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UNIVERSITA’ DI PISA DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia TESI DI LAUREA LA RADIOEMBOLIZZAZIONE NELL’EPATOCARCINOMA: PROBLEMATICHE TECNICO METODOLOGICHE E PRIMI RISULTATI Relatore Chiar.mo Prof. Carlo Bartolozzi Candidato Luigi Giorgi Anno accademico 2012/2013

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN

MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA

LA RADIOEMBOLIZZAZIONE NELL’EPATOCARCINOMA:

PROBLEMATICHE TECNICO METODOLOGICHE E PRIMI

RISULTATI

Relatore

Chiar.mo Prof. Carlo Bartolozzi

Candidato

Luigi Giorgi

Anno accademico 2012/2013

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INDICE

Riassunto

Cap. 1: Epatocarcinoma

1.1 Epidemiologia e fattori di rischio

1.2 Prevenzione

1.3 Sorveglianza

1.4 Diagnosi

1.5 Stadiazione e prognosi

1.6 Opzioni terapeutiche

Tabelle capitolo 1

Cap. 2: La Radioembolizzazione

2.1 Indicazioni

2.2 Procedura

2.3 Aspetti di radioprotezione

2.4 Complicanze

2.5 Follow up e valutazione della risposta radiologica

2.6 Risultati

Cap. 3: Università di Pisa: esperienza preliminare

Tabelle capitolo 3

Bibliografia

Ringraziamenti

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RIASSUNTO

L‟epatocarcinoma è uno dei pochi tumori la cui incidenza continua ad essere in aumento; il 50-70%

degli HCC sono diagnosticati in fase intermedia-avanzata e quindi non suscettibili di terapia

radicale ponendo notevoli problematiche per il trattamento di questi pazienti.

La Radioembolizzazione con Ittrio90

fa parte delle terapie loco regionali per il trattamento dei

tumori epatici, indicate in pazienti in stadio intermedio e avanzato.

E‟ una procedura in cui vengono iniettate tramite un accesso percutaneo,per via intra-arteriosa,

particelle embolizzanti caricate con un radioisotopo. Le microsfere caricate con il radioisotopo

Ittrio90

β emittente puro, vanno a localizzarsi preferenzialmente a livello del microcircolo tumorale,

dove esplicano la loro funzione.

Attualmente esistono due tipi di dispositivi in commercio per il trattamento: SIR-Spheres®

e

TheraSphere® le quali presentano importanti differenze dal punto di vista dell‟utilizzo e delle

proprietà fisico-chimiche.

Numerosi studi in letteratura dimostrano come la crescita tumorale delle lesioni trattate si è arrestata

in più del 90% dei pazienti, risultando in un tasso di controllo di malattia compreso tra 77% e 90%.

La progressione dopo radioembolizzazione è quasi sempre il risultato di nuove lesioni sviluppatesi

all‟interno o all‟esterno del fegato.

Confrontata con la chemioembolizzazione o con il Sorafenib presenta risultati equivalenti con

buona tollerabilità del paziente. Data però la mancanza di studi clinici prospettici di confronto tra

questi trattamenti, le indicazioni alla TARE non sono ancora state definite.

La procedura di radioembolizzazione con Y90 (TARE) è stata attivata presso la nostra Azienda

Ospedaliera Universitaria nel Marzo 2012. Nel primo anno di attività sono stati trattati sia pazienti

con tumori epatici primitivi (HCC e colangiocarcinoma) sia pazienti con lesioni epatiche

metastatiche.

Scopo di questa tesi è di presentare i risultati del primo anno di attività nell‟ambito di pazienti con

HCC.

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Risultati: Considerando la risposta complessiva a 3 mesi secondo i criteri mRECIST, sono stati

osservati 1 (7,6%) caso di risposta completa, 8 (61,4%) casi di risposta parziale, 2 (15%) casi di

stabilità di malattia e 2 (15%) casi di progressione tumorale per la comparsa di nuove lesioni. Il

volume tumorale vitale è risultato ridotto in 12/13 (92,3%) casi, con un caso di minimo incremento

volumetrico; la riduzione media del volume tumorale vitale è stata del 68,2% ± 26,6 (range, 19-

100%).

La durata media del follow-up è stata di 7 ± 3 mesi (mediana 7,3 mesi). All‟ultimo follow-up (30

giugno 2013), sono stati registrati 3 decessi (3/13, 23,1%),

mentre i restanti 10 pazienti (76,9%) sono tuttora in follow-up.

Conclusioni: La nostra esperienza preliminare, in accordo con i dati della letteratura, conferma la

sicurezza del trattamento di radioembolizzazione epatica in pazienti con HCC e la sua efficacia in

termini di controllo locale di malattia. Può rappresentare pertanto una valida opzione terapeutica in

pazienti in stadio intermedio di malattia con controindicazioni o non rispondenti alla TACE e in

pazienti in stadio avanzato che presentino localizzazione prevalentemente epatica con trombosi

portale neoplastica che non raggiunge l‟ilo epatico.

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Capitolo 1

EPATOCARCINOMA

1.1 Epidemiologia

Nel mondo il carcinoma epatocellulare (HCC) è la seconda causa di morte per cancro negli uomini

e la sesta nelle donne, e fra tutti i tumori epatici primitivi esso rappresenta il principale sottotipo

istologico (80-90%). La sua incidenza è di circa 750,000 nuovi casi/anno ed è uno dei pochi tumori

per cui è stato osservato un aumento dell'incidenza nel corso degli anni1,2

.

Essa però mostra delle notevoli variazioni in base all'età e soprattutto all'area geografica considerata,

probabilmente in relazione con la diversità dei fattori eziologici implicati (fattori genetici,

alimentari ed infettivi).

Negli Stati Uniti, Australia e Nord-Europa la sua incidenza è inferiore a 5 casi/100.000 abitanti,

mentre risulta più elevata in Africa ed Asia, con un‟incidenza di 20-28 casi/100.000 abitanti per

anno3

.

In Italia, la morbilità per HCC è di 10-12 nuovi casi/100.000 abitanti/anno con mortalità annua di 8

decessi/100.000 abitanti4

.

Recenti studi hanno dimostrato come l'incidenza continua ad essere molto simile al tasso di

mortalità e questo indica che nella maggior parte dei pazienti con HCC esso sia proprio la causa di

morte.

Nonostante ciò, il tasso di sopravvivenza a cinque anni negli Stati Uniti è leggermente aumentato

(26%) grazie al miglioramento delle tecniche di identificazione e sorveglianza dei pazienti ad alto

rischio e delle opzioni terapeutiche disponibili5

. I dati riguardanti l'incidenza geografica dell'HCC

sono riportati in figura 1.

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Figura 1: riprodotta da N Engl J Med 2011, 365;12: 1118-1127.

1.2 Eziologia

Nella maggior parte dei casi l'HCC si sviluppa in pazienti con una pre-esistente patologia cronica

epatica come la cirrosi, indipendentemente dalla sua eziologia. Oggi le principali cause di cirrosi

sono le epatiti virali, nei paesi dove esse hanno una alta incidenza, l'abuso di alcool e la

steatoepatite non alcolica (NASH) nei paesi sviluppati.

Fattori di rischio di minore importanza risultano essere l‟emocromatosi, la cirrosi biliare primitiva,

il deficit di α1-antitripsina e l'esposizione a tossici come l'arsenico, il cloruro di vinile e l'aflatossina

B1.

I virus epatotropi maggiori HBV e HCV sono la causa più comune di epatocarcinoma e quindi sono

spesso trattati come un unico fattore di rischio, sebbene essi presentino delle differenze nei loro

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meccanismi di azione e nel tasso di progressione verso la malignità.

Negli Stati Uniti il 16% degli HCC sono attribuibili a HBV ed il 48% ad HCV6

. Il rischio che

l'infezione da HCV diventi cronica è del 75-85% ed in questi pazienti il rischio di sviluppare HCC

ha un tasso annuale dell'1-4%. Al contrario nei pazienti con HBV il rischio di cronicizzazione è

rispettivamente di 5-10% per gli adulti, 25-50% per i bambini e 90% per i neonati, ed il rischio di

progressione tumorale lifetime è del 10-25%6

.

Molti fattori di rischio per la carcinogenesi sono comuni sia per HBV che HCV, come ad esempio

l'età, il genere maschile, la storia familiare, la presenza di cirrosi, l'obesità, la co-infezione con HIV,

l'uso concomitante di tabacco e/o alcool. Altri invece sono specifici per il tipo di virus.

Per HBV sono importanti la durata della patologia, i livelli sierici di HBV DNA superiori a

10.000/ml ed alcune mutazioni del genoma virale che aumentano la replicazione ed incrementano la

risposta immunitaria dell'ospite causando un maggior danno epatico. Inoltre è di notevole rilevanza

nei paesi in via di sviluppo l'esposizione all'aflatossina B1, una micotossina prodotta

dall‟Aspergillus flavus e Aspergillus parasiticus, che può trovarsi nel grano, nella soia, nell‟orzo,

nel granturco, nel riso e in prodotti della panificazione, latticini e arachidi conservati in ambienti

umidi. L'aflatossina B1 è un noto agente carcinogenetico indipendente, ma è stato dimostrato come

esso abbia un effetto sinergico con HBV, aumentando il rischio di epatocarcinoma di 60 volte7

.

Per HCV invece alcuni fattori di rischio importanti sono l'avanzato stadio di fibrosi, l'aumento dei

depositi di ferro nel fegato, il genotipo 1b ed elevati livelli di HCV RNA nel sangue8

.

I meccanismi con i quali questi virus determinano lo sviluppo di HCC sono molteplici: HBV,

(Hepadnavirus a dsDNA), integra il proprio genoma in quello delle cellule epatiche infettate

mutando particolari geni che regolano il ciclo cellulare e controllano l'apoptosi. Queste mutazioni

selezionano in maniera positiva le cellule infettate e creano instabilità genomica6

.

Il virus C (Flaviviridae a ssRNA) non può integrarsi nel genoma dell'ospite, ma può comunque

eludere la risposta immunitaria sistemica attraverso una continua mutazione dei suoi antigeni,

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causando una flogosi cronica che favorisce la carcinogenesi.

Ultimamente si è osservato un continuo aumento dell'infezione da HBV e HCV in concomitanza

con l'infezione da HIV: l'associazione comporta una più rapida progressione verso la cirrosi e di

conseguenza verso il carcinoma9

.

Un'altra importante causa di HCC, soprattutto per la sua aumentata incidenza in questi ultimi anni

nei paesi sviluppati, è la steatoepatite non alcolica (NASH), che potrebbe essere responsabile fino al

15-50% dei nuovi casi di HCC idiopatico10

. Tuttavia l'evidenza epidemiologica sembra essere

limitata solo ai pazienti cirrotici11

.

1.3 Carcinogenesi e anatomia patologica

L'epatocarcinogenesi è un processo multistep che determina lo sviluppo dell'HCC a partire da una

lesione non tumorale. Esso è caratterizzato dal progressivo accumulo di mutazioni genetiche che

portano alla crescita aberrante con trasformazione maligna degli epatociti, all'invasione vascolare e

diffusione di metastasi a distanza12

.

L'HCC è quindi associato e preceduto da lesioni preneoplastiche che includono nodularità

displastiche di diverso grado13

. In una minoranza di casi invece l'HCC può svilupparsi direttamente

da un nodulo rigenerativo by-passando gli stadi intermedi di displasia14

.

Nel corso degli anni sono state proposte numerose classificazioni e molti studi sono stati pubblicati

sulle nodularità precancerose insorte nell‟ambito di parenchimi cirrotici.

Per mettere ordine fra tutte le nomenclature proposte, nel 1995 un International Working Party ha

redatto quella che oggi è la classificazione più utilizzata e che suddivide le lesioni in noduli

rigenerativi, noduli displastici a basso (LGDN) e alto (HGDN) grado di malignità e noduli

neoplastici13

.

Un altro dibattito aperto fra autori asiatici e occidentali riguarda il concetto di early HCC come

tumore iniziale (<2 cm, privo di capsula, dall'aspetto vagamente nodulare) rispetto all'HCC iniziale

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(<2 cm, capsulato e dall'aspetto nodulare). Gli autori asiatici lo considerano una forma iniziale di

epatocarcinoma15

, mentre gli autori americani ed europei lo raggruppano tra le lesioni HGDN

(francamente maligne) insorte su noduli displastici16

.

Al fine di ottenere un generale ed aggiornato consenso internazionale sulle diagnosi istopatologiche

delle lesioni nodulari epatiche nell‟ambito di un parenchima cirrotico, è stata elaborata e redatta la

più recente classificazione dell‟International Consensus Group for Hepatocellular Neoplasia

(ICGHN, 2009)17

.

In base a tale revisione, sono ad oggi considerate le seguenti forme nodulari (tabella 1):

nodulo displastico di basso grado (LGDN)

nodulo displastico di alto grado (HGDN)

HCC (suddiviso, a sua volta in HCC ben differenziato e moderatamente differenziato).

1.4 Prevenzione

La prevenzione dei principali fattori di rischio per HCC e la sorveglianza dei pazienti che sono già

ad alto rischio sono il miglior metodo per diminuire l'incidenza e la mortalità di questo tumore e

sono quindi diventate una priorità della sanità pubblica. Infatti se si calcola che circa l'1% della

popolazione mondiale ha la cirrosi e che circa 1/3 di questi pazienti svilupperà il tumore, la

riduzione della mortalità ottenuta grazie prevenzione e sorveglianza è notevole22

.

La prevenzione dell'epatite da HBV è ottenuta grazie alle campagne di vaccinazione ed è altamente

efficace nel ridurre l'incidenza di HCC HBV-correlato23

. In Taiwan ad esempio, il vaccino contro

HBV fu introdotto nei neonati di madri HBsAg-positive insieme ad una iniezione di

Immunoglobuline circa 20 anni fa. Da allora l'incidenza di HCC nei bambini tra 6 e 14 anni è

diminuita del 65-75%24

.

Oltre alla vaccinazione anche la terapia antivirale è un'importante arma nella prevenzione dell'HCC

virus-indotto. Infatti, in questi pazienti i principali fattori di rischio per la progressione tumorale

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sono la presenza di fibrosi o cirrosi epatica avanzata e l'elevata carica virale25

. La terapia antivirale

consigliata nelle attuali linee guida è in grado di eradicare o almeno ridurre la viremia nei pazienti

HBV o HCV positivi e, pur non eliminando completamente il rischio di HCC, lo riduce fortemente.

Per quanto riguarda HBV i due principali studi effettuati sull'argomento suggeriscono che c'è una

riduzione nel rischio di HCC utilizzando sia l'Interferone26

che la Lamivudina27

.

Nei pazienti con epatite cronica C ma senza cirrosi una riduzione della viremia grazie alla terapia

con Interferone è in grado di ridurre il rischio di HCC, ma una volta che la cirrosi si è instaurata il

mantenimento della terapia antivirale non è efficace nel prevenire la progressione verso la

malignità28

.

La fibrosi è anche un fattore di rischio indipendente per HCC, quindi teoricamente, una terapia

mirata a far regredire questo processo, indipendentemente dalla sua eziologia, potrebbe essere

efficace nella prevenzione del tumore. Gli studi su questo argomento sono però ancora scarsi ed i

pochi presenti non hanno mostrato l'efficacia sperata22

.

1.5 Sorveglianza

Lo scopo della sorveglianza clinica e strumentale è quello di ridurre la mortalità malattia-specifica e

di aumentare la sopravvivenza, attraverso la diagnosi precoce della malattia in esame, in modo da

fornire al paziente la miglior strategia terapeutica possibile.

Per i pazienti ad alto rischio di HCC la sorveglianza con il dosaggio dell‟alfafetoproteina sierica

(αFP) e l‟esame ecografico ogni 6-12 mesi è consigliata da moltissimi autori29,30

e dalle linee guida

di numerosi paesi, tra cui l'American Association for the Study of Liver Diseases31

e l'European

Association for the Study of the Liver (EASL)32

.

