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La Rassegna d'Ischia 1/2005 25 2004 - anno del centenario della nascita (1904) di PABLO NERUDA Una targa in ricordo del soggiorno (1952) Con una serie di manifestazioni a cura dell’Asso- ciazione Amici di Sant’Angelo è stato celebrato a Sant’Angelo d’Ischia, nel mese di settembre 2004, il centenario della nascita di Pablo Neruda. Una settimana tutta dedicata al poeta cileno. In primo luogo si è avuto lo scoprimento di una targa a ricordo del suo soggiorno nel 1952, con la tra- scrizione di alcuni versi tratti da L’uomo invisibile. Ha fatto seguito una interessante mostra fotogra- fica: Neruda a Capri e ad Ischia, col patrocinio dell’Ambasciata del Cile in Italia. Ai partecipanti è stata distribuita la poesia L’uomo invisibile, fatta stampare dall’Associazione Amici di Sant’Angelo in Nel luglio del 1952 a cura del pittore Paolo Ricci veniva pubblicata in una prestigiosa stamperia napoletana, L’Arte Tipografica di Ange- lo Rossi, una raccolta poetica anonima, Los versos del Capitàn, in una esclusiva edizione di soli 44 esemplari numerati destinati a il- lustri sottoscrittori, uomini politici - Togliatti, Napolitano, Alicata, Chiaromonte, De Martino, Trombadori -, artisti e scrittori, tra cui Guttuso, Moravia, Elsa Morante, Bernari, Carlo Levi, Quasimodo, Pratolini, Luchino Visconti. La lista dei sottoscrittori si apre con i nomi di Matilde Urrutia, Pablo Neruda e Claretta Cerio. Le poesie sono precedute dalla lettera di una donna che, firmandosi con lo pseudonimo di Rosario, confessa: «Questi versi d’amore sono dedi- cati a me, e ciò mi rende orgogliosa... quest’amore è nato nell’agosto di un anno qualsiasi, e mi spiace di non poter rivelare il nome del- l’autore. I suoi versi sono come lui, teneri, appassionati, sono la storia del nostro amore grande in tutte le sue espressioni». Solo qualche anno dopo, Neftali Ricardo Reyes, il poeta cileno noto in tutto il mondo col nome d’arte di Pablo Neruda, decideva di svela- re luoghi e circostanze della vicenda lirica dei Versos del Capitàn, testimonianza della sua passione per Matilde Urrutia; la raccolta di poesie, composte in parte durante un lungo soggiorno a Capri, era Giorni sereni, felici.... di Teresa Cirillo Sirri una edizione numerata. Altri eventi: Neruda nel canto del Cile - letture e canti con Riccardo Pecoraro, Paolo Federico, Marinella Franzese; Recital di poesie di Neruda con l’attrice Patricia Rivadeneira; Viaggio nella musica classica napoletana con Piero Quirino ed il quartetto R. Calace dell’Orchestra Italiana. a Sant’Angelo d’Ischia

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2004 - anno del centenario della nascita (1904) di PABLO NERUDA

Giorni sereni, felici....di Teresa Cirillo Sirri

Nel luglio del 1952 a cura del pittore Paolo Ricci veniva pubblicatain una prestigiosa stamperia napoletana, L’Arte Tipografica di Ange-lo Rossi, una raccolta poetica anonima, Los versos del Capitàn, inuna esclusiva edizione di soli 44 esemplari numerati destinati a il-lustri sottoscrittori, uomini politici - Togliatti, Napolitano, Alicata,Chiaromonte, De Martino, Trombadori -, artisti e scrittori, tra cuiGuttuso, Moravia, Elsa Morante, Bernari, Carlo Levi, Quasimodo,Pratolini, Luchino Visconti. La lista dei sottoscrittori si apre con inomi di Matilde Urrutia, Pablo Neruda e Claretta Cerio. Le poesiesono precedute dalla lettera di una donna che, firmandosi con lopseudonimo di Rosario, confessa: «Questi versi d’amore sono dedi-cati a me, e ciò mi rende orgogliosa... quest’amore è nato nell’agostodi un anno qualsiasi, e mi spiace di non poter rivelare il nome del-l’autore. I suoi versi sono come lui, teneri, appassionati, sono lastoria del nostro amore grande in tutte le sue espressioni».

Solo qualche anno dopo, Neftali Ricardo Reyes, il poeta cileno notoin tutto il mondo col nome d’arte di Pablo Neruda, decideva di svela-re luoghi e circostanze della vicenda lirica dei Versos del Capitàn,testimonianza della sua passione per Matilde Urrutia; la raccolta dipoesie, composte in parte durante un lungo soggiorno a Capri, era

Una targa in ricordo del soggiorno (1952)

a Sant’Angelo d’Ischia

Con una serie di manifestazioni a cura dell’Asso-ciazione Amici di Sant’Angelo è stato celebrato aSant’Angelo d’Ischia, nel mese di settembre 2004,il centenario della nascita di Pablo Neruda.Una settimana tutta dedicata al poeta cileno. Inprimo luogo si è avuto lo scoprimento di una targaa ricordo del suo soggiorno nel 1952, con la tra-scrizione di alcuni versi tratti da L’uomo invisibile.Ha fatto seguito una interessante mostra fotogra-fica: Neruda a Capri e ad Ischia, col patrociniodell’Ambasciata del Cile in Italia. Ai partecipanti èstata distribuita la poesia L’uomo invisibile, fattastampare dall’Associazione Amici di Sant’Angelo in

una edizione numerata. Altri eventi: Neruda nel canto del Cile - letture e canti conRiccardo Pecoraro, Paolo Federico, Marinella Franzese; Recital di poesie di Nerudacon l’attrice Patricia Rivadeneira; Viaggio nella musica classica napoletana conPiero Quirino ed il quartetto R. Calace dell’Orchestra Italiana.

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Giugno 1952, Sant’Angelo d’Ischia - Neruda in spiaggia con il cane Nyon

Giugno 1952, Sant’Angelo d’Ischia - Matilde Urrutia sul molo

stata pubblicata anonima per non ferire la donna con la quale aquel tempo il poeta era ancora sposato.

Nei Versos, che Neruda ha definito il più misterioso, doloroso eappassionato dei suoi innumerevoli libri, la sensibilità del poeta tra-sforma in canto, in patrimonio comune, l’impeto irrefrenabile delmessaggio d’amore espresso con mirabili immagini e splendide me-tafore. Il patto d’amore si allarga verso un orizzonte più ampio conl’affermazione dell’impegno politico e civile del cantore: nella liricafinale il Capitàn così si congeda dall’amata:«Non posso/ dimenticare il mio popolo./ Vado a lottare in ogni stra-da,/ dietro ogni pietra./ Il tuo amore mi aiuterà: / è come un fiorechiuso/ che ogni volta m’inonda di profumo/ e che d’un tratto siapre/ dentro di me come una grande stella».

Era stata proprio l’attività politica che aveva costretto il poeta a

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L’uomo invisibile

Io rido,sorridodei vecchi poeti,io adoro tuttala poesia scritta,tutta la rugiada,luna, diamante, gocciad’argento sommersa,quel che fu il mio antico fratelloaggiunto alla rosa,masorrido,sempre dicono «io»,a ogni passoaccade loro qualcosa,è sempre «io»,per le stradesolo essi camminanoo la bella che amano,nessuno più,non passano pescatori,o librai,non passano falegnami,nessuno cadeda un’impalcatura,nessuno soffre,nessuno ama,solo il mio povero fratello,il poeta,a lui accadonotutte le cosee alla sua dolce amata,nessuno vivetranne lui solo,nessuno piange per la fameo per l’ira,nessuno soffre nei suoi versiperché non puòpagare l’affitto,nessuno in poesiaè buttato per stradacon i letti e le sediee nelle fabbrichenemmeno succede niente,non succede niente,si fanno ombrelli, bicchieri,armi, locomotive,si estraggono mineraliscavando l’inferno,c’è lo sciopero,vengono i soldati,sparano,sparano contro il popolo,ossiacontro la poesia,e mio fratelloil poetaera innamorato,o soffrivaperché i suoi sentimentisono marini,ama i porti

La poesia L’Uomo invisibile, datata Sant’Angelo 2al I libro delle Odi Elementari, adombra un autoritratto del poeta ed inaugura il semplice, trasparen-te linguaggio di un uomo «che canta con tutti gli uomini».La traduzione è di Teresa Cirillo Sirri, Università l’Orientale di Napoli.

remoti, per i loro nomi,e scrive sugli oceaniche non conosce,vicino alla vita, pienacome il mais di chicchi,lui passa senza saperlasgranare,lui sale e scendesenza toccare terrae a voltesi sente profondissimoe tenebroso,lui è tanto grandeche non entra in se stesso,s’impiglia e si libera,si dichiara maledetto,porta con gran difficoltà la crocedelle tenebre,pensa che è diversoda tutti,tutti i giorni mangia panema non ha mai vistoun panettierenon è mai entrato in un sindacatodi panettieri,e così il mio povero fratellodiventa oscurosi torce e si ritorce,e si trovainteressante,interessante,questa è la parola,io non sono superiorea mio fratelloma sorrido,perché vado per le stradee solo io non esisto,la vita scorrecome tutti i fiumi,io sono l’unicoinvisibile,non ci sono misteriose ombre,non ci sono tenebre,tutti mi parlano,mi vogliono raccontare cose,mi parlano dei parenti,delle loro miseriee delle loro allegrie,tutti passano e tuttimi dicono qualcosa,e quante cose fanno!tagliano legna,montano fili elettrici,impastano fino a tardi la notteil pane di ogni giorno,con una lancia di ferroperforano le visceredella terrae trasformano il ferroin serrature,salgono in cielo e portanolettere, singhiozzi, baci,a ogni portac’è qualcuno,

nasce qualcuno,o mi aspetta colei che amo,ed io passo e le cosemi chiedono di cantarle,ed io non ho tempo,devo pensare a tutto,devo tornare a casa,passare al Partito,che posso fare,tutto mi chiededi parlare,tutto mi chiededi cantare e cantare sempre,tutto è pienodi sogni e suoni,la vita è una cassapiena di canti, si apree vola e vieneuno stormodi passeriche vogliono raccontarmi qualcosariposando sulle mie spalle,la vita è una lottacome un fiume che avanzae gli uominivogliono dirmi,dirti,perché lottano,e se muoiono,perché muoiono,e io passo e non hotempo per tante vite,io voglioche tutti vivanonella mia vitae cantino nel mio canto,io non ho importanza,non ho tempoper le mie faccende,di notte e di giornodevo annotare quel che succede,non dimenticare nessuno.È vero che d’improvvisomi stancoe guardo le stelle,mi stendo sull’erba, passaun insetto color violino,metto il bracciosu un piccolo senoo sotto la vitadella bella che amo,e guardo il vellutodurodella notte che tremacon le sue costellazioni gelate,allorasento salire verso la mia animal’onda dei misteri,l’infanzia,il pianto negli angoli,

la triste adolescenza,e mi porta sonno,e dormocome un ciocco,mi addormentoall’improvviso,con le stelle e senza stelle,col mio amore o senza di lei,e quando mi alzoè finita la notte,la strada si è svegliata prima di me,al loro lavorovanno le ragazze povere,i pescatori tornanodall’oceano,i minatoricon le scarpe nuoveentrano nella miniera,tutto vive,tutti passano,hanno fretta,io ho appena il tempodi vestirmi,devo correre:nessuno puòpassare senza che io sappiadove va, che cosagli è successo.Non possosenza la vita vivere,senza l’uomo essere uomoe corro e vedo e odoe canto,le stelle non hannoniente da spartire con me,la solitudine non hafiore né frutto.Datemi per la mia vitatutte le vite,datemi tutto il doloredi tutto il mondo,io lo trasformeròin speranza.Datemi tutte le gioie,anche le più segrete,perché se cosi non fosse,come si possono conoscere?Io devo raccontarle,datemile lottedi ogni giornoperché sono il mio canto,e così andremo insieme,gomito a gomito,tutti gli uomini,il mio canto li unisce:il canto dell’uomo invisibileche canta con tutti gli uomini. Pablo Neruda

4 giugno 1952, posta dall’Autore come prologo

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Il 12 luglio 1904 a Parral, in Cile, nasce Ricardo Eliecer Neftalì Reyes Baso-alto che, giovanissimo, comincerà ad adottare il nome di Pablo Neruda.

Nel 1923 pubblica Crepuscolario e, l’anno seguente, la raccolta Veinte poe-mas de amor y una canciòn desesperada che si diffonderà in milioni di copie.

Nel 1927 diventa console in Estremo Oriente. Nel 1936 è testimone dellaguerra civile spagnola e della morte di amici come Garcìa Lorca e Miguel Her-nàndez. L’ideale repubblicano, che gli ispira España en el corazòn, lo costringea rifugiarsi a Parigi dopo la vittoria franchista.

Nel 1945, eletto senatore nelle liste del Partito comunista cileno, si adopera infavore degli operai. Quando il presidente Gonzalez Videla scatena la repressio-ne contro i sindacati, a Neruda viene tolta l’immunità parlamentare. Riesce afuggire in Europa, dopo aver attraversato le Ande a cavallo, e arriva a Parigi,accolto da Picasso e dai compagni francesi.

