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Scuola Provinciale per le Professioni Sociali Insegnante: Elio Cocciardi La Relazione d'Aiuto DISPENSA per Operatori Socio-Assistenziali (OSA) ed Operatori Socio-Sanitari (OSS) Novembre 2015

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Scuola Provinciale per le Professioni Sociali

Insegnante: Elio Cocciardi

La Relazione d'Aiuto

DISPENSA

per

Operatori Socio-Assistenziali (OSA)

ed

Operatori Socio-Sanitari (OSS)

Novembre 2015

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La Relazione d'Aiuto dispensa per OSA e OSS

Indice degli argomenti

Indice ............................................................................................................................. pag. 2

Indice degli allegati ........................................................................................................ pag. 3

Introduzione ................................................................................................................... pag. 4

Verifiche: modalità e criteri ........................................................................................... pag. 5

1) La relazione d'aiuto ................................................................................................ pag. 7

1.1) Il maternage ............................................................................................................ pag. 8

1.2) Il contenimento ....................................................................................................... pag. 8

1.3) La direzionalità (ex direttività) ............................................................................... pag. 9

1.4) I bisogni primari: aspetti psicologici .................................................................... pag. 10

1.5) Le emozioni + (Schema Muscoli facciali) ............................................................ pag. 13

1.5.1) La tabella delle emozioni: I 2 errori che si possono commettere nel loro riconoscimento ....................................................................................................... pag. 19

1.5.2) Contenuto e sentimento in una comunicazione ........................................... pag. 21

1.6) La psicologia del malato: desideri, aspettative, timori, meccanismi di difesa ..... pag. 21

1.7) L'invecchiamento .................................................................................................. pag. 27

1.8) L'istituzionalizzazione .......................................................................................... pag. 29

1.9) La morte ed il morire ............................................................................................ pag. 32

1.10) Arte di aiutare ..................................................................................................... pag. 36

1.10.1) Le Fasi nella Relazione d'aiuto + (Schema) .............................................. pag. 36

1.10.2) Analisi di un caso ed Aree d'analisi ........................................................... pag. 40

2) Fondamenti di Teoria e Pragmatica della Comunicazione ................................ pag. 46

2.1) La comunicazione non verbale + (Schema) ......................................................... pag. 46

2.2) Gli stili comunicativi + (Schema) ........................................................................ pag. 51

2.3) Le funzioni della comunicazione + (Schema) ...................................................... pag. 53

2.4) Le regole della comunicazione ............................................................................. pag. 57

2.5) Rispondere al Contenuto, al Sentimento, al Significato ....................................... pag. 62

3) L'operatore ed il metodo ....................................................................................... pag. 64

3.1) La differenza tra Dato e Deduzione + (Tabella) ................................................... pag. 64

3.2) Descrizioni comportamentali e descrizioni non-comportamentali + (Tabella) .... pag. 65

3.3) Aspetti emotivi ed aspetti cognitivi nella Relazione d'aiuto ................................. pag. 65

3.4) Autosservazione ed autovalutazione dell'operatore .............................................. pag. 66

3.5) Le implicazioni parassite: Pregiudizio/Stereotipo/Generalizzazione/Categorizzazione ........................................ pag. 67

3.6) Le intenzioni dell'operatore e l'ascolto ................................................................. pag. 71

3.7) Interagire con le intenzioni dell'Altro ................................................................... pag. 74

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La Relazione d'Aiuto dispensa per OSA e OSS

4) Relazione d'aiuto e organizzazione ...................................................................... pag. 76

4.1) Il ruolo .................................................................................................................. pag. 76

4.2) Le dinamiche del gruppo di lavoro ....................................................................... pag. 77

4.3) Le dinamiche familiari ......................................................................................... pag. 79

4.4) PPO: Aspetti Personali, Riferiti alla Professione, nell'Ottica dell'Organizzazione .................................................................................... pag. 80

5) L'operatore ............................................................................................................. pag. 83

5.1) Le qualità dell'operatore ....................................................................................... pag. 83

5.2) Le Aspettative ed i Timori dell'operatore ............................................................ pag. 84

5.3) Le Credenze Irrazionali ........................................................................................ pag. 84

5.4) Il Brain-Storming interno + (Schema) .................................................................. pag. 86

5.5) L'etica ................................................................................................................... pag. 87

5.6) La rivoluzione dal basso ...................................................................................... pag. 88

Bibliografia ................................................................................................................. pag. 89

Indice degli allegati .................................................................................................... pag. 92

1. Ascolto (Cinese) ....................................................................................................... pag. 93 2. Funzioni del trainer nel brain-storming ................................................................... pag. 94 3. Le competenze trasversali ........................................................................................ pag. 95 4. PowerPoint: Analisi del Caso (Hohenbühel) ........................................................... pag. 97 5. PowerPoint: Persona Morente (Hohenbühel) .......................................................... pag. 98

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La Relazione d'Aiuto dispensa per OSA e OSS

Introduzione.

Dopo l'ultima versione (la quarta) della dispensa per OSA/OSS e dopo quella specifica per OSS del2010 prende qui forma una dispensa che unisce in un unico volume gli argomenti che, in parte incomune ed in parte separati, costituivano il corpo delle due dispense sopra citate. Pur essendo OSAed OSS, figure differenti in relazione al Ruolo che ricoprono ed essendo la Relazione d'Aiuto - cheessi, ci si augura, cercano di attuare - costituita dalle medesime Regole, caratteristiche ed obiettivi,è parso limitante voler utilizzare due dispense differenti per l'analisi della Relazione con l'Altro,dato che limiti alla relazione nella realtà non ve ne sono, se non i limiti nella chiusura – si speramomentanea - della nostra mente.Pertanto man mano che i vari Corsi delle lezioni proseguivano negli anni, emergeva sempre più laconsapevolezza e l'opportunità di unire gli argomenti, di eliminare qualche argomentazione un po'legnosa, di aggiungere aspetti non trattati e non da ultimo di correggere gli errori – talvolta dibattitura, talvolta nelle argomentazioni non del tutto chiare – che la fretta della prima stesurapresentava.Si cerca qui, ad esempio, di mettere gli allegati o gli schemi riassuntivi direttamente subito dopo leargomentazioni di ogni capitolo, mentre gli Allegati come corpo unitario a sé vengono collocati allafine del testo, a modo di riassunto complessivo.Si è sono lasciate – dove ritenuto opportuno – le Domande di Ripasso e le Esercitazioni alla fine diogni capitolo.

Infine un'annotazione: di Dispensa trattasi e non di un Manuale e pertanto vi si trovano qui ilimiti della completezza e i pregi – si spera – della sintesi.

Auguri agli studenti ed a chi vi si presta, di buona lettura e, soprattutto di buona pratica.

21 novembre 2015Elio Cocciardi

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La Relazione d'Aiuto dispensa per OSA e OSS

Verifiche ( scritte, orali, pratiche)

Possono avvenire con una o più delle seguenti modalità:

a) a1) Modalità scritta: ogni allievo analizza un caso in base alle quattro fasi della RDA (Raccoltadati/Valutazione degli stessi/Osservazione/Intervento): l’allievo deve decidere qualiinformazioni è utile avere, per quali motivi e descrivere come fare per ottenerle; deve inoltredire cosa è utile osservare, in quali ambiti e per quali motivi; deve dare la sua interpretazione,valutazione del caso unicamente in base ai dati in suo possesso ed infine deve fornire una tracciad’intervento;

a2) Modalità scritta: vengono date domande aperte/chiuse di teoria, alle quali bisogna risponderein percentuale variabile, citando degli esempi possibilmente di tipo professionale

a3) Modalità scritta: l'allievo descrive in modo comportamentale una situazione/dinamica,possibilmente legata ai Tirocini e ne analizza la dinamica stessa, in base agli aspetti più rilevantidi Teoria emersi in aula durante le lezioni.

b) Modalità orale: come la precedente, ma in questo caso la modalità è pubblica e può avveniresia individualmente, sia in gruppo;

c) L’allievo dovrà saper indicare e descrivere in modo comportamentale, Oralmente e/o perIscritto, situazioni della vita professionale ( tirocinio) che comportino l’utilizzo della teoriatrattata in aula o comunque presente in questa dispensa ;

d) Vengono inoltre valutate, dopo i Role playng, le capacità d’analisi di quanto successo nel RP enel video corrispondente, descrivendo al contempo i propri pensieri e vissuti. In altri termini lecapacità di autosservazione ed autovalutazione unite alla teoria svolta in aula applicata allasituazione concreta;

e) Dato che “non è possibile non comunicare” – compreso facendo lezione, sia come allieve/i checome docente – Le Interazioni che si svolgono in aula possono diventare di volta in voltariferimento di teoria e può venir richiesto al singolo allievo di trovare i riferimenti teorici diquanto succede in aula in quell’istante.

f) La classe si divide in gruppi di 5/6 persone. ogni gruppo sceglie un caso – in base alle proprieesperienze professionali o di Tirocinio – e definisce il luogo dove l´azione avviene, le personecoinvolte, i dati principali dell´anamnesi, come e´avvenuta l´azione nella realtà´.Quindi simula al resto della classe l´azione stessa.Compito dei compagni di classe è quello di individuare nel Role-playng i dati di teoria studiatiin aula.

g) Viene chiesto allo studente, verso la fine del ciclo di lezioni, di fare un'autovalutazione riguardoalle proprie modalità relazionali, sia rispetto alle qualità, sia rispetto ai punti critici, in un'otticaprofessionale e nell'ottica dell'organizzazione. (Lo schema di riferimento di base è quellocostituito dalle Competenze Trasversali/CT, presente negli Allegati della presente dispensa)

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La Relazione d'Aiuto dispensa per OSA e OSS

Importante/Fondamentale

Per quanto concerne la valutazione complessiva di fine corso della disciplina (RDA), essa vieneespressa in voti, che vanno dal 4.0 al 10, secondo quanto previsto dalla normativa provinciale.

Si rammenta che al fine del raggiungimento della valutazione minima sufficiente è comunquenecessario che l’allievo nel suo essere in classe esprima abilità comunicazionali che si fondino sulrispetto reciproco e che anche che le modalità agite nei conflitti/discussioni in classe rispondano aquesto criterio (vedi Stili Comunicativi); dato poi che la perfezione non è di questo mondo, nel casoin cui qualcuno dovesse trascendere verso un compagno/a ci si aspetta che la medesima personametta in atto a breve un’autocorrezione, in modo da ristabilire un clima interpersonale e di gruppopositivo: questa tematica è strettamente alle Competenze Trasversali ed in particolar modo alla CT 3(vedasi punto “g” del paragrafo precedente).

In altri termini è fondamentale in classe mantenere e cercare di mantenere comportamenti,linguaggi, toni tipici di un vivere sociale rispettoso ed educato, come d’altronde viene richiestonelle attività che la qualifica rilasciata da questa Scuola richiede.

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La Relazione d'Aiuto dispensa per OSA e OSS

Cap. 1

La relazione d'aiuto (Rda)

Nelle relazioni con soggetti che presentano disagio psichico si è visto l’importanza di figureprofessionali, che non siano solo lo psichiatra, ma ad esempio si è vista la funzione terapeutica(Cfr. 4/5 paragrafi sotto dove si parla dei tre (3) livelli di terapia) anche di altre figure professionalicoinvolte nella relazione col paziente ( OSS, OSA, educatori, animatori, esperti di terapieespressive, ergoterapisti, ecc). Il dolore, la solitudine, l'emarginazione, che caratterizzano lasofferenza psichica richiedono attenzioni e cure, le cui modalità comunicative legate alla stessaRDA si erano trovate, prima della legge 180, la legge Basaglia, in linea di massima all'interno dellamedicina, della neurologia e della psichiatria, dove la relazione con il paziente come personaavveniva all'interno di un paradigma di tipo prevalentemente, se non esclusivamente medico. E'quindi necessario/fondamentale ri-considerare la Relazione con l'Altro all'interno delle disciplinePsi, dove gli aspetti di coinvolgimento, di vicinanza emotiva, di coscienza e conoscenza teoricacriticamente ed autocriticamente fondata, di atteggiamento interiore, costituiscano il fondamentodelle dinamiche relazionali.

Come realizzare, quindi, un'efficace Rda che dia senso all'esistenza, nell'ottica prevista dall'OMS,cioè bio-psico-socio-spirituale? Acquisendo conoscenze/competenze sulle modalità relazionali,imparando dall'esperienza e, comunque ed imprescindibilmente avendo un atteggiamento interioredi ascolto e disponibilità: quest'ultimo aspetto non è immediatamente visibile, ma costituiscel'ossatura della Relazione; come in un iceberg, la parte visibile è la minore per grandezza rispetto aquella invisibile, dove quest'ultima – come nelle storia della Spiritualità sovrasta la parte visibile.

Vi sono sofferenze disperate negli esseri umani e, ciò che li può tenere psichicamente in vita perquel che riguarda il ruolo giocato dagli operatori, è legato alla propria riflessione teorico/critica edautocritica ed a operatori/operatrici/persone che vogliono guardare alla sofferenza umana inmodo ravvicinato per trovare modalità autentiche, genuine, fondate su capacità di continuariflessione ed autoriflessione per rispondere alle ferite del corpo, alle domande di sessualità nonrealizzate, alle offese alla dignità umana, al desiderio di essere dei soggetti il cui agire, parlare,esprimersi sia degno di considerazione e di ricerca di senso da parte dell'Altro.

A proposito di quanto si diceva poco sopra sul ruolo terapeutico dell'operatore, ci preme ricordarequanto affermato da Laura Cunico in “La comunicazione nell'assistenza al paziente” (in “Quadernidell'operatore socio-sanitario, QUOSS, pagg. 69-70, McGraw-Hill, 2002) dove afferma che“...nell'ambito sanitario, la relazione terapeutica non è da intendersi nel senso strettamenterogersiano, cioè una relazione psicoterapeutica. Si tratta invece di una quota “aspecifica”di unatteggiamento psicoterapeutico dell'operatore sanitario che si manifesta in un “caldo” interesseverso l'assistito”. Più oltre afferma, contraddicendosi un pò “Per poter meglio comprendere laqualità del rapporto prendiamo a prestito il modello di Lampronti e Ventura i quali, a questoproposito distinguono”:

a) una psicoterapia di livello uno, che consiste nell'instaurare un contatto umano e pertanto puòessere esercitata da chiunque;

b) una psicoterapia di livello due, che implica una comunicazione con pazienti che hanno difficoltàa comunicare; questo implica una preparazione specifica, anche se non specialistica (medico,infermiere, operatore socio-sanitario, educatore, assistente sociale);

c) una psicoterapia di livello tre, cioè un intervento tecnico specializzato, che richiede invece unapreparazione specifica in psicoterapia (psicologo, psichiatra).

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La Relazione d'Aiuto dispensa per OSA e OSS

Come operatori possiamo realizzare interventi di tipo uno e due. La conoscenza dei principi dellacomunicazione efficace (terapeutica) permette di comprendere meglio i bisogni psico-fisici deipazienti. Occorre che l'operatore sanitario sia adeguatamente preparato...senza cadere neltecnicismo. Di fatto sia l'improvvisazione che la volontà di voler essere tecnici a ogni costo sonodannosi alla comunicazione terapeutica (Marchi, pag.78)”

----------- Vi sono alcune modalità relazionali, alcuni atteggiamenti e comportamenti che possono favorire la relazione con la persona che manifesta un disagio psichico (ansia, depressione, delirio, confusione):una di queste è il maternage.

1.1) Maternage

E' l' insieme di cure materne, particolarmente quelle di una madre attenta e affettuosa verso ilproprio bambino.Racamier utilizzò il termine per indicare una tecnica di psicoterapia delle psicosi, volta a crearecon il paziente... una relazione simile a quella tra una buona madre e il suo bambino. ● Può anche essere intesa come modalità riparatrice, in casi di deprivazione relazionale,

emotiva, sociale, che miri all'appagamento dei bisogni fondamentali (cfr. Maslow)insoddisfatti della persona attraverso un reale e partecipato impegno affettivodell'operatore/operatrice o comunque di chi è in Relazione con essa nei vari momenti dellagiornata e/o nei vari ruoli agiti (padre, figlio, sorella, operatore, medico, infermiera, ecc.).

● Di fatto il maternage consiste – come fa alludere la parola stessa – prima di tutto in unatteggiamento amorevole, materno – nel luogo comune – che di fatto assomiglia molto davicino a quello che viene definito come amore incondizionato, cioè un atteggiamentointeriore, fatto di pensieri e sentimenti, per il quale la persona con cui ci relazioniamoassume per noi comunque una rilevanza amorevole, per il solo/semplice fatto diesistere.

● Gli atti concreti, attraverso i quali, tale atteggiamento si manifesta possono esseresintetizzati come i seguenti:

- toccare- sorridere - cullare- accarezzare- abbracciare- accompagnare- guardare negli occhi- rimanere in silenzio- …...

Come si vede e come si vedrà nel capitolo (3) al paragrafo (3.7) stiamo parlando qui del Cosal'operatore può fare nel Maternage, mentre si sa che la Relazione è basata sul Come l'operatore fao dice le cose.

1.2) Contenimento

Funzione eminentemente materna, intesa come modalità attinente al Ruolo agito e non comepersona necessariamente di sesso femminile, volta ad offrire alla Persona frustrata da dolorifisici, pensieri negativi, emozioni di difficile gestione (paura, rabbia), relazioni sociali ridotte,nulle o non appaganti, con un'immagine di sé svalutante - una Relazione rassicurante,

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La Relazione d'Aiuto dispensa per OSA e OSS

contenitiva, un ospizio/ospitante per poi ripartire nelle direzioni della vita e, ove questo non siapossibile, come spazio uterino accogliente. Il prototipo fisico del suddetto contenitore èrappresentato dal tenere tra le braccia il bambino/l'Altro proteggendolo e avvolgendolo.Winnicot chiama questa funzione, di holding, che significa letteralmente "sostegno" e la definiscecome capacità di fungere da contenitore delle angosce del bambino. Lo holding è la capacità dicontenimento della madre sufficientemente buona, la quale sa istintivamente quando interveniredando amore al bambino e quando invece mettersi da parte nel momento in cui il bambino non habisogno di lei. Tale capacità è possibile non solo nella Relazione madre-bambino, ma in ogniRelazione duale ed in particolar modo nella relazione Helpher/Helpee. (vedasi Carkhuff).Colui/colei che contiene può diventare l'ambiente, una qualche “ecologia comunicativa” checontribuisce allo sviluppo dell'Altro “...attraverso il contenimento delle braccia, delle mani, delcorpo, che favorisce una sensazione empatica, pervasiva, tale da divenire il sentimentofondamentale di essere compreso emozionalmente, tenuto insieme; il bambino piccolo cade a pezzise non viene tenuto insieme e, in queste fasi, le cure fisiche sono cure psicologiche” (Winnicott, Ibambini e le loro madri, 1987).Il contatto fisico conduce perciò a quello psichico, che è portatore di comprensione psicologica aopera di una madre – o comunque di una figura simil/equivalente - sufficientemente buona, che ècolei che soddisfa anche i bisogni relazionali del neonato. È essenziale quindi che la mammatrasmetta, attraverso tale azione fisica, significati affettivi profondi; attraverso il contatto vengonocostituite le basi per il successivo sviluppo della capacità di esser solo (Dalla pediatria allapsicologia, 1958), che consiste nell'imparare a essere soli avendo dentro di sé una presenzaconsolante. Inizialmente, viene appresa in presenza della madre, ma è solo nel momento in cui sisviluppa tale capacità di contenersi dall'interno che il soggetto è in grado di opporsi alladisgregazione della personalità, sempre pronta a sopraffarlo.

Le cure materne contengono quindi il germe vitale, indispensabile affinché si attivi nel bambino unsano sviluppo mentale. Al contrario, quando il bambino è stanco, triste, deve addormentarsi, èdeluso, è stato sgridato, quando cioè il suo rapporto con la realtà va oltre le sue possibilità disopportazione, si rivolge, secondo Winnicott, ai suoi oggetti transizionali (Gioco e realtà, 1971),che gli permettono di tornare nel suo mondo infantile interno.

Il concetto di contatto, e nello specifico il modello di contenitore-contenuto, è fondamentalenell'opera di Bion (1962). In particolar modo, amplia il concetto di sviluppo psichicoconnettendolo saldamente con quello fisico dell'individuo. Bion sostiene che alla nascita ilneonato vive l'importante perdita del proprio contenitore biologico (la cavità uterina) e di quellofunzionale (che soddisfa ogni bisogno fisico e psichico dell'embrione), necessitando quindiimmediatamente di un contenitore vicario: le braccia e, soprattutto, la mente materna.

1.3) Direzionalità (Ex Direttività)

La Terapia rogersiana, per antonomasia non-direttiva, fa da sfondo a questo tema che, trattatoall'interno di una dispensa, però, si pone solo il compito di fare una breve analisi per evidenziarecome vi siano situazioni di difficoltà del Paziente/Persona tali che, pur non essendo la Persona uninfante, un neonato o in fase pre-natale, purtuttavia è come si trovasse in una fase uterina – per iconiugi Balint “Area del difetto fondamentale” - nella quale esso ha bisogno di una “spintagenerativa” per uscire dallo stallo, da una situazione claustrofobico/claustrofilica: ha bisogno di una“Direzione”: è come quando ci perdiamo in macchina o a piedi ed, incontrando qualcuno, questi ciindica una direzione verso la quale possiamo sperare di trovare poi ciò che cerchiamo.La discussione sull’essere direttivi col paziente o non direttivi, potrebbe coincidere con quanto sidirà nel prossimo capitolo sugli Stili Comunicativi:- Tutto ciò implicherebbe una discussione sugli Stili Conversazionali che ci porterebbe lontano.- essere aggressivi col paziente e metterlo in una condizione di dipendenza da noi, in una

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posizione di passività o piuttosto essere assertivi.- In un'altra parte della dispensa si parlerà per attinenza della Funzione di controllo nella

Comunicazione.La “Direttività” consapevolmente esercitata, teoricamente e criticamente fondata può coesisterecon uno “stile assertivo”, dove il rispetto e la considerazione per l'Altro può anche avvenireall'interno di un contesto relazionale silenzioso.D´ora in poi la chiameremo “Direzionalita´”, nel senso di “dare direzione”, “Dare Orientamento”A noi preme sottolineare che, anche se apparentemente l’Essere Direttivi/Direzionali rimandanell’immediato ad uno Stile Aggressivo, con quel che ne consegue, di fatto vi sono delle situazioni,ad esempio con persone e/o pazienti disorientate, anche se solo in qualche frangente o solo perqualche tempo, in cui una qualche forma di direttività - una Funzione della Comunicazione mistaStrumentale/Controllo e allo stesso tempo di Riduzione dell'Ansia- di suggerimento su cosa fare,di accompagnamento, può risultare importante per affrontare una certa situazione ed anche perrisolverla, togliendo/riducendo alla persona la carica di ansia, magari forte che accompagna talesituazione.Come accennavamo poco sopra tutti noi conosciamo la situazione in cui una persona - che magariviene da un’altra città – ci chiede un’informazione: ognuno di noi, se ne era a conoscenza ha cercatodi fornire questa informazione, magari accompagnando la persona per un qualche tratto o addiritturafino a destinazione o viceversa è successo a noi di chiedere quell’informazione; il senso di sollievoche proviamo quando troviamo qualcuno che ci aiuta, è in quel caso molto forte e siamoriconoscenti di ciò al nostro improvviso informatore.Non dobbiamo dimenticare che chi manifesta disagio, ansia, angoscia come anche manie dipersecuzione non ha perso – nella maggior parte dei casi – un contatto totale della realtà, anzi neimomenti di lucidità che intervallano le allucinazioni o meglio che sono in compresenza con esse,riesce a conversare con noi con lucidità, descrivendoci ciò che sta vedendo o sentendo – pur con lacarica di angoscia che contraddistingue il vissuto di quell’esperienza. La richiesta di aiuto puòessere precisa del tipo “Accompagnami in Ospedale” o “Accompagnami da mia sorella” o magari,conoscendo noi la persona, possiamo suggerirne delle soluzioni, come quelle descritte.Situazioni simili possiamo trovarle con differenti tipi di pazienti con Alzheimer, col Parkinson oaltre patologie.

1.4) I Bisogni: aspetti psicologici

1.4.1 Definizioni: A. Maslow, A. Heller

Il bisogno può essere definito come uno stato di insoddisfazione che un essere umanoavverte in determinati momenti e in particolari circostanze.

I bisogni quindi sono direttamente connessi con l'individuo che li avverte in relazionedell'ambiente che lo circonda, e...

… pertanto nel corso dei secoli hanno subito significative trasformazioni.I bisogni si distinguono in: Bisogni primari e Bisogni secondari.Bisogni primari: Sono tutti quelli la cui soddisfazione è indispensabile per la sopravvivenzacome mangiare, bere, dormire sono bisogni avvertiti da tutte le persone.Bisogni secondari: Sono tutti quelli la cui soddisfazione non è indispensabile per lasopravvivenza per la persona come andare al cinema, ballare, leggere...

Abraham Maslow elabora una teoria del comportamento umano fondata sui bisogni, cioè di unostato di carenza psicofisica dell’organismo che spinge un soggetto ad un comportamento dicompensazione.Egli individua la seguente gerarchia dei bisogni:

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1. fisiologici (fame, sete, )2. di sicurezza e protezione3. di appartenenza (affetto, accettazione, identificazione)4. di stima, prestigio, successo5. di realizzazione di sé

Si può intuire che il bisogno di autostima è strettamente correlato a quello di affetto, accettazione eidentificazione.Si può capire come nell’assistenza a persone non autosufficienti o parzialmente autosufficienti ibisogni sopraelencati siano incrinati, o perlomeno fortemente, se non del tutto compromessi: incerte situazioni i bisogni fisiologici possono non essere soddisfatti o perché l’anziano non è in gradodi parlare o si esprime in modo poco chiaro o ancora perché l’assistenza è lacunosa, superficiale.I bisogni primari sono quelli fisiologici e sono quelli che garantiscono la sopravvivenza comel'aria da respirare, l'acqua da bere ed il cibo da mangiare.Secondo Maslow, una volta che l'individuo si è assicurato i bisogni primari e si sente protetto e alsicuro, può concentrarsi su altri. Successivamente la gerarchia dei bisogni di Maslow è stata adattatae rielaborata da altri autori, dato che la sequenza meccanicistica qui proposta, dimostra delle lacuneche non spiegano comportamenti umani, come ad esempio che possiamo rinunciare a mangiare perfare un ‘attività che ci interessa o ancora questo schema non spiega il perché i kamikaze rinuncinoalla propria vita; in altri termini perché rinuncino alla soddisfazione dei bisogni fisiologici, cherappresentano la base della vita, nel momento in cui sono messi in discussione l'auto-realizzazione ela stima di sé; anzi per un bisogno di appartenenza non soddisfatto e/o dove la protezione/sicurezzaè messa in discussione – si pensi ai campi profughi palestinesi – cedono la propria vita: sembra quiproprio il contrario: quando cioè i bisogni superiori sono negati, la persona tende a rinunciare anchea quelli inferiori gerarchicamente ed in definitiva alla vita stessa.Lo schema qui proposto è un classico della Psicologia, senza dubbio da modificare nel senso cheabbiamo descritto.A proposito di “bisogni” non possiamo perlomeno non accennare ad Agnes Heller che nel suo “Lateoria dei bisogni in Marx” fa un´articolata disamina dei bisogni, dei diversi tipi di bisogni ed alfatto che i bisogni sono “senza fine”.Quest'ultimo fatto ha un'enorme rilevanza educativa nel disastro educativo attuale che coinvolge siale famiglie, come pure la scuola così come le varie forme di “modeling sociale” che arrivano a noiattraverso le varie rappresentazioni televisive di “aggressività diffusa” alla fine condivisa dai varipartecipanti, che, col loro parteciparvi, alla fine la legittimano.Ciò non toglie che, se “i bisogni sono senza fine”, vale il detto che abbiamo da tener presenti “I noche aiutano a crescere”, titolo di un efficace testo educativo di Asha Philips (1999, Feltrinelli),che, dal punto di vista educativo, ci aiuta ed orienta a muoverci in un'ottica educativa dove il “tutto& subito”, dove il “voglio tutto” hanno da essere sostituiti con un principio di realtà.

1.4.2 La Stima personale

Introduciamo ora il concetto di Stima Personale, cioè della Valutazione che una persona dà di sestessa; cioè ad esempio: come sono? Sono intelligente, attraente, competente, fisicamente in forma,rispettabile, autorevole, amabile? E quanto? Un po’, abbastanza, molto? Più o meno di altri? Qualisono i miei punti deboli, e quali quelli forti? Dove posso aspettarmi il successo, e dovel’insuccesso?Chi ha bassa autostima, per esempio, mostra scarsa fiducia nella propria persona e nelle propriecapacità; si sente spesso insicuro, non è in grado di contare su se stesso e manifesta diverse paurelegate soprattutto alla propria percezione di inadeguatezza e incapacità.È importante specificare che l’autostima è un fattore dinamico che evolve nel tempo e subiscevariazioni anche notevoli nel corso della vita. Non si nasce con la giusta autostima, ma essa vapiuttosto coltivata, curata, alimentata.

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Una sana autostima si manifesta nella capacità di percepirsi e rapportarsi a se stessi in modorealistico, positivo, rilevando i punti forti e quelli deboli. Significa ammettere che c’è qualcosa chenon va, quando le circostanze lo richiedono. Una persona con una sana autostima non è perfetta, maal contrario di chi non si rispetta abbastanza sa come valorizzare le proprie abilità e capacità e cometenere sotto controllo i difetti e le parti del proprio carattere meno amate.La bassa autostima nasce da una discrepanza tra il proprio sé ideale e quello percepito. Il sé idealeè rappresentato da ciò che si vorrebbe essere, dalle qualità che si desiderano possedere. Il sépercepito è dato dall’insieme delle percezioni e delle conoscenze che conosciamo su noi stessi.Si tratta in sostanza di come ci vediamo e come crediamo di essere. Si vede quindi il legame trabassa autostima e disturbi d’ansia. La persona, in questo caso il fobico o il depresso, non è in gradodi affrontare le proprie paure, le quali finiscono per limitare la vita ed il suo normale corso. Si sentevittima incapace di reagire e la sua tendenza a svalutarsi è, troppo forte per permettere una reazione.In effetti, però la causa risiede in una percezione distorta e irrealistica di se stesso e di conseguenzadel problema che lo affligge.La prima cosa da fare per iniziare un percorso di miglioramento dell’autostima consiste nellavorare sulle proprie percezioni; si tratta di imparare a conoscersi meglio, analizzandoli propriomondo interiore. Nel farlo di deve essere obiettivi, magari facendosi aiutare da qualcuno.Il secondo passo riguarda il sé ideale. Si tratta di rivedere i propri ideali e le proprie ambizioni easpirazioni. Non è giusto nei confronti di noi stessi, porci obiettivi troppo lontani o difficili daraggiungere. E’ inutile e dannoso volere a tutti i costi qualcosa che al momento non siamo in gradodi avere. Un’altra tendenza di chi ha bassa autostima è di porsi traguardi irraggiungibili, per potersiin seguito crogiolare nella consapevolezza che non c’è nulla da fare per raggiungerli.In generale una bassa autostima influisce in modo negativo sui processi di apprendimento epiù in generale sulle prestazioni sociali.Dunque l’autovalutazione che è alla base dell’autostima può esprimersi comesopravvalutazione o come sottovalutazione per un’errata considerazione che ognuno puòavere di se stesso rispetto agli altri o rispetto alle situazioni in cui di volta in volta si trova adoperare.Come abbiamo visto Abraham Maslow elabora una teoria del comportamento umano fondata suibisogni e, si può intuire come nell’assistenza a persone non autosufficienti o parzialmenteautosufficienti i bisogni sopraelencati siano incrinati, o perlomeno fortemente se non del tuttocompromessi: in certe situazioni i bisogni fisiologici possono non essere soddisfatti o perchél’anziano non è in grado di parlare o si esprime in modo poco chiaro o ancora perché l’assistenza èlacunosa, superficiale (vedasi parte C).Esiste un test che è il TMA di Bruce Bracken che inquadra, (anche se riferito a bambini edadolescenti) i fattori che compongono l’autostima e che sono:

1. le relazioni interpersonali: o meglio la qualità dellerelazioni intrattenute con altri individui;

2. la competenza di controllo sull’ambiente: lacapacità di risolvere problemi, raggiungere obiettivi,influire sul proprio ambiente;

3. emotività: capacità di riconoscere, valutare,descrivere controllare le proprie reazioni emotive;

4. successo scolastico: può essere tradotto in successoprofessionale o forse in nulla nell’età della pensioneo in caso di persone non autosufficienti;

5. vita familiare: dove famiglia è da intendere comeogni individuo (padre, madre, nonno, fratelli, sorelle)dal quale si dipende per l’assistenza, la sicurezza,l’educazione.

