La risorsa acqua in Campania

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Fiumi, laghi, il mare, i prodotti dell'acqua i monumenti dell'acqua, viaggiando in Campania alla scoperta delle acque

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Pasta, pomodori, mozzarella, pizza. Ma anche vino, fiori, pesce, corallo, cantieristi-ca navale. Le eccellenze produttive campane passano tutte per un unico elementocomune: l’acqua, con cui il nostro territorio ha da sempre avuto un rapporto spe-ciale. Affacciata sul Mar Tirreno, attraversata da numerosi fiumi, ricca di falde acquife-re, la Campania è, grazie all’acqua, una delle zone più verdi e floride d’Italia.

Si tratta di una risorsa fondamentale del nostro territorio, che l’Assessorato Regionaleall’Agricoltura e alle Attività Produttive è impegnato da tempo a salvaguardare.Da un lato, con il potenziamento della risorsa mare: a Castellammare di Stabia, a pochi chilome-tri da Napoli, nascerà a breve un polo di respiro nazionale, il primo del suo genere, che coniugacrescita e occupazione con il rispetto dell’ambiente, e che innesta attorno alla cantieristica nava-le pesante, tutto l’indotto delle attività portuali, della balneazione, della riqualificazione ambien-tale, con ricadute anche sul turismo e sulla filiera enogastronomica. Il Polo della Nautica ci permetterà di rafforzare le attività marittime e l’attività di costruzioninavali, di definire un piano di interventi per l’implementazione di infrastrutture e per la realizza-zione di un bacino di carenaggio. Istituiremo, inoltre, un centro di ricerca di eccellenza per lecostruzioni navali finalizzato alla ricerca su tecnologie e materiali, alla formazione delle mae-stranze e alla definizione di programmi di formazione manageriale.Ma al centro della nostra azione di governo resta la razionalizzazione dell’uso delle risorse idriche.I fondi regionali finora utilizzati, insieme a quelli nazionali, hanno permesso di ridurre sprechi, for-nire agli agricoltori acqua già in pressione e promuovere impianti localizzati che favoriscono ilrisparmio. Altre risorse sono state stanziate per il recupero delle acque reflue per uso agricolo.In totale, nel periodo di programmazione 2000-2006 sono stati spesi oltre 150 milioni di euro, cuisi aggiungeranno i 100 del prossimo PSR. Quanto all’ammodernamento delle reti idriche, la Campania è la prima regione d’Italia: l’80 percento dei canali è coperto, il che permette di ridurre notevolmente gli sprechi legati all’assorbi-mento o all’evaporazione dell’acqua. Questa strategia ci ha permesso di passare indenni dai periodi di siccità che hanno colpito lanostra penisola negli ultimi anni. Ma la salvaguardia della risorse idriche rappresenta solo uno degli aspetti del piano di svilupposostenibile portato avanti dalla Regione Campania negli ultimi anni. Altrettanto importante, infat-ti, è lo sfruttamento di risorse naturali a impatto zero sull’ambiente per la produzione di energia. Oggi la Campania è la prima regione in Italia per impianti e produzione di energia rinnovabile.Entro il 2013, un terzo del fabbisogno energetico campano sarà prodotto dalle centrali eoliche, ter-miche, solari e a biomasse.Già da un anno abbiamo sospeso la concessione di licenze per la creazione di impianti termoelet-trici: l’era del carbone in Campania è destinata a durare ancora per poco.I tempi per un cambiamento sostanziale nella produzione energetica e nell’uso dell’acqua sonomaturi.Il petrolio e il carbone, le principali risorse energetiche attuali, oltre a essere limitate, produconoingenti danni all’ambiente. E le riserve idriche sono sempre più scarse.Non possiamo più aspettare: se vogliamo vivere meglio e garantire a tutti un mondo migliore dob-biamo cambiare.

Andrea CozzolinoAssessore Regionale all’Agricoltura

e alle Attività Produttive

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Editore, direttore editoriale e artisticoMariano Grieco

Direttore responsabileDario Coviello

Relazioni esterneErsilia Ambrosino

TestiMariano Griecoe Archivio redazionale Campania Felix

l’editore ringrazia:Carla BottaManuela CalabreseSandro CastronuovoGiovanna FasaninoKatia FiorentinoTeobaldo FortunatoDaria GriecoSimona MandatoLello MazzacaneErminia PellecchiaRosa PepeManuel RomeoRenato Ruotolo

FotoAlfio Giannotti, Archivio AltrastampaArchivio SeSIRCA e STAPA CePICA Napoli

Progetto graficoAltrastampa

Coordinamento del progettoAlberto Caronte e Maria Passari

Si ringrazianoDaniela LombardoMaurizio Cinque, Amedeo D’Antonio,Carlo De Michele, Giovanni De Rosa,Antonio Di Donna, Veniero Adriano Fusco,Rosaria Galiano, Fulvio Iannucci,Vincenzo Luciano, Andrea Moro,Italo Santangelo, Giovanni Silvestro,Alberico Simioli, Linda Toderico,Francesco Vuolo

In copertina:Il Lago Matesefoto: Archivio Altrastampa

CAMPANIA FELIX®Direzione, redazione,amministrazione e pubblicità:Postiglione (SA)www.campaniafelixonline.it

Periodico registrato presso il Tribunale di Napoli n. 5281 del 18.2.2002R.O.C. iscrizione n. 4394

anno X, n. 26/2008Una copia Ê 8,00

© 2008 ALTRASTAMPA Edizioni s.r.l.84026 Postiglione (SA)cell. 338.7133797www.altrastampa.comwww.campaniafelixonline.italtrastampa@libero.itRiproduzione vietata con qualsiasi mezzoCampania Felix è un marchio registrato

StampaGangiano Grafica Napoli

La CampaniaUna terra ricca d’acqua affacciata sul mare 6

Un sogno fatto d’acquaLa fontana della Reggia di Caserta 8

Il SebetoIl fiume che non c’è 20

Acqua per il popoloLe fontane di Napoli 22

PosillipoPromontorio del mito 33

L’uomo e l’acquaUna simbiosi storica, un rapporto da rivedere 4

S o m m a r i OS o m m a r i O

Edizione specialeCampania Qualità Quotidiana

Paesaggi d’acquanatura cultura e attività produttive

Principalibacini idrograficidella Campania

1 - Liri e Garigliano2 - Volturno e Calore3 - Fortore4 - Cervaro5 - Regi Lagni6 - Regi Lagni e Sarno7 - Sarno8 - Sarno e Sele9 - Calaggio10 - Ofanto11 - Sele, Calore e Tanagro12 - Sele e Alento13 - Alento14 - Alento e Mingardo15 - Mingardo16 - Bussento17 - Mingardo e BussentoFonte: dalla rete

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In questo numero parliamo di Acqua. Fiumi, laghi e... il mare

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punti sulla costa salernitana traAgropoli e Maiori.Non da meno i fiumi che come con-fini naturali sono spesso stati tea-tro di scontri, basti pensare allaBattaglia del Garigliano del 1503che con la rotta dell’esercito fran-cese aprì il lungo capitolo del vice-regno spagnolo nel sud, e a quelladel Volturno nel 1860, che, con lasconfitta delle pur valorose truppedi Franceschiello, segnò in manieradeterminante, anche se non defini-tiva, le sorti del Regno Borbonicodelle Due Sicilie, costringendo l’ul-timo re, Francesco II, detto appuntoFranceschiello, a rifugiarsi con i

resti del suo esercito nella fortezzadi Gaeta, sempre sul mare, dovecapitolò alla fine di circa quattromesi di assedio piemontese chiu-dendo, dopo 130 anni, il libro dellastoria autonoma del sud. E da allo-ra fu Italia.Pochi esempi ma significativi dellegame indissolubile e continuo cheda sempre si è stabilito tra l’uomo el’acqua; come continuo e indissolu-bile è il ciclo naturale dell’acqua:dal mare al cielo con l’evaporazio-ne, dal cielo alla terra con la con-densazione e le piogge, dalla terradi nuovo al mare con fiumi, torren-ti, canali, rivoli. E in mezzo a tutto

questo, l’uomo, che ha cercato etuttora cerca di utilizzare, addome-sticare, dirigere, sfruttare questoelemento e le forze che esso gene-ra, come meglio può e crede, comeha fatto da secoli; nei tempi passa-ti quasi sempre in armonia con lanatura, senza violenze, ma con ilprogredire della “civiltà”, semprecon maggiore, e un po’ cieca, deter-minazione, incurante dei possibiliguasti provocati, pur di alimentareil suo crescente e a volte, ma soloper pochi, smodato benessere.Da qualche tempo si incomincianoa lanciare allarmi sulla carenzad’acqua: ma l’acqua non finisce enon finirà perché il ciclo naturalecontinuerà a generare quel miraco-lo che lega il mare al cielo, questoalla terra e quest’ultima di nuovo almare; anzi con il paventato sciogli-mento dei ghiacciai ne avremoanche troppa.Ma l’uomo potrà utilizzarla sempredi meno perché il suo intervento èdeterminante nel mantenimentodel delicato equilibrio che genera ilcontinuo reiterarsi di questo ciclo;spesso, la sottrae agli usi naturaliper immolarla sull’altare della pro-duttività, cambia la geografiamodificando paesaggi millenariprima fertili e ubertosi, impoverisceil mare con la pesca a strascico chesconvolge i fondali.Le piogge, acide per l’inquinamentoatmosferico, non saranno più unristoro per i campi assetati e pene-trando nel suolo assorbiranno altriveleni sparsi dall’Homo faber che siriverseranno infine nel mare conconseguenze ancora sconosciutema paventate.Insomma un avvenire incerto per leacque, per fortuna ancora moltolontano nel tempo; la maggiore ominore rapidità del suo avvicinarsidipende esclusivamente dall’uomoe come, nel futuro, prossimo, mamolto prossimo, deciderà di com-portarsi con l’acqua.A proposito, l’uomo è composto al90% di acqua ... che stupido!

In alto.MichelangeloMerisi dettoil Caravaggio,Narcisosi specchianelle acque.

Da quando l’uomo ha iniziato a cal-care il suolo di questo pianeta, haavuto una priorità costante, l’ac-qua. Per dissetarsi, per cucinare, perlavarsi, per pescare; l’uomo è statoprima cacciatore poi pescatore, poiha scoperto che se metteva unseme nella terra, questo, con l’ac-qua, germogliava e quindi l’hausata per irrigare i campi dellanascente agricoltura, e non ultimoper difendersi. La scelta dei luoghiper i suoi insediamenti doveva sem-pre rispondere a due caratteristichebasilari dettate dai bisogni fonda-mentali, l’approvvigionamento idri-co, per tutte le esigenze di vita, e ladifesa, all’inizio dagli animali pre-datori che potevano assalirlo e,successivamente, quando ha co-minciato ad avere coscienza delconcetto di possesso, tale principiodifensivo si è esteso anche ai suoisimili che tendevano a depredarlo, equindi diventati “nemici” (siamoall’invenzione della guerra).Spesso questi due bisogni trovava-no soluzione sovrapponendosicome nel caso dei villaggi su pala-fitte, dei quali, in Campania, abbia-mo testimonianze interessanti, siacon la relativamente recente sco-perta nei pressi di Poggiomarino,piccolo centro ai piedi del Vesuvio,di reperti risalenti al II millennioa.C. che ci riconducono a tale tipo-logia abitativa, sia con quelle piùanticamente documentate dellapiana del Sarno ad opera del popo-lo pelasgico dei Sarrasti primi abi-tatori di quei luoghi.Mari, fiumi, laghi, sorgenti sonodiventati poli di attrazione per gliinsediamenti umani, in alcuni casideterminando il nascere e lo svilup-po di grandiose civiltà, come quellaegizia legata alle piene del Nilo chefertilizzava i territori circostanti, ocancellandone altre, come la miticaAtlantide inghiottita negli abbissimarini chissà dove. Non a caso dovec’è l’acqua, in tutte le sue forme,abbondante o centellinata, c’è lavita; la sua assenza genera deserti edesolazione.L’acqua, quindi, come risorsa di vitama anche, nel caso dei fiumi, comeconfine, delimitazione di un territo-rio, o, come nel caso del mare,punto di approdo per altre gentivenute da lontano alla ricerca dimigliori condizioni di vita.

In Campania l’acqua, sia nella suaveste di fiume che come mare, si èspesso intrecciata con la storia: dalmare sono giunti i primi semi dellanostra attuale civiltà, quando gliintrepidi navigatori provenientidalle aspre pietraie dell’Ellade sbar-carono sui nostri, ben più ameni edospitali, lidi per fondarvi coloniedivenute nel tempo prospere epotenti, come Poseidonia, Elea farodi sapere, Cuma che a sua voltadiede i natali a Neapolis. Ma dalmare, nel corso dei secoli, venivanoanche terribili pericoli; nella memo-ria di molte comunità, specialmen-te lungo le coste salernitane, sono

ancora vive le tracce delle scorreriedei pirati barbareschi che razziava-no e uccidevano, costringendo lepopolazioni a erigere alte muradifensive o scegliere luoghi piùsicuri, a volte quasi inaccessibili, incui rifugiarsi, disegnando così quelpaesaggio tipicamente campano dipresepi abbarbicati alle rocce.L’ultimo momento storico in ordinedi tempo legato al mare, per questaregione, ma di tale portata da aversegnato i destini dell’intera Italia, èstata l’Operazione Avalanche, lette-ralmente “valanga” - anche se veni-va dal mare - quando nel settembredel ‘43 gli Alleati sbarcarono in più

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• testi: Mariano Grieco e archivio redazionale Campania Felix • foto: Alfio Giannotti e archivio Altrastampa

L’uomo e l’acquaUna simbiosi storica, un rapporto da rivedere

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mente e sapientemente utilizzaretali risorse, costruendo dighe, ponti,acquedotti, canali per irrigare icampi, deviandole, adattandole epiegandole ai suoi bisogni, o, quan-do ha sublimato l’acqua in rappre-sentazione fantastica, ai suoi sogni.C’e un posto in Campania dove lafantasia dell’uomo ha trasformatol’acqua in un grandioso spettacolo,quasi in un sogno, disegnandola inmille merletti, zampilli, cascate,laghetti, torrenti in piena che scor-

rono tra corpi di pietra morbidi evoluttuosi o contorti in spasimi diterrore, mostri e dee dalle languideforme: la fontana della Reggia diCaserta progettata dal grandeVanvitelli per allietare e abbellire,ma questo termine è certamenteriduttivo, i soggiorni dei Borbone.Nell’attiguo “giardino inglese”ancora l’acqua è protagonista difavole arcaiche con Venere chepudicamente si bagna in uno sta-gno incantato. Dietro questo trion-

fo della bellezza c’è un trionfo del-l’ingegno; per alimentare e darevita alla fontana, il geniale archi-tetto, in mancanza di sorgenti inloco, progettò e costruì un arditoacquedotto, per trasportare l’acquadalle lontane sorgenti del MonteTaburno, che prevedeva nel suopercorso un tratto aereo per colle-gare due colline e che con la suaimponente, armonica e affascinan-te mole caratterizza la Valle diMaddaloni.

