
della santità oggi, pure fra molti cristiani ortodossi ha a che fare solo con
i valori morali e i risultati personali, piuttosto che con l’assunzione nel
Regno increato di Dio. Avviene ciò perché è stata persa la significativa
differenza tra un Santo ed un eroe. Oggi, Oriente ed Occidente,
identificano similmente i Santi con gli eroi e con gli uomini che
operarono grandi imprese. Un grande filantropo, un grande statista o
qualcuno che è morto al posto di un altro in un campo di concentramento
è una qualifica per la santità. Le virtù e il comportamento eroico sono
stati confusi con la santità. Di fatto la deificazione dell’uomo è l’unico
modo perché un essere umano possa ricevere la santità per grazia di Dio e
ciò non ha nulla a che fare con la moralità. Presume il ristabilimento
dell’umanità in un modo di vita immacolato secondo la propria creazione,
affinché gli esseri umani siano elevati nel Regno increato della santità di
Dio e partecipino pienamente di Lui. È ciò che Dio aveva creato
originalmente a Sua immagine e somiglianza, ciò che è santificato, non
quello che l’uomo raggiunge come compimento morale di certi principi e
certe leggi. Questo non significa che l’immoralità sia accettabile a Dio.
Significa solo che la moralità, in se stessa, è inadeguata a causare la
santità. Vivere secondo natura è la sola condizione che conduce il popolo
all’ impeccabilità. L’essere umano, tornando per grazia di Dio al modo di
vita ad immagine e somiglianza divina ossia al modo con il quale gli
uomini erano stati inizialmente creati, non può rimanere peccatore [28].
Gli esseri umani ritornano, per Grazia di Dio, a vivere a immagine e
somiglianza divine cioè nel modo con il quale erano stati inizialmente
creati. Ecco perché non possono rimanere nel peccato. Vivere secondo
natura non solo favorisce la Rivelazione divina ma mantiene anche le
persone innocenti dopo la loro prima esperienza di Rivelazione.
Motovilov non ha più potuto commettere peccato dopo l’esperienza della
Luce increata avuta con San Seraphim. I pensieri malvagi non possono
attraversare la mente di quelli che, anche solo una volta, sono stati
riempiti dalla Luce divina. Questa è la grande differenza tra gli esseri
umani la cui natura è stata ripristinata ed è stata elevata nel Regno
dell’increata Gloria divina e coloro che si mantengono negli standard
morali confidando soltanto nei loro sforzi. Le persone che sostengono un
buon grado di moralità non hanno assolutamente alcuna garanzia che
alcun pensiero malvagio non attraversi mai la loro mente, malgrado il
grande sforzo che continuamente fanno. In questo scopo ci sono persone
che riescono e altre che falliscono; ma in ogni modo nessuno può uscire
dall’ordinario livello peccaminoso. Invece nel caso della vera
santificazione tutto il corpo, l’anima e la mente sono resi saturi dalla
Gloria increata e restano sempre puri, secondo la natura umana, tranne
nel caso in cui rischino di tornare al peccato. Oggi quest’aspetto
dell’umanità rinnovata è stato perso in gran parte delle denominazioni
cristiane. Perciò è inevitabile che ogni sorta di persone buone e diligenti
siano elevate alla santità e vengano conformemente venerate. Ci sono tre
stati possibili nei quali gli esseri umani possono ritrovarsi: a) lo stato
secondo natura (cioè ad immagine e somiglianza di Dio). Tuttavia questi
uomini rimangono innocenti solo sconfiggendo qualche attacco del
nemico; b) lo stato contro natura. È una condizione peccaminosa nella
quale ogni pensiero malvagio attraversa liberamente la mente umana e
conduce ad atti e parole altrettanto malvagi; c) lo stato oltre i limiti della
natura umana che nasce sempre dall’iniziativa di Dio con la quale Egli
unisce Se stesso alle Sue creature manifestandoSi immediatamente. È
precisamente quant’è accaduto ai Santi Seraphim e Motovilov durante il
loro incontro. Non esiste alcun modo per gli esseri umani di evitare uno
di questi tre stati. Possiamo trovare persone che vivono secondo natura,
cosa molto rara oggi, persone che vivono contro natura, che sono la
norma, e scoprire delle persone che, per un certo tempo, hanno vissuto
oltre i limiti della loro natura, cioè in suprema unione con Dio gustando
un anticipo della prossima vita. Nella vita futura tutti gli esseri umani
senza eccezione si troveranno, per grazia di Dio, oltre i limiti della loro
natura. Secondo San Marco l’eremita "Astenersi dal peccato è la vera
funzione della natura umana, non una somma da versare in cambio del
Regno di Dio". La natura umana è stata fatta da Dio specialmente con la
capacità di astenersi dal peccato. In termini pratici come potrebbe
accadere? Ci sono modi in cui la natura umana viene purificata come
necessaria condizione per avvicinarsi alla santificazione. Questo è
praticamente possibile nell’ascesis. La vita ascetica richiede disciplina
fisica ed intellettuale per preparare le persone a raggiungere lo stato d’
illuminazione divina che non è un semplice miglioramento intellettuale.