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La somma di questi fattori dà un indice generale dell’autostima.

Per i nostri scopi è importante considerare l’opportunità, l’importanza fondamentale per chi faassistenza di poter essere in grado di modificare o di proporre di modificare l’ambiente fisico – incasa ad esempio – che può produrre qualche ostacolo alla vita dell’anziano ( ad esempio una docciasenza tappetino antisdrucciolo, una vasca da bagno senza maniglia per sostenersi o uno sgabello persedersi o ancora un tappetino esterno ben saldo).

Quindi dedicare la propria attenzione di operatrice alla:

1) cura del cibo, alla qualità degli alimenti, al loro gradimento per la persona, al momento in cuiessa preferisce alimentarsi, in quale luogo: cucina, soggiorno, a letto; su quale sedia; cosa preferiscebere, a quale temperatura, ecc.

2) curare che in casa non ci siano situazioni di pericolo: spigoli, tappeti, fornelli con gas o piastreelettriche, finestre aperte che procurino giro d’aria, ecc3) curare l’appartenenza al mondo degli esseri umani, delle persone, della persona nella suaindividualità: il tono di voce ed il volume non devono essere troppo elevati o trasmettere propri statid’animo non adeguati (rabbia, ansia, ): viceversa affetto, accettazione, con gesti armonici, con untatto delicato ed amoroso, dove ci sia la rassicurazione nelle proprie intenzioni, pensieri, statid’animo e sempre presente la loro consapevolezza, in modo da poter modificare in tempo reale ilproprio atteggiamento e le proprie modalità operative, ove queste fossero eccessive o con modalitàaggressive, come anche troppo disinteressate o disconfermanti;4) curare quindi la stima anche attraverso un abbigliamento vario e decoroso;5) curare la realizzazione di sé, quindi, anche attraverso la consapevolezza di desideri possibili odi possibilità ancora reali ( passeggiate, letture, andare al ristorante o comunque magari mangiareall’aperto, ecc.

1.5) Le emozioni

Tutti sanno che cos'è un'emozione fino a quando non si prova a definirla. Diciamo che, nellamigliore delle ipotesi, ciascuno sa cosa è per lui una certa emozione ma non é detto che un'altrapersona intenda esattamente la stessa cosa anche se usa la stessa parola...”Esistono ancora importanti differenze concettuali e metodologiche, tali da non aver reso ancorapossibile l'elaborazione di una teoria unificata delle emozioni. Secondo alcuni studiosi, leemozioni sono processi di tipo cognitivo (o comunque tali che la cognizione svolga un ruolocentrale). L'emozione consisterebbe in un processo in cui, alla percezione di un certo insieme di stimoli,seguirebbe una valutazione cognitiva che consentirebbe all'individuo di etichettarli e di individuareun determinato stato emotivo. A questo punto, seguirebbe la risposta emotiva, sia di tipo fisiologicoche comportamentale e espressivo. La sequenza è illustrata nello schema seguente e nel successivoesempio:

Esempio di processo emotivo.

- Il neonato evidenzia tre emozioni fondamentali che vengono definite "innate": paura, amore, ira.Entro i primi cinque anni di vita manifesta altre emozioni fondamentali quali vergogna, ansia,gelosia, , invidia. Dopo il sesto anno di età, il bambino è capace di mascherare le sue emozioni e dimanifestare quelle che si aspettano gli altri da lui.

A questo punto dello sviluppo il bambino deve imparare a controllare le emozioni, soprattuttoquelle ritenute socialmente non convenienti, senza per questo indurre condizioni di disagio

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psicofisico. Da tenere in considerazione che "Le emozioni possono interrompere le elaborazionicognitive in corso" e che quindi le abilità cognitive sono influenzate direttamente dallo statoemotivo: le emozioni incidono sulle intenzioni e, ad un livello più complesso, sul senso diautostima.Quante sono le emozioni? Attualmente, non c'è accordo su quali e quante siano le emozioni. Leemozioni fondamentali sarebbero quelle universalmente espresse ed identificate,indipendentemente dal contesto individuale e culturale, in contrapposizione con le emozionicomplesse. Le emozioni fondamentali sono state inizialmente proposte a partire dallo studio delleespressioni emotive (ad esempio le espressioni facciali) e dell'invarianza di queste rispetto ai diversiindividui e alle differenti culture. Diversi studi presentano variazioni più o meno grandi, mapressoché tutte contengono: paura, gioia, tristezza, rabbia, disgusto. La tabella seguente abbinaognuna di tali emozioni alle situazioni tipiche alle quali cui fanno riferimento:

EMOZIONE SITUAZIONE

paura presenza di un pericolo

disgustoreazione nei confronti di sostanze o oggetti potenzialmente nocivi

gioia affettività, raggiungimento di scopi

tristezza affettività, scopi non (ancora) raggiunti

rabbia aggressività

Alcune emozioni, quelle più complesse, sono i sentimenti quali l'invidia, l'amore o il senso dicolpa. Infine, le emozioni sono sempre caratterizzate dalla presenza di piacere o dolore. Quantesono le emozioni? Se ci si prova ci si renderà conto che non è facile determinarlo. Quale potrebbeessere un parametro efficace per l’identificazione delle emozioni di base? La conclusione dei moltiche hanno affrontato scientificamente questo tema è l’espressione del viso. L’espressione del voltonon è l’unico elemento che è stato preso in considerazione. Ma non c’è dubbio che l’espressionedel viso è l’indicatore più evidente delle emozioni provate da un individuo.

Guardiamo l’immagine qui sotto proviamo a etichettare ciascuna foto con un’emozione.

Ora possiamo andare alla pagina successiva e controllare le risposte.

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Siamo capaci di collegare correttamente l’emozione all’immagine che la rappresenta? Forsesi sarà notato un particolare importante e cioè che le immagini riproducono visi di personeappartenenti a etnie diverse e quindi la conclusione è – come dimostrato dagli studi di PaulEkman che le emozioni, quelle fondamentali, sono indipendenti dalla cultura e quindiinnate. D’altronde anche i neonati o i bimbi non vedenti dalla nascita, mostrano espressionitipiche riconducibili a queste emozioni. Ma tornando alla domanda di partenza. Quantesono le emozioni? Robert Plutchik e Nico Frijda, basandosi, oltre alle espressioni del volto,anche su azioni più ampie e segnali del corpo arrivarono a identificare otto emozionifondamentali: La classificazione di Plutchik è quella che ha resistito a molte verifiche sulpiano empirico.

Soluzioni: Espressioni ed Emozioni

Paul Ekman, che viene ritenuto il più grande esperto nello studio delle microespressioni facciali (siveda in “L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali” di Charles Darwin, Boringhieri,1999, a cura di Paul Ekman) distingue s ei/sette emozioni universali collegate ad espressionifacciali caratteristiche (vedasi figura poco sopra):

sorpresa

gioia

ira

paura

tristezza

disgusto/disprezzo.

Poco sotto abbiamo inserito alcune figure che indicano le posizioni dei principali muscoli mimici(che cambiano l'espressione del viso). Ciò al fine di meglio collegare il processo legato alle

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microespressioni facciali: la mimica facciale è ovviamente collegata ad un'anatomia ed a unafisiologia – chiamiamole sottopelle – di cui ciò che appare alla vista di un/a osservatore/triceattento/a, altro non è che un epifenomeno di un qualcosa che si svolge altrove - come abbiamo giàvisto – sia a livello emotivo, che cognitivo, che anatomico, sia fisiologico.

Fig.1 Muscolo zigomatico + massetere

(d) Muscolo quadrato del labbro superior e: La contrazione del muscolo quadrato del labbrosuperiore determina un sollevamento del labbro superiore e dell’ala del naso, dilatando le narici ecreando un’espressione di disgusto.(e) Sottorbitale: nasce dal sottorbitale e s’inserisce nella cure del labbro inferiore.(f) Angolare: situato nell’angolo che il naso forma con la guancia e s’inserisce nel naso.(g) Quadrato del labbro inferiore: La sua azione consiste nello spostare in basso e lateralmente illabbro inferiore, rovesciandolo.(h) Muscolo risorio: è appiattito e triangolare. Sorge presso la mandibola e s’inserisce nellacommessura delle labbra. Porta indietro e lateralmente la commessura delle labbra creandoun’espressione di riso forzato.(i) Muscolo triangolar e: è situato al di sotto della commessura delle labbra. Sorge dalla mandibolae s’inserisce nell’orbicolare della bocca. Porta in basso e determina un ‘espressione di tristezza.(l) Muscolo quadrato del labbro inferiore : è situato medialmente al muscolo triangolo. Prendeorigine dalla mandibola e s’inserisce nel labbro inferiore. Porta in basso il labbro inferiore e quandosi contrae si porta in avanti.(m) Muscolo mentale: s’inserisce nel mento, ne solleva la pelle e produce delle pieghe dandol’espressione del broncio.(n) Muscolo orbicolare della bocca: è un muscolo costituito dalle fibre dei muscoli cutanei checonvergono verso le labbra rendendo possibile la protrusione delle labbra come nel fischiare onello schioccare baci.

Da aggiungere che per quel che ci riguardai muscoli di principale interesse sono ilcorrugatore del sopracciglio, l'orbicolare dell'occhio, l'orbicolare della bocca, il buccinatore, ilmassetere (che non è però mimico), il muscolo procero...

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MUSCOLO BUCCINATORE

Fig. 2 Si osservano i muscoli della testa e del collo, il muscolo buccinatore viene evidenziato inrosso (Frank H. Netter, Atlante di anatomia umana, terza edizione, Elsevier Masson, 2007)

Nell'anatomia umana il muscolo buccinatore, è un muscolo che occupa la parte che va dall'ossomascellare alla mandibola. È considerato, assieme a quello orbicolare del labbro, un muscolomimico appartenente alla faccia.Avvolge parte della bolla adiposa del Bichat, ed è ricoperto in parte dal muscolo massetere . Durantela masticazione sposta il cibo dallo spazio compreso tra i denti e le guance, verso i denti per esseremasticato.

MUSCOLO PROCERO

Nell'anatomia umana il muscolo procero (indicato in rosso nella figura) è un muscolo della partesuperiore del naso. Si tratta di un muscolo mimico (che cambia l'espressione del viso), un fasciocarnoso sottocutaneo che mobilizza la parte molle del naso. Quando si contrae si mostrano alcunerughe vicino alla radice del naso. Inoltre è coinvolto nella tipica espressione dell'aggrottare lesopracciglia quando una persona riflette.

Fig. 3 Muscolo Procero

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Fig. 4 Muscolo corrugatore (ruga glabellare)

Formazione della ruga glabellare per effetto del muscolo corrugatore del sopracciglio. Vengono anche definite "rughe di disapprovazione",

Fig. 5 Muscolo corrugatore superficialis

Fig. 6 Muscolo orbicolare dell'occhio, M. corrugatore

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Fig. 7 Muscoli mimici visti anteriormente

1.5.1) La tabella delle emozioni: i 2 errori che si possono commettere nel loro

riconoscimento

Poco sotto troviamo in allegato la Tabella delle emozioni secondo il modello proposto da Carkhuff.

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Si possono notare somiglianze e differenze – nella prima riga in alto – nelle parole che le

definiscono con quelle indicate da P. Ekman come Emozioni universali ed e´ un esercizio che

invito a fare. In ordinata (in verticale) troviamo indicato il livello di intensità´ di ogni emozione,

suddiviso in “alto”, “medio” e “basso”, caratterizzato da una serie di parole/termini che ne

definiscono in dettaglio il significato soggettivo per ogni persona.

Possiamo ora aggiungere che, nel riconoscimento di un´ emozione in un dato momento, vi e´

purtroppo il rischio di commettere due errori, che sono quello di sbagliare (1) la categoria dell

´emozione, ad esempio confondere paura con rabbia e (2) il livello di intensità dell´emozione

stessa, ad esempio un livello alto con uno basso, confondere scoraggiato con disperato. Ciò può

produrre un errore fondamentale di insight ed in definitiva può costituire un “allontanamento” dalla

realtà soggettiva, cognitiva ed emotiva dell´Altro ed in taluni casi un vero e proprio dramma e

tragedia relazionale (vedasi ad esempio il caso de “La testa tagliata. Figlicidio e leuctomia. Un

processo storico a due psichiatri riformatori” , Toresini Lorenzo, Flaker Vito, Felc Joze, 2014, Alpha

& Beta), titolo di un libricino del Dott. Torresini, ex Primario del reparto di Psichiatria dell´ospedale

di Merano).

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1.5.2) Contenuto e sentimento in una comunicazione

In ogni comunicazione verbale e non verbale, vi e´contemporaneamente un aspetto di contenuto –

ciò´ che la persona dice/pensa – ed un aspetto relativo al sentimento corrispondente; quello che

potremmo definire il colore del contenuto. Vediamo poco sotto un facile e di tipo didattico, dove vi

sono alcuni stati d’animo e le rispettive aree di contenuto:

Sentimento Contenuto

Felice perché posso tornare a casa

Arrabbiato con l’operatrice, perché non mi risponde quando la chiamo

Preoccupato quando ho saputo che dovevano operarmi

Il problema e´ che nelle comuni interazioni, come ad esempio in quelle che presentano difficoltà´, lepersone solo poche volte si esprimono in modo chiaro; molto più´ spesso alla domanda “Come va”o “Come sta?” , la riposta può´ essere vaga; ad esempio (1) “Bene”, (2) “Ehhmm...la scuola...” ,(3) “A casa….”, (4) “Abbastanza...”, (5) “Un po´ preoccupato...”.

Nel primo caso (1) con “Bene” capiamo che lo stato d´animo rientra – a meno che non vi sianoaspetti para verbali che lo contraddicano – in una categoria di sentimento e contenuto positiva,anche se entrambe risultano espresse in modo vago; in (2) notiamo un´esitazione iniziale“Ehhmm...” con l´aggiunta di “...la scuola”: qui appare quindi il contenuto, che pero´ non e´espresso con dettagli ma in modo vago: sarà´ compito dell´operatore decidere se e comeapprofondire il tutto (Funzione di contatto sociale e di stimolazione); in (3) con la risposta “Acasa...” abbiamo ancora una volta l´espressione di un contenuto senza pero´ i dettagli di quest´ultimo; con (4) La risposta “Abbastanza...” e´ generica sia nel contenuto che nel sentimento:possiamo presumere che coinvolga entrambi gli aspetti e che sia un “misto” , un livello“intermedio” dal punto di vista del sentimento: il tutto e´ da approfondire; con (5) “Un po´preoccupato...” viene espresso un sentimento in modo tutto sommato preciso, senza pero´precisarne il contenuto.

E´ quindi importante riuscire ad individuare se l´ emozione sottostante l´ affermazione fatta dallapersona sia da ascrivere ad aspetti positivi, negativi o intermedi: ciò´ costituisce – talvolta/spessoanche in modo silenzioso – l´aggancio con l´Altro (Funzione di contatto sociale; vedasi le Funzionidella comunicazione).

1.6 La psicologia del malato:

1.6.1 desideri, aspettative, 1.6.2 timori 1.6.3 meccanismi di difesa.

La condizione di “malato”, nell'ottica anche adottata dall'OMS, cioè di un approccio chetenga conto sempre e contemporaneamente dei tre parametri bio-psico-sociale riguarda la

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persona nella sua interezza fisica, nelle ripercussioni emotive e cognitive – i pensieri cioè,che il paziente ha con le corrispondenti emozioni, riguardo alla malattia ed al suo decorso –e le Relazioni che la malattia produce, modifica in senso positivo o viceversa in negativo.

La malattia produce modifiche all'interno dei gruppi significativi per l'individuo(famiglia, parenti, amici, lavoro) ed in particolar modo nella famiglia.

La malattia produce anche una modifica di status (posizione sociale) dellapersona malata, in quanto da persona autonoma può divenire parzialmenteautonoma o anche del tutto dipendente da altri.

La malattia può produrre un senso di pericolo per l'integrità fisica e per lasicurezza personale (dolore, menomazione), per l'identità personale (modificadell'immagine di sé, perdita di autonomia e minaccia, riduzione o addiritturaesclusione delle proprie possibilità/capacità di auto-realizzazione), di pericoloper la vita (diagnosi di malattia incurabile) e quindi di minaccia di morte.

Quindi bisogni ed obiettivi insoddisfatti o addirittura negati possono portare a frustrazionecon conseguente rabbia ed aggressività se si manifesta esteriormente o viceversainteriormente con tristezza, impotenza, senso di inutilità.

Soprattutto nei casi di ospedalizzazione, di interventi chirurgici, di procedure diagnostiche onell'uso di farmaci invalidanti, il malato può esprimere in modo visibile a tutti, ma anche alcontrario nel silenzio di rassegnazione totale la propria ansia, depressione, angoscia legateall'incertezza della diagnosi o agli esiti dei trattamenti ai quali sarà sottoposto o deciderà disottoporsi : è compito del personale vedere questi stati d'animo, comprenderli, tenerli inconsiderazione e cercare di affrontarli col paziente e/o con i suoi familiari.

1.6.1 I desideri/Le aspettative.

Le aspettative del paziente, consapevoli e non, possono accavallarsi tra loro, combinarsi asentimenti, timori, in un turbinio che non ha la separazione in capitoli tipica dei manuali, dei testiscolastici ed anche di questa dispensa, dove i singoli aspetti sono analizzati separatamente con una –si spera - lucidità che troviamo nei testi scritti ma non nella realtà, dove dolore, ansia, desideri,analisi varie, esami, interventi chirurgici, visite mediche, medicazioni, terapie, visite di familiari econoscenti, tempi vuoti d'attesa, voci del personale che risuonano nelle stanze e nei corridoi, rumoridei carrelli in movimento, odori di medicamenti, di disinfettanti, di cibo: il tutto si mescola in unturbinio, dove il Sé e l'Alterità fuori di sé si mescolano in un indifferenziato, dove le “relazioniamorose” o meglio “Amorevoli” sono dei frammenti nei contatti col personale (medici, infermieri,donne delle pulizie,...) che per qualche attimo, nell'intervallo per esempio di una medicazione sonoattenuazione dal dolore (vedi sotto: (a)), uno sguardo o anche un cenno di comprensione per lamentistretti in gola e che fuoriescono trattenuti o anche urlati: un passare della mano su una parte delnostro corpo, esprimendo delicatezza, piuttosto che fretta e disinteresse o anche il pensierodell'operatore sanitario (medico, infermiere,...) o socio-sanitario o socio-assistenziale di essere inritardo, di avere ancora altri pazienti dai quali andare, di essere in ritardo sul “timing” previsto nelreparto o dal Servizio Domiciliare per quel tipo di intervento, che proprio in quel momento quellamedicazione che si protrae, causa in chi la sta facendo una “lontananza” dal paziente, non vi èRelazione ma Cosificazione: di fronte a noi non c'è una persona, ma un oggetto.

Proviamo a metterci ora dal punto di vista dell’helpee, ad analizzare, seppur sinteticamente, quelliche possono essere i suoi timori, aspettative, desideri.Carkhuff sostiene che ogni persona che ha bisogno d’aiuto si domanda in realtà, riferendosiall’Altro:

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La Relazione d'Aiuto dispensa per OSA e OSS

“Riuscirà a sentirmi chiaramente?”;

In altre parole si chiede:

“Potrà mai veramente capire chi sono io?”.

Se alle domande:

(a1) “E’ una persona disponibile nei miei confronti?”;

(b1) “Potrà mai capirmi?”;

(c1) “Potrò chiedergli le cose che più mi stanno a cuore?”

l’helpee risponderà affermativamente, in quanto gli è stata data la giusta attenzione edegli si sentirà a suo agio, è come se dicesse:

(a2) “Mi sembra una persona aperta nei miei confronti?”;

(b2) “Credo che lui/lei possa capirmi”;

(c2) “Mi pare di potergli chiedere quelle cose che mi stanno più a cuore”.

L’helpee, in fin dei conti, a prescindere dal titolo di studio posseduto: che abbia la terza elementare,la prima media o la laurea, capisce se il comportamento dell’helpher – nei suoi significati più ampi– è in sintonia con il suo. È quindi necessario per l’helper, non aver paura dell’intimità, condividerei contenuti cognitivi, i vissuti emotivi e non ha da temere la vicinanza fisica.

• Le aspettative del paziente sono quelle:

(a) di liberarsi dal dolore;

(b) di liberarsi dalla malattia e/o di ridurne le conseguenze negative;

(c) di essere accettato/amato: cioè il bisogno di ognuno di essere amato/a, di essere accettato perquello che è. Questa aspettativa è molto forte durante la malattia: ad esempio essere accettati ancheper le proprie lamentele, dubbi, manifestazioni aggressive e per i propri vissuti negativi in generale:cioè “anche quando non ci si comporta da bravi pazienti che si comportano bene e collaborano”(Laura Cunico);

(d) di poter condividere, di trovare nell'operatore/trice vicinanza fisica ed emotiva, comprensioneper le proprie sofferenze, dubbi, paure. Quest'aspettativa può anche non essere dichiarataverbalmente e/o non arrivare a livello di consapevolezza cosciente: in altri termini può configurarsicome “regressione”, cioè come meccanismo di difesa (vedi 1.5.3): in altri termini è avere di fronte asé una persona in carne e ossa – magari adulta – ma de facto è “come se fosse” in taluni aspetticome un bambino più o meno sviluppato, a seconda dei momenti della giornata e/o a seconda dellegiornate.

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1.6.2 I timori del paziente.

Possono essere legati:

1. alla paura del dolore, della sua durata ed intensità;

2. sia all'invasività degli esami , sia degli strumenti che dei materiali di disinfezione (adesempio i prelievi del sangue, le coronarografie, le iniezioni di liquidi di contrasto, le gocceper la dilatazione delle pupille, gli strumenti dilatatori delle vie urinarie, le ecografie transesofagee, le gastroscopie, l'alcool, l'etere ed al setting dove vengono svolti: ad esempio itunnel delle risonanze magnetiche e delle TAC (Tomografie assiali computerizzate), gliodori dei locali dove vengono svolti gli esami, gli odori dei materiali utilizzati (ad esempioi disinfettanti). Vi è inoltre il timore che i medici possano sbagliare.

3. La fantasia di essere puniti, di dover espiare qualche colpa o qualche condotta nonappropriata (alimentare, nello stile di vita) sia per fantasia/convinzione personale che subase religiosa. Questa fantasia può essere molto forte nel bambino e può associarsi ai dubbireligiosi ed assumere anche connotazioni più dirompenti e quasi kafkiane del tipo “saretepuniti per le colpe mai commesse”;

4. Paura di essere abbandonati, sentirsi abbandonati, sentirsi non considerati: ci sonoinfiniti modi di sentirsi abbandonati ed anche di esserlo concretamente e non sono ad unlivello di fantasia.

Ad esempio può avvenire che:

(a1) Il paziente possa essere lasciato in attesa a lungo i n una sala d'aspetto senza dargliinformazioni sul tempo previsto per tale attesa; lo stesso personale - medico e non – non sente lanecessità di dire ad esempio al paziente - che non si chiama così solamente perché deve averepazienza, ma perché soffre ((patio, pater,..(latino)) – che l'esame tarderà ad essere effettuato,spiegandone i motivi (vedasi “condividere”, poco sopra) ;

(a2) il p. venga lasciato solo sulla barella;

(a3) venga lasciato solo sulla barella dopo un intervento chirurgico in attesa di un portantino disponibile;

(a4) venga portato in barella dalla sala operatoria al proprio letto, con il portantino che urtapareti del corridoio non accorgendosi delle reazioni di sorpresa/paura di chi ad occhi semichiusisobbalza psicologicamente e non solo alla perizia di un novello guidatore di barelle chemanifesterebbe le medesimi attitudini anche sul circuito di Montecarlo, dove cordoli e guardrailcontengono l'irruenza dei guidatori;

(a5) venga lasciato sulla sedia a rotelle ad esempio fuori dal Pronto Soccorso dicendogli che loporteranno subito a fare degli esami ed invece attendendo per lungo tempo;

(a6) venga lasciato da solo s ul tavolo pre-operatorio prima di un intervento, dove magari sentei commenti dei chirurghi che stanno operando un altro paziente ed alimentando fantasie ;

(b) l'inserimento di un catetere, la cui non riuscita con il cambio di vari medici che si alternanonel tentativo, non venga accompagnata da nessuna spiegazione sul motivo di ciò e tanto-meno

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sull'allungarsi del tempo dichiarato precedentemente e necessario all'intervento, con l'angosciache monta perché un medico nel frattempo si lascia sfuggire la frase “se non si riesce così,bisogna perforare il rene”!!!

(c) il p. arrivi in Ospedale e non sia “accolto”, magari con semplici spiegazioni che possonoconsistere nel dire al paziente, che, ripetiamo può essere un bambino, dove è il gabinetto, qual'èil proprio armadietto dove mettere gli effetti personali, come fare a rivolgersi al personale per levarie necessità, dov'è la saletta TV, a che ora viene servito il pasto, l'orario delle visite: il tuttopuò anche essere detto alla madre del bambino, che a sua volta può avere un ruolo vicario su dilui (“Questo è il tema dell'accoglienza”);

(d) il p. alle 18.00/19.00 lamentarsi del dolore con un'infermiera, che a sua volta dice che“S'informerà” ed attendere fino al mattino successivo al cambio turno che arrivi un'altrainfermiera alla quale ripetere la lamentela e la richiesta di un antidolorifico, dove finalmentela risposta “M'informo dal medico e Le faccio sapere”, accompagnata poi da uncomportamento conseguente all'affermazione verbale.

Nota: gli esempi di cui sopra sono tutti accaduti ed il sottoscritto ne è stato testimone,talvolta come osservatore, tal altre come oggetto relazionale o semplicemente come“oggetto”: ovviamente nella realtà ve ne sono infiniti altri. Il compito qui non è come sidirebbe di “sparare sulla Croce Rossa”, cosa purtroppo troppo facile, ma di individuare leinfinite occasioni nelle quali l'operatore abdica al proprio ruolo o perché non vede ciò che glista intorno e che costituisce elemento portante della sua attività/mission o perché èaffaccendato a fare e non al come fare le cose: è cioè preso dal contenuto, dal “cosa fare” enon dalla Relazione, che è invece caratterizzata dal come una cosa la si fa o la si dice.

1.6.3 I meccanismi di difesa.

Passiamo ora a vedere attraverso quali modalità, il paziente/il malato si difende di fronte all'eventomalattia. Le modalità, come dice il titolo, sono i meccanismi di difesa, ben studiati già da Freud nel'800 in modo approfondito e che qui riprendiamo in quelli che riteniamo essere quelli più frequentie visibili.

Essi intervengono per proteggere l'Io, il centro cioè della propria personalità dagli stati di sofferenzafisica, psichica, emotiva, etica: il fine è quello di evitare/ridurre l'ansia o l'angoscia ad essi legati.

Trattiamo solo i principali meccanismi di difesa e cioè (1) la regressione, (2) la negazione, (3) laproiezione, (4) l'aggressività, (5) la razionalizzazione, (6) la formazione reattiva.

(1) La regressione è caratterizzata da comportamenti, vissuti, emozioni propri di periodiprecedenti dello sviluppo. Ad esempio (a) il bambino che ha da poco tempo cominciato acamminare, dopo che viene ricoverato in ospedale smette di camminare; (b) l'adulto che habisogno di essere imboccato, lavato, vestito, che abbisogna dell'aiuto altrui, torna suomalgrado ad una condizione infantile di dipendenza, dove il controllo sull'ambiente èlimitato.

(2) Nella negazione la realtà viene negata, data la carica di dolore, sofferenza, intolleranzache essa presenta. Con la negazione il paziente mette in atto una difesa, una protezione. Adesempio negando (a) la veridicità di una diagnosi, ad esempio letale, (b) la gravità di certi

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sintomi, (c) la presenza di una situazione relazionale familiare patologica: prenderne attocomporterebbe una presa in carico del problema ed una responsabilità personalenell'affrontarlo che il p. sente come ansiogena, come troppo impegnativa per le sue forze.

(3) La proiezione consiste nell'attribuire ad altri comportamenti, pensieri, desideri, paureche sono invece propri. Ad esempio (a) in una persona molto auto centrata e narcisista ilmondo gira attorno a se stessa, come (b) nel bambino, quando preso dal suo egocentrismoafferma che il sole, la luna, ecc. quando lui cammina lo seguono; nel bambino questicomportamenti sono presenti fino ai 3-4 anni, ma quando esso – l'egocentrismo - apparenell'adulto è un indice di difesa molto forte e di immaturità; se presenti in particolaricondizioni nel malato possono senz'altro essere indice di forte disagio ed ansia. Ad esempiopuò succedere che (c) la causa della malattia venga attribuita all'esterno e non al proprio stiledi vita.

(4) L'aggressività è una difesa molto forte ed è sempre legata ad una è frustrazione, cioè“ad una situazione interna od esterna che non consente di conseguire un soddisfacimento odi raggiungere uno scopo” (Dizionario di Psicologia, U. Galimberti), cioè in presenza diostacoli di difficile superamento reale o percepito. Ad esempio (a) il p. al quale è statacomunicata una diagnosi di malattia terminale può in seguito reagire con ostilità sia verso ilpersonale che lo accudisce che verso i familiari che vengono a trovarlo e innestando quindiun meccanismo di evitamento da parte di questi ultimi; (b) l'aggressività ad esempio di certiospiti/pazienti di case di Riposo o di Lungodegenza, che hanno ormai perso la pazienza,forse ormai consapevoli che quel luogo sarà la loro tomba, dove ormai la speranza è svanita,dove il percorso di avvicinamento al viaggio finale appare delineato da ritmi e modistandardizzati che non lasciano spazio alla fantasia, alla creatività ed all'unicità di ognipaziente/persona: in definitiva prima della morte effettiva appare già morta speranza equindi le modalità di reazione possibili rimangono la rassegnazione, la tristezza, il silenzio oviceversa l'aggressività come energia, come ultimo lembo relazionale con l'altro.

(5) La razionalizzazione consiste in un tentativo di spiegazione della realtà, la cuirisonanza emotiva interna viene negata - rabbia, tristezza, dispiacere a causa dicomportamenti altrui o di situazioni nelle quali ci si trova - per far posto ad una spiegazionedella realtà, che dimostra la saggezza di chi la afferma, l'adesione alla norma e ingabbiainvece le emozioni e suoi correlati emotivi: emozione e ragione invece di correre assieme sudue binari sono separate/scisse/divise in una visione inconsapevolmente schizoide dellarealtà, dove il comune sentire razionale/normativo viene accettato e permesso; viceversaviene negata/separata/scissa la parte emotiva: una volta gli schizofrenici venivano definitianaffettivi!!! A titolo di esempio (a) ad una persona che alla notizia della perdita di unaproprio caro comincia lentamente a lacrimare, un attimo dopo afferma che “è megliocosì...ha smesso di soffrire!” L'emozione in questo caso è stata soffocata/ingabbiataimmediatamente; Freud direbbe repressa e come tale con il bisogno di emergere allacoscienza e possibile fonte di sintomi nevrotici.