Basta guardare la geografia di que-sta regione per capire perché essasia stata sempre nella storia ogget-to di desiderio e motivo di asprecontese. A nord un breve segmentodel Fiume Garigliano segna untratto del confine con il Lazio get-tandosi poi nel mare lungo il litora-le domizio. Una corona di monti lacirconda da nord nord-est fino asud disegnando i contorni di vastearee pianeggianti; a nord la PianuraCampana, la decantata Campaniafelix dei romani, lungo la quale,arricchito dal contributo del FiumeCalore Beneventano e Irpino, scor-re sinuoso il Fiume Volturno, ilcorso d’acqua più importante dellaCampania, che ha la sua foce inposizione baricentrica sull’arco dicosta che delimita a mare la pianu-ra campana. Al centro, stretta tra ilVesuvio e la catena dei MontiLattari, la pianura del Fiume Sarno,l’agro sarnese nocerino forse unodei più fertili della regione. A sud,circondata dai rilievi montuosi deiPicentini, degli Alburni e delCilento, si stende la piana delFiume Sele, il secondo fiume cam-pano in ordine di importanza, forseil più pulito d’Europa, che vi scorredopo aver raccolto le acque delFiume Tanagro o Negro e delCalore Lucano, gettandosi poi nelTirreno poco distante da Paestum.Ma questi sono solo i maggiori corsid’acqua di questa regione che hanel suo territorio una notevole ric-chezza idrica, una ragnatela difiumi, torrenti, rivi, laghi, canali incui confluiscono le acque meteori-che e le sorgenti dei numerosi baci-ni idrografici della Campania. Se siesclude la provincia di Napoli, nelcui territorio non scorrono, a partegli artificiali Regi Lagni, in cui siriversano anche le acque del Clanio,né sgorgano corsi d’acqua degni dirilievo o menzione, tutte le altreprovince possono vantare unaabbondanza idrica di tutto rispetto.E poi c’è il mare, pescoso e genero-so. Oltre 360 chilometri di coste trale più belle e varie d’Italia, dai dora-ti litorali sabbiosi, alle alte costieredove Eolo e Nettuno hanno fatto agara per scolpire monumenti fanta-stici di violenta bellezza, alle sco-gliere a picco, bagnate da un mareche in alcuni tratti è da anniBandiera Blu per la sua purezza.

Ricco di porti turistici ben attrezza-ti, che sono in continua espansioneanche nelle località cosiddetteminori, per offrire ai diportistiapprodi sicuri e confortevoli lungotutta la fascia costiera campana epermettergli di scoprirne così lemille attrattive.Un mare che lungo le costiere sor-rentina e amalfitana bacia la terrain maniera fascinosa, che circondaisole, il cui nome Ischia, Capri,Procida, evoca momenti di bellezza

conturbante; che si fa contenitoredi storie e leggende lungo la frasta-gliata costa cilentana costellata dipiccole spiagge nascoste, penetratada anfratti e caverne ora maestosee accoglienti ora inaccessibili emisteriose. Tanta ricchezza diacque, dolci e salate, ha reso questaregione fertile, pregna di bellezzeuniche, con un’abbondanza di pro-dotti tipici carichi di storie e tradi-zioni, frutto del lavoro dell’uomoche ha saputo, nei secoli, ampia-

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La CampaniaUna terra ricca d’acqua affacciata sul mare

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cento metri ai due chilometri: vali-cava la valle di Durazzano, forava lecolline di Longano, Garzano eCaserta Vecchia per poi giungerefino al parco. Ma la parte di questoacquedotto che per bellezza e tec-nica eguagliava gli acquedottiromani, fu il viadotto dei Ponti dellaValle: per coprire la lunghezza dipiù di mezzo chilometro l’architettofece costruire un ponte di tre ordi-ni, con diciannove arcate al primo,ventotto al secondo e quarantatrèal terzo. Il troppo denaro speso perla costruzione dell’acquedottoCarolino, fece ridimensionare ilprogetto iniziale della fontana.Infatti, delle diciannove vasche ori-ginarie, tutte ispirate alle narrazio-ni mitologiche di Ovidio e Pausania,ne furono realizzate soltanto sei.Alla morte di Luigi, fu affidato alfiglio il compito di completare ilprogetto paterno con alcune modi-fiche che i sovrani imposero all’ar-chitetto soprattutto per motivi diordine economico.Carlo Vanvitelli, quindi, poté realiz-zare soltanto in parte l’ambizioso

progetto paterno, che aveva imma-ginato per quest’opera monumen-tale una narrazione con temi stret-tamente legati all’acqua: laFontana delle Ninfe, quella Realecon i Tre Fiumi, Andromeda e ilmostro marino, Aretusa cambiata infonte ed Egeria mutata in fiume,Atteone che sorprende Diana men-tre si bagna, Venere che nasce dalleonde del mare, ecc. diventando laparte più scenografica del giardinoreale. Pur ridotta rispetto alla pri-migenia progettazione, la fontanadella Reggia di Caserta resta unadelle opere idrauliche di maggioreinteresse sia sotto l’aspetto tecnicoche sotto il profilo artistico, un’o-pera non di sola rappresentanza mache ben raffigura il rapporto stret-to, quasi sacrale, tra l’uomo e l’ac-qua. Sull’acquedotto Carolino, notoanche come “via dell’acqua vanvi-telliana”, è in corso uno studio par-ticolareggiato che si concretizzeràin un progetto volto a rendere frui-bile e funzionale l’intero percorso,dalle falde del Taburno fino allaReggia di Caserta.

Immerso nel verde del parco dellaReggia di Caserta, spicca il nastrod’argento del Bacino Grande, vantodell’ingegneria settecentesca ecapolavoro di Luigi Vanvitelli. Sindal 1751, quando l’architetto inco-minciò a lavorare al progetto delpalazzo reale, le idee illuministe diMillet e di Le Nôtre, eccellenti mae-stri giardinieri, ispirarono l’artistache concepì un giardino all’italianacon alcune soluzioni mutuate dalleesperienze francesi: da ciò derivòun parco in cui, all’interno delverde, predominavano fontane especchi d’acqua. Per realizzare taledisegno, sin dal primo momentoVanvitelli cercò sorgenti che potes-sero rifornire d’acqua la reggia, per-mettendo, così, la realizzazione del

suo grande progetto. Risultate vanele ricerche, decise di approvvigiona-re il giardino con l’acqua prove-niente dalle fonti del Taburno,distanti circa quaranta chilometrida Caserta. A tale scopo l’architettoprogettò un lungo e ingegnosoacquedotto che, attraversando col-line e valli, giungeva fino alla reg-gia. L’impresa bastò da sola a ren-dere famoso il nome di Vanvitelli intutta l’Europa legando il commit-tente, Carlo III di Borbone, a unadelle progettazioni idrauliche piùcoraggiose del Settecento. L’acqua,quindi, nata dal Monte Taburno,scavalcava il Fiume Faenza, attra-versava la collina di Prato, il MonteCiesco e il Monte Croce con lunghegallerie che andavano dai quattro-

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Un sogno fatto d’acquaLa fontana della Reggia di Caserta

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Lago di Letino e il Lago di Gallo,piccolo invaso artificiale realizzatoper una centrale elettrica.Il primo è alimentato dal FiumeLete, uno dei più suggestiviaffluenti della sponda sinistra delVolturno, un tempo lungo venti chi-lometri nasce, per fenomeno carsi-co, a 1.028 metri nella pianura delleSecene, nel cuore del territorio diLetino e, dopo un percorso di 8 chi-lometri, si getta nel lago che pren-de il nome dal paese stesso. Ancoraoggi le donne di Letino, nelle suefresche acque, lavano i manti dellepecore appena tosate. Il particolarecorso del fiume, che per un trattodiventa sotterraneo, risgorgando,poi, prepotentemente, per riprende-re il suo cammino in superficie, hafatto pensare agli antichi abitantidel luogo che l’acqua provenissedagli Inferi e pertanto lo chiamaro-no come il fiume infernale citato daOmero, Platone e Virgilio.Le Grotte del Cauto, scavate dalcorso sotterraneo del fiume presen-tano meandri di bellezza sconvol-gente e offrono uno scenario fattodi stalattiti, stalagmiti e cascate eassicurano la compagnia di farfalledagli occhi fosforescenti e di unparticolare crostaceo acquaticobianco privo di occhi. Un meravi-glioso spettacolo si affaccia allavista, usciti dalle grotte: una vedu-ta orizzontale, a trecentosessantagradi, su una vegetazione che regnasopra ogni cosa, inglobando incolori, profumi e forme, tutto ciòche alita attorno a sé.

In alto.Lago di Letino.Al centro.Fiume Lete.In basso.Caciocavalli.

Siamo ai confini orientali della pia-nura campana, all’orizzonte, versonord, i primi rilievi dell’Appennino sialzano quasi all’improvviso sullapiana con alti profili, alle loro spal-le si erge maestoso il massiccio delMatese. E proprio in questa zonatroviamo in località Miralago lospecchio d’acqua dolce più grandee forse più bello della regione, ilLago Matese, disteso in una vallataa circa 1000 metri slm, con sullosfondo il Monte Miletto e laGallinola, dei quali raccoglie leacque derivanti dallo scioglimentodelle nevi, in uno scenario di gran-de fascino. Tutt’intorno faggetesecolari e vegetazione palustre,habitat ideale per una ricca avifau-na, rendono questo luogo di un’a-menità quasi innaturale dominatoda un silenzio quasi assoluto; pic-coli mercati, che si svolgono quasi

ogni fine settimana lungo le vie diaccesso, danno la possibilità digustare i prodotti tipici locali, spe-cialmente formaggi, caciocavalli elatticini e l’olio extravergine di

oliva Terre del Matese DOP, di pro-duzione strettamente artigianale. IlLago Matese è inserito nell’area delParco Regionale del Matese, dellostesso parco fanno parte anche ilIl Lago Matese.

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venienti dalla sorgente CapoVolturno (circa 500 metri di quota,considerata comunemente l’originedel fiume). Dopo il Ponte 25 Archi ilfiume segna il confine tra il Molisee la Campania, attraversando lafertile piana di Pozzilli e di Venafro.Subito dopo la strettoia di SestoCampano entra definitivamente inCampania. In territorio campanoriceve da sinistra il Fiume Lete, ilTorrente Aduento e il TorrenteTiterno e da destra il Rivo Tella.Presso Limatola riceve da sinistraun altro tributario, il Fiume Iscleroil quale proviene dalle famose for-che caudine. Infine poco dopoTriflisco, in un territorio quasi total-mente pianeggiante e con scarsapendenza, allarga il suo letto edassume un’aspetto sinuoso, scor-rendo lento e con andamentomeandriforme fino allo sbocco nelTirreno presso Castel Volturno. Lesue acque sono impiegate per lapesca, l’irrigazione, la nautica spor-tiva e la produzione di energiaidroelettrica.Il paesaggio della piana delVolturno, specialmente nella partealta, ha un’aspetto delicato edarcadico, le sponde del fiume sonospesso coperte dalla folta vegeta-zione igrofila che costituisce richia-mo e rifugio per molte specie avico-le sia stanziali che migratorie.Non mancano all’orizzonte traccedegli antichi acquedotti costruitidai romani che, grandi ingegneri,non si preoccupavano delle distan-ze quando si trattava di captare etrasportare acqua da un capo all’al-tro dell’impero.Ecco, questo è l’ager campanus, chesuddiviso in centuriazioni fu dato inpremio ai veterani delle guerre cheavevano reso grande Roma, laCampania felix, la campagna felicecitata nelle antiche mappe in cuianche i Borbone vollero avere unacasa facendosi costruire la Tenutadi Carditello, piccola e deliziosareggia per gli “sfizi” venatori e perle sperimentazioni agricole; la Terradi Lavoro, un territorio che comedice il suo nome è buono da lavora-re perché fertile e generoso; infattiricchi sono i suoi frutti. Questa è lazona della mozzarella di bufalacampana DOP e degli altri prodottiderivati da questo caratteristicoanimale, la ricotta e la carne, pros-simi anch’essi all’ambìto riconosci-mento comunitario della denomi-nazione protetta, senza dimentica-re la saporitissima provola. Nellazona aversana il paesaggio è carat-terizzato dalle viti maritate, filari divigneti aerei stesi tra alti alberi di

In alto.Il Volturnopresso Capua.Al centro.La famiglia diFerdinando Ialla mietituraa Carditello.In basso.Mozzarelladi bufala.

Poco più a nord, il paesaggio è sot-tolineato dal lento scorrere delFiume Volturno che entrando inCampania presso Capriati alVolturno segna un tratto di confinecampano con il Lazio per poi dis-tendersi nella lunga valle alifanaalla cui fine accoglie le acque delTorrente Titerno. Dopo aver aggira-to i rilievi del Caiatino, zona di pro-duzione dell’olio extravergine dioliva delle Colline Caiatine DOP,riceve, nei pressi di CastelCampagnano, un ricco tributo diacque dal Calore Beneventano.È in queste fertili ed incantevolicolline casertane che si concentra-no i “piccoli grandi vini della Cam-pania”, riscoperti di recente e chestanno riscuotendo grandi consensitra gli enologi e i consumatori: ilCasavecchia e il Pallagrello.Proseguendo il suo viaggio verso lapianura campana, di cui caratteriz-za il paesaggio con ampie anse egiravolte, e forse a questa caratte-ristica deve il suo nome, il Volturnoattraversa, in quest’area, l’anticacittà di Capua, che ne è quasi total-mente circondata tanto da esseresempre stata considerata inespu-gnabile; infatti nella sua fortezza siasserragliò parte dell’esercito bor-bonico dopo la sconfitta subita sulVolturno ad opera dei garibaldini,resistendovi fino alla capitolazionedi Gaeta. La città anticamente eradotata di un porto fluviale che lametteva in comunicazione con ilMar Tirreno e le altre città della

costa ed è ancora visibile il ponteromano fatto fortificare da FedericoII di Svevia con le possenti torridifensive le cui tracce sono ancora

imponenti. Il Volturno nasce in Molise daimonti della Meta, e presso CastelSan Vincenzo riceve le acque pro-

In alto.Fiume Volturno.

Al centro.Il Volturno

a Capua.In basso.

Garibaldi allaBattaglia del

Volturno.

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guerra mondiale, fu teatro di acca-niti combattimenti tra Alleati eTedeschi, tracciava infatti lungo ilsuo corso una parte della LineaGustav. Attualmente le acque delfiume sono impiegate per l’irriga-zione agricola e per usi industriali;sono presenti anche centrali elettri-che, tra cui quella elettronuclearedi Sessa Aurunca, costruita nel1964, chiusa nel 1978 e disattivatanel 1982.Nelle ubertose colline di SessaAurunca e su quelle contigue delvulcano di Roccamonfina sono dif-fusi alcuni prodotti di assoluta qua-lità e tipicità, come l’olio extraver-gine di oliva Terre Aurunche, lacastagna di Roccamonfina, lepesche e il vino Galluccio DOC,oltre ad altri prodotti tradizionalirinomati come i funghi porcini diRoccamonfina, il formaggio CasoPeruto e le ciliegie di Carinola.La linea costiera campana iniziaproprio alla foce del Garigliano,poco dopo il ponte borbonico RealFerdinando, mirabile opera di inge-gneria ottocentesca, il primo pontesospeso in ferro costruito in Italia.La costa dicevamo, qui è bassa esabbiosa e tale rimane per tutto iltratto casertano, incorniciata nellaparte meridionale da una lussureg-giante pineta costiera. E propriolungo questo litorale il basso fon-dale sabbioso nasconde un piccolotesoro, la tellina, gustosissimo eprofumato frutto di mare, concor-rente diretta della vongola, che adifferenza di quest’ultima non sipuò far crescere in allevamento, quisi raccoglie ancora con l’anticosistema: camminando a ritroso nel-l’acqua bassa trascinando unrastrello munito di rete che “ara” lasabbia; lavoro duro.

