LA RIFORMA DELLA LEGGE FALLIMENTARE E LE BANCHE · La disciplina dei “Piani” prefigurata nella...
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LA RIFORMA DELLA LEGGE
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Le nuove procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa: piani attestati
di risanamento e accordi di ristrutturazione
Sido Bonfatti, Ordinario di Diritto Commerciale nell’Università di Modena e Reggio
Emilia
1. Premessa. “Accordi” e “Piani”.
Lo schema di decreto delegato predisposto dalla “Commissione Rordorf” per l’attuazione
della prima parte della “legge delega” 19 ottobre 2017, n. 155 (“Delega al Governo per
la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) non apporta
significative innovazioni – a prima vista – all’istituto dei “Piani Attestati di Risanamento”
(oggi regolato essenzialmente dall’art. 67, co. 3, lett. d) l.fall.).
I “Piani”, infatti – cfr. art. 60 Codice della Crisi e dell’insolvenza (C.C.I.) – :
- continuano ad essere riservati allo “imprenditore”;
- continuano ad essere disponibili anche per l’imprenditore agricolo (“non
commerciale”);
- continuano a potere rimanere “riservati” – il Piano “può” essere pubblicato nel
Registro delle Imprese – ;
- continuano a dovere essere “Attestati” (circa “la veridicità dei dati aziendali” e la
“fattibilità del Piano”);
- continuano a produrre gli effetti “protettivi” ed “incentivanti” costituiti da:
• “esenzione” alla revocatoria per i relativi atti di esecuzione (art. 171, co. 3, lett.
d), C.C.I., corrispondente all’attuale art. 67, co. 3, lett. d), l.fall.);
• “esimente” penale con riguardo ai fatti costituenti i possibili presupposti dei
principali reati di bancarotta (come da attuale art. 217-bis l.fall.)1;
• neutralità fiscale dell’eventuale sopravvenienza attiva da “stralcio” (art. 88, co. 4,
d.P.R n. 917/1986).
1 Secondo l’art. 28, co. 2, C.C.I. l’effetto protettivo in questione sarebbe rappresentato dalla non punibilità
dei reati di cui agli articoli 337, 338, 339, 343, 344 e 355 “del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”: pare
ovvio che si debba fare riferimento, invece, al Codice penale.
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Vengono aggiunti alcuni requisiti di forma (la forma scritta e la “data certa”) e di
contenuto (“la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa”, eccetera),
che peraltro risultano già universalmente rispettati anche sotto il vigore dell’attuale legge
fallimentare.
La disciplina dei “Piani” prefigurata nella proposta di nuova legge fallimentare (spesso
mi permetterò di utilizzare, per comodità espositiva, questa espressione, al posto della
definizione più corretta di “schemi di decreto delegato” licenziati dalla Commissione
incaricata della predisposizione del nuovo “Codice della Crisi e dell’Insolvenza”; come
mi permetterò di continuare ad utilizzare il termine di “fallito”, al posto di quello più
corretto – ma improponibile – di “liquidato giudiziale”), non pare dunque discostarsi, a
prima vista, da quella attualmente in vigore.
Sono peraltro da segnalare due profili di possibile interesse: (i) l’inserimento di una
novità, che non merita di essere condivisa; (ii) il mancato approfondimento di un
argomento, che avrebbe invece dovuto essere affrontato.
2. Segue. I nuovi “Piani Attestati di Risanamento”: una ingiustificabile
compressione dell’ambito di applicazione dell’istituto (?).
Secondo l’art. 60, co. 1, C.C.I, l’imprenditore può conseguire determinati effetti
“protettivi” ed “incentivanti” allorché predisponga, e sottoponga alla attestazione di un
professionista qualificato ed indipendente, un “Piano, rivolto ai creditori, che appaia
idoneo” a consentire il risanamento dell’impresa e il riequilibrio della sua situazione
finanziaria.
Secondo l’art. 67, co. 3, lett. d), l. fall., quegli stessi effetti, con le identiche modalità,
possono essere conseguiti mediante la predisposizione (e la successiva esecuzione) di un
“piano che appaia idoneo” a consentire il perseguimento degli stessi obiettivi.
Secondo il diritto vigente, il “Piano” non è necessariamente “rivolto ai creditori”:
quindi, non è necessariamente un accordo con i creditori.
Secondo l’art. 60, co. 1, C.C.I, il “Piano” è tale – cioè produce i noti effetti protettivi ed
incentivanti – (soltanto) se è “rivolto ai creditori”: e ciò – se le espressioni hanno un
senso2 – costituisce (ovvero rischia di costituire) un grave limite, di cui non si sentiva il
bisogno.
Il pregio più rilevante che deve essere riconosciuto ai “Piani” ex art. 67, co. 3, lett. d), l.
fall. è rappresentato dalla estrema flessibilità dalla quale sono caratterizzati: potendo essi
– oggi – essere rivolti tanto a dare esecuzione ad un accordo con i creditori; quanto a
2 La congettura che i nuovi “Piani Attestati” debbano costituire degli “accordi con i creditori” è peraltro
rafforzata dal requisito rappresentato dalla necessaria “specifica indicazione dei creditori e dell’ammontare
dei crediti di cui si propone la rinegoziazione e lo stato delle trattative”.
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dare esecuzione ad un accordo con soggetti terzi (per es.: un cessionario dell’azienda; il
sottoscrittore di un aumento di capitale; un’altra società con la quale concordare una
operazione di fusione; eccetera); come, ancora, a dare esecuzione ad atti unilaterali,
posti in essere dall’imprenditore per conseguire il risanamento dell’impresa ed il suo
riequilibrio finanziario. Tutti questi “atti” – “accordi” o non “accordi” che siano;
conclusi con i creditori o con soggetti diversi dai creditori; ovvero di natura unilaterale -
possono beneficiare degli effetti protettivi ed incentivanti previsti dalla legge, perché
il “Piano”, grazie al quale tali effetti possono prodursi, può trovare esecuzione con
l’adozione di misure diverse da un accordo con i creditori.
Da quanto si legge nell’art. 60, co. 1, C.C.I., domani non sarebbe più così: e questo è un
primo motivo di grave insoddisfazione della prospettata riforma.
3. Segue. I nuovi “Piani Attestati di Risanamento”: una occasione (di chiarimento)
mancata.
Se si esclude il profilo messo in luce nel paragrafo precedente – la apparente limitazione
dell’operatività dell’istituto ai “Piani” concordati con i creditori -, la disciplina prevista
dall’art. 60, co. 1, C.C.I, corrisponde sostanzialmente a quella ricavabile dall’art. 67, co.
3, lett. d), l. fall..
Come essa – quindi – suscita un dubbio di coerenza e correttezza sistematica, che sarebbe
stato auspicabile fosse chiarito, in occasione di un intervento riformatore operato anche
sull’istituto in commento.
Lo “effetto premiante” più significativo previsto per l’ipotesi che il “Piano” predisposto
dall’imprenditore in crisi assuma le caratteristiche volute dalla legge (con particolare
riguardo all’integrazione con una “Attestazione” rilasciata da un professionista
competente ed indipendente), è rappresentato dalla esenzione dalla azione revocatoria
degli atti di esecuzione del “Piano” stesso: in primis, i pagamenti effettuati…” (art. 171,
co. 3, lett. d), C.C.I; art. 67, co. 3, lett. d), l. fall.).
Per converso, i crediti sorti per l’esecuzione del “Piano” non godono di alcun trattamento
“preferenziale” – se non già pagati – nell’eventuale concorso con gli altri creditori (in
primis, i creditori pregressi): nessuna disposizione specifica attribuisce loro carattere
prededucibile (né oggi; né domani); e neppure si può invocare l’applicabilità del
principio che attribuisce carattere prededucibile ai crediti sorti “in occasione o in
funzione” (oggi: art. 111, co. 2, l. fall.), ovvero “durante” (domani: art. 9, co. 1, lett. e),
C.C.I.) “le procedure concorsuali”: perché i “Piani Attestati di Risanamento” non sono
(né oggi; né domani) “procedure concorsuali”.
La Suprema Corte di cassazione ha affermato con forza, di recente, il principio secondo
il quale i “Piani” non sono procedure concorsuali, con la conseguenza che i crediti sorti
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per la loro esecuzione, se non pagati, non sono prededucibili3: ma non ha speso una parola
per spiegare come si giustifichi la circostanza – pure innegabile – che gli stessi crediti, se
già pagati, siano sottratti all’azione revocatoria.
L’interrogativo non è del tutto peregrino, poiché logica vorrebbe – sembra di poter dire –
che se un credito è prodotto da un titolo a tal punto meritevole di tutela da sottrarlo
all’azione revocatoria, se già pagato: allora dovrebbe aspirare ad essere collocato in
prededuzione, rispetto ai “comuni mortali”, allorché al momento dell’apertura di un
concorso non sia ancora stato pagato – anche perché, ove tale parallelo non risulti
tracciabile, ciò costituisce un incentivo alla immediata esazione del credito!, venendosi
così a premiare il creditore aggressivo ed a punire il creditore paziente -.
Forse non può essere escluso a priori che in fattispecie molto particolari si possa assistere
alla “dissociazione” tra esenzione dalla revocatoria (in caso di intervenuto pagamento) e
collocamento in prededuzione (in caso di mancato pagamento); nonché di trattamento
contraddittorio di due crediti sorti nello stesso momento; nello stesso contesto; e con la
stesa funzione, uno dei quali “premiato” con la esenzione da revocatoria (perché pagato
prima dell’apertura di un concorso con gli altri creditori), e l’altro mortificato con la
negazione della prededuzione (perché lasciato insoddisfatto sino al momento
dell’apertura del concorso: “cornuto e mazziato”, si dovrebbe dire): ma l’argomento
parrebbe meritare una qualche considerazione.
La Cassazione non se ne è occupata4.
Avrebbe potuto costituire una buona occasione per il Progetto di riforma.
4. I nuovi “Accordi di Ristrutturazione”. Il procedimento (unitario) per l’accesso
alla Procedura: “emersione precoce” o rinvio alle calende greche?
Secondo l’art. 48, co. 1, lett. a), C.C.I., l’Accordo di Ristrutturazione può essere
depositato presso il Tribunale, per la sua omologa, solo dopo che:
(i) sia stata preventivamente presentata al Tribunale stesso una domanda di “accesso”
alla procedura de qua;
(ii) la domanda in questione sia stata iscritta al Registro delle Imprese, a seguito di
comunicazione del cancelliere effettuata “entro il giorno successivo al deposito”
(art. 45, co. 7);
(iii) sia stata fissata l’udienza di convocazione delle parti;
3 Cass., 25 gennaio 2018, n. 1895 4 S.BONFATTI, La natura giuridica dei “Piani Attestati di Risanamento” e degli “Accordi di
Ristrutturazione”, in www.ilcaso.it, gennaio 2018
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(iv) siano stati verificati i presupposti (presumibilmente: la qualità di “imprenditore non
minore” del ricorrente – art. 61, co. 1 -; ma anche: l’adempimento degli obblighi
informativi, documentali e descrittivi posti dall’art. 43, co. 1) per la concessione del
termine entro il quale procedere al deposito dello “Accordo”).
Secondo l’art. 182-bis, co. 1, l. fall., vigente, “l’imprenditore… può domandare…
l’omologazione di un accordo di ristrutturazione…” senza fare precedere la domanda
da alcuna formalità preventiva né da alcuna pubblicità preliminare.
Secondo l’art. 50, C.C.I, “dopo il deposito della domanda di accesso…” al procedimento
rivolto a conseguire (la concessione di un termine per il deposito, e successivamente) la
omologazione di un Accordo di Ristrutturazione, “il debitore può compiere [soltanto] gli
atti di straordinaria amministrazione”. In questo stesso periodo gli atti di straordinaria
amministrazione possono essere compiuti soltanto se: (i) “urgenti”; e comunque (ii)
“autorizzati dal Tribunale”.
Secondo l’art. 182-bis l. fall. vigente, all’imprenditore che predispone un “Accordo di
Ristrutturazione”, e lo deposita presso il Tribunale per la sua omologa, NON è impedito
di compiere alcun atto, anche di straordinaria amministrazione – urgente o meno –:
(i) nè nel periodo nel corso del quale predispone lo “Accordo” (nessun rapporto
sorgendo in tale fase nei confronti del Tribunale);
(ii) né nel periodo nel corso del quale richiede l’omologazione dello “Accordo” (nessun
effetto “restrittivo” della libera disponibilità del patrimonio del ricorrente
producendosi a seguito del deposito dello “Accordo” per la omologazione).
Si tratta allora di stabilire se effettivamente le innovazioni prospettate possano favorire la
“emersione precoce” della crisi; ovvero, ancora una volta, espongano al pericolo che tale
emersione sia rinviata alle calende greche.
La preoccupazione che l’obiettivo perseguito non sia conseguibile, è rilevante.
Ancora una volta, alcuni dei pregi maggiori dell’attuale disciplina dello “Accordo” – la
flessibilità; la riservatezza; la modellabilità delle “trattative” in relazione alle
caratteristiche peculiari del singolo caso di specie – vengono messi in crisi.
La esigenza di una “ammissione” per via giudiziale alla procedura – perché di questo si
tratta -, quando ancora nessun “Accordo” è stato perfezionato, rappresenta una prima
remora per la più parte degli imprenditori – che più facilmente si persuadono a ricorrere
all’Autorità Giudiziaria quando vi è soltanto da “ratificare” un accordo già concluso con
i creditori -.
La esigenza di una immediata “pubblicizzazione” della “crisi” - con l’iscrizione al
Registro delle Imprese del deposito della domanda di “accesso” – scoraggerà molti degli
imprenditori che avvessero superato la prima remora sopra denunciata.