(6) La Formazione reattiva è un'idea, stato d'animo, che, in quanto inaccettabile vienetrasformata nel suo contrario: ad esempio (a) “il malato spaventato per l'esame endoscopicoda effettuare assume un atteggiamento spavaldo e scherzoso invece di manifestare timore”(citato in L. Cumino).

Gli operatori che si trovano ad affrontare pazienti in situazioni di difficoltà hanno da “allenarsi” ariconoscere questi meccanismi “sentinella” di disagio, quando essi non funzionano più da funzioneprotettiva “fisiologica”, ma diventano corazza che esclude le realtà esterna e si avvicinano quindi amodalità scisse di relazione col reale.

L'autostima si sviluppa e rafforza in un confronto col reale, non con l'esclusione di quest'ultimo.

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1.7 L'invecchiamento

L'OMS parla di approccio bio-psico-sociale nell'affrontare le tematiche della salute e riteniamociò corretto e funzionale al fine di considerare la persona come un tutto correlato.Gli aspetti organici, il decadimento delle funzioni fisiche da un lato, possono essere causa diun'autopercezione di sé, di un'auto rappresentazione negativa rispetto al proprio futuro, comed'altronde queste ultime, legate alla perdita di affetti (persone care, amici/che, conoscenti), che aloro volta possono produrre un decadimento fisico, in un circuito riverberante e crescente,entrando in un gioco senza fine, dove la speranza di un proprio futuro significativo siaffievolisce più o meno lentamente e progressivamente.La persona anziana/vecchia che entra nella terza età/...o nella quarta, dove tali classificazionigeneral/generiche trascurano quanto di individuale c'è in ogni semplificazione linguistica che,all'inizio si propone come modello della realtà e poi con l'uso delle definizioni medesimediventa realtà prescrittiva, normativa alla quale la persona..ops...il paziente deve conformarsi,per rispecchiare l'immagine sociale corrispondente e se, a sua volta si ribella a tale immagine,tale comportamento diventa a sua volta caratteristica peculiare dell'età, terza o quarta che sia efacilmente stigma.

Detto ciò la persona può presentare problematiche o disagi dovuti a vari motivi:

1. allontanamento dalla vita sociale, esclusione;2. conseguente solitudine;3. decadimento fisico;4. assenza dei figli o figli poco presenti;5. rete sociale poco presente o poco efficace6. mancanza di motivazioni per andare avanti,7. mancata o parziale elaborazione del lutto per la morte del compagno/a.

Le ricerche, come si diceva all'inizio

in ambito fisico sottolineano gli aspetti legati a modificazioni nella struttura e nelfunzionamento (fisiologia) del corpo;

in ambito sociale si occupano delle modifiche che intercorrono nella rete di relazioni dellapersona con la disgregazione di tale rete che, precedentemente e spesso riguardavano ilruolo preponderante di quelle inerenti l'ambito lavorativo, inteso perlomeno dal punto divista quantitativo e naturalmente dal punto di vista dell'investimento affettivo e che orapossono richiedere una rimodulazione ed un riallacciamento di altri luoghi di incontro (bar,circolo...) e persone, con la modifica di abitudini o con la rinuncia ad esse; i figli che hannoormai una vita propria

in ambito psicologico denotano come tutto ciò abbia ripercussioni nelle proprie emozioni epensieri; in poche parole la persona può necessitare di una ristrutturazione cognitiva chemagari può essere di notevoli dimensioni e fonte di ansia, irrequietezza nel nuovocambiamento di status al quale magari non è preparato; la perdita di congiunti ed amici;l'aumento del tempo libero che può diventare un tempo vuoto; la possibile e probabilediminuzione del salario.

A questo va aggiunto che nella cultura occidentale, sono valori assai radicati, l'esteriorità corporea,la salute che a volte arriva a dei veri eccessi (salutismo).

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Tutto questo non prepara l'adulto all'anziano che sarà.

Nella vecchiaia si possono riscontrare:

riduzione della memoria a breve termine, il numero delle informazioni immagazzinate diminuisce(normalmente sono 7 ± 2);

tempi di reazioni allungati, riconoscere uno stimolo, selezionare una risposta da mettere in atto edeseguirla risulta un compito sempre più gravoso;

irrigidimento delle membra e della psiche, ove vi è sempre più difficoltà a disimparare vecchieabitudini e a impararne delle nuove;

declino dell'intelligenza, è da imputarsi non tanto al progredire dell'età di per sé quanto ad un nonallenamento. Di fatto negli anziani le cause organiche possono portare spesso alla demenza.

L’anziano può diventare il peculiare rappresentante di una condizione di elevato impattosociale. Un vecchio necessita di medicinali, ha la salute più fragile, spesso non sa badare a se stesso.

Ma, in effetti il chiederci cosa è un anziano? In cosa differisce una persona anziana da unagiovane? Quali sono i fattori che portano all'invecchiamento, e cosa comporta l'essere vecchi inconfronto all'essere giovani? Esistono differenti gradi o diversi tipi di vecchiaia?La risposta non è semplice. Il filosofo americano Dewey, nel 1939, parla del paradosso che si vienea formare fra l'invecchiamento fisico, che porta alla morte, e la maturazione psicologica, che portaad una maggiore “pienezza” dei processi psichici.

È utile, infatti, distinguere tra almeno tre tipi di vecchiaia, come si diceva precedentemente:

una vecchiaia fisico-biologica, che comporta il deterioramento dei processi fisiologiciimmunitari, con la conseguente predisposizione a incidenti e malattie;

una vecchiaia psicologica, che comporta una maturazione dei processi psichici e unincremento dell'esperienza, con in alcuni casi una perdita di facoltà intellettive;

una vecchiaia sociale, che comporta un evolversi di ruoli durante tutta la vita: da studente, alavoratore, a pensionato, da figlio a padre a nonno.

Ognuna di queste tre “vecchiaie” ha la sua particolarità. - L’invecchiamento fisico-biologico ha un decorso più o meno standard, che può variare nei tempima non nei modi. Si può perdere la prestanza fisica in tempi differenti, ad una età cronologica più omeno avanzata, ma il procedere della decadimento fisico avanza più o meno allo stesso modo pertutti. La stessa cosa riguarda le malattie, che tendono ad essere tipiche di una certa età, dallagiovinezza alla vecchiaia. Inoltre il tempo biologico ha le sue misure che cambiano durante l'arcodella vita. Le due principali misure sono il ritmo circadiano (che scandisce il tempo fra il sonno e laveglia) e il ritmo metabolico. Secondo Birren [Birren e Cunningham 1985] con l'avanzare dell'etàpuò avvenire una de-sincronizzazione tra i vari “orologi biologici”. L'invecchiamento biologico sipuò quindi definire come una progressiva destrutturazione delle regolazioni ritmiche del nostroorganismo.

- L’invecchiamento sociale ha la proprietà di non essere per forza lineare. La sequenza figlio–padre-nonno non deve per forza essere attuata, o non deve essere attuata per intero. La stessacosa riguarda l’aspetto sociale del lavoro: la sequenza studio-lavoro-pensione può esseredistorta o spezzata a seconda della vita della vita del soggetto. Poco studio, molto lavoro e

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assenza di pensione caratterizza una frangia di lavoratori autonomi di basso livello, mentreall’opposto molto studio, lavoro e pensione caratterizzava, fino a qualche anno fa il tipico lavoropubblico.In questi ultimi anni e mesi il tema sia dell'età pensionabile che degli importi sta subendorispettivamente un aumento ed una diminuzione, con le ovvie ripercussioni psicologiche intermini di sicurezza, appartenenza, stima, auto realizzazione (Maslow docet).

L’invecchiamento psicologico è spesso suddiviso in due aspetti differenti: l’esperienzae i processi mentali. Questa suddivisione sottintende che queste due differenti funzioni sianoalmeno parzialmente indipendenti, e che questi aspetti possano, l’uno indipendentementedall’altro, restare attivi, aumentare o diminuire di prestazione. Il tempo psicologico, come quellobiologico, non è in funzione lineare con il tempo obiettivo.L'invecchiamento psicologico si commisura sul tempo percepito: attraverso il passare deltempo, l'individuo legge il suo passato e se tale lettura sia più incentrata sul passato o sul futurodipende da come la persona si rappresenta il proprio stato bio-psico-sociale ed in definitiva ilsuo invecchiamento attuale con le possibili potenzialità percepite e riconosciute, ma anche dacome percepisce gli eventi della vita che hanno contrassegnato il suo passato, cioè gliinsegnamenti ricevuti e condivisi, il sistema di valori, le figure significative che hannoattraversato la sua vita, le emozioni e le esperienze vissute, le crisi che la hanno contraddistintaed i modi per affrontarle, il loro superamento: il tutto diventa il proprio IO, l'interezza dellapropria persona ed in definitiva è ciò che il senso della propria esistenza.

Non tutti gli aspetti bio-psico-sociali dell’invecchiamento evolvono di pari passo; spesso unapersona cronologicamente anziana ma ancora attiva socialmente avverte disagio a seguito delpensionamento, o ancora una persona può non essere autonoma psichicamente pur non essendocronologicamente avanti con gli anni.

Questa suddivisione dell’invecchiamento in tre componenti porta a dei vantaggi e deglisvantaggi. Tra i vantaggi possiamo annoverare la maggiore semplicità nello studio dellavecchiaia, potendo concentrarsi in uno solo dei tre aspetti. Uno degli svantaggi è invece lacomplicazione della definizione globale di vecchiaia, che viene data dall’integrazione dei treaspetti sopra espressi.

- Una delle prime immagini dell’invecchiamento ci viene da Stanley Hall, che nel 1922[Hall, 1922] ha paragonato l’avanzare dell’età come la china della collina, e la vecchiaiain particolare come la parte discendente della collina stessa.- Nel 1988 Schroots propone una visione della vita molto più complessa rispetto a quella diHall. Schroots vede la vita come un albero, o più dinamicamente come un fiume. Questofiume ha una nascita, e una morte (nel mare), ma tra questi due estremi compie un percorsocomplesso, rafforzato da affluenti o indebolito da rami collaterali. Rispetto a quella dellacollina, la metafora del fiume è adatta per sottolineare la non linearità della vita, lacomplessità biologica e psicologica, e la diversità di ogni vita.

Ma esistono delle domande sulla vecchiaia alle quali è difficile dare una risposta: in cosadifferisce un vecchio da un giovane? Quando si è vecchi?E infine: è male invecchiare?

1.8 L'istituzionalizzazione.

Noi spesso diamo per scontato il mondo nel quale viviamo: la nostra casa, i nostri cari, ilnostro lavoro, i nostri libri, i luoghi che frequentiamo con i nostri amici, come trascorriamoil nostro tempo libero: tutto è nostro: gli oggetti a noi cari, gli odori che ci sono familiari, ipaesaggi che siamo abituati a vedere, i cibi che ci piace mangiare: tutto ci appartiene,

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appartiene al nostro mondo: il nostro nostro è quindi un possesso, un qualcosa che abbiamomesso dentro di noi, introiettato direbbe il Mister Freud.

Consideriamo quanto ci rammenta Ernesto De Martino nel “Il mondo magico”, dove parladella “presenza decisa e garantita”.Troppo spesso si dà per scontata la quotidianità, che ogni mattina ci permette di aprire gliocchi sapendo di essere in un luogo “amico”, circondati dai nostri oggetti, dalla nostrasveglia, il nostro tappeto e tutti quegli oggetti e soprammobili, che costituiscono il nostromondo casalingo e quindi familiare.Citiamo da un racconto:“Ricordo che fin da piccolo, per punirmi, mi mettevano in un angolovuoto, oppure mi privavano di qualcosa che ingenuamente consideravo prezioso e se pensoalla mia vecchiaia, a questa seconda infanzia, penso proprio che avrei timore delle stessecose…”

Il desiderio comune di abitare la stessa casa si rafforza con l’invecchiamento.

E’ riconosciuta a tutti i livelli, in presenza o in assenza di patologie specifiche, l’importanza della tranquillità psicologica che deriva da poter rimanere nel proprio

ambiente domestico, gli anziani vivono, guariscono, reagiscono meglio alla malattia e all'invalidità,se possono rimanere nelle loro case. Viceversa negli istituti si muore quattro volte di più che acasa.Anche per affrontare demenze gravi come l’Alzheimer, il tema fondamentale è quello di evitare ilricovero che oltre ad essere una specie di ghettizzazione impone costi elevati. E' opportuno investireinvece nell’adattamento delle abitazioni per consentire all’anziano un’esistenza priva di rischi epraticabile a casa propria.Tutto ciò ovviamente è legato alle politiche sociali che la Politica decide di privilegiare o alcontrario di escludere. E' risaputo d'altronde che se le Politiche Sociali ricevono incrementi diattenzione e fondi in periodi di crescita economica è altrettanto vero il contrario che in periodi diCrisi Economica i primi tagli avvengono proprio in quella direzione.

Si è visto che le condizioni base che permettono ad un anziano un’esistenza nella propriaabitazione per il maggior tempo possibile sono l'avere alle spalle un nucleo familiare forte,formato da figli e da una moglie, oltre ad un buon grado di istruzione e ad un relativo benessere: aqueste condizioni l' istituzionalizzazione può essere evitata o posticipata.. La stessa ricerca hadimostrato che una gran maggioranza di anziani preferirebbe una casa propria, indipendente daifigli.

Non si tratta di demonizzare l’Istituzione Casa di Riposo, vittima talvolta di pregiudizi e luoghicomuni, quanto di fornire una riflessione su quanto in realtà si sta facendo per promuovereun’alternativa a grandi strutture spersonalizzanti in cui tempo e spazio non sono più scanditi da unasveglia guasta ma da pranzo e cena.Un’ulteriore riflessione a proposito di una componente della vita da anziano di preminenteimportanza è quella inerente la solitudine: la differenza tra il “vivere da soli” e “l´essere/sentirsisoli”:

In sintesi vi e´ la solitudine di essere/vivere in una casa di riposo...

...mentre per gli anziani che vivono da soli, ma nella propria casa vi e la possibilità di gestirei propri tempi e i propri spazi e consente loro di decidere quando stare in mezzo agli altri equando ritirarsi dagli occhi del mondo.

Sembrerebbe non ci siano punti a favore della Casa di Riposo nel giudicarel’istituzionalizzazione dell’anziano, ma non è così.

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- Innanzitutto va considerata anche la cosiddetta “seconda vittima” della debilitazionedell’anziano: il caregiver che si occupa di lui a domicilio. Da una ricerca in regione risulta chenel 54% dei casi questa persona è il figlio e solo il 2% una badante di professione. L’89% deicaregivers ritiene che la propria vita sia peggiorata (52%) o molto peggiorata (37%), soprattuttoperché sono costretti a rimanere sempre a casa. Ben il 46% dei soggetti dello studio ha dovutorinunciare al lavoro e il 38% è dovuto andare in pensione anticipata.

Dai dati risulta che la motivazione principale per l’istituzionalizzazione è la complessitàassistenziale, cui non viene data risposta da parte dei Servizi Sanitari.

Le famiglie si sentono sole nel gestire questa situazione molto stressante, malgrado vi siasenso di colpa nella consapevolezza che non vi era un’altra scelta praticabile.

Durante le lezioni d'aula in questi ultimi anni è emerso che ad esempio in Perù, in Albania,in Romania, ma anche in Calabria, in Puglia e senza dubbio in altre nazioni - dove le case diRiposo sono quasi assenti o fatiscenti come servizi e come strutture – mettere un propriofamiliare in tale struttura corrisponde ad una riprovazione sociale enorme verso i familiariche attuano tali comportamenti, In Albania, ad esempio il figlio/la figlia più giovane ocolei/colui che non è sposato si occupa del familiare disabile; ancora a colui/lei che se neoccupa rimane l'abitazione stessa. Non si vuol fare qui della faciloneria, ma senza dubbio lastrutturazione delle relazioni familiari e sociali determina anche le modalità attraverso lequali si attua la presa in carico della persona non autosufficiente. Vi è da aggiungere chequeste modalità intrafamiliari stanno cambiando da quando i figli sono emigrati all'estero emandando del denaro nel loro paese d'origine riescono a far sì che la famiglia non sia la solaad occuparsene.

In conclusione sia l’istituzione, sia l’assistenza domiciliare dovrebbero continuare a svilupparepercorsi di miglioramento, abbandonando l’ottica di stasi degli ultimi anni, che vuole trasformarel’assistenza in una ripetizione predeterminata di azioni quotidiane.

Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare è necessario creare attorno all’anziano il tessuto socialeed una rete di relazioni significative. Questa è la direzione verso la quale si devono muovere ifinanziamenti regionali e statali. In quest’ottica gli educatori hanno la possibilità di svolgere unruolo decisivo nel mantenimento delle facoltà dell’anziano.

La riabilitazione non diviene fine all’anziano stesso, ma è importante anche per i familiari,perché consente loro di mantenere, nei limiti del possibile, un rapporto umano con il parente,senza contare il minor carico di lavoro.Nei riguardi delle case di riposo e nei centri d’assistenza in genere occorre far di tutto perchél’anziano si senta a casa, incentivandolo ad arredare la sua camera, a renderla viva.La CDR è insomma una struttura che va “colorata” in tutti i sensi, dai pavimenti (da una ricercarisulta che una tinta scura aiuta gli anziani a camminarvi meglio) ai soffitti (per anzianiimpossibilitati alla deambulazione osservare un soffitto scuro può deprimere).

Sempre da discussioni d'aula è emerso come una delle possibilità d'incontro tra le duemodalità di cui abbiamo testé parlato sia quella di costruire degli appartamentiindipendenti situati nello stesso complesso o in uno affine alla casa di Riposo, in mododa permettere un'assistenza efficace mantenendo al tempo stesso un'indipendenza eseparazione dell'anziano ancora parzialmente autosufficiente dalla struttura e dai suoiprocessi spersonalizzanti.

Sarebbe anche opportuno – invece di confezionare a tavolino progetti a freddo, mettereattorno ad un tavolo o più tavoli i vari soggetti, i caregiver, gli operatori provenienti dadifferenti ambiti culturali, facendoli discutere sui vari modi possibili non di risolvere il

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tema/problema, ma di affrontarlo, dove non ha da esserci necessariamente solo lasoluzione giusta, ma dove più soluzioni possono convivere, dove il mischiare leesperienze provenienti da differenti culture sia il valore aggiunto, attraverso un brainstorming che parta dal basso, dal fruitore, dal cliente come si dice oggi con infeliceespressione commerciale e magari dal cliente/fruitore/familiare/operatore, dove più ruolipossono essere giocati dalla stessa persona in un melting pot generativo in un'ottica diconsiderazione, rispetto e peso della persona/assistito.

1.9 La morte e il morire

Tema importante e controverso che mette a nudo i modi che la società ha, di affrontare la vita:ogni società, ogni Paese affronta – anche nella pratica quotidiana – questo tema in manieradifferente; basti pensare che in Italia la Diagnosi di malattia Terminale viene comunicata adun paziente su quattro, mentre ad esempio in Inghilterra ad ogni paziente.

In Italia il compito di comunicare la diagnosi appartiene al medico, deus ex machinadell'ambito sanitario e della medicalizzazione di altri aspetti dell'intervento e dell'interazione colpaziente, in un riduzionismo bio, dove confluiscono anche gli aspetti psico-sociali; in Paesidell'area germanica, ad esempio, il compito di comunicare la diagnosi è curato dal medicoassieme ad un operatore sociale di riferimento. Se proprio vogliamo ragionare in un'ottica disistema, dobbiamo cambiare prospettiva sul ruolo medico, che in questo caso non puòconfigurarsi solo come figura che aiuta a non morire, ma anche come figura che aiuta a morire.

Per il paziente “La concreta conoscenza che sarà una determinata malattia, in un dato periodo,a condurre a morte, annulla la rassicurante indeterminatezza di ognuno di noi sulla data e sullecause della propria morte e quella sotterranea convinzione delirante di immortalità che ci fapensare alla morte come ad un evento razionalmente di tutti, ma per meccanismi..., “solo pergli altri”.(idem, pag.125)

Il tabù della morte riassunto nella micidiale battuta di Woody Allen dove dice: “Una volta iltabù era sesso, ora è la morte...dal sesso al decesso” rende l'idea della situazione dove il tutto“si concretizza in un copione dove, ad esempio in ospedale, l'importante è mimetizzare,nascondere, isolare la morte, contenere al massimo i sentimenti, dove esternare il lutto è unamancanza di riguardo verso gli altri.( M. Barucci: “Trattato di psicogeriatria”, pag.117).

Sulle modalità del morire citiamo sempre il Barucci dove afferma “Difficile ed avvilente è,dunque il morire, per le sofferenze del dolore fisico, per la vergogna di mostrare la debolezza, ilnon controllo, per la delusione di una non presenza, di un gesto d'affetto mancato, per ilrimpianto di occasioni perdute, per il rimorso di errori commessi, la rivelazione che non c'è piùtempo per compensare e rimediare (Idem, pag.119).

Da un'indagine su oltre 700 anziani di Copenhagen risulta che il timore è concentrato più sullamalattia e sul dolore che sulla morte in sé: ci si augura infatti il “morire di morte naturale”(Sorensen H.K., 1988).

“Non c'è persona, (mio) per quanto decrepita, che non pensi di avere ancora da viverevent'anni” (Montaigne M.: “Scritti scelti”,1031): “Da queste osservazioni deriva la regola per ilmedico (?!...e non solo!!!) di lasciare sempre indeterminata l'epoca della morte . Anchequando si ritiene in coscienza necessario comunicare al paziente una diagnosi ed una prognosiinfauste, si deve cercare di non stabilire mai un termine preciso: meglio dire che la malattia può

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anche portare a morte in breve tempo, che di solito non lascia vivere per molti anni ecc..., inmodo da lasciare comunque indefinito il momento della fine e lasciare uno spiraglio per unaqualche speranza” (M. Barucci, ibidem, pag.125). “La speranza costituisce un aspetto fondamentale del vivere ed attinge a profonditàdell'esistenza che non sempre possono essere identificate razionalmente. E' comunenell'esperienza professionale del medico, la constatazione del persistere, apparentementeirrazionale, dello sperare, anche quando, all'esame lucido della realtà all'inesorabile logica delrilievo clinico, tutto sembra perduto” (Callieri B., Castellani A., De Vincentis G.”Lineamenti diuna psicopatologia fenomenologica”, Roma, 1972). Fa parte del compito dell'operatoremantenere questo aspetto vitale della speranza.

“E' quindi importante stare emotivamente vicini, instaurare un rapporto comunicativo nel qualenon venga mai meno l'atteggiamento di aiuto, cercare di indurre la speranza di poter vivereancora in modo significativo in relazione alla continuità della propria esistenza e, al limite,prospettare la speranza di poter affrontare serenamente la propria morte” (Barucci, idem,pag.126) ( Dove ciò è possibile e previsto dall'organizzazione socio-sanitaria e/o dalla rete dellerelazioni formali ed informali...mio) .“Di fronte ad un anziano che ci manifesta il suo timore della morte il suo timore della mortecon caratteristiche e intensità tali da turbarlo, da deteriorargli la vita, da assediarlo con unmentismo ossessivo, si deve cercare di far leva su quegli aspetti della sua personalità chepossono diventare sicurezze o almeno palliativi nei confronti della morte. Questa strategia è disolito più efficace di quella che si limita agli ovvi consigli generici di <non pensarci>,<disvagarsi>, <di stare il più possibile con i giovani>” (Skinner B.F.,Vaughan M.E., “Vivere benela terza età”, Sperling & Kupfer;1984).

“Per alcuni basterà la rassicurazione che morire serenamente è una conquista accessibile atutti, purché si sappia preparare per tempo” ( Antonelli F. “Per morire vivendo. Psicologiadella morte”,Città Nuova, 1981).“Il medico, quindi, non solo come figura che aiuta a non-morire, ma anche come figura cheaiuta a morire: a far sì che...nelle ore estreme ci sia il meno possibile di sofferenza fisica emorale”. (Barucci, op.citata).

“La morte in qualche modo è la testimonianza per il medico di una sconfitta e...la paura dellamorte si può nascondere nell'interventismo medico...messo in crisi il medico qualche volta sidifende fuggendo, liberandosi del paziente con manovre di trasferimento ( da casa all'ospedale,da un reparto all'altro,dall'ospedale a casa, ecc.)” (idem).

In questo lavoro parliamo spesso del medico e non dell'operatore socio sanitario: diciamo che ilriferimento bibliografico forte è il lavoro del Barucci; d'altra parte, pur nei differenti ruoliprofessionali, vi sono aree di competenza che si sovrappongono – per fortuna – dove non c'è enon ha da esserci la logica della separazione totale: come abbiamo già detto altrove, in paesidell'area tedesca, la comunicazione al paziente della diagnosi viene fatta dal medico assieme adun operatore di riferimento.Passiamo ora a quella che potremmo definire “la parte finale della vita” e, sempre col Barucci:

“Quando cessa l'indeterminatezza della morte, quando il malato sa che quella malattia loporterà alla fine, poco importa se tra una settimana, un mese o un anno, avviene in lui/lei unaforte reazione psicologica. La Kuebler-Ross l'ha studiata con oltre duecento interviste apazienti moribondi ed ai loro familiari...”

E' importante che il medico parli francamente...rassicurando allo stesso tempo anche lafamiglia che di solito si sente terribilmente impotente. Per il dottore questo è un compito

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estremamente delicato, infatti molte volte costui preferisce non parlare direttamentedell’argomento col malato, ma magari si limita ad informarne la famiglia demandando poi adaltri il confronto diretto.

Partendo da questa prospettiva la Kübler Ross ha inteso raccogliere testimonianze per ricavarnequello che lei chiama “l’insegnamento dei morenti”: è vero che i diversi malati reagiscono inmaniera differente a tali notizie a seconda della loro personalità, dello stile e del modo in cuierano vissuti precedentemente, ma ciascuno di loro con i racconti, le domande, le perplessità ole richieste più o meno esplicite di aiuto ha però contribuito negli anni a individuare dellereazioni tipiche, descritte nei suoi libri, che occorre conoscere e riconoscere per poter offrire unsupporto concreto.Le persone che usano il rifiuto come difesa principale useranno il rifiuto molto più ampiamentedi altri, mentre i malati che in passato hanno affrontato situazioni gravi con coraggio avranno lostesso atteggiamento nella situazione presente. Resta comunque importante imparare aconoscere un nuovo malato per poter capire le sue forze e debolezze.La Kuebler-Ross ha individuato varie fasi che possono essere così sintetizzate:

1) La prima reazione alla diagnosi infausta è un atteggiamento di negazione, di rifiuto,(“no, non a me”): questa avviene sia che il paziente conosca la sua reale condizione sianel caso in cui non sia informato esplicitamente ed arrivi solo più tardi a questaconclusione. Possono considerare la possibilità della morte per un po’ di tempo ma poidevono accantonare questa ipotesi per poter continuare a vivere e questo può essere inun primo momento positivo. In questa fase c'è spesso il ricorso ad idee alternative(“l'errore di diagnosi, gli esami scambiati, ecc.). Questa reazione attenua l'angoscia,dilazionando in qualche modo nel tempo il problema e ipotizzando la morte come“ancora lontana”.

2) Quando le conferme dimostrano che la negazione non è più possibile, subentra larabbia, la collera (“perché proprio a me”?) che vengono proiettate sui familiari, suimedici, sul personale di assistenza. Questi possono reagire con ostilità aperta o concomportamenti di abbandono (le visite si fanno più rare e più brevi) che aumentano losconforto del paziente e gli confermano l'indifferenza degli Altri ai suoi problemi. Moltodifficile affrontarla, sia dal punto di vista del personale ospedaliero che della famiglia,visto che la rabbia si rivolge a tutto e a tutti, anche senza motivi apparenti. Forsesaremmo arrabbiati anche noi se le attività della nostra vita fossero così prematuramenteinterrotte [...] che altro faremmo se non sfogare la nostra rabbia contro coloro che cicircondano. Un malato rispettato e compreso, cui si dedichi attenzione e tempo,diminuirà, molto probabilmente i suoi rabbiosi reclami.

3) “Segue una fase di compromesso, di patteggiamento: con Dio, con la sorte, con imedici, con i familiari, con se stessi. Il paziente cerca una dilazione, uno scambio, unaqualunque difesa ai sentimenti di disperazione e di inaiutabilità. Cessata l'animosità sipuò contrattare col paziente, aiutarlo a cercare compensazioni, a ritrovare unqualsivoglia interesse.” (idem).

4) La quarta fase è la depressione: vi sono due modalità di manifestare questo vissuto:(1) con l'aggravarsi dei sintomi, come reazione alle cure prolungate, ai ricoveri, cui nonsegue alcun miglioramento, oppure alla perdita del lavoro conseguente alle assenzeripetute e quindi al peso economico di tutta la vicenda sulla famiglia. In questo casosarebbe opportuno proporre soluzioni alternative o aiutando la famiglia anchesemplicemente a livello organizzativo; (2) il secondo tipo di depressione è una fasepreparatoria al distacco dal mondo, dalle persone e dalle cose amate, dai ricordi e daiprogetti, è preparatoria alle perdite che stanno per accadere ed è consideratofinalisticamente utile, perché come ogni depressione comporta una perdita degliinteressi, un'anticipazione della fine di tutto che può diventare liberatoria. Incoraggiare e

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rassicurare sono, in questa fase, strategie inutili e anche controproducenti, come in ognidepressione, perché la distanza abissale non ammette un linguaggio comune. Vale di piùuna presenza silenziosa. E' la fase più difficile da affrontare dal punto di vistapsicologico: in questo caso è da evitare di far vedere le cose sotto una luce ottimistica,quanto piuttosto accogliere il dolore ed essere disposti a contenerlo insieme al malato,rispettando anche il suo silenzio.

5) L'accettazione è l'ultima tappa di questo cammino verso la morte. Questa non è unafase felice, come può sembrare, è quasi un vuoto di sentimenti, è come se il dolore se nesia andato, la lotta sia finita e venga il tempo per il riposo finale prima del lungoviaggio.

In questo momento occorre dare più appoggio alla famiglia, che si sentirà rifiutata emessa da parte: è in questa fase che il paziente può chiedere esplicitamente aiuto per faraccettare la situazione anche ai familiari, i quali magari si accaniscono nel rifiuto oinsistendo per effettuare terapie al fine della guarigione.

La famiglia del malato affronta alla stessa maniera le varie fasi del rifiuto, collera,senso di colpa fino ad arrivare all’accettazione e preparazione all’evento. Più questodolore è espresso prima della morte quanto meno insopportabile sarà dopo.

Per quanto riguarda il malato si potrà dare un appoggio anche più fisico, come il tenerela mano in silenzio, garantendo comunque una presenza costante fino alla fine. In questafase incredulità, collera, paura, ansia, depressione sono superate.

È l'ora in cui ci si intende con sguardi e carezze, in cui tenere la mano può essere unmessaggio di una significatività infinita. Thomas Mann in “Lettere sul matrimonio”riferendosi alla moglie scrive.”...Quando un giorno le ombre caleranno e sentiròl'angoscia di quanto fu errato, mancato o non fatto, mi conceda il cielo di averla vicina,la mano nella mia mano, per consolarmi, come cento volte mi ha confortato e sorretto incrisi di lavoro e di vita e per dirmi: sta contento, sei stato bravo, hai fatto quel chepotevi”. (in Barucci, op.cit.).

