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2019 La Rassegna d’Ischia Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi Fondato nel 1980 e diretto da Raffaele Castagna Nel mar Tirreno, là di fronte al lido di Cuma, da quella parte che volge alle gemine Orse e al lento Boote dal gelido carro, un’isola v’è che gli antichi Etruschi dissero Inarime dagli Arimi e poi i Pelasgi con voce patria Pithecusa, per i misfatti nota degli abitanti, se è verace la tradizione delle età vetuste. Per vendicare infatti le finte arti dei Cercopi, come turpi animali Giove trasformò gli uomini, col volto di fiere, e li confinò in tal sede. L’isola venne così popolata, e dalla nuova gente prese il nome. Aenaria la nominarono ancora: poiché, rifugio sicuro alle navi di Enea assicurando, accolse i profughi da Troia naviganti verso il Lazio. A mezzogiorno, la bagna il mare euboico; la remota Libia vedesi di contro nella direzion che volge all’austro estivo; trovasi Ventotene in altra parte, dove il sol declina, ad occidente; c’è Capri ad oriente. Si stende l’isola circolarmente nel mar per diciotto miglia, ed eccelso monte la sovrasta con la sua mole. Questa - narrasi - primi l’abitarono i coloni Eubei, venuti di Calcide: che qui costruirono le prime case e qui fecero sosta, auspice il fato. (Camillo Eucherio De Quintiis – Inarime seu de Balneis Pithecusarum, libri VI, 1726 Traduzione Raffaele Castagna - Libro I – vv. 46/63)

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La Rassegna d’IschiaPeriodico di ricerche e di temi culturali,

turistici, politici e sportiviFondato nel 1980 e diretto da

Raffaele Castagna

Nel mar Tirreno, là di fronte al lidodi Cuma, da quella parte che volgealle gemine Orse e al lento Bootedal gelido carro, un’isola v’èche gli antichi Etruschi dissero Inarimedagli Arimi e poi i Pelasgi con vocepatria Pithecusa, per i misfattinota degli abitanti, se è veracela tradizione delle età vetuste.Per vendicare infatti le finte artidei Cercopi, come turpi animaliGiove trasformò gli uomini, col voltodi fiere, e li confinò in tal sede.L’isola venne così popolata,e dalla nuova gente prese il nome.Aenaria la nominarono ancora:poiché, rifugio sicuro alle navidi Enea assicurando, accolse i profughi

da Troia naviganti verso il Lazio.A mezzogiorno, la bagna il mareeuboico; la remota Libia vedesidi contro nella direzion che volgeall’austro estivo; trovasi Ventotenein altra parte, dove il sol declina,ad occidente; c’è Capri ad oriente.Si stende l’isola circolarmentenel mar per diciotto miglia, ed eccelsomonte la sovrasta con la sua mole.Questa - narrasi - primi l’abitaronoi coloni Eubei, venuti di Calcide:che qui costruirono le prime casee qui fecero sosta, auspice il fato.

(Camillo Eucherio De Quintiis – Inarime seu de Balneis Pithecusarum, libri VI, 1726 Traduzione Raffaele Castagna - Libro I – vv. 46/63)

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L’Isola d’Ischia nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto

Ludovico Ariosto (Reggio Emilia 1474 – Ferrara 1533) nel suo poema, l’Orlando Furioso, menziona l’isola d’Ischia con le immagini di Tifeo e soprattutto perché qui, sul Castello, nacque nel 1502 Alfonso d’Avalos, marchese di Pescara e del Vasto (Canto XXXII - stanze 46/48).46 ……………………. Vedete duo marchesi, ambi terrore Di nostre genti, ambi d’Italia onore,

47 ambi d’un sangue, ambi in un nido nati. Di quel marchese Alfonso il primo è figlio,

………………L’altro di sì benigno e lieto aspettoIl Vasto signoreggia, e Alfonso è detto.

48 Questo è il buon cavallier, di cui dicea,quando l’isola d’Ischia vi mostrai

Nel poema un primo riferimento all’isola d’Ischia si trova nel canto XVI, stanza 23:non si dà una precisa denominazione, ma l’indicazione di un evento mitologico, e cioè la presenza del gigante Tifeo fulminato da Giove e schiacciato sotto il monte Epomeo. Per testimoniare la furia e la strage di Rodomonte, mentre continua la lotta attorno a Parigi, l’Ariosto presenta la scena con alcune similitudini; il crudel pagano uccide coma fa (Canto XVI, stanza 23):

Quel che la tigre de l’armento imbelle Ne’ campi ircani o là vicino al Gange, o ‘l lupo de le capre e de l’agnellenel monte che Tifeo sotto si frange quivi il crudel pagan facea di quelle non dirò squadre, non dirò falange, ma vulgo e populazzo voglio dire, degno, prima che nasca, di morire.

Un identico riferimento a Tifeo si ha nel canto XXVI, stanza 52. Presso la fontana di Merlino sono scolpiti vari bassorilievi allegorici, fra cui:

Del generoso, illustre e chiaro sangue D’Avalo vi son dui c’han per insegnaLo scoglio, che dal capo ai piedi d’angue

Par che l’empio Tifeo sotto si tegna. Non è di questi due, per fare esangueL’orribil mostro, chi più innanzi vegna: l’uno è Francesco di Pescara invitto, l’altro Alfonso del Vasto ai piedi ha scritto.

Nel canto XXXIII sono dedicate all’isola d’Ischia le stanze 24/27. In alcune pitture sono raffigurate le guerre dei Francesi in Italia, dai tempi di Merlino sino a quelli del poeta. Vi si parla così di Carlo VIII, che dalla Francia scende in Italia e facilmente tutto il regno di Napoli conquista, ma non Ischia

Vedete Carlo ottavo, che discende da l’Alpe, e seco ha il fior di tutta Francia, che passa il Liri e tutto ‘l regno prende senza mai stringer spada o abbassar lancia,fuor che lo scoglio ch’a Tifeo si stendesu le braccia, sul petto e su la pancia; che del buon sangue d’Avalo al contrasto la virtù trova d’Inico del Vasto.

Il Signor de la ròcca, che venia quest’istoria additando a Bradamante, mostrato che l’ebbe Ischia, disse: - Pria ch’a vedere altro più vi meni avante, io vi dirò quel ch’a me dir solia il bisavolo mio, quand’io era infante, e quel che similmente mi dicea che da suo padre udito anch’esso avea;

e ‘l padre suo da un altro, o padre o fosseavolo, e l’un da l’altro sin a quello ch’a udirlo da quel proprio ritrovosse, che l’imagini fe’ senza pennello, che qui vedete bianche, azzurre e rosse: udì che, quando al re mostrò il castelloch’or mostro a voi su quest’altiero scoglio,gli disse quel ch’a voi riferir voglio.

Udì che gli dicea ch’in questo loco di quel buon cavallier che lo difende con tanto ardir, che par disprezzi il fuoco che d’ogn’intorno e sino al Faro incende, nascer debbe in quei tempi o dopo poco (e ben gli disse l’anno e le calende) un cavallliero, a cui sarà secondo ogn’altro che sin qui sia stato al mondo.

Di tanto onore Ischia ha ben ragione di andar fiera, in quanto in paragone di tal principe (Alfonso d’Avalos) poco vanto possono menar Achille, Ulisse, Nestore… E se Creta, Delo e Tebe si vantano dei loro eroi, non dovrà essere da meno l’isola d’Ischia a vantarsi ed esaltarsi per aver dato i natali al grande Principe (Canto XXXII, stanze 28/29):

Non fu Nireo sì bel, non sì eccellente di forze Achille, e non sì ardito Ulisse, non sì veloce Lada, non prudente Nestor, che tanto seppe e tanto visse, non tanto liberal, tanto clemente, l’antica fama Cesare descrisse; che verso l’uom ch’in Ischia nascer deve, non abbia ogni lor vanto a restar lieve.