In alto, a sinistra.Raccolta di olive.In alto, a destra.La foce delVolturno.Al centro.Castagne diRoccamonfina.In basso.Telline.

pioppo da cui nasce l’Asprinio DOCun vino antico tipico di quest’area,il cui vitigno originale fu forseimportato dagli Angioini, che stariconquistando i palati più fini. Aipiedi del Massico, in un paesaggiocaratterizzato da boschetti di salicibianchi, ontani neri e pioppi, c’è ilpiccolo Lago di Carinola dettoanche Lago Falciano alimentatodal Rio Fontanelle, inserito nellaRiserva Naturale Regionale luogoideale per gli appassionati di bird-watching, e facente parte del ParcoRegionale di Roccamonfina checomprende l’omonimo vulcano e lafoce del Garigliano. Habitat diffe-renti tra loro ma uniti da una ric-chezza di avifauna migratoria estanziale di grande interesse.Il Fiume Garigliano nasce dallaconfluenza del Fiume Gari o Rapidonel Fiume Liri a sud della città diCassino nei pressi di Sant’Apolli-nare. Quasi per tutto il corso segnail confine tra il Lazio e la Campaniasebbene fino al 1927, quando i con-fini amministrativi furono modifi-cati, appartenesse interamente allaTerra di Lavoro. Chiamato in latinoLiris, nel medioevo era detto ilVerde Fiume. Sfocia nel golfo diGaeta, presso l’antica città romanadi Minturnae sulla sponda nord epresso la località turistica di BaiaDomizia sulla sponda sud. La valledel fiume ha costituito dai tempipiù antichi una importante via dicomunicazione tra la costa e l’in-terno. Nel corso della seconda

In alto.Il Lago diCarinola.Al centro.

Viti maritatead Aversa

in un quadro.In basso.

Il ponte di ferrosul Gariglianoin un quadro.

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detto Leproso che scavalca ilSabato.Terra ondulata il beneventano, incui lo spazio si fa materia sensibileed emozionante, terra di pastori edi transiti, qui passavano infattimolti degli antichi tratturi, le vie dimigrazione delle greggi transuman-ti che dai pascoli montani estividell’Abruzzo viaggiavano fino aquelli pianeggianti e invernali dellaPuglia. Le antiche tradizioni pasto-rizie continuano nella produzione diottimi formaggi. Tutta la vasta areacollinare di questa zona produce oliextravergini di oliva di grande qua-lità che recano le denominazioniSannio Caudino Telesino e CollineBeneventane, tipici, questi ultimi,delle valli del Fiume Fortore, delTammaro e del Calore, importantianche le produzioni di pecorino dilaticauda sannita e del vitellonebianco dell’Appenino centrale IGP.Senza dimenticare i vini pregiatiche fanno del beneventano la pro-vincia campana più importante perla viticoltura: Solopaca, Guardiolo,Aglianico del Taburno, Sant’Agatade’ Goti, Falanghina del Sannio.Insomma una natura che dà il suomeglio in termini di bellezza e diqualità.Ancora due corsi d’acqua il Sabatoe il Calore, qui nella sua veste difiume irpino, quasi segnano i confi-ni di quell’area avellinese epicentro

In alto.Il Ponte Leprosoa Benevento.Al centro.Pascolo.In basso.Oliveto.

Riprendiamo il nostro Volturno,risalendo il suo corso fino allabiforcazione dove accoglie le acquedel Fiume Calore del tratto bene-ventano; da qui, ai piedi del Parcodel Taburno ricco di foreste, sistende una delle aree di produzionedella melannurca campana IGP,delizia per intenditori, dal bel colo-re rosso e dal sapore gradevolmen-te acidulo. Proseguendo la risalitaci immettiamo nell’ampia valletelesina che verso est si restringe adimbuto incuneandosi tra i monti.Tutta l’area beneventana è ricca dicorsi d’acqua molti dei quali vannoad ingrossare il Calore che nel suolungo percorso, nasce infatti suiMonti Picentini ai confini del saler-nitano in località Croci di Acerno acirca 900 metri slm, attraversabuona parte del territorio irpino e ilSannio beneventano ricevendoacque dal Fiume Ufita, dalTammaro, dal Sabato, più da unaserie di corsi minori quasi sempre acarattere torrentizio.Caratterizzato da un bacino di rac-colta assai ampio il Calore ha unanotevole portata d’acqua pur risen-tendo in maniera pesante di unacerta irregolarità di regime e di unintenso utilizzo delle sue acque. Inautunno e inverno a causa delleprecipitazioni, sono frequenti eimponenti le piene, talvolta dis-astrose come accaduto nell’ottobredel 1949 quando venne alluvionataper gran parte la città diBenevento; al contrario in estate ilfiume rimane a tratti impoveritodella sua portata a causa delle forticaptazioni per usi agricoli. Una par-ticolarità di questo fiume è datadalla temperatura delle sue acqueche, poco prima di entrare nellaprovincia di Benevento, si presentapiù elevata rispetto a quella degliaffluenti Tammaro e Sabato. Perquesta sua caratteristica antica-mente nei mesi estivi ci si bagnavanel fiume con la convinzione chefornisse benefici effetti termali,curando persino i dolori reumatici.Da questa particolarità si è ritenutoche derivasse il nome del fiume.La Valle del Calore, nel tratto com-preso tra la piana di Apice e quelladi Telese, in conseguenza del suoantico ruolo di sbocco di gran partedelle vie di comunicazione tra laPuglia, la Campania, l’Irpinia e ilMolise, fu in passato teatro diimportanti eventi bellici e accadi-menti particolari. Una cronaca del‘500 racconta un episodio relativoal fiume: le acque erano divenutetorbide e i pesci risalivano allasuperficie facendosi facilmentecatturare dalla popolazione di

Benevento. In quel periodo il fiumeaveva una notevole portata d’ac-qua, tanto da permettere alle zatte-re e barche il transito sino alVolturno.Benevento infatti, antico e nobilecapoluogo, capitale dell’omonimo

ducato longobardo e poi territoriopontificio fino al 1860 quando fuannessa al neo Regno d’Italia, avalle, è quasi circondata dai fiumi,qui si incrociano il Calore e ilSabato e numerosi in città sono iponti tra i quali quello romano

In alto.Melannurche.

In basso.Il Fiume

Tammaropresso SanGiorgio La

Molara.

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risulta importante stazione di risto-ro e riposo delle specie ornitichelungo la rotta migratoria tra Tirrenoed Adriatico; tutta l’area è compre-sa nell’omonima Riserva Regionale,dove di recente è stata segnalata lapresenza di una coppia di gru. Edinfine il Lago San Pietro ai piedi diAquilonia, di un colore celesteintenso, disteso lungo la vallatascavata dal Torrente Osento, areaattrezzata per la pesca sportiva ed ipicnic.Insomma una miniera di bontà inun territorio dall’orografia movi-mentata, con mille rivoli chediscendono dai suoi fianchi alimen-tando i fiumi e le tante fontaneposte a ristoro dei viaggiatori lungol’antica strada regia per le Puglie;ricco di foreste, altipiani, pascolimontani e morbide vallate, campialacremente coltivati e aree incon-taminate dove la storia dell’uomocon le sue opere e la natura fanno agara nel sorpassarsi in bellezza.Lasciamo la provincia di Avellinoseguendo le tracce dell’anticoacquedotto Claudio che per secoliha dissetato Napoli. Da Serino aipiedi del versante occidentale della

catena dei Picentini, famosa ancheper le sue castagne di Serino DOP,infatti partiva questa mirabileopera, un ramo si dirigeva versoBenevento, l’altro attraversava l’a-gro nolano, per raggiungere la cittàpartenopea; se ne vedono ancora le

tracce in città nella zona denomi-nata Ponti Rossi proprio per la pre-senza residua di arcate dell’acque-dotto. Per anni la parola “serino” aNapoli è stata sinonimo di acqua,anzi era “l’acqua”, leggera, digeribi-le, gustosa, perfetta in cucina.

In alto.Il Lago SanPietro adAquilonia.Sotto.Il Lago di Conza.

della produzione di vini di pregio:siamo nelle terre dei DOCG Fiano diAvellino, Greco di Tufo, Taurasi edel DOC Irpinia. Perle preziose diuno scrigno che lentamente si stadischiudendo per offrire i suoi teso-ri agli amanti del gusto.Ma molteplici sono i prodotti dipregio della provincia avellinese,l’IGP castagna di Montella, i tartufidi Bagnoli Irpino, il pecorinobagnolese, e il pecorino Carma-sciano, vera chicca per intenditori,

e ancora il caciocavallo podolico, ilcaciocavallo silano DOP, la ricotta ei latticini. Di indiscussa qualità lecarni di vitellone bianco dell’Ap-penino centrale IGP provenientedai pascoli montani e gli insaccatitipici come la soppressata irpina. Eun prodotto, antico come l’uomo,ma che trovarlo ora di qualità èquasi una scommessa, qui è unaspecialità: il pane di grano duro,come quello di Calitri o diMontecalvo Irpino.

E in questa zona, segnata dalla pre-senza del Fiume Ofanto, che nascea Torella dei Lombardi e corre rapi-damente verso l’Adriatico, siamoquasi ai confini con la Basilicata econ la Puglia, troviamo altri duespecchi di acqua dolce di una certaimportanza: il Lago di Conza, for-mato da una diga sull’Ofanto, cir-condato da flora igrofila e dapascoli rappresenta la più estesaarea umida della Campania e pro-prio per questa sua caratteristica

In alto.Il Calore Irpino

pressoCastelfranci.

Al centro.Vigneto.

Sotto.Tartufi e pecorinodi Bagnoli Irpino.

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La provincia di Napoli, come abbia-mo già detto, non ha sorgenti ocorsi d’acqua degni di nota; neitempi antichi c’era il Fiume Sebetoche sfociava a mare nei pressi delPonte della Maddalena, dopo averalimentato lungo il suo corso unazona ricca di mulini, ma non era ungran ché tanto da meritarsi la dici-tura “ricco d’onor povero d’acque”per la gran mole di testi e trattati alui dedicati. A dire il vero a Napoli, in città, c’e-rano alcune sorgenti, ma erano diacqua sulfurea, la cosiddetta“acqua ferrata” venduta nellemummarelle i piccoli orci di terra-cotta, dal sapore forte che ben siaccompagnava ai taralli sugna epepe, “sfizio” napoletano nelle pas-seggiate sul lungomare. Napolipovera di acque poteva però vanta-re una serie di acquedotti sotterra-nei che alimentavano tutta la città,tra quelli più funzionali e in parteancora in servizio almeno comepercorso, quello del Carmignano delXVII secolo, così detto dal nome delsuo geniale realizzatore. Anchenegli acquedotti napoletani la sto-ria c’ha messo il suo zampino,infatti fu calandosi in un pozzo, neipressi della chiesa di Santa Sofia einoltrandosi nei cunicoli sotterraneiche l’esercito bizantino guidato dalgenerale Belisario nel 536 d.C.riuscì a conquistare Napoli e ilducato napoletano dopo un lungoe, fino allora inutile, assedio.La stessa strada fecero le truppe diAlfonso di Aragona nel 1442entrando dallo stesso pozzo, nellostesso luogo, e cogliendo di sorpre-sa alle spalle gli angioini asserra-gliati in quelle che credevano murainespugnabili.Alfonso, per prudenza fece poimurare quel pozzo!Ma torniamo a queste vie d’acquasotterranea che, insieme alle cavedel tufo, resero il sottosuolo diNapoli simile ad una gruviera; unacittà ipogea fatta di gallerie, pozzi,cisterne, cunicoli a volte talmentestretti da poterli percorrere soloprocedendo di lato, alcuni sonoancora visitabili ed è un tragittotenebroso ma di grande fascino. Tresono gli acquedotti a pelo liberodella antica città di Neapolis, chel’hanno servita fino al 1885, annoin cui fu inaugurato l’attualeacquedotto intubato. L’acquedottodella Bolla, di origine greca, racco-glieva le acque sorgive della pianadi Volla (nel settore sud-orientale diNapoli) per alimentare la zonaurbana di Neapolis ed i mulini dellavalle del Sebeto.

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Il Sebeto, il fiume che non c’èIl Sebeto era il simbolo della cittàprima greca e poi romana, ed erarappresentato nelle monete diNeapolis quattro secoli primadella nascita di Cristo, ma avevagià perduto la sua identità quan-do Boccaccio viveva all’ombra delVesuvio. Ma il nome l’avrebbericonquistato ben presto, insiemealla fama. Furono gli Umanisti arilanciare la sua immagine, e que-sta da allora è rimasta ben saldanella memoria collettiva. GiovianoPontano celebrava le sue placideacque che scorrevano tra filari di

salici e Jacopo Sannazaro lo ricor-dava teneramente come “il mionapoletano Tevere”. Per risalirealle origini, bisogna immaginareun corso d’acqua che scorre placi-damente dalle pendici del MonteSomma, presso Tavernanova,verso il mare.Ad alimentarlo erano le sorgentidella Bolla e, successivamente,quelle del Lufrano. Nelle zone piùlontane dalla città, un po’ d’acquacontinua ad affiorare. Il fiumedopo aver azionato una serie dimulini, concludeva il suo viaggionella zona orientale di Napoli, al

Ponte della Maddalena, teatro diaspri scontri nel 1799 tra le trup-pe sanfediste del cardinale Ruffo,venuto alla riconquista del Regnodi Napoli e gli strenui difensoridella Repubblica Partenopea.Sullo stesso ponte, nel ‘600 si diceche San Gennaro abbia fermatoun’altro fiume, quello della lavaeruttata dal Vesuvio che con il suocorso minacciava la città. In que-sto punto nel 1555 fu costruito ilponte, recentemente restaurato,sulle fondamenta di un’anticastruttura che, già danneggiata

dalle intemperie e da eventi belli-ci, aveva ricevuto il colpo di graziada un’alluvione.Bastava poco per sistemare la focedi un corso d’acqua tanto modestoda apparire in più punti stagnante,ma si innalzò un monumento,senza badare ai costi.Opera talmente sproporzionataalle effettive necessità che ungenerale moscovita venuto asostenere i borbonici, osservate lepoderose arcate presso la chiesadella Maddalena, aveva esclama-to: “Napoletani, o più acqua o

meno ponte”. In sua imperituragloria e memoria il viceré conte diMonterey fece erigere in suoonore una grandiosa fontana,appunto quella del Sebeto, realiz-zata nella prima metà del Seicentoda Fanzago junior posta ora allargo Sermoneta, a Mergellina,dove il mitico fiume è rappresen-tato come un vecchio con la barbafluente disteso su un fianco, unpo’ accigliato, forse pensando alfiume che non c’è più; iconografiaabbastanza consueta, questa, perla rappresentazione dei fiumi.

In alto, a sinistra.La Fontana del Sebeto.In alto, a destra.Mulini nella campagnanapoletana alimentatidal Sebeto.In basso, a sinistra.Il Sebeto rappresentatonel cartiglio della piantadi Napoli del ducadi Noja.In basso, a destra.Il Ponte dellaMaddalena.

