La Principessa e la Regina - George Martin.pdf

56
1 LA PRINCIPESSA E LA REGINA OVVERO I NERI E I VERDI Una storiografia delle cause, origini, battaglie e tradimenti del grandemente tragico spargimento di sangue conosciuto come Danza dei Draghi, così come riportata dall’arcimaestro Gyldayn della Cittadella di Vecchia Città (qui trascritta da George R.R. Martin) Danza dei Draghi è il nome altisonante scelto per indicare la furibonda lotta fratricida per il possesso del Trono di Spade di Westeros combattuta fra due rami rivali della nobile Casa Targaryen fra gli anni 129 e 131 DC (dopo la Conquista). Chiamare Danza i tetri, turbolenti, sanguinosi eventi di questo periodo appare grottescamente inappropriato. Senza dubbio alcuno, il termine trae la propria origine da un qualche cantastorie. “Morte dei Draghi” sarebbe un nome di gran lunga più sensato, ma da un lato le tradizioni, dall’altro lo scorrere del tempo, hanno impresso a fuoco la dicitura decisamente più poetica nelle pagine della Storia. Pertanto, anche noi danzeremo con tutti gli altri. Dopo la dipartita di re Viserys I Targaryen, due erano i principali pretendenti al trono: sua figlia Rhaenyra, unica progenie sopravvissuta al primo matrimonio del sovrano, e suo figlio Aegon, primogenito avuto dalla seconda moglie. Nel caos e nella carneficina causati dalla loro rivalità, anche altri sedicenti re avrebbero avanzato pretese, ancheggiando come guitti su un palcoscenico per un paio di settimane, forse addirittura per un mese, solamente per svanire con la stessa rapidità con la quale erano apparsi. La Danza spaccò i Sette Regni in due, con lord, cavalieri e popolino che decidevano di schierarsi da una parte o dall’altra, arrivando a prendere le armi gli uni contro gli altri. Perfino la stessa Casa Targaryen finì con il dividersi, quando parenti, consanguinei e gli stessi figli dei due pretendenti vennero risucchiati a loro volta nello scontro. Nel corso dei due anni di questa lotta fratricida, terribile fu il prezzo di sangue pagato non solo dai grandi lord di Westeros, ma anche dai loro alfieri, cavalieri e sudditi. La dinastia Targaryen sopravvisse, certo, ma il suo potere ne risultò largamente indebolito e il numero degli ultimi draghi ancora esistenti al mondo si ridusse drammaticamente. Nella lunga storia dei Sette Regni, la Danza fu diversa da qualsiasi guerra mai combattuta prima. Per quanto eserciti abbiano marciato e si siano scontrati in battaglie feroci, gran parte dei massacri ebbe luogo sulle acque e... soprattutto... in aria, quando draghi affrontarono altri draghi con zanne, artigli e fiamme. Ma la Danza fu una guerra segnata anche da intrighi, assassini e tradimenti, una guerra combattuta fra le ombre e lungo scale a spirale, in sale di concilio e in cortili di castelli, servendosi di pugnali e menzogne e veleni. Covato a lungo sotto la cenere, il conflitto si fece rovente il terzo giorno del terzo ciclo di luna dell’anno 129 DC, quando re Viserys I Targaryen, sofferente e costretto a letto, chiuse gli occhi per un breve riposo nella Fortezza Rossa di Approdo del Re. Riposo dal quale non si risvegliò mai più. Il suo corpo privo di vita venne scoperto da un servitore all’ora del pipistrello, quando il sovrano era solito gustare una coppa di ippocrasso. Il servitore corse a dare la ferale notizia alla regina Alicent, i cui appartamenti si trovavano un piano più in basso rispetto a quelli del re. Ferale notizia che il servitore recò di persona alla regina e a lei sola, evitando quindi di provocare una situazione di allarme generale. La morte del re era un evento atteso da tempo, ecco il motivo per il quale la regina Alicent e la sua corte, i cosiddetti “verdi” ,a si erano premurati di istruire tutte le guardie e tutti i servitori di Viserys su come comportarsi qualora la morte fosse effettivamente sopraggiunta.