E se si gloriò l’antiqua Creta, quando il nipote in lei nacque di Celo, se Tebe fece Ercole e Bacco lieta, se si vantò dei duo gemelli Delo; né questa isola avrà da starsi cheta, che non s’esalti e non si levi in cielo, quando nascerà in lei quel gran marchese ch’avrà sì d’ogni grazia il ciel cortese.

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Jost Amman (1539-1591)Foemina ex Insula Ischia (xilografia)

È questa la testimonianza più antica nel cam-po dell’illustrazione di costume, presente nel Trachtenbuch pubblicato in Germania nel 1577 (tavola CXLVII); ha un lungo sottotitolo in carat-teri gotici.

«La donna raffigurata nella xilografia indossa un grembiule cinto anteriormente con una legge-ra merlettatura intorno al collo, sul capo è posto un grosso ‘fazzuolo’ che cade abbondantemente sulla schiena; infine, un mantello copre quasi in-teramente la figura. Il costume è molto sobrio ed elegante, forse un abito da festa per ricchi notabili del paese, sebbene la paradossale nudità dei pie-di della donna che lo indossa lo correli al volgo. La stessa immagine è riprodotta anche nell’ope-ra di Weisel: Habitus praecipuorum populorum, tam virorum quam foeminarum (Norimberga 1577)» (M. Ielasi: Costumi dell’isola d’Ischia dal XVI al XIX secolo , Imagaenaria, giugno 2000).

Cesare Vecellio - Donna d’Ischia

Isola d’Ischia

Antichi costumi

Pagine dell’opera di Cesare Vecellio sugli abiti antichi e moderni

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Lacco Ameno la Collina dell’Arbusto

La collina dell’Arbusto ha sempre suscitato la più viva ammirazione da parte di viaggiatori italiani e stranieri, soprattutto dopo che il duca d’Atri, Carlo Acquaviva, ebbe ristrutturato, fra il 1785 e il 1789, una masseria, trasfor-mandola in «fastosa villa con tutte le comodità rurali e alberghiere».

«A greco e levante dei Caccavelli», scrive Francesco De Siano (1798), sacerdote e medico di Lacco, «sono le lave dell’arbusto […] tra le quali sono due bei boschetti col casino del Duca d’Atri. Nel giardino artefatto nel masso della lava, evvi tra gl’interstizi di essa una fumarola ac-comodata per uso di stufa […] L’arbusto è in buona parte cultivato a vigne tra le lave e produce dei bei frutti spe-cialmente nel giardino del detto Duca d’Atri».

Due edifici: la villa principale, composta di un pianter-reno e una scalinata coperta per salire ai dieci vani del primo piano, con accanto l’oratorio privato; la villetta per gli ospiti, verso est, con otto piccole stanze. Lungo il viale principale, che congiungeva e ancora congiunge i due fab-bricati, una chiesetta con sacrestia, dedicata alla Madonna delle Grazie e, a poca distanza, «una fumarola accomodata per uso di stufa», ma nessun estraneo, secondo la contessa Von Der Recke, poteva farne uso.

Nel 1796 vi alloggiò il geologo russo Scipione Breislac, professore di mineralogia a Napoli, ospite del nipote del duca, Antonio Acquaviva, al quale, afferma l’illustre stu-dioso, «i più stretti vincoli di amicizia e di gratitudine» lo «terranno eternamente legato».

Nei loro diari i viaggiatori, che vi alloggiarono o la visi-tarono soltanto, ne lasciano intravedere alcune caratteri-stiche.

Friederike Brun (1796) rimase incantata dal pano-rama e dalla frutta squisita, dalle pesche, soprattutto, che prosperavano nel giardino.

Incantevole ed accogliente residenza la definisce il cap-pellano della flotta di Nelson, il reverendo Cooper Wil-liams, che vi soggiornò nel 1799, con i giardini «del palaz-zo realizzati in modo da respingere il calore che prevale nella stagione estiva, essendo interamente ombreggiati con viti che si estendevano sulle pareti dei pilastri eret-ti allo scopo. Vi sono anche due belle dimore estive, che, con fontane e alberi, rendono la permanenza oltremodo gradita».

La contessa Elisa von der Recke, che la visitò nel 1805, in compagnia del poeta inglese Tiedge Christoph August (Magdeburgo 1752 - Dresda 1841), così la descrive: «Di fronte a quel casino (il palazzo S. Montano poi palaz-zo Monti) e dal lato opposto della via si erge sulla collina dell’Arbusto la villa del duca d’Atri: la natura e l’arte sem-brano essersi unite per fare di questo luogo l’angolo più delizioso dell’isola intera. Il bell’edificio corona una colli-na di lava: i boschetti folti di castagni, mandorli ed altri alberi fruttiferi alternano con viti e cespugli di fiori nelle aiuole. Nel giardino c’è un posto dove escono da terra va-pori caldi, vi si è costruita una stufa, ma non è permesso a nessun estraneo di farne uso».

Caroline von Humbold (1817) mette in risalto l’in-comparabile bellezza della posizione e le sue terrazze che portano ad una vigna ben coltivata; «da ogni terrazza si gode la vista più varia sui colli dell’Isola, sul mare, sulle isole di Ponza e Procida, su Capo Miseno e Baia, sullo sfon-do il Vesuvio fumante, sopra il cielo sconfinato».

Nel 1825 in «Wiener Zeitschrift für Kunst, Litera-tur, Theater und Mode», si precisa: «Lì a sud si eleva la punta scoscesa di una collina di lava, chiamata Arbu-sto, la bella Villa Atri che simile a una residenza principe-sca domina la regione».

Conrad Haller, nel 1822, la presenta in questi termini: «Dietro la fila di case, che abbellisce questa spiaggia (di Lacco Ameno), vi sono orti del tutto simili a quelli dei Ba-gni d’Ischia, delimitati ad ovest da una collina più lunga che alta detta l’Arbusto. All’estremo nord della collina c’è una graziosa villa, con casa altrettanto graziosa, un vi-gneto e giardini che producono eccellenti frutti coltivati a spalliera. La villa apparteneva un tempo al Duca d’Atri e ne porta ancora il nome. Racchiude una Stufa o Fumarola abbandonata per la vicinanza delle Stufe di S. Lorenzo».

Nel 1867 e 1868 alloggiarono a Villa Arbusto Miche-le Bakunin e la giovane moglie Antonia Ksaver’evna Kvjatkovskaja, ospiti della principessa Olga Serieevna Obolenskaïa, un’aristocratica russa che, mal sopportando l’ambiente reazionario frequentato dal marito governatore di Mosca, si era trasferita a Napoli con i figli e l’amante, l’esule polacco Walerian Mroczkowski, con un corteo di cameriere e il medico personale. Antonia aveva allora 24 anni, Michele 52. Le «delizie di Ischia» rappresentarono una felice pausa nella loro vita difficile, soprattutto per Antonia, giovane e bella: vacanze di lusso senza le abituali preoccupazioni finanziarie. Sulle terrazze e sotto i pergola-ti di villa Arbusto sbocciò l’amore fra lei e l’avvocato Car-lo Gambuzzi, uno dei tanti giovani discepoli napoletani di Bakunin.

Nel 1952, l’intero complesso viene acquistato dal cava-liere Angelo Rizzoli, che ne fa restaurare e ristrutturare le ville e arricchire il giardino di piante e di fiori. Acqui-stata in seguito, con i contributi finanziari della Regione e della Provincia, dal Comune di Lacco Ameno, oggi è la sede del Museo Civico Archeologico di Pithecusæ. Aperto al pubblico nell’aprile del 1999, si compone di otto sale ove sono esposti, secondo gli accorgimenti della muse-ografia moderna, oltre tremila reperti, una parte soltanto di quelli portati alla luce dal Dott. Giorgio Buchner, le cui ricerche archeologiche hanno fatto indicare in Pithecusæ il più antico stanziamento greco in Italia meridionale. I re-perti illustrano la storia dell’isola d’Ischia dalla Preistoria fino all’età romana e la «gemma» è la cosiddetta Coppa di Nestore, con il suo epigramma in alfabeto euboico, inciso dopo la cottura sicuramente a Pithecusæ (da un articolo di Giovanni Castagna).