Comincia un periodo di esilio durante il quale pubblica il grande poema sulleAmeriche, il Canto General. Agli inizi degli anni Cinquanta il poeta giunge inItalia: è innamorato di Matilde Urrutia e, nonostante sia già sposato con Deliadel Carril, la passione finisce per prevalere. Nel gennaio del 1952 si rifugia conMatilde a Capri, ospite di Edwin Cerio. Durante la permanenza sull’isola, ilpoeta completa Los versos del Capitàn, stampati a Napoli, ed i versi dedicatiall’Italia e a Matilde raccolti in Las uvas y el viento. Dopo una sosta a Sant’An-gelo d’Ischia dove firma la poesia El hombre invisible, ritorna in Cile. Continuaa scrivere versi a sfondo autobiografico, tra cui Memorial de Isla Negra. Nel1970 contribuisce alla vittoria di Salvador Allende e viene nominato ambascia-tore in Francia. Nel 1971 gli viene assegnato il premio Nobel. Il golpe dell’11settembre del 1973 lo sorprende, malato ma ancora pieno di progetti, nella suacasa di Isla Negra. Morirà il 23 settembre, pochi giorni dopo la fine di Allende edella democrazia cilena.

Nelle sue memorie Matilde ricorda che “A Sant’Angelo il nostro mo-desto alberghetto era come incuneato in un monticello roccioso, sullariva del mare. Il giorno stesso in cui siamo arrivati abbiamo cominciato aconoscere la vita dei pescatori (…). A Sant’Angelo ci sono alcune spiag-gette e l’acqua è molto bassa. Lì ho scoperto che Pablo non sapeva nuo-tare, una scoperta che mi ha rallegrato, finalmente potevo insegnargli ioqualcosa! Il pomeriggio ci recavamo su una spiaggia che sembra unalaguna, vicino a delle sorgenti termali. È stato lì che ha imparato a nuota-re…” (Matilde Urrutia, La mia vita con Pablo Neruda, a c. di T. Cirillo,Firenze, Passigli, 20027.

Sant’Angelo - Scoprimento della lapide

prendere la via dell’esilio e a ri-fugiarsi per qualche tempo in Ita-lia. Agli inizi degli anni Cinquan-ta, Neruda era già molto noto perla sua produzione poetica. Erastato console in Estremo Orien-te e, più tardi, aveva svolto la suaattività di diplomatico in Spagna,all’epoca della guerra civile: aMadrid aveva fraternizzato conGarcia Lorca, Rafael Alberti e al-tri grandi poeti e intellettuali an-tifascisti. Nel 1949, mentre eraimpegnato nella composizionedella sua opera di più vasto re-spiro, il Canto General, era statoeletto senatore per il Partito co-munista cileno. La strenua atti-vità in difesa dei sindacati e deidiritti degli operai e dei minatoridel rame lo avevano portato a unaspro contrasto col presidentedella repubblica che, alla fine, loaveva privato dell’immunità par-lamentare e lo aveva costretto aduna avventurosa fuga attraver-so le Ande per sfuggire all’arre-sto. Arrivato in Italia tra il 1951e il ’52, Neruda era stato raggiun-to da un decreto di espulsioneche però veniva tramutato in unpermesso di soggiorno di sei mesidopo una clamorosa manifesta-zione di protesta organizzata daartisti e da compagni di partitoromani. Alla fine di gennaio del’52 Neruda e Matilde che lo ave-va raggiunto a Roma, potevano

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trasferirsi a Capri, ospiti di Ed-win Cerio in una villa, la Casa diArturo di via Tragara.

Dopo aver cantato gli immensiscenari americani, gli oceani, uncosmo fatto di minerali, piante eastri, dopo aver espresso un sen-so di angoscia esistenziale che sirisolve in immagini possenti e inintense notazioni liriche, i versiscritti da Neruda in Italia ripren-dono il tema della giustizia so-ciale e, soprattutto, innalzano uninno all’eros, alla vita. La vicen-da ancora segreta dell’amore perMatilde, un amore che durerà in-tatto fino alla morte, si ricompo-ne in un irruente, sfolgorante

insieme di liriche appassionate.La passione “brusca e ardente”si sviluppa irrefrenabile fra lerocce aspre di Capri e le onde delmare che circonda le isole delgolfo di Napoli. Capri è il luogomagico dove prende forma poe-tica la figura dell’amata circon-data da un alone di mitica luce:«vidi che esistevi/ e che da mecome dal mare la spuma/ tu seinata, piccola dea mia».

Nel mese di giugno, quando ilfascino della solitaria Capri in-vernale e primaverile è appanna-to dalle folle invadenti dei turi-sti, gli amanti trovano un tran-quillo rifugio nella piccola comu-

A. Mascolo - Bozzetto in terracotta di Medusa,moglie di Pablo Neruda

nità di Sant’Angelo d’Ischia. Sisistemano nella pensione San-t’Angelo, in riva al mare e, comescrive Matilde nelle sue memo-rie, La mia vita con Neruda, editein Italia dalla Passigli di Firenze,passano giorni sereni, felici, vi-vono un’esistenza semplice, fat-ta di piccoli eventi quotidiani:osservano i pescatori quando altramonto prendono il largo; al-l’alba vedono passare le donnecon le ceste per il pesce cheaspettano l’arrivo delle barche.Sulla spiaggia di Sant’Angelo Ma-tilde scopre che Pablo, l’epicocantore degli oceani, non sa nuo-tare e, felice di potergli insegna-re qualcosa, s’impegna a dargli

lezioni di nuoto nell’ac-qua bassa delle calette. Eil poeta, pigro e di corpo-ratura robusta, spessol’imbrogliava, faceva fin-ta di nuotare appoggian-do un piede sul fondo.Affabili e gentili, dopopoco tempo Pablo e Ma-tilde conoscevano giàtutti gli abitanti di San-t’Angelo. Pablo s’incon-trava spesso col pittoretedesco Werner Gilles:amante della buona tavo-la, cenava volentieri conl’amico pittore su unaterrazza che sporge ver-so il mare. La nipote del-la padrona di casa di Gil-les, Teresa Iacono, ricor-da che il poeta, simpati-co ed espansivo, si con-gratulò con lei il giornoin cui si diplomò maestrae le dedicò anche dei ver-si.

A Ischia Neruda conosce loscultore Anielloantonio Mascoloche comincia ad abbozzare increta la testa di Matilde. L’operanon era ancora finita quando gliamici cileni fanno sapere a Pa-blo che finalmente poteva ritor-nare in patria senza pericolo.Prima di imbarcarsi per l’Ameri-ca, il poeta scrive una lettera aMascolo pregandolo di finire ilbozzetto e raccomandandogli didare particolare risalto ai capellirossi, folti e ondulati di Matildeche gli amici italiani avevano so-prannominato Medusa proprioper la sua capigliatura ribelle. Lascultura però è andata distrut-ta, cadendo da uno scaffale nel-

lo studio dello scultore: rimanesolo una fotografia della testinaincompiuta in un catalogo di la-vori di Mascolo.

Nella pace che regnava fra lemodeste case dei pescatori diSant’Angelo, Neruda aveva con-tinuato a scrivere versi. Un signi-ficativo componimento, L’uomoinvisibile, una sorta di autoritrat-to poetico con la notazione auto-grafa: Sant’Angelo, 24 giugno1952, attesta che anche a Ischianon si attenua l’ispirazione chea Capri gli ha fatto completare iVersi del Capitano e un altro li-bro, L’uva e il vento, in cui molteliriche sono dedicate all’Italia eagli italiani, «il prodotto più finedella terra». Nell’Uomo invisibile,il poeta è un uomo semplice, tra-sparente, «l’uomo che canta contutti gli uomini», che offre a tuttila sua solidarietà: «Datemi per lamia vita/ tutte le vite,/ datemitutto il dolore / di tutto il mon-do,/ io lo trasformerò / in spe-ranza ». La poesia è posta comeprologo al primo libro delle OdiElementari che inaugurano unnuovo ciclo poetico nel continuoevolversi della lirica nerudiana.Nelle odi si cantano i semplicioggetti della vita quotidiana, inuna visione che tende a coinvol-gere e a valorizzare ogni elemen-to del creato. Nelle odi alla cipol-la, al pomodoro, al carciofo, allasedia rotta, alle patate fritte, allibro o al gatto, le cose comuniappaiono sublimate, proiettate inuno spazio simbolico, universa-le.

Teresa Cirillo Sirri

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Il catechista cattoliconelle opere catechetiche

di don G. Morgera

di Marianna Piro

Non meraviglia il fatto che un parroco curi la for-mazione spirituale delle persone a lui affidate, poi-ché l’insegnamento della dottrina religiosa è parteessenziale del suo ministero; ma desta ammirazio-ne lo zelo, l’attenzione particolare con cui il parrocoMorgera si dedicò a quest’attività, alla quale eviden-temente attribuiva un’importanza fondamentale,soprattutto dopo il terremoto, quando era necessa-ria una ricostruzione non solo materiale della citta-dina, ma anche morale e spirituale della gente.

La testimonianza di P. Ricolo contenuta a p. 223della Positivo super virtutibus lo descrive nell’atto diammaestrare “con benignità e pazienza” i fanciullinella chiesa del Buon Consiglio, mentre «parlava esi accendeva di luce negli occhi e nel volto. Queifanciulli lo ascoltavano attenti, pendevano estaticidalle sue labbra, rispondevano con sveltezza e pre-cisione alle sue domande; ed egli non si stancava disempre più istruire, di sempre più domandare. Ac-ceso nel volto, infiammato nel cuore, soavissimo neimodi mi sembrava un Serafino».

Questa figura appassionata ed affettuosa trovaperfetto riscontro nelle principali opere di catechesida lui scritte: 1) il Catechismo Metodico della Dottri-na Cristiana, destinato ai fanciulli, 2) la traduzionecommentata dell’Esemeron di S. Basilio, 3) l’Esposi-zione dialogica della Fede e della Morale Cattolicacoordinata con la Vita di N. S. Gesù Cristo, rimastaincompiuta. Tali opere rivelano sì la vasta culturadel Venerabile Morgera, ma innanzi tutto una carat-teristica dominante della sua fisionomia interiore,cioè l’ardore, il desiderio vivissimo di mettere a frut-to i suoi talenti a beneficio dei giovani e la preoccu-pazione di essere un buona guida per i catechisti.Le pagine del Catechismo Metodico e dell’Esposizio-ne dialogica sono ricche di note per i catechisti conindicazioni puntuali delle letture da fare, con sug-gerimenti degli esempi da proporre, degli insegna-menti morali da trarre da singole verità illustrate oda eventi narrati, sì che ne emerge il profilo di uncatechista che deve essere non solo ben preparatoculturalmente (a p. 222 della Positio si legge che ilparroco Morgera chiedeva di solito la collaborazionedi sacerdoti o chierici per la catechesi), ma anchetanto ardente di amore per Dio da accendere neglianimi dei piccoli e dei giovani una scintilla dello stes-so amore. Si legge in nota a p. 50 del CatechismoMetodico: «Il Catechista travasi nel cuore dei bambi-ni il caldo del proprio amore a Gesù Cristo, a MariaSS. ed ai Santi e così quelle primizie della Chiesa edella Società civile saranno inclinate ad onorarli, colculto interno e con l’esterno» e, più avanti, a p. 98:«Il Catechista tutto pieno di amore a Gesù Sacra-mentato svolga ai fanciulli la storia del pane che

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l’Angelo diè ad Elia». D’altronde qualcosa di analo-go avviene o dovrebbe avvenire anche nell’insegna-mento delle discipline cosiddette profane, in cui latrattazione degli argomenti non genera apprendimen-to vero se manca quell’amore del docente per la pro-pria disciplina, e per il sapere in generale, che è per-cepito dai discenti e che li attrae e li coinvolge, toc-cando la sfera affettiva e stimolandoli ad andare ol-tre le nozioni e le competenze con un desiderio vivodi continuare anche da soli determinati studi.

Nel Catechismo Metodico s’intuisce la cultura delMorgera dalla precisione, dalla chiarezza, dalla ca-pacità di sintesi, così come s’intuisce il costante sfor-zo, raccomandato anche ai catechisti, di graduarel’insegnameto in relazione all’età e di rendere com-prensibili le verità esponendole con linguaggio adattoalle varie età. A proposito della SS. Trinità egli scri-ve in nota a p. 34: «Il Catechista a tempo e a luogo e,solo dopo il letterale apprendimento delle risposte,spiegherà il Vestigio della SS. Trinità nella triplicedimensione di un corpo, come di un Messale, unmattone, ecc., nel trifoglio, nei tre stati della mate-ria...». Il libretto è un distillato delle verità della fede;esso ebbe quattro edizioni e fu molto usato, secon-do la testimonianza del sacerdote A. Buonocore a p.224 della Positio, in America dai missionari italiani.

Nelle altre due opere, scritte per la formazione deigiovani, l’autore dispiega ampiamente la sua dottri-na, spaziando dalla teologia, considerata ancora laregina delle scienze, alla filosofia, alla storia, all’ar-cheologia, alla letteratura, non solo italiana, allamatematica, alle scienze naturali, ed entrando concompetenza nel vivo del dibattito contemporaneosuscitato dalle teorie evoluzionistiche e dalle ideesocialiste. Anche nell’Esposizione dialogica le notesono significative per delineare il profilo del catechi-sta. Si legge a p. 21 dell’opera, sulle perfezioni diDio: «Ed ai più provetti (il catechista) faccia gustarela seguente pagina della quarta questione della Som-ma Teologica di s. Tomaso »; quel verbo “gustare”rivela l’animo che il catechista deve avere e la rea-zione che deve suscitare.

Quale insegnamento può venire a noi dal Morge-ra, in particolare a noi di Casamicciola, della suaparrocchia, a noi che in linea diretta dovremmo rac-cogliere la sua eredità spirituale? Innanzi tuttol’amore per la verità, in un tempo di “crisi intornoalla verità”, in cui “è persa l’idea di una verità uni-versale sul bene”, come leggiamo nell’introduzioneall’enciclica Veritatis splendor, crisi che negli annirecenti ha sollecitato l’intervento del papa GiovanniPaolo II per “richiamare alcune verità fondamentalidella dottrina cattolica che nell’attuale contesto ri-schiano di essere deformate o negate”. Dall’amoredella verità dovrebbe scaturire il desiderio di istrui-re le giovani generazioni con competenza, usando ledue “ali” ( lat.: “pinnae”) che nell’enciclica Fides etratio sono metafora della fede e della ragione, che,in perfetto equilibrio, consentirono al parroco Mor-gera di sollevarsi, con il cuore e con la mente, moltoin alto.

