La rappresentazione del conflitto nel «Calila e Dimna»

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La rappresentazione del conflitto nel Calila e Dimna Gaetano Lalomia Università di Catania Lungo il XIII secolo la cultura castigliana mostra un profondo interesse verso un tipo di letteratura altamente didattica e finalizzata all’educazione dei principi e dell’entourage di corte. Tra il 1230 (inizio del regno di Fernando III) e il 1295 (fine del regno di Sancho IV) si favoriscono traduzioni di opere di origine orientale e la compilazione di testi di natura gnomico-sapienziale. 1 Il momento maggiormente produttivo è forse ravvisabile durante il rengo di Alfonso X el Sabio (1256-1284); dietro il patrocinio di re Alfonso non si scorge unicamente una fervida curiositas verso la cultura orientale, da lui certamente apprezzata, ma altresì la possibilità di creare un sottofondo ideologico che sia riflesso del suo pensiero politico. 2 Il Calila e Dimna risulta estremamente interessante non solo perché costituisce, insieme alla Disciplina clericalis, al Sendebar e al Barlaam e Josaphat, uno dei primissimi esempi di raccolta di racconti con una cornice narrativa, ma anche perché esso prospetta un ventaglio di motivi che ruotano intorno al valore del sapere attraverso cui si stabiliscono dei concreti modi di convivenza sociale. In altri termini il Calila prospetta sì utili insegnamenti di comportamento, ma attraverso una vasta serie di esempi nei quali risulta centrale il conflitto tra due o più personaggi, nonché tra fazioni diverse. D’altra parte, proprio il Calila è uno specchio per 1 M. Haro Cortés, Los compendios de castigos del siglo XIII: técnicas narrativas y contenido ético, p. 219, fa notare, giustamente, che l’ingresso dei testi orientali in Occidente, e nella Castiglia del XIII secolo, era facilitato dai temi esposti; si tratta, infatti, di un insieme di testi che non prospettano problemi politici ma che si centrano soprattutto in questioni etiche e morali. Osserva la studiosa che «estas pautas de comportamiento se estructuran, al igual que las obras occidentales, alrededor de la oposición virtud/vicio y las enseñanzas que transmiten ambas tradiciones adquieren un carácter universal aplicable y aprovechable en lo básico por cualquier concepción ideológica». 2 F. Gómez Redondo, Historia de la prosa medieval castellana. I La creación del discurso prosástico: el entramado cortesano, p. 181. 239

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La rappresentazione del conflitto nel Calila e Dimna

Gaetano Lalomia Università di Catania

Lungo il XIII secolo la cultura castigliana mostra un profondo interesse verso un tipo di letteratura altamente didattica e finalizzata all’educazione dei principi e dell’entourage di corte. Tra il 1230 (inizio del regno di Fernando III) e il 1295 (fine del regno di Sancho IV) si favoriscono traduzioni di opere di origine orientale e la compilazione di testi di natura gnomico-sapienziale.1 Il momento maggiormente produttivo è forse ravvisabile durante il rengo di Alfonso X el Sabio (1256-1284); dietro il patrocinio di re Alfonso non si scorge unicamente una fervida curiositas verso la cultura orientale, da lui certamente apprezzata, ma altresì la possibilità di creare un sottofondo ideologico che sia riflesso del suo pensiero politico.2

Il Calila e Dimna risulta estremamente interessante non solo perché costituisce, insieme alla Disciplina clericalis, al Sendebar e al Barlaam e Josaphat, uno dei primissimi esempi di raccolta di racconti con una cornice narrativa, ma anche perché esso prospetta un ventaglio di motivi che ruotano intorno al valore del sapere attraverso cui si stabiliscono dei concreti modi di convivenza sociale. In altri termini il Calila prospetta sì utili insegnamenti di comportamento, ma attraverso una vasta serie di esempi nei quali risulta centrale il conflitto tra due o più personaggi, nonché tra fazioni diverse. D’altra parte, proprio il Calila è uno specchio per

1 M. Haro Cortés, Los compendios de castigos del siglo XIII: técnicas

narrativas y contenido ético, p. 219, fa notare, giustamente, che l’ingresso dei testi orientali in Occidente, e nella Castiglia del XIII secolo, era facilitato dai temi esposti; si tratta, infatti, di un insieme di testi che non prospettano problemi politici ma che si centrano soprattutto in questioni etiche e morali. Osserva la studiosa che «estas pautas de comportamiento se estructuran, al igual que las obras occidentales, alrededor de la oposición virtud/vicio y las enseñanzas que transmiten ambas tradiciones adquieren un carácter universal aplicable y aprovechable en lo básico por cualquier concepción ideológica».

2 F. Gómez Redondo, Historia de la prosa medieval castellana. I La creación del discurso prosástico: el entramado cortesano, p. 181.

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principi nel quale si insiste molto sui rapporti tra il potere monarchico e la società, da una parte, e il concetto di fedeltà e di patto che si stabilisce tra le due parti dall’altra, sicché, come ha rilevato recentemente E. Ruiz-Galvez Priego, la fedeltà e la fiducia costituiscono i temi su cui fa perno tutto il libro, e la rappresentazione del conflitto, o meglio, dei conflitti, costituisce un momento tematico importante.3

In vista del suo carattere morale ed etico, il Calila prospetta una serie di situazioni che vede coinvolti diversi personaggi che si muovono all’interno di uno spazio sociale ben definito regolamentato da rapporti di convivenza in cui ciascuno occupa un luogo e un ruolo specifici in seno alla scala sociale. A tale proposito il Calila presenta delle situazioni limite nelle quali i rapporti sociali rappresentati sono vistosamente alterati in seguito al comportamento ora di un personaggio, ora di un altro.4

Preliminare all’indagine di una verifica della rappresentazione del conflitto è la puntualizzazione dell’organizzazione strutturale dell’opera.

Il Calila e Dimna castigliano è una traduzione di un testo arabo redatto da Ibn al-Muqaffa’, un intellettuale arabo di origine persiana che intorno all’VIII secolo islamizza e rende in lingua araba una raccolta di racconti la cui origine è da rintracciare nel Panchatantra indiano.5 È evidente che la lunga trafila che porta il testo originario in Occidente comporta un continuo riassestamento del materiale di base e, ovviamente, un suo riorientamento di carattere ideologico secondo i fruitori del momento. Per tale motivo già Ibn al-Muqaffa’ tende a smussare le allusioni legate al mondo induista, così come la traduzione castigliana attenua i tratti legati al pensiero islamico per adattare il testo a una ricezione più specificamente cristiana.6 Ciò non toglie però che le direttrici tematiche di

3 E. Ruiz Galvez-Priego, Calila et Dimna: conte du Moyen Âge et récit primordial. La version castellane du XIIIe siècle et une possible lecture.

4 Una delle caratteristiche del Calila e Dimna è proprio il rapporto società-individuo, per cui cfr. M. Haro Cortés, Los compendios de castigos del siglo XIII: técnicas narrativas y contenido ético, p. 220.

5 In merito all’interessante figura culturale di Ibn al-Muqaffa’ si veda M. Cassarino, L’aspetto morale e religioso nell’opera di Ibn al Muqaffa’. Sui percorsi da Oriente a Occidente del testo cfr. M.J. Lacarra, Centística medieval en España: los orígenes, pp. 12-15 e M. Haro Cortés, Los compendios de castigos del siglo XIII: técnicas narrativas y contenido ético, pp. 26-27.

6 Cfr. M. J. Lacarra, Centística medieval en España: los orígenes, pp. 13-15, A. Chraïbi «La réception de Kalîla et Dimna par la culture arabe».