È da sottolineare l’estrema importanza di mantenere un supporto proprio subito dopo il tragicoevento, sia al coniuge o parenti ma soprattutto agli eventuali figli.Inoltre molto importante aggiungere che “queste cinque fasi non sempre hanno questa sequenzaschematica: possono sovrapporsi, avere durata variabile e presentarsi in modo diverso a secondadella personalità dei soggetti. L'importante è conoscerle, saperne interpretare il significato,comprenderne gli aspetti negativi, sfruttarne quelli positivi”... “In agonia chiamano “mamma” lafiglia o la moglie o l'infermiera: a loro si deve parlare chiamandoli per nome e non “babbo” o“mamma” o “nonno” o “Signor x” (Barucci, idem.).Il sentimento che permane in tutte queste fasi è la speranza, soprattutto in situazioni difficili oparticolarmente dolorose. Dall’esperienza clinica, la Ross ha notato che quando questo vienemeno si tratta allora di un segno di morte imminente: anche nel caso di un paziente cheinvocava al miracolo, alla fine, nella fase di accettazione affermava “io penso che il miracolo siaquesto: adesso sono pronto e non ho neanche più paura”.

Così espresso, il contenuto di quanto scritto fino a poco sopra può sembrare quasi un vademecumsul come affrontare le persone che si avvicinano alla morte, ma in realtà è molto di più…L’insegnamento lo si può trarre non tanto dal conoscere le fasi o come queste si manifestano, mainvece lo si apprende leggendo le numerose testimonianze dirette coi pazienti, espresse sotto formadi discorso diretto, con le parole usate dalle persone stesse, intensi dialoghi dove si percepisce lapaura, la preoccupazione, la rabbia,ma anche il sollievo e la soddisfazione per i brevi momenti incui si condivide con qualcuno il proprio stato e il venir meno del senso di rifiuto e di abbandono.

La Ross ammonisce però che dobbiamo considerare molto seriamente il nostro atteggiamento

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verso la morte e il morire prima di poter sedere tranquillamente e senza angoscia vicino a unmalato inguaribile: la lettura di questo testo può essere l’inizio di un processo di consapevolezza edi presa di coscienza di questa realtà, perché “la morte come la nascita fa parte della vita,camminare consiste sia nell’alzare il piede sia nel posarlo” Elisabeth Kùbler-Ross: “Impara avivere - impara a morire”, 2001, Armenia; Elisabeth Kùbler-Ross: “La morte è di vitaleimportanza”, 1999, Armenia; ed altri suoi di altrettanto interesse.

1.10 Arte di aiutare

1.10.1 Le Fasi nella Relazione d’aiuto. (Schema)

Vi sono degli aspetti di teoria nella RDA che hanno da essere presenti al fine di una relazioned’aiuto significativa.

Prendendo libero spunto da quanto sostiene Carkhuff (“L’Arte di aiutare”, Erickson) possiamo direche la RDA è caratterizzata da quattro aspetti, che, consapevolmente o meno sono presenti nelnostro agire: per comodità concettuale e procedurale definiamo questi aspetti “FASI” e piùprecisamente:

(A) Fase della Raccolta informazioni (in fase pre-intervento corrisponde ad informazioni cartacee,verbali, documenti vari, ecc.);

(B) Fase dell’Osservazione/Ascolto (vi è in linea teorica l’utilizzo dei vari organi di senso);

(C) Fase della Valutazione, Interpretazione, Comprensione dei dati empirici: può anchecomprendere parti/aspetti non ancora chiari (?);

(D) Fase dell’Azione/Intervento .

(Vedasi schema a fine capitolo)

Più sotto verrà esemplificato un caso, in modo da fornire la metodologia d’analisi proposta.

(B) Nelle Relazioni interpersonali lo schema proposto può essere così inteso: ad esempio nelmomento in cui ci viene presentata una persona per la prima volta, noi immediatamente e spessoinconsapevolmente ci facciamo relativamente in fretta un’idea – giusta o sbagliata che sia – dellapersona stessa: quello che noi facciamo, cioè, è un’osservazione, attraverso il canale visivo, digesti, movimenti, movimenti muscolari, in generale espressioni del viso ed altro ancora ed inoltreascoltiamo ciò che la persona dice, oltre a come lo dice, cioè il timbro, la velocità, l’alternarsi delvolume, il ritmo, ecc.

(A) Si può dire che facciamo una Raccolta informazioni (“come si sente”; “come sta”?)osservando e ascoltando l’altro: in alcune particolari Relazioni subentrano altri canali sensorialicome ad esempio nel rapporto con un neonato subentra il tatto, l’olfatto oppure anche il gusto,quando ad esempio una madre assaggia il cibo del proprio figlio per verificare il sapore o latemperatura. L’uso del tatto si configura come modalità di peso anche nel con-tatto con la personaanziana, in particolar modo quella allettata.

Nella pratica, spesso inconsapevolmente, noi ci facciamo un’idea dell’altro unendo una serie diinformazioni visive, uditive, tattili in cui ognuna di queste modalità sensoriali può essere scompostaulteriormente in micromovimenti o microfrasi in cui ognuna può assumere significati precisi e che asua volta determinano la/le nostre interpretazioni di quella particolare relazione in quel particolaremomento.

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A titolo d’esempio può essere interessante prendere uno spezzone di in film in cui vi è un dialogotra personaggi e togliere ad esempio l’audio: in questo modo si privilegia e si dilata il canale visivo,attraverso il quale, inaspettatamente, cogliamo gesti, movimenti, azioni che prima non avevamonotato e l’azione complessiva assume significati differenti rispetto all’osservazione precedente. Ciòche è cambiato è la/le direzione/i dei nostri sguardi ed in fin dei conti la nostra percezione, diconseguenza è cambiata la nostra interpretazione di ciò che è successo.

Si può dire che occuparsi di Relazione d’aiuto o comunque occuparsi di migliorare le nostrecomunicazioni significa prima di tutto migliorare le nostre capacità d’Osservazione/Ascolto.

(C) I processi d’Interpretazione, Valutazione o Comprensione che dir si voglia sono la meraconseguenza di ciò (approfondiremo in seguito l’argomento): vi è necessariamente da aggiungereche, al fine di una corretta valutazione bisogna tenere in conto la possibilità che le informazioniottenute e possedute in un determinato momento della Relazione possono rivelarsi insufficienti,incomplete, lacunose, non del tutto accertate o confermate dai dati e per tale motivo non è soloragionevole ma teoricamente, eticamente ed infine professionalmente obbligatorio mantenere unaquantomeno provvisoria sospensione del giudizio, segnata in schema con (?).

(D) I processi sopraccennati determinano la successiva Azione o Intervento che dir si voglia.

Le dimensioni basilari dello sviluppo umano e del processo d’aiuto sono di Rispondere ai Bisogniunite alla Capacità d’Iniziativa: gli obiettivi della RDA, come di ogni Relazione sono: (a) conoscerela direzione dell’intervento; (b) dare sicurezza alla persona; (c) offrire la possibilità di poteracquisire nuovi comportamenti.

Definite le Fasi della RDA all’interno di una Relazione Comunicativa, vedremo tra poco come essepossano essere utilizzate proficuamente nell’analisi di un Caso Clinico; come possano orientarcipragmaticamente nel cercare di affrontare in modo esaustivo un caso o meglio come rapportarci adun paziente/persona e quindi in sostanza come attuare un’efficace RDA.

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(Schema )

FASI della RELAZIONE D’AIUTO

A) PREPARATORIA: Raccolta delle Informazioni ( scritte, verbali, ecc.)

B) Osservazione (vista) / Ascolto (udito) /…………(Utilizzo degli organi di senso interni ed esterni)

C) Comprensione – Interpretazione – Valutazione

oppure anche

? (Importante)

D) Azione – Intervento

- Dettagli dello schema delle FASI della RDA -

B1) Osservazione B2) Ascolto

B1) Osservare

la cura di sé

i gesti ed i movimenti

le variazioni di posizione del corpo

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se c’è contatto visivo

le espressioni del viso

le variazioni nello spazio prossemico

B2) Ascoltare

- il tono della voce- il volume della voce

- la velocità

C) Comprensione / Interpretazione / Valutazione / ???

Valutare quanto osservato ed ascoltato finora

Ci può essere ancora qualche dubbio (????): riconsiderare l’opportunità di integrare leinformazioni e/o l’osservazione/ascolto

D) Azione / Intervento

Definire gli obiettivi

Elaborare un programma

Fissare le scadenze

Domande di ripasso

Quante e quali sono le FASI della RDA?

Saresti in grado di spiegarle in dettaglio?

Perché le utilizziamo?

Quando le utilizziamo?

Vi sono degli organi di senso coinvolti? Pensa ad un esempio!

In una RDA, le quattro fasi si presentano una sola volta? Spiega la tua risposta!

Esercitazione

Pensa ad un esempio della tua vita privata in cui vi è la presenza delle FASI.

Inventa un esempio o prendilo a prestito dalla tua professione oppure dal Tirocinio, in cui èpossibile rintracciare il modello delle Fasi, proposto in questo capitolo.

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1.10.2 Analisi di un Caso ed Aree d'analisi

In questo capitolo prenderemo in esame un caso tra gli infiniti che vi sono: il caso scelto riguardal’ambito anziani per il semplice motivo che esso può interessare ad una molteplicità di operatori chesi troveranno ad affrontare nei tirocini e/o nella professione tematiche simili.

Da aggiungere che ciò che ci interessa è puntare l’attenzione sul metodo utilizzato in modo dacoglierne l’applicabilità (si spera) anche in altri ambiti operativi (handicap, minori, alcolisti, ecc.).

Il caso della signora Annamaria.

Lavorate da alcuni mesi in un SAD (Servizio di Assistenza Domiciliare), dove tra l’altro seguite lasig.ra Annamaria, che in seguito ad una grave caduta non riesce più a svolgere le consuetemansioni.La sig.ra che ha 85 anni, vive col figlio Giorgio, che, nell’ultimo anno per motivi professionali èfuori casa dalla mattina alla sera e talvolta per più giorni consecutivamente.Un’altra figlia, Enrica passa una volta al dì e così pure un secondo figlio, Marco.Annamaria si lamenta solo raramente, però di recente è diventata più svogliata ed ha attenuato i suoiinteressi.Fino a poco tempo fa si faceva da mangiare da sola, anche se i figli a turno le facevano la spesa.Inoltre, pur se accompagnata, usciva a fare delle brevi passeggiate.

Si chiede: (Schema delle Fasi nella RDA)

Che idea vi siete fatti/e della situazione complessiva unicamente in base ai dati forniti daltesto? (Interpretazione)

Quali informazioni vorreste avere, in quali ambiti, perché e come fareste per ottenerle?………… (Raccolta informazioni)

Eventualmente cosa vorreste osservare, per quali motivi ed in quali ambiti? (Osservazione)

Descrivete il vostro intervento motivando le priorità. (Azione/Intervento)

Proviamo ad affrontare questo caso, anche se non in modo totalmente esaustivo, macercando di individuare perlomeno gli aspetti principali richiesti dalle domande.

(Interpretazione) Quello che possiamo immaginare è che per la sig.ra Annamaria lacaduta con la conseguente riduzione nel numero delle “consuete mansioni” - e,possiamo sospettare anche nella loro qualità - possa avere delle conseguenzenell’area emotiva, nella sua immagine di donna autosufficiente e quindi nella suaidentità di persona “tout court”, che a questo punto della sua vita potrebbe averbisogno dell’aiuto altrui e quindi può venir minata l’area dell’autonomia.

Un altro fatto che può incidere negativamente è l’assenza del figlio Giorgio da un anno a questaparte, per quanto riguarda l’arco della giornata e non solo; possiamo ipotizzare che la presenzadel figlio abbia svolto un ruolo tranquillizzante nei suoi confronti, di presenza anche invisibile e

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che ora, in un momento di particolare difficoltà questa riduzione della presenza possa costituireuna sicurezza interiore ridotta.- Possiamo sempre ipotizzare, in base ai dati e comunque da verificare in seguito che, il fattoche gli altri due figli passino a trovarla, possa costituire un ulteriore momento di sicurezza,tutela da parte dei familiari: essi, in questo modo possono trasmetterle il sentimento di essereamata, che in fondo costituisce il nocciolo del vivere: cioè il fatto di essere importanti perqualcuno di significativo per noi.- Dai dati emerge un rallentamento/caduta di interessi: “è diventata più svogliata…ha attenuatoi suoi interessi” ed attività “…si faceva da mangiare da sola”.- Anche dal punto di vista motorio vi è un calo/riduzione “…usciva a fare brevi passeggiate,pur se accompagnata”, nel testo si parla ora utilizzando il passato: “si faceva da mangiare…usciva…”. Pur in presenza di aiuto (“usciva”) ora ha ridotto le attività.- Emerge quindi un quadro complessivo sia dal punto di vista delle capacità motorie, fisicheche rispetto all’area psicologica, nei suoi aspetti sia cognitivi che emotivi, una riduzionedell’area di vita e movimento. Uno psicologo e non solo esso può senz’altro intravvedere un quadro con elementi depressivi,che sono senza dubbio da approfondire ma che già molto dicono…

Nell’area della Raccolta informazioni potremmo partire elencando in modo casualele informazioni che riteniamo sia importante avere, per meglio progettarel’intervento, così come ci vengono alla mente. Questo modo di procedere ha il pregiodi non mettere censure alla nostra creatività operativa, in una sorta di brain-storming(si veda nella dispensa), ma ha anche il suo limite nella possibilità di trascurare dellearee d’indagine, senza avere la consapevolezza d’averlo fatto.

Una modalità complementare alla precedente è quella di individuare in anticipo una serie di areed’indagine all’interno delle quali porre le domande o le informazioni che vorremmo avere. Le areedovrebbero avere la caratteristica di essere comprensive ed esaustive ed il titolo di ogni areadovrebbe rispecchiare questa necessità: i nomi che vi diamo poco sotto vogliono avere questapeculiarità. Nel caso o nel momento in cui ciò non dovesse accadere è nostro compito individuarealtre aree i cui singoli titoli ci siano comodi operativamente. I titoli delle aree, che altro non sonoche sintetici modelli teorici hanno l’unico scopo di orientarci nella prassi, di essere comodi e pratici,come delle scarpe: finché ci sono utili e ci servono le utilizziamo, altrimenti le gettiamo o lemettiamo da parte. Proviamo ora ad elencare le principali aree ribadendo quanto già detto prima ecioè che anche le definizioni linguistiche vengono utilizzate finché esse ci sembrano chiare e utili:se ciò non accade possono essere tralasciate per altre.

Un area che teniamo in considerazione è quella che possiamo definire MEDICA :(a) in riferimento a questo caso potremo voler sapere quali sono attualmente per la sig.raAnnamaria le conseguenze fisiche della caduta, se vi sono state delle conseguenze in termini difratture o comunque se vi sono state delle conseguenze funzionali in termini di ridotte capacitàdeambulatorie; quale sia la qualità delle stesse; se è avvenuta una riduzione nei tempi dimovimento (per quanto tempo si muove), ecc.; (b) se la sig.ra soffre di altre patologie, con qualiconseguenze; (c) se assume farmaci, quali, quando, se è autonoma nella somministrazione; serispetta i tempi della somministrazione; (d) potremmo chiederci, data la presenza di elementidepressivi, se è in cura per questo motivo, da chi ed eventualmente da quanto tempo; (e) inoltrepotrebbe essere importante saper se le conseguenze della caduta si ritiene che possano esserepermanenti oppure no.

Un’altra area è quella che si può definire PSICOLOGICA : in essa vi possono stare una seriedi valutazioni inerenti (a) le capacità cognitive (memoria a lungo e breve termine, tempi diattenzione suddivisi per compiti svolti, ecc.); (b) gli aspetti emotivi e di auto percezione della

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paziente: sarebbe opportuno che queste valutazioni fossero formulate da professionisti oquantomeno che chi compila la scheda lo faccia formulando valutazioni su base descrittiva ecomportamentale; (c) come mai la sig.ra Annamaria si lamenta raramente?: per suo carattere operché ne ravvisa l’inutilità e/o per mancanza di risposte pertinenti da parte di familiari e/o altrepersone?

Un’altra area può essere quella delle RELAZIONI FAMILIARI (Area famiglia) : dove cipossono interessare le seguenti informazioni: (a) la figlia Enrica quando viene a trovare lamadre lo fa per “dovere filiale” o vi è effettivamente un interesse – facendo un gioco di parole –affettivo, profondo verso di essa, una vera attenzione filiale.

Quest’informazione ci è utile per valutare la qualità della relazione madre/figlia e “quanto” lamadre riceve in termini di attenzione/affetto, ciò vale ovviamente anche per il rapporto con ilfiglio Marco; (b) i figli quando vengono a trovare la madre svolgono qualche mansionedomestica per lei o assieme a lei?; (c) quanto tempo rimangono?; (d) fanno qualche attività conlei, tipo guardare la TV, leggere e/o commentare i giornali, escono assieme, parlano?: se sì diquali argomenti; (e) vi è collaborazione tra figli o in altri termini vi è tra loro ripartizione deicompiti o comunque fattiva ed efficace collaborazione? (f) vi sono altri parenti che vengono atrovarla o le telefonano o è lei stessa che lo fa; (g) eventuali parenti sono di linea diretta o daparte del marito? (h) come sono i rapporti con questi parenti, qual è la loro qualità e frequenza?;(i) ultimo e non per importanza: nel testo non si parla del marito: è ancora vivente e se sì qualisono i loro rapporti, dove vive,ecc.; (l) se dovesse essere deceduto, da quanto tempo, se vi sonoancora effetti significativi di tipo negativo sul suo comportamento; (m) inoltre, stavamodimenticando, è opportuno sapere come sono i rapporti col figlio convivente, Giorgio, anche neitermini di aiuto concreto che questi eventualmente dà alla madre.

Un'altra area che può rivestire una notevole importanza nella vita di un utente è quella delleRELAZIONI SOCIALI (Area sociale): in quest’area possono starci ad esempio le seguentirichieste di notizie: (a) la sig.ra Annamaria ha delle amicizie?; (b) si vedono, con qualefrequenza, dove , cosa fanno, si sentono solo al telefono, ecc.: queste informazioni ci sono utiliper avere una reale valutazione della vita sociale della sig.ra Annamaria:sappiamo quantoimportante sia una vita di relazione e la qualità della medesima; il sapere inoltre dove si vedonopuò darci indicazioni rispetto alle capacità motorie della sig.ra: se essa può percorrere o menotale tragitto,ecc.; (c) può essere importante sapere se all’interno del condominio vi siano dellepersone con le quali abbia stabilito un particolare rapporto, se vi è la disponibilità da parte diesse all’aiuto ed eventualmente attraverso quali modalità e tempi e, comunque, a prescinderedall’aiuto se vi sono interessi comuni, consuetudini,ecc.

Un’altra area che riveste un importante ruolo è quella che possiamo definire AMBIENTE:

la si può ulteriormente suddividere in ambiente interno (AI) ed esterno (AE): (a) nel primo èopportuno sapere se vi sono all’interno dell’ambiente domestico oggetti che possano ostacolarela deambulazione come tappeti, scalini tra una stanza e l’altra ed anche ad esempio (b) se vi èuna vasca da bagno piuttosto che la doccia, se la prima possiede una sedia d’appoggio, se laseconda ha un tappeto antisdrucciolo, ecc. Nel secondo (AE) può essere importante sapere se (c)l’abitazione è in periferia piuttosto che in centro, (d) se vi sono negozi nelle vicinanze, (e) sequesti ultimi possono essere raggiunti dall’utente compatibilmente con le sue condizioni fisiche,(f) se lei lo desidera?; (g) se vi sono dei centri di ritrovo, se vi è qualche luogo che la sig.raAnnamaria prima frequentava abitualmente, ad esempio bar o altro, (h) se in questi luoghi vierano delle persone con le quali aveva stretto particolari rapporti, (i) se vi sono dei giardini chefrequentava?

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Un’altra area riguarda: INTERESSI-HOBBY – ABITUDINI- PASSATEMPI:

è ovviamente importante/fondamentale non trascurare questo aspetto. La persona anziana hamolto “tempo libero” che spesso può diventare “tempo vuoto”, privo di significati o meglio consignificati di vuoto, depressivi, di mancanza di senso o di riduzione di senso; il “coltivareinteressi” o da parte dell’operatore essere stimolatore è un compito non trascurabile. Quindi ilsapere ad esempio se (a) guarda la TV, quali programmi; (b) se legge, che cosa, quando,ecc.forse non è il caso della sig.ra Annamaria o forse sì, ma può succedere che un paziente trascuri,perda delle abitudini e, solo attraverso una consapevole ed amorevole stimolazione da partedell’operatore esse possano essere riprese e far sì che possano dare nuovamente senso alla suavita: ciò è particolarmente vero nel caso di pazienti ad esempio che hanno ridotte capacità visiveo di concentrazione: in questi casi l’operatore, conoscendo orari di programmi televisivi oletture preferite può svolgere un importante ruolo sostitutivo e/o stimolativo; (c) perché adesempio la sig.ra Annamaria ha attenuato i suoi interessi?; (d) perché non esce, neppureaccompagnata, a fare brevi passeggiate?

Certe volte si può considerare, optare per la scelta di un’area che possiamo definiredell’AUTONOMIA:

in quest’area - che in parte ne sostituisce in qualche aspetto altre già enumerate – si possonoinserire

(a) la capacità di alimentarsi, scomposta nell’uso di quali posate, con quale velocità, precisione;

(b) la capacità di lavarsi, suddivisa in quali parti del corpo, come, in quanto tempo;

(c) la capacità di vestirsi, scomposta in tempi, precisione, quali indumenti, quali parti del corpo;

(d) la capacità di camminare: come, per quanto tempo; (e) la capacità di comunicare: il grado diprecisione/accuratezza/chiarezza, i tempi.

Come si può vedere, il conoscere queste informazioni e forse altre ancora può contribuire adavere un quadro a tutto tondo dell’utente e ci può facilitare nell’intervento: le modalità diraccolta dipenderanno e varieranno da caso a caso.

Sarebbe preferibile avere già in fase pre-intervento un quadro complessivo e, comunque, laprecedente suddivisione per aree e relative domande/risposte è da tener presente durantel’intervento medesimo, per completare in itinere, se necessario, i dati mancanti.

1) Molto succintamente e senza ripeterci – dato che abbiamo sviluppato abbastanzaampiamente il punto (2), in questa parte è opportuno osservare in dettaglio, in sequenza ed“in vivo” quanto richiesto nella raccolta informazioni: cioè negli ambiti dove è possibile: adesempio può essere opportuno e pertinente osservare le modalità relazionali dei figli conAnnamaria, mentre è ovviamente più difficile, se non impossibile osservare lacollaborazione o le interazioni tra figli se queste non avvengono in casa di fronteall’operatore e quindi risultano non osservabili.

In concreto l’osservazione ci permette di confermare o meno i dati raccolti precedentemente, diraccogliere le informazioni di prima mano nel caso non ve ne fossero e comunque di unire ideee realtà. In genere un’accurata osservazione ha un grado di precisione nell’analisi dei dettagliche una descrizione scritta non ha.

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2) Come traccia di intervento - fermo restando quanto affermato sull’importanza del conoscerela situazione inerente l’area medica – se come operatori ci troviamo catapultati in unasituazione domiciliare, con in possesso unicamente le informazioni del testo, è importante -fatta la presentazione di sé, del proprio ruolo – poter instaurare una relazione di fiducia conla sig.ra Annamaria in modo da poter affrontare il tema inerente i motivi, secondo lei, dellasvogliatezza e dell’attenuazione rispetto ai suoi interessi.

Vi è da dire che rispetto ad uno svolgimento scritto non è così facile in questo caso descrivereun intervento basato sulla Relazione, che per sua natura è impregnata di aspetti non-verbali eparaverbali (si veda più avanti a pag. 31 e paga0): senza dubbio “indagare” o meglio esplorarecon l’utente stessa i motivi che hanno richiesto l’intervento del SAD può configurarsi non solocome una semplice “raccolta informazioni” - bensì, se sostenuto da effettivo interesse per lapersona, da accettazione della stessa, da comprensione empatica e disponibilità – comeintervento a tutti gli effetti.

E’ ovvio che se nella descrizione del caso fossero state indicate informazioni di maggior dettaglio,sia in Area medica che psicologica come nelle altre aree, l’intervento e le relative priorità sarebberostate più evidenti ed immediate.

Una nota da aggiungere è la seguente: il caso sopra analizzato è un caso scritto, analizzato”a freddo”, con una fase pre-intervento di (a) raccolta informazioni, una fase di (b)osservazione/ascolto, una fase (c) interpretativa ed infine la fase (d) dell’intervento.Nella realtà quotidiana in cui la RDA si attua col paziente, “a caldo”, le varie fasi sono ugualmenteproponibili come modello entro il quale muoversi: hanno una finalità pragmatica.

E’ come avere una bussola, la cui finalità è quella di orientare momento per momento, è cioè quelladi fornire la rotta attimo per attimo: perché ci possa essere utile ci vuole però un requisito minimofondamentale: dobbiamo guardarla; in altri termini un’efficace RDA perché sia tale richiede che ilmarinaio di turno, l’operatore di turno focalizzi la sua attenzione interna sugli aspetti sopra descritti,veda il modello di riferimento fornitogli e lo confronti con la realtà di quel momento/istante edall’osservazione di quella realtà passi al modello interno.

In questo modo andiamo a toccare un altro aspetto/obiettivo fondamentale della RDA e cioè quelloche riguarda l'AUTO ESPLORAZIONE.

Domande di ripasso.

Quali sono le “aree” che è opportuno considerare nella raccolta informazioni?

Se ne possono aggiungere altre? Quali?

Saresti in grado di spiegare quali sono gli elementi, gli aspetti principali da considerare in ogni area?

L’Osservazione/Ascolto in cosa eventualmente si differenzia dalla “ Raccolta Informazioni”?

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Esercitazione

CASO

1) Leggi il seguente Caso e sviluppalo secondo il modello proposto in questo capitolo. (E’ ovviamente possibile integrare il modello proposto).

Il signor Carlo ha 78 anni e vive con la moglie Enrica, che è costretta, per muoversi in casa, adutilizzare una carrozzina.La coppia è assistita quotidianamente da due operatrici a domicilio, che provvedono a svolgerequalche lavoro di casa, a fare la spesa, ad occuparsi dell’igiene della signora. Le due operatrici sitrovano però a dover affrontare il problema che le spondine della carrozzina non si riescono atogliere: quindi diventa difficile – dato il peso della signora – spostarla e metterla nella vasca dabagno.Hanno segnalato il fatto al marito, ma quest’ultimo ha detto che sua moglie non ha diritto adun’altra carrozzina e successivamente hanno comunicato alla propria Responsabile che nonavrebbero più fatto il bagno alla signora, perché diventava estremamente difficile fare lospostamento ed inoltre il peso della signora comportava loro grosse difficoltà e dolori alla schiena.La Responsabile ha acconsentito a questa modifica nel trattamento: vi è inoltre da considerare ilfatto che il marito si era assunto l’onere del bagno della signora Enrica.Le due operatrici però si trovano a notare, in seguito, che sul corpo della signora vi sono spesso deilividi, segno di probabili cadute: chiedono al marito, che dice di non saperne il motivo, comunicanociò alla propria responsabile durante le riunioni d’equipe, però non succede nulla.

Analizzate il caso secondo lo Schema della RDA.

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Cap. 2Fondamenti di Teoria e Pragmatica della Comunicazione

2.1 La Comunicazione non-verbale (CNV) + Schema

Paradossalmente cominciando a parlare di Comunicazione, intesa il più delle volte –semplicisticamente – unicamente come Comunicazione verbale, fatta di parole, cominceremo aparlare di Comunicazione non-verbale.

Attraverso di essa passa la maggior parte dei significati di una Comunicazione e quindi diuna Relazione: vari studi sostengono che almeno il 70/80 % del senso di una Comunicazione èdeterminato dal non-verbale: approfondiremo tra poco il tema.Si veda inoltre l’Allegato riassuntivo.

Uno studio condotto nel 1972 da Albert Mehrabian (Non-verbal communication) ha mostrato che ciò che viene percepito in un messaggio vocale di valenza neutrale, nel contesto di un laboratorio, ed emettendo il messaggio ma esprimendone uno diverso con il linguaggio del corpo, può essere così suddiviso:

• Movimenti del corpo (soprattutto espressioni facciali) 55% • Aspetto vocale (volume, tono, ritmo) 38% • Aspetto verbale (parole) 7%

L’efficacia di un messaggio dipende quindi solamente in minima parte dal significato letterale di ciòche viene detto, e il modo in cui questo messaggio viene percepito è influenzato pesantemente dai fattori di comunicazione non verbale.

Nell'ambito delle scienze della comunicazione la comunicazione non verbale viene suddivisa in quattro componenti:

• Sistema paralinguistico (E' detto anche sistema vocale non verbale, indica l'insieme deisuoni emessi nella comunicazione verbale, indipendentemente dal significato delle parole);

• Sistema cinesico (Comprende tutti gli atti comunicativi espressi dai movimenti del corpo:contatto visivo, mimica facciale, gesti e la postura):

• Prossemica (Analizza i messaggi inviati con l’occupazione dello spazio);• Aptica (E' costituita dai messaggi comunicativi espressi tramite contatto fisico. Anche in

questo caso si passa da forme comunicative codificate (la stretta di mano, il bacio sulleguance come saluto ad amici e parenti), ad altre di natura più spontanea (un abbraccio, unapacca sulla spalla). L’aptica è un campo nel quale le differenze culturali rivestono un ruolocruciale: ad esempio la quantità di contatto fisico presente nei rapporti interpersonali fra lepersone di cultura sud-europea verrebbe considerata come una violenta forma di invadenzadai popoli nord-europei.

L'aptica riveste un'enorme importanza nella Relazione d'Aiuto, dato che l'aumento degliincontri con persone provenienti da contesti culturali differenti – causa gli enormi processimigratori in atto – e quindi con abitudini comportamentali altrettanto differenti: a questoproposito si veda lo stimolante testo di: Marianella Sclavi: “Arte di ascoltare e mondipossibili”, 2000, Le Vespe)

Per CNV o meglio per Indicatori della CNV intendiamo:

1. Il Contatto Visivo;2. Le Espressioni del Viso;3. I Gesti ed i Movimenti del Corpo;

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4. La Postura;5. Lo Spazio Prossemico;6. L’Ecologia Comunicativa;7. L’Apparenza Fisica;8. Il Tatto;9. Gli Indicatori Paralinguistici o Paraverbali.

Per comprendere l’importanza della CNV dobbiamo tornare alle considerazioni iniziali, quandodicevamo che la prima regola della Comunicazione è che “non si può non-comunicare”: in altritermini anche il “Silenzio” è Comunicazione ed è quindi compito dell’operatore districarsi tra ipossibili significati di essa; è ovvio che non è sufficiente la lettura di una dispensa perpadroneggiare compiutamente tali abilità, legate ad aspetti individuali, strettamente legate al propriodesiderio di migliorarsi, alle propria capacità di autocritica ed auto riflessione, all’esperienzaquotidiana in ambito personale e professionale.

Con una certa frequenza nelle verifiche scritte, diversi studenti, nel descrivere il propriointervento con l’utente affermano: “…utilizzo la Comunicazione Verbale e la CNV…!!!”, comefosse una tecnica da imparare e della quale servirsi a comando: la CNV è impossibile nonutilizzarla: usando il Verbale – comunque – filtrano sempre aspetti di CNV: diciamo che per unoperatore è fondamentale essere consapevole degli effetti delle Proprie Comunicazioni – tout-court – sull’utente, come pure è fondamentale o perlomeno importante conoscere le propriemodalità comunicative: a tal proposito – dal punto di vista formativo – è importante non sottrarsi, inaula, quando vengono utilizzate modalità partecipative, quali ad esempio i role-playng, dovel’allievo ha la possibilità di sperimentare direttamente queste modalità, di ottenere il feed-back daicompagni e dal docente ed eventualmente vedersi in registrazione video.Ritroveremo il tema degli effetti della propria Comunicazione sull’Altro/i quando parleremo delleCompetenze Trasversali (CT). Passiamo ora in rassegna i dettagli della CNV.