Personaggi isclani

Ugo Calisecompositore

autore

arrangiatore

cantante

chitarrista

di Stefano Russo

Ugo Calise

Compositore, autore, arrangiatore,cantante e chitarrista, Ugo Calisenacque il 6 maggio del 1921 ad Ora-tino, un paesino in provincia di Cam-pobasso in cui il padre Aniello, nati-vo di Lacco Ameno d’Ischia, eserci-tava, negli Anni Venti e Trenta, laprofessione del medico condotto.

Il dottore Aniello Calise aveva lavocazione per la poesia ed una gran-de sensibilità alla musica. Umani-sta - da studente metteva a disagiogli insegnanti con la sua vasta cul-tura e la memoria eccezionale - e per-sona generosa e sensibile (curavagratuitamente i malati indigenti e,per questo, arrivò a guadagnarsi, invita, una Medaglia d’Oro al ValoreProfessionale), ebbe un ruolo fonda-mentale nella formazione psicologi-ca del piccolo Ugo che, ad appenasei anni, era già rimasto orfano del-la mamma.

Ugo aveva anche un fratellino,Mario, che diverrà un professore. Lamadre, Luisa Augier, di Casamiccio-

Questa dettagliata biografia è sta-ta scritta da Stefano Russo ed è ri-portata sul sito internet

www.stefanorusso.comdove è possibile leggere anche ul-teriori notizie. Ringraziamo l’auto-re per averci consentito la pubbli-cazione di testo e foto per ricordareil cantante isclano. Stefano Russo conobbe Calise aIschia nel 1993, con il quale presea collaborare intensamente e ap-prese direttamente anche tutto ilsuo percorso artistico. Quando il 6settembre 1994 si svolse a Ischia ilconcerto commemorativo Omaggioad Ugo Calise, il Russo fu invitatoa suonare insieme con Peppino DiCapri, Fausto Cigliano, RomanoMussolini, Cicci Santucci, ed ese-guì brani noti ed inediti del suo ma-estro; nel novembre 1995 il quoti-diano Il Golfo assegnò a StefanoRusso il Premio Nazionale Ugo Ca-lise come migliore cantante-chitar-rista dell’anno.

la, era la figlia di un ricco governa-tore francese della Martinica sbar-cato ad Ischia agli inizi del Novecen-to con il suo veliero a tre alberi edinnamoratosi di una bellissima fan-ciulla mora isolana. I nonni di Ugo,dopo un periodo trascorso in Fran-cia, tornarono ad Ischia per pren-dervi dimora facendosi costruire, aCasamicciola, la splendida Villa Au-gier, luogo in cui il piccolo Ugo tra-scorrerà le vacanze nei primi annidella sua vita.

Ugo ricordava con nostalgia la bel-lezza di Ischia negli anni ’30, i suoicolori e sapori autentici, il profumoinebriante dei fiori (soprattutto quellidel viale della sua casa!), la bellezzaancora incontaminata delle spiaggee del suo mare. È all’amenità dellasua adorata Ischia che attribuiva ilmerito della sua inclinazione artisti-ca. Incominciò, quindi, sin da bam-bino, a nutrire una fervida passioneper la musica e per la poesia. Il suoprimo maestro fu il chitarrista clas-sico oratinese Giuseppe Garzia.

In Molise subirà l’influenza delletradizioni musicali etniche locali, inprimo luogo della serenata (cometestimonia la forma delle sue primecomposizioni) e della musica bandi-stica. Vivrà ad Oratino fino al com-pletamento del corso di studi licealiall’Istituto Mario Pagano di Campo-basso. All’inizio degli Anni Quaran-ta si trasferirà a Napoli per iscriver-si alla Facoltà di Chimica Farmaceu-tica.

Anni dopo, con il beneplacito pa-terno, abbandonerà gli studi univer-sitari a solo cinque esami dalla lau-rea - a cinque esami e mezzo, comevezzosamente soleva precisare - pro-prio per poter dedicarsi a tempo pie-no al canto, alla chitarra ed alla com-posizione.

Da giovane fu anche un valentecalciatore della squadra dell’Ischia.

Iniziò il suo apprendistato di can-tante-chitarrista accompagnando -in una posteggia di lusso, come luistesso amava definirla, - Don Edo-ardo, primo violino del Teatro SanCarlo di Napoli e “musicante” pernecessità economiche (aveva moltifigli da sostentare).

Andavano in giro per i più noti ri-storanti di Napoli, soprattutto quellifrequentati dagli americani, e costi-tuivano un duo di forte impatto sulpubblico: lui giovane, simpatico, esu-berante, sempre abbronzato e concamicie sgargianti, l’anziano mae-stro, invece, canuto, occhi glauchi,aria ieratica e abbigliato con un im-peccabile “smoking”.

Don Edoardo, eccellente strumen-tista, suonava i pezzi americani alla

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Ugo Calise e la sua chitarra. In basso con G. Kramer

Personaggi isclani - Il cantante Ugo Calise

maniera di Joe Venuti. Quando l’anziano maestro de-cideva di suonare un pezzo nuovo, incitava il ragazzoa seguirlo: “Re Maggiore, Ugo, va’ annanze che tiene ‘e‘rrecchie bone!” Suonavano un vasto repertorio cheandava dai classici della canzone napoletana fino agli“standard” jazzistici assai richiesti dal pubblico del-l’epoca costituito, spesso, proprio da militari america-ni in servizio a Napoli (siamo a metà degli anni ’40).

È proprio in questa stimolante fucina che si forgeràl’originale stile di Ugo Calise; è qui che in modo spon-taneo avverrà la contaminazione tra la canzone classi-ca napoletana ed il Jazz. Il duo non era l’unica forma-zione in cui Calise si esibiva. Nei locali frequentati dagli

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americani spesso suonava con complessi che, nonpotendo avvalersi del pianoforte (raramente disponi-bile), erano caratterizzati dalla presenza della fisar-monica dello straordinario Ciro Astarita, da un con-trabbassista e dal sassofonista Tony Gròttola (poi saxdi Renato Carosone).

Il repertorio di Ugo era costituito di brani jazzisticitradizionali e moderni, attinti ad una fonte autorevo-lissima: i numerosi V disc - i famosi “Dischi della Vit-toria” in dotazione alle forze armate statunitensi - cheuna sua compagna napoletana dell’epoca, impiegataalla N.A.T.O., costantemente gli procurava.

Inoltre, con il suo grande amico Romano Mussolini,giunto nel 1945 ad Ischia insieme alla mamma Ra-chele, alla sorella Annamaria e ad una cospicua rac-colta di dischi nella valigia, organizzava delle sedutedi ascolto e di approfondimento quotidiano del jazzanche di sei ore consecutive.

In quel periodo si esibivano con un complessino inun locale di Forio d’Ischia, La Conchiglia, realizzato atempo di record da un ex ufficiale del Nord Italia tra-sferitosi ad Ischia subito dopo la guerra.

L’incontro tra Ugo e Romano avvenne una sera pro-prio a La Conchiglia. Romano si stava esibendo conalcuni amici quando sentì, improvvisamente, dietro disé, il suono di una chitarra: era Ugo che senza farsivedere gli era scivolato alle spalle e lo stava accompa-gnando; Romano, piacevolmente sorpreso, esclamò:“Finalmente qualcuno che conosce il jazz!”.

Nella band che successivamente costituirono, Ro-mano Mussolini suonava la fisarmonica, Ugo Calise lachitarra, Ugo Corvino (uno studente napoletano checantava in un curioso americano) il pianoforte; allabatteria sedeva Vincenzo Calise.

La paga pro capite era di 200 lire. Ugo guadagnavadi più perché, oltre al compenso d’orchestrale, perce-piva un supplemento di 150 lire come diaria (proveni-va, si sa, da Casamicciola); inoltre, riusciva a rispar-miare sul vitto grazie alla sua ragazza, figlia di un sa-lumiere di Forio, che gli procurava gratuitamente, ognigiorno, delle succulenti colazioni. Spesso era ancheospite di Romano a Palazzo Covatta; Donna Rachele,cuoca sopraffina, adorava cucinare per lui perché eraun’eccellente forchetta ed onorava grandemente la suaarte!

Nel periodo 1947-48 si recò per la prima volta negliStati Uniti - in compagnia dell’amico caricaturista NinoFalanga, che parlava bene l’inglese - con l’intento so-prattutto di avvicinare il grande William “Count” Ba-sie.

Lo incontrò al mitico Birdland, il “santuario” del Jazz.“Fu il primo musicista che volli conoscere, giunto

negli Stati Uniti” ricordava Ugo, che nutriva per il gran-de arrangiatore e direttore del New Jersey un’ammira-zione sconfinata (di lui possedeva numerose registra-zioni video, la discografia completa e sapeva tutto su-gli elementi della sua grande orchestra).

Tra i due nacque una sincera amicizia, rinsaldatada successivi incontri in Italia, che durò per oltre untrentennio, fino alla morte del “Count” (Hollywood,1984).

Quando l’amico comune Alberto Alberti annunciavaa Basie l’arrivo di Ugo, il grande band-leader lo acco-

glieva a braccia aperte, con vivaci esternazioni di af-fetto. Frequentò anche i jazz-club di Chicago dove spes-so ingaggiava divertenti “jam-sessions” con i musicistilocali improvvisando, quando non conosceva i testi deiblues, in dialetto napoletano! Alla fine degli anni ’40diede il suo primo recital in un cinema-teatro di Roma.Nella capitale si esibirà anche nei più famosi localinotturni: La Rupe Tarpea, il Kit Kat, l’Open Gate, l’84ed Il Capriccio.

Tra il suo pubblico femminile si ritroveranno le piùgrandi attrici dell’epoca: Zsa Zsa Gabor, Ava Gardner,Ester Williams, Anita Ekberg, Martine Caroll. Anchenei locali alla moda di Milano, l’Astoria, Il Capriccio edIl Piccolo Bar, il successo riscosso fu grandissimo.

Negli anni ’50 tornerà alla sua adorata Ischia percostruirvi (nel 1953) e gestire (fino al 1960) con l’ami-co ed architetto Sandro Petti, il Rangio Fellone; essosarà, per quasi un decennio, il ritrovo notturno prefe-rito dal jet-set internazionale in vacanza sull’isola. Trai suoi più assidui e prestigiosi avventori si ricordanol’imprenditore e produttore cinematografico milaneseAngelo Rizzoli (con il suo folto corteggio di attori e div.i.p.), il principe D’Assia, Luchino Visconti, il grandecompositore inglese Sir William Walton, l’ambasciato-re italiano a Londra Manlio Brosio.

Fu proprio quest’ultimo ad intravedere nella figuradi Ugo Calise - «Ecco l’uomo che cercavo!», esclamòdopo averlo conosciuto - il tramite per avviare un’azio-ne di disgelo diplomatico tra l’Italia e l’Inghilterra dopoi tragici avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale.

Decise, pertanto, di organizzare, nell’Ambasciata Ita-liana a Londra, un alto ricevimento in onore della regi-na Elisabetta II D’Inghilterra ed i rappresentanti dispicco del mondo politico, culturale ed artistico deidue paesi, coronato da un recital di Ugo Calise.

Era il 1954 e, in concomitanza, si svolgeva il VII Fe-stival di Cannes dove la pellicola di Ettore Giannini,Carosello Napoletano (con Sofia Loren, Paolo Stoppa eVittorio Caprioli), sarebbe stata insignita del PremioInternazionale.

Nel novero dei prestigiosi trentatré invitati entraro-no Laurence Olivier, Vivien Leigh (la mitica protagoni-sta di Via col vento), Anthony Eden (l’allora Ministrodegli Esteri inglese), Vittorio De Sica, Peter Ustinof.

La festa culminò nel concerto di Ugo, che, mentresuonava, con la coda dell’occhio incrociava lo sguardocomplice di De Sica per rassicurarsi sul buon anda-mento dell’esibizione.

Al termine della “performance”, mentre Calise lascia-va la sala tra gli applausi degli ospiti, accadde un fattostraordinario: la dama di compagnia della regina glicorse dietro pregandolo di tornare in sala perché suamaestà aveva chiesto il bis; il nostro lo concesse a pat-to che ella prendesse in cambio un regalo che le avevaportato ma che il protocollo di corte le vietava di accet-tare: un album di fotografie di Ischia che facevano dabusta ai dischi dei più importanti cantanti napoletanidell’epoca...

Sposò una ballerina del corpo delle Blue Bells, Daph-ne Wallanstone, una graziosa inglesina dagli occhi az-zurri presentatagli - si racconta - dal solito Brosio, allaquale dedicò molte delle sue canzoni d’amore, primafra tutte la splendida Occhi di Mare (1970).

Il legame con l’Inghilterra gli diede l’opportunità difrequentare ed esibirsi in diversi locali londinesi, pri-mo fra tutti l’Embrace Club.

Al Rangio Fellone - così denominato per la sua collo-cazione arretrata rispetto alla linea del mare, simile aquella del granchio (‘o rangio) che si nasconde nellefessure degli scogli - Ugo darà vita ad alcune tra le suecanzoni più belle: L’Ammore mio È... frangese! (1955),Non Lasciarmi! (1955), Na Voce, na Chitarra e ‘o poco ‘eluna (1955), Chitarra mia Napulitana (1956), Nun èpeccato! (1959), Comm’ aggia fa’? (1964).

Farà esibire nel suo locale un giovane e promettentecantante caprese - un certo Giuseppe Faiella - che rag-giungerà il successo proprio incidendo, sul lato A delsuo 45 giri di esordio, Nun è peccato! (lato B: Malatiadi A. Romeo) e diventerà famoso con lo pseudonimo diPeppino di Capri.