Transcript of La Principessa e la Regina - George Martin.pdf

1

LA PRINCIPESSA E LA REGINA OVVERO

I NERI E I VERDI Una storiografia delle cause, origini, battaglie e tradimenti del grandemente tragico spargimento di sangue conosciuto come Danza dei Draghi, così come riportata dall’arcimaestro Gyldayn della Cittadella di Vecchia Città (qui trascritta da George R.R. Martin) Danza dei Draghi è il nome altisonante scelto per indicare la furibonda lotta fratricida per il possesso del Trono di Spade di Westeros combattuta fra due rami rivali della nobile Casa Targaryen fra gli anni 129 e 131 DC (dopo la Conquista). Chiamare Danza i tetri, turbolenti, sanguinosi eventi di questo periodo appare grottescamente inappropriato. Senza dubbio alcuno, il termine trae la propria origine da un qualche cantastorie. “Morte dei Draghi” sarebbe un nome di gran lunga più sensato, ma da un lato le tradizioni, dall’altro lo scorrere del tempo, hanno impresso a fuoco la dicitura decisamente più poetica nelle pagine della Storia. Pertanto, anche noi danzeremo con tutti gli altri. Dopo la dipartita di re Viserys I Targaryen, due erano i principali pretendenti al trono: sua figlia Rhaenyra, unica progenie sopravvissuta al primo matrimonio del sovrano, e suo figlio Aegon, primogenito avuto dalla seconda moglie. Nel caos e nella carneficina causati dalla loro rivalità, anche altri sedicenti re avrebbero avanzato pretese, ancheggiando come guitti su un palcoscenico per un paio di settimane, forse addirittura per un mese, solamente per svanire con la stessa rapidità con la quale erano apparsi. La Danza spaccò i Sette Regni in due, con lord, cavalieri e popolino che decidevano di schierarsi da una parte o dall’altra, arrivando a prendere le armi gli uni contro gli altri. Perfino la stessa Casa Targaryen finì con il dividersi, quando parenti, consanguinei e gli stessi figli dei due pretendenti vennero risucchiati a loro volta nello scontro. Nel corso dei due anni di questa lotta fratricida, terribile fu il prezzo di sangue pagato non solo dai grandi lord di Westeros, ma anche dai loro alfieri, cavalieri e sudditi. La dinastia Targaryen sopravvisse, certo, ma il suo potere ne risultò largamente indebolito e il numero degli ultimi draghi ancora esistenti al mondo si ridusse drammaticamente. Nella lunga storia dei Sette Regni, la Danza fu diversa da qualsiasi guerra mai combattuta prima. Per quanto eserciti abbiano marciato e si siano scontrati in battaglie feroci, gran parte dei massacri ebbe luogo sulle acque e... soprattutto... in aria, quando draghi affrontarono altri draghi con zanne, artigli e fiamme. Ma la Danza fu una guerra segnata anche da intrighi, assassini e tradimenti, una guerra combattuta fra le ombre e lungo scale a spirale, in sale di concilio e in cortili di castelli, servendosi di pugnali e menzogne e veleni. Covato a lungo sotto la cenere, il conflitto si fece rovente il terzo giorno del terzo ciclo di luna dell’anno 129 DC, quando re Viserys I Targaryen, sofferente e costretto a letto, chiuse gli occhi per un breve riposo nella Fortezza Rossa di Approdo del Re. Riposo dal quale non si risvegliò mai più. Il suo corpo privo di vita venne scoperto da un servitore all’ora del pipistrello, quando il sovrano era solito gustare una coppa di ippocrasso. Il servitore corse a dare la ferale notizia alla regina Alicent, i cui appartamenti si trovavano un piano più in basso rispetto a quelli del re. Ferale notizia che il servitore recò di persona alla regina e a lei sola, evitando quindi di provocare una situazione di allarme generale. La morte del re era un evento atteso da tempo, ecco il motivo per il quale la regina Alicent e la sua corte, i cosiddetti “verdi”,a si erano premurati di istruire tutte le guardie e tutti i servitori di Viserys su come comportarsi qualora la morte fosse effettivamente sopraggiunta.