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La “intromissione” del Tribunale (cfr. art. 50, co. 1 e co. 5, C.C.I.) nella gestione
dell’impresa (con la necessità di conseguire l’autorizzazione per gli atti di straordinaria
amministrazione, e solo se “urgenti”); le incertezze operative originate dalla necessità di
distinguere: (i) cosa sia “ordinario” e cosa sia “straordinario”; e (ii) cosa sia “urgente” e
“non urgente”; e le rigidità commerciali provocate dalla instaurazione di un regime
“commissariale” – per cui ci saranno clienti e/o fornitori che non intenderanno aspettare
i tempi del pronunciamento del Tribunale su singole istanze autorizzatorie -: potranno
essere fattori che, nonché anticipare il momento di emersione della crisi, al contrario
indurranno a ritardare quanto più possibile l’apertura della procedura di “accesso”–
ovvero a renderla un inutile e dispendioso “teatrino”, dandole avvio soltanto quando lo
“Accordo” è definitivamente concluso per così dire “in clandestinità”, così da depositarlo
un giorno dopo la concessione del termine -.
5. La concessione di “misure cautelari e protettive”.
La previsione di un procedimento preliminare di “ammissione” alla procedura di
(predisposizione, deposito e) omologazione di un Accordo di Ristrutturazione – con il
deposito e la pubblicazione della istanza; la fissazione di una udienza; la (eventuale)
concessione del termine per il deposito dell’Accordo – non si giustifica neppure con
l’apertura alla conseguibilità di “effetti protettivi”, la cui mancanza rappresenta oggi (ma
sembra debba continuare a rappresentare anche domani) la principale criticità dell’istituto
disciplinato dagli artt. 182-bis ss. l. fall..
Il “punto debole” degli “Accordi” è proprio – in fatto – la tendenziale mancanza di “effetti
protettivi” per tutto il periodo di conduzione delle cc.dd. “trattative”: periodo che la prassi
ha insegnato prolungarsi spesso per anni; periodo durante il quale il patrimonio del
debitore è esposto a tutti i rischi di iniziative individuali di carattere esecutivo, cautelare,
e peggio (i.e.: ipoteche giudiziali).
La prospettiva di riforma delineata dal C.C.I. non pare rappresentare un miglioramento
sotto il profilo richiamato: anzi, se possibile, si presenta (solo) come fonte di ulteriori
incertezze
Attualmente la possibilità di conseguire “effetti protettivi” prima del deposito dello
“Accordo” per l’omologa – al quale, finalmente, segue il divieto di inizio e di
prosecuzione di azioni esecutive e cautelari, peraltro ormai inutile5 –, è condizionata al
deposito di una “istanza di sospensione” (art. 182-bis, co. 6, l. fall.), che costituisce una
iniziativa per nulla banale – e comunque non sufficientemente tempestiva -, perché
postula il sostanziale esaurimento delle attività di predisposizione del “Piano” sotteso allo
“Accordo”, nonché delle “condizioni normative” dell’Accordo stesso (infatti deve essere
5 Il divieto, conseguente alla pubblicazione dello “accordo” depositato, è inutile, in quanto: (i) i creditori
“aderenti”, sono – ovviamente – impegnati ad attendere l’eventuale omologa dello “Accordo”; e (ii) i
creditori “non aderenti” sono interessati ad attendere la omologazione dello “Accordo”, perché ciò
comporta l’obbligo del loro soddisfacimento (quasi) immediato ed integrale.
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disponibile – e deve essere “attestata” – una “proposta” che, se accettata, assicuri
l’integrale pagamento dei creditori “estranei”: dunque deve essere pervenuta ad un grado
estremamente avanzato di completezza).
Ciò significa che sino a quando una “proposta” a tal punto circostanziata non sia stata
messa a punto, non vi è possibilità di deposito della “istanza” ex art. 182-bis, co. 6, l. fall.,
quindi neppure di conseguimento di qualsiasi “effetto protettivo”.
Nella prospettiva di riforma, come si è detto, le cose non cambiano: e forse peggiorano.
I presupposti di ammissibilità (e di accoglibilità) della “istanza di sospensione” sono i
medesimi (cfr. art. 58, co. 3, C.C.I.): ma la disciplina “che verrà” ingenera dubbi
interpretativi inediti – di cui francamente non si sentiva l’esigenza -, giacché ripete che la
“istanza” può essere presentata “prima del deposito dello accordo di ristrutturazione”:
ma non chiarisce se possa essere presentata anche prima del deposito della domanda di
“accesso” alla procedura di (predisposizione, deposito e) omologazione dello “Accordo”,
oppure postuli l’introduzione della stessa e la concessione del termine per il deposito
dell’accordo “formato”.
Le esigenze pratiche degli imprenditori che si affidato a questi istituti deporrebbero per
la prima soluzione, ma il dettato normativo in fieri non “garantisce” la correttezza della
soluzione.
6. La Convenzione di Moratoria.
La proposta di riforma della legge fallimentare prevede per la “Convenzione di
Moratoria” – oggi disciplinata dall’art. 182-septies, co. 5, 6, 7 e 8 l. fall. – poche
modificazioni, non prive peraltro di rilievo (cfr. art. 66 C.C.I.).
La prima concerne l’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto: non più – come oggi
– soltanto le “banche ed intermediari finanziari”, bensì, più in generale, i “creditori”.
In secondo luogo, condizione per l’estensione “coattiva” degli effetti della moratoria
anche ai creditori non aderenti è rappresentata non già dalla previsione di un loro
trattamento “non inferiore” rispetto alle alternative concretamente praticabili, occorrendo
piuttosto una prospettiva di soddisfacimento “in misura superiore” rispetto alla
liquidazione giudiziale.
Infine – e, forse, quel che più conta – la “attestazione” che necessariamente deve
accompagnare la “Convenzione di Moratoria”, affinché gli auspicati effetti estensivi
possano prodursi, non può limitarsi a certificare – come avviene oggi – “la omogeneità
della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla
moratoria”, ma deve certificare:
(i) la veridicità dei dati aziendali;
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(ii) la idoneità della Convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi
anche in relazione alle possibili soluzioni della stessa;
(iii) la ricorrenza della condizione del (prevedibile) soddisfacimento “in misura
superiore” (rispetto alla prospettiva fallimentare) dei creditori non aderenti.
Si tratta con ogni evidenza di una “Attestazione (ben più) forte”, rispetto a quella
attualmente richiesta: e l’effetto dell’innovazione sarebbe ancora una volta
contraddittorio rispetto all’esigenza della “emersione precoce” dalla “crisi”, perché
l’imprenditore non potrà (più) avvalersi dell’istituto della “Convenzione di Moratoria” –
neppure quando si riducesse alla conclusione di una semplice Convenzione Bancaria -,
sino a quando (per lo meno) l’esperto Attestatore non avrà esaurito (per lo meno) le
attività di verifica della veridicità dei dati aziendali e di valutazione della convenienza
della “Moratoria” per i creditori non aderenti.
7. Gli Accordi di Ristrutturazione “agevolati” e gli Accordi di Ristrutturazione
“estesi”.
1.1. L’art. 64 C.C.I. prospetta una innovazione che potrebbe incontrare il favore degli
imprenditori, ma sulla opportunità della quale possono nutrirsi alcuni dubbi.
Si tratta di estendere gli “effetti protettivi” e gli “incentivi” previsti per gli atti di
esecuzione di un “Accordo di Ristrutturazione” anche alle intese che non coinvolgono la
maggioranza (qualificata) dei creditori, ma che ne interessano soltanto una porzione
limitata (almeno il 30%).
Le condizioni di questa “agevolazione” non sono stringenti: basta non prevedere la
moratoria (di 120 giorni) per i creditori estranei all’Accordo – come del resto non era
possibile prevedere prima della riforma del 2012 che ha introdotto la “proroga legale” di
4 mesi per i creditori non aderenti -; e rinunciare alla richiesta di “misure protettive
temporanee” – oggi del resto raramente invocate -.
L’interrogativo concernente l’opportunità della modifica è alimentato dalla maggiore
incisività degli effetti prodotti dallo “Accordo” nella prospettiva di riforma: tra essi –
come si dirà – dovrà essere ricompresa anche la prededucibilità dei crediti “sorti per
effetto di atti legalmente compiuti” (cfr. art. 50, co. 3, C.C.I.): e non è facile accettare
l’idea che tanti effetti straordinari (“esenzione” da revocatoria; “esimente penale”;
prededuzione “estesa”; agevolazioni fiscali) derivino da un “Accordo” concluso con
creditori rappresentanti una porzione largamente minoritaria dell’indebitamente
dell’imprenditore, finendo così per avvicinare l’Accordo “agevolato” al “Piano Attestato
di Risanamento” concluso con un numero esiguo dei creditori – dal quale continuerebbe
a distinguersi soltanto per la sottoposizione ad omologazione dell’intesa -.
1.2. L’art. 65 C.C.I. disciplina gli “Accordi di Ristrutturazione ad efficacia estesa”. Si
tratta dei cc.dd. “Accordi Interbancari” oggi disciplinati dall’art. 182-septies l. fall.,
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rispetto ai quali sono proposte – anche in questo caso – modificazioni non numerose, e
tuttavia di qualche rilevanza.
In primo luogo – come nella “Convenzione di Moratoria” – la estensione dell’ambito di
applicazione soggettivo: dalle “banche e intermediari finanziari” ai “creditori” in
generale.
In secondo luogo – come pure nella “Convenzione di Moratoria” – occorre prospettare
per i creditori non aderenti un trattamento non solo “non inferiore” rispetto alle alternative
concretamente praticabili, bensì “superiore” rispetto al fallimento (rectius: liquidazione
giudiziale).
Infine – e soprattutto – l’Accordo “ad efficacia estesa” è vietato per l’ipotesi nella quale
esso abbia “carattere… liquidatorio” (art. 65, co. 2, C.C.I.): esso è consentito, infatti solo
per le ipotesi nelle quali l’Accordo preveda “la prosecuzione dell’attività d’impresa”.
Valendo tale divieto per tutti gli Accordi “estesi”, ivi compresi quelli che fossero conclusi
con intermediari esclusivamente bancari o finanziari (che rappresentano la maggioranza
delle fattispecie), ciò comporterà (rectius: comporterebbe) il ritorno a quelle situazioni
“disdicevoli” - che l’attuale art. 182-septies aveva voluto combattere -, di Accordi di
Ristrutturazioni (liquidatori) “bloccati” da atteggiamenti dilatori opportunistici – se non
quando vagamente ricattatori – di banche od intermediari del tutto marginali e periferici,
in grado di “sabotare” intese largamente condivise dal restante ceto creditorio, con la
minaccia di iniziative sconsiderate: iniziative non più disinnescabili grazie al
raggiungimento di un Accordo con la quasi generalità dei creditori presentanti identità di
“posizione giuridica” e di “interessi economici”, perché l’attuale “Accordo
Interbancario” non sarà più consentito – in caso, si ripete, di “Piano” con carattere
liquidatorio -.
1.3. Se mai, anche a proposito di questo istituto è lecito lamentare la mancanza di
attenzione al dibattito interpretativo che ne ha investito e che ne investe la portata, al quale
il Progetto di legge delegata non fornisce alcun contributo chiarificatore: in nulla
soddisfacendo quella esigenza di rafforzare la “certezza del diritto” che pure
rappresentava uno degli obiettivi dell’intervento riformatore.
Come è noto, tra le discussioni più accese che investono “Moratoria” e “Accordo
Interbancario” è ricompresa quella che ha per oggetto i confini del “divieto di estensione”
oggi previsto dall’art. 182-septies, co. 7, l. fall.. Tale disposizione afferma che “in nessun
caso” possono essere imposti alle banche od agli intermediari finanziari non aderenti,
benché coinvolti in virtù dell’effetto estensivo prodotto dalla condivisione della proposta
dell’imprenditore da parte di almeno il 75% della “Classe” di appartenenza, quattro
comportamenti: a) “nuove prestazioni”; b) “affidamenti”; c) “mantenimento della
possibilità di utilizzare affidamenti esistenti”; d) “erogazione di nuovi finanziamenti”.
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La nuova disciplina prevede di mantenere l’identica formulazione, “raddoppiandola” con
l’inserimento tanto nella disposizione che disciplina la “Moratoria (art. 66, co. 3); quanto
nella disposizione che disciplina lo “Accordo esteso” (art. 65, co. 5).
In tal modo, tuttavia
a) mantiene il riferimento ad una operatività (per lo più) squisitamente bancario-
finanziaria, proprio nel momento in cui espande l’operatività dei due istituti a tutti
i “creditori”;
b) reitera, vieppiù sottolineandola, la scelta inopportuna di riferire alla “Moratoria”
delle attività (concessione di affidamenti, di finanziamenti, ecc.) che con l’istituto
nulla comunque hanno a che fare – trattandosi di fenomeno incentrato sulla
sospensione di iniziative individuali e mero differimento della esigibilità dei crediti
-;
c) non prende posizione sul tema cruciale della vincolatività o meno dello
“Accordo esteso” rispetto all’utilizzo delle linee di credito presentanti un
“accordato” che si fosse andato e si vada riducendo nel corso dello “Accordo”
(come è tipico per le linee di credito cc.dd. “autoliquidanti”, il cui utilizzo si riduce,
fino ad azzerarsi, grazie alla riscossione dei crediti anticipati dalla banca,
consentendo così – in linea di principio – il rinnovato ricorso al credito per
anticipazione, per lo meno nei limiti di quanto l’affidamento bancario risultasse già
utilizzato - al momento della produzione dello “effetto estensivo” -).
Oltre tutto, la “formula” utilizzata dall’attuale art. 182-septies, co. 7, l. fall., e riprodotta
dagli artt. 65 e 66 C.C.I., non è priva di ulteriori incertezze interpretative, che sarebbe
stato utile vedere risolte.
La previsione del divieto di imporre ai creditori bancari non aderenti, attraverso
l’applicazione dell’art. 182-septies l. fall., “la concessione di affidamenti” e “l’erogazione
di nuovi finanziamenti” non comporta particolari problemi: la concessione di “Nuova
Finanza” postula pur sempre una valutazione non coercibile della singola banca circa il
“merito creditizio” dell’imprenditore interessato.