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Segue a pag. 24

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Descritte e celebrate da scrittori e poeti,abbellite da leoni e da satiri, da orridimostri marini e da splendide sirene, lefontane di Napoli, spostate dai loro luo-ghi d’origine, trasformate, rivelano lastoria della loro città. Esse furono volu-te a decine dai tanti viceré spagnoli chesi contesero il potere, ma anche daisovrani borbonici che li imitarono edecorarono ogni angolo di Napoli comesontuosi gioielli pregni di fantasia popo-lare e custodi essi stessi di leggendemisteriose. Retaggio della cultura arabaamante della decorazione o di quellaspagnola tesa allo scenografico, forseper il popolo napoletano, popolo dimare, le fontane erano solo una sorta dirassicurazione: l’acqua dolce che sgorgafresca dalla bocca di un pesce o di unasirena è pur sempre il sogno di ognimarinaio troppo a lungo forzato, duran-te la navigazione, a centellinarla!Ognuna di esse ci racconta la sua storia,

unica e particolare, ed ognuna porta consé il suo carico di creature marine omitologiche, reali o immaginarie, ma,comunque, nate tutte dalla fantasia diartisti di rara abilità, manieristi, baroc-chi o neoclassici che fossero.Nella Villa Comunale, nascosta daglialberi, si trova, oggi, la bella Fontana diSanta Lucia che un tempo si trovavanell’omonimo quartiere ed era l’orgogliodi tutti i suoi abitanti. Il conte diBenavente, viceré di Napoli, la vollecostruire, chiamando, per questo, famo-si scultori e marmorai molto attivi inquegli anni a Napoli, primo fra tuttiMichelangelo Naccherino che insiemeagli altri ideò questo particolarissimogioiello. La vasca, sorretta da due delfi-ni, è sovrastata da un arco ai cui latisono due pilastri scolpiti a bassorilievocon ogni sorta di crostaceo, pesce o ani-male marino. Ai lati Nettuno e Anfitritecircondata da Tritoni ed Anfitrite conte-

sa dalle divinità marine sovrastano duepiccole lapidi e due vaschette a conchi-glia. Fu suppergiù negli stessi anni cheper volere del viceré Olivares fu costrui-ta anche la Fontana di Nettuno, forse lapiù itinerante di tutte, che dopo avergirovagato in città, oggi è in via Medina,anch’essa ideata ed eseguita dalNaccherino, autore certo del belNettuno che la sovrasta, ma, questavolta, aiutato da un altro toscano, PietroBernini, padre del ben più famoso GianLorenzo che, con ogni probabilità, nescolpì i putti ed i mostri marini.La Fontana dell’Immacolatella, poi,costruita, sempre nello stesso periodo,alla salita del Gigante, nei pressi dell’at-tuale piazza del Plebiscito, e trasferitapresso l’antica stazione marittima, difronte alla costruzione da cui prese ilnome, dopo varie vicissitudini è oggi sullungomare, in via Nazario Sauro, e scan-disce con i suoi tre archi la veduta delpaesaggio retrostante. Tra le rare fonta-ne che nei secoli hanno mantenuto illoro sito originario è, per esempio, laFontana di Monteoliveto o di Carlo II acui è legata la famosa leggenda del reche volge lo sguardo verso un luogo

misterioso in cui è sepolto untesoro. Fu fatta erigere per l’ulti-mo esponente spagnolo delladinastia degli Asburgo. La sculturache sovrasta la bella vasca polilo-bata decorata da leoni, raffiguraCarlo II quasi bambino, ma quan-do fu fusa il re ormai aveva rag-giunto già l’età di diciotto anni.Più avanti negli anni, in un’epocastorica molto diversa, furono pro-gettate poi le belle fontane delReal Passeggio di Chiaia prima fratutte quella che oggi identifichia-mo col nome di Fontana dellePaparelle, ma che in origine, idea-ta da Giuseppe Sammartino, dove-va recare, al centro, un gruppo conla Sirena Partenope ed il Sebeto epoi, addirittura il mastodonticoToro Farnese. Fu Ferdinando IV apensare di prelevarlo dal depositoin cui da anni era custodito perportarlo in Villa Comunale, nonsenza suscitare, tuttavia, dubbi eperplessità. Nel 1826 esso fu spo-stato nel Real Museo Borbonico edal suo posto è ora la bella vasca diporfido, scavata a Paestum, sor-

retta da quattro leoni neoclassici.Tante altre sono le fontane diNapoli, quelle della Selleria, quel-la del Mandracchio, del Formello,di Spina Corona detta anche ‘afuntana ‘re zizze (dei seni) dallasirena discinta che la adorna, dellaScapigliata, del Capone, dellaMarinella al Carmine o di Mez-zocannone, senza contare quellenascoste nelle sontuose ville o neicortili dei palazzi antichi dellacittà; molte le loro storie, fram-menti di una realtà antica che èpoi la nostra realtà, e tutte cirimandano al nostro eterno dipen-dere, anche esteticamente, dal-l’acqua.

In alto, a sinistra.La Fontana di Santa Lucia.Sotto.Particolare della Fontanadi Monteoliveto.In alto, a destra.La Fontanadell’Immacolatella.In basso, a sinistra.La sirena della Fontanadi Spina Corona.In basso, a destra.La Fontana delle Paparellecon il Toro Farnesein una gouache.

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Acqua per il popoloLe fontane di Napoli

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invisibile, come le vene di un corpo,che serviva a dissetare la città maanche ad alimentare le innumere-voli fontane monumentali pubbli-che e quelle dei giardini nobiliari,nonché a irrigare orti e frutteti cit-tadini.L’acquedotto Claudio che portaval’acqua fino a Baia, sul litorale fle-greo, confluiva in una cisternaenorme, tuttora in perfetto stato di

conservazione, la cosiddettaPiscina Mirabile, che serviva perl’approvvigionamento idrico dellaflotta imperiale ancorata a Miseno,un’opera di grandissima genialità, ilsuo interno, con la luce che piovedall’alto dalle strette grate di pro-tezione, assume quasi l’aspetto diun luogo sacro, e misteriosamentemagico. Ed alimentava anche leCento Camerelle, dette volgarmen-

te prigioni di Nerone, altro serba-toio che serviva a rifornire una delletante ville patrizie della zona, costi-tuito da una serie di cunicoli dispo-sti ortogonalmente in origine volta-ti e rivestiti di cocciopesto idrauli-co; anche questi visitabili con gran-de emozione.Nessun golfo al mondo risplende piùdell’amena Baia. Così diceva Orazio.Siamo nei Campi Flegrei, i campi

La PiscinaMirabile.

Il già citato acquedotto Claudio,costruito in età augustea servivaper convogliare le acque sorgive delterritorio di Serino fino alle ville diPosillipo e Bagnoli, nonché al cen-tro militare marittimo di Bacoli eMiseno porto della flotta imperiale.Infine, agli inizi del 1600 risalel’importante acquedotto, anch’essogià citato, detto del Carmignanodal nome del suo progettista Cesare

Carmignano, che era alimentatodalle acque del Fiume Isclero, sul-l’altopiano caudino. Questi acque-dotti, erano ancora interamentepercorribili anche dopo la loro dis-missione e fino all’inizio dell’ultimoconflitto mondiale quando furonoancora esplorati per ricavarne rico-veri antiaerei. È incredibile pensare a quanta mae-stria ci sia voluta da parte dei “poz-

zari”, umili artefici di questa mera-viglia negli oscuri meandri sotterra-nei, per realizzare il gioco mirabiledi pendenze, sifoni, cascatelle, ingrado di sfidare le leggi della fisicae portare l’acqua sotto le case ditutta la città. Più essa si allargavapiù le gallerie si allungavano inse-guendo sotto terra la fame abitati-va dei partenopei.Insomma una ragnatela d’acqua

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ora si allevano lungo tutta la fasciacostiera puteolana in impiantisupercontrollati e garantiti.Infine il Lago d’Averno, la portadell’Ade, dove si diceva un temponon volassero neanche gli uccelli.Impossibile sottrarsi al fascino diquesti specchi d’acqua non grandima carichi di storie, miti e leggen-de. Artisti di tutte le nazionalità,

specialmente tra il Settecento el’Ottocento, furono attratti da que-st’area che sprigionava una bellez-za misteriosa, ricca di fascinazionee l’hanno ritratta in opere di altovalore documentario ma anche idil-liache, languide e ammalianti,oggetti di culto per i collezionisti.Il suolo reso fertile dalle eruzionivulcaniche e il mare che lambisce

questa costa hanno creato le condi-zioni ideali per lo svilupparsi di eco-tipi particolari.Questa è l’area di nascita e di ele-zione della melannurca campanaIGP, che poi si è diffusa in altrezone della regione.Se fino a questo punto, partendo danord, la costa è stata una dolce epoco movimentata striscia di sabbiadorata, e sostanzialmente pocoantropizzata, da qui, esattamentedal promontorio di Capo Miseno,non molto distante da quella picco-la collinetta tufacea di Cuma dove inostri antenati ellenici provenientida Kimi, nella penisola calcidica,decisero di gettare le ancore e fon-dare una città, Cuma appunto, daqui, dicevamo, il mare diventa pro-tagonista di uno spettacolo che nonha pari; la costa si innalza a picco,

In alto.Mitilicoltura.Sotto.Ferdinando I acaccia difolaghe sulLago del Fusaro,sulla destra lacasina di caccia.

ardenti, e qui la magia è di casa.Questa è la terra della Sibilla, maanche della Falanghina DOC i cuivigneti coprono i dolci pendii dellecolline che si protendono verso ilmare. Pochissimo lontano dallacosta il piccolo Lago di Lucrino,luogo di delizie per gli antichi

romani che nei suoi dintorni feceroerigere lussuose dimore, Ciceroneamava soggiornarvi.Diviso dal mare solo da una sottilestriscia di terra il Lago Fusaro,meta preferita di Ferdinando diBorbone che vi fece costruire unadeliziosa casina per la caccia alle

folaghe, è ricco di cefali spigole eanguille, e un tempo famoso per leostriche, ma ancor più per le “cozzedel Fusaro” i gustosissimi mitili, ilcui uso alimentare risale alla nottedei tempi, tanto da essere raffigu-rati anche su di una dracma conia-ta a Cuma nel V secolo a.C., e che

In alto.Il Lago Fusaro,

sullo sfondoProcida e Ischia.

Sotto.Il Mare Morto

a Bacoli.

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L’acquacoltura in CampaniaL’acquacoltura rappresenta un’importante opportunità di ricon-versione per la pesca tirrenica ecampana ed è certamente unadelle attività che si intendepotenziare con la futura pro-grammazione regionale delFondo Europeo Pesca.Un elemento caratterizzantel’acquacoltura regionale è lamitilicoltura. Essa è molto diffu-sa e affonda le sue radici in anti-chissime tradizioni.L’introduzione della cozza sulletavole dei napoletani risale al VI-V secolo a.C., tant’è che divennesimbolo di Cuma, la prima colo-nia creata dai greci nella peniso-la, ma come per mistero scom-parve dalla gastronomia antica -tanto che non ne è stata ritrova-ta traccia negli scavi di Pompeiche invece hanno restituito unvasto repertorio alimentare - per

poi ricomparire a Napoli solo nel1888. Da allora è molto apprez-zata sulle nostre tavole evocan-do tradizioni, sapori e culturadella cucina partenopea. Oltre alconsolidamento della molluschi-coltura si punta al potenziamen-to delle filiere ittiche, prima fratutte quella del tonno rosso, chevanta in Campania la più grandeflotta nazionale, che necessitaperò di una strutturazione edintegrazione nei diversi elementiproduttivi per ridurre i prelievi egli impatti negativi sull’ambien-te, ma anche per valorizzarequesta pregiatissima produzione.Infatti, in Campania il tonnorosso viene lavorato e trasforma-to in prodotti di qualità spessoignoti al grande pubblico quali labottarga di tonno, la ventresca ditonno, il tonno sotto sale e sot-t’olio, il capicollo di tonno e iltonno affumicato.

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Da qualche tempo alla loro tradi-zionale attività, i pescatori di que-st’area, ma non solo di questa,riuniti in cooperative hanno affian-cato il pescaturismo, con cui rendo-no partecipi i non “addetti ai lavo-ri”, i turisti appunto, di piacevoliesperienze marinare che normal-mente si concludono con estempo-ranee mangiate a bordo dei pesche-recci a base di pesce appena pesca-to; che c’è di più fresco?

si frastaglia in mille insenature,anfratti, grotte, spiaggette, scoglie-re, isolotti formati da uno scoglio epiccole penisole che improvvise situffano nel cobalto. Tutto un susse-guirsi di piccoli e grandi porti in cuiferve il lavoro di marinai, pescatori,che da questo mare traggono pro-dotti guizzanti e saporitissimi, nona caso quello di Pozzuoli è uno deimercati ittici più importanti e for-niti, oltre a essere un palcoscenico

su cui Nettuno, con l’aiuto di bril-lanti attori, espone le sue mercimigliori in uno spettacolo fatto disuoni, voci e colori guizzanti.In tutta l’area flegrea, ma presentianche in altre zone della regione,numerosi sono anche i cantierinavali che dalla antica saggezza eabilità e da una tradizione cheaffonda le radici lontane nel tempo,traggono ispirazione per vararequei piccoli gioielli che sono i gozzi

e i pescherecci o per realizzare bar-che da diporto all’avanguardia,importante settore produttivo cam-pano, quest’ultimo, in continuaespansione, memore di grandi estoriche capacità costruttive testi-moniate tra l’altro dagli importanticantieri navali di Castellammare diStabia. Una curiosità: il primo bat-tello a vapore varato in Italia era ilborbonico “Ferdinando I” costruitonei cantieri campani.

In alto.Il Lago

d’Averno.Sotto.

Il Lago d’Avernoin una gouache.

A destra.Melannurchee un gozzo incostruzione.

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Il pescaturismo in CampaniaIl pescaturismo, l’ittiturismo, l’a-griturismo e tutte le forme di turi-smo sostenibile rappresentano,oggi, un efficace strumento di svi-luppo locale e di valorizzazione deiterritori e dei paesaggi marittimi erurali. Il pescaturismo e l’ittituri-smo offrono un’opportunità unicaper scoprire, in un modo non usua-le, le bellezze del mare e usufruire,secondo principi di sostenibilità edi rispetto degli ambienti naturali,delle risorse in esso presenti. Intale contesto, la Campania rivestecertamente un ruolo privilegiatoper le proprie bellezze naturali eper la diversità negli usi, costumi etradizioni di pesca rinvenibili lungotutta la sua costa. Si passa dallenasse di giunco, per la pesca deigamberi, alle reti di “menaica” perla pesca delle alici, la cui preliba-tezza è diventata oramai celebre,fino alla valorizzazione delle areecostiere che, a vario titolo sonooggetto di tutela e protezioneambientale. Il pescaturismo e l’itti-turismo possono rappresentare unavalida integrazione del reddito delceto peschereccio a compensazio-ne delle maggiori limitazioni che lenorme di salvaguardia pongonoalle ordinarie attività dei pescatori.L’esperienza del pescaturismo inCampania è particolarmente vitale

in quanto i servizi offerti daipescatori sono integrati con lapolitica di tutela delle aree a mareche ha interessato tra gli altrianche posti come Sorrento,Procida, Ischia, tutta la costa delCilento, famo-si in tutto ilmondo per leloro bellezzenaturali.Il pescaturi-smo campanointende usciredai ristrettiambiti regio-nali per faremergere taliattività dall’ambito localea cui oggisono destina-te con l’avvi-c i n a m e n t ode l l ’ u t en zaturistica na-zionale e in-ternazionalealla pescaprofessionalecampana inun quadro ca-ratterizzato,così, dall’esaltazione dei valoriposti a fondamento della reciprocaconoscenza.

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E in mezzo a questo miracolo dellanatura i segni antichi della presen-za dell’uomo sbucano improvvisi,testimonianze stratificate nei seco-li, mausolei, templi, mercati, terme,castelli, chiese sono lì a ricordarciche questo fu un lembo di terraamato dagli antichi per la sua bel-lezza e per la magnetica forzaendogena che emanava. Ma lospettacolo non è solo sopra il marema anche sotto. Celati ai più, altrisegni dell’uomo giacciono sul fondomarino, mura sommerse e quasiintatte, porti, strade percorse orasolo dai pesci, colonne e capitellisono il tesoro del Parco Sommersodi Baia. Con parsimonia il buonNettuno concede di tanto in tantoqualche ritrovamento eccezionale,ed allora una Venere, o un fauno oun cavaliere rivedono la luce delsole. Ancora l’acqua, il mare, è pro-tagonista a Pozzuoli di uno spetta-colo lento ma continuo, invadendoo ritraendosi dai resti dell’anticomercato romano, comunementechiamato Tempio di Serapide, acausa di quel fenomeno che si chia-ma bradisismo, perché qui anche laterra respira e solleva o abbassa ilsuo petto con un ritmo quasi invisi-bile, secolare.

