La rinite occupazionale, distinta a sua volta in allergica...

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La rinite occupazionale, distinta a sua volta in allergica e non allergica, si sviluppa a seguito dell’esposizione a sostanze aerodisperse nell’ambiente professionale.

Spesso si tratta di agenti irritanti (per esempio solventi), ma possono essere in causa anche allergeni presenti nelle materie prime o derivanti dai processi di lavorazione.

L’importanza della rinite occupazionale si può declinare su un duplice fronte: da un lato il suo impatto sulla salute e sul benessere del lavoratore, del quale può tra l’altro influenzare negativamente la produttività; dall’altro, in considerazione dello stretto rapporto asma-rinite, illustrato nel modulo precedente, il potenziale rischio di aggravamento della sintomatologia e della funzione respiratoria in occasione dell’esposizione agli allergeni scatenanti.

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La rinite occupazionale può essere classificata secondo due principali modalità.

La prima valuta se le manifestazioni sono determinate oppure aggravate dall’esposizione all’ambiente professionale.

La seconda, invece, è prettamente basata sulla fisiopatogenesi, allergica e non allergica.

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Per quanto la rinite allergica sia una patologia comune, la prevalenza e l'incidenza della rinite occupazionale nella popolazione non sono state quasi mai oggetto di studi specifici.

Un’indagine basata sul Registro finlandese delle malattie professionali nel periodo 1986-1991 aveva per esempio evidenziato che le professioni ad alto rischio comprendono pellicciai, fornai, allevatori, lavoratori di trasformazione alimentare, veterinari, agricoltori, addetti alla produzione o all’assemblaggio di componenti elettronici e lavoratori in cantieri nautici.

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La prevalenza della rinite occupazionale varia dal 2% all’87% nei lavoratori esposti ad allergeni a elevato peso molecolare (per lo più glicoproteine di origine vegetale e animale) e dal 3% al 48% in quelli esposti ad allergeni a basso peso molecolare.

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I dati disponibili indicano che questa patologia ha in genere una diffusione di 2-4 volte più elevata dell’asma professionale, rispetto al quale viene tuttavia paradossalmente sottostimata e trascurata.

Una delle ragioni probabili di tale evidenza contraddittoria è legata alla diversità dei criteri seguiti per la diagnosi nelle singole realtà professionali nazionali o locali, sottolineata anche negli studi prospettici reperibili nella letteratura scientifica.

Un’altra motivazione è che mentre per l’asma professionale la definizione si basa sulle alterazioni fisiopatologiche che si instaurano nelle vie aeree inferiori (limitazione al flusso), nella rinite questo approccio non trova facile riscontro pratico: la limitazione al flusso nasale, infatti, non sempre è presente nella rinite occupazionale e le varie metodiche impiegate per valutare la pervietà nasale, l’iper-reattività aspecifica e l'infiammazione, oltre a essere scarsamente applicate nella pratica clinica, non sono state accuratamente validate.

Da qui la definizione poc’anzi illustrata, che si basa concettualmente sulla sintomatologia (congestione, starnuti, rinorrea, prurito) e sulla relazione causale tra esposizione all’ambiente di lavoro e manifestazione della patologia.

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Nella forma allergica i sintomi della rinite occupazionale sono legati a reazioni di ipersensibilità che possono chiamare in causa l’intervento di anticorpi specifici oppure l’immunità cellulo-mediata.

Lo sviluppo della sensibilizzazione a uno specifico agente occupazionale si manifesta infatti dopo un periodo di latenza durante il quale ha luogo il processo di sensibilizzazione nei confronti dell’allergene.

Una volta compiuto tale percorso, i sintomi si ripresentano in occasione di una nuova esposizione al componente sensibilizzante a concentrazioni che non determinano alcuna conseguenza sugli altri lavoratori.

I sintomi possono essere intermittenti o persistenti in relazione alla frequenza e all’entità dell’esposizione all'agente causale, il cui ruolo può essere documentato mediante opportuni test di provocazione nasale, che dimostrano una riduzione della pervietà nasale, un aumento delle secrezioni oppure la presenza di flogosi

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La rinite occupazionale IgE-mediata può essere determinata da una vasta gamma di allergeni di alto peso molecolare e da alcuni di basso peso molecolare per i quali è stato documentato tale meccanismo di sensibilizzazione (per esempio sali di platino, coloranti e anidridi acide).