2

La regina Alicent si recò immediatamente nella stanza da letto del sovrano. Ad accompagnarla, ser Criston Cole, lord comandante della Guardia reale. Una volta constatato il decesso di re Viserys, sua grazia la regina diede ordine che la stanza venisse sigillata e posta sotto sorveglianza. Il servitore che aveva trovato il corpo del re fu preso in custodia, in modo da assicurarsi che la notizia non si diffondesse. Ser Criston fece ritorno alla Torre delle Spade Bianche, sede della Guardia reale, e inviò i suoi confratelli a chiamare a raccolta i membri del concilio ristretto del re. Tutto questo accadeva all’ora del gufo. Allora, come anche ora, la confraternita giurata della Guardia reale consisteva di sette cavalieri, uomini di comprovata lealtà e di indubbio valore, i quali avevano prestato solenne giuramento di dedicare le loro vite alla difesa della persona del re e di quella dei suoi consanguinei. Al tempo della morte di Viserys I, solamente cinque delle sette cappe bianche si trovavano ad Approdo del Re. Lo stesso ser Criston, ser Arryk Cargyll, ser Rickard Thorne, ser Steffon Darklyn e ser Willis Fell. Ser Erryk Cargyll, fratello gemello di ser Arryk, e ser Lorent Marbrand, rimasti alla Roccia del Drago con la principessa Rhaenyra, ignoravano dunque che i loro confratelli stavano penetrando armati nella Fortezza Rossa, per strappare ai loro letti i componenti del concilio ristretto. A radunarsi nelle stanze della regina, mentre il corpo del re suo consorte diventava freddo al piano superiore, furono la stessa Alicent, ser Otto Hightower, di lei padre e Primo Cavaliere del re, ser Criston Cole, lord comandante della Guardia reale, il gran maestro Orwyle, sapiente della Cittadella, lord Lyman Beesbury, l’ottantenne maestro del conio, ser Tyland Lannister, maestro della flotta e fratello del lord di Castel Granito, Larys Strong, chiamato Larys Piededuro, lord di Harrenhal e maestro delle spie, e lord Jasper Wylde, chiamato Verga di Ferro, maestro delle leggi. Il gran maestro Orwyle fu il primo a prendere la parola, passando in rassegna doveri e procedure d’obbligo al momento della morte di un re. «Septon Eustace dovrebbe essere convocato al più presto per impartire gli ultimi riti e pregare per l’anima del re» dichiarò il gran maestro. «Un corvo messaggero dev’essere immediatamente inviato alla Roccia del Drago affinché la principessa Rhaenyra sia informata della morte del padre. E non vorrebbe, sua grazia la regina, prendersi cura ella stessa della stesura del messaggio, così da attenuare la gravità del momento offrendo parole di condoglianze? Poiché, inoltre, la morte di un re viene sempre annunciata facendo suonare le campane, qualcuno dovrebbe occuparsi di ciò. Infine, naturalmente, dobbiamo dare inizio ai preparativi per l’incoronazione della regina Rhaenyra...» «Tutto questo» lo interruppe ser Otto Hightower «aspetterà fino a quando il problema della successione non sarà stato risolto.» Quale Primo Cavaliere del re, Hightower aveva l’autorità di parlare a nome del re, aveva perfino il diritto di essere assiso sul Trono di Spade in assenza del re. Viserys gli aveva concesso l’autorità di governare sui Sette Regni e, “fino a che un nuovo re non fosse stato incoronato”, quell’autorità sarebbe rimasta in essere. «Fino a quando la nostra nuova regina non sarà stata incoronata» corresse lord Beesbury in tono sferzante. «Re» rimarcò la regina Alicent. «Per diritto di successione, il Trono di Spade deve passare al primogenito di sua grazia.» La discussione che seguì si protrasse fin quasi all’alba. Lord Beesbury parlò a nome della principessa Rhaenyra. L’anziano maestro del conio, il quale aveva servito re Viserys per l’intera durata del suo regno e, prima di lui, aveva servito suo padre, Jaehaerys, il Vecchio Re, ricordò al concilio che Rhaenyra era non solo la maggiore in età, ma che aveva anche più sangue Targaryen di tutti gli altri suoi fratelli. Era lei che il defunto sovrano aveva scelto a succedergli, rifiutandosi peraltro di modificare la linea di successione, nonostante le suppliche della regina Alicent e dei suoi verdi. Inoltre, nell’anno 105 DC, erano centinaia i lord e i cavalieri proprietari terrieri che avevano dichiarato obbedienza alla principessa, giurando solennemente di difendere i suoi diritti. Ma queste parole andarono a cozzare contro orecchie fatte di pietra. Ser Tyland sottolineò come molti dei lord che avevano giurato di difendere la successione della principessa fossero morti