Quanto alla esclusione della imposizione alle banche non aderenti dell’obbligo di
“esecuzione di nuove prestazioni”, mentre è chiaro che le “nuove prestazioni” non
possono essere pretese dall’imprenditore come effetto dell’applicazione dell’art. 182-
septies l. fall.; non è detto che esse non siano dovute, comunque, per effetto della
continuazione del contratto tra banca e cliente (come avverrebbe nel caso di mutui a stato
di avanzamento lavori, nei quali l’obbligo del finanziamento dei singoli “stati di
avanzamento lavori”, quando conseguiti, non deriverebbe dalla eventuale invocabilità
dell’art. 182-septies l. fall., bensì – semplicemente – dalla forza vincolante del contratto
di finanziamento a s.a.l.).
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Non diversamente, per quanto riguarda l’affermata non estendibilità alle banche non
aderenti delle eventuali previsioni dello “Accordo” – accettato dalla maggioranza
qualificata del 75% del ceto bancario – dell’obbligo del “mantenimento della possibilità
di utilizzare affidamenti esistenti”, non si può escludere che un vincolo di tal genere derivi
comunque dalla natura dei contratti bancari sussistenti tra l’imprenditore interessato e le
banche non aderenti, come accadrebbe – per esempio – nell’ipotesi di sussistenza di
aperture di credito per crediti di firma non integralmente utilizzate. In tale ipotesi le
banche pur non aderenti all’Accordo, a prescindere dalla portata della “estensione”
disposta dall’art. 182-septies l.fall., sarebbero comunque tenute a prestare nell’interesse
dell’imprenditore, le garanzie in favore di terzi che non superassero l’importo
dell’affidamento deliberato (c.d. “accordato”).
Discorso diverso deve essere fatto, invece, per i cc.dd. “castelletti” – vale a dire le aperture
di credito funzionali alla erogazione di finanziamenti per anticipazioni di crediti
commerciali, siano essi smobilizzabili attraverso la presentazione delle relative fatture,
ovvero delle ricevute bancarie rappresentative delle scadenze di pagamento –, i quali
costituiscono, secondo la giurisprudenza consolidata, soltanto dei “contratti-quadro”:
contratti deputati cioè a fissare le condizioni economiche e normative delle successive
operazioni di anticipazione, le quali costituiscono peraltro altrettanti finanziamenti
caratterizzati da una propria autonomia individuale. La “coercibilità” ad erogare tali
finanziamenti, in conseguenza degli “effetti estensivi” dello “Accordo Interbancario”,
pare estremamente discutibile, e certo avrebbe meritato una previsione non equivoca – in
un senso o nell’altro che si fosse preferito -. Ciò tanto più allorquando si consideri che la
stessa legge fallimentare, oggi (cfr. art. 182-quinquies, co. 3, ult. parte), come – forse –
domani (cfr. art. 104, co. 1, ult. parte, C.C.I.), dimostra di attribuire agli “utilizzi delle
linee di crediti autoliquidanti “in essere al momento del deposito della domanda” (di
ammissione al Concordato o di omologazione dello “Accordo”) natura di “nuovi
finanziamenti”, nel momento in cui subordina il “mantenimento” di dette linee di
credito allo stesso regime autorizzatorio al quale assoggetta la “Nuova Finanza”
(interinale) propriamente detta.
8. Il sostegno finanziario alle imprese nel contesto dei nuovi “Accordi di
Ristrutturazione”. Premessa. Lo “status quo” dei finanziamenti alle imprese “in
procedura” (nel diritto fallimentare vigente).
Allo stato attuale della legislazione fallimentare – limitandocisi in questa sede, per ragioni
di speditezza, alle imprese “di diritto comune” – la disciplina dei finanziamenti alle
imprese coinvolte in “procedure” di crisi è così sommariamente riassumibile:
a) “Piani Attestati di Risanamento”:
(i) nessun principio generale di carattere “incentivante” connesso alla “natura” della
procedura (non costituiscono “procedure concorsuali”, quindi non è applicabile
LA RIFORMA DELLA LEGGE
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l’art. 111, co. 2, l. fall. che attribuisce carattere prededucibile ai crediti sorti in
occasione o in funzione di una “procedura concorsuale”); e
(ii) nessun principio generale di carattere “incentivante” connesso al regime dei
controlli instaurato con l’apertura della procedura (non sono previsti controlli, onde
non è previsto alcun regime speciale per i crediti sorti in tale contesto);
(iii) nessuna disposizione di carattere specifico che attribuisca natura prededucibile ai
crediti derivanti da questo ovvero da quel finanziamento che pur presenti una
qualsiasi relazione con il “Piano”;
b) “Concordato preventivo”:
(i) presenza del principio generale di cui all’art. 111, co. 2, l. fall., che attribuisce
carattere prededucibile a tutti i crediti sorti in occasione o in funzione di una
“procedura concorsuale” (qual è il Concordato preventivo);
(ii) presenza del principio generale di cui all’art. 161, co. 7, ultima parte, l. fall., che
attribuisce carattere prededucibile a tutti i crediti sorti “per effetto degli atti
legalmente compiuti dal debitore” (fino alla pronuncia del provvedimento sulla
domanda di Concordato);
(iii) presenza altresì di disposizioni specifiche (cfr. art. 182-quater; 182-quinquies;
nonché art. 167) che, sovrapponendosi (inopportunamente!) agli effetti dei principi
generali sopra esaminati, introducono presupposti specifici per la collocabilità in
prededuzione dei crediti derivanti da “finanziamenti”;
c) “Accordi di Ristrutturazione”
(i) nessun principio generale che attribuisca carattere prededucibile a tutti i crediti sorti
in occasione o in funzione di una “procedura concorsuale”; 6
(ii) nessun principio generale che attribuisca carattere prededucibile a tutti i crediti sorti
“per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore”;
6 Il dibattito sulla “natura” degli Accordi di Ristrutturazione è stato recentemente riacceso da alcune
decisioni della Corte di Cassazione (n. 1182/2018; n. 1896/2018, entrambe pronunciate in data 25 ottobre
2017; n. 9087/2018), le quali hanno dapprima (soltanto) attribuito carattere prededucibile ai crediti
(professionali) sorti in funzione di un “Accordo di Ristrutturazione”; e successivamente dichiarando
l’appartenenza dell’istituto al fenomeno della “concorsualità” . La giurisprudenza di merito non è però
propensa ad adeguarsi a tale principio (in senso contrario, consapevolmente e motivatamente, Trib. Reggio
Emilia, 14 febbraio 2018; Trib. Reggio Emilia 15 febbraio 2018 (entrambe in S.BONFATTI, Ancora sulla
natura giuridica degli Accordi di Ristrutturazione, in www.ilcaso.it, febbraio 2018); Trib. Reggio Emilia,
21 marzo 2018; Trib. Reggio Emilia, 22 marzo 2018; Trib. Reggio Emilia, 19 luglio 2018 (in S.
BONFATTI, Estraneità degli Accordi di Ristrutturazione alla “sfera della concorsualità”, in materia di
prededuzione, in www.ilcaso.it, luglio 2018).
LA RIFORMA DELLA LEGGE
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(iii) presenza di disposizioni specifiche (artt. 182-quater e 182-quinquies) che
attribuiscono carattere prededucibile ai crediti sorti da “finanziamenti” funzionali
all’accesso o all’esecuzione degli “Accordi di Ristrutturazione”, in presenza di
determinati presupposti.
Questo essendo il contesto normativo, si possono formulare alcuni giudizi sintetici:
a) “Piani Attestati di Risanamento”.
Non si può fare a meno di prendere atto della mancanza di “incentivi” alla erogazione di
finanziamenti all’impresa “in crisi” sotto il profilo della collocabilità in prededuzione dei
relativi crediti. Si segnalano tuttavia gli “incentivi” rappresentati da:
(i) esenzione dall’azione revocatoria delle garanzie eventualmente acquisite (su beni
dell’imprenditore) a tutela dei finanziamenti erogati in esecuzione del “Piano”; e
(ii) esenzione dall’azione revocatoria dei pagamenti eventualmente ottenuti per
l’estinzione, totale o parziale, dei crediti originati dai finanziamenti erogati per
l’esecuzione del “Piano” (per quanto privi dell’attitudine a conseguire una
collocazione prededucibile, ove non pagati)7;
b) “Concordato preventivo”.
La sovrapposizione disordinata di principi generali e di disposizioni particolari ingenera
incertezze interpretative ed incomprensibili difficoltà operative.
I. Il principio generale, secondo il quale i crediti sorti da atti “legalmente compiuti” sono
collocabili in prededuzione, dovrebbe comportare di per sé l’attribuzione della
prededuzione a tutti i crediti sorti in conseguenza di finanziamenti qualificabili come “atti
di ordinaria amministrazione” (quindi come tali “legalmente compiuti” senza necessità
di alcuna autorizzazione; di alcuna “attestazione”; di alcun altro presupposto). Tra questi,
principalmente (ma non esclusivamente):
- utilizzo di linee di credito cc.dd. “autoliquidanti” (castelletti per anticipo fatture;
per anticipazione di ricevute bancarie; ecc.);
- utilizzo di linee di credito cc.dd. “rotative” (castelletti per crediti di firma);
- utilizzo di linee di credito “a stati di avanzamento”;
- e probabilmente altro.
II. Il principio generale, secondo il quale i crediti sorti “in funzione” del Concordato
preventivo sono da collocarsi in prededuzione, dovrebbe comportare di per sé
7 Supra, n. 3.
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FALLIMENTARE E LE BANCHE
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l’attribuzione di tale carattere a tutti i finanziamenti comunque legati da un rapporto di
funzionalità alla procedura8.
Nonostante ciò, la presenza di disposizioni specifiche concernenti i “finanziamenti”
erogati ad una impresa in Concordato preventivo – segnatamente: art. 182-quater e 182-
quinquies l. fall. –, impone di considerare (inopinatamente) subordinata la attribuzione
della prededuzione ai crediti, derivanti dalla loro erogazione, alla sussistenza delle più
stringenti condizioni poste dalle norme richiamate;
c) “Accordi di Ristrutturazione”.
L’incentivo della prededuzione è attribuibile ai crediti:
(i) sorti (esclusivamente) da “finanziamenti”; e
(ii) che siano stati erogati in presenza dei presupposti indicati dalle disposizioni
specifiche rilevanti (artt. 182-quater e 182-quinquies l. fall.).
9. Segue. Il sostegno finanziario alle imprese nel contesto dei nuovi “Accordi di
Ristrutturazione”. Il regime degli “atti legalmente compiuti del debitore” (e dei crediti
sorti “durante le procedure concorsuali”).
Come si è già riferito, la futura disciplina degli Accordi di Ristrutturazione prevederebbe
che il relativo procedimento debba prendere le mosse – in buona sostanza – da una
preliminare valutazione giudiziale di “ammissibilità”, che si tradurrebbe (in caso
positivo) nella fissazione di un termine per il deposito dello “Accordo”, di cui si volesse
chiedere la omologazione.
Il decreto di concessione del termine in questione produce l’effetto – inter alia – che “i
crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono
prededucibili”.
Dovendosi ritenere “legalmente compiuti” dal debitore:
(i) gli atti di ordinaria amministrazione (cfr. art. 49, co. 5, C.C.I.); e
(ii) gli atti di straordinaria amministrazione autorizzati dal Tribunale (in quanto ritenuti
“urgenti”: art. 49, co. 1, C.C.I.),
8 Si tralascia di soffermarsi, in questa sede, sulla portata del principio secondo il quale sono collocati in
prededuzione i crediti sorti “in occasione” del Concordato preventivo, anche per la propensione di chi scrive
ad indentificare tali crediti con quelli vantati dai cc.dd. “creditori involontari”. Infatti l’attribuzione di un
trattamento preferenziale a crediti dichiaratamente sorti non “in funzione” della Procedura (perché
altrimenti troverebbero in ciò il titolo per il collocamento prededucibile) può essere giustificata solo con
riguardo ai crediti derivanti da fatto illecito dell’imprenditore.
LA RIFORMA DELLA LEGGE
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se ne dovrebbe ricavare che i crediti derivanti dai finanziamenti necessari per sostenere
l’esercizio dell’attività d’impresa, in occasione della conclusione di un Accordo di
Ristrutturazione, dovrebbero essere collocati in prededuzione quando:
(i) derivanti da finanziamenti qualificabili atti di “ordinaria amministrazione”; e
(ii) derivanti da finanziamenti autorizzati dal Tribunale, sulla ritenuta “urgenza” di
provvedere, ma senza la necessità della sussistenza di altri presupposti e/o
condizioni.
Non solo.
La nuova disciplina degli Accordi di Ristrutturazione – a partire proprio dalla disciplina
della limitazione della legittimazione dell’imprenditore al compimento dei soli atti di
“ordinaria amministrazione”; e proprio dalla attribuzione del carattere prededucibile ai
crediti sorti da “atti legalmente compiuti” anche nell’ambito dello “Accordo” – accredita
la tesi secondo la quale dovrebbe essere riconosciuta all’istituto la natura di “procedura
concorsuale”.
Riservandocisi di ritornare sull’argomento in prosieguo, si osserva che, se così fosse,
diverrebbe rilevante anche la considerazione del principio generale secondo il quale “i
crediti sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore
(e) la continuazione dell’esercizio dell’impresa…” sono “prededucibili” (art. 9, co. 1, lett.
c), C.C.I.).
Ne deriverebbe la collocazione in prededuzione de plano dei crediti sorti in conseguenza
dell’erogazione di “finanziamenti” oggettivamente funzionali alla gestione del
patrimonio dell’impresa ed all’esercizio dell’attività aziendale.
Così tuttavia non è, perché, come nel Concordato preventivo oggi, anche nell’Accordo
di Ristrutturazione di domani si assisterebbe alla presenza di disposizioni specifiche in
materia di “finanziamenti” – segnatamente: artt. 104, 106 e 107 C.C.I., nonché art. 99 -,
che si sovrappongono alle disposizioni espresse da principi generali, e che condizionano
l’attribuzione della prededuzione ai crediti, sorti da contratti funzionali a sostenere
finanziariamente l’impresa, alla sussistenza dei presupposti (di norma, più stringenti)
individuati nelle singole disposizioni particolari.