Nel 1960 Angelo Rizzoli e Peppino Amato vollero Ugocome “vedette” a Il Pignattiello,il famoso ritrovo not-turno di Lacco Ameno d’Ischia.

Durante gli anni ’60 si esibirà in Francia, Germa-nia, Austria, Grecia, Spagna e Portogallo.

In Portogallo resterà incantato dal Fado ed in Lisbo-na, durante una serata memorabile, dedicherà al pub-blico di La Viela - il locale della sorella di Amalia Ro-driguez - ed al grande Alfredo Duarte in persona, Navoce, na Chitarra e ‘o poco ‘e luna, ormai grande suc-cesso internazionale.

Dopo il concerto, Alfredo Duarte andò a complimen-tarsi con lui annunciandogli il suo fermo proposito ditrattenerlo come graditissimo ospite: “Da questo mo-mento in poi, caro Ugo, sei nostro prigioniero!”.

Infatti, il soggiorno portoghese di Calise si prolungòpiù del previsto, ed il nostro “chansonnier” partecipòanche ad un importante programma televisivo locale,condotto proprio da Duarte.

Nel corso della sua permanenza in Portogallo, si esi-birà a Cascais per l’ex re in esilio Umberto II di Savoia.

Sempre negli anni ’60, grazie ad un importante im-presario americano che aveva avuto occasione di ascol-tarlo al Rangio Fellone, fu invitato negli Stati Uniti adincidere per la prestigiosa etichetta Angel - nella colla-na Songs for Latin Lovers - insieme ai più grandi arti-sti europei del momento (Aznavour, Montand, Piaf).

Lo stesso impresario gli organizzò una serie di con-certi negli States ed in Canada. Partecipò, inoltre, adiversi programmi televisivi locali come il celebre Per-ry Como Show in cui lo stesso Perry Como interpretòla splendida È Lei (To You nella versione inglese contesto di Ray Charles).

Ugo mi raccontò nei dettagli l’incontro con il grandePerry, avvenuto, precedentemente, nella sua casa diVia Filippo Nicolai in Roma, alla presenza dell’arran-giatore e direttore d’orchestra Nick Perito.

Il celebre crooner americano si trovava in Italia perscegliere i brani da inserire nel suo nuovo disco (PerryComo In Italy, 1964), selezionandoli tra le più belle erappresentative canzoni italiane di tutti i tempi. Avevagià pensato alle mitiche Maria Mari’ ed a ‘O Marena-riello, alla deliziosa Souvenir d’Italie di Lelio Luttazzi,al tema del film La Strada di Nino Rota, ad Anema eCore e ad Un Giorno dopo l’altro del geniale Luigi Ten-co; cercava, però, anche un pezzo inedito che si adat-tasse perfettamente al suo stile interpretativo.

Ugo gli fece ascoltare, “voce e chitarra”, alcuni branicui stava lavorando in quel periodo; appena ebbe into-nato il motivo di È Lei, Perry Como saltò letteralmentedalla poltrona esclamando: “Ecco la mia canzone!”.

In quegli anni Calise scrisse pezzi anche per altri

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Personaggi isclani - Il cantante Ugo Calise

Ischia - Nadia Grey ascolta Ugo Calise

Ischia - Ancora Ugo Calise

artisti americani - tra cuiLola Falana - ed i suoibrani di maggiore succes-so furono incisi da moltiinterpreti ed orchestredell’epoca come l’arran-giatore e direttore d’or-chestra Enoch Light, ilgruppo vocale The RayCharles Singers, la can-tante Tony Arden, DonMarino Barreto Junior, inostri Fausto Papetti,Nino Manfredi, MarinoMarini, Nicola Arigliano,Bruno Martino, PeppinoGagliardi, Paola Neri, Ro-berto Murolo, Fausto Ci-gliano e Teddy Reno.

A Mosca parteciperà adalcuni spettacoli con Ar-mando Romeo e TitoSchipa e pare essere sta-to il primo artista italia-no ad apparire alla tele-visione russa in una“performance” napoleta-na

Si esibì, in privato an-che per Federica di Gre-cia, per la Regina d’Olan-da e per la First Lady Jac-queline Kennedy; ciò gliprocurò la fama di “can-tante che piace alle regi-ne”. Nell’ambiente jazzi-stico internazionale co-minciò ad essere notocome “Calais”, pronunciastorpiata, all’americana,del suo cognome italiano.

Amici di “Calais” furono: il piani-sta Teddy Wilson che nel 1974 inci-derà un pregevole disco di solo pia-no - giudicato miglior disco dell’an-no dalla rivista tedesca Jazz Freund- con pezzi di Gershwin, Ellington eCalise (Horo - n. 12 di “Jazz a Con-fronto”), il batterista Kenny Clarkeche registrò - con Cicci Santucci allatromba - il brano I’m Louis Arm-strong, il trombettista Dizzy Gillespiee, soprattutto, Chet Baker - presen-tatogli dall’amico comune Pepito Pi-gnatelli (batterista e proprietario delMusic In di Roma) - che, dopo averascoltato il 33 giri Ugo Plays Calise(Fly’s Record 1979), manifestò il de-siderio di incidere anch’egli un di-sco di canzoni di Calise, magari can-tandone qualcuna in dialetto napo-letano!

Purtroppo Chet morì tragicamen-

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te alcuni mesi dopo, nel 1988, sen-za riuscire a realizzare il progetto...

L’attività del Calise compositorevide un incremento tra la fine deglianni ’60 ed i primi anni ’70, quasi acompensare il suo diminuito impe-gno come interprete dopo l’avventodella musica “beat”.

Ugo detestava i Beatles non perdisprezzo della loro produzione mu-sicale, ma perché li considerava ilsimbolo planetario del mutamentodei costumi - la musica Rock con ilsuono dell’amata chitarra orribil-mente “distorto”, i capelli lunghi, gliatteggiamenti androgini, il cantarein falsetto, il portare i jeans (una pes-sima scelta che contestava pure ame!) e, quindi, indirettamente, i re-sponsabili del suo declino artistico.

Scrisse le musiche per due serie

televisive (Sette Maridel 1969 di Bruno Vai-lati e La Nuova Enci-clopedia del Mare del1970), per un film (ledue canzoni di Pane eCioccolata di FrancoBrusati con NinoManfredi) e collaboròcon Michele Galdierialla realizzazione dialcuni spettacoli ra-diofonici.

Di grandissimo valo-re artistico sono le sueMusiche di Terra E DiMare, pezzi di variogenere ed ambienta-zione composti per laR.A.I. e raccolti in trelong playings editi dal-la C.A.M. negli anni1973-1974; in esseCalise mostra unastraordinaria capacitàdi associare i suonialle immagini. Tra ivari brani, sotto titolibizzarri, figurano an-che dei “blues” (Prefe-risce l’aragosta?,Squalo’s Blues, T iConviene dartela agambe), degli “swing”(Spostati in là!, BuonGiorno Mr. Benny!, Ir-rangiungibile) e degli“slow” (Vita grama diun granchio, Tantecose come noi) di pre-gevole fattura. Ugo mi

confessava l’entusiasmo con cui gliorchestrali della C.A.M. accoglieva-no la notizia di dover incidere per lui,perché sapevano che, quasi sempre,si trattava di suonare dell’ottimojazz...

Cultore dei grandi “song writers”statunitensi (Porter, Kern, Berlin,Gershwin), Calise aveva maturato lacapacità di mescolare con disinvol-tura la tradizione melodica parteno-pea, rivisitata in chiave intimistica(da perfetto “crooner”), con gli stile-mi ritmici, armonici ed improvvisa-tivi della musica jazz.

Il suo massimo contributo allamusica nord-americana si concretiz-zerà nel già citato 33 giri Ugo PlaysCalise (Fly’s Record, 1979) tutto ba-sato su sue composizioni, da lui can-tato e suonato con il sostegno di unajazz-band diretta da Cicci Santucci

(autore anche degli arrangiamenti).Nel 1981, incise, in proprio, su 45

giri, Ischia, Ammore Mio! (lato B: Stocercanno nu mutivo), un omaggio allasua adorata isola che non raccolse,da parte degli amministratori e poli-tici locali, l’accoglienza sperata.

Nel 1982, lo ricordo bene perchéanch’io ero tra il pubblico dei giova-ni, Calise fu tra i promotori ed il pre-sentatore del Festival Ischia Jazz1982 che portò sull’isola artisti delcalibro di Barney Kessel, Herb Ellis,Charlie Byrd, Dave Brubeck, ArtBlakey, Johnny Griffin, GeorgeAdams, Don Pullen, Cedar Walton,oltre che i nostri Romano Mussoli-ni, Cicci Santucci ed un giovanissi-mo Eddy Palermo.

Negli anni ’80 ha realizzato, con lacollaborazione del fedele Santucci edella solita pregevole band di amicijazzisti, un’antologia della canzonenapoletana in 10 l.p., CanzoniereNapoletano (1983 Lupus) oggi intro-vabile; essa includeva, tra “pot pour-ri” vari e brani singoli, oltre 160 can-zoni, dal remoto Canto Delle Lavan-daie Del Vomero del 1200 fino adalcune delle sue ultime composizio-ni come Nisciuno po sape’ e Napulemò.

Del 1993 sono il suo ultimo lavorodiscografico - il c.d. La Mia Napoli(ed. Erreffe) contenente, oltre ad al-cuni dei suoi “classici”, anche tre suenuove composizioni tra cui Serad’Ammore - e l’incontro con il sotto-scritto, avvenuto, in Settembre, nel-la graziosa Pensione Panoramica diIschia Ponte, auspice il professoreCiro Marzio (un nipote di Ugo Cali-se, mio caro amico e, all’epoca, miocoinquilino nel quartiere Sanità diNapoli.

Il maestro Calise sedeva a capota-vola con alcuni parenti ed aveva ap-pena finito di desinare. Indossavaabiti firmati ed ostentava una clas-se d’altri tempi, sembrava un perso-naggio di F.S.Fitzgerald...

All’inizio non mi fece un’impressio-ne particolarmente positiva, ancheperché, tra il serio ed il faceto, par-lava di sé in terza persona e conun’immodestia, a tratti, eccessiva;ma dovetti ricredermi quando sfode-rò la sua chitarra: cantava in napo-letano con uno strano timbro da“bluesman”, accompagnandosi, incontrappunto alla voce, con accordie movimenti melodici ben ricercati,di squisita impronta jazzistica.

Scoprivo uno straordinario inter-prete della canzone napoletana pra-ticamente sconosciuto ai musicisti

della mia generazione ed al pubbli-co dei giovanissimi che, fin dagli anni’50, aveva iniziato un processo diammodernamento ed arricchimentodel linguaggio armonico ed interpre-tativo della nostra canzone, rompen-do con la monotonia dell’accompa-gnamento chitarristico “classico” -basato sull’alternanza dei gradi fon-damentali in posizione “standard” -ed introducendo un gioco armonicoe contrappuntistico più vario ed in-cisivo.

Grandissima fu, poi, la mia sor-presa quando scoprii che Ugo nonera solo un originale interprete maanche, e soprattutto, un genialecompositore e autore di testi, artefi-ce di decine e decine di pezzi d’ognigenere: canzoni in italiano, napole-tano e romanesco, blues, swing,slow, bossa nova, samba, calipso,valzer, composizioni per chitarra efinanche di un piccolo concerto perchitarra e orchestra in tre movimen-ti, Un Napoletano a Siviglia, la cuiorchestrazione - affidata prima aSantucci e poi a me - non fu, però,mai completata.

Il nostro rapporto di collaborazio-ne sfociò presto in una profondaamicizia ed il baricentro dei miei in-teressi musicali, già spostato suglianni ’60, slittò ulteriormente indie-tro...

Spesso ero ospite in casa sua aRoma dove mi commissionava la tra-scrizione o l’arrangiamento per chi-tarra di qualche sua composizione edove si trascorreva il tempo liberoleggendo, discutendo di musica o dibelle donne ed ascoltando i preziosidischi della sua collezione.

Amava anche i grandi compositoribrasiliani, soprattutto Ary Barroso,Antonio Carlos Jobim e DorivalCaymmi; di quest’ultimo adorava ALenda Do Abaeté - una vecchia can-zone baiana che gli ricordava la suatenera amicizia giovanile con la sfor-tunata attrice Maria Montez - e che,spesso, mi chiedeva di suonargli.

Al pranzo provvedeva, con delizio-si manicaretti, una bravissima cuo-ca romana; la sera quasi sempre cirecavamo in qualche ristorante amangiar pesce o in un jazz-club (so-prattutto l’Alexander Platz) ad ascol-tare “dal vivo” qualche nostro colle-ga.

Nelle più calde mattinate prima-verili del ’94, spesso raggiungevamola spiaggia di Fregene, soprattutto illido Gilda, dove, al cospetto di unafumante pirofila di “paccheri” conpomodoro e basilico mi raccontava

di mitiche sfide a Beach-wolley - sidice che l’abbia importata lui stessosu quei lidi - con celebri personaggidel mondo dello spettacolo e di stra-ordinarie avventure galanti...

Ugo era sovente assalito dai ricor-di e dalla tristezza: tranne qualchevecchio amico ed i parenti, parevache quasi tutti lo avessero dimenti-cato.

Non scorderò mai l’ultima settima-na di luglio del ’94 trascorsa in suacompagnia ad Ischia (ormai lo segui-vo dappertutto, con l’affetto di un fi-glio e la devozione di un discepolo)con le sue ultime toccanti esibizioniper pochi intimi e le serate al DaiTu! - un suggestivo ristorante sul li-torale di Ischia Porto - discorrendocon il proprietario Aniello Di Scala(mitica controfigura di Burt Lanca-ster nel film Il Corsaro dell’Isola Ver-de e suo vecchio compagno di scor-ribande giovanili ritrovato dopo ol-tre trent’anni), la sua ostinazione nelnon voler più rivedere il Rangio Fel-lone ormai ridotto ad un vecchio ru-dere abbandonato...