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base rimangano le stesse, sicché anche il Calila castigliano si pone quale obiettivo quello di fornire una serie di norme comportamentali rivolte alla convivenza sociale, tese, cioè, a conoscere il prossimo e a propugnare un ideale di condotta misurata ed equilibrata. Rispetto al testo arabo la traduzione castigliana mantiene ferma anche l’architettura strutturale dell’opera;7 possiamo individuare tre grandi sezioni:

1) l’introduzione di Ibn al-Muqaffa’, nella quale egli definisce il sapere e

spiega al lettore come cercarlo in quanto principio della costruzione della conoscenza;

2) due capitoli (il I e il II) che costituiscono la cornice narrativa di tutta l’opera e nei quali si narra come si è cercato il libro e nei quali si spiega il modo in cui deve essere utilizzato e trasmesso;

3) sedici capitoli (III-XVIII) che costituiscono la vera e propria opera. È proprio nella terza sezione dove si descrivono i rapporti tra i

diversi protagonisti e dove emerge maggiormente la conflittualità sociale. Ricordo che questa sezione è costituita da una cornice dialogata nella quale figura un re (Diçelem) e un filosofo (il consigliere Burduben) dove il primo pone delle domande specifiche al secondo; il filosofo risponde attraverso una storia che, a sua volta, costituisce una sorta di cornice all’interno della quale si possono trovare diverse narrazioni-esempi.8 In pratica, tra le domande poste dal re Diçelem e le narrazioni-risposte di Burduben si determina un rapporto strettissimo; il re espone infatti sempre dei quesiti di carattere generale, mentre la risposta di Burduben viene introdotta da una narrazione che prospetta delle situazioni concrete che riflettono gli effetti, ora positivi, ora negativi, delle relazioni sociali. Queste, inoltre, vedono quali protagonisti animali (et posieron et conpararon [i filosofi] los más

7 M. J. Lacarra «Las primeras traducciones castellanas del Calila e Dimna

y del Sendebar». 8 In merito alla particolare organizzazione strutturale del Calila e alla

presenza dei racconti e dei diversi tipi di cornice cfr. A. Varvaro, «Forme di intertestualità. La narrativa spagnola medievale tra Oriente e Occidente», M.J. Lacarra, Centística medieval en España: los orígenes, M. Haro Cortés Los compendios de castigos del siglo XIII: técnicas narrativas y contenido ético.

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destos enxenplos a las bestias salvajes et a las aves)9 che impersonano quasi sempre re e consiglieri, oppure semplici amici, accanto a personaggi umani.10 L’alternanza tra le due categorie di personaggi non limita affatto il messaggio di fondo del testo, ma semmai l’ampio e voluto ricorso agli animali serve da specchio per il lettore che deve vedere riflesso in quel mondo il proprio.

Certo è che il variegato mondo rappresentato nel Calila contribuisce a prospettare al lettore una vasta gamma di possibili situazioni nelle quali il conflitto tra parti o tra individui risulta centrale, proprio in seguito alla tensione che si può determinare in seno ai rapporti sociali. Un’analisi delle modalità narrative con cui i conflitti vengono rappresentati, nonché una verifica di una tipologia di conflitto, aiuta a capire ancora di più il messaggio di fondo del testo e la sua ricezione in seno alla corte alfonsina.

Il terzo e quarto capitolo del Calila e Dimna sono dedicati alla

narrazione della vicenda di Calila e Dimna; in essi si assiste rispettivamente all’ascesa al potere di Dimna nel primo e al suo processo e morte per tradimento nel secondo. Il conflitto non trova una sua rappresentazione immediata, ma si snoda lungo i due capitoli. Tutta la problematica scaturisce dall’insoddisfazione di fondo di Dimna:

…mas trabaja el omne en mejorar su fazienda por que aya lugar de fazer palzer a sus amigos et el contrario a sus enemigos. Et los omnes viles son aquellos que se tienen por abondados con poca cosa et alégranse con ella, así commo el can que falla el hueso seco et se alegra con él. Et los omnes de grant coraçón non se tienen por pagados de lo poco […]. Onde quien bive en grand medida et a honra de sí et de sus amigos, maguer poco biva, de luenga vida es; et el que bive en angostura, faziendo poco algo a sí et a sus amigos, aunque mucho biva, de poca vida es (pp. 126-27. Il grassetto è mio). A tale osservazione fa da contrappunto la risposta di Calila, dalla

quale emerge il suo carattere più prudente:

9 Tutte le citazioni sono tratte da Calila e Dimna, edición de J. M. Cacho Blecua y M. J. Lacarra, Castalia, Madrid 1984.

10 In merito ai rapporti tra personaggio umani e animali cfr. M. J. Lacarra, Centística medieval en España: los orígenes, pp. 134-42.

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Et tú, hermano, ¿qué has, que preguntas lo que non as menester, nin te tiene pro lo preguntar? Nós estamos en buen estado, et estamos a la puerta de nuestro rey, et tomamos lo que queremos, et non nos falleçe nada de lo que avemos menester, et non somos de los que fablan con el rey sus fechos. Et déxate desto, et sabe que el que se entremete de dezier et de fazer lo que non es para él que le acaesçe lo que le acaesçió a un ximio artero que se entremetió de lo que non era suyo nin le pertenesçía (p. 125). Il consiglio che offre all’amico è di non tentare di modificare lo stato

sociale. Nell’ottica di una scala sociale il posto occupato dai due personaggi non è elevato ma non per questo si possono ritenere insoddisfatti. La visione di Calila è certamente quella di una società statica dove ciascuno occupa un luogo specifico; tentare di modificarne l’ordine prestabilito può solo procurare un danno se non addirittura un peggioramento stesso della condizione di chi è fautore del cambiamento.11 L’esemplificazione di tale concetto viene infatti rafforzata dall’esempio successivo in cui la curiosità di una scimmia è causa della sua stessa morte.

Il piano di Dimna è di ottenere qualche carica onorifica e riuscire a far parte dei consiglieri del re. Per raggiungere il proprio obiettivo approfitta della condizione di debolezza in cui si trova il leone:

Quiérome mostrar al león en tal razón, ca él es de flaco consejo et de flaco coraçón, et es escandalizado en su fazienda con sus vasallos. Et por aventura en llegándome a él en este punto averé dél alguna dignidat o alguna honra, et averé dél lo que he menester (p. 128). Riesce nel proprio intento grazie alla sua capacità dialettica, e

proprio in virtù di tale capacità, riesce anche ad estorcere al re le paure che lo rendono debole. Il leone, infatti, teme il toro Çençeba, la cui voce tuonante risuona in tutto il regno. Dimna si mostra fedele e si presta a convincere il toro a recarsi a corte e a diventare siervo et obediente (p. 136). Tale situazione permette a Dimna di assumere un ruolo preminente a corte,

11 Le affermazioni di Calila riflettono un concetto di società statica già chiaramente espresso nella versione araba e che ben si accorda con la visione medievale cristiana della società (cfr. M. J. Lacarra, Centística medieval en España: los orígenes).

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ma ciò ha un suo risvolto: Dimna non ha valutato la possibilità che il toro possa stringere rapporti amichevoli col re, come di fatto avviene, e che ciò possa rivelarsi dannoso per la sua scalata sociale. È questa la ragione, l’invidia, che muove il conflitto nel III capitolo, e che spinge Dimna ad agire tempestivamente affinché la sua posizione non decada:

Et yo, parando mientes en mi fazienda, non fallé cosa que mejor me sea que guisar cómmo pierda la vida Sençeba, et que si yo lo pudiere guisar, que cobre mi estado en que era con el rey. Et quiçá será esto bien para el león, ca es[te] tan sobejano amor qu’el ha con Sençeba es cosa que le está mal, et que le travan en ella mucho, et ale de ser despreçiado (p. 142). Dimna non si ferma nemmeno quando Calila gli fa notare che il toro

è molto più forte di lui e che pertanto è impossibile che riesca a ucciderlo. Dimna controbatte, attraverso l’esempio de El cuervo y la culebra, che a sua volta contiene il racconto de La garza, las truchas y el cangrejo, a tale osservazione facendo leva sull’astuzia, che in taluni casi si rivela assai più utile della forza (Et non te di este enxenplo sinon por que sepas que las artes fazen por ventura algunas cosas que la fuerça non puede fazer, p.145).