10. Le possibili categorie di “finanziamenti” alle imprese impegnate in un Accordo
di Ristrutturazione.
L’attuale disciplina della legge fallimentare impone di suddividere i “finanziamenti”
erogati a favore dell’impresa in “crisi”, che chiede l’omologazione di un “Accordo di
ristrutturazione” (ovvero l’ammissione al Concordato preventivo e poi la sua
omologazione) in (almeno) quattro categorie:
(i) “finanziamenti-ponte” (art. 182-quater, co. 2);
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(ii) “finanziamenti interinali urgenti” (art. 182-quinquies, co. 3);
(iii) “finanziamenti interinali attestati” (art. 182-quinquies, co. 1);
(iv) “finanziamenti in esecuzione” dello “Accordo” (art. 182-quater, co. 1)9.
Sono categorie che si ritrovano anche nella proposta di riforma della legge fallimentare,
ma senza una corrispondenza precisa; e – soprattutto – con significative integrazioni.
11. Segue. A) I “finanziamenti-ponte”.
Secondo l’art. 182-quater, co. 2, l. fall., sono “parificati” ai crediti prededucibili quelli
derivanti da finanziamenti “erogati in funzione della domanda di omologazione
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti”.
La norma pone un presupposto ed una condizione.
Il presupposto è rappresentato dalla circostanza che il finanziamento sia “previsto”
dall’Accordo di Ristrutturazione.
La condizione è rappresentata dalla circostanza che “l’accordo sia omologato”.
Il presupposto è facile da verificare, per il finanziatore.
La condizione è difficile da accettare, per il finanziatore, perché l’omologazione non può
essere data per scontata – e, mancando, impedirebbe l’attribuzione del carattere
prededucibile -.
Una disposizione puntualmente corrispondente a quella sopra citata non è rinvenibile nel
progetto di riforma della legge fallimentare. Si può tuttavia ritenere che il fenomeno possa
considerarsi previsto e disciplinato dall’art. 104, co. 1, lett. b), C.C.I., quando considera i
“finanziamenti” che siano “funzionali… all’apertura... di tali procedure” (Concordato
preventivo o Accordo di Ristrutturazione).
Ove si condivida tale “identificazione”, i “finanziamenti-ponte” risulterebbero essere
assoggettati – in futuro – ad una disciplina che non ne subordina più il collocamento in
prededuzione alla (effettiva) omologazione dell’Accordo - giacché tale condizione non
pare riprodotta -. Tuttavia tale vantaggio risulterebbe pagato a caro prezzo, in quanto:
(i) anche il “finanziamento-ponte” deve rivestire caratteri di “urgenza” – in quanto
deve ricorrere il presupposto che “l’assenza di tale finanziamento determinerebbe
9 Analoga classificazione deve essere fatta per i finanziamenti concessi all’impresa in Concordato
preventivo, con l’integrazione rappresentata da una quinta categoria, concernente i finanziamenti concessi
a far tempo dall’ammissione al Concordato sino alla omologazione, che potremmo definire “finanziamenti
in corso” di procedura, e che trovano la loro disciplina nell’art. 167 l. fall..
LA RIFORMA DELLA LEGGE
FALLIMENTARE E LE BANCHE
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grave pregiudizio per l’attività aziendale…” – (come per tutti i finanziamenti
disciplinati dall’art. 104 C.C.I.);
(ii) anche il “finanziamento-ponte” dovrebbe essere “attestato” 10(come tutti i
finanziamenti disciplinati dall’art. 104 C.C.I.)
(iii) anche il “finanziamento-ponte” dovrebbe essere “autorizzato” (come tutti i
finanziamenti disciplinati dall’art. 104 C.C.I.).
La necessaria ricorrenza di tutti questi presupposti depotenzia enormemente questa
misura.
Non solo.
Il “finanziamento-ponte” sarebbe soggetto, nel “nuovo fallimento”, ad una forma inedita
di “revoca” della prededuzione pur astrattamente attribuibile ai crediti derivanti dalla sua
erogazione, in caso di “atti in frode” di cui il finanziatore fosse a conoscenza, ovvero che
– oggettivamente – ignorasse, e di cui però “potesse essere” a conoscenza (argomento sul
quale ritorneremo in prosieguo).
12. Segue. B) I “finanziamenti interinali urgenti” (e attestati).
Secondo l’art. 182-quinquies, co. 3, l. fall., l’imprenditore che presenta una domanda di
omologazione di un Accordo di Ristrutturazione può chiedere l’autorizzazione al
Tribunale a contrarre “finanziamenti prededucibili”, in presenza di situazioni di
“urgenza”, a determinate condizioni di fatto, descritte nella norma – tra le quali
l’affermazione che “in assenza di tali finanziamenti deriverebbe un pregiudizio
imminente ed insuperabile all’azienda” -.
Il Tribunale decide in Camera di Consiglio, con decreto motivato, entro 10 giorni dal
deposito dell’istanza di autorizzazione.
Il Progetto di riforma della legge fallimentare echeggia tale previsione nella disposizione
dell’art. 104, co. 2, C.C.I., allorché prevede la possibilità di richiedere la autorizzazione
a contrarre “finanziamenti… prededucibili” quando il debitore sia in grado di dimostrare
che “non è in grado di reperirli altrimenti…; l’assenza di tali finanziamenti
determinerebbe grave pregiudizio per l’attività aziendale, il prosieguo della procedura
ovvero le ragioni dei creditori”.
La dimostrazione del carattere della “urgenza”, però non basta.
Il finanziamento interinale “urgente” deve essere anche “attestato”, dovendo essere
depositata in Tribunale “una Relazione di un professionista indipendente che attesta la
sussistenza di uno o più dei requisiti” previsti dalla norma – funzionalità del
10 Nel caso di specie l’attestazione avrebbe ad oggetto la funzionalità del finanziamento all’apertura del
procedimento.
LA RIFORMA DELLA LEGGE
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finanziamento all’esercizio dell’attività aziendale; (apertura della procedura);
funzionalità alla maggiore soddisfazione dei creditori -.
La figura in commento, pertanto, assume le caratteristiche del “finanziamento interinale
urgente & attestato”: e potrà conseguentemente vedere compromessa la esigenza di
ottenere una autorizzazione giudiziale, funzionale a fronteggiare situazioni di “urgenza”,
dalla necessità di conseguire una preventiva, specifica “attestazione” – oggi, invece, non
richiesta, proprio in considerazione della sussistenza di ragioni di “urgenza” -.
Si aggiunga poi – come per tutti gli altri tipi di “finanziamento” – la prospettiva della
possibile “revoca” della prededuzione, di cui si è già fatto cenno.
13. Segue. C) “I finanziamenti interinali attestati” (e urgenti).
Secondo l’art. 182-quinquies, co. 1, l. fall., “il debitore che presenta una domanda di
omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti…può chiedere al Tribunale di
essere autorizzato… a contrarre finanziamenti prededucibili … se un professionista…
attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori”.
Il progetto di riforma della legge fallimentare echeggia tale previsione nella disposizione
dell’art. 104, co. 2, C.C.I., allorché prevede la possibilità di richiedere l’autorizzazione a
contrarre “finanziamenti… prededucibili”, accompagnando il ricorso con una “relazione
di un professionista indipendente che attesti la sussistenza di uno o più dei requisiti”
precisati dalla norma – e sopra ricordati- .
La presenza della “attestazione”, però, non basta.
Il finanziamento interinale “attestato” deve essere anche “urgente”, affermando il comma
2 dell’art. 104 C.C.I. che “il ricorso deve [sempre]…” precisare le ragioni di urgenza
sopra declinate.
La figura in commento, pertanto, assume le caratteristiche del “finanziamento attestato &
urgente”: ed è singolare pensare che si debba attendere sino a quando l’esigenza di
sostegno finanziario diviene “urgente”, prima di poter chiedere di essere autorizzati a
contrarre finanziamenti di cui l’impresa necessita nel contesto del normale esercizio della
propria attività.
Si aggiunga poi – come per tutti gli altri tipi di “finanziamento” – la prospettiva della
possibile “revoca” della prededuzione, di cui si è già fatto cenno.
In conclusione: l’affermazione del principio secondo il quale le tre categorie dei
“finanziamenti-ponte”, dei “finanziamenti interinali urgenti” e dei “finanziamenti
interinali attestati” devono presentare tutte e sempre i tre presupposti della urgenza,
dell’attestazione; e dell’autorizzazione, attribuisce a tali misure una rigidità ed una
complessità che ne impedirà per lo più un proficuo utilizzo.
LA RIFORMA DELLA LEGGE
FALLIMENTARE E LE BANCHE
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14. Segue. I finanziamenti “in esecuzione” dello accordo di Ristrutturazione.
Secondo l’art. 182-quater, l. fall., “i crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma
effettuati in esecuzione… di un accordo di ristrutturazione dei debiti… sono
prededucibili…”.
Tale categoria di finanziamenti è presa in considerazione dall’art. 106, co. 1, C.C.I., che:
(i) da una parte, precisa che la “qualunque forma” che il finanziamento può assumere,
può essere rappresentata anche dalla “emissione di garanzie” (da parte del soggetto
finanziatore, nell’interesse dell’imprenditore in “crisi”); e
(ii) da un’altra parte, che i finanziamenti in questione devono essere “espressamente
previsti dal piano ad essi sottostante”.
Fin qui, v’è sostanziale identità di disciplina.
Le cose cambiano, tuttavia, quando si considera che:
(i) il comma 2, lett. a), della norma, riprende la previsione della “revoca” della
prededuzione, in caso di “atti in frode” – di cui abbiamo già fatto cenno, e su cui
ritorneremo -; e
(ii) il comma 2, lett. b), della norma, aggiunge a tale previsione una forma di
“decadenza” dalla prededuzione, nell’ipotesi nella quale “nel corso dell’esecuzione
del piano sottostante… all’accordo di ristrutturazione dei debiti si siano verificati
scostamenti tra i dati di piano e i dati consuntivati tali da rendere, sulla base di
una valutazione da riferirsi all’epoca, il predetto piano manifestatamente
inattuabile”.
Ciò introduce un argomento estremamente delicato, nonché estremamente attuale. I
finanziamenti destinati a sostenere la “esecuzione” dello “Accordo” – così come quelli
funzionali all’esecuzione del Concordato – si collocano fisiologicamente a distanza di
tempo dal momento della omologazione. Si tratta allora di stabilire, se la prededucibilità
dei crediti relativi sia o non sia condizionata alla verifica della permanenza delle
condizioni (soprattutto di “fattibilità” economica) sussistenti all’atto della maturazione
dei presupposti per l’attribuzione del carattere prededucibile ai creditori relativi
(previsione nel “Piano” sotteso all’Accordo – o al Concordato – ed omologazione dello
stesso). Interrogativo sul quale ritorneremo subito in appresso.
15. Profili generali dei finanziamenti ai nuovi Accordi di Ristrutturazione.
Tenuto conto di quanto già esaminato nelle pagine che precedono, la disciplina dei
finanziamenti rivolti a favorire la predisposizione e la esecuzione dei nuovi “Accordi di
Ristrutturazione” può essere cosi sintetizzata:
LA RIFORMA DELLA LEGGE
FALLIMENTARE E LE BANCHE
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I) “Finanziamenti-Ponte” e “Finanziamenti Interinali”.
a) devono comunque essere “attestati”;
b) devono comunque essere “autorizzati”;
c) devono comunque presentare connotati di “urgenza”;
d) devono essere funzionali o all’esercizio dell’attività aziendale; o all’apertura della
procedura ed al suo svolgimento; o alla migliore soddisfazione dei creditori. Basta
la attestazione della “sussistenza di uno…dei requisiti” esaminati (art. 104, co. 2,
ult. parte, C.C.I.): con la conseguenza – non si può dire quanto consapevole – che
potrebbe mancare (o comunque, non essere “attestato”) il requisito del maggior
soddisfacimento dei creditori;
e) possono essere concessi “in qualsiasi forma”, ivi compresa “la richiesta di
emissione di garanzie” (art. 104, co. 1, C.C.I.);
f) l’autorizzazione giudiziale può comprendere la costituzione di garanzie reali
mobiliari o immobiliari, ovvero la cessione di crediti in garanzia (art. 104, co. 4);
g) in caso di evoluzione dell’Accordo in “fallimento”, la prededuzione non sarà
riconosciuta laddove ricorrano – congiuntamente – le seguenti condizioni:
- esposizione di dati falsi, ovvero omissione di informazioni rilevanti, nelle
“attestazioni” accompagnatorie dei ricorsi per l’omologa dell’Accordo, ovvero
compimento di “atti in frode dei creditori” da parte del debitore;
- consapevolezza delle predette circostanze da parte dei soggetti finanziatori,
ovvero la circostanza che essi “potessero essere, sulla base dell’ordinaria
diligenza, a conoscenza delle predette circostanze”.
Tale previsione inedita di “revoca” della prededuzione rappresenta un fattore che va
considerato con estrema attenzione.
Il rischio che, con una valutazione inevitabilmente a posteriori, taluno - di norma, un
CTU nominato dall’Autorità Giudiziaria nel procedimento nel quale si discute sulla
(permanenza della) prededucibilità dei crediti derivanti da uno dei finanziamenti della
specie – pervenga alla conclusione (accolta poi dall’Autorità Giudiziaria) della
“riconoscibilità” (in astratto) dei “vizi” presentati dalla “Attestazione”, ovvero degli atti
in frode commessi dal debitore:
(i) esporrà l’impresa finanziatrice ad ingenti danni; ma, soprattutto
(ii) esporrà le persone fisiche che hanno istruito e deliberato i finanziamenti de quibus
alla inevitabile contestazione di inadeguatezza – a non dir d’altro – del rispettivo
LA RIFORMA DELLA LEGGE
FALLIMENTARE E LE BANCHE
21
operato, per non avere fatto uso della “ordinaria diligenza” nell’esaminare la
situazione sottesa alla richiesta di sostegno finanziario.