1. Il Contatto visivo come lo sguardo può essere diretto, cordiale, costituisce in genere il primocontatto con l’Altro: già linguisticamente la parola CON-TATTO, scomposta indica tripliciaspetti: (1) “Contatto” nel senso di Aggancio con l’Altro, (2) “Con-Tatto”, nel senso diDelicatezza, cioè rimanda ad una modalità di Relazione indice di delicatezza/fragilità, nellaquale è richiesto Tatto; (3) “Contatto” rimanda inoltre alla Modalità Corporea, checostituisce senza dubbio una modalità caratterizzata dall’Intimità - in questo caso Fisica,come succede in alcune Relazioni operatore/utente: si pensi al paziente allettato – e quindi ciindica a quali territori della psiche il Primo Contatto rimanda e conseguentementel’importanza che esso riveste per l’operatore e soprattutto per l’utente. Possiamo notarel’importanza del Contatto visivo e di come esso ci viene richiesto dai nostri interlocutori,quando, ad esempio stiamo parlando con qualcuno e improvvisamente veniamo distratti dalpassaggio, di fronte a noi di una persona: anche se impercettibilmente e velocissimamentevolgiamo in quella direzione lo sguardo, riportandolo immediatamente dopo sul nostrointerlocutore primario, ciò che succederà nella quasi totalità dei casi è che il nostrointerlocutore volgerà il suo sguardo nella direzione dove noi l’abbiamo distolto: èinsopportabile non essere guardati: ciò equivale a non essere considerati, a non esistere perl’altra persona, a non esistere: sintomatico a tal proposito è l’accanimento con cui molti VIPe non-VIP appaiono in TV, il cosiddetto presenzialismo: anche qui il non–apparire equivalead un non-esistere. Il Contatto visivo incoraggia il feed-back, può essere sinonimo diapertura, disponibilità verso l’Altro; serve a ridurre le distanze psicologiche ed è da tenerpresente che talvolta, ad esempio se prolungato, può produrre ansia;

2. Le Espressioni del Viso: comprende il sorriso, il sorriso sarcastico, il viso contento, il visocontratto, fermo, evasivo, verso il basso, sfuggente, forzato, provocatorio il cambioimprovviso di espressione, la coerenza nelle espressioni, le sopracciglia alzate,... E' unespressione generica per indicare quanto può manifestarsi sul viso ed essere indicatore di

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stati d’animo e/o pensieri interiori: a tal proposito vi è dibattito in ambito psi: cioè se adesempio movimenti oculari, dilatazione delle narici, dilatazione e restringimento dellepupille, contrazioni dei muscoli facciali, aggrottamento delle sopracciglia, sbuffi ed altroancora corrispondano sempre e necessariamente ad altrettanti stati d’animo: quello che perora ci interessa è notare questi comportamenti. È come se fossimo nella fase della Raccoltainformazioni tramite l’Osservazione: l’Interpretazione, come abbiamo visto in precedenza,viene dal punto di vista logico successivamente;

3. I Gesti e Movimenti del Corpo: il gesticolare delle mani (che possono muoversi in modo daapparire riservati, aperti, stereotipati, mani irrequiete;il dito provocatorio, il pugno chiuso) edelle braccia (b. incrociate, nervose), il muovere le gambe ed i piedi indietreggiando, ilcamminare ed i differenti modi nel farlo costituiscono quest’area;

4. La Postura: cioè la/le posizioni del corpo ed i cambiamenti di posizione dello stesso sonooggetto di osservazione e considerazione come ad esempio una posizione scomoda o laricerca di una posizione comoda e rilassante, sedere in modo rilassato, sedere chini inavanti, avere le spalle curva (;

5. Lo Spazio Prossemico: cioè i significati che assume la distanza o le variazioni di distanza tradue o più persone; si distingue in quattro aree: (a) la zona pubblica che viene considerataoltre i Quattro (4) Metri (Ad esempio ad un convegno, a teatro,...)); (b) la zona sociale daUno (1) a Quattro (4) metri, dove si annulla completamente la possibilità di un contattofisico; è riservata ai contatti sociali superficiali, per esempio ai conoscenti, a diversicolleghi ed ai capi; (c) la zona personale che va dai 50 ai 100 cm.; in quest'areaammettiamo tutte quelle persone con le quali non siamo in intimità, ma che non ci sono cosìestranee da dover arretrare nella zona immediatamente successiva (sociale); (d) la zonaintima da Zero cm. (0) a Cinquanta (50) cm. È l'area che permette

• (d1) le relazioni intime;

• (d2) il contatto fisico;

• (d3) consente di sentire l'odore;

• (d4) consente di percepire l'intensità delle emozioni.

• Viene definita anche “Bubble” (“Bolla”): all'interno di essa possiamo sentirci sicuri; daaggiungere che noi (il paziente) permettiamo di entrare in questa zona solo a coloro di cuiabbiamo fiducia; questa non è però una condizione sufficiente: è necessario il nostropermesso esplicito o implicito. Colui il quale non rispetta la zona intima di un Altro, nonrispetta neppure la sua Persona!!!

6. L’Ecologia Comunicativa: cioè il contesto che può favorire o meno la Comunicazione: lecondizioni di illuminazione di un locale, eventuali rumori che possono interferire con unascolto ottimale, il posto dove il soggetto è seduto (sedia, poltrona, ecc.); le condizionifisiche e/o mentali del soggetto, le sensazioni prodotte dai propri organi propriocettoriinterni (cuore, vescica, polmoni, denti, ecc.); in altre parole l’Ecologia Comunicativa èquella che si può percepire con i cinque sensi più – come detto – con gli organipropriocettori;

7. L’Apparenza Fisica: è costituita sia dall’aspetto fisico, dalle condizioni fisiche, così comeesse appaiono ad un osservatore esterno (rossori della pelle, ecchimosi, pelle secca,...) siadall’abbigliamento e di cosa quest’ultimo ci trasmette in termini di accuratezza, pulizia,appartenenza o desiderio di appartenenza sociale;

8. Il Tatto: attraverso di esso trasmettiamo e riceviamo sensazioni, impressioni. Si configuracome un’esperienza diretta, come comunicazione non falsificabile, genuina in sé che tramiteazioni sul corpo trasmette emozioni al corpo, dal punto di vista professionale trasmetteAttenzione, Interesse, Cura, Calma, Amore o al contrario Disattenzione, Disinteresse,Incuria, Fretta, Disamore: è quindi un potentissimo veicolo comunicazionale;

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9. Gli Indicatori Paralinguistici o Paraverbali: sono gli aspetti inerenti la voce che può essere:chiara e sciolta, né forte né sottovoce, esitante, fluente, senza esitazioni, tagliata,costituiti dal tono di voce chiamato anche nei seguenti modi: accento, intonazione,modulazione, cadenza, inflessione; esso può essere (ricco e caldo, acuto, freddo, sarcastico,cantilenante, arrogante, imperioso, monotono, dolce, fermo e deciso, supplichevole, noioso,enfatico nelle parole chiave ) dal volume della voce o potenza (forte) e dal suo alternarsi ;dalla velocità e dal suo alternarsi, cioè dal ritmo (con molte pause) ; dal timbro ossia sipuò dire, con linguaggio non tecnico, che il timbro è il particolare profilo o caratteredistintivo di un suono emesso da una voce o strumento musicale: una chitarra elettrica rocke un oboe emettono la medesima nota (stessa altezza ovvero frequenza) ma con timbriinconfondibilmente diversi e peculiari. Così per le voci umane o i versi animali.

Il timbro, che spesso è indicato fra i "parametri" del suono, suggerisce numerose analogie con il colore per quanto riguarda la percezione visiva. Infatti, il timbro viene designato come

colore del suono tanto in inglese (tone-colour) quanto in tedesco (Klangfarbe). Esso dipende danumerosi fattori quali, ad es., le caratteristiche delle corde vocali (lunghezza, elasticità, spessore),delle cavità sopralaringali (elasticità dei tessuti, forma e dimensione della cavità oro-faringale),della tonicità muscolare dei diversi organi articolatori (chiusura / apertura del diaframmarinovelare, motilità del velo, della lingua, ecc). Ognuno di questi fattori contribuisce allacaratterizzazione percettiva del timbro rendendolo profondo, gradevole, squillante, aspro, nasale,ecc.) ; dal rispetto dei tempi propri ed altrui; dalla balbuzie; da frequenti schiarimenti di voce,dalla cessazione del parlare; dalle pause vuote o piene caratterizzate queste ultime dalleinteriezioni o intercalare del tipo “Ehmm...”, ”Mah...?”, “Beh...”, “Uhm”,“Oh”, “Ah”, “Eh”,dagli sbuffi, dal singhiozzo, dai colpi di tosse, dai borbottii, dalle risatine, dalle modalità del pianto,sia manifesto, sia nel tentativo di trattenerlo.

Alcuni autori inseriscono gli Indicatori Paralinguistici direttamente nella ComunicazioneVerbale, altri usano farla rientrare nella Non-Verbale: il nostro orientamento è quest’ultimo, inquanto essi – gli Indicatori - confermano o meno il contenuto linguistico della comunicazioneverbale. In ogni caso essi costituiscono l’aspetto di fondo che dà significato alla comunicazioneverbale: come forse abbiamo già detto, quando vi è contraddizione tra Messaggio Verbale eMessaggio Non-Verbale, vale sempre quest’ultimo.

Aggiungiamo che i vantaggi della CNV sono quelli di ben rappresentare i sentimenti, dicomunicare stati emotivi, di avere una minore controllabilità ed una maggiore genuinità.

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COMUNICAZIONE NON-VERBALE (Schema)

GESTI E MOVIMENTIDEL CORPO

TATTO

INDICATORIPARALINGUISTICI

ECOLOGIACOMUNICATIVA

POSTURA

COMUNICAZIONE

NON-VERBALE

SPAZIOPROSSEMICO

APPARENZAFISICA

CONTATTOVISIVO

ESPRESSIONIDEL VISO

Domande di ripasso.

◦ Quali sono gli Indicatori della CNV?

◦ Spiega il significato di ognuno di loro.

Esercitazione

(1) Guardare in un film a scelta, in cui vi siano dei dialoghi, gli Indicatori della CNV: inparticolare le Espressioni del viso ed i Gesti e movimenti del corpo.

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Per utilizzare un solo canale sensoriale e quindi per focalizzare l’attenzione solo sul canale visivo, si consiglia di spegnere l’audio….Il risultato sarà interessante…

(2) COME IL PRECEDENTE: questa volta escludete l’aspetto visivo e concentratevi solo sull’audio, cioè sugli Indicatori paralinguistici!!!

(3) Cosa succede ad utilizzare un solo canale sensoriale alla volta?????

(4) Potete fare lo stesso esercizio osservando un dibattito televisivo, che sia di sport, di politica oppure altro.

(5) Fatelo poi nelle relazioni quotidiane e verificate se c’è corrispondenza tra messaggio verbale e quelli non-verbali.

2.2) Gli Stili Comunicativi + Schema

Gli Stili Comunicativi o Modalità di Comportamento Comunicativo possono essere suddivisi intre tipi.

Stile Passivo

Stile Aggressivo

Stile Assertivo o Affermativo o Espressivo

(1) Lo Stile Passivo si caratterizza per fatto che la persona rinuncia all’espressione di pensieried emozioni, pareri, opinioni, punti di vista sensazioni, sentimenti, desideri, bisogni. Usarequesto stile coincide col sottomettersi al volere altrui;

(2) Nello Stile Aggressivo la persona esprime i propri pensieri ed opinioni, tenendo peròpresente solo il proprio punto di vista; vi è la lotta per il potere e l’attacco diretto o indirettonei confronti dell’interlocutore;

(3) Lo Stile Assertivo si caratterizza per il fatto che la persona è in grado ed esprime i propripensieri ed emozioni nel rispetto dell’interlocutore; vi è rispetto per l’individualitàdell’Altro, disponibilità a vedere il suo punto di vista e vi è la volontà di raggiungere unaccordo.

Dobbiamo dire che gli “Stili comunicativi” non sono un a sé stante teorico, cioè, sebbene si possanostudiare come un aspetto della “comunicazione”, in realtà gli “stili” sono sempre presenti nella“Relazione comunicativa”, in ogni istante, nelle nostre comunicazioni ed in quelle altrui.Solamente che non sempre vi facciamo caso.Per sapere, quindi, ciò che sta succedendo in una comunicazione, proprio in quegli istanti, momenti,

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in quelle sequenze di parole e/o gesti è importante rivolgere la nostra attenzione consapevolezza,oltre a ciò che osserviamo/ascoltiamo esternamente, anche – lateralmente – allo schemainterpretativo qui descritto.

STILI COMUNICATIVI (Schema)

o anche

Modalità di comportamento comunicativo

PASSIVO AFFERMATIVO(ASSERTIVO)(ESPRESSIVO)

AGGRESSIVO

La persona rinuncia all’espressione di pensieri, emozioni ed azioni (***)

Si sottomette al volere dell’Altro

La persona non rispetta se stessa

La persona esprime i propri pensieri, emozioni ed azioni nel rispetto dell’Altro (***)

Disponibilità a vedere ilsuo punto di vista ed a raggiungere un accordo

La persona rispetta se stessa e l´Altro

La persona esprime i propri pensieri, emozioni ed azioni tenendo in considerazione solo il proprio punto di vista (***)

Lotta per il potere

Attacco diretto o indiretto nei confronti dell’Altro

La persona non rispetta l´Altro

Nota

(***) pareri, opinioni, bisogni, punti di vista, sensazioni, sentimenti, desideri, ecc.

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Domande di ripasso

1. Quali sono i tre principali Stili comunicativi?

2. Spiega il significato di ogni Stile comunicativo.

3. Quali sono le conseguenze più comuni dei diversi tipi di comunicazione, dal punto divista dell’emittente e da quello del ricevente?

Esercitazione

1) Procedete nella stessa maniera indicata nel capitolo precedente.

2.3) Le Funzioni della Comunicazione.

- Anche qui come altrove ripetiamo lo stesso concetto: cioè quello di più aspetti presenti contemporaneamente in una Comunicazione e quindi della necessità da parte nostra di spostare l’attenzione da un elemento all’altro per poterne cogliere il significato complessivo: è come seguire una partita di pallone dal vivo: lo spettatore osserva i movimenti del giocatore che ha la palla, guarda a chi la passa.

- Lo spettatore attento però, guarda non solo queste cose, ma anche i movimenti e glispostamenti degli altri componenti la squadra. In questo modo riesce a vedere chi si smarca, a chi sarebbe preferibile passare la palla perché meglio piazzato; riesce cioè ad avere una visione complessiva della squadra e della visione e tattica di gioco di quest’ultima.- Oltre a ciò uno spettatore ancora più attento osserverà anche la squadra avversaria, i movimenti ed azioni dei singoli componenti e della squadra nel suo complesso: in altre parole cercherà di avere una visione complessiva il più precisa possibile e corrispondente al vero.- Allo stesso modo nella RDA l’Ascoltatore, oltre ad osservare ciò che viene detto e fatto dall’Altro, essendo un osservatore che partecipa alla Comunicazione,osserveràanche se stesso e di come ciò che fa e dice incida nella Comunicazione medesima.

In presenza di più persone, in un gruppo o anche in èquipe, il tutto si complica per lapresenza di più persone, dove aumenta il numero delle Comunicazioni, che possono pureaccavallarsi, come aumentano oltre agli aspetti verbali quelli non-verbali: allo“Spettatore” vengono richieste abilità percettive di dettaglio oltre ad uno schemainterpretativo efficace per districarsi dall’”insalata di parole”.

Operativamente le Funzioni della Comunicazione stanno ad indicare comeogni comunicazione assolva a delle funzioni, cioè serve ad esprimerequalcosa che può essere esplicito, visibile e comprensibile immediatamente oche viceversa deve essere interpretato: inoltre che ad esempio una singolafrase o parola può voler dire più cose contemporaneamente: cioè che in unacomunicazione le varie funzioni possono intrecciarsi e che quindi ècompito dell’interlocutore districarsi tra esse.

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Passiamo ora ai dettagli.

1. FUNZIONE STRUMENTALE: si utilizza quando si vuol far compiere, eseguirequalcosa a qualcuno;

2. F. DI CONTROLLO: corrisponde ad un comando, ad un ordine in termini verbali o /eparaverbali;

3. F. INFORMATIVA: quando si informa, si spiega qualcosa a qualcuno.;

4. F. ESPRESSIVA: esprime sentimenti, stati d’animo;

5. F .VALUTATIVA: esprimere valutazioni;

6. CONTATTO SOCIALE: ha la funzione di instaurare o cercare di instaurare unrapporto/relazione comunicativa con qualcuno.;

7. ALLEVIAMENTO DELL’ANSIA: si comunica per risolvere un problema, perattenuare una preoccupazione; il parlare di un problema che causa tensione e riuscire adesprimere le emozioni ad esso legate produce una riduzione/attenuazione della tensione;

8. STIMOLAZIONE: ha la funzione di sollecitare lo scambio comunicativo con qualcuno,spesso con domande/sollecitazioni paraverbali/inviti a specificare meglio,ecc.;

9. RUOLO: quando si comunica in modo adeguato e rispettoso dell´Altro, in funzione dellasituazione o del ruolo sociale o professionale che si ricopre.

Proviamo ora a fare qualche esempio che possa meglio illustrare le singole funzioni.

Ad esempio la moglie che dice al marito “Mi vai a svuotare la spazzatura, per favore?” conun tono leggero e tranquillo svolge una F. strumentale (1),

mentre la frase “Vai a svuotare la spazzatura!!!!!”, detto con volume alto e tono secco,oltre ad avere una F. di controllo (2),

può avere anche una F. espressiva (4): ad esempio la moglie esprime rabbia e/orisentimento perché, poniamo, il marito non esegue mai o raramente questa mansioneoppure che lo fa, ma solo dopo che gli è stato detto ripetutamente.

La frase “Hai visto che il bidone della spazzatura è pieno?”, ha un’apparente o superficiale- F. informativa (3)

ma di fatto svolge una F. di controllo o strumentale (2+1), a seconda dal tono con il qualeviene detta.

Cambiando esempio: un viaggiatore all’interno di uno scompartimento ferroviario cherivolto al suo dirimpettaio dice “Bella giornata, oggi, non trova?”, non è probabilmenteinteressato ad una discussione metereologica, ma probabilmente a scambiare duechiacchiere con l’ altro viaggiatore, al fine di per rompere la noia o la monotonia delviaggio: svolge, quindi, una F. di contatto sociale (6), al fine di sollecitare uno scambio

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comunicativo,

cioè svolge anche una F. di stimolazione (8); come del resto fa il ragazzo che “abborda” laragazza chiedendole l’ora o una sigaretta:

la FUNZIONE è apparentemente informativa (3), l’ora,

o strumentale (1) , la sigaretta,

bensì l’aspetto principale, come si è detto prima, si riferisce però alla F. di contatto sociale(6)

e di stimolazione (8).

La Funzione comunicativa di ruolo (9) si ha ad esempio quando uno studente ascolta coninteresse l’insegnante che spiega, ma allorché suona la campanella, in genere interrompe ilprocesso attentivo – salvo brevi code, per permettere all’insegnante, rapidamente di finire ilragionamento – per fare una breve pausa o per rivolgere l’attenzione al successivoinsegnante; oppure lo stesso insegnante, magari ascoltato con interesse in aula, non losarebbe ovviamente in una discoteca, dove questi parlasse di matematica, anzi: in questocaso cambia il ruolo che entrambi svolgono in differenti momenti della giornata: ad esempioil bambino che è stato attento e immobile in classe tutta la mattinata, arrivato a casa va incortile correndo a lungo e facendo giochi in cui urla.

Faremo ora degli esempi un po’ più professionalizzanti, in modo da rendere più chiare le FUNZIONI medesime.

L’anziano allettato, degente ad esempio in una struttura di lungodegenza, chedice all’operatrice “Ho sete” svolge una F. strumentale,

oltre che informativa;

se però è da diverso tempo che è da solo e che percepisce lo stimolo dellasete senza che nessuno si sia avvicinato a lui, può darsi che, appena vedel’operatrice dica a voce alta e con rabbia “Ho sete” svolge moltoprobabilmente una F. di controllo

così come anche una F. espressiva (rabbia);

va da sé che vi è pure una F. di ruolo.

Il medesimo paziente, i cui parenti hanno progressivamente diradato le visite e che è ingrado di percepire la progressività della malattia, anche se non necessariamente: in parole povereche passa molto tempo da solo, che percepisce la sua solitudine, magari è quasi totalmente ototalmente immobile può esprimere con la frase “Ho sete” - espressa magari più volte, magarisoddisfatta ripetutamente – un bisogno di CONTATTO SOCIALE ed anche una FUNZIONE diSTIMOLAZIONE: ovviamente non è assolutamente da trascurare che abbia solo, unicamente eterribilmente SETE!!!!Come abbiamo visto, quindi l’operatore si trova di fronte continuamente il compito di discriminare,distinguere e valutare COMUNICAZIONI: in base a questa sua abilità attuale, alla voglia e volontà

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di migliorarla e affinarla – che detto per inciso sono tutti processi interiori che gli altri nonnecessariamente percepiscono (colleghi o supervisori di tirocinio) – dipenderà la qualità delle sueRelazioni, cioè se effettivamente siano Relazioni d’aiuto (RDA) oppure Relazioni puramenteincidentali.

Domande di ripasso

Quali sono le funzioni della comunicazione?

Spiega il significato di ognuna di esse.

Per ognuna di esse descrivi un esempio: eventualmente l’esempio può anche essere inventato.

Esercitazione

Lo studente si abitui ad analizzare le relazioni comunicative in quest’ottica, magari anche subito dopo che sono avvenute ed a valutare qual è la funzione predominante di quella comunicazione.

Funzioni della Comunicazione (Schema)

Noi possiamo comunicare per differenti motivi contemporaneamente – in modo consapevole o ilpiù spesso delle volte in modo inconsapevole - : ad esempio al ristorante (3) informiamo ilcameriere che stiamo aspettando da parecchio tempo, ma contemporaneamente (1) perché vogliamofarci portare al più presto il cibo che abbiamo ordinato e, at the same time (4) esprimiamo la nostrarabbia con il volume alto e con il tono della voce seccato Cioè nella nostra comunicazione di prima facciamo tre cose contemporaneamente.

Il problema è proprio questo: quando qualcuno (paziente, familiare, amico,...) comunica con noi,qual è la cosa più importante che vuole comunicarci?...O quali sono le cose che vuole dirci?..e traqueste qual'è la più importante?

La comunicazione, in fondo, è tutta qui!!!

1. STRUMENTALE serve per Far Compiere/Eseguire qualcosa a qualcuno 2. CONTROLLO Comandare/Ordinare

3. INFORMATIVA Informare/spiegare4. ESPRESSIVA Esprimere sentimenti5. VALUTATIVA Esprimere valutazioni6. CONTATTO SOCIALE Instaurare un rapporto (E' il contatto iniziale)7. RIDUZIONE DELL’ANSIA Parlare di un problema che causa tensione 8.STIMOLAZIONE Sollecitare lo scambio comunicativo con qualcuno

9. RUOLO Comunicare in modo corretto in funzione del ruolo/della situazione

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2.4 Le Regole della Comunicazione

Togliamo subito ogni dubbio: occuparsi di RDA, sia nella teoria sia come operatori della RDA èoccuparsi carnalmente di Comunicazione: è come la persona e l’aria che respira, il pesce e l’acquain cui nuota o forse ancora, ma viceversa quando una persona non comunica verbalmente possiamoessere tentati di pensare che essa per noi non esiste.

Sappiamo, secondo quanto dice il “vangelo” della teoria della Comunicazione (Watzlawick) che:

“non si può non comunicare”: ( prima regola della Comunicazione)

Quindi d’ora in poi ci occuperemo di alcuni aspetti teorici inerenti la Comunicazione dai qualiriteniamo non si possa prescindere: anticipiamo i titoli degli aspetti salienti: parleremo di (1)Comunicazione non-verbale; (2) Stili comunicativi; (3) Funzioni della comunicazione.Non abbiamo nominato finora gli aspetti emotivi che intervengono nella Comunicazione. Essipermeano ogni istante della stessa: occupandoci di Comunicazione non-verbale (CNV) litoccheremo.

“se c’è contraddizione tra messaggio verbale e messaggio non-verbale, vale quello non-verbale”: (seconda regola della comunicazione)

Si dovrà prima trattare il prossimo capitolo per meglio comprendere questo punto, che è peròimportante tener presente già da ora.La teoria della Comunicazione di cui tratteremo tra poco e che ovviamente può essere meglioapprofondita, ma che da qui parte, ha prima di tutto lo scopo etico di migliorare le Relazioniinterpersonali, di essere d’Aiuto a…, non al servizio di…

Riprendiamo ed aggiungiamo alcuni assiomi della Teoria della Comunicazione, così comesono stati formulati da Watzlawick:

1. Non si può non-comunicare; 2. Se c´e´contraddizione tra messaggio verbale e quello non-verbale, vale il non-verbale

(solo in questo caso, non come erroneamente viene sostenuto ad una lettura superficialeche, in ogni caso “vince/prevale” il non-verbale);

3. Ogni comunicazione ha un livello di Contenuto ed uno di Relazione; 4. Ogni Interazione può essere Complementare o Simmetrica ; 5. Nella Complementare una posizione si definisce One-up e l’altra One-down; 6. Conferma – Negazione/Rifiuto - Disconferma; 7. La Metacomunicazione.

(1) Qualsiasi comportamento, in situazione di interazione tra persone, è ipso facto una forma dicomunicazione. Di conseguenza, quale che sia l’atteggiamento assunto da un qualsivogliaindividuo (poiché non esiste un non-comportamento), questo diventa immediatamente portatoredi significato per gli altri: ha dunque valore di messaggio. La comunicazione quindi può essereanche involontaria, non intenzionale, non conscia ed inefficace.L´affermazione (1) sta ad indicare che, anche se non vi è Comunicazione verbale, l’altra personacomunque esprime qualcosa in modo non-verbale: quindi sta a noi come operatori cercare dicomprendere il significato di gesti, movimenti, cenni o silenzi.

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Anche i silenzi, l’indifferenza, la passività e l’inattività sono forme di comunicazione al paridelle altre, poiché portano con sé un significato e soprattutto un messaggio al quale gli altripartecipanti all’interazione non possono non rispondere. La domanda non è quindi “se” una personastia comunicando, ma “cosa” stia comunicando, anche tramite il silenzio o l’assenza.

Anche nel caso di comunicazioni verbali “strane” o contraddittorie il “vero” significato non èimmediato: è ovviamente una sfida continua e non sempre se ne uscirà vittoriosi; ma è questa perdefinizione, per ruolo, per compito, per l’etica che ne sottende la direzione che vorremmomantenere.

(3) “Una comunicazione non soltanto trasmette un’informazione evidente,…”, un (a) contenutoverbale, ad esempio “ho fame”, ma ci dice qualcosa sulla (b) relazione che c’è – perlomeno inquell’istante – tra chi sta parlando e chi sta ascoltando: ad esempio la frase “ho fame”, urlata puòesprimere rabbia, magari è stata detta da un paziente più volte allo stesso operatore, e quindi puòesprimere risentimento o altro ancora. La comunicazione, quindi, ha un (a) aspetto di contenuto,una notizia che trasmette un informazione – ciò che la persona dice o fa – ed un (b)aspetto direlazione, cioè di comando, che ci dice il modo con cui si deve assumere tale comunicazione equindi al tempo stesso impone un comportamento. Di fatto l'aspetto di relazione classifica ilprimo, cioè l'aspetto di relazione ed è quindi una metacomunicazione. (vedasi poco sotto al punto(7))

(4) Uno scambio è simmetrico (4s) quando avviene tra interlocutori che si considerano sullostesso piano, svolgendo funzioni comunicative e ruoli sociali analoghi;

• nell'interazione simmetrica, entrambi gli interlocutori tendono a porsi ad uno stesso livello(uguaglianza della relazione).Così mentre uno dei soggetti cerca di definire la natura dellarelazione, l’altro risponde alla definizione che viene data confermandola, rifiutandola ocercando di modificarla.

• Abbiamo così una relazione simmetrica sana, e quindi stabile, quando entrambi gliinterlocutori riescono a posizionarsi sullo stesso livello, considerandosi uguali econfermandosi reciprocamente. E’ il caso del rapporto fra pari, dove io “definisco te comeamico” e “tu definisci me come amico”, risultando in perfetta simmetria (principio diuguaglianza).

• Abbiamo invece una relazione simmetrica patologica, quando uno dei due attori rifiuta osqualifica il “livello di uguaglianza” dell’altro, cercando di porsi “al di sopra” (verso unaposizione one-up) rispetto all’altro (“io sono migliore di te”, “tu sei diverso da me”). Difronte a questa presa di posizione il secondo interlocutore, dal lato suo, cercherà diripristinare la posizione di uguaglianza, rifiutando o squalificando il ruolo imposto dal primo(“tu non sei migliore di me”, “io non sono diverso da te”). Se entrambi rimangono rigidisulle proprie posizioni, si genera un circolo vizioso che prelude ad un’escalation simmetricache sarà caratterizzata da forti conflitti che rischiano di protrarsi nel tempo, fino allareciproca esclusione, in cui si fa finta di ignorarsi “come due perfetti sconosciuti”, o peggioalla rottura definitiva.

(4) Una relazione è complementare (4c) quando fa incontrare persone che hanno unarelazione, ma non sono sullo stesso piano per potere, ruolo comunicativo, autorità sociale,interessi.

• Nella relazione di tipo complementare, al contrario, il comportamento di uno tende adifferenziarsi, ponendosi in posizione opposta e complementare rispetto a quello dell’altro.Un esempio può essere fornito dal rapporto madre-figlio, dove una definisce se stessa madree l’altro figlio, o ancora dalla relazione medico-paziente.

• Avremo quindi uno che sta “al di sopra” (posizione one-up), ovvero che dirige e consiglia,

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e un altro che sta “al di sotto” (posizione one-down), obbedendo o accettando la definizionedella relazione che l’altro ha deciso per entrambi.

• Potrebbe invece nascere lo scontro nel caso in cui si cercherà di puntare all’uguaglianza.Pensate ad esempio ad un figlio adolescente che si ribella alle regole di un genitore, nonriconoscendogli l’autorità.

• Anche in questo caso, come nell'interazione simmetrica, possiamo parlare di relazionecomplementare sana quando vi è un’accettazione spontanea e non imposta da parte dientrambi del tipo di relazione definita. (Es. il figlio che accetta il ruolo dei genitori, ilpaziente che si fida del proprio medico, etc.)

• Mentre si ha una relazione complementare patologica se la posizione di chi sta “al disopra” si irrigidisce, rischiando di creare un un'unione morbosa fino a soffocare lapersonalità dell’altro.

• Nella relazione complementare uno dei due comunicanti assume la posizione one-up(superiore) e l’altro quella one-down (inferiore); i diversi comportamenti dei partecipanti sirichiamano e si rinforzano a vicenda, dando vita ad una relazione di interdipendenza in cui irispettivi ruoli one-up e one-down sono stati accettati da entrambi (ad es. le relazioni madre-figlio, medico-paziente, istruttore-allievo, insegnante-studente), in cui il comportamento diuno dei comunicanti completa quello dell’altro (ad es. dirigente-dipendente). Nel caso del maestro e dell’allievo, del negoziante e del cliente, dell’operatore e delpaziente, nei casi – cioè – in cui le Relazioni si integrano tra loro, si completano, si puòparlare di Relazioni Complementari, senza volervi dare alcun giudizio di valore. Nei casi incui entrambi i membri in una Relazione tendano ad assumere il medesimo ruolo ocomportamento, si parla di Relazione Simmetrica: è il caso di due persone che si ritengonoentrambe competenti sul medesimo argomento e quindi si sentono in diritto di aver ragione.