In alto.Mercato del pescea Pozzuoli.A destra.Panoramadi Miseno.Sotto.Il golfo di Pozzuoliin una gouache.In basso, a sinistra.Il Tempiodi Serapide.In basso, a destra.Il portodi Pozzuoli.

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Posillipo, promontorio del mitoLungo l’affascinante costa del golfodi Napoli un posto d’onore, peresclusività e bellezza naturale, èriservato al promontorio che divide,nell’estremità occidentale, l’insena-tura naturale di Napoli da quella diPozzuoli. Dai tempi in cui se neconosce la storia, la verde collinache si immerge nelle acque, for-mando graziosissime insenatureverdeggianti di giardini sino ai mar-gini della costa, porta il nome diPosillipo. Numerose sono le tele cheritraggono le amene anse che ilcapriccio della natura e delle eru-zioni vulcaniche hanno voluto perquella zona, in particolare quelledei pittori della cosiddetta Scuoladi Posillipo che, nell’Ottocento, vol-lero intitolare a questo luogo lapropria dedizione all’arte.La collina, si è conservata sino ainostri giorni quasi intatta nelle suecaratteristiche originali. Il luogo sipresenta ancora, come una zona diestrema quiete e tranquillità, cosache la rende quasi un unicum all’in-terno del perimetro cittadino: èricca di verde ma, soprattutto,custodisce ancora angoli segreti epoco frequentati, il cui difficileaccesso da un lato ne preserva laconservazione, dall’altro contribui-sce ad alimentarne il fascino. Traquesti, l’angolo più prezioso, il piùsignificativo sotto l’aspetto storico,estremamente interessante dalpunto di vista botanico e sicura-mente unico per le presenzearcheologiche, è quello oggi identi-ficabile con il Parco Archeologicodel Pausilypon. Sull’estrema puntadella collina, in corrispondenza del-

l’insenatura denominata la Gaiola,si estende l’ameno sito, un temposede dell’elegante villa romana. Lestesse caratteristiche di oggi proba-bilmente colpirono il ricco PublioVedio Pollione, appartenente allaclasse dei cavalieri, ormai al culmi-ne della sua carriera iniziata alseguito di Augusto. Di lui si narrache possedesse una raccolta diritratti di alcune tra le più nobilimatrone romane con le quali avevaavuto evidenti legami extraconiu-gali. La villa, possedeva tutte lecaratteristiche più alla moda dell’e-poca: grandi e numerose piscine perl’allevamento dei pesci, un ampioapprodo via mare con locali diaccoglienza e poi lo sfruttamentodell’andamento in salita della costaper la costruzione di numerose ter-razze, adorne di portici a colonnedalle quali era possibile godere delpanorama che si estendeva subuona parte del golfo. Almeno duedovevano essere gli accessi allavilla, uno dal mare e l’altro dallastrada la cosiddetta Grotta diSeiano, un profondo corridoio dicirca 770 metri che perfora la colli-na di Posillipo collegando la discesadi Coroglio alla zona alta della villa,costituisce oggi l’imponente emagico tragitto, gioiello dell’inge-gneria romana. Avanzando tra lavegetazione selvatica, tipicamentemediterranea, di pioppi, olmi eginestre, si giunge allo slargo pia-neggiante su cui si ergono quasifrontalmente il teatro e l’odeon; losfondo azzurro del cielo e il blu delmare, che incorniciano le rovineaccecano di meraviglia anche per ilcontrasto con il percorso buio della

grotta. Il potere evocativo del luogolegato alla tradizione filosofica epi-curea e alla poesia di Virgilio, con lostretto connubio terra-mare, fa delParco del Pausilypon uno dei gioiel-li più preziosi del patrimonio cultu-rale e ambientale della città diNapoli.

Se poi volgiamo il nostro sguardoverso il mare, quasi a portata dimano nel blu sorgono due gioielli,la verde Ischia di origine vulcanica,turistica e mondana con le suespiagge e i suoi vini pregiati come ilfamoso per’ e’ palummo, e Procida,una roccia a picco nell’acqua, ritro-sa e quasi gelosa delle sue bellezzecome il porticciolo di pescatoridella Chiaiolella o il piccolo isolot-to di Vivara, oasi incontaminata e

contenitore di importanti ritrova-menti archeologici condotti daequipe internazionali.Superando l’isolotto di Nisida con ilsuo minuscolo Porto Paone, l’alta ecorrosa costa di Posillipo ci apparein tutto il suo splendore.Un susseguirsi di macchia mediter-ranea, giardini lussureggianti, ville,grotte, e ancora testimonianzearcheologiche che ci dicono quantofosse ambito questo piccolo lembo

di paradiso. Anche qui la tutelaambientale opera, attraverso ilParco Sommerso della Gaiola.Ammirando dal mare o da terra lacollina che già i Romani chiamaro-no Pausilypon, dal greco pausilu-pos, che acquieta il dolore, è impos-sibile non farsi ritornare alla mentele mille canzoni che ne hanno rac-contato la languida bellezza e gliamori sbocciati in questi luoghi.

In alto.Il borgo di

Sant’Angeload Ischia.

Sotto.La spiaggia

della Chiaiolellaa Procida.

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In alto.La costadel Capodi Posillipo.Sotto.Il teatro romanodel ParcoArcheologico.In basso.L’isolotto dellaGaiola.Segue a pag. 35

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Poi basta doppiare idealmente l’or-mai scomparso Scoglio di Frisio cheappare la Sirena: Napoli balconesul mare. Da qualsiasi punto ci sipone, sul crinale della collina chedigrada verso il mare, lo sguardonon resterà mai deluso: l’arco delgolfo, con la penisoletta di Casteldell’Ovo protesa nell’acqua quasi avolerla amorevolmente penetrare...le parole diventano insufficienti;visione unica che si dispiega dinan-zi ai nostri occhi e si capisce perchéquesta città non ha smesso mai difar parlare di se, ispirando ecostringendo gli artefici di tutte lemuse a raccontare della sua malìa.Città di mare, anche dove “il marenon bagna Napoli”, perché anche lìesso fa sentire la sua presenza coni mille frutti del suo grembo entratiprepotentemente nella gastrono-mia napoletana popolare, spaghettia vongole, zuppa di pesce, ‘o broro

In alto.Il golfo diNapoli.Sotto, a sinistra.Il golfo diNapoli in unagouache.A destra.Pescatoriin un quadroottocentesco.

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‘e purpo (brodo di polipo); nei miti-ci mercati del pesce di Porta Nolanae Porta Capuana, distanti dal mare,dove tra una folla vociante, si river-sa il meglio dell’immensa varietàdel regno di Nettuno. Incredibilevarietà descritta e cantata anchenella settecentesca canzone delGuarracino, quasi una sorta di enci-clopedia della fauna marina informa di filastrocca, dove si narra-no le gesta di questo pesce, ilGuarracino appunto, che volendosisposare importuna una Vavosainnescando una specie di vesprisiciliani sottomarina.C’era un pittore napoletano del‘600, Giuseppe Recco, forse nonuno dei maggiori, che però più ditutti seppe interpretare l’amore delsuo popolo per i prodotti del mare;alcune sue opere, nature morte,sono veri e propri cataloghi, omonumenti, delle specie ittiche deinostri mari, quelle che più frequen-temente finivano sulle tavoleimbandite di tutti i ceti, trasforma-te in ricette tipiche passate allastoria culinaria. Saraghi, cefali,tonni, alici, aguglie, triglie di sco-glio, totani, calamari, gamberi,cozze, telline, vongole, polipi, dal“povero” pesce bandiera, fino allearistocratiche aragoste, un’apoteosidelle profondità marine da subli-mare in prelibate fritture di paran-za, zuppe profumate e nelle millealtre ricette dettate dalla fantasiaalimentare dei campani.Un documento visivo della varietà ela ricchezza del mare campano chenella pesca vede uno dei settoritrainanti del suo sviluppo.Ma Napoli ha anche un museovivente delle specie marine, laStazione Zoologica Anton Dohrnfondata nel 1872 dall’omonimobiologo tedesco. Laboratori supe-rattrezzati per la sperimentazione,

In alto.Nature mortecon pesci diGiuseppe Recco.Sotto.Zuppa di pesce.In basso.Frittura di pesce.Paginaprecedente.Pesci al mercato.

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una biblioteca scientifica fornitissi-ma e aggiornata - ora consultabileanche on line - un ospedale per letartarughe marine gestito col WWF,unitamente ad attività nel campodella valorizzazione della risorsamare e della tutela dell’ambiente,come nel caso del monitoraggiodelle praterie sottomarine diPosidonia, alghe regine dei nostrimari, che hanno una rilevanteimportanza nell’ecosistema marino,esercitando una notevole azionenella protezione della linea di costadall’erosione, al suo interno vivonomolti organismi animali e vegetaliche nella prateria trovano nutri-mento e protezione, per questo ilposidonieto è considerato un buonbioindicatore della qualità delleacque marine costiere.Tutte queste attività ne fanno uncentro di eccellenza all’avanguardianel campo della ricerca scientifica.Ma non solo. Per la gente comunela meraviglia rimane l’Acquarioprogettato dall’ingegnere ingleseAlford Lloyd e inaugurato il 12 gen-naio del 1874.Ventitrè vasche d’esposizione, la cuicapacità varia da 250 a 69.000 litri,sono allestite con pietre vulcanichee illuminate in gran parte dall’altoda luce naturale.L’universo marino, pesci, vegetali,vermi, molluschi, crostacei, conchi-

glie, stelle marine e ippocampi, iltenero e ormai raro “occhio diSanta Lucia”, utilizzato come amu-leto dai pescatori, proviene tutto

dal golfo di Napoli che continua aessere una delle aree delMediterraneo più ricca di formeviventi.

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In alto. Panorama notturno di Posillipo.A sinistra.Una vasca dell’acquario.A destra.L’acquario, cartolina inizi ‘900.

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Napoli e il mare, un’incredibile car-tolina che da secoli ha come sfondoimmutabile il nero cono delVesuvio, con pennacchio o senza, aicui piedi la costa ritorna bassa pun-teggiata dalle amene e lussuosedimore del Miglio d’Oro, luogo didelizie per la nobiltà napoletanasette-ottocentesca, su cui primeg-gia la Reggia di Portici con il suopiccolo approdo reale; animata damille traffici tutti dediti al mare oche dal mare traggono quello di cuivivere e industriarsi. Anche lungoquesta riva, maestri d’ascia, in arti-gianali cantieri, riparano o costrui-scono i gozzi e i pescherecci con cuii pescatori andranno all’avventura.

In alto.Napoli dal

mare.Sotto.

Il Vesuvio dalmare in unacartolina di

inizi ‘900.A destra.

Le Reggia diPortici in una

gouache.

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Qui è lo scrigno dell’oro rosso, ilprezioso corallo carpito, da secoli,alle profondità marine e trasforma-to, specialmente a Torre del Greco,in mille oggetti di raffinata bellezzada mani sapienti e geniali.Un altro oro rosso matura sullependici del vulcano dormiente, ilpomodorino del piennolo delVesuvio DOP una intensa riserva disapore che, sistemato a grappolo, ilpiennolo, decora i balconi di moltecase come festoni di una sagrapopolare. Di colore giallo, quasi unapetita d’oro, è invece l’albicoccavesuviana IGP, altro regalo di que-sta terra che ha dentro il fuoco eche vede col florovivaismo, moltodinamico in questa zona, tingere lesue coste dai mille colori dei fiori,specialmente garofani.

In alto, a sinistra.Una “corallina”torrese.Sotto.Albicocchevesuviane.A destrae al centro.Ornamentiin corallo dellecollezioni Liverinoe Ascione.A destra.Rami di corallo.In basso.Lavorazione delcorallo.Pagina precedente.I piennoli.

Il florovivaismoLa Campania non è soltanto una regionericca di storia, di archeologia, di arte e ditanti buoni prodotti, ma è anche una“terra di fiori” e, soprattutto, di produt-tori capaci ed appassionati, che da oltre

un secolo, tra-mandando digenerazione ingenerazione tec-nica ed arte, eche hanno sapu-to dare vita adun settore chericopre un ruoloimportante nel-l ’ e c o n o m i aregionale.

La floricoltura, che era un mestiere e cheoggi è diventata una vera e propria atti-vità d’impresa, nasce grazie all’opera digiardinieri e vivaisti che, senza andaremolto indietro nel tempo, ancora ad ini-zio secolo scorso provvedevano alla curae al mantenimento di giardini e parchiannessi alle regge borboniche, allenumerose ville vesuviane, ai castelli e ai

palazzi di pregevole architettura presen-ti lungo la fascia costiera napoletana ein quel paradiso di territorio rappresen-tato dalla penisola sorrentina e amalfita-na. Le prime coltivazioni introdotte nel-l’area vesuviana furono i garofani, colti-vati sotto rudimentali serre coperte conle cosiddette “pagliarelle”, cioè stuoie dicanne di bambù, che ancora oggi possia-mo vedere a protezione degli agrumetidella penisola sorrentina e amalfitana. La Campania è la prima regione produt-trice di fiori recisi. In circa 3.000 azien-de, gran parte delle quali tecnologica-mente avanzate, si producono garofani,gerbere, crisantemi, rose, gladioli, lilium,iris, anthurium, tulipani, verde ornamen-tale tra cui aralia, aspidistra, asparagus emolte altre specie.Per difendere e valorizzare questo gran-dissimo patrimonio, la RegioneCampania, già da tempo, ha messo incampo una serie di attività e progetti perlo sviluppo del florovivaismo: l’ammo-dernamento delle aziende per renderlecompetitive sul mercato attraverso aiutifinanziari, sia comunitari che regionali; il

sostegno alla ricerca e alla sperimenta-zione per venire sempre di più incontroal gusto dei consumatori e alle tendenzedel mercato (in Campania sono attivi treCentri florovivaistici per orientare lescelte delle imprese); entro fine anno laposa in opera della prima pietra per larealizzazione alle porte di Napoli di unaCittà del florovivaismo a beneficio ditutta la filiera regionale e meridionale.Un’attenzione particolare, inoltre, èriservata ai processi di produzione affin-ché risultino compatibili con l’ambiente,principalmente attraverso il risparmiodelle risorse idriche, l’utilizzo, quandostrettamente necessario nella difesadelle coltivazioni, di molecole chimiche“intelligenti” che non alterano gli equili-bri ambientali, e il ricorso alle fonti ener-getiche rinnovabili.Infine, importanti risorse sono destinatea certificare la qualità delle produzioni,attraverso il marchio Standard garantitofiori della Campania, e a rafforzare l’i-dentità territoriale delle produzioni cam-pane, attraverso il programma regionaleCostiera dei fiori.