L'efficacia di questa sorveglianza è però controversa. Mentre uno studio randomizzato di circa

19.000 pazienti cinesi HBV positivi ha dimostrato che grazie al controllo semestrale con αFP ed

ecografia è stata ottenuta una diminuzione del tasso di mortalità per HCC del 37%, altri studi

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effettuati sempre in Cina, non hanno dato gli stessi risultati30

.

I livelli di αFP, così come quelli delle transaminasi, aumentano sia in caso di patologie epatiche

aspecifiche che nell'HCC ma, in quest‟ultimo caso, l'incremento dell' αFP è in genere molto più

cospicuo. Attualmente, però non esiste un preciso valore soglia che consenta di stabilire se un

paziente sia o meno affetto da HCC33

.

Il dosaggio dell‟αFP viene utilizzato anche come indice di risposta alla terapia e come indice di

recidiva di malattia. Tuttavia, il dosaggio di questo marcatore ha valore diagnostico solo nel caso in

cui in un paziente cirrotico, in presenza di nodulo epatico, si eleva al di sopra di 200 ng/mL34

. In

ogni caso, le linee guida prevedono l'esecuzione di un altro test diagnostico per confermare la

diagnosi di malattia tumorale.

Recenti studi hanno preso in considerazione altri biomarcatori come la des-gamma

carbossiprotrombina ma non è stato riscontrato nessun vantaggio nell'uso combinato dei due

marcatori rispetto alla sola αFP e quindi il dosaggio di questa proteina non è consigliato35

.

L‟ecografia è la tecnica più utilizzata per lo screening nei pazienti cirrotici, ha una sensibilità del

78%, una specificità del 93% ed un valore predittivo positivo del 14%33,36

. E' dotata di elevata

riproducibilità, permette di identificare lesioni minori di 1-2 cm e consente di individuare alcuni

aspetti tipici di HCC, quali la presenza della capsula, l'invasione neoplastica della vena porta, delle

vene epatiche o della vena cava superiore e gli shunts artero-venosi.

All‟indagine ecografica l‟ecogenicità della lesione varia in funzione delle dimensioni: i noduli

minori di 3 cm sono di solito ipoecogeni, omogenei ed a margini ben definiti, mentre le lesioni

maggiori di 3 cm appaiono più spesso disomogenee per l‟alternarsi di aree di necrosi, di emorragia

e di fibrosi interstiziale. Quando visibile, la capsula appare come una rima ipoecogena37

.

Nei diversi studi, gli intervalli di sorveglianza variano da 3 mesi ad 1 anno, ma, sulla base dei dati

di accrescimento tumorale, sembra adeguato un intervallo di 6 mesi. Infatti, il tempo che una

lesione neoplastica impiega a divenire evidenziabile strumentalmente, cioè il tempo di evidenza

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clinica del tumore (diametro di almeno 2 cm) è compreso tra i 4 e i 12 mesi36

, con un tempo medio

di raddoppiamento del tumore di 117 giorni38

.

1.6 Diagnosi

I sintomi clinici dell'HCC nelle prime fasi di malattia sono aspecifici e sono spesso attribuibili

all'epatopatia di base. Perchè l'epatocarcinoma dia segno di sé bisogna che esso raggiunga notevoli

dimensioni e quindi uno stadio avanzato, condizione nella quale i sintomi possono anche essere

dovuti ad eventuali metastasi a distanza. Inoltre il fegato ha una considerevole capacità di riserva

per cui l'insufficienza epatica si manifesta solo quando la sostituzione della maggior parte del

parenchima è già avvenuta. Tutto questo, oltre al fatto che si tratta di pazienti dove coesistono due

patologie, rende molto difficile la diagnosi precoce.

I sintomi classici sono rappresentati da malessere generale, astenia profusa, dolore sordo, profondo

e ingravescente in ipocondrio destro e in epigastrio, sensazione di distensione addominale e alcuni

sintomi aspecifici quali febbre, anoressia, senso di ripienezza postprandiale e calo ponderale.

Altri sintomi di minor frequenza sono da riferire a localizzazioni peculiari della neoplasia: ittero, se

la massa tumorale comprime le vie biliari principali; forti dolori addominali, se vi è distensione

della capsula glissoniana per rapida crescita del tumore o se vi è coinvolgimento del peritoneo.

I reperti obiettivi sono anch‟essi aspecifici e da considerare sovrapponibili all‟epatopatia di base,

anche se, dove l'incidenza di HCC è elevata, la presenza di epatomegalia e dolore può portare al

sospetto della patologia.

Per la diagnosi di HCC, oltre al sospetto clinico e all'ecografia, è fondamentale anche un accurato

studio di imaging con TC e/o con RM.

Per lesioni sopra il centimetro di diametro il riscontro di caratteristiche contrastografiche tipiche e

concordanti in almeno due tecniche di imaging fra ecografia, TC e RM ci permette di fare diagnosi

di HCC con elevata specificità. In questi pazienti un livello di αFP maggiore di 400 ng è altamente

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predittivo di HCC30

.

Il pattern contrastografico tipico di HCC è caratterizzato da un impregnazione del contrasto in fase

arteriosa (ritardo di scansione di 30-40 secondi) con successiva dismissione in fase portale (ritardo

di scansione di 70-80 secondi) e tardiva (ritardo di scansione di 180 secondi). Ciò è dovuto alla

peculiare vascolarizzazione del tumore: si tratta di neoplasie altamente vascolarizzate, rifornite dai

rami dell‟arteria epatica, contrariamente al restante parenchima epatico in cui il 75% della

vascolarizzazione è a carico del sistema portale e solo il 25% del sistema dell'arteria epatica. Questa

peculiarità è sufficiente a fare diagnosi di certezza di HCC, con un valore predittivo positivo di

circa il 90-100%, sostanzialmente equiparabile per le tre metodiche di imaging sopra menzionate39

.

In presenza di un nodulo sospetto indagato con l'ecografia in pazienti cirrotici, l'iter diagnostico

suggerito varia leggermente a seconda delle linee guida di riferimento.

- I noduli di dimensione <1cm vengono seguiti ogni 3-6 mesi almeno per 2 anni consecutivi: infatti

nella maggior parte dei casi non si tratta di HCC. Tuttavia essi presentano una piccola percentuale

di viraggio nella forma neoplastica e quindi devono essere controllati ecograficamente. Se non si

documenta un aumento della dimensione, la sorveglianza si svilupperà come da linee guida ogni 6-

12 mesi.

- In pazienti cirrotici e con una massa focale epatica >2cm la diagnosi di HCC può essere fatta sulla

base di un solo studio di imaging se è presente un pattern contrastografico tipico.

- Per lesioni tra 1 e 2 cm di diametro, le linee guida americane indicano una metodica di imaging

con riscontro delle tipiche caratteristiche contrastografiche come sufficiente per la diagnosi non

invasiva di HCC, mentre le linee guida europee suggeriscono il ricorso ad almeno due tecniche di

imaging, soprattutto in centri “non esperti”.

Il notevole sviluppo tecnologico degli ultimi anni, con la validazione dell‟ecocontrastografia, la

diffusione della TC multidetettore e lo sviluppo di mezzi di contrasto epatospecifici e di sequenze

ad alta risoluzione spaziale e temporale in RM, hanno incrementato la sensibilità e la specificità

delle metodiche di imaging, rendendo sempre più raro il ricorso alla biopsia.

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Allo stato dell'arte la biopsia è richiesta soltanto per masse epatiche focali con caratteristiche

contrastografiche atipiche o con reperti discordanti fra TC e RM o per lesioni individuate in pazienti

non cirrotici. Un risultato bioptico negativo è rassicurante ma non esclude completamente una

patologia maligna, per cui la lesione va controllata periodicamente ad intervalli di 3-6 mesi fino alla

scomparsa, all'aumento delle dimensioni o allo sviluppo di caratteristiche di imaging tipiche che ci

permettono di porre diagnosi30

.

1.7 Stadiazione

Lo scopo della stadiazione delle neoplasie è di stratificare i pazienti in base all‟aspettativa di

sopravvivenza, al fine di individuare la strategia terapeutica più appropriata. A differenza della

maggior parte delle altre neoplasie, per le quali i sistemi di staging sono ben codificati ed

universalmente accettati, nell‟HCC questi sono molteplici e non condivisi universalmente. Una

delle ragioni che rende difficoltosa la stadiazione dell‟HCC è legata al fatto che nella quasi totalità

dei casi questa neoplasia insorge in pazienti affetti da cirrosi epatica, pertanto la stadiazione non

può non tenere conto della severità della patologia sottostante, che il più delle volte è l‟elemento

condizionante la prognosi.

Il primo sistema fu proposto da Okuda nel 1985; poi col tempo sono state redatte altre

classificazioni (tabelle 2-3-4), ognuna con vantaggi e limiti, come ad esempio il TNM o la

stadiazione CLIP (Cancer of the Liver Italian Program). Attualmente, la stadiazione più completa e

per questo più utilizzata per lo meno nei paesi occidentali è la BCLC (Barcelona Clinic Liver

Cancer) che si basa sulla sintesi dei risultati di studi effettuati su gruppi di pazienti omogenei per

caratteristiche tumorali. La BCLC (figura 2) utilizza variabili correlate al performance status (PST)

del paziente, a numero e dimensioni dei noduli, alla presenza di sintomi clinici ed alla funzionalità

epatica e delinea quattro stadi, in cui vengono applicati diversi protocolli terapeutici. Per valutare la

gravità e la prognosi dell'epatopatia di base la BCLC si basa sulla classificazione di Child-Pugh

(tabella 5), che a sua volta valuta cinque parametri clinici: bilirubina, attività protrombinica,

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albumina, ascite ed encefalopatia.

Figura 2: Nat Rev Gastroenterol Hepatol. 2012 Dec 11;10(1):34-42

Lo stadio molto precoce (stadio 0) comprende pazienti con funzionalità epatica completamente

conservata ed un singolo HCC ≤2 cm, con caratteristiche istologiche di tumore ben differenziato; in

questo gruppo di pazienti è indicata la resezione chirurgica. Nel caso in cui si abbia un aumento di

bilirubina o di pressione portale può essere consigliato il trapianto (in assenza di altre malattie

associate) o l‟ablazione percutanea, in particolare con radiofrequenza (RF).

Lo stadio precoce (stadio A) della malattia comprende pazienti con HCC singolo o con un massimo

di 3 noduli ≤3 cm, funzionalità epatica conservata (Child-Pugh A e B) e buon performance status

(PST 0). Questi pazienti possono essere efficacemente trattati con trattamenti curativi, quali la

resezione, il trapianto di fegato o l‟ablazione percutanea con tassi di sopravvivenza a 5 anni fino al

70%.

Lo stadio intermedio (stadio B) è costituito da pazienti in Child-Pugh A o B, asintomatici (PST 0),

con HCC esteso/multifocale in assenza di invasione macrovascolare o diffusione extraepatica di

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malattia. La sopravvivenza fra questi pazienti in stadio intermedio è risultata essere, secondo una

studio di Llovet et al.40

, dell‟80%, 65% e 50% rispettivamente ad 1, 3 e 5 anni. Questi sono i

candidati ideali per la chemioembolizzazione intrarteriosa (TACE).

I pazienti lievemente sintomatici (PST 1-2), in classe C di Child-Pugh e/o con invasione vascolare o

diffusione extraepatica rientrano nella fase avanzata (stadio C), la loro sopravvivenza è stata stimata

del 29%, 16% e 8% rispettivamente a 1, 3 e 5 anni40

. In tale fase appare indicato il trattamento con

Sorafenib, che è in grado di aumentare significativamente la sopravvivenza.

Infine i pazienti con tumore esteso, grave deterioramento fisico (PST >2) e/o importante

compromissione della funzionalità epatica (Child-Pugh C) sono considerati allo stadio terminale

(stadio D). La loro sopravvivenza mediana è inferiore a tre mesi e la terapia sintomatica di supporto

è l‟unico trattamento possibile.

1.8 Opzioni terapeutiche

Nel management del HCC solo cinque opzioni terapeutiche sono state validate da studi scientifici e

globalmente accettate e raccomandate nelle linee guida: la resezione epatica, il trapianto di fegato,

l'ablazione percutanea, la TACE ed il Sorafenib. Queste si dividono in opzioni terapeutiche curative

(le prime tre) e palliative, ed il loro utilizzo viene scelto in base alla stadiazione della neoplasia

secondo i criteri del BCLC.

Oltre a queste cinque opzioni esistono altre terapie che sono attualmente in sperimentazione e che

necessitano di ulteriori studi per provare la loro superiorità o almeno la non inferiorità rispetto ai

trattamenti ad oggi raccomandati. Fanno parte di questa categoria la radioembolizzazione con Ittrio-

90, la radioterapia stereotassica e la chemioterapia sistemica adiuvante dopo resezione22

.

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17

Opzioni terapeutiche curative:

Resezione Epatica

La resezione epatica, così come il trapianto di fegato, rappresenta un trattamento radicale nei

confronti dell'HCC, ed è quindi considerato il gold standard nei pazienti con tumori resecabili in

stadio precoce con ottima riserva epatica possibilmente in assenza di epatopatia di base. Questo

perchè si tratta di una procedura invasiva, non priva di possibili complicazioni e che può causare

una grave insufficienza epatica nei pazienti senza un'adeguata riserva funzionale.

Tuttavia la maggior parte dei pazienti con HCC hanno una epatopatia di base: in questi casi si

ottengono buoni risultati con la resezione se il tumore è piccolo (<3 cm di diametro), in assenza di

ipertensione portale (gradiente di pressione venosa epatica >10 mmHg), e se i livelli di bilirubina

totale sono normali (<1 mg/dl)41,42

.

Nei pazienti cirrotici è importante valutare la riserva epatica prima della chirurgia e preservare più

parenchima possibile pur garantendo una resezione con margini negativi. La possibile estensione

della resezione può essere valutata in base ad alcuni criteri come la presenza di ascite o ittero e la

ritenzione di verde indocianina a 15 minuti, un colorante fluorescente che in condizioni normali

viene eliminato molto velocemente dal fegato attraverso la bile43

.

Le tecniche chirurgiche che possono essere utilizzate sono la resezione parziale, la resezione

subsegmentale, segmentale, la resezione di due segmenti, la resezione estesa di due segmenti o la

resezione di tre segmenti43

. Poichè l'epatocarcinoma spesso invade il sistema portale, la chirurgia

dovrebbe seguire i margini anatomici del segmento dove è situato il tumore se la riserva epatica lo

permette, in maniera da eliminare tutto il parenchima che viene vascolarizzato dallo stesso ramo

portale e quindi ridurre il rischio di metastasi44

.

Negli Stati Uniti solo il 5% dei pazienti con HCC sono candidati alla resezione epatica30

, al

contrario questo approccio è più diffuso in Asia, dove il principale fattore di rischio per

l'epatocarcinoma è l'HBV ed i pazienti sono più giovani e senza cirrosi45

.

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18

Esiste un'altra classe di pazienti con HCC senza cirrosi, e sono quelli in cui il fattore eziologico è

rappresentato dalla NASH; la resezione epatica potrebbe dimostrarsi come una valida opzione

terapeutica anche per questa popolazione di pazienti45

.

La recidiva del tumore dopo resezione è circa del 50% a 2 anni e del 75% a 5 anni46

, e ciò può

essere la conseguenza di una diffusione metastatica del tumore primitivo, soprattutto nei casi di

recidiva precoce, oppure della comparsa di un tumore ex novo, a causa dell'epatopatia di base che

rappresenta un continuo stimolo alla carcinogenesi per il restante parenchima. Allo stato dell'arte

nessuna tra le terapie adiuvanti sperimentate si è dimostrata efficace nel ridurre il tasso di recidiva

dopo resezione epatica22

. Nella diagnosi precoce delle recidive rivestono un ruolo importante sia la

TC che la RM effettuate con un intervallo di 3-4 mesi durante il primo anno dopo la chirurgia e ogni

6 mesi a partire dal secondo anno44

.