• L'interazione simmetrica è quindi caratterizzata dall'uguaglianza e dallaminimizzazione della differenza, mentre il processo opposto caratterizza l'interazionecomplementare.

• Entrambe le relazioni (Complementari e Simmetriche) possono avere caratteristichepositive nelle relazione o, viceversa in caso di irrigidimento di uno o di entrambi ipartecipanti, possono produrre relazioni disturbate, conflitti, patologie relazionaliduali e/o di gruppo.

• É fondamentale avere chiaro il concetto che le relazioni simmetriche e quelle complementarinon devono assolutamente essere equiparate a “buona” e “cattiva”, né le posizioni one-up eone-down vanno accostate ad nomi quali “forte” e “debole”;si tratta solo di una suddivisioneche ci permette di classificare ogni interazione comunicativa in uno dei due gruppi. (4s) Spesso nelle relazioni simmetriche si può sviluppare quella che si definisce una“escalation”, cioè una serie di azioni “a salire”...

(5) ...dove l’uno cerca di mettere in posizioni di “inferiorità” l’altro (one-down), per esserea sua volta “superiore”, in condizioni di superiorità (one-up). Si ha cioè il rischio di un forteconflitto, senza fine. Le posizioni one-up e one-down, sono invece accettate dai membridelle Relazioni Complementari, salvo i casi di violenza, sadismo, aggressività,ecc., dove unmembro della Relazione cerca di spingere l’altro in una posizione di inferiorità. Non sonopoi fenomeni così distanti da noi. Vi e´ da aggiungere che in sé i termini di one up/one downnon hanno un significato né positivo né negativo: indicano unicamente in quell'istante o inuna situazione duale o di gruppo la/le modalità di interazione: detto in “malo modo” di chiin quell'istante svolge un ruolo “attivo” e di chi quello “passivo”. A titolo di esempio unostudente che ascolta ed un insegnante che parla sono rispettivamente one down e one up;questa situazione (4c) “complementare” può andare bene nella situazione specifica d´ aula

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per un determinato periodo di tempo, ma se la lezione si protrae più del previsto o se –peggio ancora – l' insegnante dovesse incontrare lo studente fuori dalla scuola, ad esempioquando lo studente è con la sua fidanzata in un bar e dovesse/volesse cominciare a trattareargomenti della lezione, oltre ad essere “Fuori Ruolo” provocherebbe una nonaccettazione/rifiuto della modalità complementare, anzi faciliterebbe una modalitàsimmetrica, perlomeno negli stati d´ animo e pensieri dello studente e della sua partner.

(6) Conferma, Negazione/Rifiuto e Disconferma hanno a che vedere con il bisogno che ogniessere umano ha di essere riconosciuto dagli altri in quello che dice e fa, nel bisogno diessere amato, visto, considerato e riconosciuto nelle proprie capacità e qualità personali.

• Ogni comunicazione emessa determina sempre una informazione di ritorno o retroazionefeed-back, che va riconosciuta ed interpretata come risposta che segnala se l’interlocutore hacapito o no, se accetta o no quanto è stato detto, se ha gradito o meno il messaggio, etc.Questo vale ad esempio nel rispondere ad un paziente rispetto ad una sua richiesta.

Esistono tre tipi di feedback:

- di CONFERMA dove il feedback è positivo: si approva ciò che l'altro ha detto o fatto (ades. la lode). Significa "Tu esisti, sono d'accordo con te".

- di NEGAZIONE: il feed-back è negativo: è un messaggio di negazione di quanto è statodetto, dove è importante spiegare il motivo della negazione e quindi considerare ciò chel'Altro ha detto o/e fatto. Significa "Tu esisti, ma non sono d'accordo con te".

- di DISCONFERMA: è una comunicazione patologica perché nega l’esistenza dell’altro.Spesso è veicolata attraverso il non verbale (ad es. ignorare l'altro, cambiare discorso,voltare il viso dall'altra parte). Significa "Tu non esisti".

• Rispetto al messaggio: “Non sono d’accordo con te”, la disconferma è meno diretta, menodecodificabile. Tale comunicazione avviene attraverso moduli non immediatamenteconflittuali, ma allo stesso tempo capaci di creare insicurezza, inabilità, incertezza.

• La disconferma è sottesa a un modello comunicativo sempre più diffuso, in cui alleespressioni aperte di rifiuto, si sostituiscono forme complesse di relazione come il nonparlare, il non rispondere, il non prestare attenzione, il mettere continuamente in ridicolo.

• La disconferma al contrario della Negazione non risponde direttamente alle affermazionieffettuate da qualcuno, non contrappone un diverso discorso su quanto è stato detto, essapone in crisi la validità di chi ha parlato, fa intendere che tutto quanto l'altro ha detto equanto potrà dire in futuro, in particolare su se stesso, non ha valore, non ha importanza, nonha peso, e in sostanza alla fine afferma che è proprio lui che non ha alcun valore, alcunaimportanza, alcun peso.

- Ad esempio la bambina che, passando davanti alla vetrina di un negozio chiede alla mamma: “Micompri quel paio di scarpe rosse” si sente rispondere: (a) “Va bene, te le compro” invece che (b) “No, te ne ho comperato un paio di rosse l’altra settimana”, piuttosto che sentirsi rispondere. (c) “Queste scarpe rosse non ti piacciono”, dove queste tre differenti risposte corrispondono quindi allaConferma (a) di ciò e quindi tutto fila liscio; viceversa (b) la Negazione, il rifiuto costituisconoun’esperienza in qualche modo dolorosa. Dal punto di vista dei disturbi di Relazione, la terzapossibilità (c) – la Disconferma – è come dire all’Altro che non esiste, come se nessuno siaccorgesse di lui: mentre in pratica nella Negazione è come se si dicesse all’altra persona “haitorto”, nella “disconferma” è come se si dicesse “tu non esisti”.

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Per far fronte a comunicazioni di disconferma è necessaria una capacità di metacomunicare(vedasi sotto), di comprendere le ragioni che motivano i messaggi disconfermanti dell'altro percommentarli a loro volta e per metacomunicare su di essi.

Proviamo ad immaginare in una struttura o comunque una relazione dove i pazienti non vengonoconsiderati o meglio non viene considerato ciò che essi dicono o “pensano”; è superfluo dire chequesto meccanismo si può definire tale anche se avviene una volta sola: quanto può essere dolorosolo abbiamo sperimentato tutti: è come essere una persona invisibile, è come nei sogni dove si vuolparlare ma non escono suoni dalla nostra bocca, è come abitare un mondo dove noi camminiamo enessuno ci vede, magari non soffriamo fisicamente, ma il dolore dell’anima può essere moltopeggio.

(7) La Metacomunicazione: un esempio di comunicazione e metacomunicazione è quello incui un'affermazione verbale (comunicazione) è contraddetta da una non verbale (tono dellavoce o postura del corpo), che è metacomunicazione. Per esempio, rientra nellacomunicazione dire: «ti amo tantissimo», e rientra nella metacomunicazione dirlo con tonoinespressivo e fare distratto. È evidente che la metacomunicazione è un livello dicomunicazione più significativo della comunicazione, visto che è in grado di svuotarne icontenuti, o anche capovolgerli, in quanto cornice di riferimento.

- Facendo un esempio di Comunicazione sulla comunicazione si può dire che se duepersone stanno litigando, stanno Comunicando, magari in modo aggressivo, magari in modoSimmetrico, in Escalation, ma stanno Comunicando: nel momento in cui – per ipotesi – unadelle due dovesse dire “smettiamola di litigare e cerchiamo una soluzione”, quest’ultima staattuando un processo Metacomunicativo, cioè è come se uscisse dalla Comunicazione pervedere la loro Relazione dall’alto, da un gradino superiore; si dice infatti, anche nel sensocomune che bisogna vedere le cose dal di fuori, dall’alto, per poter avere un giudizio piùsereno ed oggettivo.

• In sostanza “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione dimodo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione”.

Da quanto fin qui detto – pur senza avere la pretesa dell’esaustività, in quanto la teoria è vasta ecomplessa e qui abbiamo fatto una specie di Bignami di Teoria della Comunicazione – siintravedono alcuni meccanismi che intervengono nelle Comunicazioni quotidiane, personali eprofessionali.La nostra abilità a vederli mentre siamo impegnati a Comunicare ed a farne tesoro per migliorare laComunicazione stessa costituisce poi lo scopo di questo lavoro.Quando si parla di COMUNICAZIONE – praticamente sempre in questa dispensa – abbiamobisogno di considerare tutti questi elementi, ognuno è importante ed ognuno può essere utilizzatoper meglio capire l’Altra persona ed il ruolo nostro nella Comunicazione: dobbiamo al tempo stessoessere dentro la Comunicazione e vederci dall’esterno.

Esercitazione e domande di verifica

Per ognuno dei sei aspetti trattati in questo capitolo, oltre ai dialoghi che avvengono nellaquotidianità delle relazioni interpersonali, potrebbe essere interessante analizzare i dialoghi di filmo di alcune parti di essi. Non vi è che l’imbarazzo della scelta.

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2.5 Rispondere al contenuto (co), ai sentimenti (se), al significato (si)

(co)

Per concentrarsi sul contenuto di ciò che l’altro dice, abbiamo da tener presenti le sei (6) domandechiave del giornalismo (Quando – Dove – Chi – Cosa – Come – Perché) o delle sei “W” (When– Where – Who – What – How – Why).

6 Regole del GIORNALISMO

Italiano Inglese Tedesco

DOVE WHERE WOQUANDO WHEN WANNCHI WHO WERCOSA WHAT WASCOME HOW WIEPERCHE’ WHY? WARUM

Abbiamo da Cogliere e Ricordare i temi ricorrenti.

e considerare che,,,

...una buona risposta è quella che riformula le espressioni dell’Altro, senza ripetere a pappagallo.Una formula potrebbe essere “Stai dicendo che______” oppure “In altre parole________” o anchesi dice fare la parafrasi.

• ...un'altra modalità è la continuazione che consiste nel chiedere alla persona di completarela frase che è stata interrotta: ad esempio “Non sto tanto bene...” > “Cioè...?” oppure “Cosaintende?”

(se)

Rispondere al sentimento è l’abilità più critica della Relazione: per fare ciò dobbiamo cogliereil Non-Verbale dell’Altro; Ascoltare attentamente l’Altro; Riformulare a parole il sentimentoche abbiamo percepito. La domanda simbolica che abbiamo da farci è: “Come mi sentirei al suoposto”?, che viene anche definita “La domanda dell’Empatia”. Un esempio potrebbe essere ilseguente:

(co/se)

Signor Carlo:”(1) Le cose non mi stanno andando molto bene. Né a (2) casa (al lavoro),né con mia (3 )moglie. (4) Non so più cosa fare. (5) Cerco di far finta di nulla, madentro (6) mi sento molto giù, perché (7) non sono sicuro di cosa vorrei fare”.

Gli aspetti di contenuto sono i punti 1, 2, 3, 6,: quelli legati al sentimento sono 1 (disagio)4(disorientamento), 5 (Estraniamento), 6 (tristezza/depressione), 7 (insicurezza).

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(se)

Una risposta al sentimento può prevedere una riformulazione che potrebbe essere“Ti senti triste”;

Si nota un basso livello di energia

Dato che non si sente capace di reagire (4-5) e non sa cosa fare (8-9) una rispostapotrebbe essere. “Ti senti scoraggiato”.

Per quanto riguarda le risposte abbiamo anche da considerare il loro:

• livello di intensità

ed a quale

• categoria di sentimento appartengono

(Come abbiamo visto nel capitolo 1.5.2)

(si)

Per rispondere al significato abbiamo da cogliere contemporaneamente contenuto e sentimento.

Ad esempio, possiamo vedere alcuni stati d’animo e le rispettive aree di contenuto:

Sentimento Contenuto

Felice perché posso tornare a casa

Arrabbiato con l’operatrice, perché non mi risponde quando la chiamo

Preoccupato quando ho saputo che dovevano operarmi

Mentre la formula

• “Stavi dicendo che______” esprime una risposta al contenuto,

• “Sei______perchè__________” riesce a cogliere sia contenuto che sentimento.

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Cap. 3L'operatore e la metodologia d'approccio

In questo capitolo prenderemo in esame alcuni metodi/approcci, a nostro avviso necessari al fine di attuare procedure che ci permettano di ben rappresentare la realtà con la quale veniamo in contatto.

3.1 La differenza tra Dato e Deduzione

Molto spesso nel riferire quanto è accaduto ad un paziente oppure nelle discussioni tra colleghisuccede che ci si accalora, che la discussione si accende, che ci sono contrasti che potrebbero essereridotti o evitati se le persone coinvolte riuscissero ad avere una maggiore accuratezza nel descriverequanto hanno osservato o ascoltato: cioè a separare i DATI dalle DEDUZIONI oINTERPRETAZIONI che dir si voglia.

Per DATO si intende l’aspetto esteriore o il comportamento di una persona. Ad esempio se“sorride”, “piange” o “stringe i pugni”;Per DEDUZIONI si intendono, invece, i nostri giudizi come “socievole”, “simpatico”, “arrabbiato”.Ciò che qui si vuol dire è che i Giudizi possono essere veri, corretti, corrispondere alla realtà: peròcon i giudizi noi non permettiamo all’altra persona di farsi un’idea autonoma dei fatti.

Istruzioni: stabilite se le definizioni che seguono rientrano nella categoria dei DATI o delle DEDUZIONI.

Esempio

Di larghe veduteTic facciale

DATI DEDUZIONI □ □

□ □

Esercizio DATO DEDUZIONE

1. Spavaldo □ □2. Si muove nervosamente □ □3. socievole □ □4. si morsica il labbro inferiore □ □5. alto 170 centimetri □ □6. sguardo astuto □ □7. siede scomposto □ □8. respiro frequente □ □9. sprofondato nella sedia □ □10. espressione triste □ □11. bel corpo □ □12. volgare □ □13. tipico esempio di matto da legare □ □14. siede composto, guarda fisso negli occhi □ □15. 40 anni circa, cravatta in tinta, 24-ore □ □16. spalle curve, un lembo della camicia che avanza □ □

fuori dai pantaloni, sembra sulle spine 17. persona molto infelice, chiaramente insoddisfatta □ □ 18. pelle giallastra, polso accelerato □ □

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3.2) Descrizioni comportamentali e descrizioni non-comportamentali

Fratello del paragrafo precedentemente, in quanto considerare i Dati e non le Deduzioni è la condizione sine qua non per attuare Descrizioni precise basate su aspetti fattuali e non su Interpretazioni che – per quanto corrette – non consentono all'Altro di farsi un'idea realistica dell'accaduto.

Descrizioni Comportamentali Descrizioni non-Comportamentali

Caso 1: Kevin è un bambino di cinque anni che frequenta la scuola materna

Il primo giorno di scuola, dopo essere entrato inclasse, pianse per cinque minuti e non volevalevarsi il cappotto. Trascorsi altri cinque minuti,Kevin cominciò a giocare con dei blocchi dicostruzioni.

Il secondo giorno Kevin pianse per circa dueminuti, dopo che la mamma se n’era andata.

Il terzo giorno Kevin non pianse più e salutò lamamma con la manina.

Nei primi giorni di scuola Kevin non si trovavabene nella scuola materna.Poi però si è abituato ed adesso si diverte unmondo.

Caso 2: Sonia è una ragazzina che frequenta la seconda media

Nella quarta ora si è guardata quattro volte allospecchio, si è guardata in giro dieci volte ed inognuna di queste occasioni Paolo e Mirko sisono girati a guardarla.

Sonia è vanitosa e disturba i compagni che lestanno accanto.

Caso 3: Tadzio è un bambino che frequenta la terza elementare

Tadzio non sta mai seduto per più di dieciminuti consecutivi e si alza più frequentementenelle ultime ore di lezione rispetto alle prime.

Tadzio è un bambino iperattivo, non sta maiseduto.

Lo schema sopra esposto evidenzia la chiarezza che si evince da una Descrizione Comportamentale rispetto alla genericità e nebulosità di una Non Comportamentale.

3.3 Aspetti emotivi ed aspetti cognitivi nella rda

Ognuno di noi ha una certa idea della realtà, degli oggetti che ci circondano - della loro utilità edimportanza – e delle persone attorno a noi, sia quelle che sono nostre amiche, sia di quelle checonosciamo più superficialmente; abbiamo altresì un'idea anche delle persone che nonconosciamo direttamente, ma delle quali sentiamo parlare da altre persone o anche attraverso i

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mezzi di comunicazione di massa, della televisione in primis, per via della sua comoditàd'utilizzo.Orbene, abbiamo quindi un sistema di valori attraverso le cui lenti interpretiamo il mondo;citiamo un libro di Koehler “Il posto del valore in un mondo di fatti” che ha sviluppato questotema.Venendo a noi: quando ci avviciniamo – di fatto o mentalmente – ad una situazione o ad unapersona, ne abbiamo immediatamente ed anche senza volerlo un'idea, qualsiasi essa sia, correttao meno; abbiamo attivato o si è attivata una rappresentazione cognitiva (di conoscenza), magariparziale di quella situazione/persona: di conserva questa situazione suscita in noi uno statoemotivo di intensità variabile (bassa, media, alta; si veda cap. 1.5 e 1.5.1) associato adun'emozione: entrambi questi aspetti sono indissolubili e formano un tutt'uno, sia che ne abbiamoconsapevolezza, sia che siano retropensieri veloci e lontani.Nel prossimo paragrafo affronteremo il tema.

3.4 Autosservazione ed autovalutazione dell'operatore

L’autoesplorazione, ha a che fare con quello che è il tema più generale dell’Ascolto, di cui cioccuperemo più avanti: in questo caso l’Autoascolto, anche se il termine “Relazione d’aiuto”rimanda dal punto di vista linguistico ad un qualcosa di esterno, ad un’azione rivoltaunidirezionalmente verso qualcun altro, se così fosse sarebbe assolutamente fuorviante.

Perché vi sia effettiva relazione d’aiuto è importante che l’Operatore/trice abbia la consapevolezzache in ogni istante vi sono sempre due soggetti presenti, che si muovono in un contesto, anche seapparentemente immobili; questi due soggetti sono l’operatore o helpher, per dirla con Carkhuff el’helpee, il paziente o l’altra persona che dir si voglia: la relazione è costituita in ogni istante tra ciòche l’helpee comunica con parole, gesti, silenzi ed i pensieri, emozioni, sensazioni che l’helpher nericeve.È quindi assolutamente fondamentale, è la “conditio sine qua non” che l’operatore abbia laconsapevolezza, punto per punto, attimo per attimo dei Propri Pensieri ed Emozioni, fosseropure i più negativi possibili, auto svalutativi o allo svalutativi.Non perché ciò sia giusto ed auspicabile, ma perché solo in questa maniera, avendoneconsapevolezza è possibile farvi fronte, lavorarci ed eventualmente ed auspicabilmente migliorarequesti aspetti.Necessita, quindi, da parte dell'operatore, una continua opera di autosservazione in merito alleproprie azioni verso l'Altro, sia in termini di azioni di movimento vero e proprio, che di parole/frasipronunciate. Un altro aspetto è l'osservazione che le azioni altrui – parole e fatti –inducono/provocano su di sé: vi è quindi un'Autovalutazione degli effetti delle nostre ed altruiinterazioni.È quindi un processo continuo ed incessante – senza fine – nel quale l'operatore si sottoponecontinuamente alla prova dei fatti e degli effetti che essi hanno su di sé, così come delleinterpretazioni dei fatti che gli Altri danno e che possono coincidere o collidere con i nostri: inentrambi i casi dobbiamo sottoporli al vaglio delle Categorie Critiche della Ragione per non correreil rischio dell'autocompiacimento o/e dell'eccesso di critica e/o dell'Auto svalutazione ingiustificata.Il tutto si configura come un rimando continuo ed incessante tra se stessi e l'Altro, inteso sia comePersona che come Sistema di Relazioni ed Interrelazioni: un continuo Dentro/Fuori come fosse unperenne Transfert e Contro transfert con l'Altro e con la Realtà circostante.

Dicevamo prima che l'Auto esplorazione ha a che fare con l’Ascolto: sappiamo che vi è la velocitàd’espressione che può raggiungere le 100/150 parole al minuto e la velocità del pensiero che puòarrivare alle 400/500 parole al minuto.Ciò ci dà l’idea dell’importanza del porre l’attenzione (Auto esplorazione) anche e “quasi

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contemporaneamente” sui propri processi interni, per riflettere sul contenuto e per cercare ilsignificato (Autovalutazione) che la relazione con l’Altro ha su di noi, attimo per attimo: da ciòdipende la qualità della relazione medesima. Come si diceva all’inizio del capitolo, l'autoconservazione ha a che vedere con l’attenzione rivoltaal proprio Sé interno, è rivolta ad un Ascolto interno: è proprio di questo tema che ci occuperemonel prossimo capitolo.

Domande di ripasso

Di cosa è importante che l’Helpher abbia consapevolezza nelle relazioni interpersonali?

Quale può essere la velocità d’espressione?

…e la velocità del pensiero?

Esercitazione

1) Descrivi un dialogo (anche di poche battute) che ti è capitato di avere o alternativamente descriviuno scambio comunicativo che puoi decidere di fare per scopi didattici con un tuo amico, conoscente o altri e stai attento/a ai tuoi pensieri e stati d’animo durante il dialogo medesimo.

2) Successivamente fai un’analisi di ciò che è successo.

3.5 Le implicazioni parassite (A): Pregiudizio (B), Stereotipo (C), Generalizzazione (D), Categorizzazione (E).

• (A) Un elemento che può portare “fuori strada” in una Relazione o comunque quando untema si presenta in termini prevalentemente o unicamente verbali, è dato dalle cosiddette“Implicazioni parassite”. Possono venire designate così certe “Idee” che vengono suscitatenella nostra mente dalla lettura o dall'ascolto di una certa parola e che però sono indebite, nelsenso che non sono oggettivamente giustificate e possono avere come effetto quello direstringere o comunque di modificare il campo semantico di quella parola.

Ad esempio lo studente può provare ad affrontare il seguente problema, presentato unicamente informa verbale: “Quattro palline sono tra loro uguali per Forma, Colore e Dimensioni (Le trevariabili della Percezione visiva; N.d.A.), ma una ha un peso differente dalle altre; si tratta ditrovare tale pallina avendo a disposizione una bilancia a piatti, potendo usare come pesi solo lepalline e potendo fare in tutto due sole pesate”.Se non trovate la soluzione venite a lezione!

• (B) Il pregiudizio è un atteggiamento di intergruppo e “si intende l’opinione preconcettaconcepita non per conoscenza diretta di un fatto, di una persona o di un gruppo sociale,quanto piuttosto in base alle opinioni comuni o alle voci.”

• G.W. Allport sostiene che un concetto errato (che è sempre possibile) si trasforma inpregiudizio quanto rimane irreversibile anche di fronte a nuovi dati conoscitivi.

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• L’irreversibilità è facilmente constatabile nella logica della "eccezione". Se riteniamo,pregiudizialmente, che ad un dato gruppo di persone ben si attagli l’etichetta di "ladri" (peresempio i rom), ben difficilmente cambieremo opinione di fronte a persone che in tuttaevidenza si comportano in modo difforme dal nostro pregiudizio.

• E se proprio non riusciamo a reggere la dissonanza cognitiva generata da un comportamentoimpensato (ad esempio un ragazzo rom che ci insegue per restituirci il portafoglio perso o laborsa dimenticata) possiamo fare appunto ricorso alla logica dell’eccezione. Che, al solito,conferma la regola: i nomadi sono ladruncoli e ciò che mi è accaduto è una eccezione checonferma l’assunto di fondo.

• Propriamente, sono atteggiamenti intergruppo, cioè posizioni di favore o sfavore che hanno per oggetto un gruppo, si formano nelle relazioni intergruppo e risultano largamente condivise. In psicologia sociale ci si è interessati soprattutto dei pregiudizi negativi; ma ne esistono anche di positivi e di neutrali.

• (C) Gli Stereotipi stanno ad indicare quel tipo di:

1. semplificazione rigida che facciamo della realtà e che è ravvisabile nell'opinione pubblica;

2. gli stereotipi sono rappresentazioni mentali che emergono da raggruppare gli individuisulla base dei fattori che li accomunano, tralasciando quelli che li rendono unici. Questevalutazioni, per lo più negative, fanno si che una persona venga giudicata per la suaappartenenza ad un gruppo e non per quello che è in quanto individuo.

3. Gli stereotipi implicano un processo di discriminazione il quale si articola incomportamenti contro il gruppo verso il quale si nutre pregiudizio e di discriminazioni afavore del proprio gruppo. Vi è quindi una spinta all'etnocentrismo che fa percepire i valoridel proprio gruppo di appartenenza come i più validi e condivisibili.

Gli stereotipi comunque, non sono del tutto arbitrari, ma hanno alla loro base le esperienze chefacciamo nella nostra vita, per cui è possibile parlare di un “nocciolo di verità”. Smith e Mackiefecero notare che gli ebrei vengono considerati scaltri e avari perché nel medioevo una delle pocheoccupazioni alla quale avevano accesso era prestare denaro. Cosi, con il tempo, gli ebrei hannofinito per essere visti come particolarmente adatti a questa occupazione. In ogni società, peraltro,può essere rintracciato uno stereotipo comune. Di solito il gradino socioeconomico più basso vieneconsiderato pigro, ignorante, sporco, immorale (negli USA è valso prima per gli irlandesi, poi pergli italiani, poi i portoricani, poi i messicani, ecc).

I ruoli sociali spiegano, per lo meno in parte, anche gli stereotipi di genere, quelli cheportano a considerare le donne sensibili, emotive, tenere, ecc... Inoltre, grandeimportanza è data alla situazione, per cui, i tedeschi durante la guerra venivanoconsiderati crucchi e spietati, mentre in tempo di pace, efficienza e rigorosità.

Attraverso un meccanismo cognitivo che viene detto errore di corrispondenza, infatti, icomportamenti associati ai ruoli vengono attribuiti a caratteristiche di personalità dei singoliindividui che appartengono a quel gruppo.

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Il processo che porta alla formazione di uno stereotipo è il seguente:

(1) fattori sociali, economici politici e storici creano i ruoli sociali; (2) a gruppi diversi vengono assegnati ruoli diversi; (3) I membri dei gruppi assumono comportamenti appropriati al loro ruolo; (4) a causa dell'errore di corrispondenza, i comportamenti associati ai ruoli vengonoattribuiti a caratteristiche di personalità dei singoli; (5) si forma lo stereotipo. Questo non vuol dire però che gli stereotipi non possano riflettereanche quelle che sono le caratteristiche reali di un particolare gruppo. Ma quando si parla dipropensioni a base innata, si parla di tendenze medie di una popolazione, mentre glistereotipi diventano pericolosi perché attribuiscono a tutti i membri di quel dato gruppo, lecaratteristiche medie. Pertanto, nel momento in cui le nostre valutazioni di un gruppo o diun individuo si basano sui due seguenti tipi di sillogismo: (1) le donne sono emotive,Federica è una donna, quindi è emotiva; oppure Federica è emotiva, Federica è una donna,quindi le donne sono emotive, siamo in entrambi i casi vittime di stereotipi distorti.(6) Quindi gli stereotipi hanno le stesse conseguenze degli schemi, ovvero, le informazioninuove che non siano in linea con lo stereotipo vengono con facilità rifiutate o dimenticate.Le informazioni ambigue vengono invece interpretate in modo da essere congruenti conl'immagine mentale che si ha di un certo gruppo.

(7) Peraltro, come tutti gli schemi, gli stereotipi possono spingere coloro che fanno parte delgruppo esterno a mettere in atto proprio quei comportamenti che confermano lo stereotipo.Lo stereotipo si pone quindi in termini di “profezia che si auto-avvera”.Quindi, l'auto-consapevolezza di far parte di una minoranza, di essere diversi, porta a percepire gli altricome pronti a reagire alla propria diversità, anche quando in effetti questo non staaccadendo.

Kleck e Strenta, negli anni ottanta, hanno dimostrato che la consapevolezza di essere portatori di un difetto fisico altera la percezione degli altri nei propri riguardi (disegnarono finte cicatrici sui volti di alcune “cavie”, ma prima di farle andare in giro, cancellarono di nascosto queste cicatrici. Quindiuna volta andati in giro per la città, pensarono di essere osservati in maniera particolare, anche se in realtà non avevano nessuna anomalia). Gli stereotipi sono quindi il lato oscuro dei nostri processi di categorizzazione sociale. Una correlazione illusoria (se avviene un borseggio, e tra i presenti c'è un nero, si tende a pensare che sia egli il colpevole). Anche quando in un gruppo qualcuno è molto visibile e cattura la nostra attenzione (salienza), tendiamo a vederlo come responsabile di quello chesuccede.

• (D) Generalizzazione

• La generalizzazione è il processo attraverso il quale viene associato ad una varietà dielementi/esperienze il medesimo significato.

• La generalizzazione ha la funzione di attenuatore di varietà degli elementi/esperienze alloscopo di semplificarne la gestione.

• Può essere costituita dal fatto che una persona non sia stata in grado per una volta disvolgere una certa attività – generalizzazione negativa - come ad esempio orientarsi in una

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città sconosciuta; tale modalità viene generalizzata – generalizzazione spaziale - cioè quellapersona viene classificata come colei che si perde, magari facilmente. Un anziano hadifficoltà a muoversi per andare in bagno e…viene ritenuto come incapace di svolgere anchein futuro – generalizzazione temporale – tale attività: magari a causa di ciò gli viene messoil pannolone (sic).

• (Teorie cognitive). Distorsione cognitiva che consiste nell'astrarre una regola generale da un episodio o da pochi episodi isolati e applicarla in modo troppo generalizzato ovvero a situazioni non correlate.

• Nella vita di relazione, si pone continuamente il problema di capire (interpretare) eprevedere correttamente il comportamento degli altri. Lo scopo è quello di muoversi,relazionarsi con l’ambiente sociale con una accettabile "sicurezza". Nella fase in cui si cercadi interpretare e/o prevedere il comportamento degli altri, possono intervenire degli "errori"di valutazione (interpretazione): sono errori di inferenza (ragionamento) che derivano daparticolari schemi di ragionamento personale.

• In altri termini noi vediamo una persona o un gruppo di persone che compiono un certocomportamento ed inferiamo, supponiamo, generalizziamo che quelle persone sicomporteranno nella o nelle medesime maniere anche in altre situazioni. Se ciò è riferito agruppi sociali può produrre distorsioni della realtà: ad esempio “tutti i vecchi soffrono divarie malattie”; “i bambini i primi giorni di vita non riconoscono i volti umani”; “i soldirendono felici”; “i bambini sono rumorosi”; ecc.

• (E) La C ategorizzazione

• E' un meccanismo, che di fatto distorce la realtà dei fatti, semplificandola ed allo stessotempo modificandone il senso;

• Come premessa dobbiamo anche però dire che le categorizzazioni possono essere necessarieed anche utili; cioè noi abbiamo bisogno di schemi mentali, come pure abbiamo bisogno dicomunicare con gli altri;

• Di fatto la realtà è composta di infiniti dettagli, da una molteplicità di azioni, che sescomposte nei dettagli, comporterebbero uno spreco di tempo ed una noia micidiale in chiascolta: ad esempio, invece di dire “Stamattina mi sono alzato…”, frase che è costituita daquattro parole, se dicessimo “Alle 07.47 minuti e 51 secondi ho aperto gli occhi, ho spostatoil lembo del lenzuolo verso la parte sinistra del letto, fino all’altezza del piede sinistro, poiho compiuto una rotazione del tronco e successivamente dell’intero corpo verso destra, misono seduto sulla sponda del letto, appoggiando i piedi per terra, ho atteso otto secondi, poimi sono alzato lentamente dal letto, non prima di aver infilato delle ciabatte di cotoneleggero, indi con passi lenti mi sono avvicinato alla porta della stanza e…”

• E’ ovvio che usare una categoria concettuale e linguistica come quella appena descrittacostituirebbe una paralisi del vivere sociale, mentre usare quella precedentemente descrittarenderebbe più fluida l’esistenza comunicativa.