La forma non IgE mediata può essere indotta da agenti di basso peso molecolare, quali per esempio isocianati, sali di persolfato o polvere di legno, che agiscono in qualità di apteni per i quali la dinamica allergica non è ancora stata del tutto caratterizzata.

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Questa categoria comprende diversi tipi di rinite causata da fattori irritanti che non coinvolgono meccanismi immunologici.

È stato per esempio documentato che esposizioni singole o multiple a concentrazioni molto elevate di composti irritanti, alcuni dei quali riportati nella tabella, possono provocare sintomi transitori o persistenti della rinite senza un periodo di latenza.

In questi casi la dimostrazione di una relazione causale con il luogo di lavoro può essere estrapolata soltanto dall’associazione temporale tra l'esposizione a concentrazioni insolitamente elevate di sostanze irritanti e lo sviluppo della sintomatologia rinitica o di altri indici oggettivi della malattia.

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Per caratterizzare la forma irritativa più grave è stata introdotta la denominazione rinite corrosiva, caratterizzata da infiammazione permanente della mucosa nasale, talvolta associata a ulcerazioni e addirittura a perforazione del setto nasale, che può svilupparsi dopo esposizione ad alte concentrazioni di sostanze irritanti.

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Si definisce riacutizzata dall’attività lavorativa una rinite preesistente o concomitante (allergica o non allergica) che peggiora con l'esposizione all’ambiente di lavoro, dal quale però non è causata.

È infatti molto probabile che possano manifestarsi sintomi di rinite innescati da un’ampia varietà di fattori dell’ambiente professionale, inclusi agenti irritanti (per esempio sostanze chimiche, polveri, fumi), agenti fisici (per esempio variazioni di temperatura), fattori emotivi, fumo passivo e odori forti (per esempio profumi).

Sotto il profilo clinico la rinite esacerbata dal lavoro è simile alla rinite occupazionale e dovrebbe essere considerata soltanto dopo l’attenta esclusione di una sensibilizzazione specifica a un allergene professionale.

I meccanismi patogenetici sono stati scarsamente approfonditi, ma è stato dimostrato che la risposta nasale agli stimoli irritanti presenta ampia variabilità interindividuale ed è influenzata dall’età, dal sesso e dalla presenza di rinite allergica.

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L'esposizione, l’atopia e il fumo si sono sempre caratterizzati come i principali potenziali determinanti per lo sviluppo di rinite occupazionale.

In particolare un rapporto dose-risposta tra livello di esposizione e sensibilizzazione IgE mediata è stato documentato per numerosi allergeni a elevato peso molecolare, tra cui animali da laboratorio (per esempio negli stabularisti), farina, insetti, alfa-amilasi ed enzimi impiegati nei detersivi.

Benché la relazione tra livello di IgE ed entità dei sintomi sia poco nota, la comparsa di IgE nei confronti di alcuni agenti sembra essere un forte predittore di sintomi di rinite e asma.

L'atopia è stata associata a un maggior rischio di sensibilizzazione a una varietà di allergeni a elevato peso molecolare.

Gli studi disponibili non hanno invece prodotto risultati convincenti e univoci per quanto riguarda i rapporti tra atopia e sensibilizzazione specifica nei lavoratori esposti ad agenti a basso peso molecolare.

Il rapporto tra il fumo passivo e la sensibilizzazione sul lavoro è infine controverso e tuttora oggetto di discussione e confronto scientifico.

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Per quanto riguarda l'associazione tra rinite e asma professionale è stato documentato che i sintomi della rinite sono frequenti negli individui con asma professionale, come mostra questa tabella che riassume i dati epidemiologici.

Non sussistono differenze rilevanti tra allergeni in funzione del peso molecolare, anche se l’entità dei sintomi sembra maggiore quando sono coinvolti quelli a più elevato peso molecolare.

È stato dimostrato che prurito nasale, secrezioni e prurito oculare erano predittori della presenza di asma professionale.