Vi è da temere che se già oggi è problematico l’ottenimento di finanziamenti (specie
bancari) in favore di imprese “in crisi”, domani sarà semplicemente impossibile.
II) Finanziamenti “in esecuzione” dello “Accordo”.
Per ciò che concerne i finanziamenti erogati “in esecuzione” dell’Accordo di
Ristrutturazione, è necessario anzitutto riprendere quanto osservato da ultimo per i
“finanziamenti-ponte” ed i “finanziamenti interinali”: anche per i finanziamenti “in
esecuzione” dell’Accordo, infatti, si pone la insidia della “revoca” della prededuzione,
come sopra descritta.
Ma vi è di più.
Per i finanziamenti della specie verrebbe altresì introdotta una ipotesi di “decadenza”
dalla prededuzione (annunciata), allorché “nel corso dell’esecuzione del piano… si siano
verificati scostamenti…tali da rendere il predetto piano manifestatamente inattuabile”
(art. 106, co. 2, lett. b), C.C.I.).
Ciò introduce il dirimente dilemma se ed a che condizioni permangano gli effetti
ricollegabili ad un “Accordo di Ristrutturazione” - sotto il profilo dell’attitudine ad
attribuire ai crediti, derivanti da “finanziamenti” funzionali a conseguirne l’omologazione
ovvero a darvi esecuzione, della collocabilità in prededuzione -, allorché il tentativo di
superamento o di composizione della “crisi” non abbia avuto esito positivo.
Ad avviso di chi scrive è decisivo stabilire sino a quale momento sussista ancora il
contesto che giustifica una disciplina speciale del concorso dei creditori sul patrimonio
del debitore comune.
Nella prospettiva di riforma tale contesto viene meno (art. 106, co. 2, lett. b) cit.) nel
momento in cui “...si siano verificati scostamenti [rispetto alle previsioni di “Piano”]
…tali da rendere il predetto piano manifestatamente inattuabile”.
Se si considera la circostanza che nella nuova disciplina del sostegno finanziario alle
imprese che concludono un “Accordo di Ristrutturazione” la prededucibilità dei crediti
derivanti da “finanziamenti” postula sempre una pronuncia giudiziale autorizzatoria
(esplicita, nei casi dei “finanziamenti-ponte” e dei “finanziamenti interinali” – art. 104 -;
implicita, nel caso dei “finanziamenti in esecuzione”, dovendo essi essere “previsti nel
Piano”), la norma in commento dimostra che il solo provvedimento autorizzatorio può
non essere sufficiente a “reggere” il carattere prededucibile normalmente
conseguente alla sua pronuncia.
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Ciò introduce un tema particolarmente delicato anche “ai giorni nostri”, cioè sotto il
vigore dell’attuale legge fallimentare: il tema della necessità o meno della verifica della
“permanenza” dei presupposti legittimanti il collocamento in prededuzione dei crediti
derivanti dai finanziamenti pur contemplati dal “Piano”, sotteso ad un “Accordo di
Ristrutturazione”, allorché la loro erogazione avvenga a distanza di tempo da quando quei
presupposti si sono prodotti.
16. Segue. Gli effetti degli scostamenti dei risultati della gestione dell’impresa o della
gestione della liquidazione rispetto alle previsioni del piano sotteso agli Accordi di
Ristrutturazione nel diritto vigente.
L’occasione dunque è propizia per estendere l’ attenzione alle conseguenze prodotte, in
diritto vigente – con specifico riguardo all’argomento dell’effetto “premiale” della
prededuzione ai crediti derivanti dai finanziamenti qui esaminati (nonché degli effetti
“esentativi” pure previsti in loro favore) –, dalla constatazione del mancato
conseguimento dei risultati prospettati al momento del compimento degli atti “rilevanti”
(vale a dire della concessione delle autorizzazioni giudiziali che tali li rendono).
In linea di principio occorre affermare con decisione che certamente non per il solo fatto
della smentita dei risultati attesi è consentito mettere in discussione la “tenuta” degli
effetti “premiali” e degli effetti “esentativi” conseguenti alla concessione delle
autorizzazioni giudiziali funzionali a produrli (ovvero, per chi ritenesse di individuarne
degli esempi, della produzione dei presupposti di prededucibilità di tali effetti, che fossero
pur diversi da provvedimenti giudiziali – come potrebbe per esempio sostenersi per gli
“atti legalmente compiuti” considerati dall’art. 161, co. 7, l. fall. –). E’ vero semmai il
contrario: nel senso, che effetti premiali ed effetti esentativi sono disposti proprio per le
ipotesi di mancata evoluzione positiva della situazione di crisi, non essendovi
probabilmente necessità di protezione, e forse neppure di trattamenti di favore, allorché
la crisi risultasse superata o composta.
L’argomento merita di essere approfondito perchè i finanziamenti astrattamente idonei a
produrre crediti prededucibili (così come gli atti di disposizione dei quali si potrà mettere
in discussione la produzione o meno degli effetti attesi) possono intervenire in fasi diverse
della procedura di crisi, ed in tal modo richiedere o non richiedere accertamenti e verifiche
supplementari.
Con riguardo ai cc.dd. “finanziamenti-ponte” (art. 182-quater, co. 2, l. fall.) la produzione
dell’effetto premiale del collocamento in prededuzione dei crediti relativi è condizionata
alla circostanza che la stessa “sia espressamente disposta dal provvedimento con cui il
tribunale accoglie la domanda di ammissione al Concordato preventivo ovvero l’accordo
sia omologato”. Pronunciato che sia tale provvedimento, i finanziamenti interessati sono
destinati a produrre crediti prededucibili – a parere di chi scrive – quali che siano le
evoluzioni successivamente registrate dalla “procedura”. La conclusione appare
incontrovertibile per i finanziamenti che abbiano rivestito la forma tecnica del “mutuo”
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(cioè abbiano dato corso alla immediata erogazione dell’importo finanziato): ma non
dovrebbe mutare di segno anche per i finanziamenti resi disponibili secondo forme
tecniche differenti, finanche quelle caratterizzate da atti di esecuzione differiti nel tempo,
quando pure vi fosse ragione di dubitare delle condizioni economico-finanziarie sulla
base delle quali fu disposta la prededuzione (come potrebbe essere il caso dei
finanziamenti da erogare “a stati di avanzamento lavori”, cioè in corrispondenza della
progressione delle opere finanziate).
Occorre peraltro precisare che il carattere temporaneamente circoscritto di tale fase
difficilmente porrà all’attenzione del Tribunale finanziamenti diversi da quelli che si
traducono nella immediata erogazione di una somma di denaro.
Con riguardo ai cc.dd. “finanziamenti interinali attestati”, la prededuzione dei relativi
crediti é condizionata alla produzione di una “attestazione speciale” concernente la
ritenuta funzionalità “alla migliore soddisfazione dei creditori” (art. 182-quinquies, co.
1, l. fall.).
Tale collocazione preferenziale non può essere messa in discussione – a parere di chi
scrive – sino a quando la conclusione raggiunta dall’attestazione rimanga condividibile
secondo una valutazione ragionevole.
Diverso sarebbe se nel frattempo – prima cioè della concessione del finanziamento – i
presupposti dell’attestazione fossero venuti meno (in modo, evidentemente, riconoscibile,
o comunque una volta dimostratane la consapevolezza in capo al soggetto finanziatore).
A quel punto l’effetto dell’autorizzazione giudiziale pur a suo tempo concessa potrebbe
fondatamente essere messo in discussione, e confermato esclusivamente (a non volere
pretendere un secondo vaglio giudiziale) da una attestazione confermativa della
funzionalità del finanziamento – pure in un contesto nel frattempo mutato – ad assicurare
“la migliore soddisfazione dei creditori”.
Per ciò che concerne i “finanziamenti alla procedura” – cioè quelli che, nella procedura
di Concordato preventivo, possono essere erogati nella fase che va dalla ammissione
all’omologa – la risposta alla domanda della perennità ovvero del carattere contingente
degli effetti “premiali” – in termini di collocamento in prededuzione dei relativi crediti –
attribuiti ai “mutui” (e finanziamenti in genere) dall’autorizzazione del giudice delegato
ex art. 167 l.fall. (combinata con gli effetti disposti dall’art. 111, co. 2, seconda parte,
l.fall.) dipende dal contenuto dei singoli provvedimenti autorizzatori: secondo che, cioè,
essi prevedano o non prevedano condizioni all’efficacia dei provvedimenti pronunciati, e
secondo che tali condizioni siano o non siano risultate (ovvero rimaste) soddisfatte alla
data dell’erogazione dei finanziamenti interessati.
Per ciò che concerne infine i finanziamenti “in esecuzione” dell’Accordo, ovvero del
Concordato preventivo (cfr. art. 182-quater, co. 1, l. fall.), la risposta alla domanda avente
ad oggetto le condizioni del mantenimento dell’attitudine del provvedimento
autorizzatorio a produrre effetti “premiali” (nonché effetti “esentativi”) in favore dei
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crediti derivanti dai finanziamenti (che si ritiene essere necessario siano stati precisati
come) funzionali a dare esecuzione al “Piano” sotteso all’Accordo, ovvero alla proposta
concordataria, deve forse seguire percorsi argomentativi diversi in relazione alle due
“procedure” 11.
Per ciò che concerne l’Accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l.fall. si pone anzitutto
come presupposto per l’applicabilità dell’art. 182-quater, co. 1, l.fall., ad avviso di chi
scrive (ma su questo avremo modo di ritornare), l’intervenuto “regolare pagamento” dei
creditori estranei (per l’intero importo ed entro i termini della “proroga legale” di cui al
primo comma dell’art. 182-bis l.fall.).
Accertato tale presupposto, occorre valutare se gli effetti (“premiali” e “esentativi”)
prodotti dal provvedimento di omologazione dell’ “Accordo” permangano
indefinitamente e conseguentemente risultino applicabili ai finanziamenti previsti dal
“Piano” qualsiasi cosa sia intervenuta nel frattempo: oppure se gli scostamenti
eventualmente registratisi (e, ovviamente, percepiti) tra omologazione ed erogazione
possano ingenerare dubbi su tale conclusione.
Le circostanze che:
A) la prededuzione (e anche la esenzione da revocatoria) non sia assimilabile al
“privilegio” attribuito al credito in considerazione della natura del rapporto che lo
ha originato;12 e
B) l’esecuzione dell’ “Accordo di Ristrutturazione” sia sottratta a qualsiasi controllo
giudiziale o finanche semplicemente indipendente (manca la sorveglianza di un
giudice delegato; manca il controllo di un commissario giudiziale; manca finanche
la previsione della necessità di una qualsiasi “Attestazione” di un esperto
indipendente – sulla permanente attualità, per esempio, delle assunzioni di varia
natura poste alla base del “Piano” –);
inducono a concludere che:
(i) l’intervento di scostamenti di rilievo nei modi, nei tempi, e nei risultati della
esecuzione del “Piano” possa privare il provvedimento omologatorio (per i
finanziamenti erogati in un momento successivo) degli effetti premiali ed esentativi
attesi;
(ii) il pericolo connesso a tale conclusione possa essere neutralizzato attraverso il
conseguimento di un aggiornamento della Relazione di Attestazione ex art. 182-bis,
11 Ferma sempre restando l’estraneità al tema della prededuzione dell’istituto del “Piano Attestato di
Risanamento”, che non ne conosce esempi – mentre per ciò che concerne i cc.dd. “effetti esentativi” è
ragionevole mutuare le conclusioni raggiunte nel testo per l’Accordo di Ristrutturazione, mutatis mutandis
–. 12 In questo senso Trib. Reggio Emilia, 22 marzo 2018, n. 1740.
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co. 1, l. fall. originaria, che confermi la “regolare” eseguibilità del “Piano” nei
termini originariamente rappresentati, nonostante gli scostamenti registrati (per
esempio, grazie alla preesistenza di adeguati “fondi-rischi”); e
(iii) l’accertamento della sopravvenuta ineseguibilità del “Piano” e della
consapevolezza degli scostamenti registratisi – con la conseguenza della
sopravvenuta inattitudine del provvedimento omologatorio ad assicurare gli effetti
premiali e gli effetti esentativi astrattamente previsti dalla legge per i finanziamenti
rivolti a dare esecuzione all’ Accordo stesso – possa essere condotto anche nella
sede della procedura concorsuale consecutiva nella quale si vogliano fare valere gli
effetti precisati13.
17. Gli effetti del mancato pagamento integrale dei creditori non aderenti nei termini
di legge.
L’art. 106, co. 2, lett. b) C.C.I. disciplina, come visto, gli effetti degli “scostamenti” nella
esecuzione del “Piano”, che lo rendano “manifestatamente inattuabile”. Il pensiero va, a
tale proposito, ai risultati economico-patrimoniali della gestione dell’impresa in corso di
“Piano”: e ciò sconta, in linea di principio, il passaggio di un certo lasso di tempo, e
comunque una analisi di squisito contenuto economico-finanziario-patrimoniale.
13 Per ciò che concerne la procedura di Concordato Preventivo la previsione della erogazione di
finanziamenti funzionali a dare esecuzione alla proposta concordataria può assumere particolare rilievo
allorquando ci si trovi di fronte ad un Concordato “in continuità aziendale” c.d. “diretta”.
In tale ipotesi, la prospettiva di una sicura prosecuzione della gestione dell’impresa, con ciò che comporterà
sull’inevitabile ricorso al finanziamento esterno (specie di natura bancaria), impone di circoscrivere la
prededuzione ex art. 182-quater, co. 1, l. fall. ai soli crediti derivanti da finanziamenti espressamente
previsti nel “Piano” concordatario (senza possibilità di estenderla a tutto l’indebitamento pur registrato in
funzione della prosecuzione dell’attività aziendale), ed enfatizza la esigenza di un effettivo monitoraggio
dei risultati della esecuzione della proposta accettata dai creditori ed omologata dal Tribunale.