Dimna decide di andare a parlare col re per rivelargli come il toro, a sua insaputa, complotti contro di lui:

…Senseba se apartó con los cabdillos de tus vasallos et que les dixo: –Yo he estado en conpañía del león, et prové su consejo et su valentía, et vi que era flaco, et ya ovimos entre él et yo palabras (p. 148).

Sono queste le parole che dimostrano come il toro stia tramando alle

spalle del re. Ma ancora più sottile e persuasivo è il discorso di Dimna col quale convince poi il re a uccidere il toro:

Et pues que esto me dixieron, entendí que era traidor et falso; ca lo honraste tú, et lo privaste et lo feziste tu egual; et si a ti tollere de tu lugar, a él darán el reinado. Onde non deves dexar esto, ca dizen que quando el rey sabe que algunos de sus pueblos se quieren fazer ser equales en consejo et en dignidat, et aver conpaña, mátelos, o si non, ellos matarán a él. Et yo tengo por bien que guises de escarmentar éste ante que se podere, et non lo

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detardes, ca non podrías acorrer, nin podriés vedar lo que es ende ya fecho (p. 148-49). Anche quando il re non crede che il toro stia tramando contro di lui,

Dimna si mostra sempre più incisivo sino a convincere del tutto il re. È a questo punto che consiglia al re di tenersi pronto per un eventuale attacco. Come passo successivo Dimna decide di andare a parlare col toro per aizzarlo contro il re leone. La tecnica utilizzata è la stessa già sperimentata con successo col leone: parole persuasive atte a istigare il dubbio e, di conseguenza, il desiderio di vendetta:

Denu[n]çióme el mandadero fiel et verdadero qu’el león dixo a algunos de su conpaña: –Mucho só pagado de la grandez de Sençeba, et cobdíçolo mucho comer et partir con vosotros. Et pues que esto me dixieron, entendí que era que es desconosçido et traidor, et víneme para ti por te lo fazer saber et conplir el derecho que devo, et que guises tu fazienda por tu vagar (p. 155). Le macchinazioni diaboliche e sottili di Dimna danno i loro frutti: il

leone uccide il toro e il tutto avviene sotto gli occhi sbigottiti di Calila che non può fare a meno di rimproverare Dimna per la sua mala arte. Le accuse di Calila sono molto forti, ma in ogni caso non fermano Dimna che riesce alla fine a ottenere maggiori onori e lo vede contento e soddisfatto per aver realizzato il proprio obiettivo.

La situazione prospettata nel III capitolo lascia trasparire come il comportamento del re sia stato ingiusto e superficiale giacché non ha provveduto a verificare per tempo se effettivamente il toro aveva realmente commesso tradimento. È proprio nel IV capitolo che emerge come il comportamento del re sia stato impulsivo e dettato solo dal desiderio di una vendetta presunta animata, peraltro, dalle dicerie di un consigliere invidioso. Il re, in altri termini, si è comportato superficialmente e da dittatore ed è per questo motivo che, una volta resosi conto che Dimna ha generato il conflitto, egli decide di condannarlo ma non senza prima averlo giudicato:

Et el rey non deve justiçiar por sospecho nin en dubda fasta que claramente vea la cosa, ca la sangre de grand prez es. Et yo, maguera que a çiegas

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andude en Sençeba, non quiero fazer otro tal en Digna sin prueva et sin çertitumbre (p. 182). Alla fine Dimna viene processato e muore. È qui dove si ha la

risoluzione del conflitto. In questo capitolo, che appunto si ricollega al precedente, non solo trova una giusta fine chi agisce per interesse personale, ma altresì si risolve un problema di carattere politico che vede implicato il comportamento del re in prima persona.

Sono queste le parole pronunciate dal leone stesso che si è reso conto di essersi comportato superficialmente e da dittatore, una reazione che viene condannata anche nel Sendebar dove il re Alcos decide di uccidere il figlio perché guidato unicamente dalla saña e dalle parole della moglie. I sette sapienti che narrano i racconti hanno sì il compito di ritardare la sentenza decretata dal re, ma sperano anche di convincerlo a non credere alle parole di una donna bugiarda (e qui emerge chiaramente la vena misogina del testo) e a non trasformarsi in un dittatore, quanto piuttosto ricercare la verità.

Ma non solo. Il racconto di Calila e Dimna ha altresì la funzione di insegnare a non dare fiducia alle persone che ci stanno intorno; il leone, infatti, ha sbagliato a fidarsi delle lusinghe di Dimna e a confidargli il proprio segreto, cioè di temere la voce del toro. Tale perplessità, peraltro, egli la manifesta immediatamente:

Non fize bien en fiarme en este para enbiarlo al lugar do lo enbió, ca el ome, si es de casa del rey et es por luengo tienpo desdeñado non lo mereçiendo o mezclado a tuerto, o si [es] conoçido por cobdiçioso o per maliçioso, o si es muy pobre, o si ha fecho algún gran pecado et se teme de la pena, o si es enbidioso o malo que a ninguno non quiere bien, o si es testiguado por atrevido, o si le han fecho perder lo que tenié del rey, o si era ofiçial et gelo tollieron, o si a alguno fizo falsedat et sospecharon dél o cayó en alguna culpa, o si sus iguales fueron provados por buenos et ovieron mijoría dél en dinidat et en onra, o si es de mala fe en su ley, o si ha esperança de aver algún pro o daño de sus señores, o si se teme ende, o si es contrario a los privados de los señores, a todos estos non deve el rey meter su fazienda en sus manos, nin fiar en ellos, nin segurarse (pp. 135-36).

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Dimna è bugiardo ma soprattutto risponde al tipo di uomo che ha doz fazes e de dos lenguas; in altri termini è il perfetto mesturero e mentiroso di cui chiede all’inizio del III capitolo il re Diçelem.12 Sono queste caratteristiche che provocano il disordine in seno al regno del re leone e, come conseguenza, il conflitto.

Questo, come si diceva poc’anzi, viene espresso progressivamente; se nel III capitolo il re leone si fida troppo di Dimna e col suo atteggiamento superficiale gli permette di ascendere socialmente, nel IV si assiste a una inversione di tendenza. Man mano che Dimna si rivela sempre più mesturero e mentiroso, il re, di contro, si dimostra sempre più saggio, fino a decidere di non agire come ha fatto col toro, ma di procedere alla ricerca della verità attraverso un giudizio equanime dove Dimna appaia inequivocabilmente e inesorabilmente colpevole, tanto da meritare la morte.

Nel capitolo V il conflitto vede quali protagonisti degli animali e l’uomo, dove quest’ultimo, un cacciatore, tenta di predare i primi attraverso l’inganno, ovvero una rete e del cibo così che gli animali, attratti dal grano, non si accorgono della trappola. Le implicazioni che muovono il conflitto in questo caso sono assai minime rispetto al capitolo che vede protagonista Dimna, ma d’altra parte il V capitolo è dedicato alla pura amicizia e a come i veri e leali amici si soccorrono nel momento del bisogno, sicché è la risoluzione del conflitto che occupa gran parte del capitolo. Anche lo spazio dedicato alla manifestazione del conflitto è piuttosto ridotta. Il topo e il corvo sono animali che per natura sono destinati a essere nemici dato che il primo costituisce nutrimento per il secondo. In questo modo il conflitto è quasi scritto dalla Natura (La mayor enemistad sí es de la natura, p. 206). Tuttavia il capitolo è teso a smentire tale principio, offrendo esempi di animali che pur avendo un carattere che per natura li porta a essere nemici, stabiliscono un patto di non aggressione reciproca in nome della pura amicizia, e in vista della necessità di superare una situazione conflittuale. È, infatti, l’amicizia disinteressata che permette non tanto la risoluzione dei conflitti, quanto proprio la non realizzazione di essi.