3

da lungo tempo. «Sono ormai passati ventiquattro anni» affermò. «Da parte mia, non ho prestato alcun giuramento. Ero solo un bambino, all’epoca.» Verga di Ferro, maestro delle leggi, citò il Gran Concilio del 101 e la scelta del Vecchio Re a favore di Baelor, e non di Rhaenys, nell’anno 92. Dopodiché, disquisì a lungo di Aegon il Conquistatore, delle sue sorelle e della ben nota tradizione andala secondo la quale i diritti di un figlio maschio di sangue reale vengono comunque prima dei diritti delle figlie femmine. Ser Otto ricordò all’intero concilio ristretto che il marito di Rhaenyra era niente meno che il principe Daemon. «... E sappiamo tutti di quale risma è quel personaggio. Non facciamoci illusioni: dovesse Rhaenyra arrivare sul Trono di Spade, sarà Daemon a governarci, un re consorte tanto crudele e spietato quanto lo fu Maegor. E la prima testa sul ceppo del boia sarebbe la mia, di questo non dubito affatto. Ma la testa della vostra regina, mia figlia, seguirebbe a breve.» «Nemmeno i miei figli verrebbero risparmiati» gli fece eco la regina Alicent. «Aegon e i suoi fratelli sono veri figli del re, con una ben più valida pretesa al trono che non quella della covata di bastardi prodotta da Rhaenyra. Daemon troverà un pretesto qualsiasi e li farà mettere a morte, tutti quanti. Perfino Helaena e i suoi piccini. Uno di questi Strong ha strappato un occhio ad Aemond, non dimenticatelo mai. Era un ragazzo, aye, ma il ragazzo rimane pur sempre il padre dell’uomo, e tutti i bastardi, per loro stessa natura, sono esseri mostruosi.» Venne il turno di ser Criston Cole. «Dovesse la principessa salire al trono, a regnare dopo di lei sarà Jacaerys Velarion. I Sette Dèi salvino questo reame dovessimo noi mettere un bastardo sul Trono di Spade.» Dopodiché ser Criston procedette a parlare delle turpi inclinazioni di Rhaenyra e dell’infamia del di lei marito. «Ridurrebbero la Fortezza Rossa a un postribolo. Nessuna figlia sarebbe più al sicuro, né nessuna moglie. Lo stesso vale per i fanciulli... lo sappiamo bene che cosa era Laenor.» Se anche lord Larys Strong abbia preso la parola nel corso del contenzioso, non ne viene fatta menzione. Il che però non è insolito. Per quanto dotato, se necessario, di una lingua velenosa, il maestro delle spie era avaro di parole quanto un usuraio intento a contare il proprio conio. Piuttosto che parlare, lord Larys preferiva ascoltare. «Se davvero compiremo questo atto» il gran maestro Orwyle mise in guardia il concilio «esso condurrà certamente a una guerra. La principessa Rhaenyra non si farà mestamente da parte. E la principessa Rhaenyra possiede draghi.» «Ma possiede anche amici» dichiarò lord Beesbury. «Uomini d’onore, che non dimenticheranno i giuramenti da loro stessi prestati a Rhaenyra e a suo padre. Io sono vecchio, certo, ma non vecchio al punto da rimanere quietamente seduto mentre soggetti della vostra fatta complottano per strapparle la corona.» A quel punto, l’anziano lord si alzò per lasciare la sala. Con la forza, ser Criston Cole lo costrinse a sedersi di nuovo sul suo scranno. Poi, procedette a tagliargli la gola con un pugnale. E così il primo sangue versato durante la Danza dei Draghi fu quello di lord Lyman Beesbury, maestro del conio, lord tesoriere dei Sette Regni. Dopo quella morte violenta, nessun’altra voce di dissenso fu udita. Il concilio ristretto trascorse il resto della notte facendo piani per l’incoronazione del nuovo re – la qual cosa doveva avvenire in fretta, tutti furono d’accordo – e compilando liste di possibili alleati e di ipotetici nemici, nel caso la principessa Rhaenyra avesse rifiutato di accettare l’ascesa di re Aegon. Con la principessa confinata alla Roccia del Drago, e per di più in procinto di partorire, i verdi della regina Alicent non intendevano vanificare quel vantaggio. Quanto più a lungo Rhaenyra fosse rimasta all’oscuro della morte del re suo padre, tanto più lentamente avrebbe reagito. «E chi può dirlo...» aggiunse la regina Alicent. «La puttana potrebbe anche morire di parto.» Quella notte, nessun corvo messaggero prese il volo dalla Fortezza Rossa. Nessuna campana suonò. I servitori al corrente della morte del re furono rinchiusi nelle segrete. A ser Criston Cole venne affidato il compito di prendere in custodia i neri presenti a corte, quei lord, quei cavalieri che