• Nell’ambito sociale, ragionare per categorie, avviene ad esempio, quando noi usiamotermini quali l’handicappato, l’anziano, il minore, il tossicodipendente, il malato terminale,il bambino, la donna, la ragazza, ecc.

• L’accento, in questo caso è posto su un particolare aspetto/caratteristica della personalitàdi qualcuno e, a sua volta, questa caratteristica definisce l’intera persona, privandola a suavolta di tutti quegli aspetti di dettaglio, individuali che – come dice la parola stessa –definiscono l’individuo stesso.

• In ambito sociale e, non solo qui, è opportuno ragionare riferendosi ai bisogni della persona

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ed ai disagi/dolori che ne caratterizzano l’esistenza: solo così è possibile un approccioindividualizzato ed in ultima analisi rispettoso dell’Altro dal punto di vista etico.

• Nella categorizzazione sociale ciascuno stimolo viene collocato in una classe che, mentre lodefinisce intrinsecamente, lo differenzia dai componenti delle altre classi. Essa costituisce, quindi, la via maestra per l’organizzazione e la costruzione della realtà ed in ultima analisi, per la possibilità di entrare in rapporto con la stessa.

• Quindi attraverso la categorizzazione entriamo in contatto con la realtà; possiamocomunicare con gli Altri, ma non dobbiamo confondere la mappa (la categoria) colterritorio; non dobbiamo confondere il dito con la luna che ce la indica.

3.6) Le “Intenzioni” dell'operatore e l'”Ascolto”

Vale, come premessa, quanto dice Massimo Recalcati a proposito del linguaggio infantile “«Ilmistero del linguaggio infantile ci interroga da sempre. Perché per i più piccoli parlare non è unostrumento ma un incontro che “crea” il mondo e apre all’Altro».Premessa dell'incontro con l'Altro sono le “Buone intenzioni”, in tedesco si direbbe “DieStrebung”, cioè quell'insieme di pensieri, retropensieri1 e sentimenti che ci mettono in unaparticolare “Disposizione d'animo” verso una persona o verso una situazione: è ciò che in generel'Altro “coglie, sente, percepisce..” a prescindere dal titolo di studio posseduto dall'interlocutore: neabbiamo parlato ai paragrafi 3.3 e 3.4.Abbiamo da aggiungere a tale proposito che le Intenzioni hanno da precedere o da essereconsustanziali all'Ascolto – tema base, non detto, ma sempre invisibilmente presente nella Rda – eda questo proposito indichiamo alcuni Principi base per un buon ascoltatore, alcuni tratti dal testodi M. Sclavi:

se si vuol comprendere quello che l’Altro sta dicendo, bisognerebbe presumere che l’Altro - dal suo punto di vista – abbia ragione e chiedergli di aiutarci a vedere le cose dalla sua prospettiva

non avere fretta di arrivare alle conclusioni: non interrompere; aspettare prima di rispondere

ascoltare il tono della voce

parafrasare (dire/ripetere) con parole proprie quanto ha detto l’Altro ( significato/sensazione) finché questi non è soddisfatto

accogliere i dissensi come occasioni per migliorare le proprie capacità di gestione creativa del conflitto

ricordarsi che c’è una differenza tra il numero di parole che si possono dire in un minuto (100-150) e quelle che si possono pensare (400/500): l’Altro è ciò che pensa in quell’istante

Il termine “Ascolto” rimanda alla direzione del nostro ascolto, al nostro interlocutore. alla sua

1 arrière-pensée /arjɛrp 'se/, it. /ar:jɛrpan'se/ s. f., fr. (propr. "retropensiero"), in ital. invar. - 1. [intento non dichiarato] ≈ scopo recondito, secondo fine. 2. [pensiero riposto] ≈ sottinteso.

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unicità: ogni relazione d’ascolto dovrebbe , per essere autentica, essere unica, dove tutto il nostroEssere dovrebbe essere coinvolto nell’Ascolto; a tutto ciò ha da essere aggiunto il Cuore: puòsembrare un valore aggiunto, poco professionale, poco scientifico, poco estraniante come talvolta ospesso viene insegnato, il pseudo-Distacco professionale, in cui si salvaguarda solo il noncoinvolgimento dell’operatore, che trova così pure una giustificazione “scientifica” al propriodistacco e alla propria estraneità. Si confondono due aspetti fondamentali del procedere scientifico e due caratteristiche fondamentalidi ogni Relazione d’aiuto: perché si possano definire tali ci vuole prima di tutto un significativocoinvolgimento emotivo, accompagnato da una continua analisi auto riflessiva sulle propriemodalità comunicazionali e relazionali in genere, come abbiamo visto nel capitolo precedente: ècioè – come detto precedentemente – un continuo “dentro-fuori” o detto in altri termini lo stessomeccanismo del “Transfert e Contro transfert”.

• Definiamo ora alcuni aspetti che caratterizzano un ascolto attivo e partecipato, unicamaniera perché possa essere percepito come tale anche dal paziente o dall’Altro in generale.

Nell’Ascolto intervengono diversi elementi, di cui solo l’ascoltatore può avere consapevolezza: ènecessario quindi:

(a) avere un motivo, anche inconsapevole, per ascoltare;

(b) è importante concentrarsi sull’Altro e avere coscienza di quando ciò non succede: noi comunque comunichiamo all’Altro in modo non-verbale, attraverso una continua ed infinita seria dimicrosegnali la nostra mancanza di concentrazione o la nostra concentrazione intermittente: come suggerimento viene da dare quello che viene fornito nei corsi di Training autogeno o di meditazionetrascendentale e cioè, quando ci si accorge di aver perso la concentrazione sul tema, di riprendere tranquillamente la direzione originaria;

(c) resistere alle distrazioni: sguardi, rumori, persone; si collega a quanto detto prima: da un lato ènormale che delle distrazioni vi siano, dall’altro se la loro quantità dovesse risultare eccessiva, laricaduta/messaggio sull’Altro sarebbe quella di scarso interesse da parte nostra;

(d) ascoltare il tono della voce: come vedremo più avanti il tono fa parte degli indicatoriparalinguistici o paraverbali e può dare indicazioni sulle valenze emotive del messaggio oltre chedel rapporto che vi è in quel momento tra chi sta parlando e chi, in quel momento sta ascoltando(emittente e ricevente);

(e) ricordare i temi ricorrenti, per quanto essi possano essere talvolta fastidiosi, noiosi,apparentemente non pertinenti o altro ancora, comunque ci dicono qualcosa sul nostro interlocutore:sta a noi decifrare o quantomeno provare a decifrare tali messaggi; può pure succedere che ciòaccada fuori dall’orario di servizio: anche se sarebbe auspicabile non avere/non portarsi compiti acasa, se comunque tali temi ricorrono vuol dire che hanno un significato: forse vale la pena mettercile mani. A titolo d’esempio l’anziano che in casa di riposo dice spesso che “nessuno mi viene mai atrovare…nessuno mi vuole bene”, anche se ciò non corrisponde all’effettiva realtà può essere indicecomunque di una percezione da parte sua in tal senso o forse anche e/o complementarmente unarichiesta di maggiore attenzione…appunto!!!; (f) ricordare le espressioni si aggancia a quanto detto poco sopra: il fatto che improvvisamente,senza significato apparente ci vengano alla memoria espressioni, verbali e/o visive, sta a significareche qualcosa che magari non ci è ancora chiaro ci ha colpito: è in fondo una sensibilità percettivache abbiamo,…non trascuriamola;

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(g) valutare costituisce una caratteristica continua nelle nostre interazioni: è importante cercare dimantenere un atteggiamento avalutativo, non giudicante ed allo stesso tempo essere consapevoli deinostri valori, della scala che essi hanno nel nostro agire: è questo un tema che riprenderemo quandotratteremo degli aspetti etici nella RDA;

(h) avere pregiudizi come si diceva poc'anzi costituisce un freno ad una RDA che voglia costituirsicome tale: la consapevolezza della loro presenza nel nostro sistema di valori e la volontà diaffrontarli fa sì che la direzione della RDA, in certi momenti prenda direzioni generative di rapportoe di cambiamento piuttosto che il contrario;

(i)manipolare, cioè indirizzare in modo direttivo pensieri ed azioni altrui costituisce un intervento acui è preferibile sostituire modalità relazionali dove si lavori all'Auto consapevolezza da partedell’utente sul proprio sistema di valori, sui motivi che caratterizzano la propria azione o inanità;

(l) saltare alle conclusioni è indice di poco ascolto e disponibilità, di una fretta operativa che nonricerca sintonie con l’Altro e, come si dice, non ne rispetta i tempi: si dice nel linguaggio comune“essere in sintonia” per definire una relazione nella sua unicità dove i due interlocutori, anche secon ruoli differenti, condividono uno spazio non solo fisico, ma emotivo, cognitivo;

(m) interrompere costituisce un altro aspetto che determina una frammentazione della relazione eduna riduzione dell’efficacia dell’ascolto: è quindi da valutarne l’opportunità ed il momento nelquale è opportuno rispondere e considerare se è importante o se risponde unicamente a bisogni odifficoltà proprie;

(n) velocità di pensiero: precedentemente si parlava della differenza tra velocità d’esposizioneverbale (100/150 parole/minuto) e velocità di pensiero (400/500 parole/minuto): il fatto che noicontinuiamo a pensare anche quando ascoltiamo l’Altro ci deve indurre, ancora una volta, a tenere“a memoria” un fatto fondamentale. I nostri pensieri “interferiscono” con l’ascolto o perlomeno richiedono la capacità di alternarsivelocemente tra il proprio sistema di pensieri e quello dell’Altro;

(o) sentimenti dell’Ascoltatore arrivano attraverso micromovimenti del viso, degli occhi, dellamuscolatura, ecc.: vale anche qui quanto già detto sull’importanza della propriaautoconsapevolezza;

(p) l’ascoltatore dovrebbe cercare i punti principali di ciò che l’interlocutore dice, ascoltando oltrele parole stesse, per capirne il vero significato;

(q) l’ascoltatore dovrebbe parafrasare con parole sue il significato e la sensazione di ciò chel’Altro dice, finché questi è soddisfatto.

Illustrato sinteticamente lo schema da tener presente nell’Ascolto, vi è da aggiungere cheovviamente per affinare le proprie capacità d’ascolto oltre alla conoscenza del modello ci vuoleesercizio, capacità critiche ed autocritiche, sensibilità percettiva, desiderio di migliorare le propriecapacità, riconoscimento dei propri aspetti deboli e quant'altro, tra cui il feed-back altrui sui nostrimodi di operare: il cammino è perlomeno ricco di spunti; vi è da dire che questo camminoprofessionale nell’area dell’ascolto e delle capacità d’aiuto coincide con aspetti auto migliorativi ditipo personale applicabili in ambito comunicazionale e relazionale tout-court.Il quadro appena fornito è uno spunto iniziale: su questo tema come già detto all’inizio vi è unabibliografia ricca, interessante e stimolante.

Aggiungiamo qui le sette regole dell’Arte di Ascoltare, secondo lo schema di M. Sclavi ( v. bibliog.

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(10): pag.121), alcune di esse già accennate precedentemente:1. Non avere fretta di arrivare alle conclusioni…;2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi

cambiare punto di vista;3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e

chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva;4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali, se sai comprendere il loro

linguaggio…;5. Un buon ascoltatore…I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla

coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perchéincongruenti con le proprie certezze;

6. Un buon ascoltatore…Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo…: lagestione creativa dei conflitti;

7. …arte di ascoltare…metodologia umoristica…Ma quando hai imparato ad ascoltarel’umorismo viene da sé.

Ritengo che le capacità d’Ascolto, rispetto allo schema RDA, possono configurarsi, a tutti gli effetticome intervento: nella realtà credo che sia successo a tutti, almeno qualche volta che unamico/conoscente ci parlasse di un tema/problema ed alla fine, senza che noi commentassimo oaggiungessimo alcunché, ci sentissimo ringraziare e vedessimo effettivamente l’interlocutore conun qualcosa di cambiato, come se qualcosa fosse successo nel suo schema cognitivo-emozionale:probabilmente si può commentare “basta poco”, ma quel poco ha da esserci: ovviamente qui si parlanon della quantità ma della qualità della relazione, dove anche i silenzi svolgono un ruolo di peso:ne riparleremo; parafrasando un detto pseudomaschilsta dove si dice: “le donne non dicono mainiente, ma lo dicono così bene”, si potrebbe dire: “l’operatore/trice può anche non dire nulla con leparole, ma attraverso fili invisibili di luce trasmettere il proprio desiderio, la propria volontà diaiutare l’Altro…e farlo bene”.Nel prossimo capitolo cercheremo di metterci dal punto di vista dell’helpee, dei suoi desideri,aspettative, timori.

Domande di ripasso

Elenca alcuni degli elementi che intervengono nel processo d’Ascolto. Elenca alcuni elementi che lo facilitano. Elenca alcuni aspetti che interferiscono con un buon Ascolto. Prova a verificare se riesci a ricordare le Sette Regole dell’arte di Ascoltare

secondo lo schema di Marianella Sclavi?

Esercitazione

Come nell’Esercitazione del capitolo (5) descrivi un breve dialogo che ti capiterà di avere oche deciderai di fare.

Analizza il tutto secondo i punti descritti in questo capitolo (a-n).

3.7) Interagire con le Intenzioni, i Pensieri ed i Sentimenti dell'Altro.

Abbiamo parlato precedentemente, all'inizio del paragrafo 3.6, delle Intenzioni dell'Operatore edella necessità della loro auto consapevolezza in 3.4: necessitiamo inoltre di farci un'ideadell'Altro, dei suoi Pensieri, Sentimenti ed Intenzioni (PSI). Ciò può avvenire durante qualche istante dell'interazione o in una particolare fasecontraddistinta da intensità emotiva; in una rapida riflessione/pensiero che può verificarsi a

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distanza di tempo dall'interazione stessa. In poche parole ci facciamo un'idea del “Mondodell'Altro”, anche a prescindere da ciò che l'Altro ci dice verbalmente (vedasi 2.1): in pocheparole abbiamo la necessità metodologica, teorica ed assolutamente pratica di una Relazionecorrispondente PSI con l'Altro.Nella realtà empirica ciò può avvenire in modo fenomenologico 2 ed assumere in un attimod'emblée una visione della persona, dove si uniscono elementi accumulati, magari nel corso diparecchio tempo: insomma ci facciamo un'idea della persona, che talvolta non corrisponde a

quello da noi creduto precedentemente, ma ci si rivela in un processo d'insight improvviso

2 Per Edmund Husserl, la fenomenologia è un approccio alla filosofia che assegna primariarilevanza, in ambito gnoseologico (dottrina della conoscenza), all'esperienza intuitiva, la qualeguarda ai fenomeni (che si presentano a noi in un riflesso fenomenologico, ovvero da sempreindissolubilmente associati al nostro punto di vista) come punti di partenza e prove per estrarre daesso le caratteristiche essenziali delle esperienze e l'essenza di ciò che sperimentiamo.

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Cap.4Relazione d'aiuto e organizzazione

Un tema di peso nella Rda - e che fa da “Sfondo Integratore”, parafrasando Andrea Canevaro oviceversa da “Sfondo Disintegratore”, parafrasando quella che è molto spesso la realtàprofessionale, è quello che riguarda la relazione che intercorre tra ciò che succede nelle relazioniprofessionali duali tra operatore/paziente o tra operatore/operatore, quando queste Relazioni – perqualche motivo – incidono ed hanno un riflesso, una ricaduta sull'Organizzazione, intese queste siain senso positivo che viceversa.E' assolutamente fondamentale che l'operatore ne abbia consapevolezza: avere chiaro il concetto diRuolo3 non fa necessariamente raggiungere la soluzione ad un tema/problema, ma fa prendere lacorretta direzione per il suo raggiungimento, al quale – tra il resto – concorrono gli altri membridell'Organizzazione.

4.1 Il Ruolo

• Come detto in nota (3) il Ruolo corrisponde all'insieme dei modelli di comportamento attesi,degli obblighi e delle aspettative che convergono su un individuo che ricopre unadeterminata posizione sociale.(Chi fa Cosa e Come)

• Vi è un sistema di Aspettative di ruolo, cioè di quelle norme generalmente accettate chedefiniscono il comportamento di un individuo che ricopre un particolare posizione.L'individuo può uniformarsi o meno ad esse in tutto o in parte.

• I ruoli sono organizzati in Sistemi di ruoli, che prevedono almeno due ruoli complementaritra loro (insegnante/allievo, madre/figlio ecc). La possibilità di previsione delcomportamento in questi casi è reciproca, poiché ciascuno dei partecipanti al sistema di ruoli,qualsiasi sia il ruolo interpretato in quel momento, conosce anche i comportamenti prescrittiper gli altri ruoli, e può quindi sapere cosa sia lecito aspettarsi in risposta ai propricomportamenti, questo perché i sistemi di ruoli sono una parte importante della culturacondivisa da ogni gruppo sociale benché, ovviamente, possano essere diversi da gruppo agruppo.

E' quest'ultimo un tema di enorme peso in questi anni e in quelli a venire, dove le enormimasse di persone - che si spostano in modo incontrollato da Nazione a Nazione e daContinente a Continente a causa delle Guerre e della Fame e la cui meta preferita èl'Europa – stanno mettendo in luce quelle differenze culturali, delle quali accennavamosopra, che poi sono Sistemi di Valori e quindi di Abitudini Comportamentali che possonoconfliggere e spesso confliggono con quelle con le quali si viene a contatto. Inutileaggiungere che gli Operatori hanno e avranno sempre di più a che fare con questo temanella loro vita Professionale oltre ovviamente in quella Personale.

• Tensioni di ruolo: vi possono essere dei conflitti di ruolo quando una persona, per diverseragioni, non corrisponde alle aspettative del ruolo assegnato.

Bisogna qui distinguere tra (1) tensioni intra ruolo e (2) tensioni inter ruolo.

(1) Le prime si riferiscono a conflitti che si generano all'interno dello stesso ruolo adesempio quello di svolgere una certa mansione come può essere “Assistere la persona che

3 Il concetto di ruolo in sociologia definisce l'insieme dei modelli di comportamento attesi, degliobblighi e delle aspettative che convergono su un individuo che ricopre una determinata posizionesociale.

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presenta problematiche di espressione linguistica e/o manifesta tematiche inerentil'aggressività” e “ Perdere la pazienza, urlando al paziente di spiegarsi meglio o/e di noncomportarsi a quel modo con frasi del tipo “Con tutto quello che facciamo per lei”!!! .Stiamo agendo qui in un'Ottica Personale, dominata dalla rabbia e dalla frustrazione,dimenticando gli Aspetti Professionali che dovrebbero indurci a considerare le difficoltà diespressione linguistica della Persona come anche a ragionare sui processi di frustrazione delpaziente come fonte dell'aggressività: insomma siamo Fuori Ruolo;

(2) Le tensioni inter ruolo si scatenano quando le aspettative che quel ruolo implica, perqualche ragione entrano in contrasto tra loro. Ad esempio “Imboccare la persona assistita,rispettando i tempi della Persona stessa” ed “Allo stesso tempo rispettare la tempisticaassegnata dall'organizzazione per compiere quell'attività, quando quest'ultima è inferiore alnecessario”. In questo caso l'operatore non può riuscire ad avere il tempo di dedicarsi comevorrebbe al paziente e come quest'ultimo richiederebbe ed allo stesso tempo svolgerequest'attività secondo i parametri richiesti dall'Organizzazione. Vi è quindi un conflitto interruolo.

• Ruolo attivo e Ruolo passivo: è evidente di per sé che nel primo caso è il soggetto stesso cheprende le decisioni, mentre nel secondo caso è lui stesso l'oggetto o colui deve mettere in attoquanto deciso da altri. Non entriamo nel merito di questa tematica che è un Nodo Etico ed èla vera discriminante delle decisioni e dell'Agire degli Uomini

4.2) PPO: Aspetti personali riferiti alla professione nell'ottica dell'organizzazione.

Un altro aspetto – del quale è importante/fondamentale tener sempre conto – riguarda ciò che segue:è fuorviante pensare che la RDA si risolva unicamente nel rapporto, nella relazioneoperatore/paziente, operatore/ospite.E’ senza dubbio importante/fondamentale acquisire competenze e conoscenze riguardanti larelazione, sia dal punto di vista psicologico-emozionale che dal punto di vista strettamente“tecnico” – ad esempio come fare un posizionamento, uno spostamento, come fare il letto con ilpaziente allettato, come fare un’igiene intima, come fare una piccola medicazione, ecc.Bisogna però considerare un altro aspetto: se ad esempio, (ii) dobbiamo fare un’igiene intima e ciaccorgiamo che mancano i pannoloni e che il magazzino a quell’ora è chiuso…forse il problemanon fa capo solo a voi stesse/i, ma probabilmente è legato ad aspetti organizzativi o di altra natura.Lo schema potrebbe essere il seguente.

(C) Nell’ottica dell’Organizzazione↨

(B) Riferiti alla Professione↨

(A) Aspetti Personali

(A) Può essere ad esempio successo che il/la collega che doveva occuparsene se ne siadimenticato oppure abbia pensato “…che si arrangino gli altri” e quindi la sua azioneriguarda unicamente una sua decisione personale,

(B) che però ricade e si riferisce ad un ambito professionale e quindi la correttezzache quest’ambito richiede.

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Non riguarda solo colui o colei che fa quest’azione ma può causare danno o disagio, come inquesto caso, ad uno o più pazienti che rimarranno senza pannolone, con tutto ciò che neconsegue.

(C) D’altronde la ricaduta avviene anche nell’organizzazione, nel personale di quel turnoche dovrà organizzarsi in maniera differente e nell’immagine che quell’organizzazione(ospedale, casa di riposo,…) avrà all’esterno: di efficienza o viceversa di malfunzionamentoe scarsa attenzione all’utente.

Potrebbe anche essere successo che in quella struttura/Organizzazione (O) non è mai stata decisala procedura da attuare e chi la attua: ad esempio quale figura si deve occupare del controllo equindi della presenza sufficiente di pannoloni, quante volte deve essere fatta, chi deve essereavvisato, ecc.

Esempi:

L’esempio dei pannoloni potrebbe ovviamente valere per altre situazioni del tipo: • chi controlla che i farmaci vengano effettivamente somministrati; • chi si occupa che differenti pazienti possano assumere liquidi in modo appropriato e

differenziato in base alle loro capacità: ad esempio con la cannuccia piuttosto che con ilbicchiere; con il bicchiere a beccuccio piuttosto che con un bicchiere semplice; con unacannuccia pieghevole piuttosto che con una rigida;

• che vi sia un mortaio schiaccia compresse nel caso di un paziente con difficoltà dideglutizione o comunque uno strumento similare, abbinato alla sostanza per inghiottirle,che può essere uno yogurt naturale piuttosto che uno alla frutta o viceversa, in base ancheai gusti del paziente e tenendo conto della patologia, ad esempio un eventuale diabete.

In altre parole, quindi, è necessario un sistema di procedure standardizzate – ove possibile –perlomeno riguardanti le situazioni più comuni da affrontare, unito alla definizione di chi se ne deveoccupare. (Ruolo)

• In altre parole, quindi, è necessario che l’operatore/trice abbia una visione d’insieme dellavoro, unita alla consapevolezza delle relazioni ed interconnessioni che vi sono, unita alla capacitàdi comunicare ai vari responsabili e nelle sedi appropriate ai fini del miglioramentodell’organizzazione complessiva e quindi della professionalità richiesta: ciò può comportare unmiglioramento riguardante anche gli aspetti personali, motivo per cui nel grafico le frecce checonnettono gli Aspetti Personali con quelli Professionali e con l'Organizzazione sono bidirezionali;se rispetto all'esempio (ii) se quest'ultima - come effettivamente successo in questi anni –predispone una scheda settimanale a doppia entrata con indicati in ascissa i giorni della settimanaed in ordinata i nomi degli Operatori, con il compito assegnato – rifornire con i pannoloni, ilripostiglio al termine del turno – risulterà evidente la catena delle responsabilità ed essa sarò purecertificata, garantendone sia l'efficacia, sia la visibilità a tutti i componenti l'èquipe: il tutto èoltretutto un esempio di democrazia interna.

• Possiamo inoltre aggiungere che gli aspetti personali dell’operatore riguardano nonsolamente aspetti negativi di esso, ma anche caratteristiche personali che incidono positivamentenell’organizzazione, quali: la puntualità, la precisione, l’ascolto, la pazienza, ecc.Concludendo, è fondamentale per l’operatrice/tore la estrema consapevolezza che gli aspettipersonali con le relative decisioni ed azioni che ne conseguono hanno un risvolto e sononecessariamente riferiti alla professione, nell’ottica dell’organizzazione.

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4.3 Le dinamiche del gruppo di lavoro

Questo capitolo nasce dalla constatazione di come – per cercare di attuare un’efficace RDA– sia indispensabile non solo che la Relazione Operatore/Paziente sia improntata alladisponibilità/interesse/attenzione/amore/sensibilità percettiva verso il paziente, ma che tutto ilSistema, la Rete dei colleghi e chi dirige l’organizzazione – dicevamo parlando a proposito delRuolo – sia improntata allo spirito di un’efficace RDA.

Come dice un’assioma della Teoria Generale dei Sistemi: un cambiamento in un’area delsistema produce un cambiamento, si ripercuoterà su tutti gli altri: come in una famiglia : se il padrearriva arrabbiato e iroso dal lavoro e lo esprime esplicitamente ed in modo aggressivo, nerisentiranno la moglie ed i figli.

Ciò che si vuole qui dire e ribadire è l’importanza del clima di lavoro tra colleghi - a cuiciascuno contribuisce – e quindi l’importanza di conoscere e riconoscere i meccanismi principaliche determinano i comportamenti di gruppo.

Non sempre il lavoro di gruppo è efficace, anzi, può produrre dei danni: se il clima dilavoro è pesante – parlavamo prima di un breve esempio familiare – il paziente ne respira l’ariacupa e di conseguenza i suoi pensieri, emozioni e stati d’animo ne subiranno l’influsso.

Aggiungiamo come ormai non vi sia quasi più bisogno di ribadire come vi sia un enormeinflusso degli aspetti psicologici sull’organismo: recentemente vi sono stati anche degli studi diquest’influenza sul sistema immunitario, sia in termini positivi che viceversa..

Non sempre il lavoro di gruppo è efficace, anzi, può produrre dei danni: se il clima dilavoro è pesante, negativo, se vi sono spesso conflitti, ne può risentire la salute del paziente.

Inoltre – tornando a quanto si diceva poco sopra - vi è da dire che le “dinamiche pesanti inun gruppo ”, creano nei singoli operatori stati di disagio e stress che a loro volta possono ricadere acascata sui pazienti; ricordiamo per inciso che le persone percepiscono emotivamente le situazioniin cui vivono nei loro aspetti positivi e negativi, a prescindere dal titolo di studio che posseggono –2° elementare, diploma di scuola superiore o laurea – o che essi siano contadini piuttosto cheimpiegati o dirigenti.

Accenniamo ad alcuni meccanismi dinamici che possono verificarsi nei gruppi edeteriorarne il clima (vedasi poi gli allegati sulle CT alla fine della dispensa, per una trattazione piùdettagliata).

All’interno di un gruppo di lavoro può emergere lo spiccato individualismo di qualche operatoreche può manifestarsi nelle seguenti maniere:

1. con la Sindrome della Vittoria/Sconfitta , dove risulta e risalta che la sconfitta dell’idea o

delle argomentazioni di un collega avviene usando toni e modi aggressivi, dove non emergel’idea più valida ma la persona più forte: l’importante è vincere, sconfiggere l’altro e le sueidee. Chi si comporta così antepone interessi strettamente ed egoisticamente personali – ilbisogno di emergere, di apparire, di essere visibile, pena il non esistere – agli interessi che laprofessione dovrebbe tutelare – quelli dei pazienti – e si contrappone, rovina, intacca gliscopi per i quali l’organizzazione in cui egli lavora è stata creata e dalla quale – nonsecondariamente– è pagato;

2. con il Massacro delle Idee, dove c’è la tendenza a demolire le idee altrui, l’obiettivo èdistruggere il lavoro altrui senza domandarsi se contenga qualcosa di valido;

3. con la Sindrome dell’Uomo Nero l’obiettivo è trovare un colpevole: l’obiettivo del gruppopassa dalla ricerca della soluzione a quella del capro espiatorio;

4. con la Sindrome della Mosca Cieca, dove l’analisi puntigliosa dei dettagli finisce col farperdere vista il reale obiettivo.

Ciò di cui abbiamo appena parlato tratta di alcuni meccanismi tipici degli incontri d’èquipe:

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ma ve ne sono parecchi altri che avvengono, ad esempio, nelle interazioni tra colleghi e pazienti etra colleghi durante il lavoro.

L’operatore che dice al paziente “Ma chi né stato a fare il letto in questa modo?” oppureancora il collega che ne critica un altro, magari in presenza di altri – colleghi o parenti – non èprofessionale e non sta lavorando per lo spirito che l’organizzazione prevede.

Potremo dilungarci – ovviamente il tema si presta ad una trattazione più ampia ed esaustiva,ma non è lo scopo di questo lavoro.

Ciò che ci preme dire e sottolineare, forse mai abbastanza, è l’enorme, fondamentale importanzache il clima di lavoro del gruppo riveste per il paziente: il rispetto per il collega si traduce conl’esprimere anche critiche, suffragate però da dati di fatto, nella/e sedi più appropriate (durantele riunioni o in luoghi dove altri non sentano) o comunque lontano dagli occhi e dalle orecchiedei pazienti e dei loro parenti; ove non ci sia la possibilità di un accordo o condivisione dei puntidi vista operativi ha da esserci la visione e la capacità di far riferimento al proprio direttosuperiore.

In altre parole ha da esserci una grande consapevolezza del proprio ruolo professionale,disgiunto dagli aspetti personali, suffragato dalla capacità e dalla volontà di affermarlo, semprenell’ottica del servizio al paziente.

Domande riepilogative.

Quali sono le maniere con le quali può manifestarsi lo spiccato individualismo di qualche operatore? Descrivile!

Esercitazione

Individua almeno due situazioni professionali in cui sia emerso come il lavoro di gruppo –d’èquipe abbia inciso in maniera positiva sul servizio ed un’altra in cui sia avvenuto l’opposto.

4.4 Le dinamiche familiari

Le dinamiche delle famiglie costituiscono un terreno molto vasto e complesso. Qui vogliamoindividuare alcuni aspetti e Modalità di Osservazione e d’Intervento possibili. Per fare ciò ciconcentreremo su quanto fatto dal gruppo di Palo Alto, che sostiene principalmente l’interesse adosservare ed a far osservare ai partecipanti “quanto avviene qui ed ora”, ciò che sta svolgendosidavanti agli occhi dei partecipanti, dove le Relazioni Interpersonali patologiche sono caratterizzateda una notevole rottura della comunicazione: in queste famiglie spesso non si osa verbalizzare népiacere né dispiacere o ancora – nelle famiglie anormali – vi è un fenomeno tipico, che è ilsilenzio. Spesso si può avere la sensazione di parlare nel vuoto. Un altro gruppo di lavoro che si èoccupato delle famiglie in ottica psicoterapeutica, dandone una visione di profondità e complessità eche useremo en passant.