La solidarietà e l’amicizia disinteressata nel momento del bisogno, costituiscono la salvezza e la risoluzione del conflitto. Ciò che è importante evidenziare, in termini di conflitto, è che l’uomo rappresenta l’avidità mentre gli animali sono le vittime: al principio del racconto della colomba dal collare il cacciatore è un omne muy feo et de mala catadura et muy

12 M. J. Lacarra, Centística medieval en España: los orígenes, pp. 149-50.

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despojado (p. 203). In definitiva, il capitolo mette in evidenza sì l’importanza della pura amicizia, ma altresì come il conflitto sia generato a causa della diversa natura degli esseri, anche quando questi appartengono allo stesso genere (gli animali).

Le ragioni del conflitto nel capitolo VI sono invece dovute allo scontro tra i gufi e i corvi, la cui enemistad si deve al rifiuto dei secondi di eleggere un gufo quale re degli uccelli. Le motivazioni di tale rifiuto sono chiaramente espresse:

…es la más laida ave et la más fea et de peor donaire et de menos seso et la más sañuda et de menos piedat et de mayor saña; et ha grand enfermedat durable, que non vee nada de día, et lo peor della que es de mala mantenençia (p. 230). In altre parole, il gufo non rispecchia quelle caratteristiche necessarie

affinché un monarca possa governare degnamente una comunità. Gli aggettivi impiegati nel descrivere i limiti del gufo sono indicativi e si possono raggruppare in due ambiti specifici: mancanza di doti morali (brutto, peor donare, poco seso, dotato di carattere vendicativo) e mancanza di requisiti fisici necessari (non vede di giorno e non riesce a presentarsi bene fisicamente). Tra le peculiarità negative ve ne sono alcune di natura caratteriale che sono poi anche peggiori per il ruolo che è chiamato a ricoprire (…es por natura falso et engañoso et terrero, et el peor rey sí es el engañoso», p. 232).

Ora, l’aver pronunciato apertamente un veto all’elezione a re un gufo, con aperte e chiare motivazioni, ha determinato una rottura dei rapporti tra le due categorie di uccelli, nonché l’apertura di un conflitto che danneggia i corvi. Di fronte ai massicci attacchi da parte dei gufi i corvi si devono organizzare, e a tal proposito il re indice una riunione dove i maggiori sapienti della comunità sono chiamati a dare un consiglio su come risolvere la situazione conflittuale. Uno dei sapienti propone una risoluzione del conflitto che tende a risolvere in modo definitivo il problema:

…mas cuido que por arte podremos aver folgura desta lazería en que somos. Ca mucho aína pude omne aver por arte lo que non puede aver por fuerça… (p. 235. I corsivi sono miei).

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Riconosciuta la superiorità dei gufi, sia per numero, sia per forza, il sapiente corvo propone di risolvere il conflitto attraverso un escamotage; qui «arte» sta a indicare l’artificio, ovvero la furbizia che in taluni casi si rivela assai più efficace della forza. In questo modo si raffigura subito nel lettore il conflitto tra le fazioni, attraverso l’equazione:

gufi = forti / corvi = furbi

L’artificio cui si ricorre è l’inganno, ovvero fare credere ai gufi che il

corvo in questione sia passato dalla parte dei nemici. Ma, come convincerli dell’adesione all’altra comunità? Dopo essersi fatto malmenare dai suoi, viene condotto al cospetto del re dei gufi riuscendolo a convincere che egli, in quanto consigliere del re, proponeva di sottomettersi ai gufi piuttosto che combatterli o fuggire da quella terra. Convince il re, inoltre, che tale consiglio è stato letto dai corvi quale segno di tradimento e per questo lo hanno malmenato. È a questo punto che dentro la comunità dei gufi si genera un ulteriore conflitto tra i consiglieri del re, che non credono alla lealtà del corvo, e il re che, invece, decide per la sua piena assoluzione e utilità per i futuri attacchi ai corvi. La disputa avviene per mezzo di piccole narrazioni volte a dimostrare al re la necessità di uccidere l’avversario.

Una volta riuscito a penetrare nella comunità dei gufi e a essere accettato, il corvo dovrà passare al piano successivo, ovvero convincere i gufi del suo desiderio di vendetta verso i corvi. Le sue parole sono così fortemente persuasorie tanto da affermare di volersi trasformare in gufo egli stesso al fine di vendicarsi dei suoi nemici (Desí roagaré a Dios que me mude en búho por tal que me vengue de mis enemigos; et faré mi voluntad et conpliré mi saña quando me mudare en forma de búho, p. 243). Man mano che il tempo passa e il corvo permane nella comunità dei gufi, viene a conoscenza di tutti i loro segreti e obiettivi strategici che poi riferisce con successo al proprio re e agli altri corvi. Tutto ciò determina la finale vittoria di questi sui gufi.

Ora, tutto il problema del conflitto ruota intorno all’astuzia e alla sua applicazione, ma è pur vero che si affaccia quale motivo dominante del capitolo anche il problema del ruolo del consigliere del re, motivo che poi permane quale elemento costante lungo tutto il libro e che si riprende nei diversi capitoli. Il conflitto tra i gufi e i corvi scaturisce sì da ragioni precedenti, ma ora la sconfitta definitiva dei gufi è generata dall’incapacità

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del gufo re di dare ascolto ai propri consiglieri. Il capitolo dovrebbe così insegnare a mettere in pratica, e per buoni fini, l’astuzia, ma altresì a fornire un esempio di cosa può succedere nel momento in cui un re non presta attenzione ai consigli dei suoi sapienti. Non è un caso che quando il corvo ‘traditore’ ritorna nella propria comunità fa presente al proprio re che il consiglieri di quel regno erano inetti:

No fallé ninguno dellos sesudo sinon uno que consejava mi muerte. Et eran de muy flaco consejo et de mal acuerdo, que nunca pensaron en ninguna cosa de mi fazienda, aviéndoles el de buen seso consejado; et desobedesçiéronle et non entendieron su mal, nin creyeron al entendido (p. 247). Il conflitto rappresentato nel VII capitolo vede quali protagonisti una

tartaruga e una scimmia; nel momento in cui la tartaruga deve operare una scelta tra l’amicizia con la scimmia e la salvezza della moglie, entra in pieno conflitto. La scelta ricade su due opzioni: uccidere l’amico scimmia per averne il cuore, col quale curare la moglie malata, o lasciare morire la moglie e mantenere l’amicizia con la scimmia:

Èsta es muy cara cosa de aver [il cuore di scimmia], et ¿dónde podría yo aver coraçón de ximio, si non fuese el coraçón de mi amigo? Et en fazer traión a mi amigo por amor de mi muger non he ninguna escusaçión, ca el debdo qu’el omne ha con la muger es muy grande, et aprovéchase el omne della en muchas guisas. Et yo dévola más amar et non dexarla perder (p. 255).

Ma poco dopo riflette ancora: Querer matar los amigos por amor de una muger non es de las obras que a Dios plaze (p. 255). Si tratta di un conflitto interiore la cui scelta definitiva, uccidere la

scimmia, conduce la tartaruga a perdere sia l’amico, sia la moglie. Dal conflitto interiore si passa, quindi, a un conflitto tra amici.