4

potevano essere inclini a schierarsi a favore della principessa Rhaenyra. «Che non venga usata loro violenza alcuna... a meno che essi non oppongano resistenza» comandò ser Otto Hightower. «Tutti coloro i quali compiranno atto di sottomissione e giureranno fedeltà a re Aegon non riceveranno da parte nostra alcun male.» «E quelli che invece non lo faranno?» chiese il gran maestro Orwyle. «Sono traditori» sentenziò Verga di Ferro. «Per cui dovranno morire della morte che meritano i traditori.» A quel punto, per la prima e unica volta, parlò lord Larys Strong, maestro delle spie. «Che quindi si sia noi i primi a prestare giuramento» disse estraendo il pugnale «a meno che tra noi non si annidino altri traditori.» Piededuro si passò il filo della lama sul palmo della mano. «Un giuramento di sangue» martellò «che unisca tutti noi: confratelli fino alla morte.» Così ciascuno dei cospiratori scavò con l’acciaio un solco nella propria mano, quindi le serrarono, la mano dell’uno in quella dell’altro, suggellando la loro confraternita. L’unica esentata dal giuramento fu la regina Alicent, in quanto donna. L’alba già avvampava su Approdo del Re quando la regina Alicent inviò la Guardia reale a prendere i suoi figli per condurli al cospetto del concilio. Alla notizia della dipartita del sovrano suo nonno, il principe Daeron, il più sensibile, pianse. Il principe Aemond, con un solo occhio, fu trovato nell’armeria, intento a indossare maglia di ferro e armatura in vista del suo addestramento quotidiano nel cortile del castello. «È Aegon il nuovo re?» chiese a ser Willis Fell. «Oppure dovremo inchinarci a baciare la topa della vecchia baldracca?» La principessa Helaena stava facendo colazione con i suoi, di figli, quando la Guardia reale si presentò a lei... ma non appena le venne chiesto dove si trovasse il principe Aegon, suo fratello nonché consorte, ella si limitò a rispondere: «Non nel mio letto, di questo potete stare certi. In ogni caso, ritenetevi pure liberi di frugare sotto le coperte». Il principe Aegon era in compagnia della sua amante, quando fu trovato. Sulle prime, si rifiutò di prendere parte alle macchinazioni della madre. «Che genere di fratello s’impossessa del diritto ereditario della propria sorella?» Solamente dopo che ser Criston Cole lo ebbe convinto del fatto che sua sorella, nel momento in cui si fosse posta in capo la corona, lo avrebbe certamente messo a morte assieme a tutti i suoi fratelli, il principe esitò. «Fino a quando anche un solo Targaryen sarà in vita, nessuno Strong potrà mai neppure sperare di poter sedere sul Trono di Spade» insistette Cole. «Se vuole che i suoi bastardi regnino dopo di lei, Rhaenyra non ha scelta: deve avere le vostre teste.» Fu questa argomentazione, e solamente questa, a indurre Aegon ad accettare la corona che il concilio ristretto gli stava offrendo. Ser Tyland Lannister venne nominato maestro del conio, rimpiazzando il defunto lord Beesbury: la sua prima mossa ufficiale fu sequestrare il tesoro reale. L’oro della corona venne suddiviso in quattro parti. Una parte venne affidata in amministrazione fiduciaria alla Banca di Ferro di Braavos, un’altra inviata, sotto pesante scorta, a Castel Granito, una terza fu spostata a Vecchia Città, sede degli Hightower. Quanto rimaneva sarebbe stato usato per corruzioni e donazioni, e per ingaggiare mercenari, se ciò si fosse rivelato necessario. A sostituire ser Tyland quale maestro della flotta, ser Otto guardò alle Isole di Ferro, inviando un corvo messaggero a Dalton Greyjoy, la Piovra Rossa, il temerario, sanguinario, sedicenne Lord Predone di Pyke delle Isole di Ferro, a cui offrì, in cambio della sua fedeltà, sia l’ammiragliato sia uno scranno nel concilio. Un giorno passò, seguito da un altro. Nessun septon, nessuna sorella del silenzio vennero convocati agli alloggi dove re Viserys, ormai gonfio e in putrefazione, continuava a giacere. Nessuna campana suonò. Altri corvi spiccarono il volo, ma non verso la Roccia del Drago. Per contro, essi viaggiarono in direzione di Vecchia Città, Castel Granito, Delta delle Acque e Alto Giardino. Viaggiarono anche verso molti altri lord e cavalieri che la regina Alicent supponeva potessero allearsi con suo figlio.