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Antichi costumi

Onofrio Buonocore (1870 - 1962) - In un tempo relativamente più vicino a noi, il nostro concitta-dino reverendo canonico Onofrio Buonocore, nonché storico e di-vulgatore di cultura, nella sua de-scrizione delle donne conterranee, in occasione del centenario dell’a-pertura del lago d’Ischia, trasfor-mato in porto, ci fa risalire a tale memoria storica: “vesti doviziose, o di stoffe sempliciotte, scendono sino ai piedi; un corsetto di colore diverso sale serrato al collo, ador-no di ricami o di un serico crespo spagnoleggiante; ricchi pendenti, di puro oro veneziano appesanti-scono le orecchie; l’immancabile grembiule, punteggiato di rabeschi scende dai lombi; il capo è sormon-

Salvatore Fergola (1799 - 1874) - Pittore napoletano, più volte pre-sente sul territorio isolano; in una sua opera giovanile (1823), ritrae il vestire di due donne foriane, con la “magnosa” di tela, lunga veste ed altrettanto lungo grembiule insie-me ad una terza seduta con scialle e copricapo rivolto all’indietro.

Andreas Mark (1826 - 1895) - Da una sua tela possiamo dedur-re il vestire d’una giovane pastora di Casamicciola che pascola ovini: questa indossa una lunga veste, camicetta bianca a mezze maniche con sovrapposto foulard colorato e capo coperto da panno bianco qua-drangolare.

Emmanuel Duverger (1821- ?) - Questo pittore francese presenta la donna isolana in una silhouet-te semplice e graziosa, con panno rosso cadente dalla testa alle spal-le, camicetta cremisi a maniche lunghe e scollatura; ampia veste di color bluastro coronata al fondo con falda dorata lambendo le scar-pe e ricoperta di grembiule in rosa scuro.

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da Raffaele Castagna

tato da un giocherello semplice: un drappetto quadrato viene posato sulla testa: la cocca che scende sul-la fronte viene riversata su quella che si cala sulla nuca; le due coc-che che si spandono sulle tempie, vanno riversate sul capo; rosse mantellette orlate in arancione, pigliano risalto nella varia gamma di colori”. Si aggiunge poi che ciò è stato dedotto da quanto riportato su tela da Giacinti Gigante.

Michela De Vivo (sec. XIX) - Portatasi sull’isola per ritrarre, ci ha dato in eredità la rappresenta-zione d due costumi isolani, di cui uno di Forio d’una donna gentil-mente raffigurata con la “magno-sia” in testa e veste chiara a pois, mentre l’altra è in atteggiamento di penitente meditazione.

Tra le immagini di costumi dell’i-sola d’Ischia particolarmente insolita è questa villana che fa parte di una serie dedicata ai ve-stimenti dei vari luoghi del Regno di Napoli. La relativa semplifica-zione dell’immagine della popo-lana colta di profilo e del ragazzo con il ventaglio è dettata dalla inconsueta tecnica esecutiva, ot-tenuta attraverso l’accostamento di frammenti di seta e festoncini, alternati a brani dipinti ad ac-querello (da Immagini di Ischia, Li Causi editore, 1984)

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Oltre il porto d’Ischia, procedendo verso ponente, si ha la collina di S. Alessandro, ai cui piedi si stende la Spiaggia degli Inglesi. Seguono il Castiglione, dove da alcuni anni è stato realizzato un parco termale, il Bagnitiello e il Mortito. Qui si incontra la Punta della Scrofa che con Monte Vico delimita l’ampia insenatura con i centri abitati di Casamicciola e Lacco Ameno.

Di fronte alla Punta della Scrofa si trovava un bagno omonimo o detto anche della Spelonca, poi sommerso dalle acque, a causa del bradisismo cui è soggetta l’isola. Lungo il mare procede la via di comunicazione (litoranea – statale 270) che presenta qua e là spiagge (Perrone, Suor Angela, Fundera, Fungo) e impianti balneari. Tra Monte Vico, su cui si erge la Torre aragonese del XVI secolo e sul quale si stanziarono i primi coloni greci fondando Pithecusa, e la successiva Punta Cornacchia vi è la baia di San Montano con la omonima spiaggia, dove approdò la barca recante il corpo della Vergine e Martire africana S. Restituta; nella parte interna, già zona archeologica e sede della necropoli di Pitecusa, è sorto il parco termale Negombo.

Si ha poi Punta Caruso. La costa alta e impervia si esaurisce in località Montevergine, dove si apre la bella Spiaggia di S. Francesco, a ridosso della quale si innalza il tempio omonimo, sede di pellegrinaggi all’inizio della primavera.

Segue la spiaggia della Chiaia, fiancheggiata da una strada litoranea che conduce a Forio e al suo porto e che, proseguendo ancora sotto il piazzale del Soccorso, promontorio

su cui sorge la omonima chiesa e da cui si ha un magnifico panorama sul mare e sulla montagna, porta sino a Citara. Lungo detto percorso si incontrano gli scogli detti degli Innamorati, la spiaggia di Cava dell’isola e infine la spiaggia di Citara, presso la quale vi è il grande complesso termale dei Giardini Poseidon, la cui presenza ha fatto sviluppare nella parte interna una notevole quantità di strutture alberghiere che hanno dato a Forio un impulso economico di grande portata. L’ampia baia presenta

negli ultimi tempi un forte sviluppo turistico, costituendo nell’ambito isolano quasi un’oasi di tranquillità non soggetta ai disagi del traffico veicolare.

Ci si imbatte poi nella Spiaggia dei Maronti, raggiungibile via terra da una strada che parte da Barano e attraversa la frazione di Testaccio. Vi sono presenti vari fenomeni termali (Fumarole, Cavascura, Olmitello e, più internamente, Nitrodi) che ne fanno un luogo di grande richiamo: la stessa sabbia è resa molto infuocata dalle manifestazioni vulcaniche. Il paesaggio offre successivamente ancora coste alte tra Punta della Signora e Punta Parata, detta anche Centoremi; un meraviglioso scenario costituisce la Scarrupata tra Capo Grosso e Punta San Pancrazio; si hanno inoltre grotte, come quella detta del Mago.

Sul promontorio si è sviluppata Campagnano, frazione del Comune d’Ischia. Si arriva quindi alla località di Cartaromana (anticamente Plagae Romanae) dove si ammirano la Torre di Michelangelo (o Torre Bovino di Guevara) e gli Scogli di S. Anna. Qui nello specchio d’acqua del Castello si sviluppò l’antica cittadella di Aenaria di cui le recenti ricerche stanno rivelando sempre nuovi reperti; quivi il 26 luglio si svolge la tradizionale festa di S. Anna con la sfilata delle caratteristiche barche addobbate.

Configurazionecostiera

anche scogli, i cui nomi si trovano già citati in antichi testi: Pietra rossa, Pietra nera, Pietra bianca, Pietra del Cavallone, Becco dell’aquila. Da segnalare ancora La Mortella e i Giardini Ravino.