La situazione conflittuale appare manifesta quando la tartaruga comunica alla scimmia che per salvare la moglie bisogna preparare una

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medicina a base di cuore di scimmia; è a questo punto che si apprende come la cobdiçia porti l’uomo a mal lugar e per tale ragione la scimmia dovrà trovare un espediente per uscire da una situazione pericolosa. Tutto ciò implica, ovviamente, la risoluzione del conflitto tra i due amici, e, ancora una volta, questo si risolve grazie alla furbizia di uno dei due contendenti. La scimmia, infatti, comunica alla tartaruga di essere ben disposta a dare il suo cuore per risolvere il problema dell’amico, sulla base del principio che

el leal amigo non deve encubrir a su amigo su buen castigo nin su pro, maguer que le faga dapño (p. 258).

Se la scimmia avesse saputo delle necessità della tartaruga avrebbe

portato con sé il proprio cuore che invece ha lasciato al suo villaggio:

Avemos por ley todos los ximios que, quando alguno sale de su posada, que dexe ý su coraçón. Enpero si tú quisieres, traértelo he yo del lugar do es, si me tornares allá (p. 258). Grazie a questo escamotage la scimmia riesce a tornare sull’albero e

a salvarsi. Ancora una volta è la furbizia che mette in salvo l’individuo dal pericolo, e ancora una volta è la parola convincente a risolvere il conflitto.

Nel caso del capitolo IX il conflitto vede quale protagonista un topo che essendo accerchiato da animali minacciosi chiede aiuto a un gatto che a sua volta si trova imprigionato in una rete. Il topo si trova accerchiato da altri animali, e comprende che per sfuggire da tale impasse non gli resta che chiedere aiuto al gatto pur essendo questo un nemico per natura:

Et yo he pensado et non fallo otra arte por que estuerça deste mal sinon pedir tregua al gato et ganar su amor; ca él está en grant cuita, que lo non puede otro librar sinon yo. Et por ventura darme [ha] el gato tregua por su pro, et yo otrosí escaparé por él deste mal a que só llegado (p. 268). Il topo trovatosi in una situazione di stallo comprende che deve agire

sulla furbizia per risolvere il conflitto, deve cioè ricorrere all’ingegno. E così di fatto succede, sebbene anche in questo caso, come in altri,

si manifesta sempre il dubbio circa la lealtà del prossimo. Il gatto, infatti, non è sicuro che una volta che il topo rosicchi la rete per liberarlo continui a

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farlo anche quando gli animali che lo minacciavano si mettono in fuga. In ogni caso la situazione conflittuale che si era venuta a creare viene risolta positivamente. Essa viene praticamente prospettata sotto forma di conflitto che vede quali protagonisti una serie di animali che per natura sono rivali e si nutrono gli uni degli altri. Tale situazione può essere così prospettata:

gatto (nella rete) => topo (sotto la rete) => altri animali (pronti ad assalire il topo).

Il tipo di relazione raffigurata nel racconto mette l’accento

sull’impossibilità di fuga e salvezza del topo e del gatto, a meno che questi non si alleino. In questo caso il conflitto per così dire ‘naturale’ gatto-topo viene stravolto dalla situazione contingente, determinandosi invece una raffigurazione bipartita che vede da una parte il gatto e il topo alleati, e dall’altra gli altri animali:

gatto-topo / altri animali.

È proprio tale ribaltamento che consente la risoluzione del conflitto, e, ancora una volta, come già anticipato, sono la furbizia e la parola convincente a costituire il motore risolutivo del conflitto. I termini del discorso del gatto risultano convincenti sulla base di un ragionamento persuasivo che è tale non solo perché mette bene in evidenza, con concretezza estrema, la situazione di stallo, ma anche perché è tutto giocato sul sapiente uso dei pronomi yo e tú coi quali si visualizzano perfettamente le parti avverse:

Dixo el mur: –Non te mentiré, ca el mentir es cosa aborresçida; et por ventura bien querría yo que fueses en mayor estrechura et que llegase el tienpo de la tu muerte; mas es acaesçido tanto de mal, que me non plaze porque estás así; et non es ninguno que mejor me pueda librar desto en que estó et deste tan grant peligro en que estó salvo tú. Et tú, otrosí, non ay ninguno que mejor te pueda librar desto en que estás que yo; ca yo estó en reguardo del lirón et del búho que me están aguardando; et yo estó flaco, que me les non podré anparar. Et si tú me segurares de ti mesmo, et me fueres fiador de me librar de los otros que me tienen çercado, librarte he yo desto en que estás, et estorçerás desta prisión. Et plégate desto, et ayúdame

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a librar a mí et a ti; ca así commo yo quiero tu vida por razón de la mía, otrosí tú deves amar mi vida por razón de la tuya… (p. 268-69). La logica convincente, come si vede, fa leva sulla contingente

necessità che spinge i due animali, nemici per natura, a stringere un’alleanza, una sorta di reciproco patto di non aggressione, al fine di risolvere una situazione conflittuale dannosa e sconveniente per entrambi.

Il conflitto che vede quali protagonisti l’uccello Catra e il re, nel capitolo X, è determinato da un episodio alquanto singolare e che nel testo non trova una reale motivazione. Il rapporto tra i due personaggi è in principio ottimo e improntato alla fiducia reciproca. Hanno rispettivamente un figlio, giovani che crescono insieme fraternamente. Catra aveva l’abitudine di andare nel bosco per raccogliere dei frutti che portava a entrambi. Tale episodio, in sé poco funzionale alla diegesi e alla morale della narrazione, sottolinea invece l’armonia delle relazioni tra i personaggi, nonché l’affetto con cui Catra alleva il proprio figlio e il figlio del re. La rottura di tale equilibrio e l’apertura del conflitto avviene nel momento in cui il figlio del re uccide, accidentalmente, il figlio dell’uccello Catra.

Et acaesçió un día que, mientra Catra fue a buscar aquellos dos frutos, entró su fijo a una casa do tenía el fijo del rey sus palominos. Et quando vio entrar ende al fijo de Catra, pesóle et ensañóse, et tomólo, et dio con él en tierra, et matólo (p. 273). L’episodio viene narrato in modo tale che l’evento appaia quasi

improvviso; la sua ingiustificatezza è sottolineata proprio da quell’acaesçió che spezza la linearità degli avvenimenti rompendo l’equilibrio delle relazioni tra i protagonisti.

Dopo che l’amicizia tra il re e l’uccello Catra finisce, il primo tenta di convincere il secondo a ritornare a corte e a ripristinare gli antichi rapporti, ma Catra si rifiuta. Inizia, così, una diatriba verbale che vede i due protagonisti assumere due posizioni del tutto opposte sulla base di una visione distinta dettata dalla situazione contingente. Mentre il re è convinto della possibilità di ripristinare gli antichi rapporti, visto che ormai Catra si è vendicato rendendo il figlio del re cieco, questi è invece persuaso dell’impossibilità di riprendere l’amicizia:

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Las malas voluntades han muy apoderados lugares en los coraçones, así que la lengua non dize lo que es en el coraçón con verdat, et el coraçón afirma et testigua más derechamente lo que está en el otro coraçón que la lengua; et mi coraçón non testigua lo que vee tu lengua (p. 274).

L’impossibilità di una rinnovata amicizia si deve alla presenza

dell’odio nel cuore del re che in ogni caso ha subito un torto:

…el omne de buen acuerdo non se deve asegurar en aquel con quien está omiziado. Et el omne de buen consejo témese de las artes et de los engaños, et sabe que muchos omnes ay que degüellen los ganados que crían, et comen sus carnes (p. 275). Sono queste le ragioni che spingono Catra ad allontanarsi

definitivamente dal re; egli non solo non crede nella possibilità di una riprisinata e rinnovata amicizia, ma soprattutto non crede nelle parole del re perché non sono spontanee, ma sono solo raggiri verbali (come quelli di Dimna e del corvo) attraverso i quali tenta di persuaderlo per vendicarsi nuovamente.

Ora è evidente che l’accento posto da Catra sul potere della parola rispetto al sentimento del cuore ci fa capire come il conflitto di questo specifico caso, ma altresì di tanti altri prospettati nel Calila, sia determinato da un evento piccolo e insignificante in sé ma sul quale poi si costruisce una diatriba verbale dalle proporzioni gigantesche.