Contrariamente all’approccio agostiniano-tomista, l’illuminazione divina
non può divenire una proprietà naturale dell’intelletto umano; è
un’attività divina nel corpo e nell’anima che rende le persone innocenti
attraverso una sinergia tra lo sforzo umano e la grazia di Dio. Lo stato
successivo è la Rivelazione divina o la deificazione, causata interamente
dall’increato potere dell’Uno che Si identifica direttamente con la Sua
creatura. È significativo che gli esseri umani abbiano il diritto di
comprendere la colpevolezza e il peccato, per tenere desta la loro naturale
capacità d’ innocenza. Il peccato non è una condizione inevitabile di
caduta della natura umana, come pure Agostino ritenne; può rimanere
inerte in un’umanità che funziona ad immagine e somiglianza di Dio. Il
peccato non è neppure la principale ragione per cui esiste la Chiesa come
se essa dovesse semplicemente purificare l’uomo, mentre nel caso d’un
umanità innocente non avesse ragione d’esistere. Nel Medioevo
occidentale il sacramento della penitenza era ritenuto d'eminente
importanza. Solo enfatizzando il peccato la Chiesa poteva stringere a sé
gli uomini. Anche se non ne troviamo un’esplicita ammissione, non era
raro che gli esseri umani si sentissero come dei peccatori già condannati a
causa della dottrina agostiniana sull’eredità del peccato originale, dottrina
ingiustamente attribuita all’insegnamento di San Paolo nella sua lettera ai
Romani. A causa di queste concezioni amartiocentriche le persone si
sentivano colpevoli d’essere uomini, dal momento che l’umanità e la
colpevolezza erano associate in un identico status e che nessuno avrebbe
considerato il peccato come un semplice difetto di un’ umanità creata ad
immagine e somiglianza di Dio. Lo stesso Agostino insegnò che pure il
battesimo, assieme a tutti gli altri sacramenti, era incapace di ripristinare
l’innocenza originale all’umanità. Recitare il Credo riconoscendo "un
battesimo per la remissione dei peccati" non significava più il
ristabilimento dell’innocenza della condizione umana, visto che la
concupiscenza era empiricamente considerata più forte rispetto alla
Grazia divina. Nessuno è parso particolarmente irritato da tale debolezza
di Dio. Così la Chiesa medievale, essendo incapace di allontanarsi dal
peccato, si era allontanata dal Cristianesimo stesso. Al contrario la Chiesa
primitiva non avrebbe mai potuto promettere che i peccati commessi
dopo il battesimo potessero essere perdonati prima dell’ultimo giudizio.
Cristo stesso lo avrebbe potuto fare in qualsiasi momento nei riguardi di
ogni persona sinceramente pentita, ma nessuna autorità ecclesiastica sulla
terra avrebbe potuto assumersi tale responsabilità senza sentire quegli
Asceti e Confessori, (uomini che avevano sopportato con successo la
tortura per amore di Cristo ed erano sopravvissuti) che avevano già
raggiunto la deificazione. Ai Vescovi di eminenti sedi come Roma o
Alessandria fu negata ogni autorità per aver perdonato ai lapsi (= coloro
che cadevano) i quali, sacrificando agli idoli, avevano rinnegato Cristo
nei periodi di persecuzione. Solo uomini veramente Santi, uniti con Dio
attraverso torture subite o attività ascetiche, potevano ricevere la
Rivelazione di quale, tra i lapsi, era stato perdonato [29]. La Chiesa di
quel tempo non pare che conoscesse il rituale del perdono dei peccati,
dopo che era stato amministrato il battesimo. Oggi il rito dell’ assoluzione
dei peccati è compiuto normalmente in tutte le Chiese cristiane. Ogni
prete è considerato possessore del potere d’assoluzione ed è colui che
dispone propriamente di ciò, esattamente come aveva insegnato Giovanni
di Parigi [30] nel 1290. I vescovi – specialmente quello di Roma –
avevano rivendicato come loro particolare prerogativa il perdono e l’
assoluzione di tutti peccati dei credenti già battezzati. Ma negli Atti degli
Apostoli Pietro stesso si presenta come colui che nega di conferire questa
possibilità quando Simon Mago gli chiede perché non sia disposto a fare
uso dei diritti donatigli direttamente da Cristo. Invece Pietro indicò
succintamente che forse solo Dio potrebbe perdonare Simone, dal
momento che era stato già battezzato [31]. Questo ci conduce
direttamente ad un’ appropriata comprensione di ciò che chiamiamo