Superato il promontorio dell’Im-peratore, sul quale vi era un faro, si ha una costa alta con insenature più o meno profonde; caratterizzano il tratto anche scogli come la Nave e le Chianare di Spadera, presso le quali troviamo la grotta del Mavone. Tra Capo Negro e Punta Chiarito si apre la piccola insenatura di Sorgeto, frequentata anche per le sue acque termali. Punta Chiarito ha richiamato ultimamente l’attenzione degli archeologi per il ritrovamento nella zona di tracce di un villaggio rurale greco. La strada carrozzabile in questa parte dell’isola corre lontano dalla costa raggiungibile mediante caratteristici sentieri.

Superata Panza, si procede verso Succhivo sino a Sant’Angelo, sviluppatosi sulla terrazza tufacea della costa, mentre una striscia di sabbia congiunge il villaggio all’omonimo promontorio, sul quale sono visibili i ruderi di una antica torre. Il paese ha raggiunto

Siamo ad Ischia Ponte, centro di particolare interesse storico e architettonico, l’antico borgo Celsa. Sul Castello s’intrecciò una storia ricca di eventi non solo guerreschi, ma anche culturali e artistici per la presenza nel Cinquecento di un vero e proprio cenacolo letterario intorno alla poetessa Vittoria Colonna. Da Ischia Ponte a Ischia Porto è un susseguirsi di spiagge (Pescatori, Punta Molino, Lido, S. Pietro) e di stabilimenti balneari. Prima del porto si incontra la collina di S. Pietro, sulla quale ha sede il Laboratorio di Ecologia del Benthos.

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Periodico di ricerche edi temi culturali, turistici,

politici e sportiviFondato nel 1980 e diretto

da Raffaele Castagna

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Buchner Giorgio - (Monaco di Baviera 1914 - Ischia 2005). Trasferitosi con la famiglia ad Ischia, si laurea in lettere classiche con una tesi sulla preistoria e l’archeo-logia di Ischia. Si dedica quindi alle ricerche archeolo-giche soprattutto nella valle di San Montano, a Lacco Ameno, e a Monte Vico, riportando alla luce numerose testimonianze che lo qualificano come il vero e proprio “scopritore” di Pitecusa. Scoperta che ha portato un’au-tentica rivoluzione nelle conoscenze riguardanti la Ma-gna Grecia e di conseguenza anche la Grecia arcaica da una parte e l’Italia antica dall’altra. Il suo nome è so-prattutto legato alla Coppa di Nestore da lui portata alla luce e ricomposta pezzo su pezzo. Tutti i reperti si trova-no esposti nel Museo Archeologico Pithecusae di Lacco Ameno, per la cui realizzazione si è sempre impegnato. Autore di numerose e specifiche pubblicazioni, tra cui, in collaborazione con David Ridgway, Pithekoussai I dell’Accademia dei Lincei. Il Comune di Lacco Ameno gli ha conferito la cittadinanza onoraria.

Buchner Paolo - (Norimberga 1886 - Ischia 1978). Laureato in Zoologia, venne a Napoli per studi presso la Stazione Zoologica. Conosciuta Ischia, se ne innamorò a tal punto che vi si stabilì definitivamente. Professore in varie università, tra cui Breslavia e Lipsia, attraverso le sue ricerche e i suoi studi produsse interessanti sco-perte nel campo della zoologia. Fu una delle massime autorità nel campo della Endosimbiosi. Di Ischia prese a studiare i vari aspetti della sua origine e della sua sto-ria. Significativi i lavori sulla cronologia delle eruzioni vulcaniche e sul termalismo. Raccolse le memorie, le lettere e i diari dei viaggiatori del passato giunti sull’iso-la e ne pubblicò un compendio nel libro Gast auf Ischia (edizioni 1968 e 1971) e di recente (2002) apparso an-che in versione italiana (curata da Nicola Luongo - Ed. Imagaenaria) col titolo Ospite a Ischia.

Buonocore Onofrio - (Ischia 1870 -1960). Venne alla luce nella Villa dei Bagni, quindicenne entrò in Se-minario, dove curò la sua preparazione con lo studio co-stante e appassionato. Fu ordinato sacerdote nel 1897 e prese ad insegnare latino e greco, non abbandonan-do mai la sua aspirazione di conseguire la laurea nelle sue discipline preferite, in un’epoca in cui le autorità ecclesiastiche non erano tanto propense a consentire ai sacerdoti la frequenza delle università. Si adoperò costantemente per l’incremento delle scuole pubbliche sull’isola, oltre che per la cultura in genere. Nel 1915 fu

sua l’iniziativa di aprire una scuola media e nacque così la “Vittoria Colonna” (ospitata nel convento di S. Anto-nio), cui affluirono alunni da tutta l’isola. Nel 1939 fu aperto l’ “Istituto Magistrale Ferrante d’Avalos” operan-te sino al 1949, quando fu creato il ginnasio-liceo stata-le. Istituì la Biblioteca Antoniana (ancora attiva ed in continuo incremento oggi sull’isola d’Ischia), allo scopo di raccogliere non solo opere e documenti riguardanti l’isola, ma anche enciclopedie e volumi che potessero essere utili agli studenti, ai giovani e alla gente appas-sionata della lettura. La biblioteca doveva diventare centro di irradiazione agli intelletti sani. Nel 1944 con altri amici fondò il Centro Studi su l’isola d’Ischia, di cui tenne la presidenza sino al 1958. Fu autore di varie pubblicazioni sull’isola d’Ischia, oltre che direttore di periodici di successo (La Cultura, con tematiche soprat-tutto storiche, e La Vedetta del Golfo): La storia di uno scoglio (1956), Il più bel fiore d’Enaria (1905), Nuptia-lia Isclana (1907), La Diocesi d’Ischia (1948), Festose celebrazioni secolari isclane (1955) e varie altre. Noto il suo incitamento alle giovani generazioni a conoscere la propria terra, per poterla amare.

Calise Cesare - (Forio 1560/70-1636/41). Pittore della cui vita si hanno scarne notizie. Presente con sue opere in varie chiese dell’isola d’Ischia ed in qualcuna di Napoli, anche se molte risultano corrose dal tempo o smarrite. Egli soleva firmarsi con l’espressione latina: Caesar Calensis pinxit a. d. Un suo profilo artistico è stato fatto e pubblicato dal prof. Giuseppe Alparone, critico d’arte.

D’Ascia Giuseppe - Uomo politico e storico di Forio d’Ischia (1822-1889). Nel 1861 fu eletto consigliere pro-vinciale, carica che tenne ininterrottamente per 17 anni, e fu anche sindaco di Forio dal 1861 al 1863, dal 1868 al 1869, dal 1870 al 1872, adoperandosi sempre per il bene dei suoi concittadini. Scrisse la Storia dell’isola d’Ischia (1867), che ancora oggi, ristampata più volte, risulta molto apprezzata e ricercata dagli studiosi; ma com-pose anche altre opere, alcune rimaste inedite, come il dramma Caterina d’Ambra, ma pubblicata negli anni recenti, a cura de La Rassegna d’Ischia ed elaborazione di Giovanni Castagna.

De Angelis Luigi -(Roma 1883-Ischia 1966). Bar-biere e pittore, è stato il capostipite di una famiglia di artisti, uno dei più sensibili pittori italiani della prima metà del Novecento, molto apprezzato dai primi espo-nenti stranieri che ad Ischia vennero a trovare ispirazio-ne per la loro arte pittorica.

Voci artistiche e letterarie

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da Raffaele Castagna

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Voci artistiche e letterarie

De Quintiis Camillo Eucherio - (L’Aquila 1675-1733). Adolescente venne a Napoli per gli studi ed entrò nel Noviziato della Compagnia di Gesù; pronunciò i voti nel 1708 e insegnò filosofia e discipline umanistiche a L’Aquila e a Napoli nel Collegio Massimo, dove fu pre-fetto degli studi. Autore di un poema – oltre 8.000 versi - in latino sull’isola d’Ischia pubblicato nel 1726 dal ti-tolo Inarime seu de Balneis Pithecusarum libri VI, che compose come riconoscenza verso questa terra, avendo ottenuto la guarigione di un insistente male che oppri-meva le sue mani. Un lavoro, che venne giudicato «clas-sico per la lingua, armonioso per la struttura del verso eroico latino, vasto per le proporzioni». Una traduzione italiana dell’opera, a cura di Raffaele Castagna è stata pubblicata nelle edizioni de La Rassegna d’Ischia.