5

Furono recuperati, e quindi chiosati, gli annali del Gran Concilio del 101 DC, individuando quali lord si fossero espressi, all’epoca, a favore di Viserys e quali invece a favore di Rhaenys, Laena o Laenor. I lord in consesso si erano schierati per il pretendente maschio nella misura di venti a uno. C’erano stati però dei dissenzienti e, se questa nuova situazione fosse degenerata in una guerra, quasi certamente quelle stesse casate si sarebbero schierate a favore di Rhaenyra. La principessa avrebbe avuto dalla sua il Serpente di Mare e le sue flotte, valutò ser Otto e, verosimilmente, anche altri lord della costa orientale: lord Bar Emmon, Massey, Celtigar e Crabb, quasi di sicuro, e forse addirittura lo stesso Evenstar di Tarth. Tutti costoro, tranne i Velaryon, rappresentavano comunque forze secondarie. Motivo di maggiore preoccupazione costituivano invece gli uomini del Nord: al concilio tenuto ad Harrenhal, Grande Inverno si era espressa per Rhaenys, lo stesso avevano fatto i lord alfieri degli Stark, Dustin di Barrowton e Manderly di Porto Bianco. Della Casa Arryn era bene non fidarsi: in quel periodo, Nido dell’Aquila era dominato da una donna, lady Jeyne, la Vergine della Valle, i cui stessi diritti a regnare, a fronte dell’esautorazione della principessa Rhaenyra, sarebbero stati messi in discussione. Il pericolo più grande, però, rimaneva Capo Tempesta. Da sempre la Casa Baratheon era una forte sostenitrice della principessa Rhaenys e dei di lei figli. Per quanto l’anziano lord Boremund fosse trapassato, il figlio Borros era addirittura più bellicoso del padre, e i lord minori della Tempesta lo avrebbero di sicuro seguito dovunque e comunque lui li avesse guidati. «Ecco perché dobbiamo assicurarci che egli li guidi fino al nostro re» affermò la regina Alicent. Dopodiché, mandò a chiamare il suo secondogenito. Per cui, non fu un corvo a spiccare il volo verso Capo Tempesta quel giorno, fu bensì Vhagar, il più vecchio e il più grande dei draghi del continente occidentale. A cavalcarlo, il principe Aemond Targaryen il Guercio, uno zaffiro a riempire la cavità vuota dell’occhio che egli aveva perduto. «La tua missione è ottenere la mano di una delle