Successione Apostolica ed autorità nella Chiesa: perché dal serio
equivoco sulla Rivelazione divina come se essa fosse il conferimento
d’un messaggio, i teologi del Medioevo sono arrivati a credere che la
Successione Apostolica può essere ottenuta imponendo le mani nello
stesso modo magico pensato da Simon Mago negli Atti per abilitare, in
tal maniera, le persone a divenire successori degli Apostoli. Non esiste
nulla di più lontano dalla verità. Posare le mani sul capo di persone già
battezzate nell’epoca neotestamentaria era indicativo del fatto che la
divina Rivelazione (cioè la visione del Corpo risorto) aveva nel frattempo
già preso luogo e, per riconoscere tale Evento, venivano imposte le mani
su coloro che erano rimasti pieni di Spirito Santo a causa di quella stessa
visione [32]. Questo gesto non dovrebbe mai essere confuso con
l’imposizione delle mani subito dopo il battesimo [33]. Chiunque riceva
la vera Rivelazione di Dio nella Luce divina non diviene successore di
Pietro, ma successore di Cristo Stesso, per la sua identificazione con Lui
avvenuta al momento della deificazione. È stata la deificazione che ha
assegnato a San Pietro la sua condizione sociale Apostolica; è perciò
ovvio che tutti i Santi, inclusi Seraphim e Motovilov, partecipano alla
stessa condizione sociale Apostolica ed alla sua stessa estensione come
Pietro stesso, siano essi uomini o donne, come nel caso delle quattro
figlie di San Filippo [34]. Essere un Profeta nella Chiesa primitiva era
una condizione sociale d'eminente importanza, di sicura autorità divina.
Era paragonabile ad una condizione sociale più alta rispetto a quella di un
vescovo, di un patriarca o, parimenti, di un papa. Nelle prime riunioni
cristiane, alla presenza di tali Profeti, nessun’altro avrebbe potuto offrire
l’ Eucaristia. L’importanza di queste persone la desumiamo dall’elenco
paolino dei successori apostolici dove vediamo che "Dio li ha posti nella
Chiesa in primo luogo come Apostoli, in secondo luogo come Profeti" (1
Cor 12, 28). Uomini carismatici non ordinati, come Pietro e Paolo, furono
i veri Principi della Chiesa primitiva. Gli uomini ordinati erano i servitori
della Chiesa. Questo è il motivo per cui i papi di Roma si sono
abbastanza anticamente firmati "Servus servorum Dei". Non era una
retorica espressione di umiltà; era un atteggiamento realistico verso il loro
ministero. I primi cristiani avrebbero potuto divenire vere membra del
Corpo di Cristo risorto solo identificandosi con Lui nello stato di
deificazione; questo era il solo modo per loro di partecipare alla
Successione Apostolica dal momento che intendevano l’Apostolicità una
piena partecipazione alla Rivelazione divina nel Cristo incarnato e risorto.
Nessuno avrebbe potuto porre la sua candidatura e nemmeno succedere a
Cristo e ai Suoi Apostoli senza identificarsi con il Corpo risorto nella
Luce divina. Questo è il senso più corretto dell’asserzione paolina: "Ora
voi siete corpo di Cristo e sue membra" (1 Cor 12, 27). Nessuno può mai
divenire membro del Corpo risorto senza una reale unione nella
Rivelazione divina. Nessuno può avere la Successione Apostolica senza
avere visto il Corpo risuscitato: "Sono io un Apostolo? Non ho visto
Gesù, Signore nostro?" (1 Cor 9, 1), San Paolo affermò questo proprio in
tal senso. L’ultima prova dell’autorità nella Chiesa primitiva è basata
sulla Rivelazione divina. Non avrebbero mai potuto essere inerenti alla
successione apostolica questioni di luogo, dignità, ordinazione, o di
particolare privilegio attribuito a una determinata Sede. La Successione
apostolica e l’appartenenza al Corpo di Cristo sono una stessa e identica
realtà, assegnata ugualmente a uomini e donne di tutte le età, malgrado
ogni discriminazione, e garantita attraverso la manifestazione di Cristo
risorto, specialmente nelle riunioni eucaristiche. Una volta che i cristiani
hanno cessato d’essere innocenti (com’è iniziato da un certo periodo in
poi), non era più possibile per loro raggiungere la Successione
Apostolica. La condizione necessaria davanti alla presenza di Cristo
nell’Eucaristia era che la natura umana di coloro che si riunivano per
divenire vere membra del Suo Corpo dovesse propriamente funzionare