La nostra frequentazione duròininterrotta per circa sette mesi, finoa pochi istanti prima della sua mor-te, avvenuta il 6 Agosto del 1994.

Quel tragico sabato ci trovavamoa Roma, una settimana dopo il no-stro ritorno da Ischia; Ugo si era re-cato di primo mattino in clinica peruna visita di controllo (il suo cuore,già provato da un precedente infar-to, era, da anni ormai, molto debo-le). La sera precedente aveva ricevutouna telefonata dei parenti in vacan-za ad Oratino che gli confermavanola loro disponibilità ad ospitarlo perqualche giorno; era, tuttavia, anco-ra indeciso sul da farsi.

Il test di controllo aveva dato esitonegativo, ma era una giornata digrande caldo ed umidità (ricordo chealle 12 in casa, all’ombra, il termo-metro segnava 34°) ed io, sebbenedesiderassi tornarmene ad Ischia perun bagno, gli sconsigliai vivamentedi metterci in movimento; Ugo, cheforse sentiva prossima la sua fine,scherzando come sempre sulla mor-te, mi rispose che se non fosse par-tito subito se ne sarebbe “salito” lì(in cielo), da Roma, mentre avrebbepreferito che ciò avvenisse da Ischiao da Oratino.

Pertanto, dopo aver verificato te-lefonicamente l’impossibilità di es-sere riaccettato in pensione ad Ischiaper assoluta mancanza di posto, de-cise che si sarebbe trasferito ad Ora-

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Personaggi isclani - Il cantante Ugo Calise

Ugo Calise e la sua chitarra

Ugo Calse a La Conchiglia di Forio con Romano Mussolini (alla chitarra)

tino. Era già quasi mezzogiorno ed iltreno per Campobasso sarebbe par-tito, se non ricordo male, intorno alle13 dalla stazione di Roma Termini;bisognava preparare in fretta il ba-gaglio, prendere un taxi, comprareil biglietto in stazione: una follia, in-somma - con quel caldo infernale edil poco tempo a disposizione - ma Ugonon voleva sentire ragioni, dovevapartire a tutti i costi...

Ignoravo quanto potesse esseredifficile aiutare il maestro Ugo Cali-se a preparare le sue valigie! Per po-chi giorni fuori, anche se ospite incasa di parenti, il suo concetto dibagaglio necessario era, a dir poco,stravagante: una dozzina di paia discarpe per tutte le occasioni, altret-tante di pantaloni, una ventina dicamicie, 5 o 6 giacche, una ventinadi cravatte; per non parlare, poi, de-gli accessori da toilette: due o trebombolette diverse di schiuma dabarba, rasoi, saponi e deodoranti di

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varie marche ed anche una bottiglia- non una boccetta, proprio una bot-tiglia - di dopobarba nel formato“classico” da barbiere: quello con la“pompetta nebulizzatrice” (accesso-rio fondamentale che in quel mo-mento risultava introvabile!).

Ciò che di superfluo riuscivo a sfi-largli da una valigia, Ugo di nasco-sto lo infilava in un’altra... Alla fine,stremato, gli concessi di portarsi die-tro almeno la bottiglia del dopobar-ba che trovò posto, alta com’era, nelbeatycase semi-aperto, dritta e chiu-sa con un tappo di fortuna (la stes-sa bottiglia che, tristemente, avreiritrovato il giorno dopo, rovesciata epriva del suo contenuto, accanto alresto del suo bagaglio nell’obitorio diFrosinone!).

Prese, come sempre, anche il suoinseparabile registratore da tavoloma con un’unica cassetta: quellacontenente le bozze dei miei primiarrangiamenti dei suoi pezzi per ildisco che presto avremmo realizza-to insieme...

Il taxi ci condusse rapidamente instazione dove, dopo aver comprato ibiglietti, carichi di valigie e di borse,riuscimmo a raggiungere, trafelatima in tempo, il fatidico binario 17.

Per un disguido che in quel fran-gente non feci in tempo ad appura-re, su quel binario, purtroppo, nonera in partenza il treno per Campo-basso. Saliti sulla più vicina carroz-za di prima classe, feci accomodareUgo - che dava segni evidenti distress - sistemandogli alla meglio ilbagaglio; mi sembrò strano, però, il

trovarla completamente vuota (miavrebbe rassicurato la presenza dialmeno un altro viaggiatore che po-tesse essergli di aiuto in caso di ne-cessità).

Dopo aver salutato il maestro, cor-si via perché pure il mio treno, quel-lo per Napoli, sarebbe partito di lì aqualche minuto e rischiavo, a miavolta, di mancarlo.

Ugo non sarebbe mai giunto a de-stinazione. Una telefonata del nipo-te Mauro verso le cinque del pome-riggio mi chiedeva spiegazioni delperché lo zio non fosse sul treno ar-rivato puntualmente a Campobasso;conoscendo le bizzarrie di “Calais”,pensai o ad un suo ripensamentodurante il viaggio o ad uno scherzo.

Purtroppo le ricerche della poliziaferroviaria lo identificarono nell’an-ziano signore rinvenuto morto, nelpomeriggio, sul treno per Frosinone.

Non vi dico il dolore provato allatriste notizia ed il cruccio al pensie-ro che, se avessi insistito di più anon farlo partire quella torrida mat-tina di agosto, forse non avrebbepatito l’attacco fatale o che, se fossistato accanto a lui sul treno, forseavrei potuto salvarlo invocando soc-corso.

La salute cagionevole, il caldo tor-rido ed una sorte bizzarra avevanodeciso che Ugo Calise, musicista ec-celso, brillante personalità, maestrodi vita e mio grande amico, morisseda solo, sul treno sbagliato, lontanosia dalla sua Oratino che dall’amataIschia...

Stefano Russo

di Giuseppe Sollino

Nel parlare delle pinete d’Ischiail problema ecologico rappresenta,senza dubbio alcuno, un punto dipartenza cruciale che va affrontatotentando di spiegare in manierasemplice e comprensibile i risvoltibiologici, sociali ed economici.

La tutela e la conservazione delverde vanno individuate ormaicome uno degli sforzi maggiori del-la programmazione pubblica. Sonoinfatti da considerare alla stessastregua sia la progettazione di ser-vizi essenziali, quali fognature, stra-de, elettricità, ecc., sia la conser-vazione ed il recupero attivo dellezone verdi della città.

Infatti è proprio attraverso lepiante che può considerarsi chiu-so il ciclo degli elementi, della ma-teria e, in una parola, della vita inogni suo aspetto.

L’energia solare, che arriva sullaterra attraverso circa 150 milionidi km., è in grado di innescare ilprocesso di fotosintesi clorofilliananelle piante verdi, riuscendo a con-vertire sostanze inorganiche altri-menti inutilizzabili in materiale or-ganico vitale (zuccheri - carboidra-ti) prontamente assimilabile daglistessi produttori (autotrofia) e da-gli altri esseri viventi, uomo com-preso (eterotrofìa), dopo la loro con-versione biologica.

Ciò significa che il verde è l’anel-lo di congiunzione delle attività vi-venti e che senza di esso lo svilup-po e l’evoluzione o meglio la pre-senza di un qualsiasi abitatore sullaterra non sarebbero possibili.

Se il cerchio si chiude vuol direche ci sono sostanze di rifiuto degliorganismi eterotrofi che, invece,vengono riciclate e reintrodotte nel-l’ambiente degli esseri vegetali fo-tosintetici.

Tra le diverse sostanze di rifiutopiù studiate e conosciute come “in-

quinanti” è da ricordare l’anidridecarbonica, che arriva nell’atmosfe-ra come prodotto di combustionedei derivati del petrolio (benzina,nafta, cherosene) e del carbone, ol-tre ad essere immessa nell’ambien-te mediante il processo respirato-rio da tutti i viventi, uomo compre-so.

Tutto questo carbonio accumu-latosi nell’atmosfera potrebbe cau-sare enormi e disastrose conse-guenze di cui l’effetto serra (ecces-sivo e progressivo riscaldamentodella terra dovuto al fatto che l’ani-dride carbonica accumulandosi sicomporta come le lastre di vetro diuna serra che trattiene il calore) co-stituirebbe il catastrofico risultatofinale.

Ma per fortuna ci sono le piante,

da quelle più maestose a quelle piùumili come le erbe dei prati, a ren-dere possibile l’utilizzazione del-l’anidride carbonica e la sua sus-seguente organicazione e a libera-re l’ossigeno dall’acqua, fornendocosì contemporaneamente alle co-munità biologiche il comburenteessenziale per l’innesco dei proces-si vitali.

La depurazione dell’ambiente èancora più necessaria se si tieneconto che ogni uomo attraverso larespirazione è capace di viziare cir-ca 1000 mc. di aria nelle 24 ore,mentre un ettaro di foresta è in gra-do di fissare oltre 5000 kg di car-bonio ripulendo così la troposfera,cioè lo strato più basso dell’atmo-sfera e quindi a contatto con le at-tività umane.

Le Pinete d’Ischia

aspetti

ecologici

La Rassegna d'Ischia 1/2005 37

Le Pinete d’Ischia - aspetti ecologici

Altra funzione effettuata dallepiante è quella termoregolatrice,più evidente soprattutto nel perio-do estivo, quando l’umidità relati-va in eccesso può essere assorbitadalla vegetazione, rendendo in talmodo più tollerabile l’alta tempera-tura; naturalmente la coperturavegetale (rami e fogliame) limita l’ec-cessivo riscaldamento del terreno,riducendo così l’evaporazione delsuolo.

E, ancora, sulle foglie non è in-frequente, anche ad occhio nudo,riscontrare la presenza di un velodi polvere; questo fenomeno rappre-senta una valvola di sicurezza am-bientale, evitando un eccessivo ad-densamento delle polveri e dei bat-teri soprattutto nella troposfera.

A tal proposito, val la pena ac-cennare che negli USA il primo fe-nomeno di inquinamento urbano(1940) fu costituito dalle polveri ac-cumulatesi in un’aria divenutapressoché irrespirabile nella città diLos Angeles,

L’assorbimento e il frazionamen-to dei rumori, la stabilità idrogeo-logica sono gli altri e non ultimiaspetti vantaggiosi, non sempre perla verità giustamente considerati,che le piante forniscono all’uomo,ricevendone spesso in cambio di-sinteresse se non vandalismo.

La pineta costituisce quindi un“unicum” interessato da ininterrottiscambi fra tutti gli organismi viventi(piante - uomo - animali) e la partesuperficiale della litosfera, perme-ati da rapporti vitali e flussi di ener-gia di cui le condizioni climaticheparticolari (microclima) sono i di-scriminanti.

Così la temperatura è regolatanella fascia più bassa della pinetadalla minore insolazione che, ab-bassando l’intensità di evaporazio-ne dal suolo e dal fogliame, deter-mina anche un’umidità più soste-nuta. In tal modo si costituisceun’associazione animali-suolo-piante diversificata (macchia) ri-spetto alle parti più alte della stra-tificazione verticale (pini-querce).

Tutti i viventi partecipanti di unecosistema sono poi legati da unospecifico rapporto trofico, la cuicomplessità determina e assicurala stabilità e l’equilibrio.

Un qualsiasi elemento perturba-

38 La Rassegna d'Ischia 1/2005

tore che interferisce con il perfettoma delicato equilibrio (generalmen-te raggiunto dopo migliaia di anni)può determinare alterazioni checonducono alle degradazioni deirapporti e delle connessioni nel bio-ma e conscguentemente alla sua di-struzione.

Questo collasso interesserà natu-ralmente anche il suolo, quale su-bstrato indispensabile all’attivazio-ne delle relazioni biologiche.

E’ interessante notare come la co-pertura vegetale del terreno sia difondamentale importanza per la co-stituzione di un sistema adeguatoe stabile; infatti, se da un lato neimpedisce l’erosione superficiale(con conseguente dilavamento del-le sostanze chimiche necessarie al-l’evoluzione suolo-piante), dall’altrola protezione verde assicura un ap-porto idrico costante e non alteran-te (basti pensare per esempio al-l’azione della pioggia battente su diun suolo nudo).

Si potrebbe affermare che l’in-fluenza della vegetazione sulle pre-cipitazioni meteorologiche si basisull’intercettazione delle piogge, re-golando altresì il bilancio idrico at-traverso la traspirazione.

Un terreno ricoperto da varie fa-sce di vegetazione (è il caso dellepinete ischitane) può trattenere dai9000 ai 15000 mc. di acqua, resti-tuendone all’atmosfera circa 6000attraverso l’evaporazione, che è infunzione diretta delle coperture ve-getali, in quanto diminuisce con lariduzione della densità degli albe-ri, mentre aumenta con l’avanzaredell’età fino ai 50-70 anni, per poiridiscendere di nuovo molto lenta-mente.

Ricerche effettuate sulla ritenzio-ne della nebbia hanno dimostratocome le zone ricoperte dalle forestesiano in grado di trattenere fino al50% in più rispetto ad un terrenoscoperto.

Il manto verde preserva il suoloanche contro l’azione delle acqueruscellanti che trovano negli intri-cati, densi e continui apparati ra-dicali una seria armatura difensi-va.

La vegetazione, d’altra parte, con-tribuisce anche all’evoluzione del-l’orizzonte superficiale del terreno,assicurando un continuo apporto

di materiale organico sotto formasoprattutto di foglie, pezzetti di ramiecc, che vengono trasformati adopera di batteri e di altri microrga-nismi (funghi e crittogame), fino allaloro scomposizione ed omogeneiz-zazione (humificazione).