Dall'analisi dei dati sul follow-up dei pazienti giapponesi con tumore epatico primitivo, la resezione

epatica è stata eseguita nel 31,7% dei casi di HCC, con una mortalità intraoperatoria dell'1,4%. Il

tasso di sopravvivenza a 3, 5 e 10 anni è stato rispettivamente del 69,5%, 54,2% e 29%47

.

Trapianto di fegato

Il trapianto ortotopico di fegato è considerato la terapia più efficace sia per l'epatocarcinoma che per

l'epatopatia di base, ed è associato ad un più basso tasso di recidiva rispetto alle altre opzioni

terapeutiche che non curando la patologia sottostante non agiscono sul principale impulso alla

carcinogenesi. Nonostante gli ottimi risultati ottenuti con il trapianto, la scarsità degli organi

disponibili, impone l'utilizzo di rigidi criteri nella selezione dei pazienti che ne possono beneficiare,

in maniera da limitare i trapianti a quei pazienti che hanno effettivamente le migliori caratteristiche

per un buon outcome.

I criteri più utilizzati in tutto il mondo sono i criteri di Milano48

:

pazienti con un massimo di 3 focolai tumorali che misurano tutti meno di 3 cm,

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pazienti con un unico focolaio tumorale di dimensioni inferiori ai 5 cm.

Questi pazienti hanno un tasso di sopravvivenza [overall survival rate (OS)] del 75% a 5 anni, che

corrispondeva all' OS dei pazienti sottoposti a trapianto di fegato per altri motivi negli stessi anni in

cui fu condotto lo studio48

.

Altri centri hanno sviluppato i propri criteri di selezione dei pazienti. Ad esempio la University of

California at San Francisco (UCSF) ha esteso la eleggibilità al trapianto anche a quei pazienti con:

una sola lesione con dimensioni inferiori a 6,5 cm,

due o tre focolai, ognuno con diametro massimo inferiore ai 4,5 cm e con un diamentro

totale non superiore agli 8 cm49

.

Numerosi recenti studi hanno dimostrato come non esistono differenze significative nei tassi di

sopravvivenza dei pazienti trapiantati e selezionati con i due diversi criteri50

.

Un ulteriore approccio per le neoplasie che non rientrano in nessuno dei criteri sovraesposti è quello

del downstaging: ovvero il trattamento delle lesioni con tecniche locali che possano ridurre le

dimensioni della massa neoplastica e far rientrare il paziente nella lista di attesa dei trapianti51

.

Utilizzando queste tecniche sta diventando sempre più chiaro come i pazienti in cui la patologia

progredisce nonostante le terapie mirate sono anche quelli in cui c'è un maggior rischio di recidiva

post-trapianto45

.

Trattamenti percutanei

Le tecniche di ablazione rappresentano delle terapie potenzialmente curative nei pazienti con HCC

in stadio precoce non candidabili per la resezione epatica o il trapianto. L'esito di queste tecniche è

inversamente proporzionale alle dimensioni del tumore: infatti per lesioni di 2-3 cm si ha una

elevata percentuale di successo, ma questa diminuisce significativamente se il diametro tumorale

supera i 3 cm52

.

Esistono due tecniche ablative: la termoablazione (con RF, microonde, laser...) e l'ablazione chimica

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20

(con etanolo o acido acetico); ad oggi però la tecnica più utilizzata e che si è dimostrata più efficace

è la termoablazione a RF.

L'HCC è il target ideale per questa tipologia di trattamento perchè nella maggior parte dei casi si

tratta di un tumore soffice circondato da una capsula fibrosa, la quale permette di sfruttare l'effetto

oven nella termoablazione, e di delimitare la diffusione dell'agente chimico nel caso

dell'alcoolizzazione percutanea [percutaneous ethanol injection (PEI)]53

.

La PEI è stata la prima tecnica utilizzata e consiste nell‟iniezione intratumorale di alcool etilico, con

conseguente necrosi coagulativa del tumore per disidratazione cellulare, denaturazione proteica e

occlusione chimica dei piccoli vasi tumorali. La sua maggior limitazione è l'alto tasso di recidiva

locale, che può arrivare al 33% in lesioni inferiori a 3 cm ed al 43% in lesioni maggiori di 3 cm54

.

Ciò è da attribuirsi alla disomogenea diffusione dell‟etanolo all'interno della neoplasia, conseguente

all'inadeguato posizionamento dell'ago all'interno della lesione e/o alla presenza di setti

intratumorali, nonché ai limitati effetti sulla diffusione extracapsulare delle cellule neoplastiche.

Inoltre la PEI non è in grado di creare un margine di ablazione di sicurezza nel parenchima epatico

circostante, dove sono più frequentemente situati i noduli satelliti.

La termoablazione a RF è ritenuta la tecnica più efficace: essa distrugge il tessuto tumorale

attraverso un danno termico, grazie all' applicazione di energia elettromagnetica, con conseguente

necrosi coagulativa nei giorni successivi al trattamento. Per ottenere un‟efficace distruzione della

lesione, l‟intero volume tumorale deve essere sottoposto a temperature citotossiche (> 60° C)

includendo anche una zona circostante di 0,5-1 cm di tessuto apparentemente sano, per eliminare

eventuali foci microscopici di malattia e per ovviare all‟incertezza che spesso esiste riguardo alla

reale localizzazione dei margini tumorali. L'energia elettromagnetica viene emessa tramite uno o più

elettrodi inseriti per via percutanea o durante una procedura chirurgica.

Le indicazioni alla termoablazione a RF sono la presenza di meno di tre focolai neoplastici con un

diametro inferiore o uguale a 3 cm, e pazienti appartenenti alla classe di Chil-Pugh A o B, senza

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ascite e senza rischio emorragico. Nella pratica clinica i criteri utilizzati sono una conta piastrinica >

50000/ml, un tempo di protrombina >50% e la bilirubina totale ≤3 mg/dl43

. Per i tumori con

dimensioni maggiori di 3 cm spesso viene prima effettuata la TACE e dopo la termoablazione.

Numerosi studi hanno paragonato l'efficacia della termoablazione a RF a quella della resezione

epatica: Livraghi et al. hanno confermato che il tasso di sopravvivenza di queste due tecniche è

sovrapponibile, ma che la termoablazione è meno invasiva e quindi si associa ad un minor numero

di eventi avversi ed ad un minor costo. Conseguentemente secondo alcuni autori la termoablazione

a RF può rappresentare la terapia di prima scelta nei pazienti con HCC <2 o 3 cm anche nei casi in

cui è possibile la resezione chirurgica55

.

Il tasso di sopravvivenza ad un anno è del 100% e a due anni scende al 98%, tuttavia, anche con

questo trattamento la recidiva tumorale è elevata, analoga del resto a quella ottenibile dopo

resezione chirurgica (70% a 5 anni)30

.

Sebbene la termoablazione a RF sia la tecnica di prima scelta essa presenta dei limiti ed in alcuni

casi si ricorre ancora alla PEI o ad altri procedimenti. Ad esempio nel caso in cui la lesione si trovi

in una sede pericolosa da raggiungere con un elettrodo è preferibile usare la PEI56

, oppure in caso di

tumori vicino a grossi vasi è più efficace la termoablazione con microonde perchè il calore indotto

dalle onde elettromagnetiche viene attenuato dal flusso sanguigno (effetto heat sink) e questo

preclude una completa ablazione45

.

L‟efficacia delle ablazioni percutanee viene valutata con una TC o RM 1 o 2 mesi dopo la procedura,

e poi con controlli ad intervalli programmati ogni 3 mesi per i primi due anni, ed ogni 4-6 mesi a

partire dal terzo anno, al fine di diagnosticare precocemente una eventuale ripresa di malattia, che

nella maggior parte dei casi avviene entro due anni57

.

Per valutare l'efficacia del trattamento i criteri RECIST, che si basano sulla riduzione del volume

tumorale, non sono utili, mentre dovrebbero essere usati dei criteri che prendono in considerazione

la necrosi tumorale (criteri EASL). Infatti la risposta ideale all'ablazione è una lesione necrotica di

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almeno 2 cm più grande del focolaio neoplastico e non captante il mezzo di contrasto44

.

Opzioni terapeutiche palliative:

Chemioembolizzazione intraarteriosa (TACE)

La peculiare vascolarizzazione del fegato ha permesso lo svilupparsi di particolari terapie di tipo

intraarterioso che consentono di somministrare i farmaci in maniera selettiva all'interno del tumore

tramite il sistema dell'arteria epatica, minimizzando gli effetti sul parenchima sano che viene invece

irrorato principalmente dal sistema portale. Queste tecniche comprendono la sola embolizzazione

[Transcatheter hepatic Artery Embolization (TAE)], la chemioembolizzazione [Transcatheter

hepatic Artery ChemoEmbolization (TACE)], la chemioembolizzazione con particelle che liberano

chemioterapici [Drug-Eluting Beads (DEBs)], e la radioembolizzazione.

La TACE fu descritta per la prima volta da Kato et al. nel 1981 ed ha tre principali obiettivi: indurre

necrosi del tessuto neoplastico e ottenere il controllo della crescita tumorale, preservare la funzione

del parenchima epatico circostante ed aumentare la sopravvivenza44

. La tecnica consiste nel

somministrare una miscela di farmaci citotossici (solitamente doxorubicina e cisplatino) mescolati

ad un agente oleoso come il Lipiodol, in zone più o meno estese di parenchima epatico sede del

tumore, attraverso un catetere arterioso posizionato in arteria epatica. Il mezzo oleoso viene captato

preferenzialmente all‟interno delle cellule tumorali ove si concentra da 3 a 5 volte di più rispetto al

parenchima non tumorale, grazie ad una rallentata eliminazione per l‟assenza dei vasi linfatici e

delle cellule reticolo-endoteliali. Inoltre, esso ha effetto embolizzante temporaneo e penetra nei

microshunts artero-portali rallentando il wash-out del chemioterapico. Questa tecnica permette di

raggiungere una elevata concentrazione del farmaco nella sede tumorale e di aumentarne il tempo di

esposizione.

Per massimizzare il tempo di contatto fra farmaco e tumore, dopo l'iniezione del chemioterapico

viene eseguita anche una embolizzazione selettiva o superselettiva dei vasi arteriosi afferenti alla

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neoplasia. Il blocco del circolo arterioso mediante embolizzazione favorisce il ristagno del

chemioterapico nei noduli neoplastici, rallentandone il wash-out, e, contemporaneamente, provoca

un‟ischemia improvvisa intralesionale, che favorisce la necrosi. Alcune ricerche hanno dimostrato

che molti farmaci citotossici sono attivamente escreti dalla cellula tumorale con l‟ausilio della

glicoproteina P, prodotto del gene MDR (multidrug resistence), collegato alla farmacoresistenza dei

tumori. Probabilmente l‟ischemia indotta dalla TACE agisce anche su questo specifico

meccanismo58

.

Col tempo la TACE è stata perfezionata ed oggi vengono eseguite tecniche selettive o superselettive.

Dharancy et al. hanno dimostrato come la TACE superselettiva sia più efficace nel causare una

necrosi completa del tumore rispetto alla TACE convenzionale (30,8 vs 6,9%)59

.

In genere la TACE viene eseguita in pazienti non candidabili alla chirurgia od a terapie locali per

ragioni come un HCC multiplo e bilobare, una grave disfunzione epatica, l'età avanzata o

comorbidità importanti, ed in cui il tumore è ipervascolarizzato. In pratica viene eseguita in pazienti

in classe A o B di Child-Pugh, con tumori multipli, non resecabili, con diametro uguale o maggiore

a 3 cm o con quattro o più focolai60

, cioè pazienti in classe B della BCLC61

. La presenza di una

spiccata ed omogenea ipervascolarizzazione delle lesioni, così come rilevato alla TC nella fase

arteriosa dello studio dinamico, sembra essere un fattore predittivo positivo per la risposta alla

TACE, con maggiore riduzione dimensionale dopo terapia e migliore sopravvivenza. Altre

caratteristiche associate al successo della TACE sono: un volume tumorale ridotto, assenza di

invasione venosa, la ritenzione del Lipiodol, un rialzo dei valori di αFP, lo stadio di malattia. I

fattori invece associati ad un risultato meno efficace sono il diametro superiore a 10 cm e la crescita

di tipo infiltrativo della lesione, oltre a quadri di malattia diffusa o nettamente multifocale62

. Le

principali controindicazioni alla TACE sono rappresentate dalla presenza di trombosi portale e

dilatazione delle vie biliari intraepatiche, nonchè da un‟insufficiente funzionalità epatica; in

particolare i pazienti in classe C di Child-Pugh non possono essere sottoposti a TACE per l‟elevata

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mortalità periprocedurale (fino al 40%). Ulteriori controindicazioni relative riguardano l‟uso di

mezzo di contrasto iodato (riferita anamnesi allergica o alterata funzionalità renale) nonché

l‟assenza di accessi arteriosi adeguati.

Uno studio giapponese sull'outcome di pazienti Child-Pugh A trattati con TACE come prima terapia

e con un singolo focolaio neoplastico ha dimostrato come i tassi di sopravvivenza fossero buoni,

cioè rispettivamente del 93%, 73% e 52% ad 1,3 e 5 anni63

. La TACE può essere usata come terapia

iniziale, ma spesso viene usata anche nel trattamento delle recidive o per il downstaging nella

prospettiva di un trapianto di fegato.

Le complicanze della TACE sono la sindrome postembolizzazione (caratterizzata da febbre, nausea,

dolore e rialzo termico che compare a distanza di 24-72 ore), l'embolizzazione di letti vascolari che

non erano il target primitivo della procedura, (ad esempio a livello dello stomaco, duodeno,

pancreas o qualsiasi altra sede), e l'insufficienza epatica (sebbene, con una accurata selezione dei

pazienti, quest'ultima complicanza si riscontra in meno del 2% dei casi).45

L‟efficacia antitumorale della TACE viene valutata con l‟esecuzione di una TC, o meno

frequentemente RM, dopo 3-6 settimane dal trattamento. Come per la termoablazione, ciò che si

visualizza non è quasi mai una riduzione di volume della massa neoplastica, ed è quindi essenziale

valutare i parametri che indicano un' avvenuta necrosi.

L' intensa ed omogenea ritenzione della miscela lipiodolata all‟interno del nodulo tumorale (visibile

come intensamente iperdensa in condizioni basali) e l'assenza dell'enhancement intratumorale

durante la fase arteriosa sono i principali dati che ci indicano una risposta positiva alla TACE.

Tuttavia un eccessivo deposito di Lipiodol nel focolaio può mascherare l'enhancement ed in questi

casi può essere indicato un ulteriore esame di RM44

.

La TACE può essere ripetuta più volte in base alla risposta al primo trattamento, ma nei pazienti

con progressione di malattia dopo due sessioni di TACE, non è consigliabile una ulteriore

procedura44

.

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25

Di recente sono state messe in commercio nuove particelle utilizzabili per la TACE che hanno

consentito di migliorare questa tecnica. Le DC Beads sono piccole microsfere preformate e

deformabili che vengono caricate con doxorubicina (fino a 150 mg a seduta). Esse consentono di

ridurre la concentrazione plasmatica di farmaco del 70-85%64

e garantiscono una migliore

ritenzione del chemioterapico nel focolaio neoplastico.

Con l'utilizzo delle DC Beads la concentrazione di farmaco all'interno del tumore raggiunge il picco

massimo al terzo giorno, rimane elevata fino al settimo, con persistenza per oltre 14 giorni, ad

indicare un continuo rilascio del farmaco dalle particelle.