È la parola, infatti, ad assumere la funzione di arma del conflitto. Il racconto del capitolo XI ripropone un conflitto; o meglio la

possibilità di raprire un conflitto. Dopo che il poderoso re dell’India ha un sogno strano non chiama i suoi privados e i suoi consigliere per chiedere loro il significato della visione, bensì i sapienti degli Albarhaminun, gente de una seta que él avía estroído et perseguido tanto, que los avía estragado, et echado de sus tierras, et muerto muchos dellos (p. 281). Questi vedono la possibilità di vendicarsi:

Este rey ha matado de nos más de doze mill personas, et ha destruido nuestra ley, et ha muerto nuestros saçerdotes, et agora descubriónos su poridad et avemos fallado carrera cómmo nos podamos vengar dél. Et seamos todos de un consejo, que le metamos miedo et que le soltemos el

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sueño a nuestra guisa; et el miedo le fará fazer quanto nós quisiéremos et dixéremos (p. 281).

Si mette in evidenzia il grande errore commesso dal re, ovvero l’aver

rivelato la sua poridad a persone non fidate, e questo può costituire ragione di debolezza. D’altro canto i malvagi sapienti trovano in questa occasione l’opportunità di prendere in mano la situazione e gestire la debolezza del re per il proprio interesse. Il conflitto, quindi, non è del tutto assopito, ma piuttosto si riapre. Il testo arabo è ancora più indicativo perché pur tramando i sapienti contro il re, essi affermano con piena consapevolezza di dover usare un linguaggio aspro13 attraverso il quale poter tenere in mano il re e, quindi, vendicarsi. Ancora una volta l’arma del conflitto è la lingua.

Ovviamente i sapienti nemici interpretano il sogno in termini negativi, presagendo momenti infausti per il re e il regno. Se egli, tuttavia, volesse superare tali momenti, è costretto a uccidere la moglie Helbed, il figlio Genbir, nonché il nipote e il migliore e più saggio dei suoi consiglieri, Belet. A tali richieste il re rimane assai perplesso, ma i sapienti nemici non si fermano, ma piuttosto tentano di convincerlo:

Señor, si te tú non enseñares, fazerte hemos saber que lo que tú dizes non es derecho, mas es yer[r]o en amar tú a otrie más que a ti mesmo. Sabes, tú, que en seyendo tu reino en tu poder cobrarás tus amigos, et ellos non podrán cobrar a ti. Pues oye lo que te dezimos, et créenos, et faz lo que te mandamos, et mueran tus bien querientes por que tú estuerças, ca otros podrás aver después en canbio dellos. Et si tú los dexas, et dexas a ti perder, nunca avrá canbio de ti (pp. 282-83. I grassetti sono miei).

Il discorso persuasivo punta essenzialmente sull’egoismo del

monarca che di fatto uccidendo le persone a lui care le può facilmente sostituire, mentre i sapienti nemici fanno chiaramente intendere al re come lui sia insostituibile. La tecnica dell’offensiva del conflitto punta pertanto sia sull’aspetto morale sia sull’aspetto linguistico. Il gioco dei pronomi è chiaro in questo senso: il reiterato uso di tú, accompagnato da un uso

13 Cito dalla traduzione italiana curata da edizione A. Borruso e M.

Cassarino, Ibn al-Muqaffa’, Il libro di Salila e Dimna, Salerno Editrice, Roma, 1991, p. 197.

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altamente enfatico dell’aggettivo tu, non fa che sottolineare la centralità del monarca.

A tutto ciò segue poi il conflitto interiore del monarca caratterizzato da una serie di interrogative che mettono in risalto l’atroce dubbio instillato nel personaggio circa il comportamento da adottare in seguito ai consigli ricevuti. Già per il solo fatto di non mutare in azione i consigli lascia intendere la buona natura del monarca:

¿Quál destas cosas me será más fuerte: desanpararme a muerte o matar a mis amigos? ¿Quánto es lo que yo puedo aver en mi regño, ca yo non puedo bevir siempre? ¿Et cómmo avré yo alegría et plazer quando yo no viere a Helbed, mi muger, et a Genbir mi fijo, et al fijo de mi hermana? ¿Et cómmo podré fincar en mi regño si mi privado Belet muere, et el sabio Cainerón, et el cavallo corredor et los elefantes? ¿Et non avré vergüença de me llamar rey, perdiendo yo aquestos? ¿Et cómmo beviré después de ellos? (p. 283).

La moglie, spinta da Helbed, il consigliere fidato del re che si è

accorto delle ambasce del suo signore, cerca di estorcere al marito le ragioni delle sue afflizioni. Venuta a sapere di cosa si tratta si dice disposta a sacrificarsi per il regno e per il suo re, ma gli ricorda di non fidarsi degli Albahamiud, di non consigliarsi con essi, e, soprattutto,

…que non mates a ninguno arrebatadamente, porque después non te arrepientas; ca non podrás resuçitar al que matares (p. 285).

Si tratta di un principio che ritroviamo anche nel Sendebar e che

abbiamo riscontrato anche nel IV capitolo del Calila: un re non deve prendere decisioni affrettate quando si tratta della vita dei suoi sudditi, ma deve cercare la verità e ponderare tutte le situazioni.

È questa la mesura, la qualità più importante che deve avere un monarca, senza la quale da re giusto si trasformerebbe in dittatore, soprattutto in situazioni di conflittualità. Per tale motivo gli ricorda di consultarsi con i suoi fidati consiglieri.

La fretta nel prendere una decisione in situazioni conflittuali, seppur minime, si ripete in un altro episodio del racconto, quando si determina uno screzio tra il re e la moglie Helebet. In seguito a tale screzio il re decide di

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farla morire per aver insultato il re, ma il fidato Belet preferisce evitare di eseguire gli ordini del monarca perché dettati dalla saña, quella stessa rabbia che avrebbe potuto uccidere il figlio del re del Sendebar se i sette sapienti non avessero ritardato l’esecuzione attraverso i racconti. In altri termini, come lo stesso fidato Belet afferma, non deve el rey fazer las cosas apresuradamente (p. 290). Il racconto che gli narra, El palomo y su hembra, definisce ancora meglio questo comportamento, non solo perché alla fine i protagonisti riflettono perfettamente la situazione del re e di sua moglie (la colomba maschio uccide la colomba femmina per non crederla), ma perché esso viene accompagnato dalla riflessione di Belet che sancisce un principio che poi regge sia il racconto di Calila e Dimna (capitoli III e IV), sia il Sendebar:

Et quien es sabio non se deve apresurar a fazer la justiçia o la pena, mayormente en la cosa que se puede arrepentir (p. 292).