C’è da aggiungere che a questoapporto di sostanze organiche con-tribuiscono anche le meteore acque(soprattutto piogge) che dilavano itronchi e le foglie, ne sottraggonocontemporaneamente aminoacidi,zuccheri, sali minerali ed ormoni.

La quantità di sostanza organicacosi fornita al suolo varia, sia per iltipo di fitocenosi (nelle foreste di la-tifoglie decidue più che in quelle diconifere), sia per il complesso deifattori meteorologici, varia per lezone temperate da 0,5 fino a 2 ton-nellate di carbonio, toccando pun-te molto elevate (fino a 8 tonnella-te) nelle foreste equatoriali.

La porosità del terreno e quindigli spazi utili alla circolazione del-l’aria tellurica sono anche essi as-sicurati da una protezione vegeta-le, che, in definitiva, con la parteaerea (chioma) frena e attutisce laviolenza della pioggia battente, netrattiene una parte e ne distribui-sce lentamente il rimanente.

A questo movimento globale del-l’acqua (ritenzione, assorbimento,evaporazione) partecipa in misuraapprezzabile anche lo strato musci-nale (erbe striscianti, felci, muschie licheni).

Per ciò che concerne la tempera-tura del suolo, si è visto che i terre-ni forestali sono caratterizzati dauna sorta di termoregolazione(omeostasi termica) con valori medi,fino a 2 metri di profondità, supe-riori in inverno ed inferiori nel pe-riodo estivo, rispetto alle zone de-nudate.

Un altro determinante aspetto vi-tale è legato alla presenza di un ade-guato manto forestale: ci riferiamoal rapporto ossigeno-anidride car-bonica nell’atmosfera.

Attraverso il processo di fotosin-tesi, le piante liberano nell’atmosfe-ra una grande quantità di ossigenoassumendo contemporaneamenteingenti percentuali di anidride car-bonica, purificando così l’aria,

D’altra parte la respirazione e iprocessi di trasformazione biologi-

Prod

utto

ri

Con

sum

ator

i

1 - Produttori fotosintetici (erbe, arbusti, alberi)2 - Erbivori (insetti, chiocciole, conigli)3 - Carnivori di primo ordine (lucertole, serpenti, topi, passeracei)4 - Carnivori di secondo ordine (civette, gufi)

La catena alimentare nell’ambiente pineta

ca consumano ossigeno ed elimi-nano carbonio ossidato.

Il continuo evolversi degli appa-rati industriali con le relative tec-nologie poggianti sempre più su unaumento progressivo di energia ri-chiede in maniera più accentuataquantitativi di ossigeno, al cui con-fronto la respirazione e gli altri con-nessi consumi biologici assomma-no a poca cosa.

Basti pensare che nel nostro pa-ese il processo respiratorio richie-de circa 15 milioni di tonnellate diossigeno, mentre contemporanea-mente ne occorrono più di 600 mi-lioni per il funzionamento dei pro-cessi industriali.

Negli ultimi decenni il rapportoossigeno-anidride carbonica è sem-pre più orientato verso il denomi-natore, con conseguente accumu-lo di anidride carbonica, rispettoalla contemporanea diminuzione diossigeno (l’anidride carbonica au-menta di circa lo 0,25% in un annocon effetti non ancora del tutto pre-vedibili).

Da ciò risulta evidente come laprotezione, la conservazione attivae il ripristino delle condizioni am-bientali più salubri, più che ogget-

Corso di Formazioall’impegno sociale e

Diocesi di Ischia - Commis

to di demagogia e di esercitazioneverbale, siano una impellente e nonpiù procrastinabile necessità, cheinveste categoricamente la coscien-

nepolitico

sione Problemi Sociali e Lav

za e la responsabilità di tutti quan-ti noi.

Giuseppe Sollino

oro

Il corso prevede incontri mensili che, avviati giànel mese di novembre, si svilupperanno con leseguenti sessioni:

Venerdì 17 dicembre 2004Sala Conferenza del Seminario - Ischia PonteEd ecco la stella... li precedeva (Mt. 2,9) -Relatore Ernesto Oliviero (fondatore del SERMIG,Torino).

Venerdì 21 gennaio 2005Sala Conferenza del Seminario - Ischia PonteLa politica come servizio alla speranza - Gior-gio La Pira testimone di speranza - RelatoreMons. Lorenzo Chiarinelli (vescovo di Viterbo).

Venerdì 18 febbraio 2005Sala Conferenza del Seminario - Ischia PonteContenuti e potenzialità del Bilancio sociale -Relatore prof. Giampietro Parolin (docente in Bi-lancio sociale all’Università di Milano).

Venerdì 11 marzo 2005Sala Conferenza del Seminario - Ischia PonteGli offrirono in dono oro, incenso e mirra (Mt.2,11) - Relatore don Oreste Benzi (fondatore del-l’Associazione Papa Giovanni XXIII).

Venerdì 15 aprile 2005Sala Conferenza del Seminario - Ischia PontePer un’altra strada fecero ritorno al loro pae-se - Relatore Padre Alex Zanotelli (missionariocomboniano).

Venerdì 22 aprile 2005Sala Conferenza del Seminario - Ischia PonteI cristiani e la costruzione dell’Europa -Relatore Padre Bartolomeo Sorge s. j. (docente diDottrina sociale della Chiesa).

Venerdì 21 maggio 2005Sala Conferenza del Seminario - Ischia PonteL’economia civile: verso un agire economicoa misura di persona - Relatore prof. Luigino Bru-ni (docente di Economia politica all’Università diPadova).

La Rassegna d'Ischia 1/2005 39

Milosz amanuense dell’anima

Cultura

di Alina Adamczyk Aiello

Il 14 agosto 2004 a Cracovia èdeceduto all’età di 93 anni ilpoeta polacco Czeslaw Milosz,premio Nobel per la letteratu-ra nel 1980. Per ricordane lafigura pubblichiamo il testodell’intervista realizzata daAlina Adamczyk Aiello e pub-blicata sul Roma il 27 giugno1981. Una nota biografica del-l’illustre letterato è stata pub-blicata su La Rassegnad’Ischia nel n. 3/2000 in oc-casione di una serata dedica-ta alla poesia contemporaneapolacca.

DICIAMOCI la verità: un italiano di media cul-tura, abitualmente assiduo nella lettura dei gior-nali e curioso delle novità letterarie, ben poco sadella letteratura polacca.

Le ragioni sono molteplici e non è il caso di di-vagare, ma ecco che viene offerta un’ottima oc-casione per sbirciare dentro quel mondo lettera-rio solo apparentemente lontano e in realtà assaivicino alla sensibilità occidentale: il soggiorno diCeslaw Milosz a Napoli, ospite del Festival Mon-diale della Poesia Contemporanea tenutosi al SuorOrsola Benincasa.

Terzo scrittore polacco premiato con il Nobelper la letteratura (dopo Sienkiewicz nel 1905 eReymont nel 1924) nel 1980, Milosz, poeta e pro-satore, autore di saggi, traduttore nonché pro-fessore di letteratura polacca e russa per moltianni all’Università di Berkeley in California, èstato anche insignito, una settimana fa, del Pre-mio Capri Internazionale.

Nato nel 1911, sorprende per l’eccezionale con-dizione psico-fisica. Ha l’aspetto di un uomo spor-tivo e forte, è abbronzato e cammina col passoampio ed energico proprio delle persone non

40 La Rassegna d'Ischia 1/2005

schiavizzate dall’uso dell’automobile. Di modi cor-tesi ma decisi, rende la conversazione piacevolema stringata.

Professore, in che cosa consiste attualmente ilsuo lavoro?

«Naturalmente scrivo sempre. Da quando mi fuassegnato il premio Nobel il mio sforzo creativo èaumentato notevolmente e in questi ultimi annipubblico molto sia in Polonia, in lingua polacca,che negli Stati Uniti in inglese».

«Ho abbandonato ormai l’insegnamento all’Uni-versità di Berkeley (dove insegnavo dal lontano1960), ma saltuariamente mi lascio ancora coin-volgere nell’attività universitaria. Ad esempio,adesso ho avuto la proposta di tenere un corsoper il prossimo anno accademico all’Universitàdel New Carolina e intendo accogliere l’invito».

Progetti per il futuro? ´

«Alla mia età è una sfrontatezza fare progetti peril futuro; nonostante ciò, mi propongo di vivere at-tivamente fino alla fine, ho ancora diverse coseda fare. Per esempio, vorrei completare le tradu-

Mia lingua fedele,ti ho servito.Ogni notte ti mettevo davanti le scodelline dei colori,perché tu avessi e la betulla e la cavalletta e il ciuffolottoconservati nella mia memoria.

E’ stato così per molti anni.Sei stata la mia patria perché un’altra è mancata.Pensavo che avresti fatto da intermediariafra me e le persone buone,non fossero che venti, dieci,o ancora dovessero nascere.

Ora riconosco di dubitare.Ci sono momenti in cui mi sembra di aver sciupato la vita.Perché tu sei la lingua degli umiliati,la lingua degli insensati e di coloro che odianose stessi forse ancor più degli altri popoli,la lingua dei confidenti,la lingua dei confusi,malati della propria innocenza.

Ma senza di te chi sono?...

Czslaw Milosz, da Mia lingua fedele(trad. di Pietro Marchesani)

zioni dei testi biblici dall’ebraicoe dal greco in polacco».

Vorrebbe spiegarci meglio?

«Ho tradotto dal greco il Vange-lo secondo San Marco e l’Apoca-lisse; mi rimane da tradurre il re-sto del Vangelo, le Storie degliApostoli, le Lettere. Forse ci riu-scirò. La mia traduzione in linguapoetica moderna, più confacentealle esigenze della sensibilità con-temporanea dei lettori, cominciòa Parigi per iniziativa e sotto lasupervisione del mio fedelissimoamico sacerdote Jozef Sadzik.Presso la casa editrice Edizionsdu Dialogue furono stampati bentre volumi di testi biblici vari incui venne rinfrescata la lingua po-etica delle Sacre Scritture (II librodi Giobbe, il libro dei Salmi, il Can-tico dei Cantici, i Lamenti, l’Eccle-siaste, il libro di Ruth, il libro diEster)».«Nel 1980, per la morte di Sadziksospesi quel lavoro che era statosvolto veramente in stretta rela-zione con l’operosità e la collabo-razione del mio defunto amico».

Ha ancora tanti amici a Pari-gi?

«Se ne vanno. Vorrei nominareConstanty Jelenski e ZygmuntHertz. Quest’ultimo mi scrivevatutti i giorni, dopo la mia parten-za per gli Stati Uniti. Presto saràdata alle stampe la raccolta diqueste lettere, un importante do-cumento dei tempi e delle relazio-ni di allora».

Lei preferisce usare la stilogra-fica. Come lavora? Usa il registra-tore, il computer?

«Scrivo a mano, e mentre scrivofaccio le eventuali correzioni. Seil testo è breve io stesso lo batto amacchina, altrimenti cerco unadattilografa. Questo è un proble-ma. Di solito trovo qualcuno fragli studenti di slavistica, sa, le dif-ficoltà della lingua polacca. Unavolta dattilografato il testo, noncambio più niente, non torno più

sul testo. Lavoro ora esclusiva-mente al mattino. Il computer lousa mia moglie per i testi in ingle-se».

Sua moglie collabora con lei?Vuoi dirci qualcosa di più di que-sta signora snella ed elegante mamisteriosa?

«Mia moglie è Carol Thigpen edè nata ad Atlanta. I suoi avi arri-varono dall’Inghilterra nel 1650.È specializzata in storia della pe-dagogia. Mi aiuta molto, special-mente nell’organizzazione delleconferenze e degli incontri profes-sionali. E’ per me una sorta dimanager familiare».

Ci dica, professore, il Milosz po-eta si sente compreso e realizza-to?

«Scrivere significa cercare sem-pre. Ed il processo di ricerca nonfinisce mai, si rinnova, cambia di-rezione ma non si estingue. E poi,ascolti questa: ad un pittore giap-

ponese novantenne, domandaro-no che cosa pensasse della pittu-ra. Rispose: “Mi sembra che co-mincio a capire come si deve di-pingere”».

Lei è un cittadino del mondo,ora vive in California ma ha vis-suto, studiato, lavorato, viaggia-to in molti paesi. In che posto sisente più a suo agio, quale le pia-ce di più e perché?

«Adesso preferisco stare negliStati Uniti. Ho raggiunto una cer-ta stabilità e grazie al mio lavoroanche un comfort psichico. Allamia età, sono condizioni impor-tanti».

Qualche commento a proposi-to del suo soggiorno in Italia?

«Le mie visite in Italia non sonomolto frequenti ma sempre moltopiacevoli e gradite. Ho un commo-vente ricordo di Milano, dove alTeatro lirico ho letto le mie poesiedavanti a una folla di universita-

La Rassegna d'Ischia 1/2005 41

Milosz amanuense dell’anima

ri. Però devo precisare che quel-l’incontro era stato annunciato daComunione e Liberazione, asso-ciazione che si è ispirata al suonascere all’opera di un mio cugi-no scrittore francese di origine li-tuana, Oscar Milosz. L’opera eraMìguel Magnava, una pièce tea-trale. La rappresentazione sceni-ca di questo dramma è stata alle-stita due anni fa a Rimini duran-te un convegno di Comunione eLiberazione davanti ad una pla-tea di ventimila spettatori».

A quando la prossima visita inItalia?

« Forse presto. Dovrei stabilire ladata per ritirare la laurea hono-ris causa alle università dì Roma

42 La Rassegna d'Ischia 1/2005

ISCHIA - Profumi di leggiad

(segue da pagina 13)

e di Bologna. A settembre, sem-pre a Bologna ci sarà un congres-so di storici, l’occasione mi parebuona e ci terrei ad essere pre-sente ma non sono ancora sicurodi farcela. Speriamo».