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fiordilatte Appenino meridionaleDOP nella freschissima “caprese”.Con il latte generoso delle muccheAgerolesi dei Monti Lattari, si pro-duce anche il provolone del mona-co DOP, stagionato ad arte è unavera delizia. Ed ancora la noce diSorrento IGP famosa in tutto ilmondo per la sua qualità ed infine,frutto di uliveti esposti al sole conla complicità della frizzante ariamarina, l’olio extravergine di olivaPenisola Sorrentina DOP dal sapo-re fruttato e intenso. In un postocosì intimamente legato al mare,anche la spiritualità cerca rifugio inesso ed ecco che qui si svolgono

sull’acqua alcune suggestive mani-festazioni di devozione popolare,come la processione a mare dellaMadonna delle Grazie a Piano diSorrento o quella che, sbarcando alpiccolo porto di Crapolla, raggiungeil santuario di San Costanzo postosulla vetta dell’omonimo monte.Lo stretto rapporto devozionaleuomo-mare, mare come grembovitale ma nel contempo fonte dipericoli mortali, è testimoniatoanche dalle numerosissime tavolet-te votive conservate nei santuaridella Campania che hanno per temasalvataggi miracolosi da immaniburrasche.

Ancora l’acqua, su questo tratto dicosta, quella di un canale prove-niente dal Sarno realizzato nel ‘500,alimentava i mulini per la produzio-ne di farina che rese famosa la zonadi Torre Annunziata per l’ottimapasta che vi si lavorava.Ma già all’orizzonte si staglia l’altacosta della penisola sorrentina chesi protende nel blu quasi a volertoccare le dorate rocce di Capri. E ilsogno ricomincia, dove i MontiLattari si tuffano a mare, dove siconfondono i confini della provin-cia di Napoli e quella di Salerno, hainizio la costiera sorrentina cheprosegue con quella amalfitana inun unicum di incanto; dove le paro-le spesso sono state e sono incapa-ci di raccontare ciò che si ammira,le canzoni hanno saputo trasmette-re l’emozione profonda che sprigio-na da questi luoghi che, la leggen-da vuole, rapissero anche Ulisse,fascinato dal canto delle mitichesirene. Ma non è solo la bellezzamarina la caratteristica di questomiracolo del creato, altri doni con-cede questa terra quasi nascostadai tanti aranceti e limoneti, strap-pata lembo a lembo dai fianchi deimonti. Il limone di Sorrento IGP dacui si trae il famoso liquore, ilpomodoro di Sorrento IGP, carnosoe quasi dolce per l’assenza di acidi-tà che qui si accompagna con il

In alto.Pescatori

sulla costasorrentina.

Sotto.Limoni e

fiordilatte.Pagina seguente.

In alto.La costa

sorrentina inuna gouache.

Sotto.L’approdo di

Alimuri aSorrento

in una gouache.Al centro.

Provolone delmonaco.A destra.

Processionea mare

a Pianodi Sorrento.

In basso.Tavoletta votiva.

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L’intera zona di Punta dellaCampanella, con le sue interessantiemergenze archeologiche, e dellaBaia di Ieranto sono Aree Protettecome anche la Bocca Piccola diCapri.Già, Capri, come parlare di maresenza parlare di Capri, dove l’impe-ratore Tiberio costruì la sua villa apicco sul blu più inteso del mondo,

dove questo mare cristallino dà unodegli spettacoli più affascinantiquando penetra nell’antro scurodella Grotta Azzurra dipingendoladi turchino e di mille bagliori oquando si insinua come un teneroabbraccio tra i Faraglioni.Un’isola così vicina alla terrafermache la guarda e quasi la tocca, matalmente differente da essa da aver

sviluppato, alcuni esempi di unasua flora esclusiva, che spadroneg-gia e vive solo in questi luoghi.Miraggio sull’acqua, Capri, metaromantica e raffinata, dove anchele canzoni si sono arrese, incapaci afermare nelle parole il tumultuosoaccavallarsi delle emozioni, dolci,intense, profumate, che da secolitrasmette.

In alto.Punta della

Campanella.In basso.

La Baia diIeranto.

Pagina seguente. Capri.

In basso.La Grotta Azzurra

in una cartolinadi inizi ‘900.

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mille rivoli di acqua e dalla limitataventilazione che ha prodotto unanatura assolutamente insolita: conun’inversione vegetazionale, nellavalle si è formato un bosco misto,mentre sui versanti si sviluppa lamacchia mediterranea. Inoltre, l’e-levato tasso di umidità crea il giu-sto ambiente per le specie igrofile.La Lingua cervina è una felce dallefoglie lunghe e lisce, che ricordanola lingua di un cervo; maggiormeraviglia desta la Woodwardiaradicans, una felce che si sviluppònell’Italia meridionale alla fine delTerziario, e che oggi sopravvive inpochi angoli, qui per esempio, conrari esemplari. Ma l’attore principa-le della rappresentazione è l’acqua:merletti liquidi, trasparenti e deli-cati si alternano a salti, fiumicelli ecascatelle dall’aspetto quasi sub-tropicale, sembra di essere inAmazzonia, tale è lo splendore diquesto luogo dove il sole gioca anascondino tra la lussureggiantevegetazione creando effetti e arco-baleni fantasmagorici.In cima a questi monti c’è Ravello,dal belvedere di Villa Cimbrone, ilpunto più alto del paese, lo sguardospazia su di uno spettacolo stupe-facente; il luogo migliore, forse, per

comprendere quanto intimo, pro-fondo e totalizzante sia il rapportodi questa regione con il mare ecome da esso tragga le mille ragio-ni della sua bellezza. Bellezza cheha ispirato folle di artisti, molti deiquali stranieri, che in ogni epoca sisono misurati con la natura nelriprodurne, interpretarne, sublimar-ne gli incomparabili scenari conopere memorabili.Nelle insenature di questa frasta-gliata costa, si nascondono piccoliparadisi dove la tradizione dellapesca continua ad essere fonte divita, come a Cetara, importantissi-mo centro campano per la pesca elavorazione del tonno, ha la flottatonniera più grande d’Italia, e per laproduzione della colatura di alici, ilgarum di cui i romani erano tantoghiotti.Altra acqua scorre invece alle spal-le della catena montuosa dei MontiLattari, ai cui piedi sorge Gragnanoresa famosa per la produzione diuna pasta sopraffina che lì venivalavorata nei pastifici che, spesso,erano muniti anche di mulini arti-gianali alimentati da piccoli corsid’acqua che sgorgavano dai fianchidei monti; se ci affacciamo dalleterrazze del Valico di Chiunzi ai

La meraviglia continua se ritornia-mo lungo la costa che adesso pren-de il nome di amalfitana, costellatadai piccoli gioielli incastonati tra lerocce, Positano, Praiano, ed Amalfi,l’antica e potente RepubblicaMarinara, terra del limone costad’Amalfi IGP che trova qui il suohabitat ideale rubando spazi vitalialle rocce protese sul mare. In que-sto piccolo paradiso che si incuneanei monti retrostanti, l’acqua delpiccolo Torrente Canneto, ha datovita secoli or sono a fiorenti attivi-tà artigianali. Infatti lungo la Valledei Mulini che si insinua profonda-mente, quasi una fessura, tra le

alture, si impiantarono molte car-tiere dove, sfruttando ingegnosa-mente la forza motrice dell’acquatorrentizia attraverso una serie divasche e caditoie, si produceva, e siproduce ancora, la pregiata carta diAmalfi. Numerosi anche gli opificidediti alla lavorazione del mineraleferroso estratto dai fianchi delmonte la cui presenza è diventato il

toponimo di parte di questa strettagola. Se ci inoltriamo ancora sugliantichi sentieri che si inerpicanofino a Pontone, scopriremo unospettacolo che ci lascerà senzafiato; nella Valle delle Ferriere l’o-monima Riserva Naturale Orien-tata tutela un patrimonio ambien-tale unico nel suo genere, frutto diun microclima umido generato dai

In alto.Limoneto ad

Amalfi.In basso.

Positano.A destra.Pasta di

Gragnano.Pagina seguente.

In alto. Belvedere di

Villa Cimbronea Ravello.

In basso.La Valle delle

Ferriere.

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sorgente più bassa, anzi delle sor-genti, tre per l’esattezza Foce, SanMarino, Palazzo, poste nei pressidell’omonima cittadina ad appena30 metri slm. E la scarsa pendenzacon cui il fiume scorre verso il marecon la relativa e rapida accumula-zione dei sedimenti è una dellecause, unitamente alla sconsideratamano dell’uomo, degli attuali pro-blemi che presenta questo corsod’acqua a cui sta cercando di darerisposte l’Autorità di Bacino apposi-tamente costituita.Nello scorrere dei secoli questofiume ha determinato la geografiaumana di tutta la piana rendendolauna delle più fertili in assoluto,complici anche le ceneri vulcanichesparse dal Vesuvio; qui sorgeval’antica e prospera Pompei, eNuceria, posta quasi al centro del-l’ampia distesa pianeggiante e letante ville agricole che continuanoad affiorare, casualmente o fruttodi studiate campagne di scavoarcheologico, dandoci testimonian-za di una intensa attività legataall’agricoltura, capace di produrremolta ricchezza, tanto da permet-tere ai suoi abitanti di costruiretempli, teatri e anfiteatri, terme,segni di un benessere acquisito econsolidato e anche molto diffuso.Molte sono state le opere tese adaddomesticare questo fiume, untempo navigabile e sulle cui spondesorsero, agli albori della nostra eraindustriale, diversi insediamentimanifatturieri.

In alto.Il Fiume Sarno.In basso.Le sorgentidel Sarno.

nostri piedi vedremo adagiata eincredibilmente popolata la pianuradell’agro sarnese-nocerino. Quiscorre il Fiume Sarno un tempoconsiderato un dio e adorato cometale tanto da dedicargli anche unapiccola fontana, ricavata da unaantica vasca romana. Il Sarno hacertamente un primato quello della

In alto.Tonnara.In basso.

Il porticciolo deipescatoria Cetara.

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tuna i tempi sono cambiati, e ora la“Piana”, così la chiamano da questeparti, bonificata negli anni Trentadel secolo scorso, è una terra inten-samente coltivata in maniera indu-striale ma anche in piccoli appezza-menti la cui conduzione è a carat-tere familiare. L’ampia distesa pia-neggiante, un tempo ricca di acqui-trini determinò lo stanziamento inquest’area di mandrie di bufale,notoriamente amanti dell’acqua,dando vita, anche in questa zona, auno dei prodotti tipici più gustosi ericercati, la mozzarella di bufalacampana DOP. Ma nella “Piana”sono numerose anche le aree dedi-cate alla coltivazione degli ottimicarciofi di Paestum IGP, dal coloreverde chiaro e particolarmenteteneri. Inoltre, dai numerosissimioliveti sparsi sulle morbide alturecollinari e pedemontane che la cir-condano si trae il sopraffino olioextravergine di oliva CollineSalernitane DOP.Questa grande pianura è delimitataa nord dalla massiccia catena deiMonti Picentini, Parco Naturale,grande bacino idrografico del sudItalia. Da questi monti hanno origi-ne diversi fiumi, alcuni dei qualipercorrono anche territori di altreprovince; tra quelli del versantesalernitano troviamo i due corsid’acqua che determinano i confininaturali del massiccio, l’Irno, con lesue tracce di archeologia industria-le, il Sele ed infine il Tusciano e ilPicentino. E non mancano le cavità

In alto.Il golfo diSalerno.Al centroe in basso.La Piana del Selein gouachesottocentesche.Pagina precedente.In alto e a sinistra.Lavorazione delpomodoroSan Marzano.Al centro.La rettifica delSarno in unquadroottocentesco.

Nel 1855 Ferdinando II di Borbonedecise di rendere nuovamente navi-gabile il Sarno dalla foce, vicinoCastellammare di Stabia di fronteallo scoglio di Rovigliano, fino aScafati sede del Polverificio milita-re; il progetto prevedeva l’elimina-zione di numerose anse che rende-vano tortuoso il percorso del fiumeriducendone la lunghezza da 12 asoli 5 chilometri.Ma se diciamo agro sarnese dicia-mo pomodoro San Marzano dell’a-gro sarnese-nocerino DOP, un frut-to senza il quale buona parte dellagastronomia, non solo campana,non sarebbe esistita. Questa è lasua zona di elezione, insieme alpomodorino Corbarino, la piccolaperla rossa con il pizzo, che fa bellamostra di se appesa a grappoli a

formare il piennolo, che cresceesclusivamente a Corbara sulleprime pendici dei monti; e ancoradel cipollotto nocerino DOP e delkaki napoletano DOP, tutti prodot-ti tipici e storici dell’agricoltura diquest’area, attualmente coltivaticon metodi moderni ma con anticasapienza e amore.Attraverso la stretta ValleMetelliana, oltrepassando Cava de’Tirreni, ci portiamo di nuovo verso ilmare; già dalla prima curva sopraVietri sul Mare, ci appare il golfo diSalerno in tutta la sua ampiezza sucui si affaccia la pianura del FiumeSele, la vasta distesa un tempomalsana, paludosa, malarica e infe-stata dai briganti tanto che chidoveva necessariamente transitarvi... faceva prima testamento. Per for-

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il parto e i figli, ma anche i giardinie i raccolti.Oggi il contributo di questo fiumenon riguarda solo le comunità dis-tribuite intorno al suo bacino idro-grafico e la costa cilentana, maanche la Puglia, alimentata da unacquedotto che capta le sue acquepoco dopo la sorgente, nei pressi diCaposele, e le trasporta nella vicinaregione. Per la limpidezza delle sueacque e per la fauna che, in conse-guenza, ne popola le rive o l’alveostesso, il bacino del Sele è conside-rato un ecosistema complesso e dielevato valore naturalistico, ed haavuto importanti riconoscimentiche mirano alla sua salvaguardia:l’alta valle e la foce del Fiume Selesono stati inseriti nella lista italianadei Siti di Importanza Comunitaria(SIC), in attuazione di quanto previ-sto dal programma europeo Natura2000, mentre la Regione Campaniaha ritenuto opportuno tutelare l’a-rea istituendovi, nel 1993, laRiserva Naturale Foce SeleTanagro. La purezza di questeacque è talmente rinomata, che inpittura una particolare tonalità èdefinita “verde Sele”, con riferimen-to al colore smeraldino del loro fon-dale. La porzione di fiume più inte-ressante dal punto di vista natura-listico è certamente quella sita incorrispondenza di Persano, anticariserva di caccia dei Borbone, oggitrasformata nel Parco NaturaleOasi di Persano gestito dal WWF.L’antica natura paludosa dell’areane aveva da sempre determinato lanaturale destinazione a luogo diaccoglienza per migliaia di uccellidurante la loro migrazione. Oggi la

naturali, create dall’azione erosivadelle acque che s’infiltrano nel ter-reno, per poi congiungersi alle sor-genti. Dal laghetto della Grottadello Scalandrone, nel comune diGiffoni Valle Piana, un tempoanche rifugio di briganti, si forma la

sorgente principale del FiumePicentino. Nel suo tratto più alto,alcuni dislivelli creano precipitosisalti d’acqua, accompagnati da unavegetazione spontanea di faggi,ontani, carpini, frassini e aceri. Lesue acque, un tempo ricche dianguille, oggi sono conosciute perl’abbondante presenza di trotefario: ciò è possibile grazie al fattoche nella zona non sono presentiindustrie che, altrimenti, compro-metterebbero l’equilibrio biologicodel fiume. L’economia di questo ter-ritorio è, infatti, soprattutto agrico-la: la nocciola di Giffoni IGP è ilfiore all’occhiello di questa zona.In un paese posto alle pendici diquesta catena montuosa, Cam-pagna, troviamo forse il più singo-lare e inusuale utilizzo dell’acqua:in alcuni weekend estivi diventaprotagonista di una tradizionalefesta ... bagnata detta la chiena, lapiena; infatti viene deviato il corsodel Torrente Tenza in modo da alla-

gare le vie del paese, a quel punto ipiù volenterosi e resistenti, ma ven-gono coinvolti tutti anche i turisti,si danno battaglia a colpi di sec-chiate colme d’acqua fino a tardanotte o fino ai primi sintomi di raf-freddore.Grandi viaggiatori del passato rac-contarono nei loro scritti del FiumeSiler, quello che i Greci prima diloro chiamavano Silaros, da Plinio aStrabone, passando per Silio Italicoe Virgilio che ci parla addirittura diun portus Alburnus forse ubicatopresso la foce a testimonianza dellasua antica e probabile navigabilità,considerato alla stregua di unadivinità perché le acque del FiumeSele erano linfa vitale per un ampioterritorio, dai Monti Picentini finoalla sua foce nei pressi di Paestumdove, al suo tuffarsi in mare, quil’acqua si ricongiunge all’acqua, iGreci avevano costruito uno deisantuari più frequentati, un altare aHera Argiva, la dea che proteggeva