esercitando la sua vera funzione: astenenersi dal peccato. Non esisteva
alcuna ragione in base alla quale coloro che praticavano l’ascesi fossero
privati della Sua Gloria. Nel suo Sermone sulla prima domenica dopo
Pasqua, San Gregorio Palamas esprime concetti molto importanti che
riflettono la sua personale esperienza. Egli dice: Una volta che è
terminata la Santa Liturgia e tu hai ricevuto la Santa Comunione va'
immediatamente nella tua stanza, chiudi bene le porte e le finestre come
fecero i Discepoli prima dell’ apparizione di Cristo e posso garantirti che
Egli verrà allo stesso modo in cui venne a loro; se rimani prima tu a porte
chiuse, darai poi veramente la stessa benedizione che Egli diede ai suoi
discepoli e vedrai un reale miracolo (che nessuno potrebbe produrre e
nemmeno descrivere se non coloro che l’hanno sperimentato). Accade
esattamente l’opposto di quello che noi proviamo in una casa illuminata
dall’ esterno con le finestre aperte. [La visione de] Le ferite delle mani [di
Cristo] e dei Suoi piedi sono come finestre che irradiano una Luce che
proviene dall’ interno del Suo tempio corporale. Tale luce illumina con
lampi increati tutti coloro che si trovano in quel luogo precedentemente a
Lui e che gioiscono della Sua manifestazione. Tutti vengono sommersi
dalla luce che irradia dalle Sue ferite. Questo passo riflette l’esperienza
posseduta da Gregorio: il Corpo risorto di Gesù continua ad apparire ma
non a qualsiasi fedele, perché non sono tutti degni di vederLo. Il Suo
Corpo risorto è ancora manifestato a coloro che ne sono degni. Tale
Corpo riempie le persone con la stessa Luce increata diffusa a Seraphim e
Motovilov. Questo conduce inevitabilmente alla conclusione che l’ultima
autorità nella Chiesa sono i testimoni della Gloria increata del Cristo
risorto: gli Apostoli, i Profeti, i maestri, gli operatori di miracoli, i
guaritori, gli assistenti, i governanti e coloro che parlano in lingue [35].
Abbiamo un’ampia evidenza nei testi patristici orientali, almeno fino al
regno di Pietro il Grande, che nessun credente ortodosso avrebbe mai
pensato alla Bibbia come ad un’autorità nella Chiesa. Il testo più
sorprendente proviene da Massimo il Confessore il quale spiega come i
Santi avessero sempre avuto accesso immediato alla divina Rivelazione:
Per acquisire la beatifica conoscenza di Dio, i Santi non hanno mai
sviluppato la nostra stessa percezione materialistica e vile della creazione
o delle Sacre Scritture; la loro visione non potrebbe essere per nulla
ristretta da semplici dati sensibili, né da un’osservazione superficiale di
forme e moduli. Perciò essi non usano mai parole e concetti con i quali si
cade in inganno ed errore, particolarmente nel giudicare la verità. Essi
hanno solo purificato completamente la loro mente, liberandola da ogni
tenebra materialistica [36]. La purificazione completa della loro mente
era il solo strumento da essi utilizzato per accedere direttamente a Dio,
visto che ogni sorta di parole e concetti conducono direttamente
all’inganno. San Gregorio Palamas ripete la stessa cosa: La nostra vera
conoscenza di Dio si gloria di avere Dio stesso come maestro; per cui non
c’è né un essere angelico, né un essere umano ma è solo Dio che ci
istruisce e ci salva. Sono esistiti migliaia di migliaia di cristiani lungo i
secoli che non hanno mai ricevuto istruzione attraverso libri o concetti
intellettuali (essendo stati analfabeti) ma solo da Dio stesso. Questo è
anche il caso di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosé, Daniele, ecc. prima
dell’Incarnazione e di molte migliaia di Asceti, Confessori e Martiri dopo
di essa. Molti uomini non hanno avuto bisogno di parole ed erano
incapaci di accedere ai libri; ecco perché il Cristianesimo è veramente la
"religione" degli analfabeti piuttosto che del popolo colto. Aggiungendo
una voce dalla tradizione russa, ci volgiamo a San Nil Sorsky: Senza
intelligenza pure il buono può divenire cattivo; nella Bibbia sono state
scritte molte cose, ma non tutto ciò che è scritto è divino. Ecco perché
dobbiamo esaminare quanto leggiamo e seguire solo quanto corrisponde
ai veri bisogni [37]. Nel Suo secondo arrivo Cristo accorderà a tutti gli
esseri umani la Sua Rivelazione divina senza alcuna discriminazione.