Pare opportuno segnalare, a tale proposito, che in tema di esecuzione della proposta concordataria, l’art.
185 l.fall. prevede che il commissario giudiziale debba sorvegliarne l’adempimento, ed accertare (per poi
riferirne al giudice) “ogni fatto dal quale possa derivare pregiudizio ai creditori”.
Con specifico riferimento al Concordato preventivo “con continuità aziendale”, ma declinando un principio
che deve essere ritenuto comune anche al Concordato c.d. “liquidatorio”, l’art. 186-bis, co. 7, l.fall. afferma
poi che “se nel corso di una procedura” [di Concordato con continuità aziendale] … l’esercizio dell’attività
[d’impresa] … risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribunale procede ai senti dell’art. 173”.
Ciò implica la esistenza di un presidio sulla attuazione della proposta concordataria che postula – ad avviso
di chi scrive – che quando in funzione della sua “esecuzione” debba darsi corso (perché così previsto) ad
un finanziamento suscettibile di originare crediti destinati ad una collocazione in prededuzione (perché
riferibili al disposto dell’art. 182-quater, co. 1, l. fall.):
(i) il commissario giudiziale ne debba essere opportunamente informato; e
(ii) in mancanza di iniziative ostative del commissario giudiziale (e per esso del giudice, informatone
come previsto dalla legge) i crediti conseguenti all’erogazione dei finanziamenti non interessati da
interventi interruttivi della esecuzione della proposta concordataria debbano trovare collocazione in
prededuzione nell’eventuale fallimento successivo, senza possibilità di sindacato da parte degli Organi
fallimentari.
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Ma uno “scostamento” dal “Piano” è rappresentato, per definizione, anche dal mancato
pagamento integrale dei creditori aderenti nei termini di legge: perché ciò costituisce
forse (se non il principale, certamente) il primo obiettivo che l’Accordo di
Ristrutturazione deve conseguire.
A tale proposito il Codice della Crisi e dell’Insolvenza non contiene specifiche previsioni:
come non ne prevede la legge fallimentare vigente.
Le due discipline, del resto, sono – su questo punto – sovrapponibili: nel senso che per
entrambe lo “Accordo” deve comportare il pagamento dei creditori non aderenti:
(i) in misura integrale, e
(ii) non oltre i termini di legge (di 120 giorni dall’omologa, ovvero, se successiva, dalla
scadenza).
In argomento si ritiene di poter osservare quel che segue.
Come è noto, l’art. 182-bis l.fall. disciplina “semplicemente” taluni “effetti speciali” di
un accordo tra l’imprenditore in stato di crisi ed i suoi creditori (i “creditori aderenti”),
allorché le loro pretese superino il 60% delle passività complessive dell’impresa.
L’effetto vincolante dello “Accordo” per costoro deriva “semplicemente” dalla
circostanza di averlo accettato: né più né meno che se avessero accettato una proposta
avulsa dal procedimento in questione.
La presenza di alcuni elementi aggiuntivi (la percentuale di accordi raggiunti rispetto al
monte-debiti; la attestazione di un esperto indipendente) può consentire di integrare
l’accordo (o il complesso di accordi) raggiunto con i creditori (limitatamente a quelli
“aderenti”) con gli “effetti speciali” prodotti dalla omologazione giudiziale: effetti di
norma definiti come “effetti esentativi”, perché costituiscono una salvaguardia contro i
rischi dell’azione revocatoria e contro i rischi della responsabilità per i reati di bancarotta.
Secondo l’art. 67, co. 3, lett. e) l. fall., infatti, “non sono soggetti all’azione revocatoria
… gli atti, i pagamenti e le garanzie poste in essere in esecuzione … dell’accordo di
ristrutturazione omologato ai sensi dell’articolo 182-bis…”; e secondo l’art. 217-bis l.
fall. “le disposizioni di cui all’articolo 216, terzo comma, e 217 (bancarotta preferenziale;
bancarotta semplice) non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiute in
esecuzione … di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo
182-bis… “.
A tali “effetti speciali” di natura “esentativa” è destinato ad aggiungersi, per i crediti
derivanti dai finanziamenti di cui agli art. 182-quater e 182-quinquies l.fall., l’effetto
speciale di natura “premiale” rappresentato dal collocamento in prededuzione nel
concorso con gli altri creditori dell’imprenditore in stato di crisi (comprensivo, come è
noto, dello stato di insolvenza).
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Tali “effetti speciali” possono rappresentare fonte di gravi pregiudizi per i creditori non
aderenti: per un verso, a causa della impossibilità di vedere ricostituito il patrimonio del
debitore comune attraverso l’esercizio delle azioni revocatorie nei confronti dei
pagamenti effettuati o delle garanzie costituite (stante l’ “effetto esentativo” spiegato, a
favore dei creditori soddisfatti o garantiti, dall’art. 67, co. 3, lett. e), l.fall.; e stante la
dichiarata ammissibilità - espressamente ribadita anche dai provvedimenti citati in
apertura - del compimento di atti di disposizione alterativi della par condicio
creditorum); per un altro verso, a causa della antergazione attribuita ai crediti per
finanziamenti erogati in funzione dell’omologazione ovvero in esecuzione dello
“Accordo” (stante l’ “effetto premiale” spiegato, a favore dei finanziatori, dagli artt. 182-
quater e 182-quinquies l.fall.).
Da ciò la spontanea domanda su quale ratio governi questo assetto normativo, che senza
il ricorso al principio maggioritario – che allo “Accordo” ex art. 182-bis l.fall. è
dichiaratamente estraneo, come ben evidenziato dalla eccezione alla regola oggi
rappresentata dalla disciplina dello “Accordo con intermediari finanziari” di cui all’art.
182-septies – parrebbe imporre ad una serie di creditori (che potrebbero anche
rappresentare il 40% dei creditori complessivi) un doppio sacrificio: quello di dovere
subire contemporaneamente le conseguenze di un “lucro cessante” (la impossibilità di
vedere esercitate le azioni revocatorie altrimenti proponibili, nonché di vedere perseguiti
fatti di rilevanza penale, con le conseguenti possibili responsabilità anche risarcitorie); e
di un “danno emergente” (la postergazione del soddisfacimento dei propri crediti al
preventivo soddisfacimento dei crediti prededucibili per i finanziamenti erogati ai sensi
degli art. 182-quater e 182-quinquies l. fall.).
La ratio sottesa alla disciplina in commento può essere soltanto quella riferita alla
(presumibile o comunque presunta) indifferenza dei creditori non aderenti agli effetti
(quali che essi siano destinati ad essere) degli “Accordi di ristrutturazione” ex art. 182-
bis l. fall. Non a caso, del resto, riveste carattere centrale, nella disciplina dello “Accordo”
previsto dall’art. 182-bis, l.fall., la “attestazione qualificata” circa la “idoneità” dello
stesso “ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei” entro i termini dettati
dalla norma.
Tale conclusione era immediatamente ricavabile dalla versione originaria della norma, la
quale prevedeva che la Relazione dell’esperto attestatore si pronunciasse sull’attuabilità
dell’accordo “con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare
pagamento dei creditori estranei” – implicando la necessità di un soddisfacimento tanto
integrale, quanto puntuale, delle loro pretese –: ma non può ritenersi scalfita dalla
successiva previsione della “proroga legale” di 120 giorni, oggi contenuta nel primo
comma dell’art. 182-bis l. fall.
A parere di chi scrive, il “regolare pagamento dei creditori estranei” allo “Accordo” (nei
termini consentiti della “proroga legale” richiamata) costituisce una condizione legale
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della produzione degli “effetti speciali” dell’Accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis
l. fall. (tanto di natura “esentativa”, quanto di natura “premiale”).
Il vero problema, se mai, è rappresentato dal dubbio se tale “condizione” coinvolga anche
i (crediti derivanti da) “finanziamenti” già erogati – e sarebbe il caso della c.d. “finanza-
ponte” e della c.d. “finanza interinale”, che necessariamente precedono l’accertamento se
i creditori estranei siano o non siano stati soddisfatti “regolarmente” -; oppure coinvolga
soltanto i (crediti derivanti da) “finanziamenti” erogati successivamente alla mancata
verificazione della “condizione” (ovvero – per quanto si dirà in appresso –
dall’accertamento dell’impossibilità dell’avveramento). Per questa seconda ipotesi,
infatti, la conclusione negativa circa la permanenza degli effetti esentativi e degli effetti
premiali, pur ricollegabili alle disposizioni di cui all’art. 182-quater l. fall., non può essere
messa in discussione.
Nell’ipotesi in cui l’imprenditore, che avesse conseguito l’omologazione di un “Accordo”
ex art. 182-bis l. fall. – il quale prevedesse la erogazione di “nuova finanza” ai sensi
dell’art. 182-quater l. fall. -, non avesse provveduto al “regolare pagamento” dei creditori
estranei, non si creerebbero tanto (o comunque soltanto) i presupposti per una possibile
risoluzione dell’ “Accordo” – che rappresenterebbe comunque una iniziativa non
disponibile per i creditori estranei, che in quanto tali non costituiscono “parti” degli
accordi di ristrutturazione confluenti nel ricorso per l’omologazione ex art. 182-bis l. fall.-
; quanto piuttosto il presupposto della inettitudine dell’Accordo omologato a produrre
gli “effetti esentativi” e gli “effetti premiali” previsti dalla sua disciplina: e benché in
questa sede l’attenzione sia rivolta a considerare i presupposti di producibilità dell’
“effetto premiale” della prededuzione, ad uguale conclusione si dovrebbe pervenire
laddove si volessero considerare gli “effetti esentativi” dalla revocatoria (e dalla
responsabilità penale).
A parere di chi scrive tale conclusione non può essere messa in discussione per gli atti di
disposizione (pagamenti; garanzie; assunzione di finanziamenti) posti in essere
successivamente all’accertamento del mancato avveramento della precisata “condizione
legale”: vale a dire, successivamente alla scadenza del termine di 120 giorni (variamente
decorrente, secondo i casi indicati) senza che risultino integralmente soddisfatti i
creditori estranei.
Il mantenimento dell’efficacia “esentativa” e dell’efficacia “premiale” dell’Accordo di
Ristrutturazione sarebbe privo di giustificazione, in un contesto dal quale si dovesse
ricavare la “non-idoneità” ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei nei
termini dettati dalla norma (perché già scaduti inutilmente).
Conclusione, questa, dalla quale si ritiene lecito ricavare almeno due corollari:
(i) l’identità del risultato interpretativo raggiunto - contrario a riconoscere il
mantenimento dell’attitudine dell’Accordo a produrre effetti esentativi ed effetti
premiali, nei confronti di atti di disposizione da porre in essere, nell’ipotesi in cui
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l’avveramento della “condizione legale” del “regolare pagamento” (nel senso
chiarito) dei creditori estranei sia già diventato impossibile, essendo i termini di 120
giorni già scaduti -, anche fra l’ipotesi nella quale l’avveramento di detta condizione
risulti impossibile; e
(ii) la sostanziale necessità che per gli atti di disposizione posti in essere dopo la
scadenza dei termini di 120 giorni di cui all’art. 182-bis, co. 1, lett.a) e b) l.fall.,
per quanto previsti nel “Piano” sotteso allo “Accordo” come funzionali alla sua
esecuzione – e, quindi, come tali, astrattamente beneficiari degli effetti esentativi e
degli effetti premiali di cui all’art. 67, co. 3, lett e) l.fall. e all’art. 182-quater, co.
1, l.fall. – sia acquisita una “Attestazione” (con i crismi di cui all’art. 182-bis, co.
1, l. fall.) integrativa, avente ad oggetto l’accertamento dell’effettivo avveramento
della “condizione legale” di cui si è detto.
Si deve conclusivamente affermare, alla luce delle considerazioni sopra sviluppate, che
nell’ipotesi di mancato “regolare pagamento” dei creditori estranei all’ “Accordo” ex art.
182-bis l.fall., nell’eventuale “concorso tra i creditori” successivo, benché giudicabile in
ipotesi “consecutivo” (infra):
(i) i crediti derivanti da finanziamenti erogati in un momento successivo, benchè
risultanti “autorizzati” in quanto previsti dal “Piano” ed in quanto riconducibili
all’art. 182-quater l.fall., non sarebbero prededucibili; e
(ii) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere (sempre in un momento successivo)
in funzione o in esecuzione dell’“Accordo”, non sarebbero esentati dalle azioni
revocatorie (e da responsabilità penale).
Per ciò che concerne invece i crediti sorti da “finanziamenti” già erogati alla data della
scadenza (o delle scadenze) dei termini di 120 giorni dall’omologazione dell’Accordo –
o dalle scadenze contrattuali, se posteriori -, la risposta alla domanda circa la permanenza
o meno degli effetti esentativi e degli effetti premiali in ipotesi già prodottisi (in
conseguenza della verificazione dei presupposti di cui all’art. 182-quater, co. 2, l. fall. –
“finanza-ponte” la cui prededuzione sia stata “disposta” dal provvedimento di omologa -
; ovvero di cui all’art. 182-quinquies, co. 1 e co. 3, l. fall. – “finanza interinale” che sia
stata autorizzata dal tribunale -; o ancora dell’art. 67, o. 3, lett. e), l. fall.), la soluzione
opposta si fa preferire.
Nella perdurante efficacia dei provvedimenti giudiziali “autorizzatori” (il provvedimento
di omologa per la “finanza-ponte”; i decreti autorizzatori per la “finanza interinale” –
“attestata” ovvero “urgente” -), e della Relazione attestativa circa l’idoneità dell’Accordo
ad assicurare il “regolare” pagamento dei creditori non aderenti (nei termini sopra
precisati), l’erogazione di “finanziamenti” (come il compimento di atti di disposizione)
coerenti con i presupposti della produzione di effetti premiali (come di effetti esentativi),
non deve potere essere messa in discussione dall’eventuale evoluzione negativa della
situazione in un momento successivo: se così fosse – infatti – verrebbe da domandarsi
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quale sia la funzione della Relazione attestativa dell’esperto indipendente, e delle stesse
autorizzazioni (o “disposizioni”) del tribunale.