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Il Piano Regionaledi Consulenza all’IrrigazionePensando al territorio, non sipuò parlare di acqua senza pen-sare ai suoi utilizzi in campoagricolo; infatti l’irrigazionedelle colture è sempre stato unfattore determinante nello svi-luppo dell’agricoltura.In tale ottica l’Assessoratoall’Agricoltura e alle AttivitàProduttive della Regione Cam-pania, con la collaborazione trala Facoltà di Agraria dell’Uni-versità di Napoli Federico II edello spin-off accademico“Ariespace”, è da tempo impe-gnato in iniziative finalizzate adottimizzare la gestione deimezzi tecnici utilizzati dalleaziende agricole allo scopo dimigliorarne l’efficienza econo-mica, nel rispetto dell’ambientee della salubrità dei prodottiagroalimentari. In tale ottica, èstato predisposto il PianoRegionale di Consulenza all’Ir-rigazione (PRCI) il cui obiettivo èla gestione razionale ed effi-ciente della risorsa idrica nelleaziende agricole. Tra i serviziofferti agli imprenditori agricoli,quello in grado di fornire, viaSMS o MMS, indicazioni suivolumi irrigui e la durata dell’ir-rigazione, “Il consiglio irriguo”,insieme alla immagine satellita-re dell’azienda elaborata in falsicolori, i quali ricevono così un“consiglio irriguo” personalizza-to in tempo reale. In qualsiasiistante, ciascuno di essi potràpoi “osservare” la propria azien-da sull’immagine satellitare dis-

ponendo di un personal compu-ter o di un telefono cellulare dinuova generazione. Nasce cosìuno strumento innovativo, atti-vo nella Piana del Sele e delVolturno per l’assistenza irrigua,r e a l i z z a t omettendo in-sieme le in-formaz ion iottenute daisatelliti ed inuovi mezzidi comunica-zione tele-matica.Il monitorag-gio di nume-rose aziendeaderenti alpiano di con-sulenza hapermesso di stabilire che la granparte di esse somministrano allecolture molta più acqua di quel-la necessaria e correttamentestimata dal sistema. Inoltre, tutte le aziende chehanno seguito i consigli irriguiinviati dal sistema non hannoriscontrato alcuna riduzionedella produzione ottenendo,invece, un risparmio energeticoed economico. È stato così sti-mato che l´applicazione delpiano consente di realizzare unrisparmio di circa il 32% diacqua irrigua.Considerando un costo mediodell’acqua di 10,00 cent. di euroal metrocubo, il risparmio mediodelle aziende campane, per col-ture come il mais, sarebbe dicirca 200 euro ad ettaro.

In alto.Mozzarella di bufala.

Sotto e in basso.Carciofi di Paestum

e nocciole di Giffoni.Al centro.

La chiena a Campagna.Pagina successiva.

Il Sele nell’Oasi WWF.

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ritorio-cerniera fra popoli e civiltà.Ma torniamo ancora all’acqua che èprotagonista sui Monti Alburnidove si nascondono gelosamentenon poche meraviglie da offrire indono a chi ha deciso di esplorarnele pendici. Sono le cavità, glianfratti e gli inghiottitoi frutto delcarsismo: in milioni di anni, l’acquain abbondanza ha perforato esegnato la roccia calcarea.I più noti, appariscenti e interes-santi fenomeni carsici degli Alburnisono le monumentali Grotte diCastelcivita e i laghi ipogei delleGrotte di Pertosa, paese nella cuiarea matura il tenero carciofo bian-co di Pertosa (presidio Slow Food);

in questi due antri si può dire che laninfa Egeria, quella trasformata infonte da Minerva, davvero si èdivertita, sbizzarrendosi in millegiochi, creando colonne calcaree,sculture, concrezioni dalle formepiù strane, laghetti, preziosi merlet-ti traforati che sembrano fattiall’uncinetto, insomma una meravi-glia da restare allibiti.Ma vi sono altre cavità, menofamose ma altrettanto interessanti,nei pressi di Polla o a Sant’Angelo aFasanella, e poi le grave delSerrone, quella dei Gatti e numero-se altre. La maggior parte è stataper millenni ricovero delle popola-zioni preistoriche che salivano su

questi monti per cacciare e, piùtardi, per condurre le loro greggi intransumanza. L’uomo ha però sapu-to sfruttare con intelligenza l’ab-bondanza d’acqua che c’è da questeparti: nella zona di CorletoMonforte e di Castelcivita si scor-gono, a volte ancora riconoscibili,altre profondamente trasformati, imulini ad acqua. Nei pressi diruscelli e torrenti si costruivanodelle torri in cui l’acqua, attraversocanali di pietra, veniva convogliataper alimentare poi il mulino. Se nepuò vedere un imponente rudere inlocalità Preta Tonna, ma anche neipressi di Postiglione, nelle frazionidi Moliniello e Aquara, dove learcate delle condotte e i torrinisono in ottimo stato.Poco dopo essere uscito dal territo-rio dell’Oasi di Persano, il Seleincontra il suo secondo grandeaffluente: il Fiume Calore definitoimpropriamente Lucano per distin-guerlo da quello Irpino. Per secolioffuscato dal fratello maggioreSele, maggiore in realtà solo perfama, ma non per abbondanza diacqua, vegetazione e fauna, è statoper lungo tempo ignorato dalle cro-nache di storici e dagli studi dibotanici. Per contro, la sua partico-lare natura lo rende uno dei piùinteressanti sia da un punto di vistageomorfologico che naturalistico. Ilfatto di essere rimasto sempre aimargini, consente, però, a noi oggidi conoscerlo nel suo aspetto inal-terato, un percorso in un paesaggio

In alto, a sinistra.Grotte diCastelcivita.A destra.Grotte diPertosa.Sotto.Coltivazioni dicarciofo biancodi Pertosa.

zona è bonificata, ma una barrieracrea un lago artificiale, e questeanse continuano a svolgere quel-l’importante ruolo di stazione disosta dell’avifauna proveniente datutta Europa. I detriti di naturaghiaiosa e sabbiosa trasportati dal-l’acqua si depositano a ridosso delladiga, formando strisce di terreemerse: su queste si forma unavegetazione, fatta dapprima digiunchi e canneti, che a loro voltadeterminano un ulteriore compat-tamento dei detriti, preparando ilterreno al bosco igrofilo, fatto di

salici, ontani e pioppi.Prima di raggiungere la “Piana” ilSele accoglie le acque del FiumeTanagro, un tempo detto ancheFiume Negro, provenienti dal Vallodi Diano, in una confluenza postanel territorio di Contursi. Una con-fluenza che non era naturale, mache è stata voluta e realizzata dal-l’uomo, più precisamente da uningegnoso e ottimo ingegnereidraulico dell’epoca latina. A lungo il Vallo di Diano avevacostituito una barriera insormonta-bile, anche il toponimo lo ricorda,poiché il nome latino da cui derivavallo significa “trincea”, nel sensodi limite invalicabile. Il FiumeTanagro, che l’attraversava, trovavalungo il suo percorso la valle sbar-rata all’altezza di Polla, e riusciva atrovare sfogo solo in alcuni inghiot-titoi, per poi ricomparire in diversipunti del massiccio degli Alburni: lasua risorgiva più conosciuta è quel-la ipogea di Pertosa. Spesso, però,quelle vie sotterranee si ostruivano,e il fiume invadeva la valle, trasfor-mandola in un acquitrino inaccessi-bile e paludoso.Nell’ambito della costruzione dellavia Popilia che da Capua portavafino a Reggio Calabria - una stradache doveva consentire il controllomilitare e la penetrazione economi-ca nell’Italia meridionale - i Romaniintrapresero un’impegnativa operadi bonifica del vallo. A nord taglia-rono le rocce per dare al Tanagro unnuovo e più comodo letto, che ne

faceva confluire le acque nel Sele.Da allora, il Vallo di Diano (Dianoera il nome antico di Teggiano) futrasformato in una florida valle col-tivata, quale è rimasta fino a oggi. Poco distante dalla Certosa di SanLorenzo a Padula, sulla spondaorientale del fiume, una sorgentedivenne luogo di culto fin dall’epo-ca greca, in epoca cristiana al cultopagano fu sovrapposto il rituale delbattesimo: al IV secolo risale il sug-gestivo Battistero di San Giovanniin Fonte, la cui particolarità è diessere circondato dall’acqua, chefluisce al suo interno tramite delleaperture andando ad alimentare lapiscina quadrata.Quasi tutta la vasta area a sud dellaPiana, fino agli estremi confinimeridionali della regione, dove lasimbiosi tra l’uomo e il suo ambien-te mantiene ancora un rapportopressoché intatto, sono compresinel Parco Nazionale del Cilento eVallo di Diano, inseriti nelProgramma MAB (Man andBiosphere) dell’UNESCO e nella pre-stigiosa rete di Riserve dellaBiosfera. Se ciò non fosse bastato,il parco è inserito, insieme ai sitiarcheologici di Paestum e Velia,nella lista del Patrimonio Mondialedell’UNESCO, nella particolaredefinizione di Bene Misto, sia natu-rale che culturale. Due importantiriconoscimenti a quest’area per lasua natura viva e da proteggere, maanche per il fondamentale ruolosostenuto attraverso i secoli, di ter-

In alto.Il Fiume

Tanagro pressoCaggiano.

Sotto.Il Battistero di

San Giovanni inFonte presso

Padula.

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per farne marron glaces.Cambiamo zona, nel Cilento piùantico e vero, sul Monte Cervatiincontriamo il Fiume Bussento, lacui sorgente tra le faggete è quellaposta alla quota più alta dellaregione; dopo aver percorso i boschidi ontani napoletani e di lecci, neipressi di Caselle in Pittari, il fiumesi inabissa in una cavità carsica:un’enorme apertura creata dall’ac-qua, tra pareti di roccia a strapiom-bo. Più di mezzo chilometro dellagrotta è percorribile, suggestiveconcrezioni ne decorano le pareti eil soffitto. Poi si arriva ad unlaghetto che crea un sifone, per cuinon è più possibile avanzare. Ci sipuò però spostare, e andare a cer-care quella stessa acqua nel puntoin cui riemerge alla luce del sole, amonte di Morigerati. Il luogo in cuiquesto fiume rispunta in superficieè da alcuni anni l’Oasi Protetta diMorigerati del WWF, una fendituraentra nel cuore della terra, e unpassaggio creato per le persone,con un ponte sospeso sul fiume edegli scalini scavati nella pietra,consentono di arrivare nella cavità,dove lo scrosciare dell’acqua èamplificato dalla roccia tutto intor-no, e i minerali hanno creato formedai colori più vari. Una suggestivacascata accoglie il riemergere del-

l’acqua dalle viscere: una visioneche dà il senso dell’appartenenzadell’uomo al tutt’uno della natura.L’Oasi di Morigerati si estende perpiù di 200 ettari, in un percorsocontorto che, in parte, segue l’an-damento del Bussento, in una golain cui l’umidità crea meravigliebotaniche tipiche delle aree riparia-li; in queste acque nuotano e proli-ferano trote, gamberi e granchi difiume; sulle rive si ritrovano perio-dicamente escrementi di mammife-ro dall’aroma di muschio o qualchelisca di pesce, il pasto dello stessomammifero: sono i segni inconfon-dibili del passaggio di una lontra!Quale indice più chiaro della limpi-dezza dell’acqua?In tutta l’area cilentana, a dispettodell’abbondanza di acque, è diffu-sissima una coltura, il più dellevolte spontanea, che invece dell’ac-qua non ha troppo bisogno, il ficoche qui trova il suo grembo natura-le producendo una dolcissima spe-cialità il fico bianco del CilentoDOP presenza indiscussa dei pranzinatalizi e non solo. Ma su questaterra prosperano anche l’ulivo e lavite dai cui frutti si traggono l’olioextravergine di oliva Cilento DOP,fragrante e particolarmente sapori-to e i generosi vini del Cilento DOC,bianchi, rossi e rosati, ottimi com-

pagni di viaggio per la sostanziosacucina cilentana. Senza dimentica-re, tra i formaggi tradizionali, lamozzarella nella mortella, il cacio-ricotta caprino cilentano e la man-teca cilentana e tra le paste artigia-nali i mitici fusilli di Gioi e diFelitto.Sospingendoci più a sud, ai piedidel Monte della Stella, non lontanoda Velia, l’antica Elea greca, cittàdai due porti, un luogo e una civil-tà che hanno dato un forte apportoallo sviluppo della cultura occiden-tale, soprattutto al pensiero filoso-fico e scientifico, troviamo un’altrafoce, quella del Fiume Alento, il cuinome ha probabilmente originato iltoponimo di questo enorme territo-rio: Cis Alentum, al di là dell’Alento,il Cilento. Dagli anni Novanta, unabarriera artificiale costruita per ilrifornimento d’acqua dell’areacilentana, ha creato un invaso tra ipaesi Perito e Cicerale (famosa perla coltivazione dei ceci): dalla tra-sformazione del paesaggio si sonooriginati insoliti ma piacevoli scorcidi ulivi affacciati sul letto delfiume. Questo nuovo lago attira giàalcune specie di uccelli, cormoraniin inverno, svassi maggiori in pri-mavera e aironi cenerini durante lamigrazione; ma, certo, negli anniprossimi il bacino è candidato a

In alto, a sinistra.Fichi bianhi delCilento postiad essiccare.A destra.Caciocavallisilanie fusillidi Felitto.Paginaprecedente.In alto.Ponte medievalesul FiumeCalore.In basso.Le sorgenti delSammaro.