Tale principio richiama un po’ tutto il motivo principale del capitolo,

teso a dimsotrare come tra le virtù che un re deve avere la più importante sia la mesura. Il re Çederano non splende per misura certamente perché mostra un comportamento smodato quando è sottoposto a una situazione conflittuale. In cambio la misura permette sempre di vedere le cose con una obiettività che non consente al re di essere eccessivo nei giudizi e gli reca onore. In una condizione in cui i rapporti sociali sono impostati a partire da delicati equilibri politici, come una corte reale, la smodatezza del monarca può costituire la sua debolezza e il punto nevralgico di qualsiasi conflitto. Laddove un monarca non è in grado di risolvere il conflitto deve fare affidamento sui consiglieri fidati. È questo, in pratica il messaggio che il filosofo vuole mandare al re nella cornice narrativa:

Sepas que la cosa con que deve el rey guardar su reino et sostener su poder et honrar a sí mesmo sí es mesura. Ca la mesura guarda la sapiençia et la honra. Et la materia de la onra es aconsejarse con los sabios et con los entendidos, et fazer su obra de vagar. Et la más santa obra et la mejor para cada uno es la mesura, quanto más para los reyes, que propiamente se deven consejar con los sabios et con los fieles, por tal que le[s] departen el buen consejo et gelo muestren, et que los ayuden con la nobleza de coraçón. Ca el omne, maguer sea esforçado et escorrecho et non oviere

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mesura et fueren sus consegeros menguados de seso, maguer que la ventura le guise bien sus cosas et lo meta en alegría et en plazer et en vençimiento et en gozo, non puede ser que a arrepentimiento et a peligro non torne; ca la ventura es raíz de las cosas, et es apoderada en ellas (pp. 279-80). Il conflitto del capitolo XIV vede ancora implicati dei personaggi

che muovono azioni a partire dall’invidia. Da una parte abbiamo un re leone che chiede a un santo e mesto sciacallo di fare parte della sua cerchia di consiglieri, in virtù della sua vita ritirata; dall’altra vi sono i consiglieri del re gelosi dell’amicizia sempre più stretta che intercorre tra il leone e lo sciacallo. Come si vede, si tratta di un conflitto socio-politico non nuovo nel Calila, già rappresentato nei capitoli III e IV da Dimna. Il conflitto si apre a partire dalla strategia degli invidiosi. In questo caso tali personaggi vogliono mettere in cattiva luce lo sciacallo nascondendo nella sua tana un pezzo di carne del leone. Nel momento in cui il re cerca il suo cibo uno dei consiglieri gli comunica che questo è stato rubato dallo sciacallo:

Commo vasallo leal, non puede ser que le non fagamos saber al rey su dapño o su pro, maguer que le pese. A mí fue dicho que el lobo çerval llevó aquella carne a su casa (p. 309).

Ancora un volta le modalità del conflitto sono dettate dall’astuzia e

dalla parola quale arma. Altri consiglieri, infatti, pronuncieranno brevissime frasi volte ad accusare lo sciacallo, fino a quando il re non si convince che quello che essi dicono sia la verità.

La narrazione segue lo stesso percorso già visto nel capitolo IV, e non è da escludere che proprio questo capitolo abbia potuto ispirare Ibn al-Muqaffa’ per la redazione del capitolo IV in cui Dimna viene giustiziato. Anche qui, infatti, troviamo la madre del re leone che rimprovera il figlio per aver emesso la sentenza di morte dello sciacallo troppo frettolosamente, un comportamento riprorevole nel momento in cui la corte si trova a dover giudicare uno dei suoi più fidati consiglieri. Anche in questo caso, è la parola convincente a rendere giustizia, oltre a ferire e a condannare; la madre del leone infatti difende lo sciacallo con validi ragionamenti di una logica eccellente che dal caso specifico porta ad assiomi di carattere generale (in genere è questo il procedimento didattico del Calila).

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Il conflitto viene risolto grazie alla lucidità del re che non solo restituisce la libertà allo sciacallo, ma lo riabilita nel luogo di responsabilità precedentemente avuto, motivo per cui un monarca, una volta riconosciuta l’abilità dei suoi consiglieri, li deve valorizzare.

***

Dalla disamina sin qui effettuata appare chiaro come buona parte dei

racconti del filosofo siano incentrati a mettere in evidenza delle situazioni conflittuali; non tutti i capitoli, però, rappresentano dei conflitti. Laddove ciò emerge il conflitto viene tratteggiato in tutte le sue manifestazioni, sicché è possibile tracciare una sorta di tipologia, con i limiti che una tipologia implica, della rappresentazione dei conflitti all’interno del Calila:

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Conflitto interpersonale Capitolo III

Capitolo VII Capitolo IX Capitolo X

Capitolo XIV Conflitto intragruppo Capitolo XI Conflitto intergruppo Capitolo V

Capitolo VI

È chiaro che in taluni casi i singoli capitoli possono presentare delle situazioni nelle quali si delineino più tipi di conflitto, come il caso del capitolo VI dove lo scontro tra i corvi e i gufi rientra certamente nell’ambito di una conflittualità tra categorie di animali diversi, ma al tempo stesso si tratta di un conflitto tra membri di uno stesso gruppo definibile come «animali».

Và poi precisato che una volta che si descrive come si genera il conflitto, questo non sempre si manifesta in scontro armato; anzi, sono piuttosto rari i casi in cui nel Calila e Dima i conflitti si tramutano in vere e proprie guerre. A parte il caso del conflitto tra gufi e corvi del capitolo VI, negli altri casi siamo dinanzi a scontri che vedono implicato più l’aspetto morale che non quello propriamente fisico. Da ciò deriva anche la scarsa descrizione delle azioni conflittuali, e anche quando queste sono menzionate non notiamo una perizia descrittiva nel ritrarre le parti avverse, quanto piuttosto brevi cenni, rapidi e veloci. È, ad esempio, il caso della descrizione dell’assalto del leone a Sençeba:

Et saltó el león a él et lidiaron muy fuertemente, atanto que corrían amos sangre. Et mató el león a Sençeba, et paróse aparte muy triste et con grant pesar pensando (p. 168).

O nel caso dello scontro tra le colombe e il cacciatore del capitolo V:

Et armó el caçador su red et esparzió ý trigo et echóse en çelada ý çerca. E a poca de ora pasaron por ý unas palomas que avían por cabdillo et por señora una paloma que dezían la collorada. Et vio la collarada e trigo et non vio la red, et posó ella et todas las palomas et traváronse en la red. Et

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vino el paxarero muy gozoso por las tomar, et començaron las palomas a debatirse cada una a su parte, et punavan por estorçer (p. 203). O, infine, nel caso dello scontro tra il figlio del re e il figlio

dell’uccello Catra nel capitolo X: Et acaesçió un día que, mientra Catra fue a buscar aquellos dos frutos, entró su fijo a una casa do tenía el fijo del rey sus palominos. Et quando vio entrar ende al fijo de Catra, pesóle et ensañóse, et tómolo, et dio con él en tierra, et matólo (p. 273). Come si può notare dagli esempi riportati, l’azione che porta al

conflitto è rapidissima e descrittivamente connotata da una serie di congiunzioni che ne rende più veloce la descrizione.

In altre parole, il testo circoscrive il conflitto nell’ambito del sociale e, anche qui, con le debite distinzioni secondo i casi rappresentati. Vi sono, infatti, dei casi in cui il conflitto rappresentato vede quale scenario la corte con la sua vita sociale (come nei capitoli III, IV, X, XI); in altri, invece, il conflitto ha per protagonisti comunità diverse (capitoli V, VI) oppure singoli individui. In ogni caso, è l’ambito sociale, sono le relazioni interpersonali, che provocano dei conflitti.

Il mettere tanto l’accento sull’ambiente sociale quale motore del conflitto è senz’altro parte delle finalità del libro, tutto teso a mostrare modelli di comportamento nella vita di corte dove regnanti, consiglieri, relazioni amicali e quant’altro, sono fondamentali nel determinare le relazioni umane.

Il conflitto, pertanto, viene rappresentato più nel suo aspetto strategico e gestionale piuttosto che nella sua narratività. La rappresentazione del contrasto si concentra quindi sulla strategia e sulla gestione della situazione conflittuale ma non tanto attraverso una tecnica descrittiva resa a narrare il conflitto in sé, quanto attraverso i dialoghi; questi, infatti, mettono a fuoco le dinamiche relazionali tra i personaggi e soprattutto insegnano al lettore cosa succede nel momento in cui si determina un conflitto. La narrazione è pertanto tesa a soffermarsi su come gestire il conflitto non tanto attraverso gli atti, quanto attraverso la parola intesa quale arma persuasiva.