18. La “permanenza” della prededucibilità del credito nelle procedure esecutive o
concorsuali successive.
L’art. 9, co. 2, C.C.I. afferma un principio dai connotati indubbiamente innovativi, per lo
meno per ciò che concerne il diritto positivo: la “permanenza” della prededucibilità (quale
che sia il credito che ne benefici, e quale che sia l’occasione o il titolo che l’ha originato)
“…anche nell’ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali”.
Se manteniamo ferma l’attenzione sull’istituto dello “Accordo di Ristrutturazione”, non
rileva in questo momento la discussione se ad esso debba essere riconosciuta o meno
natura di “procedura concorsuale” – alla luce del progetto di riforma -, con quel che ne
può conseguire a proposito della prededucibilità dei crediti maturati “durante” il
procedimento (cfr. art. 9, co. 1, lett. e), C.C.I.).
In questa sede ci si domanda – invece – se, una volta assodato che un determinato credito
è caratterizzato dall’attitudine ad essere collocato in prededuzione – poniamo, perché
“così qualificato dalla legge”: art. 9, co. 1, lett. a) C.C.I. -, tale effetto “permanga” nel
corso del tempo, e possa prodursi anche in un contesto esecutivo diverso da quello nel
quale se ne sono prodotti i presupposti.
Come detto, secondo la norma richiamata “la prededucibilità permane anche nell’ambito
delle successive procedure esecutive o concorsuali”.
La prima particolarità è rappresentata dalla circostanza che una prededuzione prodottasi
nell’ambito di una “procedura concorsuale” – per esempio perché relativa ad un credito
sorto “durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore…
(eccetera)” – art. 9, co. 1, lett e), C.C.I. –, potrebbe vedere confermati i propri effetti anche
nell’ambito di una procedura esecutiva di carattere individuale – a tanto inducendo la
contrapposizione tra “successive procedure esecutive o individuali” – .
La seconda osservazione suggerita dalla norma considerata ha una portata molto più
ampia: perché investe il dubbio se la previsione in commento postuli, ovvero non postuli,
una consecutività tra la procedura nell’ambito della quale si sono prodotti i presupposti
della prededucibilità del credito, e le “successive” nelle quali tale caratteristica dovrebbe
essere fatta valere.
Certamente sarebbe bastato poco aggiungere alla disposizione [successive procedure
esecutive o concorsuali] l’aggettivo “consecutive”: ma ciò non è stato, e va seriamente
presa in considerazione l’ipotesi che il significato dell’omissione sia (o comunque possa
essere inteso in giurisprudenza) nel senso di prescindere da un rapporto di “consecutività”
tra procedure – ovvero tra “procedimenti” originari e “procedure” ad essi “successive” -.
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In tale ipotesi la prededuzione assumerebbe le caratteristiche di un privilegio generale
“universale”: ovvero di un “superprivilegio”, destinato a soccombere solamente di fronte
ai “diritti dei creditori ipotecari, pignoratizi o con privilegi speciali” - cfr. art. 103, C.C.I.
-.
Il fenomeno potrebbe essere considerato destabilizzante, anche in considerazione del
progressivo incremento delle fattispecie nelle quali la “qualità” della prededuzione viene
assegnata ai crediti ritenuti particolarmente meritevoli di tutela14.
Né l’innovazione prospettata è priva di profili di problematicità anche operativi.
Si assisterebbe infatti alla formazione, in occasione di una procedura “di crisi”, di
passività prededucibili “nel corso del tempo”, che avrebbero gli effetti di una riduzione
permanente del “patrimonio responsabile”: essendo una porzione del potenziale ricavato
dalle attività dell’impresa “prenotato” in favore dei (magari remoti) crediti prededucibili.
Né ciò basta.
La norma che il progetto di riforma della legge fallimentare vorrebbe introdurre, infatti,
non solo non precisa se la “permanenza” dell’effetto “preferenziale” della prededuzione
postuli, ovvero non postuli, un rapporto di “consecutività” con il procedimento e/o la
procedura, nel contesto della quale dovrebbe essere fatto valere; ma neppure precisa se
tale prevalenza debba rimanere circoscritta al rapporto con i crediti pregressi rispetto
alla nascita del credito favorito, ovvero sia opponibile anche ai creditori successivi.
Si tratta di interrogativi che si possono porre, e si sono posti, anche sotto il vigore
dell’attuale legge fallimentare per le “procedure” caratterizzate da una prosecuzione
dell’attività d’ impresa: e la considerazione delle risposte che hanno ricevuto potrebbe
essere di aiuto a risolvere i dubbi posti da un progetto di riforma che non ha inteso
affrontarli e scioglierli, in un modo o in un altro.
19. Segue. La “permanenza” della prededucibilità del credito nelle procedure
successive, secondo il diritto vigente. A) Successione di “procedure concorsuali”.
Come avremo modo di sottolineare, il Codice della Crisi e della Insolvenza non contiene,
tra le molte (venticinque!) definizioni declinate (art. 2), la definizione di “procedura
concorsuale”.
Continuerà quindi ad essere oggetto di discussione – ciò che non può certamente
contribuire alla “certezza del diritto”! – la natura giuridica dello “Accordo” ex art. 182-
bis l. fall. (domani, ex art. 61, C.C.I.).
14 Da ultimo v. l’art. 4, co. 2, l. 31 luglio 2017, n. 121, sull’assoggettamento a liquidazione coatta
amministrativa di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza, che attribuisce carattere prededucibile ai
crediti derivanti da anticipazioni del cessionario delle aziende bancarie ai Commissari liquidatori.
LA RIFORMA DELLA LEGGE
FALLIMENTARE E LE BANCHE
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Se allo “Accordo” venisse attribuita natura di “procedura concorsuale”, la “permanenza”
della prededucibilità di un credito derivante da un “finanziamento” erogato per
l’omologazione o la esecuzione dello stesso sarebbe subordinata, secondo la
giurisprudenza (fino ad ora) unanime, all’accertamento di un rapporto di “consecutività”,
inteso come “un fenomeno caratterizzato dal verificarsi a carico di un imprenditore di
una serie di procedure concorsuali, seguenti una all’altra senza soluzione di continuità,
a causa dell’incapacità delle prime di conseguire i rispettivi scopi istituzionali. La
sequenza delle procedure concorsuali viene intesa, nell’ambito della consecuzione e
della conversione di una procedura in altra, non come una semplice successione di
procedimenti, ma come la realizzazione di un’unica procedura concorsuale, nell’ambito
della quale le procedure progressivamente succedutesi costituiscono delle fasi, prive di
autonomia e di separata rilevanza; le varie fasi, quindi, assumono rilievo come
conversione, o trasformazione, di un procedimento in un altro (o in altri) senza uscire
dall’alveo di quella intesa, nella sua complessa unità, come procedura concorsuale di
carattere unitario”15.
In altre parole, il carattere prededucibile di un credito non può essere “conservato” a
tempo indefinito, per essere fatto valere in una procedura concorsuale finale priva dei
caratteri di continuità con quella originaria: giacché - chiarisce la giurisprudenza – “la
prededuzione non è una caratteristica del credito che lo accompagna da quando esso
viene ad esistenza sino alla sua definitiva estinzione, tratto che è invece proprio del
privilegio, ma è una qualità che produce effetti solo nell’ambito del concorso in cui il
credito stesso sorge (o eventualmente nell’ambito di quello ad esso legato da un nesso di
consequenzialità)”16.
20. Segue. B) Successione di una “procedura concorsuale” allo “Accordo di
Ristrutturazione” (nel diritto vigente).
Nell’ipotesi nella quale le (non irrilevanti) modificazioni proposte per la disciplina
dell’Accordo di Ristrutturazione non venissero giudicate sufficienti ad attribuirgli natura
di “procedura concorsuale”, sarebbe possibile trarre ispirazione dalle soluzioni oggi
proposte per individuare i presupposti della “permanenza” della prededucibilità,
formatasi nel contesto di un “Accordo”, in una procedura concorsuale successiva.
Tale procedura concorsuale può essere rappresentata tanto da un Concordato preventivo,
quanto da un fallimento (ovvero da una procedura di Amministrazione Straordinaria o
ancora di liquidazione coatta amministrativa, di diritto comune ovvero di diritto
15 Ex multis Cass., n. 7339/1990. 16 Trib. Reggio Emilia, n. 5563/2017 del 19 ottobre 2017; Trib. Reggio Emilia, n. 5616/2017 del 19 ottobre
2017; Trib. Reggio Emilia, n. 5631/2017 del 20 ottobre 2017; Trib. Reggio Emilia, n. 5796/2017 del 25
ottobre 2017. Vedi anche, in argomento, S. BONFATTI, Il finanziamento all’impresa in crisi, in La
continuità aziendale nelle procedure concorsuali (a cura di Ferro M., Pacchi S., Nonno G.M., Brogi R.),
Pacini Giur., 2017, p. 287-317.
LA RIFORMA DELLA LEGGE
FALLIMENTARE E LE BANCHE
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speciale)17: ma non può trattarsi di qualsiasi Concordato o fallimento (ovvero
Amministrazione Straordinaria o liquidazione coatta amministrativa). Deve, al contrario,
essere qualificabile come procedura concorsuale “consecutiva”, intendendo per tale
quella apertasi in conseguenza del mancato superamento (o della mancata composizione)
di quella situazione di “crisi”, che lo “Accordo” ex art. 182-bis l. fall. si proponeva di
superare (o di comporre): non, invece, di una situazione di “crisi” dai connotati non
riconducibili a quelli caratterizzanti la crisi originaria. Da questo punto di vista,
l’orientamento giurisprudenziale formatosi negli anni passati è pervenuto a risultati
interpretativi che nel complesso meritano di essere condivisi e confermati.
Nell’ipotesi di successivo Concordato preventivo (o fallimento, eccetera), “non
consecutivo” rispetto allo “Accordo” – perché originato da una situazione di “crisi” non
riferibile a quella posta alla base dell’Accordo omologato –, gli “effetti esentativi” e gli
“effetti premiali” non potrebbero prodursi. L’ “effetto premiale” della prededuzione, in
particolare, non potrebbe prodursi, poiché la prededuzione – come già detto - non
rappresenta una caratteristica del credito connaturato alla sua natura (come accade,
invece, per il privilegio), come tale invocabile in qualsiasi momento e in qualsiasi sede.
Ma anche ad ipotizzare un esito di segno contrario – cioè tale da comportare non già lo
sbocco dell’Accordo in un Concordato o in un fallimento, bensì il superamento della crisi,
anziché il suo stravolgimento in senso peggiorativo -, il risultato interpretativo non
cambierebbe.
Dovrebbe infatti rimanere ferma la conclusione che la prededuzione rappresenta il diritto
ad una collocazione preferenziale nel “concorso dei creditori”, originato da una specifica
situazione di crisi, che può produrre i suoi effetti soltanto nell’ambito di quel contesto.
Una volta superata (ovvero composta) la situazione di crisi nell’ambito della quale i
crediti prededucibili avrebbero potuto (e prevedibilmente dovuto) essere soddisfatti con
precedenza rispetto agli altri, ove ciò non sia avvenuto – per qualsiasi ragione –, non si
rinvengono presupposti atti a giustificare il mantenimento di tale prelazione, tanto più ove
si considerino le conseguenze che ne deriverebbero nei rapporti con i creditori successivi
al superamento o alla composizione della originaria “crisi” – per tale ragione non più
meritevoli di una collocazione in prededuzione -.
Il regolare adempimento delle obbligazioni assunte dopo il superamento (o la
composizione) della situazione di “crisi” non potrebbe essere impedito dalla perdurante
sussistenza di crediti (ex) prededucibili, perché il principio di adempimento delle
17 L’ipotesi di un “Accordo” ex art. 182-bis l. fall., seguito da una procedura di L.C.A. di diritto speciale
(in particolare, di diritto bancario e finanziario) è perfettamente plausibile, proprio in considerazione della
esclusione della natura di “procedura concorsuale” per ciò che concerne l’istituto dello “Accordo di
Ristrutturazione” (in caso contrario essendo esclusa l’accessibilità delle banche e degli intermediari
finanziari non bancari alle “procedure concorsuali” di diritto comune): in argomento v. BONFATTI, La
disciplina delle crisi delle imprese bancarie, finanziarie e assicurative, in BONFATTI-CENSONI,
Manuale di diritto fallimentare, IV^ ed., Padova, 2011, p.695 ss.
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FALLIMENTARE E LE BANCHE
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obbligazioni sarebbe ritornato ad essere quello connesso alla scadenza di ciascuna, non
già quello connesso alla loro natura. Per converso, la pretesa perdurante condizione di
“postergazione” dei crediti pregressi (rispetto ai crediti sorti da finanziamenti erogati in
funzione o in esecuzione dello “Accordo”), ne comporterebbe la posposizione anche ai
crediti non più qualificabili come “prededucibili” – in conseguenza del superamento o
della composizione della “crisi” -, perché nell’attesa del soddisfacimento degli (ex)
prededucibili, anche i crediti correnti dovrebbero essere regolarmente soddisfatti, sulla
base della considerazione delle rispettive scadenze.
Posto che, come detto, l’“Accordo” neppure apre un “concorso dei creditori”; e posto
che – come constatato – ciononostante gli artt. 182-quater e 182-quinquies l. fall.
ipotizzano una collocabilità dei crediti, derivanti dai relativi finanziamenti, in
prededuzione: la soluzione non può essere che quella di ammettere, e
contemporaneamente circoscrivere, la prelazione così assegnata a tali crediti all’ipotesi
di procedura concorsuale consecutiva allo “Accordo” in questione.
21. Segue. C) Il soddisfacimento dei crediti prededucibili nel concorso con i creditori
successivi (nel diritto vigente).