e in una natura di selvaggia e sor-prendente bellezza.Dopo la sua sorgente dal MonteCervati, il fiume attraversa unaprima gola nei pressi di Piaggine, lepareti calcaree che, alte, ne accol-gono l’alveo, creano un effettomozzafiato, mentre sullo sfondo sistaglia imponente la cima da cuinasce. Ma questo è appena un sag-gio. Dopo essersi arricchito delleacque di alcune sorgenti, percorreun’altra gola nei pressi di Laurino:qui è un tripudio di salici e ontanineri lungo il suo letto di roccia, checedono il posto a fasce di carpini e,infine, al verde cupo della lecceta.Poco dopo, il Calore costeggia ilBosco di Campora, una primordialeforesta di latifoglie che non haconosciuto l’uomo: querce dalledimensioni gigantesche contanoqualche secolo di vita. Ai piedi di Magliano Nuovo è ilpasso della “Preta perciata”, doveun tempo si era sottoposti al paga-mento di un pedaggio per accederealla Valle del Calore. Poco dopo, unponte medievale, detto “a sella d’a-sino” per la forma del suo fornice,permette un salto indietro nel pas-sato: si è conservato praticamenteintatto, e, vedendolo combinatoalla natura spontanea d’intorno, ilvisitatore ha l’impressione di cam-minare tra le irte vie del medioevo.Poi una stretta gola, una cascata eil ponte naturale detto “Preta tetta”.Un’acqua cristallina scorre nell’al-veo dal fondo chiaro di pietra levi-gata, tutt’intorno alte e candiderocce arrotondate da millenni diacqua che scivola sulla loro superfi-cie, e poi il verde dei salici, degliontani neri, dei carpini e dei lecci acreare un colpo d’occhio davverosublime. Sono le Gole del Calore,Oasi del WWF, che si estendono traFelitto e Magliano Nuovo, nelcuore del Cilento. La natura è sel-vaggia, eppure addolcita della levi-gatezza delle rocce, la vegetazionefolta, alimentata da quest’acquache scorre senza tempo, e tutti glianimali dall’una e dall’altra traggo-no nutrimento e riparo. Sulle rupiche, alte, sovrastano le gole, nidifi-cano i rapaci; di queste acque cri-stalline non poteva non approfitta-re la lontra, uno dei mammiferi piùrari in tutta Italia a causa dellascarsità di acque pure, qui va apesca di trote, anguille, carpe equanto di meglio offra il fiume.Sceso a valle il suo corso si fa piùquieto e alcuni tratti offrono lapossibilità di fare canoa in uno sce-nario davvero notevole; dopo averdipanato il suo lento percorsocreando spiagette e piccole casca-

telle, nei pressi di Ponte Barizzo, ilCalore si immette nel corso delSele, per percorrere insieme pochi,ultimi chilometri.Molti dei corsi d’acqua di questaprovincia hanno la loro origine suimonti del Cilento e forse, rispettoad altri bacini idrografici dellaCampania, qui fiumi e torrentinascono e percorrono il territorionella maniera più teatrale e intattache altrove, dando vita a sorgentispettacolari, gole, cascate, percorsisinuosi e affascinanti, fiumi chescompaiono nella terra per risorge-re chilometri più a valle e tanti altrifenomeni che non trovano parago-ne nelle altre province campane;complice la natura calcarea e isecoli di isolamento dovuto anchealla difficoltà delle comunicazioni acausa dell’orografia tormentata,non dimentichiamo che “Cristo si èfermato a Eboli”, in cui questa terraè rimasta e che forse ha contribui-to a salvaguardarne l’ambiente.Un interessantissimo fenomenocarsico è la Grava di Vesalo, uninghiottitoio in cui sprofondano leacque del Torrente Milenzio, perpoi ricomparire, dopo circa venti-quattro ore di percorrenza ipogea,nella gola sotto Laurino e immet-tersi nel Calore. Non da meno lesorgenti del Fiume Sammaro perscoprire le quali, nei periodi dipiena, è indispensabile un’attrezza-tura anfibia, ma lo spettacolo èassicurato. Un altro accidente car-sico nel cuore di questo massicciosono le sorgenti del Torrente Auso,si trovano a valle di Ottati, ma sonopiù facilmente raggiungibili daSant’Angelo a Fasanella; ci sono iresti di un’antica centrale idroelet-trica, di cui si notano ancora lestrutture in ferro, e i ruderi di unmulino con i suoi geniali marchin-gegni per aumentare la forza del-l’acqua, a valle di questi le vaschecreate dall’uomo per raccoglierel’acqua, forse lavatoi; risalire il lettodel torrente è un’avventura, ci sideve inerpicare tra la vegetazioneselvaggia e i massi, rocce candide elevigate. Il percorso termina conuna pozza dal colore smeraldino,contenuta tra alte pareti dolomiti-che, splendidi ontani fanno dall’al-to corona a questo angolo di para-diso.Gli alti pascoli di questi rilievi ali-mentano mandrie bovine e ovinedal cui latte si traggono ottimicaciocavalli e pecorini; nel territo-rio di Roccadaspide trova la suaorigine, ma è molto diffuso inbuona parte del Cilento, il marronedi Roccadaspide IGP, castagna dinotevoli dimensioni ricercatissima

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esemplare di lucertola azzurra,detta anche di Licosa, il piccolo ret-tile che ha trovato, difeso tutt’in-torno dall’acqua, l’ultimo rifugiolontano dall’uomo. Ma non è tuttoqui. Già gli antichi amanti del sug-gestivo isolotto, da Aristotele,Strabone e Plinio, sostenevano chefosse proprio Licosa l’ambientazio-ne di alcuni canti omerici. DoppiataPunta Licosa, si perde anche quel-l’ultimo contatto visivo col golfo diSalerno che nelle giornate più tersepermette di distinguere a nord-ovest la costa d’Amalfi sulla lineadell’orizzonte. Da qui e fino a CapoPalinuro è veramente facile ritro-varsi da soli con il mare, il sole, ilvento, fiancheggiando i lunghi trat-ti di scogliere che separano lespiagge e gli approdi. Proseguendosi giunge nell’insenatura diOgliastro Marina, con la caratteri-stica spiaggia di alghe, e alle belle elimpide acque di Pioppi, frazionemarina di Pollica, segnalate, ormaida anni, con la Bandiera Blu per labellezza e assoluta assenza diinquinamento. Qui c’è anche undelizioso acquario nelle cui grandivasche fanno bella mostra di semolte specie marine tipiche dellazona. Questo angolo di paradiso haincantato anche lo scrittore ameri-cano Ernest Hemingway che traPioppi ed Acciaroli ha ambientato“Il vecchio e il mare”.Dopo Pioppi e prima di arrivare allafoce dell’Alento, troviamo laMarina di Casal Velino. Tutto l’abi-

trasformarsi in un attrattore pernumerose altre specie ornitologi-che, così come è stato per l’invasodi Persano.Ancora più a sud tra Palinuro eMarina di Camerota troviamo lafoce del Fiume Mingardo la cuisponda orientale è ricoperta dasplendidi boschi di pini d’Aleppo,una conifera tipica delMediterraneo, che si accontenta dipoco per vivere, di rupi inospitali eterreni calcarei, in cambio, come inquesto caso, di un posto privilegia-to in prima fila davanti a uno splen-dido mare.Dalla strettissima gola del Diavolo,fra alte e ripide pareti calcaree incui l’acqua comincia a scendereveloce verso il mare, si accede allavalle interna del fiume.Passiamo attraverso un tunnel sca-vato nella pietra, e subito scorgia-mo, lungo il profilo di uno sperone

roccioso, molti ruderi, un castello eun piccolo centro, completamentecostruito in pietra ed evidentemen-te abbandonato, San Severino diCentola. Un tempo controllava lagola del Mingardo, facile via dipenetrazione dalla costa, affinchéla sua popolazione potesse difen-dersi dalle incursioni saracene e, altempo stesso, garantirsi il controllodello sbocco a mare.Affacciarsi sull’ultimo tratto dicosta della Campania è come attra-versare le porte del tempo. Lespiagge, ora profonde, pietrose ecandide, ora di sabbia sottile edorata, le coste scure e frastagliate,l’entroterra con il verde della mac-chia mediterranea, aprono unosquarcio su una parte del territoriocampano in gran parte scevro dainvadenti modernità. Tutto conser-va la semplicità della vita di anniormai lontani. Molto spesso, quello

che si è sviluppato vicino al mare èil borgo dei pescatori, mentre ilpaese è arroccato, a qualche decinadi metri d’altezza, sul crinale di unmonte o su un costone impervio. Lamiscellanea di colori, odori e suoniche ne viene fuori scava prepoten-temente un posto nell’animo di chi,anche solo per caso, si affaccia inquesto angolo della regione. Nellasua immobilità, nel tempo che scor-re quasi in una maniera diversa, lacosta cilentana si fa scoprire unpoco alla volta e ogni volta per unaspetto diverso che impone unosguardo al passato, una ripassatadella storia più antica (ma nonsolo), una rivisitazione di narrazionimitologiche straordinariamenteevocative di questi luoghi.Le più gettonate località di questacosta sono collegate a Napoli e adaltri centri costieri campani, isolecomprese, dal Metrò del Mare,geniale servizio di trasporti effet-tuato prevalentemente con aliscafiveloci, promosso dalla RegioneCampania, teso a snellire il trafficoautoveicolare ma soprattutto adoffrire un servizio al turismo diqualità; la vista dal mare di questilitorali è un’esperienza che non sidimentica.Lungo poco meno di cento chilome-tri, infatti, il profilo marino raccon-ta la storia e l’amore per il mare ela terra, elementi inscindibili dallavita. L’inizio di questa costa è adAgropoli, che i Bizantini chiamaro-no Acropolis, “città posta in alto”,quando, quasi improvvisamenteessa si innalza alta sul marelasciando alle sue spalle la sabbiadorata dei lidi. Oltre il promontoriole lunghe spiagge di Santa Maria eSan Marco, frazioni marittime delcomune di Castellabate, sembranoin piena estate sopportare a mala-pena le sdraio e le orme di bagnan-ti che si contano numerosi.Di grande interesse scientifico epolo di attrazione per sub di tutto ilmondo, il Parco Marino diCastellabate con le sue pianuresommerse ricoperte di posidonie eanemoni di mare, regno incontra-stato e protetto di una ricca faunaacquatica. Dal mare, appena supe-rate le prime scogliere prossime alporticciolo, proseguendo verso sud-est, si scorge poco per volta l’incan-tevole Punta Licosa. Il piccolo capo,con l’omonima isola, deve il nome,di chiara etimologia greca, al bian-co delle scogliere e dei ciottoli cheancora oggi custodiscono l’anticaleggenda della sirena Leucosìa.Cercando tra i radi cespugli e i pic-coli nascondigli offerti dalle pietre,ci si può imbattere in qualche

In alto.La costa presso

Agropoli.Sotto.

Ulivetisull’Alento.

Pagina successiva.Costa cilentanae pesca alle alicicon la menaica.

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tato si sviluppa lungo il basso corsodel fiume. Superata la Punta delTelegrafo, si entra nel territorio delcomune di Pisciotta, caratterizzatodalla gradevole marina dei pescato-ri, a completamento del porticcioloe il suggestivo capoluogo, situato a170 metri slm sul dorso di un picco-lo altopiano. Di nuovo sul mare, cisi accorge subito che lo scenario èdiverso rispetto al resto delle costevisitate: il verde argenteo degli ulivimarca il distacco tra le colline e lespiagge, alcune delle quali raggiun-gibili solo via mare.In questi mari cilentani i pescatori,sono tuttora dediti ad un anticosistema di pesca alle alici che utiliz-za una particolare rete chiamatamenaica, che incastrando il pescene favorisce il dissanguamentostesso a mare rendendo così lecarni più delicate e saporite; subitodopo la pesca, si procede alla sala-tura delle alici, ancora oggi realiz-zata come un tempo.Come gran parte della costa cam-pana compresa nei golfi di Napoli eSalerno, anche questa è caratteriz-zata da una grande abbondanza difauna ittica, specialmente il pesceazzurro, prezioso per il suo poterenutritivo; ma non mancano speciepiù pregiate, e gamberi ancorapescati con le nasse come unavolta, polipi, molluschi, aragostetutti concorrono ad arricchire erendere unica la cucina di questaregione.Procedendo a sud, tra una scoglierae l’altra fino a Capo Palinuro, le“agliaredde” le spiagge di ciottoli,lasciano il posto ad una sabbiabianca e sottile, come quella deifondali. La loro conformazionefavorisce un particolare tipo dionde, molto caro ai surfisti da tavo-la per la loro regolarità. Su questerocce, e solo su queste, cresce laPrimula di Palinuro, un fiore unicoal mondo tanto da essere statopreso a emblema rappresentativodell’unicità del Parco Nazionale delCilento. Da maggio ad ottobre, ilmare lascia ammirare i suoi fonda-li, caratterizzati da secche, scogli esabbia. La bellezza del posto, conuna spiaggia molto estesa, si coniu-ga perfettamente con la suggestio-ne del mito che a questo luogosarebbe legato. Secondo la leggen-da, qui sarebbe stato sepolto il noc-chiero di Enea, Palinuro, appunto,caduto in mare e ricomposto pieto-samente dai Lucani, secondo la pre-dizione della Sibilla.Palinuro, consacrata perla dellacostiera cilentana già negli anniCinquanta, deve la sua fama almare limpidissimo, alla immensità

delle spiagge, alle 32 grotte, miste-riose e ricche di selvaggio fascino,disseminate lungo il litorale, alletantissime baie accessibili solo dalmare, alla scogliera semplicementemeravigliosa. Qui il matrimonio trala terra e il mare celebra la suacerimonia più commovente.Continuando il percorso lungo lecoste del Cilento, si giunge allastupenda Marina di Camerota, checontende, di anno in anno il prima-to della limpidezza delle acque allevicine Palinuro e Pollica; tipicoborgo marinaro, dove la vita è scan-dita dai racconti dei pescatori inpiazzetta. Quattro le grotte memo-rabili dove l’acqua del mare gioca arimpiattino con le ruvide rocce:Grotta della Serratura, del Noglio,Cala e Sepolcrale, ma sono tantis-simi gli anfratti e le cale da scopri-re, soprattutto via mare, la CalaBianca e la Cala dei Monti di Luna.In una delle ultime grotte di Marinadi Camerota, quella detta diLenticelle, è custodito il famosissi-mo “Leone di Caprera”, la barca a

vela italiana che, proveniente daMontevideo, nel 1879 solcò leacque dello Stretto di Gibilterradopo la traversata dell’Atlantico. Aquanto pare, il Leone deve il suonome al fatto che venne usata pertrasportare un dono a Garibaldi:una spada d’oro, omaggio degliemigrati italiani in Uruguay. Oltrepassata Marina di Camerota, viè un naturale spartiacque con ilGolfo di Policastro, ultimo trattodelle coste del Cilento e della pro-vincia di Salerno. Punta degliInfreschi è l’angolo più suggestivoe assolutamente non contaminatodalla mano dell’uomo dell’interoCilento costiero, nel bel mezzo delquale si apre un approdo naturale,protetto da banchi di roccia; leacque sono così limpide che, nume-rosi, i delfini vi fanno meta, soprat-tutto grazie alla straordinaria pre-senza di pesce azzurro.Superando Punta degli Infreschi,l’approdo di Scario, frazione delcomune di San Giovanni a Piro, èquanto di più suggestivo possa tro-

In alto.La costa presso

Palinuro.Sotto.

La costa pressoPunta degli

Infreschi.

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Page 34: La risorsa acqua in Campania

varsi lungo queste coste, inaspetta-tamente incastonato ai piedi dialtissimi speroni rocciosi.Oltre Scario ci attendono spiagge epaesaggi diversi: si arriva aPolicastro Bussentino che deve lasua importanza, il nome e partedelle sue fortune alle acque che lalambiscono.Non solo quelle dell’azzurro mareche le sta di fronte, ma soprattuttoquelle del cheto Fiume Bussentoche nei suoi territori si dirige allafoce. Dalla sua presenza dipende

anche il diverso aspetto della costa,all’opposto di quella che abbiamoincontrato a Scario o a Camerota. Ilpanorama è quello di una piana flu-viale, colorata da fiori e piante chesegnano il passaggio definitivo nelgolfo di Policastro. Fitti canneti sialternano a cedri, glicini, pinimarittimi, bouganville. I chilometridi costa cilentana stanno per finire,l’ultima tappa conduce a Saprilegata ad una pagina importantedella storia del nostro Risorgimen-to, racchiusa in maniera esemplare

nei versi de “La spigolatrice diSapri” di Luigi Mercantini, e allafigura e al coraggio di CarloPisacane e dei suoi 300 valorosiuomini qui sbarcati per promuoverecon le armi l’unità del popolo italia-no. L’ampio golfo di Sapri, coronatoda monti che digradano dolcemen-te, chiude in bellezza l’incantatoconnubio tra terra e acqua, tracosta e mare, che caratterizzaindissolubilmente tutta la regione.Qui termina la provincia di Salerno,meglio ancora, l’intera Campania.

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