Un recente studio prospettico randomizzato multicentrico ha posto a confronto i risultati a breve

termine della TACE convenzionale (Lipiodol TACE) rispetto alla TACE con DC Beads,

dimostrando che l‟utilizzo delle DC Beads riduce drasticamente l‟incidenza di effetti collaterali e di

incremento delle transaminasi. In tale studio, la risposta tumorale a 6 mesi dopo DC Beads, valutata

attraverso la TC, non era però significativamente migliore rispetto alla risposta dopo TACE

tradizionale, fatta eccezione per un sottogruppo di pazienti con malattia in fase più avanzata (Child-

Pugh B, PST 1, malattia bilobare, recidiva) in cui la risposta oggettiva tumorale era

significativamente superiore dopo DC Beads rispetto alla TACE convenzionale65

.

Sorafenib

Fino a pochi anni fa non esisteva alcuna reale opzione terapeutica per pazienti in fase avanzata di

malattia. Nell‟arco degli ultimi anni si è invece aperto un nuovo orizzonte nel trattamento dell‟HCC

rappresentato dai farmaci molecolari. In particolare, il primo farmaco studiato per l‟HCC è stato il

Sorafenib. Si tratta di un inibitore della tirosin-chinasi, somministrato per os, con attività contro

Raf-1, B-Raf, VEGFR2, PDGFR, recettori c-Kit, recettore serina e treonina chinasi 66

. Nel

Novembre del 2007 il Sorafenib è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) come

terapia di prima scelta nell'HCC in fase avanzata67

.

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TABELLE CAPITOLO 1

Tabella 1. Caratteristiche anatomo-patologiche

Nodulo rigenerativo Nodulo displastico

LGDN

Nodulo displastico

HGDN

HCC

Caratteristiche

macroscopiche

Architettura lobulare

alterata. Presenza di

spazi portali, sistema

dei dotti biliari e

cellule del sistema

reticolo-endoteliale.

Noduli multipli,

raramente >2 cm. La

dimensione correla

direttamente con il

rischio di trovare una

displasia di alto

grado.

Aspetto di “nodulo nel

nodulo”*

Forma nodulare,

capsula periferica,

setti ed aree

necrotico/emorragic

he.

Caratteristiche

microscopiche

Cellule epatocitarie

normali senza

connessione con lo

spazio portale e la

vena centro-lobulare.

Fibrosi anulare18

Aumento della

densità e del volume

cellulare17, assenza

di atipie citologiche.

Aumento della densità

cellulare, cellule

disposte in maniera

disordinata e di

piccole dimensioni.

Citoplasma basofilo e

rapporto

nucleo/citoplasma

elevato.

Anomali nucleari

minime e/o moderate,

rare mitosi17,18.

Aumento della

densità cellulare

maggiore di almeno

2 volte rispetto al

tessuto circostante,

Aumento del

rapporto

nucleo/citoplasma.

Disposizione in

trabecole ispessite.

Spazi portali in

numero variabile.

Steatosi diffusa,

invasione vascolare

e stromale.

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Vascolarizzazione Uguale al parenchima

sano19.

Alcune “unpaired

arteries”**

Unpaired arteries in

numero maggiore.

Molte unpaired

arteries, aumento

angiogenesi,

capillarizzazione,

shunt artero-venosi.

***

Funzionalità

cellulare

Le cellule

mantengono le loro

normali funzioni.

Le cellule

mantengono le loro

normali funzioni.

Le cellule perdono

parte delle loro

funzioni.

Le cellule hanno

perso la quasi

totalità delle loro

normali funzioni.

*: focolaio di HGDN in un nodulo LGDN, oppure focolaio di HCC con cellule ancora ben

differenziate e con margini ben definiti.

**: arteriole non accompagnate dal rispettivo dotto biliare e ramo portale, con conseguente perdita

della struttura del lobulo epatico20.

***: all‟imaging contrastografico dinamico questo determina enhancement in fase arteriosa seguito

da precoce wash-out di mezzo di contrasto21.

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Tabella 2. Classificazione di Okuda

• Estensione del tumore >50% del fegato

• Ascite +/-

• Albumina <3 g/dl

• Bilirubina >3 mg/dl

grado caratteristiche

I Assenza di fattori

II Presenza di 1 o 2 fattori

III Presenza di 3 o 4 fattori

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Tabella 3. Classificazione TNM modificato (2002)

T0:

T1:

T2:

T3:

T4a:

T4b:

N1:

M1:

Stadio I:

Stadio II:

Stadio III:

Stadio IVA1:

Stadio IVA2:

Stadio IVB:

Assenza di tumore

1 nodulo ≤1.9 cm

1 nodulo 2.0-5.0 cm; 2 o 3 noduli, tutti ≤ 3.0 cm

1 nodulo > 5.0 cm; 2 o 3 noduli, almeno uno > 3.0 cm

4 o più noduli di qualsiasi dimensione

T2, T3, o T4 più evidente interessamento portale intraepatico o

delle vene epatiche come dimostrato da TC, RMN, o US

Interessamento linfonodi regionali (ilo epatico)

Malattia metastatica, incluso interessamento portale extra-epatico o

delle vene epatiche

T1

T2

T3

T4a

T4b

Qualsiasi N1, Qualsiasi M1

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Tabella 4. Classificazione CLIP

Caratteristica Punti 0 Punti 1 Punti 2

Classe Child- Pugh A B C

Noduli Nodulo

singolo

Noduli

multipli

Massivo (o con

volume

epatico superiore al

50%)

Livello di AFP <400 ng/mL ≥ 400 ng/mL *

Trombosi venosa

portale

No Si *

Tabella 5. Classificazione di Child-Pugh

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Capitolo 2

LA RADIOEMBOLIZZAZIONE

La radioembolizzazione, conosciuta anche come TARE (radioembolizzazione trans-arteriosa) o

SIRT (terapia radiante interna selettiva), è una procedura in cui vengono iniettate per via intra-

arteriosa particelle embolizzanti caricate con un radioisotopo, utilizzando un accesso percutaneo. Il

radioisotopo più utilizzato è l‟Ittrio-90 (90

Y) anche se sono stati fatti studi clinici con l‟ utilizzo di

I-131 lipiodol68

, Rhenium-18869

, Holmium-16670

.

I primi studi sull‟uso del 90

Y nel trattamento sperimentale dei tumori risalgono agli anni

‟6071,72,73,74

. I risultati di numerosi studi successivi, hanno supportato l‟utilizzo e confermato

l‟efficacia delle microsfere di 90

Y nel trattamento di tumori epatici primitivi75,76,77,78,79

e

metastatici80,81,82

.

E‟ un procedimento multidisciplinare che richiede l‟impegno di più figure professionali tra cui

radiologi, radiologi interventisti, medici nucleari, fisici medici, epatologi, trapiantologi; è richiesta,

infatti, una stretta collaborazione tra queste diverse figure, necessaria per la selezione, per il

trattamento e per il follow up del paziente. Attualmente, il trattamento può essere impiegato per

tumori epatici primitivi (HCC e colangiocarcinoma) e per il trattamento di metastasi epatiche.

I benefici e gli effetti tossici della radioembolizzazione derivano dalle radiazioni portate dalle

microsfere caricate con 90

Y e non dall‟ischemia, in quanto non è presente un effetto macroembolico.

Alla base della radioembolizzazione risiede un concetto importante: i tumori epatici sviluppano una

vascolarizzazione che è per almeno il 90% di tipo arterioso, mentre il parenchima epatico sano è

supportato per il 70-80% dal sistema portale. Questo differente pattern di vascolarizzazione è un

vantaggio per le terapie loco-regionali trans-arteriose potendo somministrare alte dosi di radiazioni

con il massimo risparmio di parenchima sano83

. L‟arteria o le arterie in cui le microsfere sono

iniettate definiscono il volume di tessuto epatico esposto alla radiazione. Una volta raggiunta la

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microcircolazione tumorale, l‟90

Y emette radiazioni β con una penetrazione tissutale media di circa

5,3 mm; questo vuol dire che la maggior parte delle radiazioni interesserà il tessuto tumorale

risparmiando il parenchima sano. Grazie a queste caratteristiche è possibile somministrare

un‟elevata attività radiante superiore a 50 Gy fino anche a 150 Gy, poiché le microsfere andranno a

localizzarsi preferenzialmente nelle arterie intra- e peri-tumorali. Tutto ciò è in contrasto con la

radioterapia epatica esterna che è invece limitata nella dose per problemi di tossicità ai tessuti

adiacenti. Quando, infatti, l‟intero fegato viene irradiato dall‟esterno con dosi di 43 Gy, più del 50%

dei pazienti può sviluppare insufficienza epatica84

. Sappiamo che la tossicità dopo la radioterapia

esterna dipende dalla dose della radiazione, dal volume di fegato irradiato, dalla presenza di cirrosi,

dalla funzionalità epatica e da terapie concomitanti85

. Lo sviluppo di una radioterapia interna

selettiva ha permesso di superare queste limitazioni.

Gli effetti biologici della terapia radiante dipendono dalla dose assorbita dal tumore; questa a sua

volte è influenzata dall‟attività somministrata, dall‟emodinamica del flusso arterioso epatico e dalla

densità dei vasi arteriosi all‟interno del tumore86

. Per tali motivi, i tumori ipovascolarizzati non sono

dei buoni candidati per la radioembolizzazione. Dopo l‟iniezione, la maggior parte delle microsfere

sono attratte nel microcircolo tumorale che è preferenzialmente supportato dall‟arteria epatica, si

accumulano nel tumore con un tasso di 3:1 – 20:1 rispetto al tessuto epatico sano e si localizzano

preferenzialmente nella periferia del tumore dove le dosi assorbite possono andare ben oltre i 500

Gy87

.

La risposta tumorale (secondo i criteri EASL) è stata correlata con dosi più elevate sia per

Therasphere che per SIRspheres88,89

, sebbene non sia stato stabilito un cut-off di dose assorbita dal

tumore tale da determinare una adeguata risposta terapeutica; è stato tuttavia osservato che dosi

superiori a 95 Gy correlano con una migliore risposta tumorale83

e la maggior parte degli autori è

concorde nel definire sufficiente una dose di 120 Gy90

.

Nonostante queste incertezze sulla dosimetria, la crescita tumorale delle lesioni trattate si è arrestata

in più del 90% dei pazienti91

, risultando in un tasso di controllo di malattia compreso tra 77%92

e

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90%93,94

. La progressione dopo radioembolizzazione è quasi sempre il risultato di nuove lesioni

sviluppatesi all‟interno o all‟esterno del fegato91,95

.

Ittrio-90

Ittrio-90 è il più comune radioisotopo utilizzato nella pratica clinica; è un β emittente puro con

un‟emivita di 64,1 ore; ha un range di penetrazione tissutale compreso tra 2,5 e 11 mm con

un‟energia media di 0,9367 MeV.

Attualmente, esistono due tipi di dispositivi in commercio: SIR-Spheres® e TheraSphere

®.

Therasphere® (MDS Nordion, Ottawa, Canada) sono microsfere di vetro caricate con ittrio-90 con

un diametro compreso tra 20 micron e 30 micron e attività di circa 2500 Bq per microsfera. È

disponibile in sei diverse attività: 3 GBq , 5 GBq, 7 GBq, 10 GBq, 15 GBq, 20 GBq, contenenti

rispettivamente 1.2, 2, 2.8, 4, 6 e 8 milioni di microsfere96

.

SIR-spheres®

(Sirtex, Lane Cove, Australia) sono microsfere di resina caricate con ittrio-90 con

diametro compreso tra 20 micron e 60 micron e attività di 50 Bq per microsfera. Una fiala ha

attività di 3 GBq e contiene 40-80 milioni di microsfere, sospese in 5 ml di acqua sterile97

.

Una volta iniettate, le microsfere rilasciano più del 94% della dose in 11 giorni.

Le differenze principali tra i due tipi di microsfere consistono nelle dimensioni, nell‟attività per

singola microsfera e nel numero di microsfere iniettate. A parità di attività, il numero di microsfere

SIR-spheres®

iniettate è molto maggiore. Viste queste caratteristiche non è insolito per SIR-

spheres® raggiungere la saturazione del letto vascolare con stasi.

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TABELLA 1. Caratteristiche delle microsfere

2.1 Indicazioni

Sebbene si tratti di un trattamento entrato nella pratica clinica da alcuni anni, in mancanza di studi

clinici di fase III, la radioembolizzazione non è al momento inclusa tra le possibili opzioni

Parametro Vetro Resina

Nome commerciale TheraSpheres SIR-Spheres

Produttore e Sede MDS-Nordion, Canada Sirtex-Medical, Australia

Diametro 20-40 µ 20-60 µ

Gravità specifica 3.6 g/dL 1.6 g/dl

Attività per particelle 2500 Bq 50 Bq

Attività

Numero di microsfere

3, 5, 7, 10, 15, 20 GBq

1, 2, 3, 4, 6, 8 x106

3 , 6 GBq

~40, ~ 80x10 6

Materiale Vetro con Ittrio nella

matrice

Resina con Ittrio sulla

superficie

Preparazione dell‟attività Decadimento radioattivo Manuale

Effetto embolizzante No Si

Monitoraggio

angiografico

No Si (potenziale reflusso)

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terapeutiche per HCC nelle attuali linee guida EASL (European Association for the Study of Liver

Diseases) e AASLD (American Association for the Study of Liver Deseases).

Essa è tuttavia considerata un potenziale approccio terapeutico da altre linee guida. Ad esempio, la

Società Europea di Oncologia Medica considera la radioembolizzazione un‟opzione terapeutica in

pazienti con malattia tumorale intraepatica diffusa o in presenza di controindicazioni alla TACE, o

ancora come terapia ponte in pazienti in attesa di trapianto o di chirurgia resettiva98

.

Le linee guida del “National Comprehensive Cancer Network” considerano la radioembolizzazione,

insieme alle altre terapie loco-regionali, per quei pazienti con malattia non resecabile per inadeguata

riserva epatica, inadeguato performance status, comorbidità, sede e estensione del tumore99

.

Infine, secondo le raccomandazioni del “National Cancer Institute”, la radioembolizzazione è una

delle terapie loco regionali che può essere considerata per pazienti selezionati con HCC confinato al

fegato, esclusi da trapianto o resezione100

.

In base ai dati ad oggi pubblicati, la radioembolizzazione rappresenta una modalità terapeutica

promettente in specifiche condizioni, quali111

:

1. Pazienti in stadio intermedio con controindicazioni relative alla TACE (ad esempio lesioni

tumorali di grosse dimensioni);

2. Pazienti in cui il downstaging potrebbe permettere un approccio chirurgico radicale;

3. Pazienti in stadio avanzato con tumore singolo che invade i rami portali segmentali o lobari;

4. Pazienti con progressione di malattia dopo TACE o sorafenib.

2.2 Procedura

La radioembolizzazione è una procedura complessa, articolata in diverse fasi, che si possono così

schematizzare:

- Preselezione

- Selezione, che prevede uno studio angiografico vascolare con successiva iniezione dei MAA

marcati con Tc-99m e acquisizione di immagini SPECT

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- Calcolo della dose e ordine del prodotto

- Iniezione delle microsfere

- Follow up

Preselezione

Il trattamento dell‟epatocarcinoma necessita di un consenso multidisciplinare in cui le decisioni

terapeutiche vengano condivise, considerando le condizioni cliniche generali del paziente, la

funzionalità epatica, l‟estensione e localizzazione di malattia e la presenza di possibili

controindicazioni tecniche.

Tale criterio generale è ancora più importante allorchè si pone indicazione alla

radioembolizzazione, essendo questa una procedura complessa e costosa e tenendo conto che non

esiste un consenso internazionale che definisca le indicazioni alla radioembolizzazione.