Nessuno sarà escluso. San Massimo il Confessore ha descritto ciò
perfettamente: La natura umana non contiene i principi intimi di ciò che
la oltrepassa più di contenere le leggi contrarie alla natura stessa. Per ciò
che è oltre natura intendo il divino ed inconcepibile piacere che Dio
genera spontaneamente in coloro che sono ritenuti degni d’essere uniti a
Lui per grazia; per ciò che è contrario alla natura intendo l’indescrivibile
pena causata dalla privazione di tale piacere. Questa pena è generata da
Dio spontaneamente negli indegni quand’è unito a loro in una maniera
contraria alla grazia. Dio è unito ad ogni uomo secondo la fondamentale
qualità del loro intimo stato. Provvede per ciascuno la capacità di
riceverLo e percepirLo, Egli che sarà inevitabilmente unito con tutti alla
fine dei tempi [38]. La Rivelazione divina viene concessa a tutti ma è
offerta sempre in termini increati e deifica in due modi coloro che ne
partecipano, come San Paolo aveva già osservato dicendo: "Tuttavia egli
si salverà però come attraverso il fuoco" [39]. Infatti sappiamo che: "Il
Nostro Dio è un fuoco divorante" [40]. Ci sono due modi per tutti gli
uomini di ricevere la divina Rivelazione e di far diretta esperienza della
realtà divina senza alcun concetto o intermediario: Il piacere ineffabile d’
essere meritevolmente unito a Lui e la pena ineffabile d’essere pure
meritevolmente unito a Lui. Gesù Cristo, destinato ad unirsi con
l’umanità prima di tutti i tempi, è simultaneamente Cielo ed Inferno. Il
Suo Corpo risorto incorpora tutta l’ umanità per l’eternità. Se ora ci
volgiamo alla presente situazione, ci meravigliamo di come molti
ortodossi credano veramente alla divina Rivelazione. Da quando Pietro il
Grande ha ordinato la traduzione dei Catechismi tedeschi luterani in
russo, gli elementi più sostanziali sia della dottrina cattolico-romana che
di quella protestante sono stati incorporati nella tradizione e nella fede
ortodossa. Come risultato di questa fusione, le Chiese ortodosse hanno
adottato il fondamentale errore che esistono delle fonti create della divina
Rivelazione sulle quali è stato edificato il Cristianesimo. Assieme ai
cattolici-romani della controriforma, i teologi ortodossi hanno accettato
che le Sacre Scritture e la Santa Tradizione della Chiesa siano le due fonti
incontrastate di tutta la Rivelazione divina. I criteri del primo Concilio
niceno sull’increaturalità di ogni Rivelazione divina è stato, così,
dimenticato. Come risultato di questa negligenza le Chiese ortodosse
odierne tendono a credere inavvertitamente che quanto stabilito dai criteri
niceni sia un Dio creato, precisamente perché credono in una divina
Rivelazione creata [41]. Un’affermazione della più sorprendente evidenza
può essere presa, ad esempio, dal libro di Timothy Ware The Orthodox
Church (Pinguin Books 1987). Il capitolo sulla tradizione ortodossa (p.
203) come fonte di fede ortodossa comincia con una citazione di
Vladimir Lossky: "La Tradizione è la vita dello Spirito Santo nella
Chiesa". Esaminiamo appropriatamente quest’ asserzione secondo i
criteri niceni. Se lo Spirito Santo è davvero increato allora conduce pure
una vita increata. Se la vita increata dello Spirito Santo coincide con la
tradizione della Chiesa, allora la Chiesa ha una tradizione increata che
dovrebbe inevitabilmente coincidere con un potere increato ed eterno o
con un’energia della stessa Santa Trinità. Ma sappiamo che la Chiesa non
è increata e la sua tradizione è iniziata nel tempo e nello spazio. Perciò se
davvero la vita dello Spirito Santo è la tradizione della Chiesa, lo Spirito
Santo dovrebbe inevitabilmente vivere di una vita creata. Ma qualunque
vita creata non può appartenere al Regno increato. L’asserzione di Lossky
implica inavvertitamente che lo Spirito Santo è una creatura! È
un’asserzione di fede eunomiana che tacitamente rifiuta il Credo niceno:
lo Spirito increato può solo avere vita increata! La Tradizione non può
per nessun motivo essere increata. La Tradizione non può in nessun modo
essere la vita dello Spirito Santo nella Chiesa o al di fuori di essa. Simili
gravi errori sono correnti negli scritti di Lossky; ma ci sono così tanti
gravi errori sulla Rivelazione divina nei contemporanei scrittori ortodossi,
da spiegare a sufficienza la recente confusione che prevale nell’
Ortodossia su tale questione. Per esempio Giorgio Florovsky, citato nello
stesso libro, definisce la tradizione "la Rivelazione incessante dello
Spirito e la predicazione della buona novella" (p. 206). I criteri patristici
che hanno aiutato molte generazioni ortodosse nel discernere con
proprietà tra errore e verità nella dottrina cristiana sono stati qui
abbandonati. Osserviamo cosa quest'Autore crede sulla Bibbia. Cito dallo
stesso libro (pp. 207-8): La Bibbia è l’espressione suprema della
Rivelazione di Dio. I cristiani devono essere sempre il popolo del Libro.