Sono stati inoltre riportati sintomi di rinite occupazionale prima della comparsa di quelli di asma professionale nel 20-78% dei soggetti e anche in questo caso si ritiene che siano maggiormente coinvolti gli allergeni a elevato peso molecolare.

In conclusione si può prevedere un aumento del rischio di asma, stimato in quasi 5 volte, nei soggetti con rinite occupazionale rispetto a quelli con altre malattie professionali

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L’incidenza di asma nei lavoratori con rinite professionale è inoltre più elevata negli agricoltori e nei lavoratori del legno.

La slide illustra schematicamente i possibili rapporti tra rinite occupazionale e asma.

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La raccolta della storia dell’individuo con sospetta rinite occupazionale dovrebbe mirare a raccogliere una descrizione approfondita dell’attività, dell’eventuale esposizione a sostanze e delle condizioni igienico-ambientali del posto di lavoro.

L’obiettivo, oltre a stilare un elenco di possibili agenti sospetti, è di stabilire un legame tra frequenza di sintomi nasali in relazione all'esposizione professionale.

Tale compito è di pertinenza del medico, ma il farmacista può in ogni caso svolgere un ruolo importante nella sensibilizzazione del lavoratore a valutare in maniera critica l’intervento di fattori professionali attraverso semplici domande chiave, come quelle proposte dalla slide.

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A scopo puramente descrittivo, non rientrando tra le competenze del farmacista, è riportato l’algoritmo diagnostico suggerito dalle linee guida dell’European Academy of Allergology and Clinical Immunology.

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L'impatto socio-economico della rinite occupazionale è stato scarsamente valutato e i dati disponibili riguardano soprattutto altre forme di rinite.

Se i costi diretti, cioè quelli legati essenzialmente alla cura, sembrano essere piuttosto modesti, sembrano invece più rilevanti quelli indiretti, dovuti a peggioramento delle malattie delle vie aeree associate (sinusite, asma), effetti avversi del trattamento farmacologico e perdita di produttività.

Quest’ultima è stata valutata in uno studio su panettieri norvegesi: nel corso di due anni di follow-up 5 lavoratori su 180 furono costretti a lasciare il lavoro a causa di problematiche dovute a rinite, congiuntivite o dermatite.

L’impatto sulla vita quotidiana è stato oggetto soltanto di uno studio condotto in Olanda su lavoratori in serre di peperoni, dal quale, in confronto con individui affetti da rinite persistente, era emersa una riduzione significativa più a carico delle attività giornaliere che non della qualità del sonno e della sfera psicoemotiva.

L’istituzione di un registro nazionale, suggerita anche dalle linee guida ARIA, potrebbe consentire non soltanto il monitoraggio epidemiologico della rinite occupazionale, ma anche una valutazione dei costi e l’identificazione di nuove strategie terapeutiche e preventive.

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La terapia della rinite occupazionale ha un duplice obiettivo: attenuare i sintomi nasali e il loro impatto sul benessere del lavoratore e impedire possibilmente lo sviluppo di asma professionale.

Le opzioni terapeutiche comprendono sia interventi ambientali volti a evitare l'esposizione all'agente causale sia il trattamento farmacologico.

Il primo obiettivo, spesso gravato da implicazioni socioeconomiche, può essere raggiunto mediante il trasferimento dell’interessato, ove possibile, ad altra linea produttiva, oppure attraverso l’adozione di misure protettive (per esempio mascherine, filtri o barriere).

I sintomi nasali, tuttavia, potrebbero non risolversi completamente anche dopo la completa eliminazione dell’esposizione, motivo per cui è sempre opportuna una sorveglianza clinica.

L'effetto di antistaminici non sedativi e corticosteroidi topici non è stato finora oggetto di studi approfonditi, ma è evidente che essi, insieme ai decongestionanti, costituiscono una risorsa importante e un’alternativa adeguata all’eliminazione o alla riduzione dell’esposizione sul luogo di lavoro all'agente sensibilizzante.

L'immunoterapia specifica (per esempio con estratti purificati di proteine di roditori, estratti di farina di frumento e lattice) è attualmente limitata dalla non disponibilità di estratti standardizzati per la maggior parte degli allergeni professionali e va usata con cautela.

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