De Siano Francesco - (Lacco Ameno 1740-1813). Fu prete e medico nel suo paese natale. Uomo di grande cultura, ci ha lasciato, tra l’altro, uno studio storico dal titolo: Brevi e succinte notizie di storia naturale e civi-le dell’isola d’Ischia, per servire di guida, e comodo ai Viaggiatori ed a quei che debbono far uso delle acque e delle fumarole di detta isola, pubblicato nel 1801. A lui erano soliti far visita tutti i viaggiatori che, nel contesto del Grand Tour, giungevano sull’isola, attratti non solo dalle acque, ma anche dagli aspetti paesaggistici e na-turali. Avanzò la prima ipotesi che sulla collina di Mon-te Vico si fossero stanziati i coloni greci, fondandovi la città di Pithecusa, sulla base dei numerosi resti di vasi, tegole e vasellame in genere che vi si potevano vedere. Egli scrive: «Tutta la superficie di Monte di Vico è real-mente cosparsa di frammenti di tegole e di vasi antichi e dove si raschia il terreno con la punta del bastone da passeggio vengono alla luce interi strati di cocci».

Di Spigna Alfonso - (1697-1785). Nativo di Lacco Ameno, pittore allievo di Francesco Solimena, dimorò sette anni a Genova dove eseguì una Annunciazione oggi perduta. Verso il 1734 ritornò a Ischia ed intraprese a lavorare per molte chiese dell’isola, tra cui soprattutto la Confraternita di Visitapoveri di Forio, ma anche di Napoli.

Gussone Giovanni - (1787-1866). Botanico di corte al tempo del re Ferdinando II di Borbone, dedicò par-ticolare studio alla vegetazione dell’isola, oltre a dare vita alle pinete di Ischia e di Fiaiano. In una sua opera (Enumeratio plantarum vascularium in insula Inari-me sponte provenientium vel oeconomico usu passim cultarum, 1854) descrisse quasi mille specie di piante

della macchia mediterranea da lui trovate lungo i ver-santi e le coste dell’isola, alcune rare e presenti soltanto in questi luoghi, in genere nate spontaneamente. Dell’o-pera è stata pubblicata anche una traduzione italiana, a cura di Raffaele Castagna.

Maltese Giovanni - (Forio 1852-1913). Poeta e scul-tore. Conseguito il diploma all’Accademia di Belle Arti di Napoli, si trasferì a Roma dove frequentò lo studio di Giulio Monteverde. Fu scelto per i lavori di abbellimen-to del Castello di Chenonceaux, una delle celebri dimore reali francesi. Ritornato a Forio, eseguì alcune statue e gruppi in bronzo, fra cui I pidocchiosi e Graziella. Ot-tenne in enfiteusi dal Comune di Forio il Torrione, che adattò a suo studio e dimora familiare. Sposò la pittrice inglese Fayrer Fanny Jane, la quale apportò all’artista quella serenità di cui aveva tanto bisogno. Numerose sono le sue opere che sono ora esposte nelle sale del Torrione, diventato appunto Museo Giovanni Malte-se. L’opera poetica si compone di tre raccolte di versi in parlata foriana: Cerrenne (1892-93), Ncrocchie (1904) e Sonetti inediti pubblicati postumi a cura di Giovanni Verde. Tutta la raccolta lirica è stata ripubblicata (1988) da La Rassegna d’Ischia e la Galleria Ielasi di Ischia, con testi in parlata foriana e rifatti in versione italiana, a cura di Giovanni Castagna.

Marone Venanzio - (Lacco Ameno 1797-1859). Fu medico condotto di Lacco e si adoperò sempre per il miglioramento delle condizioni degli impianti termali e per l’accurata analisi delle acque. Ci ha lasciato una Memoria contenente un breve ragguaglio dell’isola d’I-schia, delle acque minerali, delle arene termali e delle stufe vaporose (1847), in cui troviamo anche circostan-ziate notizie sugli ordinamenti civile, ecclesiastico, mili-tare e giudiziario dell’isola, nonché un elenco di scrittori che hanno trattato di Ischia e delle sue acque termali. Ad Ischia e Lacco Ameno sono a lui intestate due strade.

Mennella Cristofaro (Casamicciola 1907 - 1976). Laureato in matematica pura, ha pubblicato varie opere scientifiche; si è molto interessato soprattutto alla cli-matologia, nel cui ambito si ricorda la poderosa opera in tre volumi Il Clima d’Italia: si tratta del primo lavoro esauriente sul clima d’Italia, dopo quello del Roster che apparve nel 1909. Ha sempre lottato per l’istituzione sull’isola di un Centro Sperimentale di Idroclimatolo-gia ed è stato per anni Direttore dell’Osservatorio Geo-fisico di Casamicciola. Nota anche la sua opera: L’Isola d’Ischia gemma climatica d’Italia. Cercò invano di av-viare nell’isola l’introduzione della floricultura, ritenen-do che potesse costituire una buona garanzia di occupa-zione. Fu tra i fondatori del Centro Studi.

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Monti Pietro - (Lacco Ameno 1915 - 13-4-2008). Sacerdote e rettore del Santuario di S. Restituta in Lac-co Ameno. Gli scavi avviati all’inizio degli anni 1950 sot-to il complesso sacro gli hanno trasmesso l’amore e la passione per l’archeologia. Così l’ansia del ricercatore lo ha spinto a proseguire su tale itinerario e a creare, pro-seguendo la fase di ricerca e di studio, quel centro che va sotto il nome di Scavi e Museo di S. Restituta. Autore di numerose pubblicazioni storiche ed archeologiche, che sono fonte inesauribile di consultazione, tra cui Ischia storia ed archeologia (1980), Ischia altomedievale (1991), Gli ex voti di S. Restituta (1984).

Pagliacci Aldo - (S. Benedetto del Tronto 1913 - Fo-rio 1990). Pittore dalla vita avventurosa. Visse dappri-ma a Pesaro, dove i genitori si erano trasferiti nel 1921; a soli diciassette anni partecipò alla Biennale di Venezia. Aveva poco più di venti anni quando partì per l’Africa e vi restò per dodici anni, dipingendo instancabilmente; poi altri viaggi in Brasile, Perù, USA... Nel 1969 tornò a Pesaro, che l’accolse con una grande mostra antologi-ca. Ma era sempre alla ricerca di un luogo che potesse dargli pace e si rifugiò a Forio, dove, infermo, morì nel 1990.

Patalano Bolivar - (Forio 1901-1981). A 20 anni emigrò negli Stati Uniti, dove fece molti mestieri per vi-vere. Rientrò a Forio nel 1951 e iniziò a dipingere.

Patalano Gaetano - (1655–1700 c.). Scultore nato a Lacco Ameno che però visse e lavorò per lo più al di fuo-ri dell’isola: sue opere si trovano in Napoli, Lecce, Ca-dice. Un primo riferimento se ne ha in un’opera di Do-menico Antonio Parrino (seconda metà secolo XVII), il quale lo dice “stimabile scoltore in legno del detto paese (Lacco)”. Rimasto del tutto sconosciuto, la sua figura e la sua attività, come quella del fratello Pietro Rocco, sono state riscoperte e illustrate dal prof. Agostino Di Lustro (La Rassegna d’Ischia e “Gli scultori Gaetano e Pietro Patalano tra Napoli e Cadice”, 1993).