L’Ortodossia crede fermamente a ciò con una solidità forse più forte del
Protestantesimo. […] Il cristiano ortodosso crede che le variazioni dei
Settanta furono operate per inspirazione dello Spirito Santo e vengono
accettate come parte della continua Rivelazione di Dio. Paradossalmente
questa è precisamente la comprensione agostiniana dei Settanta. È
pertinente notare che Agostino attribuiva un’eminente autorità alla
Settanta perché credeva fermamente che Dio avesse provveduto,
attraverso quella versione, ad istruire i gentili come a suo tempo aveva
stabilito il testo israelitico per l’istruzione degli ebrei. Questo è il motivo
per cui, secondo Agostino, lo Spirito Santo aveva ispirato i traduttori
della Settanta a deviare per tempo dal testo israelitico: solo così facendo
essi avrebbero potuto esprimere la verità nella maniera con la quale Dio
voleva fosse espressa ai gentili [42]. L’autore ha un'enorme scusa per tali
visioni offerte nel suo libro The Orthodox Church proprio perché la
Chiesa, nella quale è stato ferventemente ricevuto, ha mantenuto gli stessi
orientamenti. Egli ha fedelmente riprodotto la situazione che trovò nella
Chiesa ortodossa quando vi si congiunse curando attentamente in nota
ogni singola frase del suo libro. Crea meraviglia che un punto
appartenente ai criteri fondamentali proposto ai cristiani occidentali che si
convertono rimanga identico tra Oriente ed Occidente com’è iniziato ad
accadere dall’epoca di Pietro il Grande. La recente pubblicazione del
nuovo Catechismo della Chiesa cattolica (1994) prova ampiamente
quest’identità. Nella prima sezione, capitolo secondo all’articolo primo
intitolato "La Rivelazione di Dio" troviamo che: Il disegno divino della
Rivelazione si realizza ad un tempo con "gesti e parole" (53); Dio si
comunica gradualmente all’uomo (53); Dio offre agli uomini nelle cose
create una perenne testimonianza di sé (54); il Figlio è la Parola definitiva
del Padre, cosicché, dopo di Lui, non vi sarà più un’altra Rivelazione
(73); Nell’articolo 2 leggiamo: "La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura
costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio", nel quale, come
in uno specchio, la Chiesa pellegrina contempla Dio, fonte di tutte le sue
ricchezze (97); tutto il popolo di Dio... non cessa di accogliere il dono
della Rivelazione divina, di penetrarlo sempre più profondamente ... (99);
Nell’articolo 3 leggiamo: Dio, attraverso tutte le parole della Sacra
Scrittura, non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale dice
se stesso interamente (102); nei Libri Sacri, infatti, il Padre che è nei cieli
viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in
conversazione con loro (104); Dio parla all’uomo in maniera umana...
(109) Nella Bibbia, il cristiano ha il compito di "scoprire l’intenzione
degli autori sacri"! (110); le Sacre Scritture contengono la Parola di Dio
e, perché inspirate, sono veramente Parola di Dio (135). Dio agisce negli
autori della Sacra Scrittura e per mezzo di loro (136); la Chiesa ha sempre
venerato la divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore
(141). Nella seconda sezione, articolo primo al paragrafo secondo
intitolato "Il Padre" leggiamo: Tutta la storia della salvezza è identica con
la storia dei modi e dei mezzi con i quali l’unico vero Dio si rivela agli
uomini [43] (234). Dio ha lasciato tracce del suo essere Trinitario
nell’opera della creazione e nella sua Rivelazione lungo il corso
dell’Antico Testamento (237). Dall’evidenza delle succitate asserzioni è
ovvio, una volta di più, che i cattolici moderni (precisamente come i
moderni ortodossi) credono ad un Dio la cui Parola è Rivelazione
(separatamente da alcune tracce Trinitarie?), disegno di salvezza, mezzi,
gesti, parole, chiamate, incontri e, specialmente, doni. Tutte cose create.
Come potrebbe, Dio increato, rimanere sulla terra? Come lo stesso
Catechismo chiaramente indica: Le opere di Dio rivelano chi Egli è in se
stesso; e, inversamente, il mistero del suo Essere intimo illumina
l’intelligenza di tutte le cose. Avviene così, analogicamente, tra le
persone umane. La persona si mostra attraverso le sue azioni, e, quanto
più conosciamo una persona, tanto più comprendiamo le sue azioni (236).