Per concludere le chiederei unalibera dichiarazione.

«Dopo la caduta del comunismoè molto importante che ci sia unacollaborazione stretta ed assiduada parte dei paesi di tutta l’Euro-pa centrale, ed intendo parlare diPolonia, Cecoslovacchia, Bulga-ria, Ungheria, Romania ma anchedi Lettonia e Lituania, e, dall’al-tra parte dei paesi occidentali.Questa collaborazione in tutti icampi è vitale».

ra poesia

»Invito i mass media italiani anon definire più i paesi di cui so-pra come Est europeo ma comeEuropa centrale. Spetta alla Rus-sia la definizione di Est europeo.I problemi nazionali in questaparte d’Europa sono numerosi edelicatissimi. Io stesso, essendonato in Lituania, ho la consape-volezza di essere un tramite frapolacchi e lituani. Mi sento unanello di congiunzione fra due na-zioni, due culture, due tradizioni.Attutire le tensioni nazionali, in-canalare le energie intellettualiper rendere la vita migliore, eccocome dovremmo darci tutti da farein questo senso».

Alina Adamczyk Aiello

essendo per noi una grave perdita non possede-re più quelle trattazioni teoriche di questioni filo-sofiche, tuttavia la stesura più particolareggiatadel capitolo topografico, che si basava su espe-rienze e scoperte personali, ci avrebbe senza dub-bio fornito vari interessanti particolari sulle con-dizioni dell’isola nel secolo XVI».

Conserva invece la sua impostazione tutta lati-na la carta descritta insieme con Mario Cartaro,sia nella toponomastica, sia nella lunga dedicache figura in un riquadro in alto a sinistra, in cuisi parla dell’isola e dei suoi nomi, dei colonizza-tori, dei bagni.

«Lo Iasolino, uomo nutrito di studi classici, la-tinizza i toponimi locali traducendoli letteralmen-te, qualche volta ricavandone una sorta di de-scrizione come per esempio è il caso di locus ter-ribilis incendii saxorum vulgo le cremate, attribu-ito alla colata dell’Arso. La parola vulgo introdu-ce anche altrove il nome locale. I centri abitatisono preceduti da pagus, vicus, e solo Ischia ècivitas».

Il De Rimedi di Iasolino è il «primo libro chetratti solo dell’isola d’Ischia: non solo ne descrivei rimedi, valorizzando il ricco patrimonio balneo-logico, ma ne delinea anche una sintesi di carat-tere storico e ne fa una prima descrizione geo-grafica a cui tutti continuarono ad attingere per

almeno due secoli dopo di esso».Giulio Cesare Capaccio nelle sue opere e spe-

cialmente nelle Historiae Neapolitanae libri duo,in quibus eius urbis et locorum adjacentium anti-quitas et descriptio continetur (1607) non mancadi dedicare un capitolo all’isola d’Ischia in cui sisofferma a parlare dei suoi miti, della sua forma-zione e delle prime eruzioni vulcaniche, delle pri-me colonie, dei bagni, delle antichità conservate.

L’opera, che peraltro rappresenta il degno co-ronamento della celebrazione poetica dell’isola, èl’Inarime di Camillo Eucherio De Quintiis (1726),la cui pubblicazione assicurò nel Setteccentogrande fama al suo autore, come umanista e po-eta, sulla scia dei grandi esponenti classici: Vir-gilio, Lucrezio ed Ovidio, talché negli Atti Eruditidi Lipsia (1729) si legge che il De Quintiis «seguìcon cura le orme di Lucrezio, nelle digressioni siavvicinò alla gravità di Virgilio e, quando volleesprimere le immagini delle cose e le metamorfo-si, raggiunse la facilità e la nativa fluidità di Ovi-dio». In tempi a noi vicini il Buonocore e il Gam-boni, che ebbero modo di presentare l’opera neiloro scritti, si esaltarono nell’evidenziare cheIschia poteva vantare un poema scritto nella lin-gua di Cicerone e di Virgilio, quale soltanto Romaimperiale con l’Eneide aveva avuto: «un poemaclassico per la forma, ricco per la lingua, armo-nioso per la struttura del verso eroico latino, va-sto per le proporzioni (oltre 8000 esametri)».

Il pesce spada e lo “sbriglio”

Era il mese di maggio del 1935. Un

gruppetto di ragazzi, del rione Orto-la di Lacco Ameno, si era recato agiocare sulla spiaggia cosiddetta“sotto il porto” e di lì aveva raggiun-to, saltellando di scoglio in scoglio,la “Loggetella”, uno scoglio di tufoverde che si distendeva piano nelmare con propaggini alte tre/quat-tro metri che lo univano a MonteVico.

Ancora evidenti le testimonianze diun piccolo tempio greco scavato neltufo e risalente all’ottavo/settimosecolo a. C. Lo scoglio chiudeva unapiccola cala che iniziava da unasporgenza di Monte Vico; in essa laposidonia rigogliosa si alternava adun fondale roccioso su cui si disten-deva una soffice erba.

I ragazzi raccoglievano ricci, patellee spesso polpi; la qual cosa li rende-va particolarmente gioiosi. L’acquaera sempre limpidissima e la bassamarea esaltava ancor più il profu-mo delle alghe, dell’erba esposta alsole e della salsedine.

All’improvviso un grido: “guardatelà!” “guardate là!” E tutti videro adun centinaio di metri di distanzaun’enorme pinna che avanzava nel-l’acqua in direzione della montagna,era un grande pesce che dava im-provvisi colpi di coda e parve volersicontorcere perché si sollevò unamassa d’acqua e si vide il dorso scu-ro e la pancia bianca.

Le grida dei ragazzi richiamaronol’attenzione di alcune persone che

stavano in riva al mare ed in parti-colare di un gozzo, che era appenapartito dalla spiaggia. I quattro pe-scatori che erano a bordo pensaro-no subito di calare la rete e chiude-re il pesce tra la stessa e la monta-gna a cui si era avvicinato e sem-brava lottare con la parete della stes-sa, tanta era l’acqua che con i suoimovimenti repentini spostava. I ra-gazzi raccoltisi sullo scoglio con pa-ura e stupore guardavano l’insolitoed eccezionale evento mentre altragente accorreva sulla spiaggia .

Tutti a guardare lo squalo che al-ternava momenti di grande agitazio-ne a brevi pause in cui rimaneva im-mobile, pur sempre vicino alla pare-te della montagna. “È uno sbriglio”,“È uno sbriglio” (l) gridarono i dueuomini che remando veloci sul goz-zo della tonnara detto “mucianella”puntavano verso il pesce che sem-brava più lungo dello stesso gozzo;la decisione con cui procedevano fa-ceva supporre che sapevano benecome affrontarlo. Appena gli furonosopra, un pescatore rimase ai remiper governare la barca, mentre l’al-tro si portò a poppa, reggendo in unamano un grande arpione (venivausato per la mattanza dei tonni) enell’altra una corda che terminavacon un cappio (2) che aveva in pre-cedenza preparato. Dopo qualchetentativo, con grande abilità riuscì ainserire il cappio intorno al collo dellosqualo che si dibatteva provocandocosì una morsa sempre più stretta

che lo soffocava, con un altro cap-pio fu presa la coda ed in questomodo bloccato alla murata del goz-zo ed arpionato.

I due pescatori pensarono bene dinon issarlo a bordo ma di trainarlosulla spiaggia che distava appenaqualche centinaio di metri. Tantis-sime persone erano in attesa e,quando lo squalo ormai in fin di vitafu tirato sul bagnasciuga, tutti pro-varono una grande sorpresa e me-raviglia per qualcosa che non ave-vano mai visto e neppure pensato:nella bocca dello “sbriglio” era con-ficcato il rostro di un pescespada chevi penetrava a fondo fino alla gola.Allora i pescatori capirono perchéquell’essere cosi potente si era por-tato in quella cala, perché sembravavoler urtare contro la parete dellamontagna. Per quale naturale, istin-tivo dominio c’era stata un’epica bat-taglia tra i due predatori: il pescespada e lo “sbriglio”.

Giuseppe Silvestri

l) Sbriglio: nome popolare di diversi ge-neri di squali2) Cappio: sistema per tenere bloccato etirare a bordo un pesce di grande dimen-sione dopo che è stato allamato. Si fa ilcappio intorno alla lenza che tiene il pe-sce facendolo scorrere con abilità oltre lepinne laterali; un secondo cappio nellostesso modo si porta fino alla coda così ilpesce non può sfuggire ed il cappio chesi stringe sempre di più lo soffoca. Si rac-conta che i pescatori molto coraggiosi edabili, adoperando soltanto il cappio, riu-scivano a catturare squali di notevoli di-mensioni che si avvicinavano alla barca.

(... il porto, i decurioni e... ) Spesso,quando si parla del porto d’Ischia, presi dalla esalta-zione della felice intuizione di Ferdinando II che in pochimesi riuscì a realizzare l’opera che fu inaugurata inmodo solenne il 17 settembre 1854, si è portati adevidenziare il comportamento dei Decurioni del Muni-cipio d’Ischia che non furono presenti sul porto e nonparteciparono ai festeggiamenti. Questa decisione è sta-ta sempre biasimata e condannata, a volte con toniaspri. Addirittura in occasione del centesimo anniver-sario il sindaco Vincenzo Telese, durante le celebra-zioni, indossando le vesti di un forestiero, chiese scu-sa al re per l’offesa dei Decurioni ischitani.

Ma perché questo malumore? Il comune perdeva,oltre al fitto per la pesca nel lago, 850 ducati annuiper l’affitto della grande tonnara che stava davanti allanuova entrata.

E a distanza di tanto tempo io mi chiedo se il com-portamento di quegli amministratori non possa essereinterpretato diversamente, se si considera la giustavalenza del loro atto, che forse fu coraggiosa coerenza

politica piuttosto che dabbenaggine. A meno che nonsi sia indotti ad esprimere delle valutazioni a posterio-ri, considerando quanto ha rappresentato il porto perIschia e l’isola a partire soprattutto dagli anni Cin-quanta ad oggi, dimenticando quale realtà in campoindustriale, economico e commerciale insisteva allametà del 1800.

Perdere la rendita che derivava dal lago per l’eserci-zio della caccia e della pesca e soprattutto quella delTonnara di San Pietro, dovette apparire un’autenticasventura. Infatti i cosiddetti estagli delle tonnare (Ischiae Lacco Ameno) ammontavano a migliaia di ducati chegli appaltatori dovevano versare nelle casse comunali.Su questi soldi i Comuni contavano molto per realiz-zare le loro opere; d’altra parte il contenzioso che siaprì prima tra le Università e poi tra i Comuni per lequote dimostra la fondatezza di quanto asserito. E’dunque in tale contesto storico e finanziario che si deveinserire il discorso sul comportamento dei Decurioni,suscettibile di comprensione, se non proprio di appro-vazione (giuseppe silvestri).

La Rassegna d'Ischia 1/2005 43

Un articolo apparsosulla rivista america-na Holiday nel dicem-bre 1949 e riportatoin Il Giornale d’Ischian.6/11 febbraio 1973

L’isola cenerentola

Pagine del passato

di Ludwig Bemelmans

Il portiere del Quisisana che sa-rebbe il Waldorf Astoria di Capri eche a guardarlo nella sua divisa dàl’impressione di un senatore roma-no e che si dà l’aria di un consoleod anche di un imperatore, con ladignità che si addice a tale figura,domandatogli dei mezzi di traspor-to per raggiungere l’isola d’Ischia,buttò su le braccia e rispose:

«Se ci tenete a visitare l’isolad’Ischia, prendete un gozzo e gira-tela pure ma vi avverto che gli abi-tanti dell’isola sono indifferenti erozzi con i visitatori e lì non trove-rete nemmeno un buon albergo.

In un certo posto ci sono due so-relle chiamate Pirozzi, le quali cu-cinano nella loro casa ma innan-zitutto, quando andate, dovete far-vi conoscere e prenotarvi per quan-ti siete».

Gli chiesi più specificamente deimezzi di trasporto. Egli prese laguida e si affrettò a farmi notareche l’isola d’Ischia, a differenza diCuma - Ercolano - Pompei - Sor-rento - Capri - Amalfi - Positano -Capua, non vi era nemmeno men-zionata. E soggiunse:

«Come ben vedete, signore, perquanto concerne il viaggio, Ischianon esiste, è come l’Africa. Se poiinsistete per andarci è a vostro pia-cere».

E mi lasciò per andare ad appor-re le etichette sui bagagli.

Chiesi delle informazioni ancheall’agente dell’American ExpressCompany. Mi rispose di non averalcun itinerario per Ischia, nonessendo incluso nel programma.Mi disse che comunque un piro-scafo partiva da Napoli.

Con evidente soddisfazione ilportiere, che aveva inteso la rispo-sta, scuoteva il capo.

Più tardi, mentre ero seduto nelsemplice e bellissimo ristorantedelle Sirene, parlando con un pe-scatore appoggiato alla balaustra,gli espressi il desiderio di visitare

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l’isola d’Ischia chiedendogli quan-to tempo avrebbe impiegato percondurmi ad Ischia. Mi rispose:circa quattro ore.

Il proprietario del ristorante, nelsentire gli approcci che avevo fat-to, si avvicinò al tavolo dov’ero se-duto ed entrando subito in argo-mento, mi sconsigliò di andare adIschia in quanto lì non avrei tro-vato tutto il comfort che desidera-vo. Ed aggiunse che ben pochiamericani che venivano in Italia sirecavano a visitare Ischia.

Tutte queste dicerie mi invoglia-rono di più a visitare l’isolad’Ischia. Il giorno dopo feci appron-tare da Carmine, il pescatore, labarca e partimmo.

Ischia

L’isola d’Ischia ha rappresenta-

to sempre la parte della Ceneren-tola.