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Infatti, sia quando vengono rappresentate situazioni in cui è lo spazio sociale della corte ad essere minacciato dall’azione di un personaggio ‘negativo’, sia quando si tratta di un conflitto che vede protagonisti solo due personaggi o personaggi di una più generica comunità, la parola diventa l’arma scatenante. Dimna, gli Albarhaminum, i corvi, sferrano i propri attacchi a partire dall’astuzia; questa, poi, si materializza non tanto in un’azione concreta, quanto in una parola che è in grado di destabilizzare e alterare pesantemente l’ordine sociale, ed è proprio nel momento in cui tale ordine si sgretola che si apre il conflitto.

L’attenzione posta sulla capacità di esprimersi, nel bene e/o nel male, dà al lettore la possibilità di apprendere quanto sia importante saper cogliere dietro la parola le intenzioni dei dialoganti. Dimna, per esempio, nel tentativo di seminare zizzania tra Sençeba (il toro) e il re (il leone) fa notare a quest’ultimo che il suo più fidato consigliere potrebbe anche tradirlo per mezzo di altri. A tale proposito esemplifica il proprio pensiero attraverso il racconto de El piojo y la pulga col quale dimostra che El mal omne sienpre está aparejado para ferir (p. 153). Sono queste parole che spingono il re adaprire il conflitto contro Sençeba, tanto che si afferma: Et al león cayóle esta palabra en el coraçón (p. 153)

La rappresentazione del conflitto, nonché la sua risoluzione, attraverso la parola costituisce uno degli aspetti più interessanti del Calila. L’attenzione posta sulla capacità di esprimersi, nel bene e/o nel male, dà al lettore la possibilità di apprendere quanto sia importante saper cogliere dietro la parola le intenzioni dei dialoganti. Un simile insegnamento si collega con le intenzioni espresse chiaramente da Ibn al-Muqqaffa’ in apertura del libro, quando appunto fornisce al lettore gli strumenti necessari per saper leggere il libro. È qui, infatti, che Ibn al-Muqqaffa’ spiega le ragioni per cui un libro come il Calila sia sommamente interessante; le storie del libro, infatti, vengono narrate sotto forma di enxenplos e semejanças per tre ragioni:

la primera, que los fallaran usados en razonar, et trobáronlos según que lo usavan para dezir encobiertamente lo que querían, et por afirmar buenas razones; la segunda es que lo fallaron por buena manera con los entendidos por que les crezca el saber en aquello que les mostraron de la filosofía, quando en ella pensavan et conoçían su entender; la terçera es que los fallaron por juglaría a los diçípulos et a los niños (p. 90).

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I conflitti che vengono narrati nei diversi capitoli, pertanto, servono

a prospettare al lettore delle situazioni possibili e concrete, in risposta, come si diceva prima, ai quesiti di natura generale e teorica del re Diçelem. La parola encobierta, quindi, non è solo la cifra di lettura del testo, ma è anche la misura del comportamento dei personaggi delle narrazioni i quali esprimono encobiertamente lo que querían. Ecco perché l’elemento narrativo diventa preminente nel Calila, e ancor più nella rappresentazione dei conflitti; come già osserva Pietro Taravacci per il Sendebar, le storielle di Burduben si ricollegano al problema posto da re ma in modo allusivo, e sarà il lettore a dovere trasporre sul piano concreto le situazioni narrate.14

Non mi sembra nemmeno tanto casuale che la rappresentazione del conflitto avvenga sulla base di una narrazione dove lo scontro tra le parti avverse, il contrasto tra le fazioni e i singoli personaggi, si esprima attraverso una marca verbale quale contra. Vediamo qualche esempio:

Et desque hobo acabado Dymna de decir al león lo que habié sabor, et le hobo homiciado contra Senceba, guisó de se ir a Senceba por le homiciar con el león, e facerle saber todo el fecho en cómo habié el león en corazón de le matar; et con su mala artería guisó como fuese con mandado del león, porque si por ventura el león sopiese como él hobiese fablado con Senceba que non sospechase, en manera que se non descobriese la grande enemiga que él guisaba (cap. III, Il grassetto è mio). «Denuncióme un mandadero fiel e verdadero que el león dijo a alguno de su compaña: «Mucho me pago de la gordura de Senceba, et segunt que yo entiendo non puedo excusar de le non comer, ca lo he menester, porque vos quiero dar dél a yantar a una fiesta honrada la primera que venga.» Et después que me esto dijeron, entendí que es desconocido e traidor contra ti, et víneme para ti por te lo facer saber et complir el derecho que te debo, et porque guises tu facienda con tiempo.» (cap. III). Et desque acabó Dymna de enlizar al buey contra el león e al león contra Senceba, fuese para su hermano Calila (cap.III).

14 P. Taravacci, Introduzione a Sendebar. Il libro degli inganni delle donne,

p. 25.

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Et pues yo vengo a ti a te pedir tu amor e tu gracia, non me debes enviar vago, ca me ha parecido de ti grant bondat e buenas costumbres, et maguer que tú non quesiste mostrar esto de ti, el home bueno non se encubre su bondat, maguer él la encubra e la esconda cuanto pueda, así como el musgo, que maguer es cerrado e sellado, por eso non deja su olor de recender; pues non mudes contra mí tus costumbres nin me viedes tu amor.» Dijo el mur: «La mayor enemistad es aquella de natura, et es en dos maneras: la una es igual, así como la enemistad del elefante con el león, ca a las veces mata el elefante al león, et a las veces el león mata al elefante; et la otra es en daño de la una de las partes contra la otra, así como la enemistad que es entre mí e ti. Et esta nuestra enemistad non es por daño de mí contra ti, mas por la mal andanza que nos fue prometida en parte que hobiésemos nos enemistad de natura; e la paz e la tregua del que algo ha menester, las más veces en enemistad se torna, e non debe home fiar en su tregua, nin ser engañado en ella, ca el agua, maguer sea bien caliente por él fuego, non deja por eso de lo amatar, si de suso le echan; et seguramente tal es el que face amistad con su enemigo, como el que lieva la culebra en su seno, que non sabe cuándo se le ensañará et lo matará; et nunca se consuela el home entendudo de la amistad del que lo ha menester, mas antes se aparta dél et le esquiva, si su enemigo de natura es.» (cap. V).

«Mas tengo por bien de dejar nuestros logares et sofrir extremedat e vida lazrada, que es mejor que non aviltar nuestro linaje et someternos a nuestros enemigos; que somos más nobles que ellos, et aun sé yo bien que, maguer que les pidiésemos paz o tregua, non nos las rescebirán salvo con grandes posturas et a grant deshonra e mengua nuestra; ca dice un sabio: dale a tu enemigo algunt poco, e habrás dél lo que quisieres; mas non le des todo, ca se atreverá contra ti, et non te tendrá en nada.» (cap. VI).

L’uso di «contra» accompagnato dal nome di una persona oppure da

un pronome attesta la necessità di visualizzare quanto più chiaramente possibile le parti avverse. Ora, se partiamo dal presupposto che il Calila, così come il coevo Sendebar, riflette le direttive ideologiche della monarchia della metà del XIII secolo, appare chiaro come la rappresentazione del conflitto diventi il tema portante della collezione. Come ha giustamente rilevato Marta Haro Cortés, il Calila non è solo una «prosa de ficción», ma è un’opera che suscita un profondo interesse per il

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suo contenuto sapienziale destinato alla formazione pratica e spirituale dell’individuo. Il fruitore del XIII secolo è portato così a vedere riflesso nei racconti di Burduben le possibili reali situazioni che si determinano, o possono determinare, a causa dell’invidia e della menzogna. La conflittualità rappresentata, quindi, è da evitare, e per tale ragioni il testo ne sottolinea i risvolti negativi, pur prospettando le soluzioni.

Ma se da una parte la conflittualità rappresentata viene dipinta negativamente, ed è da evitare, il testo offre altresì degli spunti di riflessione positivi circa la risoluzione dei conflitti illustrati, nonché le modalità di comportamento da seguire per il lettore «entendido».

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