Polito Pasquale - (Serrara Fontana 1907–1994). Ordinato sacerdote nel 1931, è stato cappellano della Chiesa di Villa Joseph a Casamicciola e poi parroco del-la Chiesa Collegiata dello Spirito Santo in Ischia Ponte. Volse grande attenzione alla cultura: scrisse la prima biografia del Venerabile parroco Giuseppe Morgera; studiò le figure di viaggiatori illustri che soggiornarono

a Casamicciola, quali Lamartine, Ibsen, Renan; pubbli-cò una monografia su Lacco Ameno e S. Restituta; poeta e narratore. Fu tra i fondatori del Centro Studi su l’isola d’Ischia, di cui in seguito assunse anche la presidenza.

De Rivaz Chevalley, Jacques Étienne (Svizze-ra 1801-Casamicciola 1863). Dottore in medicina della Facoltà di Parigi, fece di Ischia la sua seconda patria, dimorò a Casamicciola e vi realizzò una Casa di salute, nella quale si potevano trovare riuniti confortevole ac-coglienza ed ottime cure mediche. Pubblicò e ne curò successive e aggiornate edizioni una accurata Déscript-ion des eaux minéro-thermales et des étuves de l’île d’I-schia. Diede la sua opera anche per il ripristino e il risa-namento di alcune sorgenti, ed altre ne trovò lui stesso.

De Siano, Tommaso (Lacco Ameno 1766-1852). Ordinato sacerdote, fu per un certo periodo economo della Parrocchia della SS. Annunziata di Lacco, poi pas-sò nella Curia Vescovile d’Ischia. A Lacco ricoprì anche la carica di giudice conciliatore dal 1828 al 1833; posse-deva sulla contrada Pannella una villa in cui alloggiava molti viaggiatori nella prima metà del sec. XIX, fra cui vari monarchi. L’edificio era stato costruito verso il 1616 da un Francesco De Siano, anche lui sacerdote, che l’uti-lizzava per residenza estiva. Alla morte di don Tomma-so, la villa fu divisa fra i coeredi ed una parte continuò a funzionare come bettola. Poi il terremoto del 1883 fece crollare tutto. Su una lapide si leggeva: «Villa Pannella. Qui si sana per la salubrità del clima e la giocondità del sito, nella cui amena campagna sorse del cavalier cano-nico don Tommaso de Siano il casino, il quale ha avuto l’alto onore di alloggiare sette augusti monarchi: S. M. il re Francesco I, S. M. il re Ferdinando II, S. M. il re Leopoldo del Belgio, S. M. il re di Sardegna Carlo Felice di Savoia, S. M. il re Guglielmo Würtemberg, S. M. il re Massimiliano, l’attuale re di Baviera S. M. il re Lodovi-co I, padre augusto di Massimiliano, il quale con molto giovamento ha respirato per ben tre volte in diverse sta-gioni l’aria salubre di sì bello e lieto soggiorno».

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«Ricchissima è la letteratura sull’isola d’Ischia”, come scrive W. Frenkel nella sua Guida (1928); e, poiché testi-monianze significative sono già presenti nella più antica cultura greca e latina, non può apparire strano che molti autori abbiano fatto ricorso alle primitive favole e cercato di armonizzare ad esse i natali, i fenomeni, gli splendori e gli orrori naturali dell’isola. “L’Ellade, la grande fucina dei miti nel loro aspetto più giocondo e seducente, ne im-portava dovunque le sue navi approdassero. E, poiché coloni elleni, navigando Occidente, approdarono prima alle isole e alle spiagge del Tirreno tra monte Circello e il promontorio di Miseno, ivi troviamo e Circe e le Sirene e l’Averno e i regni di Plutone e l’antro della Sibilla Cu-mana e Tifeo e i Giganti e le Ninfe... Luoghi che paiono naturale sede di miti e quasi fatti per la poesia divina del cantore di Ulisse e di quello di Enea» (C. Fiorilli - Ischia nel mito, nelle leggende, nella storia, in Rassegna Nazio-nale, Firenze, anno XXXII vol. CLXXI, gennaio 1910).

Omero (VIII sec. a. C.) riporta l’espressione che ha dato modo di formulare le prime denominazioni riguardanti l’isola d’Ischia. Volendo dare il senso di come rimbombi la terra al calpestio delle schiere in marcia (“.... ed alla pésta dei trascorrenti piedi il suol s’udìa rimbombar”), il poeta dice che altrettanto si verifica quando si agita Tifeo, flagellato dai fulmini di Giove, là in Arime (Arima) o fra gli Arimi (ein Arìmois), dove appunto si trova la sua “camera da letto” (Iliade, II, vv. 781/3).

I monti Arimi erano generalmente collocati nella Ci-licia, regione assai travagliata da terremoti ed eruzioni vulcaniche, e perciò sede delle gesta di Tifeo, rappresen-tante il fuoco sotterraneo che alimentava i vulcani sparsi nel Mediterraneo, la cui storia è variamente riportata nei testi classici e comunque collegata alla lotta tra i Giganti e Zeus (Giove). Quest’ultimo con i suoi fulmini mise in fuga l’immane mostro dalle cento (o cinquanta) teste e lo schiacciò sotto l’Etna che prese ad eruttare fiamme, se-condo quanto riportano alcuni scrittori e poeti.

Poiché anche l’isola d’Ischia era soggetta ai fenomeni citati, se ne volle attribuire la causa ai medesimi eventi, immaginando un Tifeo sepolto sotto il suo monte (Epo-meo) ed estendendo a questa terra la denominazione di Arime.

Anche in Esiodo (VIII sec. a. C.) e in Pindaro (517-438 a. C.) si ritrovano le stesse situazioni: i luoghi sono menzionati sempre con l’espressione omerica e le vicende si riportano ancora a Tifeo, essere mostruoso per statura e per forza.

Nella tradizione latina nacque la denominazione INA-

RIME sulla base della versione omerica, di cui si fonde-vano le due parole (in - arime). Così in Virgilio (70 a. C. - 19 d. C.) troviamo una similitudine che evoca quel-la omerica: cade il gigantesco Bizia e la terra manda un gemito; nella stessa guisa, a volte, sull’euboico litorale di Baia precipitano in mare grossi blocchi di pietre insieme cementate per formare una valida difesa dalla violenza delle onde e una sicura piattaforma per la costruzione di ville e villini lungo la coste: le acque vengono sconvolte, sollevate in alto le torbide sabbie e per il frastuono trema Inarime che sta sopra Tifeo, al quale così duro giaciglio Giove ha imposto.

(Virgilio, Eneide, IX, vv. 709/716)..

Sulla stessa linea troviamo indicazioni in Lucano (39 - 65 d. C.) e in Ovidio (43 a. C. - 17 d. C.). Nelle Meta-morfosi compare la duplice denominazione di Inarime e di Pitecusa, quasi a voler indicare due distinte località, e ne sono abitatori i Cercopi, empi e malvagi impostori, tra cui due fratelli, Candolo e Atlante, che, per aver mancato della fede data a Giove, furono da lui mutati in scimmie.

Un’altra favola, cui l’isola viene quindi associata, è quel-la delle scimmie e dei Cercopi che si fa risalire a Xenago-ra (III s. a. C.), riportata da Suida e poi ripresa da Lico-frone Calcidese (III s. a. C.) e da Strabone (63 a. C. - 23 d. C.): vivevano in Lidia due fratelli, che non tenevano in alcuna considerazione il senso di giustizia ed erano chia-mati Cercopi per le loro frodi. La madre li aveva esortati ad evitare Melanippo, e cioè Ercole. Si dice che per la loro malvagità furono trasformati in scimmie (pitecoi) e così Pitecuse furono denominate le isole da loro abitate.

Plinio collega il nome Pitecusa non all’abbondanza di scimmie, ma alle botteghe di orci di terracotta (pitoi).