Nel nostro istituto, la radioembolizzazione viene eseguita in due condizioni specifiche:

a) pazienti in stadio avanzato di malattia (BCLC C) per la presenza di trombosi portale neoplastica,

con malattia confinata al fegato o, in casi selezionati, in presenza di metastasi linfonodali limitate al

regione addominale superiore

b) pazienti in stadio intermedio di malattia (BCLC B) in presenza di controindicazioni relative alla

TACE, in particolare per lesioni >8cm di diametro

c) pazienti selezionati in stadio intermedio o avanzato di malattia in progressione con sorafenib

Di fronte a tali potenziali indicazioni, è necessario però tenere presente alcune controindicazioni al

trattamento, tra le quali:

a) interessamento di oltre il 70% del parenchima epatico

b) infiltrazione neoplastica del tronco portale comune

c) punteggio di Child-Pugh ≥8

d) scadenti condizioni cliniche generali, quali gravi comorbidità, ECOG Performance Status >2,

aspettativa di vita inferiore a 3 mesi

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e) controindicazioni tecniche al trattamento trans-arterioso

f) percentuale di “shunt epato-polmonare" che genera una dose ai polmoni maggiore 30 Gy.

Le ultime due controindicazioni al punto e) ed f) sono di pertinenza della fase di selezione.

Selezione

Questa fase consta di una angiografia definita “diagnostica” che ha lo scopo di studiare l‟anatomia

vascolare del paziente, identificare varianti anatomiche ed isolare la circolazione epatica

occludendo vasi extraepatici che potrebbero determinare un‟inavvertita diffusione delle microsfere

agli organi non target101

.

Durante l‟angiografia si eseguono studi dell‟aorta addominale e dell‟arteria mesenterica superiore

per verificare la presenza di arterie epatiche accessorie. Si ottiene anche una fase venosa per

valutare lo stato e la pervietà della vena porta. Viene poi cateterizzato il tronco celiaco per valutare

l‟arteria epatica comune e propria; è fondamentale ottenere immagini angiografiche selettive

dell‟arteria epatica destra e sinistra. Altri vasi arteriosi da valutare sono la gastrica destra,

gastroduodenale, falciforme, sopraduodenale, retroduodenale, frenica inferiore, accessoria gastrica

sinistra ed esofagea inferiore. L‟embolizzazione profilattica dell‟arteria gastroduodenale e della

gastrica destra è raccomandata per minimizzare il rischio di flusso epatoenterico che potrebbe

portare alla deposizione di microsfere nel tratto gastrointestinale102,103,104

.

Protocollo angiografico consigliato:

- Aorta addominale: iniezione a 15 ml/s di 30 ml di mezzo di contrasto. L‟obiettivo è quello di

individuare l‟origine del tripode celiaco , l‟origine dell‟ arteria mesenterica superiore e l‟eventuale

tortuosità dell‟aorta. Le caratteristiche studiate permetteranno una scelta appropriata dei cateteri da

utilizzare.

- Arteria Mesenterica Superiore: iniezione a 3 ml/s di 30 ml di mezzo di contrasto . Permette

l‟identificazione di origini anomale dell‟arteria epatica destra, epatica propria e comune, pervietà

della v. porta e la presenza di un‟eventuale irrorazione del fegato mediante collaterali.

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- Tripode celiaco: iniezione a 3-4 ml/s di 12-15 ml di mezzo di contrasto. La suddivisione

classica comprende l‟arteria splenica, l‟epatica comune e la gastrica sinistra. Alcune varianti

possibili sono l‟origine dell‟epatica sinistra dalla gastrica sinistra come anche le arterie freniche

inferiori destra e sinistra.

- Arteria epatica comune: iniezione a 3 ml/s di 12 ml di mezzo di contrasto. Vasi degni di nota

che possono richiedere embolizzazione sono la gastrica destra, la pancreatica dorsale e la

gastroduodenale. L‟arteria gastrica destra ha un‟origine variabile, potendo originare da qualsiasi

punto dell‟arteria epatica e generalmente si anastomizza mediante un‟arcata arteriosa con l‟arteria

gastrica sinistra. In alcuni casi, se la cateterizzazione diretta non può essere effettuata, si può

effettuare dall‟arteria gastrica sinistra.

- Arteria gastroduodenale: iniezione a 2 ml/s di 8 ml di mezzo di contrasto. Il suo studio è

fondamentale per evidenziare l‟eventuale presenza di un‟arteria epatica accessoria o altri vasi

tributari del fegato. L‟embolizzazione della gastroduodenale è particolarmente raccomandate se

vengono utilizzate le Sirspheres.

- Arteria epatica sinistra: iniezione a 2 ml/s di 8 ml di mezzo di contrasto. Vasi di interesse

sono la frenica inferiore, gastrica sinistra accessoria, esofagea inferiore, arteria gastrica destra,

arteria falciforme104

. L‟embolizzazione profilattica di questi vasi può diminuire gli eventi avversi

come dolore addominale, gastrite e ulcerazioni.

- Arteria epatica destra: iniezione a 2ml/s di 10-12 ml di mezzo di contrasto. Vasi di interesse

includono l‟arteria epatica media, arteria sopraduodenale e arteria cistica.

- Arterie freniche: iniezione a 1-2ml/s di 4-6 ml di mezzo di contrasto. A seconda dei reperti

studiati nell‟angiogramma dell‟arteria epatica, se una porzione del tumore non è visualizzata

angiograficamente, lo studio di questi vasi può identificare il restante flusso mancante del

tumore105

.

- Arteria falciforme: occasionalmente può essere identificata. Decorre nel legamento

falciforme e termina a livello della parete addominale anteriore anastomizzandosi con vasi terminali

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della mammaria interna ed epigastrica inferiore. L‟eventuale diffusione di microsfere alla parete

addominale anteriore può determinare forte dolore addominale, necrosi cutanea e rash106

.

- Arteria cistica: origina classicamente dall‟arteria epatica destra ma può originare anche da

epatica sinistra, gastroduodenale o arterie epatiche destre accessorie105

. Per evitare la distribuzione

di microsfere alla colecisti è bene che il punto di infusione sia sempre distale all‟origine della

cistica; quando questo non è possibile e l‟origine della cistica è distale al punto ideale di infusione,

può essere indicata l‟embolizzazione dell‟arteria cistica. Nella decisione di embolizzare o meno

l‟arteria cistica, bisogna tener conto che un‟infusione prossimale alla cistica si associa a rischio di

colecistite radio-indotta. D‟altro canto, l‟embolizzazione dell‟arteria cistica può determinare una

colecistite ischemica, per cui se l‟arteria cistica risulta di grosso calibro e sembra rappresentare

l‟unico apporto arterioso alla colecisti, l‟embolizzazione profilattica dovrebbe essere evitata. Il

rischio di una colecistite radio-indotta è sufficientemente bassa con Therasphere mentre risulta più

concreto con SIR-sphere.

La scelta se effettuare o meno l‟embolizzazione preventiva di un‟arteria si basa sulla decisione del

radiologo interventista che deciderà in base alle caratteristiche anatomiche, al flusso sanguigno e al

sito di infusione prescelto. L‟embolizzazione profilattica di un‟arteria deve essere eseguita in

maniera superselettiva mediante rilascio di spirali metalliche, in corrispondenza dell‟origine

dell‟arteria da embolizzare, in modo da consentire il ripristino del flusso dei rami a valle attraverso i

multipli circoli collaterali tipici della circolazione gastroenterica. In tal modo il rischio di ischemia

indotta dall‟embolizzazione è minimo107

. Bisogna considerare che in seguito alla chiusura di un

vaso potrebbe esserci una redistribuzione del flusso sanguigno tale che piccoli vasi originariamente

non individuati, diventino visibili.

Una volta effettuata l‟angiografia diagnostica, un micro catetere coassiale 3Fr viene posizionato nel

sito di infusione prescelto e vengono iniettati 4-5 mCi di macroaggregati di albumina (MAA)

marcati con 99m

Tc. Poiché le dimensioni dei MAA (10-60 micron) sono molto simili a quelle delle

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microsfere, si presume che la distribuzione di queste sia identica, permettendo cosi di prevedere la

distribuzione delle microsfere al momento del successivo trattamento.

Uno degli obiettivi principali dell‟utilizzo dei MAA è quello di verificare la presenza di shunt

epato-polmonare; infatti tra le caratteristiche della vascolarizzazione dell‟ HCC, c‟è la presenza di

shunt artero-venosi che bypassando il letto capillare possono determinare un passaggio diretto di

microsfere a livello polmonare con rischio di una polmonite radio-indotta108

. La distribuzione dei

MAA può mettere in evidenza anche un‟eventuale distribuzione al tratto gastrointestinale non

evidenziata all‟angiografia.

Dopo l‟infusione dei MAA, il paziente viene trasferito in medicina nucleare dove entro un‟ora

effettua una scintigrafia planare e/o una SPECT. Il timing dell‟acquisizione è molto importante;

tempi dilazionati possono essere causa di una sovrastima dello shunt. Infatti, con il passare del

tempo i MAA possano frammentarsi e superare il letto capillare raggiungendo il circolo polmonare.

Inoltre il tecnezio può essere rilasciato dai MAA e determinare un‟ulteriore sovrastima di eventuali

shunt extraepatici.

Sulla base delle acquisizioni scintigrafiche lo shunt epato-polmonare viene calcolato secondo la

formula96,97

:

shunt polmonare = assorbimento polmonare totale /

(assorbimento polmonare + assorbimento epatico)

Pazienti in cui la frazione di shunt epato-polmonare sia superiore al 20% della dose iniettata o in cui

la dose polmonare superi valori di 30 Gy in acuto e 50 Gy cumulativi, dovrebbero essere esclusi dal

trattamento109

.

La percentuale di shunt verrà tenuta di conto al momento del calcolo della dose totale da iniettare,

inserendo un eventuale fattore di attenuazione per ridurre la dose.

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Calcolo della dose

La quantità di ittrio-90 da somministrare deve essere determinata in modo specifico per ogni

singolo paziente e il calcolo differisce tra i dispositivi Therasphere e SIRspheres.

1) TheraSphere:

A(GBq) = dose desiderata (Gy) x massa epatica target (kg) / 50

dove A è l‟attività; il volume di fegato target in cm3 è calcolato con la TC e convertito poi in massa

con un fattore di conversione di 1,03 mg/dl. La massa di fegato target si riferisce alla massa

tissutale perfusa dal vaso in cui avverrà l‟infusione79

.

Da notare come la dosimetria per Therasphere sia indipendente dalla massa tumorale ma dipenda

dalla massa del tessuto epatico target dell‟infusione.

La dose desiderata raccomandata è compresa tra 80 e 150 Gy. Questa ampia variabilità permette

una notevole flessibilità di trattamento: pazienti con cirrosi severa dovrebbero essere trattati con

dosi di 80-100 Gy, mentre pazienti senza cirrosi possono essere trattati più aggressivamente con

dosi di 100-150 Gy.

Al termine dell‟infusione, tenendo conto dello shunt polmonare e misurando il residuo rimasto nella

fiala e nel sistema di infusione, possiamo stimare quanta dose è realmente andata nel tumore:

Dose assorbita dal target (Gy)= A(GBq) x 50 x (1- LSF – R)/M

dove LSF rappresenta lo shunt polmonare, R il residuo nella fiala e M la massa epatica target.

Therasphere non può essere ordinata con una dose specifica per il paziente per cui è necessario

ordinare l‟appropriata fiala (disponibile in sei attività diverse, come sopra riportato) e, tenendo

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presente il tempo di decadimento dell‟Ittrio-90, si calcola in che data l‟attività della fiala sarà quella

voluta. La dose è programmata per arrivare il giorno prima della data del trattamento.

Considerato il decadimento, una stessa attività potrà essere somministrata con un diverso numero di

microsfere permettendo di scegliere caso per caso a seconda anche dell‟effetto embolico ricercato.

Se ad esempio la fiala ad alta attività è lasciata decadere per un maggior tempo, l‟attività per

microsfera diminuisce. Questo permette l‟infusione di un elevato numero di microsfere anche con

bassa attività; questo stratagemma si è rivelato utile per tumori di grosse dimensioni, permettendo

una migliore distribuzione delle microsfere158

.

Un possibile svantaggio di Therasphere è che il modello dosimetrico non prende in considerazione

il volume tumorale; dosi maggiori potrebbero essere richieste per trattare tumori più grandi.

2) SIR-sphere:

A(GBq)= BSA – 0,2 + (% massa tumorale /100) 97,110

dove A è l‟attività iniettata, BSA è l‟area di superficie corporea (m2) e la % di massa tumorale è la

percentuale di fegato coinvolta dal tumore. È necessario quindi calcolare il volume epatico e il

volume del tumore. La formula si riferisce ad una infusione a tutto il fegato per cui andrà corretta

nel caso di un infusione limitata ad esempio ad un solo lobo.

Un altro metodo dosimetrico empirico si basa su dosi raccomandate di 2 GBq per tumori che

interessano <25% del fegato, 2,5 GBq per tumori che interessano tra il 25 e 50% del fegato e infine

3 GBq per tumori con estensione >50%. Il metodo empirico ha il limite di essere poco uniforme,

infatti per fare un esempio, un paziente con un tumore che occupa il 53% del fegato, riceverebbe la

stessa dose di un paziente con tumore che ne occupa il 75%.

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La mancanza di un metodo unico standard di calcolo della dose può rappresentare un problema, in

quanto pazienti con simili caratteristiche cliniche possono essere trattati con dosi differenti,

rappresentando anche un problema nell‟interpretazione dei risultati.

SIR-spheres sono spedite in fiale standard di 3 GBq calcolate per le 6 del pomeriggio del giorno del

trattamento; a questo punto, a partire dalla fiala originale, verranno preparate nel laboratorio di

medicina nucleare una o più fiale con la dose desiderata per il paziente. A differenza quindi di

Therasphere, la dose per il paziente va preparata in laboratorio. Ha quindi il vantaggio di essere

manipolabile con la possibilità di frazionare la dose e ottenere più fiale con dosi differenti, ad

esempio per iniezioni multiple per tumori multifocali; oppure con una stessa fiala è possibile trattare

più pazienti nella stessa giornata. La possibilità di frazionare è collegata al gran numero di

microsfere e al loro minor peso specifico. Se da una parte rappresenta un grosso vantaggio, la

manipolazione delle SIR-spheres può essere fonte di incidenti di contaminazione dell‟operatore o

anche di errore nella preparazione della dose.

Iniezione delle microsfere

La data del trattamento viene stabilita a priori anche per permettere di ordinare la dose e non

dovrebbe avvenire oltre 3-4 settimane dall‟angiografia diagnostica in quanto tempi maggiori

possono permettere una riorganizzazione della vascolarizzazione con variazioni rispetto a quanto

visto nell‟angiografia valutativa.

L‟iniezione avviene in sala angiografica; si esegue il cateterismo selettivo dell‟arteria epatica

posizionando il micro catetere coassiale 3Fr ad alto flusso nella sede di infusione prescelta. Una

volta in sede, il catetere è connesso al sistema outlet del kit di somministrazione.

L‟utilizzo del micro catetere ad alto flusso permette, da un lato, una somministrazione a pressione

costante per consentire una migliore sospensione delle microsfere, dall‟altro riduce la resistenza al

flusso nel sistema di somministrazione che impedirebbe la fuoriuscita completa delle microsfere le

quali si potrebbero accumulare nel kit di somministrazione e nel catetere.

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Indipendentemente dalle dimensioni del catetere, è necessario che la velocità di infusione mimi la

velocità del flusso in arteria, in quanto un flusso di iniezione superiore al flusso nel vaso, può

causare un reflusso delle microsfere e una somministrazione ad aree non target. Questa velocità può

essere stimata mediante l‟iniezione di mezzo di contrasto prima dell‟infusione.

Therasphere e SIRspheres vengono spediti insieme al kit necessario per l‟infusione, formato da un

sistema di tubi sterili monouso e da una parte riutilizzabile contenente accessori, tra cui una base

acrilica a scatola, una protezione superiore, una protezione laterale rimovibile e un gancio sacche. Il

kit accessorio assicura una disposizione ottimale del kit di somministrazione e della fiala con la

dose. Il kit accessorio deve essere disposto su un carrello o tavolo posizionato accanto al paziente

vicino al raccordo luer di entrata del catetere di infusione a cui verrà collegato.