Le persone che conoscono ampiamente Dio quasi come Egli conosce il
Suo Essere intimo, non hanno il bisogno di unirsi a Lui nella Luce
increata, visto che ogni cosa (Dio incluso) si rivela ai loro occhi... Nel
libro di Paul Avis, Divine Revelation, (1997) l’editore nota
significativamente che: La divina Rivelazione è una tra le questioni
teologiche più fondamentali; alcuni potrebbero davvero sapere se esiste
una chiarezza nella Rivelazione da parte di Dio, dove essa sia localizzata,
che forma essa prenda, chi abbia l’autorità per interpretarla? In questo
caso noi potremmo risolvere ogni altro genere di problema teologico. Ma
esistono ancora dei cristiani capaci di formulare delle sintetiche risposte
prescindendo dalle deviazioni della loro tradizione? Tutti i fatti sopra
evidenziati rispondono negativamente. I moderni cristiani non sono giunti
a considerare che la divina Rivelazione è ingiustamente percepita su
concetti e mezzi creati, come se il Rivelatore fosse una creatura. Esiste
solo un mezzo appropriato per portare la divina Rivelazione all’umanità:
il corpo umano, la sola creatura che è stata privilegiata a divenire increata
per grazia. Questa è l’ultima ragione per cui Dio stesso lo ha assunto in
Cristo. Solo quelle persone i cui corpi sono stati deificati possono rivelare
propriamente in loro Dio Stesso. E questo spiega perché dall’842 d.C.
venga letta fuori dalle chiese ortodosse la Dichiarazione di Ortodossia in
occasione dell’annuale celebrazione del ripristino delle Sante Icone
(domenica dell’Ortodossia). In questa dichiarazione non si fa alcuna
menzione della Bibbia o di altri mezzi creati, di mediatori o operatori
della divina Rivelazione. Essa recita: Noi crediamo, confessiamo e
predichiamo Cristo, nostro vero Dio esattamente come Lo hanno visto i
Profeti, come Lo hanno insegnato gli Apostoli, come L’ha ricevuto la
Chiesa, come Lo hanno decretato i Padri e i Maestri, come vi ha
convenuto l’insieme dei fedeli, come Lo ha riconosciuto la Grazia, come
Lo ha manifestato la verità, com’è stato ripudiato dall’errore, com’è pure
stato chiaramente dichiarato dalla Sapienza, come Cristo stesso ha
dichiarato. Questa Dichiarazione verifica pienamente la perfetta certezza
della Chiesa che la Successione Apostolica è condivisa da tutti coloro
che, come veri membri del Corpo risorto di Cristo, divengono increati per
grazia malgrado ogni distinzione di sesso, educazione, razza, ecc. Costoro
sono tradizionalmente chiamati Santi Martiri, Apostoli, Profeti, Santi
Padri e Sante Madri e compongono il coro dei Santi. Questo spiega
perché ogni Concilio Ecumenico abbia dichiarato che i Santi Padri sono
l’ultima autorità nella Chiesa e, conformemente a ciò, iniziava ogni
promulgazione dottrinale con la frase: "Seguendo fedelmente i nostri
Santi Padri crediamo...". Malgrado tale chiara eredità dell’epoca
patristica, la totalità dei teologi ortodossi odierni crede che l’ultima
autorità nella Chiesa ortodossa è l’ istituzione dei Concili ecumenici e
non i corpi deificati dei Santi. Essi non percepiscono neppure il fatto che
per sostenere tale errore finiscono implicitamente per mostrare che la loro
Chiesa è senza un’autorità, visto che negli ultimi dieci secoli non si è
tenuto alcun Concilio ecumenico... Delle istituzioni secolari della
Cristianità Imperiale, come i Concili Ecumenici riuniti dagli imperatori
per mantenere l’ordine e l’unità in uno Stato "ortodosso", non possono
divenire increate per grazia e perciò sono incapaci di funzionare come
rappresentanti della Rivelazione divina. I veri rappresentanti della
Rivelazione sono solo quei Santi Padri [della Chiesa] i cui corpi e menti
sono stati deificati e, come tali, hanno dato autorità a quei Concili —
ecumenici o meno — nei quali hanno partecipato. Istituzioni
ecclesiastiche secolarizzate non possono in nessun modo essere
identificate con il Corpo risorto per questa incapacità d’essere l’una,
cattolica e apostolica Chiesa, visto che questa Chiesa coincide totalmente
con il Corpo risorto stesso. Questo Corpo esiste ancora e continuerà ad
esistere nei secoli dei secoli "e le porte dell’inferno non prevarranno
contro di esso" (Mt 16, 18). Viceversa immaginare che determinate
istituzioni geografiche ed etniche saranno perpetuate nella vita futura, è
una semplice utopia. Dall’epoca degli Scribi e dei Farisei l’umanità è
stata provata dal sommo dilemma se prendere la parte della Sacre
Scritture o la parte della Chiesa; coloro che optano per la seconda, si
trovano ancora nel dilemma: a quale Chiesa appartenere? Ad un'
istituzione secolarizzata, inevitabilmente dominata dal principe delle
tenebre (Lc 4, 5-6) come ogni cosa di questo mondo, o al Corpo risorto di
Cristo? San Simeone il Nuovo Teologo ha offerto un criterio realistico in
base al quale le persone possono discernere esattamente dove si trovano:
Se c’è verità in ogni asserzione di Cristo, che è la Luce del mondo, allora
chiunque in questa vita manca di vedere quella Luce, è sicuramente cieco.