Ovidio, Metamorfosi, XIV cap. II - Priva del pilota, la nave lascia gli scogli delle Sirene e s’accosta a Inarime, Procida e Pitecusa, tra colli sterili posta e così nomata a mezzo dei suoi abitatori. Infatti dei Numi il padre, aborrendo dei Cercopi le frodi e gli spergiuri, di gente iniqua opera, un giorno in belve oscene mutò costoro, sì che sembrassero ad un tempo somiglianti e dissimili agli uomini. Contrasse loro le membra e le nari schiacciò verso la fronte e di senili rughe abbrutì la faccia; e di rosso pelo coperti li esiliò in quelle terre; tolse ancor loro l’uso della parola e della lingua, agli spergiuri infami quasi avvezza, e solo un lamentare con suoni stridenti a loro concesse.

L’isola d’Ischianella tradizione

greca e latina

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Periodico di ricerche edi temi culturali, turistici,

politici e sportiviFondato nel 1980 e diretto

da Raffaele Castagna

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Di fronte al Capo Miseno c’è l’isola di Procida, che è un pezzo distaccato di Pitecusa. Pitecusa fu colonizzata da Eretriesi e Calcidesi, i quali, sebbene vi prosperasse-ro per la fertilità del suolo e per le miniere d’oro, l’ab-bandonarono, (innanzitutto) per discordie tra loro, ma anche perché atterriti dai terremoti e dalle eruzioni di fuoco, del mare e di acque calde.

L’isola è infatti soggetta a tali emanazioni, per cui an-che i nuovi coloni mandati da Ierone, tiranno di Siracu-sa, abbandonarono sia la fortezza da essi costruita, sia l’isola. Vi giunsero poi e l’occuparono i Napolitani.

Si diffuse la leggenda che sotto quest’isola giace Tifeo, e che, quando egli si agita, vengono fuori fiamme e ac-que, e a volte anche piccole isole aventi acque bollenti. Per cui giustamente Pindaro, partendo appunto da fatti abbastanza noti, scrisse che il tratto da Cuma alla Sici-lia è vulcanico e che nelle sue profondità si nascondono certi anfratti comunicanti attraverso un unico condot-to sia tra loro che con il continente. Donde emerge che hanno la stessa natura sia l’Etna, come si trova riportato in tutte le descrizioni, sia le isole Lipari, la regione di Dicearchia, Napoli, Baia, e infine l’isola di Pitecusa. È dunque con cognizione di cause che Pindaro ha potu-to indicare Tifone giacente contemporaneamente sotto tutti questi luoghi:

Opprimono il suo petto irsuto sia le rive di Cuma cinte dal mare, sia l’isola di Sicilia.

Timeo riporta inoltre che presso gli antichi era diffusa una serie di fatti straordinari sull’isola di Pitecusa. Poco prima dei suoi tempi il monte Epomeo, che si eleva nel mezzo dell’isola, fu scosso da terremoti ed eruttò fuoco e rigettò (di nuovo) in alto mare tutto ciò che era posto tra se medesimo e la riva; nello stesso tempo una parte del suolo, ridotta in cenere e scagliata in alto, ricadde come un turbine sull’isola; e il mare si ritrasse per tre stadi e, ritornando poco dopo indietro, con il riflusso inondò l’isola spegnendovi il fuoco; tale fu il fragore che gli abitanti della terraferma fuggirono dalla costa verso la regione interna della Campania. Sembra che le acque termali qui presenti guariscano coloro che soffrono di mal di pietra. Anticamente Capri aveva due cittadine, poi ridotte ad una sola. I Napoletani occuparono anche questa ma, avendo perduto Pitecusa nel corso di una guerra, la ottennero di nuovo per concessione di Cesare Augusto, che peraltro rivolse a Capri tutte le sue pre-

ferenze e ne fece la sua residenza, costruendovi varie abitazioni.

Anche Plinio parla di un’isola sorta nel mare per eru-zioni vulcaniche. Nel libro II, 88/89 dice che le terre “sorgono anche in un altro modo, e di colpo emergono in un qualche mare: quasi che la natura pareggiasse i conti con se stessa e restituisse da altre parti ciò che una voragine ha ingoiato”. “Così - prosegue lo scrittore - si formarono anche le Pitecuse nel golfo di Campania, e ben presto, lì sopra, il monte Epopo, dopo un’improv-visa eruzione di fiamme, fu livellato alla piatta distesa dei campi. Nella medesima isola, una città fu inghiottita nel profondo, e per un altro sommovimento spuntò uno stagno, e per un terzo, dopo un crollo di montagne, si costituì l’isola di Procida”.

Della colonizzazione greca riferisce Tito Livio, secon-do il quale i primi coloni dall’Eubea si portarono colla loro armata in Italia ed ebbero gran potere e valore nelle spiagge di quel mare che essi abitarono, avendo primie-ramente fatto impeto nelle isole di Enaria e di Pithecu-sa; di poi ebbero l’ardire di trasportare le loro abitazio-ni e forze nella Terraferma. “I Cumani erano originari di Calcide nell’Eubea. Con la flotta, su cui erano giunti dalla loro patria, diventarono molto potenti sulle coste dove fissarono la loro dimora. Dapprima si stabilirono nelle isole di Enaria e di Pitecusa e solo più tardi osaro-no trasferirsi sul continente” (Tito Livio, Historia Ro-mana, VIII, 22/5).

L’isola d’Ischianella Geografia

di Strabone

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La Rassegnad’Ischia

Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici,

politici e sportiviFondato nel 1980 e diretto

da Raffaele Castagna

Audot - L’Italia, la Sicilia, le isole Eolie, l’isola d’Elba…., Parigi, Audot Fils, 1834-1837

Ischia può esser vista come un immenso vigneto; e i suoi frutti sono squisiti e i suoi fichi sono stati ce-lebrati da Orazio... e i suoi abitanti sono briosi e industriosi.

L’Epomeo - Discesi dalle nostre calme cavalcature, un buon anacore-ta ci accoglie sulla soglia del suo ere-mo; attraverso un corridoio oscuro ci conduce su di una piccola terrazza aperta e posta sull’orlo del precipizio. Impossibile provare una sensazione più viva ed una sorpresa più piacevo-le di quella che ci procura la novità della scena che si presenta ai nostri sguardi. La vista abbraccia il terri-torio di Casamicciola, di Ischia, di Lacco, di Forio e dei piccoli villaggi e casolari disseminati sulla montagna stessa. L’isola intera, vista da questa vetta, rassembra ad una miniatura e presenta i colori più brillanti e i toni più armoniosi. L’eremo è interamen-te scavato nella roccia, tranne la sola facciata della cappella che è in mura-tura.

Kannengiesser Alphonse - Ri-cordi d’Ischia, 1883

(Casamicciola) Quando si par-la di villaggio, si pensa di solito ad un’agglomerazione di case stretta-mente legate tra loro e formanti un tutto completo ed omogeneo. Que-sta concezione non può applicar-si a Casamicciola che consta di tre parti molto distinte, l’una separata dall’altra da giardini, viti e boschetti e ciascuna avente una caratteristica particolare. Le abitazioni sono dis-seminate dovunque, il che si spiega per la natura stessa del suolo dove trovasi la cittadina. Accampata alla radice dell’Epomeo, questa immen-sa colonna vertebrale divide l’isola in due versanti: Casamicciola difatti

occupa tutto il tratto compreso tra i piedi della montagna e la riva del mare. Ora i sollevamenti e le eruzioni vulcaniche hanno sconvolto talmen-te questa superficie intermedia che si sviluppa per movimenti bruschi ed irregolari, si gonfia in ondulazioni disuguali, s’apre in valloni dirupa-ti e selvaggi. Su una simile area non poteva aversi la costruzione regolare di una località compatta ed unita, ed ecco perché Casamicciola offre un aspetto così pittoresco con le sue ville solitarie ed i suoi sparsi quartieri.