Le tecniche di infusione di Therasphere e SIRsphere differiscono, infatti SIRphere necessita di un

monitoraggio fluoroscopico perché visto il numero e le dimensioni delle particelle è più facile

raggiungere la saturazione del vaso e la stasi; si utilizza quindi un‟alternanza di infusione di acqua

sterile e mezzo di contrasto, con attenzione a non fare entrare in contatto le SIRsphere e il mezzo

contrasto. Questo permette all‟operatore di monitorare adeguatamente l‟iniezione e verificare che

non sia raggiunta la saturazione vascolare. L‟infusione per SIRspheres viene interrotta quando: a)

l‟intera dose è stata iniettata senza raggiungere la saturazione, b) viene raggiunta la stasi e soltanto

una porzione di dose è stata iniettata. Visto l‟alto rischio di reflusso, una volta che è stata raggiunta

la stasi, continuare l‟infusione non è raccomandato.

Per SIRspheres il tasso di infusione non deve superare 5 ml per minuto poiché velocità superiori

possono determinare un reflusso nell‟arteria epatica e in altri organi. Per mantenere l‟infusione lenta

e costante e mantenere le SIRspheres in sospensione, come tecnica si può utilizzare un‟alternanza di

pressioni sulla siringa di 0,25-0,5 ml separate da una pausa. Un‟infusione tipica di SIRspheres

richiede circa 10-20 minuti.

Per Therasphere invece non è necessario un monitoraggio fluoroscopio e l‟infusione può procedere

senza preoccupazione per la stasi vascolare121

. È consigliato mantenere una pressione costante della

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siringa per la durata di ciascun lavaggio, con una velocità di flusso pari o superiore a 20 cc al

minuto. Un lavaggio corrisponde a 20cc; si raccomanda un minimo di 3 lavaggi per un totale di 60

cc per essere sicuri di aver iniettato tutto il contenuto. La pressione di infusione non dovrebbe

superare 30 psi; la valvola di sfiato è stata prevista per prevenire questa evenienza. Un‟infusione

tipica di Therasphere richiede meno di 5 minuti.

Terminato il procedimento di infusione, si procede alla rimozione del catetere e dell‟introduttore

valvolato femorale con chiusura dell‟accesso vascolare arterioso mediante sistema di emostasi

meccanica.

Al termine della procedure il paziente deve essere ricoverato in degenza protetta per motivi radio

protezionistici. Entro 30h la distribuzione delle microsfere può essere controllata tramite una PET,

sfruttando il Brehmstralung delle particelle.

2.3 Aspetti di radioprotezione

La radioprotezione è un aspetto fondamentale in questa procedura, vista la potenziale esposizione

derivante dall‟utilizzo di 90

Y. Tutte le fasi di gestione che comprendono la ricezione, lo stoccaggio,

l‟utilizzo, lo smaltimento del materiale radioattivo devono essere effettuate da personale competente

istruito sugli aspetti di radioprotezione.

Le emissioni β possono viaggiare oltre un metro nell‟aria ma sono significativamente ridotte da

meno di 1 cm di acrilico. La fiala con la dose è spedita all‟interno di contenitori schermati, pertanto

i momenti più “delicati” sono il maneggiamento della fiala al di fuori del suo box protettivo e il

momento dell‟infusione in cui il catetere per l‟iniezione, in cui passano le microsfere, non essendo

schermato, è una fonte di irradiazione. Le aree a maggior rischio di esposizione per gli operatori

sono le mani, gli occhi e la pelle. Sono pertanto indicati l‟utilizzo di occhiali protettivi e doppi

guanti e si consiglia di utilizzare un emostatico, forcipi o garze quando si maneggiano parti del kit

di somministrazione.

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Una volta terminata l‟infusione, l‟operatore deve tener presente la possibilità di contaminazione e di

deposito delle microsfere nel sistema di cateteri; la rimozione della base del catetere deve avvenire

con cautela in quanto potrebbero fuoriuscire microsfere residuate nel catetere. Se è presente un

retro-sanguinamento dalla base del catetere durante la rimozione, c‟è la possibilità di

contaminazione.

In accordo con le misure di radioprotezione, tutto il personale nella sala angiografica presente al

momento dell‟infusione, deve essere valutato all‟uscita dalla sala con contatore Geiger-Muller per

misurare ogni eventuale contaminazione.

Anche la sala angiografica deve essere attrezzata con alcuni accorgimenti come un telo non

riutilizzabile posto sotto l‟unità fluoroscopica dove verrà posto il carrello con il kit di

somministrazione. Un‟eventuale perdita di materiale sarà cosi contenuta dal telo. Dovranno poi

essere presenti contenitori in Nalgene con sacchi di plastica in cui posizionare il materiale non

riutilizzabile, la cui attività verrà misurata per stimare la dose residua nel sistema di infusione.

È importante che le operazioni durino il meno possibile, che si utilizzino i sistemi di protezione e

che si mantenga la maggior distanza possibile dal radioisotopo.

Durante lo svolgimento di tutte le operazioni è richiesta la presenza di un esperto in fisica sanitaria

che si occuperà del controllo dell‟applicazione delle norme di radioprotezione, gestirà eventuali

incidenti di contaminazione e si occuperà dello smaltimento dei rifiuti radioattivi.

I kit con cui vengono spedite le microsfere sono disegnati appositamente per ridurre al minimo

l‟esposizione e permettere un utilizzo più semplice possibile del dispositivo. È pertanto consigliato

seguire le dettagliate istruzioni fornite con il dispositivo.

Per evitare somministrazioni inaccurate o interruzioni precoci, è consigliato seguire una checklist

procedurale, fornita insieme al dispositivo, che permette di minimizzare l‟errore umano. Ogni parte

della checklist che non possa essere completata rappresenta un‟indicazione all‟interruzione della

procedura. Eventuali incidenti durante la procedura devono essere segnalati all‟azienda fornitrice

del dispositivo.

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Con un utilizzo accorto, il rischio di esposizione dell‟operatore è molto basso, anche grazie alle

caratteristiche proprie dell‟Ittrio-90 di breve emivita e limitata penetrazione attraverso aria e tessuti.

Gestione del paziente

Se prima e durante il trattamento le preoccupazioni per l‟esposizione sono rivolte verso la fiala con

le microsfere, dopo la somministrazione, è il paziente a diventare la fonte di radiazioni; i valori

medi registrati dopo 5-6 ore dall‟iniezione di circa 2 GBq sono:

- 18.8 μSv/hr a 0.25m

- 9.2 μSv/hr a 0.5m

- 1.5 μSv/hr a 1m

- 0.4 μSv/hr a 2m

- <0.1 μSv/hr a 4m

Studi sul monitoraggio della radioattività a carico di tutti i fluidi corporei hanno dimostrato la

presenza di radioattività esclusivamente a livello urinario (25-50 KBq/l/GBq nelle prime 24 ore

dopo la somministrazione). Per tale motivo al rientro in un reparto ordinario:

- Non sarà necessario raccogliere e smaltire in maniera differenziata la biancheria del letto del

paziente.

- Il paziente potrà liberamente utilizzare il bagno.

- Nel caso si rendesse necessario procedere a una paracentesi, il personale addetto alla

sorveglianza radiologica controllerà l'assenza di radiazioni nel liquido ascitico. Qualora dovesse

risultare radioattivo, verrà subito informato il medico di reparto che provvederà a raccoglierla in

appositi contenitori e a farla smaltire come rifiuto radioattivo.

- Ogni tipo d‟intervento chirurgico verrà eseguito rispettando le locali procedure vigenti nei

casi di pazienti portatori di impianti per brachiterapia. Le autorità preposte alla sicurezza

radiologica dovranno avvisare i medici e tutto il personale paramedico sui possibili rischi legati allo

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status del paziente. Il personale medico dovrà anche tenere conto dei suddetti rischi nella decisione

se procedere o meno a intervento chirurgico.

Si raccomanda la dimissione del paziente controllando che i valori di radiazione a 1 m siano

inferiori a 25 μSv/h; considerato che questi valori in genere non vengono raggiunti nemmeno il

giorno stesso del trattamento, in teoria il paziente potrebbe essere dimesso il giorno stesso della

procedura. L'osservanza di alcune norme di comportamento sono necessarie al momento della

dimissione del paziente:

a) non viaggiare sui trasporti pubblici, inclusi viaggi aerei, che durino più di 2 ore per almeno una

settimana ;

b) evitare spazi pubblici chiusi per almeno una settimana;

c) non dormire nello stesso letto del partner per almeno una settimana;

d) nessun contatto con bambini o donne in stato di gravidanza per almeno una settimana;

e) visitatori adulti possono avvicinarsi al paziente per periodi di pochi minuti; per periodi più

prolungati, devono rimanere ad una distanza superiori a 2 metri per una settimana.

2.4 Complicanze

Le complicanze insorte dopo radioembolizzazione possono essere il risultato di una dose tossica al

parenchima non tumorale o ai tessuti extraepatici o di complicanze procedurali durante il

posizionamento o la manipolazione del catetere.

Eventuali complicanze o effetti collaterali devono essere riportate utilizzando il sistema

raccomandato dalla SIR (Society of Interventional Radiology)112

.

Poiché è difficile distinguere gli eventi avversi come risultato di un peggioramento della malattia

epatica, come progressione del tumore o come tossicità del trattamento, è importante distinguere le

complicanze secondo un ordine temporale di insorgenza: immediate (< 24 h dalla procedura),

precoci (1-30 giorni dalla procedura), tardive (>30 giorni dalla procedura).

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Una complicanza si definisce maggiore quando determina una sostanziale morbilità e disabilità tale

da aumentare il livello di cure necessarie oppure risulti in un ricovero ospedaliero. Queste

includono anche i casi che necessitino di emotrasfusioni o drenaggi113,114

. Tutte le altre complicanze

sono considerate minori.

Complicanze epatiche

Includono l‟insufficienza epatica, l‟ipertensione portale, ascessi epatici, bilomi intraepatici e infarti

epatici115,116,117

.

Malattia epatica radio indotta (RILD): è definita da un peggioramento della funzione epatica

rispetto allo stato pretrattamento. Si verifica generalmente tra le 4 e le 8 settimane dopo il

trattamento. Ha un‟incidenza tra 0-4% ed è il risultato dell‟esposizione del parenchima non

tumorale ad alte dosi di radiazioni. Generalmente, può manifestarsi con segni e sintomi (es.

peggioramento ascite, ittero) e con alterazioni biochimiche di laboratorio (es. aumento dei valori di

bilirubina). La tossicità epatica è raramente così severa da determinare una significativa morbidità e

mortalità117

. L‟incidenza è stata verificata più frequentemente in pazienti di età avanzata, con un

trattamento dell‟intero fegato e con più elevati valori di bilirubina pre-trattamento. Anche la dose

iniettata al paziente sembra influenzarne l‟incidenza118

.

Ipertensione portale: nonostante i reperti all‟imaging indicativi di ipertensione portale, il

significato clinico è basso. Le radiazioni portano alla fibrosi che determina una contrazione del

parenchima epatico; questo può manifestarsi radiologicamente con ipertensione portale. Alterazioni

rilevanti dal punto di vista clinico, come conta piastrinica <100000/mm3 o sanguinamento di varici,

sono rare. Non sono in ogni caso alterazioni acute, per cui è consigliata un‟osservazione di tali

reperti a lungo termine.

Complicanze biliari: l‟incidenza è inferiore al 10%. Potrebbero essere causate dall‟effetto

microembolizzante della terapia e da un danno radioindotto sulle strutture biliari. La maggior parte

delle complicanze biliari non si manifesta clinicamente. Secondo Rhee e colleghi119

meno del 2%

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dei pazienti trattati ha richiesto interventi per la tossicità sulle vie biliari, ad esempio

colecistectomie, drenaggi di bilomi e ascessi. È stata descritte anche la colangite radio-indotta.

Qualora si rendesse necessario un intervento di colecistectomia in urgenza, poco tempo dopo un

trattamento di radioembolizzazione, la colecisti dovrà essere conservata e inviata in Medicina

Nucleare perché provveda allo smaltimento dell'organo. Nel caso in cui l'intervento venga eseguito

mediante accesso laparotomico, dovranno essere presi alcuni accorgimenti:

- Indossare occhiali protettivi e doppi guanti; procedere a manipolazione epatica solo se

necessario;

- il fegato dovrà essere isolato dal contatto diretto con le mani degli operatori mediante il

posizionamento di materiale di protezione;

- un rappresentante del personale addetto alla protezione radiologica dovrà essere presente

durante tutto il tempo chirurgico;

- tutti i fluidi biologici aspirati in corso di intervento, così come tutti i materiali utilizzati,

dovranno essere raccolti in appositi recipienti e smaltiti come radioattivi dalla Medicina Nucleare.

Sindrome da post radioembolizzazione (PRS)

Può manifestarsi con astenia, nausea, vomito, anoressia, febbre, dolori addominali, cachessia.

L‟ospedalizzazione generalmente non è richiesta. I sintomi sono molto meno evidenti rispetto a

quelli osservati dopo altre terapie emboliche, quali la chemioembolizzazione118,120,121,122

. Data la

mancanza di embolizzazione macroscopica associata alle microsfere, le conseguenze cliniche

potrebbero essere causate dall‟irradiazione interna e dalla microembolizzazione. Con le SIRsphere

il maggior carico embolizzante potrebbe teoricamente essere associato ad un maggiore effetto

embolico. Non sono però riportati in letteratura differenze significative in termini di incidenza di

PRS tra Therasphere e SIRspheres. In letteratura l‟incidenza di PRS varia dal 20 al 55%118,120,122,123,

.

Un follow-up del paziente a due settimane è raccomandato per verificare la presenza di

sintomatologia.

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51

Polmonite radio-indotta

Si manifesta con una disfunzione respiratoria di tipo restrittivo. L‟incidenza è <1% se vengono usati

i modelli dosimetrici standard125,126

. L‟utilizzo dei MAA è essenziale per calcolare lo shunt

polmonare che se superiore al 20% rappresenta un criterio di esclusione dal trattamento. Sono

raccomandate dosi ai polmoni inferiori a 30 Gy per trattamento e 50 Gy come dose cumulativa di

più trattamenti. In pazienti con preesistenti patologie croniche polmonari bisogna considerare

un‟ulteriore fattore di attenuazione nel calcolo della dose.

Complicanze gastrointestinali

Un‟attenta fase angiografica diagnostica, con identificazione ed eventuale embolizzazione di arterie

extraepatiche possibili sedi di reflusso di micro particelle, di ridurre l‟incidenza di complicanze

gastrointestinali a meno del 5%127,128

. Se non è adottata un‟appropriata tecnica angiografica, la

presenza di vasi collaterali non riconosciuti determinerà una distribuzione ectopica delle microsfere

alle pareti del tratto gastrointestinale. Possibili complicanze sono le ulcere gastrointestinali,

pancreatiti, irritazioni cutanee e irradiazione di altri organi non target. A differenza delle ulcere

gastrointestinali classiche, quelle insorte dopo radioembolizzazione originano dalla sierosa

determinando una maggiore difficoltà nella diagnostica endoscopica.

Complicanze vascolari

Durante le procedure angiografiche, l‟utilizzo di guide e cateteri può determinare complicanze

vascolari quali rotture, pseudo aneurismi, dissezioni, fenomeni trombo embolici. Tali complicanze

sembrano essere più frequenti in pazienti sottoposti a chemioterapia sistemica127

(Murthy et al,

2007).

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Linfopenia

Nella maggior parte dei pazienti sottoposti a radioembolizzazione si osserva la riduzione di oltre il

25% nella conta linfocitari, generalmente asintomatica. Non sono infatti riportati in letteratura casi

di insorgenza di infezioni opportunistiche dopo radioembolizzazione77

.