Quando l’imperatore Augustovide Capri barattò con i napoleta-ni Ischia in cambio di Capri, puressendo Ischia cinque volte piùgrande.

Da allora Capri è divenuta famo-sa mentre Ischia appartiene anco-ra ai nativi non avendo traffico tu-ristico e buoni alberghi e, comeaveva appunto detto il portiere delQuisisana, in parte, si presentaselvaggia come l’Africa.

La gente, se non è cortese, trattacon noncuranza i visitatori. Non visono comodità né per mangiare néper dormire salvo il caso in cui sie-te invitati in casa di amici che abi-tano lì.

E’ un posto molto interessante,le vedute ed i panorami sono splen-didi come a Capri e, se soffrite diartitrismo, è probabilmente il po-sto più meraviglioso della terra.

Ischia, la più grande isola del gol-fo di Napoli, è vulcanica e vi sonomolte sorgenti calde naturali. Inaturalisti italiani affermano che

le sorgenti vulcaniche calde han-no protetto la vita delle piante del-l’isola nel periodo glaciale quandocioè il restante della vegetazioneeuropea andò distrutta. Oggi que-sta vegetazione è talmente floridada fare di Ischia un giardino ditutta la fioritura del mondo. Quiallignano piante tropicali che sitrovano soltanto in India, Arabiaed Africa Centrale.

L’isola è dominata dal monteEpomeo che insieme ad altre mon-tagne forma l’antico vulcano chenei tempi remoti ha formato l’iso-la.

Il deposito delle immense cenerie la lava dell’Epomeo danno allepiante l’aspetto di color vivo comesul Vesuvio.

Nel 1854, sulla lava scesa dallamontagna più grande, nel cosid-detto Arso d’Ischia, fu piantata unaselva di pini, selva che esiste an-cora.

Se il colore della roccia che cir-conda la costa di Capri è sorpren-dentemente chiaro, qui il colore èpiù sottile, più morbido ed il pae-saggio è meno aspro di quello ca-prese.

Mentre a Capri ti astieni dal cam-minare veloce per timore di arri-vare presto alla fine, qui puoi al-lungare il passo, avendo tanto spa-zio da percorrere; a Capri in pochigiorni si conosce tutto, ad Ischiasi presentano invece sempre nuo-ve sorprese e la gente si perde nelfogliame e sulla spiaggia arenosa.La vita della popolazione è sempli-ce, patriarcale e, conoscendo benei nativi, vi accorgerete che sonopiuttosto ritrosi, non indifferenti.Il visitatore può prender parte allegioie ed alle mestizie della gente ela sua presenza non disturberàmai tali manifestazioni.

Per esempio non vi sono feste,

Il prof. Camillo Porlezza, direttore dell’Istituto di Chimica Generale dell’Univ. di Pisa, ac-compagnò Maria Curie nel 1918 in una delle visite alle sorgenti radioattive di Lacco Ameno

danze e manifestazioni organizza-te per i turisti, come si usa a Ca-pri, che talvolta possono anchedare fastidio ai visitatori.

Gli uomini, ad eccezione di al-cuni bottegai e di pochi impiegati,sono dediti alla pesca ed alla colti-vazione dei campi; le donne poirammendano reti e sono dedite afare cesti di paglia.

Quasi tutte le ragazze di LaccoAmeno si chiamano Restituta, ilnome della Santa patrona dell’iso-la.

La leggenda dice che questa san-ta arrivò dall’Africa sopra una bar-ca ed i pescatori, trovatala, la por-tarono al lido ed ogni anno, dal 15maggio, per tre giorni, si celebrala festa.

Le donne dell’interno dell’isolasono creature di una bellezza nin-fea e sono appassionate della col-tura dei fiori, hanno una voce bel-la e grandi occhi, più grandi diquelli delle loro sorelle del conti-nente; i giovani maschi non han-no nulla di speciale e nel comples-so sono piuttosto ostili nei confron-ti dei forestieri.

Uno storico tedesco, il barone Ec-kehardt Von Schancht, che ho in-contrato sull’isola, mi ha detto cheil loro atteggiamento deriva dallaloro storia. Le diverse esperienzeli ha resi sospettosi.

Tracce delle guerre

Dalla caduta di Roma, l’isolad’Ischia è stata occupata e sac-cheggiata quasi senza interruzio-ne. I Saraceni cominciaronodall’813 seguiti dai Pisani nel1135, poi i Pirati presero il soprav-vento; indi i tedeschi sotto EnricoIV e Federico II seguiti dagli An-gioini.

Tutti questi visitatori lasciaronosulla popolazione nativa le lorotracce che si possono leggere suivolti degli abitanti di oggi.

Spesso i maschi furono deporta-ti e le donne e le ragazze furonocostrette a sposare gli occupanti.Per esempio il diffuso cognome Pa-talano deriva evidentemente daCatalano.

Nel 1545 i pirati corsi rapironoben 4000 ischitani che furono ven-duti come schiavi. In quel periodovi furono anche infiltrazioni di ara-

bi e marocchini. A queste peripe-zie va aggiunto il terrore provoca-to dai terremoti e dal vulcano sem-pre in eruzione, causa di migliaiadi vittime.

In tali condizioni molti contadi-ni preferirono la vita marittimadandosi alla pesca sulle coste del-la Sardegna e trasportando cari-chi di vino in Francia su piccolibattelli.

Nel 1588, il filosofo e scienziatoIasolino pubblicò un libro nel qualetrattava delle virtù curative delleacque minerali.

Nel libro il dottor Iasolino elen-cava tutte le malattie che le diver-se sorgenti guarivano e metteva inevidenza come le acque delle sor-genti di Citara avessero la prero-gativa di curare la sterilità delledonne che per difetto fisico nonerano in condizioni di procreare.

Nel Museo nazionale di Napoli visono tavole votive del periodo gre-co con parole di ringraziamentoche ricordano le virtù miracolosedi queste acque. I bagni più fre-quentati sono quelli di Casamic-ciola nutriti da una sorgente de-nominata Gurgitiello che scorretutti i giorni e fornisce acqua cal-da in abbondanza, da soddisfare

ogni richiesta. A Lacco Ameno visono le terme denominate “SantaRestituta”, la sorgente più radio-attiva finora conosciuta, con 376unità maché.La scoperta fu fatta da MadameCurie. L’altro pozzo radioattivo co-nosciuto si trova in Austria, a BadGastein, e misura solo 149 unitàmaché.

Sulla costa del Sud dell’isola visono numerose sorgenti calde allostato primitivo. Esse sono talmentebollenti da potervi cuocere unapentola di pesci in pochi minuti.

Proseguendo il giro dell’isola siviene ad una stretta con muri per-pendicolari chiamata Valle dei rag-gi viola o propriamente Cava Scu-ra come la Grotta Azzurra di Capriche è tutta azzurra ed argento; quigli oggetti appaiono in una luceviola.

Verso Sud-Ovest, a partire daLacco Ameno, vi è la strada checonduce a Forio, un paese di oltreseimila anime, molto ospitale edamichevole. La strada si sviluppaattraverso la lava scesa dal MonteEpomeo ed ha l’aspetto selvaggiocome soltanto in Africa si vede.

L’architettura delle case non èuniforme. Esse si trovano per lo

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più lontane l’una dall’altra. La po-polazione è dedita all’agricoltura ele ubertose vigne producono buonvino. Le vigne si estendono fino adun paesino, Panza, dove si produ-ce un vino chiamato “Sorriso diPanza” che è poi il sorriso dello sto-maco.

Qui i pomodori maturano in apri-le e si trasportano a Napoli ed aRoma.

Famiglia in esilio

Forio, l’ultimo molo che congiun-ge 1’isola a Napoli, si trova al-l’estremità ovest di Ischia.

In questa remota comunità vivela vedova Mussolini con i suoi duefigli più giovani.

Ho letto diversi libri sulla con-tessa Ciano e su Donna RacheleMussolini.

In uno di questi libri veniva ri-portato che la contessa Ciano pas-sa molto tempo a Capri ove è igno-rata dalla società locale e disprez-zata dai contadini.

Ciò non è vero in quanto è diffi-cile trattare una persona di riguar-do in modo comune, il che puòdare l’impressione di una certanoncuranza per chi non conosce ilcarattere degli italiani, specie seuno è straniero.

La popolazione di Capri, quandopassa la contessa Ciano con i figli,la saluta e la fissa, né cerca di evi-tarla. Anzi i figli sono molto amicidei bambini del posto.

Donna Rachele Mussolini è unadonna forte e tipicamente italiana.Vive per i figli e trascorre i giorninel lavoro e nelle faccende dome-stiche.

Alla lussuosa vita antica prefe-risce questa e ricorda che il mari-to, quasi presago, le diceva cheeventualmente avrebbe finito lasua vita a Forio. Donna Racheledice che dopo il tempo trascorso aForio si è abituata all’ambiente eci vive con piacere.

Abita in una piccola casa prospi-ciente il mare, tipo orientale. Glispaghetti sono il suo pranzo pre-ferito. Sbriga tutte le faccende dicasa: attinge l’acqua, fa la spesa,il bucato per la sua piccola fami-glia composta dai figli Romano edAnna Maria.

Il figlio Romano ha 22 anni ed

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ogni giorno si reca a Napoli dovespera di diplomarsi all’Istituto Tec-nico. Ci tiene alla sua eleganza.

«Benito - ci dice Donna Rachele- portava soltanto camicie che glicucivo io. Invece Romano dice chei colletti sono antiquati e non si as-sestano bene per cui preferisce lecamicie commerciali».

Dei cinque figli Anna Maria èquella che somiglia di più a Mus-solini; ha lo stesso immenso cra-nio, l’energico mento del padre eparla come lui. Quando rientra acasa e porta le notizie di cronacadel paese, dice Donna Rachele,pare che parli Mussolini.

La mattina Anna Maria esce sul-la terrazza con un largo cappellodi paglia. Le pareti della sua stan-za sono tappezzate con fotografiedi tipi diversi di ragazze america-ne di cui è entusiasta. La mattinaaiuta la mamma nei servizi di casae nel pomeriggio esce con le sueamiche o va a scuola di cucito.

Molte volte si ritrova con le ami-che sulla terrazza di casa.

«Ha anche un fidanzato, figlio diun negoziante di generi alimenta-ri. Una persona molto rispettabile- dice Donna Rachele -. Ha dueanni più della ragazza ed ha i ric-cioli neri, però mia figlia deve pri-ma imparare a cucire ed a cucina-re bene».

Donna Rachele riceve spesso vi-site di giornalisti. Si sorprende diciò che scrivono dopo le interviste.Non ha alcun progetto di matrimo-nio come le viene attribuito né tan-to meno ha alcun viaggio in vista.E’ sua intenzione finire i suoi gior-ni ad Ischia, dice, come aveva pre-detto Benito.

Proseguendo da Panza verso Ser-rara Fontana, agli occhi si presen-ta un orizzonte che vi stupisce.

Salendo su verso Serrara Fonta-na, subito dopo Panza, vedete latorre di S. Angelo cui si accede dauna strada di traverso, formata damolti gradini sui cui lati vi sonovigne, fichi, ulivi e papaveri rossi eche si prolunga fino alla rena checongiunge la torre di S. Angeloalla spiaggia.

Da queste punte comincia il viag-gio per Ponte d’Ischia, la principa-le città dell’isola.

I più affollati autobus che io ab-bia mai visto portano il viaggiato-

re su una strada come se fosse unrullo. Il Santo protettore di questiautobus merita una nicchia spe-ciale e fiori freschi a profusionetutti i giorni perché protegge il po-polo ed i viaggiatori da tutte le di-sgrazie che si verificano negli altriposti per situazioni simili.

Il conduttore, mentre parla congli amici, prende la curva cieca-mente, e velocemente, e se la cur-va è in discesa, la forza di gravitaè facilmente superata con un’ac-celerazione. Non succedono mai di-sgrazie.

Lungo questa strada vi sono vi-gneti il cui prodotto viene poi ven-duto come vino di Capri. E’ unbuon vino di origine che poi vieneadulterato con le etichette di altriposti mentre l’etichetta dovrebbeessere “vino d’Ischia”.

La strada sbocca nella pinetadell’Arso d’Ischia ed a Ponted’Ischia ove ha sede il Vescovato.

Il Vescovo è un uomo piccolo, ro-tondo e si reca spesso a Napoli.Saluta sempre benedicendo chi losaluta e gli pendono fili d’oro e ver-di dal cappello.

Un’altra meraviglia di Ischia è ilCastello che fu costruito da Alfon-so V d’Aragona verso il 1450. Piùtardi fu occupato dai Siracusaniche poi fuggirono durante il terre-moto. In seguito vi abitò la poetes-sa Vittoria Colonna, ammiratricedi Michelangelo.

Più oltre vi è il porto, l’unico intutta l’isola. In origine era un lago.Fu messo in comunicazione colmare a mezzo di un passaggio ta-gliato nel 1854.

Nel porto si trovano i classici va-poretti e i velieri con le vele colora-te e con carichi di vino, frutta everdura.

Vicino al porto vi è un piccoloparco di stile indiano.

Durante il mio soggiorno adIschia ho fatto la conoscenza delprof. Giorgio Buchner, che vive aPorto d’Ischia. Fu lui ad indicarmiil ristorante delle sorelle Pirozzi dicui mi aveva parlato il portiere delQuisisana. E per la verità dallesorelle Pirozzi fui servito con diver-si chilometri di spaghetti, i piùgustosi che abbia mai assaporatonella mia vita.

Ludwig Bemelmans (Traduzione di Gaetano Caruso)

Casamicciola Terme

Echi delle

Celebrazioni

per i 50 anni

dell’

Incoronazione

della Statua

di

Maria

Immacolata

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Foto di Amedeo Piro