Anche nel diritto vigente manca la previsione delle modalità con le quali dare esecuzione
alle disposizioni che attribuiscono il collocamento in prededuzione ai crediti derivanti da
finanziamenti erogati in funzione, nel corso, ovvero in esecuzione di un “Accordo” [o
anche di un Concordato preventivo] nel momento in cui – poniamo, nell’ambito del
fallimento consecutivo finale – questi abbiano a dover concorrere con crediti sorti dopo
l’intervenuta omologazione della procedura di “Accordo” [ovvero di Concordato].
L’attribuzione della prededuzione ai crediti de quibus (quando ricorrano le fattispecie
sopra passate in rassegna, nelle quali si è ritenuto che tale effetto “premiale” debba essere
conservato) comporta la postergazione di tutti i crediti pregressi (tralasciando per ora, e
in questa sede, il problema dei crediti bensì pregressi ma assistiti da garanzie reali; e il
problema dell’applicabilità anche ad essi della regola contenuta nell’art. 111-bis, co. 3,
l.fall.) al preventivo soddisfacimento integrale dei crediti prededucibili.
Ove si ritenesse che i crediti prededucibili de quibus debbano trovare una collocazione
preferenziale, nel fallimento consecutivo finale, rispetto all’intero passivo fallimentare,
comprensivo dei debiti sorti dopo l’omologazione dell’Accordo [o del Concordato] – per
esempio, in funzione della continuazione della gestione dell’impresa –, si dovrebbe dare
luogo al soddisfacimento preventivo dei primi, e poi al soddisfacimento dei secondi in
concorso con i crediti pregressi18
18 L’idea che i crediti pregressi debbano trovare soddisfazione preferenziale sul patrimonio esistente alla
data dell’omologazione dell’Accordo o del Concordato, alla stregua di un “patrimonio separato”, pare di
difficile attuazione pratica (stante la prevedibile difficoltà di ricostruzione delle attività che lo
compongono), e risulta priva di qualsiasi supporto normativo - giudicato peraltro necessario laddove il
LA RIFORMA DELLA LEGGE
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Ove si ritenga invece – come a chi scrive appare preferibile – che la prededuzione ex artt.
182-quater, 182-quinques, 167 l.fall. riguardi il concorso dei finanziatori dell’Accordo,
[o del Concordato] con i (soli) creditori pregressi rispetto all’apertura di tali procedure, la
necessaria postergazione di costoro ai crediti così prededucibili ne implicherebbe la
postergazione anche rispetto a tutti i creditori successivi: perché i crediti prededucibili,
che si dovessero ritenere pur concorrenti con i crediti posteriori all’omologazione
(nell’ipotesi che non si ritenga che debbano essere anteposti anche a questi!), non
potrebbero avere trovato soddisfacimento integrale (come condizione per la
partecipazione al riparto dei crediti pregressi postergati) se non in concomitanza con il
corrispondente soddisfacimento integrale anche dei creditori successivi.
Risultando tale conclusione difficilmente accettabile – non avendo avuto a suo tempo i
creditori pregressi alcun elemento di valutazione su quale avrebbe potuto essere l’entità
finale complessiva dei crediti successivi all’omologa (diversi da quelli per i quali fosse
espressamente prevista la collocazione in prededuzione); e che nell’ipotesi qui presa in
considerazione sarebbero destinati a ricevere anch’essi un soddisfacimento preferenziale
rispetto all’indebitamento pregresso – , pare necessario dare esecuzione alla prededuzione
qui presa in considerazione attraverso una tecnica diversa da quella ricavabile dalla
semplice antergazione/postergazione di categorie di creditori.
Tale tecnica può essere rappresentata dall’ammissione dei crediti pregressi a concorrere
anch’essi nella ripartizione del ricavato dalla liquidazione fallimentare – quindi, insieme
ai crediti prededucibili (nel nostro caso, in quanto derivanti da finanziamenti erogati in
base alle richiamate disposizioni comportanti tale effetto “premiale”); ed insieme ai
crediti maturati successivamente in corso di esecuzione dello “Accordo”[o del
Concordato] - ma con attribuzione delle pertinenti quote di riparto ai titolari dei crediti
prededucibili, sino a soddisfacimento integrale.
Questa tecnica, che dovrebbe essere quella da utilizzarsi in via generale ogni qualvolta ci
si trovi di fronte a postergazioni (di norma convenzionali) a singoli creditori (ovvero a
singole categorie di creditori)19, richiama quella prevista dall’art. 62, co.3 l.fall., in
principio è stato ritenuto meritevole di affermazione: cfr. art. 12, co.3, ultima parte, l. n. 3/2012 (“Accordo
di composizione della crisi”); art. 12 – ter, co.2, ultima parte, l. n. 3/2012 (“Piano del consumatore”); art.
14-duodecies, co. 1, l. n. 3/2012 (“Liquidazione del patrimonio”) –. 19 Ricorre questa ipotesi nella fattispecie di postergazione convenzionale, pattuita tra i singoli creditori con
efficacia per c.d. “interna”. Il fenomeno è abbastanza ricorrente nei rapporti tra banche e soci di società di
capitali in cerca di nuovo sostegno finanziario. Le banche condizionano spesso la disponibilità a concederlo
alla condizione che i soci acconsentano alla postergazione dei propri crediti (derivanti, di norma, da
finanziamenti pregressi) rispetto al preventivo soddisfacimento integrale della “nuova finanza”. Si
comprende che in caso di assoggettamento della società ad una procedura concorsuale, la condizione del
preventivo pagamento integrale della “nuova finanza” bancaria assume la portata di una “postergazione
universale”, dal momento che al soddisfacimento integrale del passivo bancario può pervenirsi soltanto a
condizione di realizzare il soddisfacimento (altrettanto) integrale di ogni altra passività collocata nello
stesso grado (di norma, al chirografo). Tale effetto non corrisponde in nulla alla volontà delle parti, che
aspiravano a sacrificare il soddisfacimento dei soci al soddisfacimento integrale preventivo del solo passivo
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FALLIMENTARE E LE BANCHE
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materia di obbligazioni solidali. Anche in quel caso è affermato il principio che il
coobbligato solidale del fallito è “postergato” al creditore solidale, nel senso che “il
regresso … può essere esercitato solo dopo che il creditore (solidale) sia stato soddisfatto
per l’intero credito” – art. 61, co. 2 -: ma laddove tale risultato economico non sia
conseguibile con la semplice “postergazione” dell’esercizio del regresso al
soddisfacimento integrale del creditore preferito – il ché accade quando un credito di
regresso, sia pure parziale, è già sorto, e non può essere fatto valere che dal coobbligato
solidale escusso, laddove il creditore solidale può insinuare soltanto il credito residuo:
art. 62 -, il soddisfacimento preferenziale integrale del creditore solidale è perseguito non
già escludendo dal concorso il soggetto destinato ad un soddisfacimento postergato, bensì
disponendo che egli concorra con il creditore destinato ad essergli preferito, ma con la
previsione che “il creditore ha diritto di farsi assegnare la quota di riparto spettante al
coobbligato, fino a concorrenza di quanto dovutogli” (art. 62, co.3).
In tal modo i creditori pregressi risulterebbero postergati ai soli finanziatori dell’Accordo
[o del Concordato], giacché dopo che costoro avessero ricevuto soddisfacimento integrale
– anche con il concorso delle quote spettanti ai creditori pregressi – questi ultimi
continuerebbero a percepire e diventerebbero legittimati a trattenere quanto così
percepito.
22. “I finanziamenti-soci”.
Secondo il vigente art. 182-quater, co. 3, l. fall., ai finanziamenti effettuati dai soci (nei
limiti dell’80% per i soci “vecchi”; in misura integrale per i soci “nuovi”) si applica la
disciplina dei “finanziamenti-ponte” e quella dei “finanziamenti in esecuzione”
dell’Accordo. La norma è espressamente dettata “in deroga agli articoli 2467 e 2497-
quinquies del codice civile”.
La corrispondente previsione del progetto di riforma (art. 107, C.C.I.) si discosta dalla
norma attualmente in vigore, sotto i seguenti profili:
(i) concedendo il beneficio de quo ai finanziamenti-soci erogati “in qualsiasi forma,
inclusa la emissione di garanzie e controgaranzie” – quindi a tutela degli eventuali,
conseguenti diritti di regresso -;
(ii) estendendo il beneficio anche ai finanziamenti-soci cc.dd. “interinali” – cioè erogati
anche dopo il deposito della domanda di omologazione, ma prima del
provvedimento omologatorio -; e infine
(iii) limitando la deroga al codice civile alla sola disposizione dell’art. 2467, e non più
a quella dell’art. 2497-quinquies (forse supponendo che anche il finanziamento
bancario, non già dell’intero passivo societario. Deve allora ritenersi che la postergazione convenzionale
in questione comporti non già l’esclusione del credito del socio interessato dai riparti del ricavato dalla
liquidazione dell’attivo societario, bensì la attribuzione alla banca antergata – fino a concorrenza del
soddisfacimento integrale del credito antergato – delle quote di riparto spettanti al creditore-socio.
LA RIFORMA DELLA LEGGE
FALLIMENTARE E LE BANCHE
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della società esercitante il coordinamento di quella “in procedura” rientri pur
sempre nella nozione di “finanziamenti-soci”: laddove, in verità, il rapporto di
direzione e coordinamento potrebbe intercorrere anche con una società non
partecipata nel capitale sociale).
Ciò che deve essere segnalato con maggiore decisione riguarda però – ancora una volta –
“l’occasione perduta” di chiarire un dubbio interpretativo che da sempre accompagna la
disciplina “fallimentare” dei finanziamenti-soci.
Il codice civile, come è noto (art. 2467; art. 2497-quinquies), “sanziona” il socio che, in
una situazione di squilibrio finanziario della società, dia ai propri “apporti” la veste
giuridica di “finanziamenti” – aggravando in tal modo l’indebitamento della società -,
anziché la veste giuridica di “conferimenti” (a capitale) – che non produrrebbe il
fenomeno denunciato, rispetto ai creditori -.
La sanzione è semplice:
a) postergazione del credito, se – e finché – non pagato; e
b) “ripetibilità” del rimborso – se effettuato -, in caso di sopravvenuto fallimento
(entro i 12 mesi successivi).
La legge fallimentare, nell’ambito degli “Accordi” e del Concordato – invece –
“incentiva” il socio-finanziatore, attraverso:
a) la prededuzione del credito – se, e finché, non pagato -.
Nulla dice invece la legge fallimentare sulla “ripetibilità” del rimborso in caso di
sopravvenuto fallimento, se nel frattempo eseguito.
Né è sicuro che la risposta al quesito debba essere individuata nel disposto dell’art. 67,
co. 3, lett. e) l. fall., che esonera dall’azione revocatoria i pagamenti effettuati in
esecuzione dello “Accordo”. Si trattasse pure di un pagamento costituente un atto
esecutivo dello “Accordo”, non è affatto certo che l’azione di ripetizione prevista dal
codice civile coincida con l’azione revocatoria – se non altro perché (ancora) estesa al
“periodo sospetto” di 12 mesi precedenti la sentenza dichiarativa, laddove l’azione
revocatoria (fallimentare) presenta, trattandosi di “pagamenti”, una “portata” dimezzata
di soli 6 mesi (art. 67, co. 2) - : e se non coincidesse, la revocatoria non sarebbe
proponibile, ma la ripetizione sì!.
Precisare se la “deroga” al codice civile riguarda i soli finanziamenti-soci non rimborsati
(e quindi sottratti alla postergazione e “lanciati” verso la prededuzione), ovvero anche
quelli rimborsati, se coerentemente con le previsioni di “Piano” (ed in conseguenza di ciò
sottratti al rischio di “ripetizione”, quale che sia la natura – revocatoria o meno – di tale
istituto), avrebbe rappresentato – anch’esso – un contributo alla ricercata “certezza del
diritto”.
LA RIFORMA DELLA LEGGE
FALLIMENTARE E LE BANCHE
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23. Considerazioni conclusive sulla “natura” degli Accordi di Ristrutturazione.
Come detto, la discussione sulla “natura” degli “Accordi” ex art. 182-bis l. fall. – se siano
da considerare “procedure concorsuali”, oppure no – è stata recentemente risollevata da
diverse decisioni della Corte di Cassazione, non da tutti condivise, in dottrina, ed al
momento non esattamente seguite dalla giurisprudenza di merito20.
A parere di chi scrive, gli “Accordi di Ristrutturazione” non possono essere annoverati
tra le “procedure concorsuali”: o, se si vuole, alla pretesa appartenenza di tale istituto al
fenomeno della “concorsualità” non può attribuirsi una portata tale da ritenere applicabile
ad esso il principio dettato dall’art. 111, co. 2, l.fall. (nè quello dettato dall’art. 69-bis, co.
2, l.fall., in materia di “consecuzione” di procedure concorsuali).
Nella prospettiva di riforma della legge fallimentare, tuttavia, il problema interpretativo
dovrà essere nuovamente preso in considerazione. Come si è avuto modo di segnalare,
infatti, alla mancanza di una espressa qualificazione della natura giuridica dello
“Accordo” – non precisandosi cosa la nuova legge “fallimentare” intenda per “procedura
concorsuale “-, si contrappongono indici sintomatici di una rafforzata “ concorsualità”.
L’eventuale attribuzione anche agli “Accordi “ della incondizionata natura giuridica di
“procedura concorsuale “ comporterebbe tanto numerosi e tanto complessi problemi
interpretativi, da indurre a porsi (anzi: a ripetersi) la domanda, per quale ragione non sia
stata colta l’occasione riformatrice per abbandonare la strada, da sempre tormentata ed
incerta, dell’utilizzo dell’istituto della prededuzione, in favore del più banale – ma ben
più “collaudato” – istituto del privilegio (con l’intensità espressa dal “grado” che si
ritenesse di assegnargli), cui ben potrebbe essere assegnata la funzione di salvaguardare
i crediti derivanti da finanziamenti funzionali a sostenere l’impresa in crisi, in un
recuperato contesto di “ certezza del diritto “, perseguito ma al momento non conseguito.
20 Supra, nota n. 8