Altre complicanze

È stato riportata la possibile insorgenza di dolore periombelicale come conseguenze di una

diffusione delle microsfere attraverso l‟arteria falciforme alla parete addominale

anteriore102,129,130,131

.

Alcuni pazienti hanno riportato brividi acuti per alcuni minuti durante il trattamento132

; questi casi

hanno risposto molto bene alla somministrazione di difenidramina e meperidina. Infine sono state

descritte alterazioni gustative, quali un temporaneo gusto metallico.

Protocolli terapeutici post-procedurali

Pur non essendo disponibili linee guida univoche circa la gestione del paziente dopo

radioembolizzazione, molti autori sono concordi nella necessità di somministrare al paziente alcuni

presidi farmacologici atti a ridurre eventuali sintomi post-trattamento, quali:

- inibitori di pompa protonica, da iniziare 1 settimana prima del trattamento e proseguire per almeno

un mese come profilassi.

- corticosteroidi (metilprednisone, desametasone) per circa 5 giorni, per ridurre la sindrome post-

radioembolizzazione e gli effetti delle radiazioni sul parenchima epatico132

;

- antiemetici la mattina del trattamento;

- analgesici al bisogno, per alleviare eventuale dolore dovuto alle lesioni radio-indotte e

all‟eventuale distensione Glissoniana dovuta all‟edema tumorale;

- antibiotici, qualora si ritenga ci sia un rischio di insorgenza di ascessi epatici.

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2.5 Follow-up e valutazione della risposta radiologica

Gli effetti terapeutici della radioembolizzazione possono essere osservati basandosi principalmente

su variazioni dei markers tumorali e sui reperti radiologici133,134

.

Nell‟ambito dell‟HCC, i marcatori tumorali, in particolare α-fetoproteina, sono generalmente

aspecifici. Se da un lato la diminuzione dell‟α-fetoproteina può essere indicativa di una buona

risposta al trattamento135

, il suo incremento è un parametro spesso aspecifico, in quanto può essere

determinato non solo da un‟eventuale progressione tumorale, ma anche da fenomeni litici, infettivi

o più in generale da variazioni nella funzione epatica.

Il parametro radiologico diventa pertanto preminente per valutare la risposta al trattamento e

guidare alle successive scelte terapeutiche.

In ambito oncologico, la risposta radiologica ad una terapia viene valutata secondo i più vecchi

criteri della World Health Organization (WHO)136

e, più recentemente, secondo i criteri RECIST

(Response Evaluation Criteria in Solid Tumors)137

. Entrambi si basano sull'analisi delle

caratteristiche e del volume delle lesioni ma i criteri WHO, pubblicati nel 1979, sono

bidimensionali, mentre i criteri RECIST, pubblicati nel 2000, sono unidimensionali. Questo

significa che con i criteri RECIST, per le lesioni misurabili, si calcola la somma dei diametri

maggiori delle lesioni considerate (LD), mentre con i criteri WHO si considera il prodotto di LD per

il diametro maggiore ad esso perpendicolare. Nei criteri RECIST si distinguono le lesioni

misurabili, cioè che hanno almeno una dimensione ≥ 1 cm, da quelle non misurabili (diametro

maggiore <1 cm).

I criteri RECIST sono stati revisionati nel 2009, con la versione 1.1, nella quale i principali

cambiamenti riguardavano il numero delle lesioni da considerare e la valutazione dei linfonodi

patologici. Se nella prima versione tutte le lesioni misurabili fino a un massimo di 5 lesioni per

organo e 10 lesioni in totale dovevano essere prese in considerazione, con i RECIST 1.1 devono

essere identificate delle lesioni target fino ad un massimo di due lesioni per organo e cinque lesioni

in totale138

. Infatti, uno studio prospettico ha dimostrato che la valutazione di cinque versus dieci

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lesioni per paziente non influenza il tasso complessivo di risposta, e che la sopravvivenza libera da

progressione è solo minimamente influenzata139

.

Secondo i criteri RECIST, si definisce risposta completa (RC) la scomparsa di tutte le lesioni

bersaglio (o normalizzazione dei marker), risposta parziale (RP) la riduzione ≥ 30% della somma

degli LD valutata in basale (con i criteri WHO riduzione ≥50%), progressione di malattia (PM)

l‟incremento ≥ 20% della somma degli LD o la comparsa di nuove lesioni e, infine, malattia stabile

(MS) le modificazioni della somma degli LD che non soddisfano i criteri di RP e PM.

La sola valutazione dimensionale può non essere sufficiente o anzi può essere fuorviante nel caso

delle terapie locoregionali. In questi casi i criteri WHO e RECIST tendono a sottostimare la risposta

alla terapia, in quanto la necrosi indotta dal trattamento può non associarsi a variazioni

dimensionale delle lesioni tumorali. In ragione di queste discrepanze, già nel 2000 l‟Associazione

Europea per lo Studio del Fegato sottolineava la necessità di valutare le variazioni dimensionali del

solo tumore vitale residuo, riconosciuto dalla persistenza della captazione contrastografica in fase

arteriosa agli studi dinamici TC e/o RM140

.

Più recentemente l‟American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD) ha proposto un

emendamento ai criteri RECIST 1.1 specifico per HCC (criteri mRECIST)141

. Come per i RECIST

1.1, le lesioni devono essere distinte in target, non-target e nuove lesioni, e suddivise in misurabili e

non misurabili, mentre la risposta viene valutata sulla base della riduzione del diametro della sola

porzione vitale residua, identificata come sopra citato dalla captazione contrastografica in fase

arteriosa. Secondo gli mRECIST, quindi, le definizioni di risposta tumorale per le lesioni target

sono le seguenti:

- risposta completa (RC): completa scomparsa dell'enhancement intratumorale in fase arteriosa in

ogni lesione target;

- risposta parziale (RP): riduzione di almeno il 30% della somma dei diametri delle lesioni target

vitali;

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- progressione di malattia (PM): aumento di almeno il 20% della somma dei diametri delle lesioni

target vitali, prendendo come riferimento la somma più piccola dei diametri delle lesioni vitali

all‟inizio del trattamento, oppure la comparsa di nuove lesioni;

- stabilità di malattia (SM): qualsiasi caso non qualificabile come RP o PM.

I criteri mRECIST sono stati recentemente validati sia in termini di correlazione tra risposta

radiologia e sopravvivenza dopo trattamenti loco-regionali142,143

sia in termini di correlazione con

la percentuale di necrosi isto-patologica.

Sebbene i criteri modificati, quali gli EASL e gli mRECIST, si siano dimostrati accurati

nell‟identificare la necrosi completa anche dopo radioembolizzazione144

, la diagnostica post-

radioembolizzazione rimane una problematica ancora aperta, soprattutto nei più frequenti casi di

risposta parziale o stabilità di malattia. Infatti, la necrosi tumorale è spesso irregolare per

distribuzione ed aspetto post-contrastografico, rendendo difficoltose le misurazioni lineari richieste

dai criteri radiologici convenzionali. Per tale motivo alcuni autori hanno proposto l‟utilizzo

routinario di misurazioni volumetriche della necrosi tumorale come metodo più accurato,

riproducibile e sensibile per identificare anche precocemente i pazienti responsivi al

trattamento145,146

.

Una ulteriore problematica tuttora aperta è rappresentata dalla tempistica più adeguata per valutare

la risposta al trattamento. Sebbene le prime variazioni dimensionali possano già essere osservate

dopo un mese, è opinione comune ritenere necessari almeno 3-4 mesi prima di poter stimare la

effettiva risposta terapeutica e poter pertanto considerare eventuali ri-trattamenti.

2.6 Risultati

Nonostante le prime esperienze di radioembolizzazione intra-arteriosa per HCC risalgano ormai a

oltre 20 anni fa, solo nell‟ultimo decennio questa opzione terapeutica è entrata nella pratica clinica

per lo meno in centri di riferimento europei ed americani, soprattutto grazie alle esperienze riportate

dalla seconda metà degli anni 2000 da alcuni gruppi più attivi in questo campo di ricerca, quali

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56

quelli della Northwestern University di Chicago, di Essen in Germania e di Pamplona in Spagna, i

quali hanno dimostrato fattibilità, sicurezza ed efficacia di questo trattamento, per lo meno in analisi

retrospettive su larga scala.

Già nel 2008, Kulik e colleghi147

riportavano tassi di risposta radiologica parziale del 42,2% (criteri

dimensionali) e del 70% (criteri contrasto grafici) in una serie di 108 pazienti con HCC con e senza

trombosi portale neoplastica (TVP). Successivamente, lo stesso gruppo di studio capitanato da Riad

Salem dimostrava tempi di progressione tumorale (TTP, time to progression) mediani di 15,5 e 13

mesi in pazienti Child-Pugh A e B senza TVP e di 5,6 e 5,9 mesi in pazienti con TVP148

.

Tali risultati sono stati successivamente confermati anche dal primo studio europeo su 51 pazienti149

nonché da un registro europeo multicentrico pubblicato da Sangro e colleghi150

nel 2011 che

raccoglieva i dati di 325 pazienti. Tale registro ha riportati tassi di sopravvivenza estremamente

promettenti, con sopravvivenze mediane di 24,4 mesi in pazienti in stadio precoce (BCLC-A), 16,9

mesi nello stadio intermedio (BCLC-B) e 10 mesi nello stadio avanzato (BCLC-C).

Nonostante, la numerosità dei dati ad oggi pubblicati, la radioembolizzazione non è ancora inserita

ufficialmente nelle attuali linee guida Europee e Americane, per la mancanza di studi prospettici di

fase II e III. All‟inizio di questo anno sono stati infine pubblicati i risultati del primo studio

prospettico di fase II condotto dall‟Istituto Nazionale dei Tumori di Milano su 52 pazienti con HCC

in stadio intermedio-avanzato. Lo studio ha riportato un tempo di progressione mediano di 11 mesi,

senza differenza significativa tra pazienti con o senza TVP, ed una sopravvivenza mediana di 15

mesi con un non significativo trend a favore dei pazienti senza TVP rispetto ai pazienti con TVP

(18 versus 13 mesi). La risposta obiettiva è stata del 40,4% con un tasso di controllo di malattia del

78,8 % confermando quindi l‟efficacia del trattamento in particolare in pazienti con TVP la cui

prognosi sembra divenire simile a quella di pazienti senza TVP152

.

Vista la grande versatilità della TARE, il suo impiego è stato valutato in vari stadi della malattia.

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57

Radioembolizzazione nello stadio precoce (BCLC A)

Nello stadio precoce, i pazienti con HCC sono candidati a trattamenti curativi, primo fra tutti il

trapianto di fegato. La scarsità dei donatori e i lunghi tempi di attesa in lista, determinano tuttavia

un rischio di progressione di malattia tale da determinare la fuoriuscita dalla lista di attesa (drop-

out). Per ridurre questo fenomeno, i pazienti in lista di attesa sono frequentemente sottoposti a

trattamenti loco-regionali, quali ablazioni percutanee o chemioembolizzazione che possono limitare

la progressione locale di malattia. Recentemente, anche la TARE è stata proposta come valido

ausilio terapeutico in pazienti in lista di attesa per trapianto124

, sebbene i costi procedurali non

rendano possibile nella maggior parte dei centri un suo utilizzo su larga scala.

Radioembolizzazione nello stadio intermedio (BCLC B)

I pazienti in stadio intermedio rappresentano una popolazione molto eterogenea in termini di

estensione tumorale, sintomatologia e funzionalità epatica152,153

. In questo gruppo di pazienti, la

chemioembolizzazione (TACE) rappresenta il trattamento di prima scelta. Tuttavia, sussistono una

serie di controindicazioni assolute e relative alla TACE, per cui esiste un sottogruppo di pazienti

che non beneficeranno di questo trattamento, ad esempio pazienti con lesioni di grosse dimensioni o

con tendenza allo scompenso ascitico. Per questo sottogruppo, la TARE può rappresentare una

valida opzione terapeutica, in considerazione dell‟ottimo controllo di malattia e della bassa

incidenza di effetti collaterali, in particolare di danno sul fegato non tumorale.

Radioembolizzazione nello stadio intermedio (BCLC B) - downstaging

Nell‟ampia popolazione dei pazienti in stadio intermedio, esiste un sottogruppo per il quale appare

possibile tentare la riduzione dimensionale del tumore in modo da riportare il paziente entro i criteri

di trapiantabilità o resecabilità (il così detto “downstaging”)154

. Svariati sono i presidi terapeutici,

percutanei o trans arteriosi, che possono essere utilizzati a questo scopo, e la TARE può difatti

rientrare in questo elenco di trattamenti.

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In uno studio retrospettivo, Lewandoswki e colleghi, hanno paragonato la TARE alla TACE ai fini

del downstaging pre-trapianto, riportando percentuali di downstaging superiori dopo TARE (58%)

rispetto a quelli ottenibili dopo TACE (31%)155

.

La TARE rappresenta inoltre un interessante opzione terapeutica in pazienti al momento ritenuti

non resecabili in considerazione dell‟estensione di malattia e dell‟insufficiente volume epatico

residuo stimato. È infatti noto che l‟insufficienza epatica rappresenta una temibile complicanza

della resezione chirurgica, soprattutto in pazienti cirrotici, e che la sua incidenza è strettamente

correlata al volume epatico residuo (future liver remnant, FLR). In pazienti in cui si prevede un

insufficiente FLR, l‟embolizzazione portale (PVE) è stata proposta come possibilità terapeutica per

indurre l‟ipertrofia del lobo contro laterale e consentire quindi la resezione chirurgica.

Un possibile rischio della PVE è tuttavia rappresentato dalla progressione tumorale all‟interno del

lobo epatico in corso di ipertrofia possibilmente stimolata dalla ipertrofia stessa. Negli ultimi anni è

stato osservato che la TARE è in grado di determinare ipotrofia marcata del lobo epatico trattato

associata ad evidenti fenomeni di ipertrofia del lobo contro laterale; questo fenomeno viene oggi

definito “radiation lobectomy”156

. La TARE è stata pertanto proposta come alternativa alla PVE in

pazienti con HCC. Rispetto alla PVE, la TARE offre il vantaggio di trattare il tumore, riducendo il

rischio di progressione tumorale pre-intervento, e può essere utilizzata anche in pazienti con

trombosi venosa neoplastica159

. Inoltre, nelle 6-12 settimane necessarie affinchè si manifesti la

lobectomia è possibile identificare quei pazienti con comportamento tumorale biologico più

favorevole, che pertanto risponderanno meglio alla resezione154,158

.

Radioembolizzazione versus Chemioembolizzazione

Non sono disponibili ad oggi studi prospettici randomizzati che pongano a confronto TACE e

TARE in pazienti allo stadio intermedio di malattia. I dati oggi disponibili si riferiscono a

valutazioni retrospettive.

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59

Salem e collaboratori159

su una serie di 123 pazienti trattati con TARE posti a confronto con 122

pazienti trattati con TACE hanno riportato un tempo mediano di progressione di malattia più lungo

dopo TARE (13,3 mesi vs 8,4 mesi) ed una minor tossicità rispetto alla TACE; tuttavia la

sopravvivenza mediana è risultata analoga (20,5 mesi vs 17,4 mesi).

Una sostanziale equivalenza fra TARE e TACE in termini di risultati radiologici e clinici è stata

riportata anche da altri autori160,161

, anche recentemente162

.

Ulteriori studi sono in corso nel tentativo di definire i ruoli rispettivi di TARE e TACE in pazienti

allo stadio intermedio (NCT00956930; NCT01381211; NCT01798160).

Il confronto fra TARE e TACE non può tuttavia prescindere da una valutazione economica. La

TARE è indubbiamente un trattamento più complesso e costoso sotto svariati aspetti. Tuttavia,

nell‟analisi dei costi, bisogna tenere presente che la TACE sembra essere più frequentemente

associata a complicanze periprocedurali, con tempi di degenza ospedaliera maggiori e più spesso

necessita di trattamenti ripetuti. Sarà pertanto necessario avere in futuro studi comparativi con

analisi di costi omni-comprensivi che possano definire i ruoli dei due trattamenti.