Alphonse de Lamartine (1790-1869)

- L’isola d’Ischia, che separa il golfo di Gaeta dal golfo di Napoli, e che uno stretto canale separa essa stessa dall’isola di Procida, non è che una unica montagna a picco, la cui cima bianca e folgorata immerge i suoi denti scheggiati nel cielo. I suoi fianchi scoscesi, solcati da valloncelli , burroni e letti di torrenti, sono ri-vestiti dall’alto in basso da castagni d’un verde scuro. I suoi pianori più vicini al mare e inclinati sui flutti sostengono capanne, ville rustiche e villaggi seminascosti sotto pergolati di viti. Ogni villaggio ha la sua ma-rina. Chiamano così il piccolo porto ove galleggiano le barche dei pesca-tori dell’isola e ove si dondolano al-beri di battelli a vela latina.

Ognuna di quelle case sospese alle pendici della montagna, nascosta nel fondo dei suoi burroni, elevandosi a piramide su uno dei suoi pianori, pro-iettata su uno dei suoi promontori, addossata alla sua selva di castagni, all’ombra dei suoi pini, circondata da arcate bianche e smerlata da pergole pendenti, nel sogno è la dimora idea-le d’un poeta o d’un amante.

Ernest Renan in Paris-Ischia, 15 agosto 1883: (giornale pubblicato a favore delle vittime d’Ischia)

Ho trascorso in questa terra (Ischia), in tre epoche diverse, quat-tro o cinque dei mesi più felici della mia vita. La conobbi nel 1875, dopo un viaggio in Sicilia che mi aveva estenuato. Vi provai un piacere così intenso che vi sono ritornato due volte in seguito; vi ho scritto la mag-gior parte dei miei Souvenirs. Ciò che caratterizzava la cara Ischia era l’assoluta calma. La gente è dolce e sorridente. Senza una goccia d’acqua

corrente tutto è fresco e verde come in Normandia. Le perfidie della natu-ra sono sotterranee. Le acque, attac-cando dall’interno quest’ammasso di cenere, scavano vuoti che producono crolli. Una lettera, inviatami dall’e-minente pittore M. Palizzi, con cui ho trascorso ore così piacevoli a Ischia, mi informa che nessun nostro ospi-te, nessun nostro amico è perito. Ma la casa in cui con tanto diletto ho ri-posato non è più che un mucchio di macerie; è tutta diroccata. Dominava Lacco a perpendicolo. La notte si udi-va il canto della gente di Lacco riuni-ta nelle chiese o sul tetto delle case. Ma nelle ore calde del giorno non si sentiva che il canto delle cicale. Po-vera Ischia! chiedo a tutti coloro che vogliono fare un’opera buona di dare ciò che possono ad una popolazione così crudelmente provata.

Turpin de Crissé

Quale interesse non suscita Ischia al pittore di paesaggi! Maestà nelle forme e varietà nei toni, ricchezza e profusione nella vegetazione, elegan-za nelle costruzioni; Ischia unisce tutti i vantaggi pittoreschi a quello di di offrire un clima temperato dalle brezze di mare. Il popolo, vivo e gaio come il napoletano, qui è ancora più attivo e in ogni cosa più onesto e più ingegnoso. Occupati nella coltura dei vigneti e nella pesca, nella fabbrica-zione di oggetti di ceramica, la cui forma elegante è imitata dai celebri vasi antichi così ricercati e diventati per i moderni oggetto di lusso e di studio, gli ischitani si affrettano ad accogliere con premura i viaggiatori, i quali possono percorrere nella più perfetta sicurezza quest’isola incan-tevole, che racchiude nel suo perime-tro da diciotto a venti miglia i siti più intriganti e più diversi.

Descrizionidi antichi

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Henry Wadsworth LongfellowScrittore e poeta americano (1827-1882)

Uccelli di passaggio ---- Vittoria Colonna

Vittoria Colonna, alla morte di suo marito, il Marchese di Pescara, si ritirò nel suo Castello ad Ischia (Inarime), e là scrisse l’ode sulla morte di lui che le procurò l’appellativo di “Divina”.

Ancora una volta, ancora una volta, Inarime, Vedo le tue purpuree colline! - ancora una voltaSento i marosi della baia Lambire i ciottoli bianchi sulla tua riva.

Alto sui flutti del mare e le sabbie, Come un grande galeone naufragato e sospintoA riva dalle tempeste, il Castello spicca, Sgretolante pietra miliare del Passato.

Sulla sua terrazza-passeggiata vedo Un fantasma andare avanti ed indietro;È Colonna, è lei Che visse e amò tanto tempo fa.

La bella giovane moglie del Pescara, Il tipo della perfetta femminilità,La cui vita fu l’amore, la vita della vita, Che ricusò i suoi tempi, i mutamenti e la morte.

La morte, che rompe il vincolo matrimoniale In altri, strinse più forteL’anello nuziale sulla sua mano E più forte chiuse e rinserrò il suo seno.

Lei conobbe il martirio di una vita, Lo sfinimento, l’infinita penaDell’attesa di rivedere chi Non sarebbe mai più ritornato.

Le ombre degli alberi di castagno, L’odore dei fiori di arancio,Il canto degli uccelli, e, più di questi, Il silenzio di stanze abbandonate,

Il respiro del mare, Le dolci carezze dell’aria,Tutte le cose della natura apparivano Solo ministri della sua disperazione;

Finché il cuore gravato e oppresso, a lungo Prigioniero di se stesso, trovò sfogoE voce in un canto appassionato Di lamento inconsolabile.

Poi come il sole, pur nascosto alla vista, Trasmuta in oro la plumbea foschia,La sua vita fu permeata di luce, Da reami che, sebben non visti, esistono,

Inarime! Inarime! Il tuo Castello al di sopra dei dirupiCrollerà e si ridurrà in polvere, Ma non la memoria del suo amore.

Henry Wadsworth LongfellowAmerican writer and poet (1827-1882)

Birds of Passage ---- Vittoria ColonnaVittoria Colonna, on the death of her husband, the Marchese di Pescara, retired to her castle at Ischia (Inarime), and there wrote the Ode upon his death, which gained her the title of Divine.

Once more, once more, Inarime, I see thy purple hills!--once more I hear the billows of the bay Wash the white pebbles on thy shore.

High o’er the sea-surge and the sands, Like a great galleon wrecked and cast Ashore by storms, thy castle stands, A mouldering landmark of the Past.

Upon its terrace-walk I see A phantom gliding to and fro; It is Colonna, - it is she Who lived and loved so long ago. Pescara’s beautiful young wife, The type of perfect womanhood, Whose life was love, the life of life, That time and change and death withstood.

For death, that breaks the marriage band In others, only closer pressed The wedding-ring upon her hand And closer locked and barred her breast.

She knew the life-long martyrdom, The weariness, the endless pain Of waiting for some one to come Who nevermore would come again.

The shadows of the chestnut-trees, The odor of the orange blooms, The song of birds, and, more than these, The silence of deserted rooms;

The respiration of the sea, The soft caresses of the air, All things in nature seemed to be But ministers of her despair;

Till the o’erburdened heart, so long Imprisoned in itself, found vent And voice in one impassioned song Of inconsolable lament.

Then as the sun, though hidden from sight, Transmutes to gold the leaden mist, Her life was interfused with light, From realms that, though unseen, exist,

Inarime! Inarime! Thy castle on the crags aboveIn dust shall crumble and decay, But not the memory of her love.

La Rassegnad’Ischia

Frontespizi di libri in formato cartaceo o ebook, in vendita presso i vari store (Youcanprint - Mondadori - Hoepli - Feltrinelli....)Calendario : pubblicazione fuori commercio