Nelle Famiglie possono esserci particolari Regole:

segrete alleanze

odi

amori

complicità.

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4.4.1 Ruoli giocati

il singolo membro che è sempre d’accordo con la maggioranza o con il più forte

quello che fa sempre opposizione

quello che cerca di mettere tutti d’accordo

chi propone soluzioni

membri iperprotettivi

che richiedono affetto

membri dominatori

membri indulgenti

sottomessi

con difficoltà nelle relazioni

persone indisciplinate, che non mantengono gli impegni presi

che dicono un cosa e ne fanno un’altra

persone prepotenti

aggressive

scostanti

persone passive

indifferenti,

un membro che ne rifiuta un altro in modo aperto oppure nascosto

famiglie dove non si tollera nessuna manifestazione di ostilità

persone iperprotettive

inibenti

castranti

membri ansiosi

persone simbiotiche

amori eccessivi ma condizionati

membri che fanno pressione e membri che la subiscono

famiglie dove non si condividono sentimenti importanti

persone che vanno d’accordo in pubblico, ma non riescono ad andare d’accordo quando sonosoli

membri superadeguati

chi prende le decisioni importanti (ma non è un membro capace…???)

membri che minacciano

che fanno rappresaglie

famiglie dove ogni divergenza è ritenuta capace di scindere l’unità e deve perciò essere evitata

famiglie dove le divergenze vengono ignorate e quindi non c’è sviluppo dei rapporti

famiglie dove c’è solitudine

impotenza

isolamento.

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4.4.2 Rapporti familiari e Riflessi sulle Altre Persone.

Facendo qualche riflessione a volo d’angelo sui rapporti familiari e ciò che essi comportano dalpunto di vista della personalità del soggetto, si può dire – in linea generale – che “la fusione tra duepersone porta sempre ad una parziale e temporanea estinzione della persona come entità dinamicadistinta”, cioè più esse sono vicine, più esse hanno bisogno una dell’altro/a o ancora più una di esse– ad esempio un familiare - decide di occuparsi del partner o di un genitore, più può verificarsiquesto rischio. Va da sé che l'Operaore può correre e corre lo stesso rischio, anche in modomaggiore.Viceversa “più la demarcazione Sé-Altro di un individuo è consistente, più l’individuo stesso saràprotetto dall’ansia della perdita dell’oggetto e dal timore del conseguente annullamento”.

Un altro tema da tenere presente è che i membri di una famiglia riunita possono reagire agliestranei – l’Operatore in questo caso – con fantasie collettive di persecuzione e con tendenzeparanoiche. Ad esempio un oggetto che non si trova, un documento, i soldi: la loro scomparsa otemporanea sparizione possono essere imputati all'Operatore o alla sua incuria e/o disattenzione.

Altro ancora è il fatto che la famiglia ha da fare i conti col tema del lutto, sia nel caso della morteeffettiva del familiare, sia nel caso della “Morte possibile”, immaginata: ciò crea o comunque mettein atto dei meccanismi che quotidianamente possono stare sullo sfondo. La morte, il lutto si collegaalla separazione, alla perdita dal punto di vista affettivo, con tematiche di tipo depressivo; piùprosaicamente può aprire temi legati all’eredità dei beni, con la comparsa di membri, magari fino aquel momento rimasti sullo sfondo o anche lontani nello spazio.

Il sistema familiare talvolta riduce un suo membro e talvolta più di uno al rango di “caproespiatorio” e, in modo complementare, d’idealizzarne altri attraverso la distribuzione delle parti di“diavolo” e “angelo”, di “buono” e “cattivo”. E’ da tener presente che l’assegnazione del ruolo di“capro espiatorio” richiede la presenza di almeno tre persone: una che possa tentare di proiettare lapropria cattiveria su di un’altra di solito non vi riesce da sola, ma ha bisogno di una terza personache convalidi le sue opinioni sulla “cattiveria” del capro espiatorio.

Chiaramente il sistema familiare è un sistema enormemente complesso e variegato di situazioni,temi, sviluppi, ecc.Quanto sopra detto è un accenno che ci permetterà di passare al prossimo capitolo.

4.4.3 La gestione della collaborazione con i familiari

• Da quanto accennato sopra si può capire la complessità della gestione della collaborazionecon i familiari.

• Il problema è innanzitutto quello di cercare di: (1) capire quello che sta succedendo in base a ciò che osserviamo delle dinamiche trafamiliari, quando vi assistiamo direttamente ed anche e soprattutto di capire quandoqualcuno dei familiari ci parla di altri componenti la famiglia – sia in senso positivo chenegativo – e successivamente di (2) valutare quale grado di vicinanza/distanza dobbiamo avere in quella specificasituazione; cioè se abbiamo il diritto/dovere di entrare in quella dinamica, di parteciparvi,di dire il nostro pensiero, se è opportuno per la persona che Assistiamo e, anche nel caso lofosse, quali conseguenze il nostro intervento produrrebbe. E’ il dentro/fuori. vicino/lontanoche caratterizza tutte le Relazioni Interpersonali ed in particolar modo quelle caratterizzateda maggior vicinanza emotiva.

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Cap. 5L'operatore

Alcuni accenni, date le peculiarità di questo scritto – che non è un manuale ma una dispensa, con ipregi (sintesi) ed i difetti (eccessi di sintesi) che sono propri di tali scritti.Parleremo di alcune qualità necessarie alla professione o quantomeno auspicabili; dei timoriattinenti la relazione con l'utente ed altre considerazioni, per terminare così il presente lavoro.

5.1 Le qualità dell'Operatore

Orbene: è necessario/auspicabile che l'operatore sia:• equilibrato• preciso ma non pignolo• tollerante• tranquillo.

Vi sono altre caratteristiche che possono essere raggruppate in cognitive, affettive ed ormiche e chepresentiamo nella schematizzazione sottostante:

• CARATTERISTICHE COGNITIVE

◦ Finezza percettiva◦ Capacità intuitiva◦ Immaginazione◦ Capacità critica◦ Curiosità intellettuale

CARATTERISTICHE AFFETTIVE

* Sentimento ludico (giocoso) della vita* Audacia

CARATTERISTICHE ORMICHE( cioè caratterizzate da comportamenti diretti ad un fine/obiettivo)

* Tenacia

* Tolleranza alla frustrazione

* Capacità di decisione

Fox si era chiesto quali fossero i motivi per i quali, operatori che avevano avuto al medesima formazione professionale, di fatto conseguivano risultati molto differenti con i diversi utenti.

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Egli ha individuato alcune caratteristiche distintive che sono risultate le seguenti:

• Spiccato senso dell'umorismo• Ottica del mercante• Vedere il pony• Non amare di essere sconfitti• Essere autonomi psicologicamente

5.2 Le Aspettative (A) ed i Timori (T) dell'Operatore (O)

Abbiamo parlato nel capitolo 1.6 dei desideri, aspettative e timori dell’helpee.Proviamo a metterci ora dal punto di vista dell’helpher e ad analizzare, seppur sinteticamente, quelliche possono essere i suoi timori, aspettative, desideri.

(b2) “Credo che lui/lei possa capirmi”;

(c2) “Mi pare di potergli chiedere quelle cose che mi stanno più a cuore”.

L’helpee, in fin dei conti, a prescindere dal titolo di studio posseduto: che abbia la terza elementare,la prima media o la laurea, capisce se il comportamento dell’helpher – nei suoi significati più ampi– è in sintonia con il suo. È quindi necessario per l’helper, non aver paura dell’intimità, condividerei contenuti cognitivi, i vissuti emotivi e non ha da temere la vicinanza fisica.Prendiamo spunto da Laura Cunico4: (A1) Essere un buon genitore: Spesso vi è da parte del paziente la richiesta di essere figlio/paziente:vi è da parte dell'Operatore la modalità inerente la comprensione e la tolleranza, che all'eccesso puòfavorire la dipendenza e la la regressione del p.;(A2) Essere un missionario: si fonda sulla motivazione di aiutare gli altri, come una sorta divocazione, piuttosto che una professione;(A3) Essere al di sopra delle parti: o meglio la possibilità di sperimentare i vissuti di passività delp., cioè di poter esercitare in “potere” su di lui, può generare sentimenti di trionfo, freddezza,distacco.

(T1) Sentirsi piccoli, incapaci, impotenti: nei casi in cui il p. peggiora o dove non vi siano ibenefici della cura, l'O. può sperimentare ciò come fallimento personale, con sensi di colpa e bassaautostima professionale;(T2) Paura di far male: è legata al doppio risvolto sia del dolore fisico provocato al e vissuto dalp.,sia al dolore emotivo collegato alla relazione con l'assistito. Il timore è quello di non reggere ilcoinvolgimento derivante da un'aperta esplicitazione dei problemi del p. (basti pensare ai problemidi comunicazione quando si evita di dire al p. la verità, perché non si sa come fare o perché vienevietato dall'organizzazione).

5.3 Le credenze irrazionali

Il titolo del capitolo rimanda necessariamente al fatto che – ovviamente – oltre alle CredenzeIrrazionali vi siano anche delle Credenze Razionali. Vediamo di cosa si tratta.

Il termine Credenza che deriva da Credere, rimanda ad un processo che avviene nella nostratesta: “il mondo in cui viviamo comincia nella nostra testa. E’ il modo in cui percepiamo,

4 Laura Cunico: “La comunicazione nell'assistenza al paziente” - McGraw-Hill – Quaderni OSS.

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interpretiamo, valutiamo e immaginiamo che modella il nostro mondo. Gli psicologi hanno usatovari termini per riferirsi a questo meccanismo interiore. I più utilizzati tra questi termini sono:processi cognitivi, dialogo interno, sistema di convinzioni. (M.Di Piero, “L’educazione razionale-emotiva”, Erickson, 1992).

Come accennavamo poco sopra vi è un pensiero razionale che può esprimerepreoccupazione adeguata e percezione adeguata della realtà ed un pensiero irrazionale che puòesprimere eccessiva preoccupazione e percezione inadeguata della realtà.

Il tema delle Credenze Razionali ed Irrazionali rimanda ad un fatto: alla difficoltà adindividuare ciò che pensiamo in certe situazioni, in quanto i nostri pensieri sono diventatiautomatici ed anche dal punto di vista quantitativo, mentre le nostre parole possono raggiungere lavelocità di 100/150 al minuto, i nostri pensieri possono viaggiare a 400/500 parole minuto. È quindiovvio la difficoltà a fare un Fermo Immagine o Fermo Parole e riflettere.

In pratica certi modi di pensare sono per noi così frequenti che sono ormai diventati abitualie quindi possono sfuggire alla nostra consapevolezza.

Per parlare di CREDENZE IRRAZIONALI (CI) bisogna far riferimento ad una nucleocomposto da tre fattori:

L’evento attivante: è ciò che succede e dal quale ha inizio la CI;

La base mentale: è l’insieme di pensieri su ciò che è successo; è il nostro commento interiore, chepuò essere Razionale oppure Irrazionale;

Le conseguenze emotive: sono i sentimenti causati dal punto (2). Vedremo ora le Categorie principali di Pensieri Irrazionali, come sopra tratte da M. Di Piero.Aggiungiamo che non riteniamo sufficiente la consapevolezza dei nostri processi cognitivi permodificare i medesimi, nel caso non ci piacessero o fossero fonte di disagio: ad esempio l’eccessodi preoccupazione per un esame: come abbiamo detto vi è sempre e comunque una componenteemozionale nelle nostre credenze: i processi di cambiamento sono un po’ più complessi ecoinvolgono la persona nella sua totalità: ciò verrà sviluppato e chiarito in aula.

CATEGORIE PRINCIPALI DI PENSIERI IRRAZIONALI

1. “ Doverizzazione” o uso assolutistico del verbo dovere

Consistono nel ritenere che “le cose devono andare assolutamente così”, che “gli altri devonocomportarsi assolutamente in un certo modo”, che “ io devo assolutamente avere quello chevoglio”. L’errore sta appunto nel considerare un’esigenza assoluta ciò che nella maggior parte deicasi sarebbe solo obiettivamente preferibile.

2. Espressioni di insopportabilità, intolleranza

Consistono in pensieri del tipo “Non lo sopporto…”, “Non tollero che…”, “E’ insopportabile…”.Sono forme di esagerazione attraverso le quali l’aspetto sgradevole di un evento o di una personaviene ingigantito, determinando un atteggiamento di rabbia o di svitamento.

3. Valutazioni globali su se stessi e sugli altri

In questo caso l’irrazionalità consiste nel giudicare una persona nella sua globalità partendo da unosolo o da pochi comportamenti osservati. Inoltre, il comportamento di una persone viene spessoerroneamente equiparato alla persona stessa (“Hai fatto una cosa stupida, quindi sei uno stupido”).Questo errore nel modo di pensare porta a far uso di etichette che esprimono valutazioni globali tipo“Incapace”, “Stupido”, “Carogna”.Tali attributi possono essere pensati riguardo agli altri oppure possono essere rivolti a se stessi.

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Quando sono riferiti agli altri, questi pensieri fanno nascere nei loro confronti un sentimento diostilità o di rifiuto, se riferiti a se stessi determinano disistima e sconforto.

4. Pensieri catastrofizzanti

Consistono nel considerare il verificarsi di certe cose come un evento “Terribile”, “Orrendo”,quando obiettivamente sarebbe solo spiacevole o fastidioso. Spesso si tratta di pensieri cheanticipano in modo esageratamente negativo eventi futuri, provocando quindi reazioni di ansiaintensa.

5. Indispensabilità, bisogni assoluti

Con esistono in affermazioni che trasformano in bisogno assoluto ciò che obiettivamente sarebbesolo preferibile. Prendono forma spesso in pensieri del tipo “Non posso rinunciare a…”, “Hoassolutamente bisogno di…”, Non posso fare a meno di…”. Le conseguenze emotive di questomodo di pensare possono essere ansia, depressione, ostilità.

Esercitazione

8. Individua tra le Credenze Irrazionali descritte alcune che ritieni facciano parte – almeno attualmente o sporadicamente – intervengano nel tuo sistema cognitivo.

9. Questo esercizio può essere utilizzato, ad esempio, in qualche occasione durante il Tirocinio.

5.4 Il brain storming interno

Definiamo in primis, cosa si intende per Brain Storming o Tempesta del cervello:

Sinteticamente consiste, dato un problema, organizzare una riunione in cui ogni partecipantepropone liberamente soluzioni di ogni tipo (anche strampalate, paradossali o con poco sensoapparente) al problema, senza che nessuna di esse venga minimamente censurata. La critica edeventuale selezione interverrà solo in un secondo tempo, terminata la seduta di brainstorming.

Il risultato principale di una sessione di brainstorming può consistere in una nuova e completasoluzione del problema, in una lista di idee per un approccio ad una soluzione successiva, o in unalista di idee che si trasformeranno nella stesura di un programma di lavoro per trovare in seguitouna soluzione.

Sintetizzando, quindi:

• E’ una tecnica creativa utilizzata agli inizi in ambito pubblicitario, che ha le seguenti caratteristiche:

1. STIMOLARE LA PRODUZIONE DI IDEE ELIMINANDO L’ASPETTO VALUTATIVO ( Cioè frasi del tipo:”Questo è già stato detto”, “E’ sbagliato”. “Non funzionerà”, “Costa troppo”, ecc.

2. STIMOLAZIONE ED INTERAZIONE CASUALE DI IDEE ( Cioè, dato un tema dasviluppare, ognuno potrà sentirsi libero di dire ciò che gli viene in mente a proposito, anche se ciòdovesse risultare apparentemente distante dall’input iniziale).

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DINAMICA

• DURATA: 30/45 MINUTI

• PERIODO DI RISCALDAMENTO. Può essere necessario un po’ di tempo affinché il gruppo cominci a produrre idee

• NUMERO DI PARTECIPANTI

• CARATTERISTICHE DEI PARTECIPANTI

• Persone collocate più o meno alle stesso livello gerarchico• Preferibilmente persone disponibili

PS: la tecnica del BS si può utilizzare in modo spurio in diverse situazioni: nel lavoro d’èquipe ad esempio, per stimolare la partecipazione ed il contributo dei singoli partecipanti.

Il Brain Storming interno ha le stesse modalità elencate sopra, ma si svolge o come dialogo internoall'individuo o attraverso lo scrivere i propri pensieri/idee su un foglio: è una sorta di metodologiaaffine a quella delle Associazioni Libere, tipica delle sedute psicanalitiche e descritta in primis da S.Freud ed in seguito da molti altri.

5.5 L'Etica

Il tema dell’ETICA, di ciò che è giusto o sbagliato fare si pone molto spesso in modo forteall’interno della propria professione e non solamente lì.

Il tema della Morale è un tema che si pone la filosofia dai suoi inizi ed è il problema delbene e del male.

Ad esempio è giusto far soffrire il paziente al fine di curarlo, e se sì, fino a che punto?; e seil paziente sostiene di essere stanco, sfiduciato, che non vuole essere più curato o prendere dellemedicine, che diritto abbiamo di insistere?, o viceversa di assecondarlo?, e se questo paziente nonriesce ad esprimersi, siamo sicuri di interpretare correttamente i suoi segnali?, o ancora siamo sicuriche il nostro modo di vedere sia quello giusto?, o ancora se ci viene chiesto un consiglio comefacciamo a essere certi che sia quello giusto?

Come dice San Francesco “Signore, fammi fare il bene, Signore fammi evitare il male, masoprattutto fammi distinguere l’uno dall’altro!”

Come abbiamo visto, anche se succintamente, il tema dell’etica è un tema delicato,importante e talvolta di difficile soluzione: ha da essere visto di volta in volta in modo critico,usando le categorie critiche della ragione; anche ragionando sulle nostre idee irrazionali,preconcette, quale potrebbe essere quella di ritenere che vi sia per forza una ed una sola soluzionegiusta, mentre magari ognuna delle possibili soluzioni ha in sé elementi spuri, è possibile eprobabile che non sia esente da errori e da sofferenze per l’altrui persona: ad esempio medicare unaferita, eseguire un posizionamento o fare uno spostamento di un ammalato può comunque esseredoloroso; commentare una diagnosi, esprimere un parere: ognuna di queste azioni può contenereelementi di dolore per l’altro.

Anche il conflitto tra la propria morale – tra ciò che noi come singole persone riteniamogiusto – e/o e quella del gruppo organizzazione all’interno del quale noi operiamo – e che essa

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ritiene giusto – entra nel campo del nostro operare; la domanda che ci poniamo è “E’ giustoprivilegiare la propria morale o quella del gruppo”? E’ ovvio che questo è un DUBBIO che fa partedella tematiche della morale.

Immanuel Kant nella “Critica della Ragion Pratica” diceva che la morale è una moraleindividuale. E con ciò ritorniamo a poche righe sopra: è il gatto che si morde la coda.

Scopo di questo sintetico lavoro, è quello di fornire spunti di riflessione, dubbi, interrogativi– non solo, ovviamente – dai quali “il perfetto operatore” non può prescindere: chi intraprende unpercorso di formazione non può e non deve esimersi dal porsi questi interrogativi e, ovviamente,“in primis” chi la fa come docente, come educatore di nuove leve.

Auspichiamo ardentemente che i nuovi operatori/operatrici si facciano promotori nei Servizi, doveandranno ad operare di idee, teorie, capacità, di spirito critico orientato al miglioramento dei Servizistessi, in altre parole di una visione dell’Uomo e dei rapporti tra persone che sia di attenzione,sensibilità, amore verso l’Altro, gli Altri: colleghi, pazienti, in altre parole di tutti coloro con i qualientra in Relazione. Non è una visione utopistica e slegata dalla realtà, un mondo perfetto dove tuttisi amano e si vogliono bene: è uno Spirito, una tendenza, eine Strebung, una convinzione, una linea,un qualcosa che orienta il nostro operare quotidiano, istante per istante: potremo fallire o riuscire, inparte o “in toto”.

L’unica cosa certa è che dobbiamo provarci .

O in alternativa provare a cambiare mestiere!!!!

Esercitazione

Individua almeno due situazioni professionali in cui l’aspetto etico abbia inciso sulle sceltein maniera determinante.

La scelta delle situazioni può riguardare voi stessi o altri.

5.6 Conclusione: ”La rivoluzione dal basso”

Alla fine di tutto il nostro discorrere di teorie, modelli operativi, metodologie d'analisi ed altroancora, emerge da quanto osservato nel precedente paragrafo che il cambiamento parte:

1. dalla auto consapevolezza critica del proprio ed altrui operare in quel particolare ambito;2. dal ragionare in un'ottica di sistema, interno ma anche esterno all'organizzazione;3. dall'aver presente il concetto di solidarietà, come comunità d'intenti, contrapposto ad un

concetto di individualismo, destinato al fallimento operativo, in quanto insufficiente e difatto velleitario;

4. anche dal considerare il modello PPO, unito a caratteristiche personali positive di intentifondate su

5. conoscenze teorico/pratiche ben meditate e supportate dall'esperienza pratica.

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Bibliografia

Premessa

Il materiale bibliografico in merito a questo tema è ovviamente vastissimo ed è influenzato daisistemi teorici di riferimento dei singoli autori oltre alle contaminazioni che, soprattutto in questiultimi anni hanno investito la psicologia: si sta realizzando cioè la fusione/sintesi tra Scuole Psidifferenti che sono/stanno trovando elementi di contatto/collaborazione euristici e stimolanti.

Per ciò che ci apprestiamo a fare e cioè un elenco di indicazioni bibliografiche che possanoessere di utilità allo studente/operatore/trice o comunque a chi si approccia a questa tematica, però,sarà sufficiente una panoramica o meglio un taglio che comprenda elementi di base di teoria dellacomunicazione oltre ad affrontare alcune tematiche specifiche della RDA.

(1) Un testo base, chiaro, ampio, sintetico, con esempi pratici riferiti a differenti ambiti problematiciè: - Laura Cunico: “ La comunicazione nell'assistenza al paziente” - QUOSS (quadernidell'operatore socio-sanitario) – McGraw-Hill 2002;

(2) Per quanto riguarda la Teoria della comunicazione con gli assiomi della medesima, testo basedella Scuola di Palo Alto in California è il classico - “Pragmatica della comunicazione umana” diPaul Watzlawick, Janet Helmick Beavin e Don D. Jackson – Astrolabio 1971; testo che hacontaminato e sta contaminando gli attuali sviluppi a livello mondiale con “in primis” GiorgioNardone, l'allievo e cofondatore in Italia assieme a Watzlawick del Centro di Terapia strategica

(3) - Robert R. Carkhuff: “L'arte di aiutare” : Due testi: 1 manuale + 1 testo di esercizi - Erikson1987 – C'è anche la versione con CD Rom; Testo pragmatico di stampo operativo, come del resto ilcd rom;

(4) – Giorgio Bissolo, Luca Fazzi, Maria Vittoria Giannelli: “ Relazioni di cura” - Carrocci Faber2009 – Il testo si occupa delle interazioni svalutanti e stigmatizzanti nelle relazioni di cura chepossono minare la personalità e l'identità delle persone. Il volume è ricco di esemplificazioni,

(5) – Sabrina Maioli: “L'assistenza all'anziano” - QUOSS - McGraw-Hill 2002 – Come dice iltitolo l'ambito specifico di trattazione riguarda la relazione con l'anziano;

(6) – Andrea Canevaro, Arrigo Chieregatti: “ La relazione d'aiuto” - Carocci 1999 – Analizza inprospettiva ampia le relazioni tra popoli, culture, religioni...;

(7) - D. Redigolo et alii: ”Il processo comunicativo nella relazione d’aiuto”, 1994, Rosinieditore;

(8) - Marianella Sclavi: “Arte di ascoltare e mondi possibili”, 2000, Le Vespe; Il testo analizza inprospettiva transculturale le modalità della relazione con i possibili fraintendimenti che, allorquandosvelati, rivelano la logica che sottende le rispettive posizioni;

(9) - Michael P. Nichols: ”L’arte perduta di ascoltare”, 1997 Positive press; L'oggetto è dato daltitolo, dove l'autore analizza tra il resto in modo estremamente autocritico il tema dell'”errorenell'ascolto dell'Altro” proprio durante la stesura del libro;

(10) - Richard Bandler: ”Usare il cervello per cambiare”, Astrolabio, 1986; tecnica/modalità dicambiamento riferita alla PNL (Programmazione neurolinguistica);

(11) – Anna Guglielmi: “Il linguaggio segreto del corpo. La comunicazione non verbale”,

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Piemme Bestseller, 2007; Tratta i moltissimi dettagli della Comunicazione non verbale (CNV);

(12) - Roberts Monty: ”L’uomo che ascolta i cavalli”, 1998, Rizzoli; Storia vera, dalla quale èstato poi tratto il bestseller e poi il film “L'uomo che sussurra ai cavalli”. Rivoluzione nel modo ditrattare/comunicare con le persone tramite l'insegnamento dei cavalli (CNV). Nell'unica tappaitaliana all'Alps Coliseum di Egna (Bz) ho visto personalmente trattare fobie ippiche (fobiadell'acqua, fobia di essere messo nel carrello di trasferta...) in meno di mezzora senza nessuncontatto fisico; unicamente con gesti e movimenti e con la lettura della CNV;

(13) – Paul Ekman, Wallace v. Friesen: “Giù la maschera. Come riconoscere le emozionidall'espressione del viso”, Giunti, 2007; Ekman è il più grande esperto mondiale nello studio delleEmozioni universali e nell'analisi delle microespressioni facciali;

(14) – Paul Ekman: “Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sononascoste”, Edizioni Amrita, 2008;

(15) – Dalai Lama e Paul Ekman: “Felicità emotiva”, Sperling & Kupfer, 2010. Si tratta di unaconversazione sui temi delle Emozioni distruttive, sulla gestione della Rabbia, sull'Empatia,sull'Equilibrio emotivo, sulla Trasformazione personale;

(16) – David J. Lieberman: “Scoprire le bugie”, TEA, 2000; (17) – Ronald D. Laing e A. Esterson: “ Normalità e follia nella famiglia. Undici storie didonne”, Einaudi Paperbaks, 1970. I dialoghi di undici famiglie con un membro schizofrenico; lamalattia mentale passa da una prospettica clinica tradizionale ad una “sociale”;

(18) - Elisabeth Kùbler-Ross: “Impara a vivere - impara a morire”, 2001, Armenia;

(19) - Elisabeth Kùbler-Ross: “La morte è di vitale importanza”, 1999, Armenia;

(20) – Elisabeth Kùbler-Ross: “La morte e la vita dopo la morte”, Edizioni Mediterranee, 2002;

(21) - “Intervista a Pater Peter Gruber sulla Persona Morente”, in “www.eliococciardi.altervista.org”;

(22) – Norberto Bobbio: “De senectute”, Einaudi, 1996. Riflessioni sulla vecchiaia ed alcuniscritti autobiografici. Bobbio nasce nel 1909. Filosofo del diritto, filosofo, senatore a vita; è statouno degli intellettuali italiani maggiori del secolo scorso;

(23) – Erika Pluhar liest “Geborgen in Leben”, von Elisabeth Kùbler-Ross u. David Kessler (CD ROM);

(24) – Marco Ferrini: “Psicologia dell'assistenza ai malati terminali e ai loro familiari”, CDROM, Centro studi Bhaktivedanta, Ponsacco (Pisa);

(25) – Christa Wolf: “In carne e ossa”, Edizioni e/o, 2002. Discesa agli inferi di un corpo malato.La Wolf è una delle principali scrittrici contemporanee;

(26) – Maria Gabriela Gravante: “Al mio Igor gabbiano in libertà”, Edizioni Il Calamaio, 2007.La storia vera, avvenuta a Bolzano, dell'esperienza di una madre che assiste il figlio in comairreversibile;

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(27) – Andrea Costantini: “Voglia di correre. Esperienze di vita”, Clab Bolzano, E-mail:.costatini1@alice-it; Breve autobiografia: convivere con la Distrofia muscolare di Duchenne;

(28) - Sandro Bartoccioni, Gianni Bonadonna, Francesco Sartori: “Dall'altra parte”, BUR, 2006.Tre grandi clinici italiani di fama internazionale raccontano il loro “salto di ruolo” da “curanti acurati”: notevole!!!

(29) – Sabina Manes (a cura di): “83 giochi psicologici per la conduzione dei gruppi”, FrancoAngeli, 1997;

(30) – Sabina Manes (a cura di): “ 68 nuovi giochi per la conduzione dei gruppi”, Franco Angeli,2005;

(31) – John O. Stevens: “Die Kunst der Wahrnehmung. Uebungen der Gestalttherapie”, Chr.Kaiser, 1975. Titolo originale: “Awareness:exploring,experimenting, experiencing, 1971 RealPeople Press, Moab, Utah, USA. Si tratta di esercizi di Gestaltterapia per i gruppi.

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INDICE degli ALLEGATI

1. Ascolto (Cinese)2. Funzione del trainer nel brain storming3. Le Competenze Trasversali4. Power Point (Hohenbühel) su Analisi del Caso

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1. Ascolto (cinese)

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2. Funzione del Trainer nel brain storming

• Fluidificare lo scambio delle informazioni

• Definire il problema all’inizio della seduta e ridefinirlo più volte durante lo svolgimentodella seduta stessa

• Bloccare sul nascere ogni tentativo volto a VALUTARE LE IDEE che via via emergono

• Fornire a tutti i partecipanti la possibilità di intervenire

• Assicurarsi che il CO-TRAINER abbia trascritto tutte le idee

• Chiedere al CO-TRAINER di leggere ad alta voce tutte le idee espresse, quando il flussodelle stesse sembra interrompersi

• Fornire stimoli e suggerimenti quando il flusso delle idee sembra essere terminato

• Iniziare e finire la seduta e curarne l’organizzazione

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3. Le Competenze Trasversali (CT1/CT2/CT3)

( CT 1 )

(1) Diagnosticare le proprie competenze ed attitudini

Identificare le proprie CONOSCENZE e CAPACITA’ in relazione al ruolo professionale e valutarne l’adeguatezza;

Identificare PUNTI FORTI e PUNTI DEBOLI del punto precedente;

Identificare e valutare l’efficacia dei propri STILI di RISPOSTA di fronte ad un problema;

Identificare e valutare i PROPRI PROCESSI di PENSIERO;

Riconoscere i propri SENTIMENTI ed EMOZIONI;

Ricostruire verbalmente le proprie STRATEGIE di AZIONE, identificando punti di forza e debolezza.

( CT 2 )

(2) Comunicare

Costruire MESSAGGI adeguati al contesto ed alle caratteristiche degli interlocutori;

Adottare STILI COMUNICATIVI adeguati;

Esprimersi verbalmente in modo chiaro e Saper ARGOMENTARE;

DECODIFICARE messaggi VERBALI e NON-VERBALI;

ASCOLTARE e SAPERSI DECENTRARE nella Comunicazione;

Riconoscere SENTIMENTI ED EMOZIONI;

Riconoscere e saper utilizzare STILI COMUNICATIVI differenziati;

Riconoscere le proprie modalità di comunicazione verbale e non-verbale, valutarne gli effetti e saperle modificare in tempo reale.

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( CT 3 )

(3) Lavorare in gruppo

Comunicare efficacemente all’interno del proprio gruppo di lavoro;

Comunicare efficacemente con altri gruppi di lavoro;

Cooperare per produrre un risultato positivo;

Esprimere PERCEZIONI, SENTIMENTI, OPINIONI di fronte agli altri;

Sapersi DECENTRARE nella Comunicazione;

Inserirsi in modo efficace in una rete comunicativa;

Utilizzare il gruppo come contesto di verifica dei propri modi di leggere la realtà;

Saper confrontare con altri la propria rappresentazione di un problema o di una situazione;

Adottare MODALITA’ COOPERATIVE nella partecipazione di gruppo.

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4) Power Point Hohenb ü hel (Analisi del Caso)

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5) Persona Morente

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