La sensazione oggi, comunque, è che la TARE non andrà a sostituire la TACE in pazienti in stadio

intermedio. Gli sforzi futuri dovranno essere tesi ad identificare quelle sottocategorie di pazienti che

beneficiano di più di un tipo di trattamento piuttosto che un altro, tenendo conto degli specifici

vantaggi e svantaggi di ciascuna opzione terapeutica163

.

Radioembolizzazione nello stadio avanzato (BCLC C)

Secondo le attuali linee guida, il sorafenib rappresenta il trattamento di prima scelta in pazienti in

stadio avanzato (BCLC-C), con sopravvivenza mediana riportata dagli studi registrativi di 10,7 mesi

(sharp)164,165

e di 6,5 mesi (asia pacific)166

. Secondo i dati ad oggi disponibili, i pazienti in stadio

avanzato di malattia trattati con radioembolizzazione risultano avere sopravvivenze mediane

comprese tra 6 e 10 mesi e pertanto equivalenti a quelle riportate dopo sorafenib148,150

, con TTP di

13 mesi dopo TARE e 4,1 mesi dopo sorafenib167

. Nonostante le prime evidenze di equivalenza

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nella sopravvivenza, rispetto alla TARE il sorafenib si associa a maggiori effetti collaterali che

portano frequentemente a precoce interruzione del trattamento167,168

. La TARE fornisce quindi una

ulteriore valida opzione terapeutica in quei pazienti che non rispondono o non tollerano il sorafenib.

Analizzando in dettaglio i dati di letteratura sino ad oggi pubblicati, la radioembolizzazione fornisce

risultati miglior in pazienti con TVP interessante i rami segmentali o lobari (sopravvivenza mediana

di 10-14 mesi) rispetto a quelli con TVP del tronco portale comune (sopravvivenza mediana di 3-6

mesi)92,169

. Inoltre, risultati meno soddisfacenti sono riportati per pazienti con metastasi a distanza

rispetto a pazienti con solo interessamento epatico.

Esiste pertanto un sottogruppo di pazienti in stadio avanzato che possono beneficiare della sola

TARE rispetto ad un gruppo, a più elevato rischio di progressione tumorale precoce, per il quale

l‟associazione tra TARE e sorafenib potrebbe determinare risultati migliori. Estensione di malattia,

valori di alfa-fetoproteina e comportamento biologico possono rappresentare gli elementi

discrimanti170

.

Anche in questo settore, c‟è una sostanziale carenza di evidenza scientifica solida per poter definire

il ruolo della TARE rispetto al sorafenib. Tuttavia sono in corso svariati studi clinici, prospettici,

randomizzati e in doppio ceco, che mettono a confronto sorafenib e TARE, quest‟ultima da sola

(NCT 01135056: SIRveNIB , NCT 01482442: SARAH e YES-p trial) o in associazione con lo

stesso sorafenib (NCT 01126645: SORAMIC e NCT 01556490: STOP-HCC).

Radioembolizzazione e qualità di vita

La radioembolizzazione non è un trattamento curativo ma rientra tra le terapie palliative. Un aspetto

quindi fondamentale e spesso sottovalutato è la qualità di vita (quality of life, QoL) dei pazienti. I

tumori del tratto epatobiliare sono classicamente associati ad una cattiva prognosi e ad una

diminuita qualità di vita con dolore, ittero, anoressia e depressione quali sintomi più comuni171

.

Secondo più del 95% dei pazienti con HCC con ridotta aspettativa di vita, la QoL diventa

importante quanto la sopravvivenza172

.

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61

Uno recente studio173

ha confrontato la qualità di vita dopo TACE rispetto a quella dopo TARE,

utilizzando il FACT-Hep, un questionario con 45 elementi studiato per pazienti con HCC.

Nonostante il gruppo trattato con TARE avesse uno stadio BCLC più avanzato, lo studio ha messo

in evidenza una miglior qualità di vita rispetto alla TACE per quanto riguarda il benessere sociale, il

benessere funzionale e lo score specifico delle terapie emboliche. Anche altre voci come “capacità

di lavorare” o “gioia di vivere” hanno riportato un trend positivo nei pazienti trattati con TARE

rispetto a quelli con TACE. Le differenze globali però non sono risultate statisticamente

significative verosimilmente in ragione della limitata numerosità del campione esaminato.

La buona tollerabilità della TARE, la rende un trattamento valido anche in pazienti di età avanzata

(>70 anni). Un recente studio clinico, estratto dal registro europeo, ha dimostrato che in pazienti

trattati con TARE l‟età non influenza la prognosi del paziente174

. Vista la buona tollerabilità anche

in pazienti anziani, la TARE sembrerebbe più indicata della TACE nei pazienti di età avanzata in

cui la prospettiva di un singolo trattamento sembra più accettabile di trattamenti ripetuti e con più

effetti collaterali come avviene nella TACE159

. Lo stesso principio potrebbe essere applicabile al

sorafenib, i cui eventi avversi sono più frequenti e meno tollerati nei pazienti anziani175

.

L‟importanza del problema legato alla tollerabilità ed alla qualità di vita è testimoniata dal fatto che

la maggioranza degli studi clinici prospettici attualmente in corso comprendono anche una

valutazione della QoL, per cui i risultati futuri riusciranno anche a fornire risposte su questo

versante ed eventualmente anche a giustificare eventuali costi aggiuntivi necessari per la TARE.

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CAPITOLO 3

Università di Pisa: esperienza preliminare

La procedura di radioembolizzazione con Y90 (TARE) è stata attivata presso la nostra Azienda

Ospedaliera Universitaria nel Marzo 2012. Nel primo anno di attività sono stati trattati sia pazienti

con tumori epatici primitivi (HCC e colangiocarcinoma) sia pazienti con lesioni epatiche

metastatiche.

Scopo di questa tesi è di presentare i risultati del primo anno di attività nell‟ambito di pazienti con

HCC.

Tra Marzo 2012 ed Aprile 2013, sono stati valutati per TARE 16 pazienti (15 maschi) con HCC in

stadio intermedio o avanzato, i cui dati clinico-demografici sono presentati in Tabella 1.

Dei 16 pazienti sottoposti a fase diagnostica (angiografia e SPECT), 3 (18,7%) sono stati esclusi dal

trattamento per shunt epatopolmonare (n=2) e shunt intraepatico destro-sinistro (n=1).

I successivi dati si riferiscono ai 13 pazienti sottoposti a trattamento.

Dei pazienti trattati, 12 erano in stadio avanzato ( BCLC C) per la presenza di trombosi venosa

portale (TVP) ed uno in stadio intermedio (BCLC B). L‟estensione della TVP era segmentale o

lobare in 7 casi, mentre nei restanti 5 pazienti la TVP raggiungeva il primo tratto del tronco portale

comune.

Tre pazienti (23,1%) avevano ricevuto trattamenti precedenti alla radioembolizzazione (resezione

epatica e sorafenib in un paziente, sorafenib in un paziente e TACE in un paziente).

Fase diagnostica

Durante la fase diagnostica preliminare, è stata eseguita un‟aortografia addominale (Multistar,

Siemens, Erlangen, Germany) con successivo studio angiografico selettivo

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dell‟arteria mesenterica superiore, del tripode celiaco e dell‟arteria epatica comune e propria,

valutando anche il ritorno venoso portale.

È stato quindi eseguito il cateterismo superselettivo dei rami arteriosi afferenti alla lesioni mediante

microcateteri coassiali 3F ad alto flusso (Progreat; Terumo, Tokyo, Japan).

In 5 pazienti (38,4%) è stata eseguita embolizzazione intraarteriosa con microspirali metalliche di

uno o due rami arteriosi minori afferenti alle lesioni per favorire la redistribuzione del flusso

ematico attraverso il tronco arterioso principale.

I macroaggregati di albumina (MAA) sono stati marcati con Technescan LyoMAA (Mallinckrodt

Medical, Petten, The Netherlands). I pazienti hanno quindi eseguito SPECT/TC nell‟U.O. di

Medicina Nucleare entro un‟ora dalla somministrazione dei MAA con gamma-camera SPECT

ibrida Discovery 670 NM/TC (GE Healthcare Technologies, Milwaukee, Wisconsin, USA),

apparecchio a doppia testata con geometria variabile, equipaggiato con due cristalli di NaI(Tl) con

spessore 3/8” e dimensioni di 54 x40 cm, dispositivo di contornamento automatico del paziente con

sensori a infrarossi (Automatic Body Contouring, ABC), associato ad un sistema TC 16-slice

BrightSpeed™ Elite (GE Healthcare Technologies, Milwaukee, Wisconsin, USA).

I medici nucleari ed i radiologi interventisti hanno valutato congiuntamente le immagini SPECT/TC

per valutare la distribuzione dei MAA all‟interno della massa tumorale ed escludere shunt

epatopolmonare ed extraepatico.

La dose di radiofarmaco da ordinare è stata calcolata sulla base dei dati clinico-laboratoristici, peso

e altezza del pazienti, dati della SPECT-TC e volumi di fegato totale, fegato target ed estensione

tumorale. Tali volumi sono stati calcolati sulle immagini TC pre-procedurali utilizzando software di

segmentazione automatica su workstation indipendente (Advantage Windows 4.6, GE Healthcare).

Per la dosimetria è stata utilizzata la formula standard suggerita dalle case produttrici.

Trattamento

L‟intervallo mediano tra fase diagnostica e trattamento è stato di 13 giorni (range 8-35).

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Dei 13 pazienti trattati, 11 (84,6%) sono stati trattati con dispositivo Therasphere e 2 (15,4%) con

SIR-spheres. L‟attività mediana somministrata è stata di 3 GBq (range 0.38-7 GBq).

Prima della somministrazione in tutti i pazienti è stata eseguita una profilassi farmacologica a base

di corticosteroidi ed antiemetici per prevenire una eventuale sindrome post-embolizzazione.

Entro le prime 24 ore dall‟iniezione delle microsfere, i pazienti hanno eseguito uno studio PET/TC

(Discovery ST/8; GE Healthcare, Milwaukee, Wisconsin, USA), per verificare l‟effettiva

distribuzione intra-epatica delle microsfere.

Il tempo medio di degenza ospedaliera è stato di tre giorni.

Non sono stati registrati casi di complicanze correlate alla procedura, maggiori o minori, sia in fase

peri-procedurale che a distanza.

Risposta radiologica e sopravvivenza

Tutti i pazienti sono stati sottoposti a controlli TC (Discovery™ CT750 HD, GE Healthcare) con

tecnica di acquisizione trifasica, a 1 e 3 mesi ed ogni 3 mesi successivamente.

La risposta tumorale al trattamento è stata valutata sia in termini di mRECIST che di variazioni

volumetriche della porzione tumorale captante il mezzo di contrasto in fase arteriosa. I volumi sono

stati calcolati mediante segmentazione semiautomatica con software dedicato (Advantage Windows

4.6, GE Healthcare).

La risposta tumorale è riportata in Tabella 2. Complessivamente, una risposta tumorale oggettiva

(risposta completa o parziale o stabilità di malattia) è stata osservata in tutte le lesioni target. I tre

casi di stabilità di malattia osservati al controllo a 3 mesi mostravano una disomogenea

distribuzione del radiofarmaco al controllo PET a 24 ore, non congruente rispetto all‟esame

SPECT-TC preliminare.

Considerando la risposta complessiva a 3 mesi secondo i criteri mRECIST, sono stati osservati 1

(7,6%) caso di risposta completa, 8 (61,4%) casi di risposta parziale, 2 (15%) casi di stabilità di

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malattia e 2 (15%) casi di progressione tumorale per la comparsa di nuove lesioni, di cui uno

verificatosi nell‟unico tumore ipovascolare sottoposto a trattamento (caso #1, tabella 2).

Il volume tumorale vitale è risultato ridotto in 12/13 (92,3%) casi, con un caso di minimo

incremento volumetrico; la riduzione media del volume tumorale vitale è stata del 68,2% ± 26,6

(range, 19-100%).

Nei pazienti con follow-up di almeno 6 mesi (n=4), sono stati osservati altri due casi di

progressione di malattia. Tre pazienti sono stati sottoposti ad ulteriori trattamenti 6 mesi dopo

TARE, con due pazienti trattati con TACE ed un paziente sottoposto ad alcolizzazione percutanea

in un residuo di malattia inferiore a 2cm di diametro.

La durata media del follow-up è stata di 7 ± 3 mesi (mediana 7,3 mesi). All‟ultimo follow-up (30

giugno 2013), sono stati registrati 3 decessi (3/13, 23,1%) a distanza di 5, 12 e 13 mesi dal

trattamento, per progressione di malattia, mentre i restanti 10 pazienti (76,9%) sono tuttora in

follow-up.

CONCLUSIONI

La nostra esperienza preliminare, in accordo con i dati della letteratura, conferma la sicurezza del

trattamento di radioembolizzazione epatica in pazienti con HCC e la sua efficacia in termini di

controllo locale di malattia. Sebbene rappresenti una procedura complessa e costosa, essa può

rappresentare una valida opzione terapeutica in pazienti in stadio intermedio di malattia con

controindicazioni o non rispondenti alla TACE e in pazienti in stadio avanzato che presentino

localizzazione prevalentemente epatica con trombosi portale neoplastica che non raggiunge l‟ilo

epatico.

La valutazione di questi risultati preliminari consentirà una revisione del nostro attuale protocollo,

soprattutto in termini di calcoli dosimetrici.

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Tabella 1: dati clinico-demografici

n. Pazienti 16

Età (aa) 65,5 ± 10,5

Maschi/Femmine 15 / 1

Cirrosi 14 (87,5%)

Virale (HCV / HBV / HBV + HCV) 10 (6 / 2 / 2)

Alcolica 3

Altro 1

Child-Pugh A / B 15 /1

MELD mediano 8

BCLC B / C 1 / 15

Trattamenti precedenti 3 (18,7%)

Trombosi portale 15 (93,7%)

Segmentale o Lobare 7

Tronco portale comune e oltre 5

Estensione tumorale

Diametro totale tumorale (mm) 86,4 ± 33,6

Volume tumorale (cc) 329,3 ± 470

Uni / Bilobare 10 / 6

Durata follow-up (mesi) 7 ± 3

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Tabella 2: risposta tumorale a 3 mesi

Paz Estensione tumorale Risposta tumorale a 3 mesi

Diam tot

(mm)

Volume

(cc)

Uni /

Bilobare

mRECIST

lesione target

mRECIST

complessivo

Variazione

volumetrica

1 51 40 Uni RP PM 62,5%

2 54 110 Uni RP RP 25,4%

3 50 214 Uni RC RC 100%

4 116 936 Bilob MS PM 19,4%

5 81 227 Uni RP RP 95,6%

6 90 160 Uni RP RP 82,5%

7 170 1700 Bilob RP RP 61,3%

8 70 261 Uni RP RP 94,4%

9 60 98 Uni MS MS 61,2%

10 50 69 Bilob MS MS 75,3%

11 70 110 Uni RP RP -20%

12 125 176 Bilob RP RP 89,2%

13 90 180 Bilob RP RP 51,1%

Legenda:

RC: risposta completa

RP: risposta parziale

MS: stabilità di malattia

PM: progressione di malattia

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio la Dottoressa Irene Bargellini che mi ha aiutato durante tutta la stesura della tesi e il Prof. Bartolozzi che mi ha permesso di frequentare e di svolgere la tesi presso il dipartimento di Radiodiagnostica Universitaria di Cisanello.

Un sentito ringraziamento a tutti i miei amici, vecchi e nuovi, e a tutti coloro che mi sono stati vicini; sono grato all’università che mi ha permesso di incontrare persone splendide con cui ho condiviso questi sei anni.

Infine il più grande grazie va alla mia famiglia, in particolare alla mia sorella e ai miei genitori, a cui devo tutto e a cui dedico questa tesi.

Luigi