Il cristianesimo su questa terra può essere significativo soltanto quando
l’increata Luce sommerge infinitamente il fedele, causando l'unione con
il Corpo risorto; come mostrò uno dei Padri orientali del quarto secolo
(Sant'Epifanio di Salamina) nel tentativo di confutare l'arianesimo: "La
Santa Trinità si manifesta perpetuamente, ora e sempre, in una forma
increata".
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NOTE [1] PG 3, 1069 B. [2] Cfr. Gv 10, 34. [3] Nahum 1, 1. [4] 1 Gv 1,
1. [5] Gal 1, 11. [6] Commento su San Matteo 1, 1. [7] 1 Cor 15, 3-8. [8]
Gen 32, 30. [9] Gen 32, 28. [10] Adv. Haer. IV 38, 3. [11] 1 Cor 15, 5.
[12] Gv 20, 29. [13] Tradizione proveniente dagli scritti dell’ebreo
Filone, famoso autore del primo secolo. [14] Enar. In Ps. 143, 11; 38, 6;
134, 6. De Civ. Dei 8, 12. De Trin. 5, 23. Contra Secundinum, 15. Cfr. a
tal proposito il capitolo: Dio solo È nel Catechismo della Chiesa cattolica
212-13. [15] F. Dolbeau, Sermons inedits de Sant Augustin, 1993. [16]
PG 90, 11 36 C. [17] Cfr. Gv 10, 34. [18] De Gen. ad lit. 12, 17. [19] ST
1, 41, 3. [20] ST 3, 64,4. [21] De Divisione Naturae 2, 2 PL 122, 529.
[22] Si veda La città di Dio di Sant’Agostino. [23] 1 Cor 15, 28. [24] The
Guilford Lectures, 1934, Nature, Man and God, p. 232. [25] Mt 18, 20.
[26] 1 Cor 12, 27. [27] PG 91, 1137-1141. [28] È evidente la principale
differenza tra questa posizione e quella dei novaziani. Quest’ultimi
rifiutavano sia la possibilità del pentimento che del perdono di Dio a
coloro che, dopo il battesimo, peccavano. Questa rigidità fa pensare che
tali eretici si credessero espressione della mente divina! Contrariamente a
ciò, la Chiesa ortodossa cattolica riconosceva il pentimento in Oriente e
in Occidente e pregava per ottenere il perdono da Dio. Non escludeva mai
i peccatori dalle sue membra. [29] Cfr. Dom. Gregory Dix., The Ministry
in the Early Church, in Kenneth E. Kirk, The Apostolic Ministry, London
1947, pp. 224 ss. [30] De potestate regia et papali, XII. [31] Atti 8, 22.
[32] Atti 6, 3; 13, 3. 1 Tim 4, 14. [33] Atti 8, 17. [34] Atti 21, 9.
[L’opinione dell’Autore non dev’essere ritenuta come se la deificazione
squalifichi, appiattisca e confonda ogni carisma e ministero nella Chiesa.
Si deve invece ritenere che la deificazione è come un sommo vertice
davanti al quale ogni altro ministero lasciato nel tempo e nello spazio
storico alla Chiesa militante non è che ombra. N.d.t.] [35] 1 Cor 12, 28.
[36] PG 91, 1160. [37] Louis Bouyer, History of Christian Spirituality,
vol. 4, p. 21. [38] Quarta centuria di vari testi, 20. [39] 1 Cor 3, l5. [Il
passo specifica che il dannato non muore in eterno, "si salverà", ma vivrà
la sua unione con Dio stando come in un fuoco divorante, "come
attraverso il fuoco". N.d.t.]. [40] Ebr 12, 29. [41] [Questo dimostra che
l’Ortodossia non è un corpo amorfo e fossilizzato, per cui si possa dire:
"Si sono fermati a mille anni fa!". È una realtà viva con i suoi valori ma
pure con le sue tentazioni. Nonostante quest’ultime, in essa non sono mai
venute meno le voci profetiche che hanno riportato gli uomini ai valori
essenziali contro possibili ingiustificati adattamenti, riduzioni filosofiche
e secolaristiche tendenze. N.d.t.] [42] Sulla Dottrina Cristiana, 2, 15-22;
La Città di Dio, 18, 43. [43] [Questo punto dell’edizione italiana recita:
"... tutta la storia della salvezza è la storia del rivelarsi del Dio vero e
unico...". N.d.t.]