figlie di lord Baratheon» gli rivelò ser Otto, suo nonno, prima che Aemond salisse verso i cieli. «Ne ha quattro, ma una vale l’altra. Tu conquistala, sposala e lord Borros schiererà le Terre della Tempesta al fianco di tuo fratello. Fallisci e...» «Non fallirò» tagliò corto il principe Aemond. «Aegon avrà Capo Tempesta, e io avrò questa fanciulla.» Quando il principe Aemond si congedò, il tanfo di morte emanato dalla stanza del re ormai si stava diffondendo per l’intero Fortino di Maegor, favorendo il dilagare a corte, e per l’intero castello, di una quantità di voci e dicerie insensate. Le segrete nei sotterranei della Fortezza Rossa avevano inghiottito così tanti uomini sospettati d’infedeltà al punto da spingere perfino l’Alto Septon a porsi interrogativi riguardo a tutte quelle sparizioni. Dalla sua sede nel Tempio Stellato di Vecchia Città, il sacerdote inviò un messaggio in cui chiedeva della sorte di alcuni degli scomparsi. Ser Otto Hightower, forse il Primo Cavaliere più metodico in assoluto, voleva più tempo per i preparativi, ma la regina Alicent era consapevole di come non fosse possibile un’ulteriore dilazione. Lo stesso principe Aegon stava cominciando a non gradire affatto tutta quella segretezza. «Quindi: sono o non sono il re?» domandò a confronto diretto con la madre. «Se sono il re, allora incoronatemi.» Le campane iniziarono a suonare il decimo giorno del terzo ciclo di luna dell’anno 129 DC, i loro rintocchi segnavano la conclusione di un regno. Alla fine, al gran maestro Orwyle fu concesso di far spiccare il volo ai suoi corvi. A centinaia, gli uccelli neri diffusero la notizia della successione di Aegon fino agli angoli più remoti del reame. Dopodiché venne il turno delle sorelle del silenzio, che prepararono per il rogo il corpo del defunto re. Uomini a cavallo di destrieri lividi percorsero le strade di Approdo del Re. Con le loro grida, essi annunciarono ciò che dovevano ai cittadini: «Re Viserys è morto, lunga vita a re Aegon». Alla notizia, alcuni piansero, altri si rallegrarono, ma la maggior parte del popolino si limitò a osservare in silenzio, cauto e confuso. E, di quando in quando, si udiva invece gridare: «Lunga vita alla nostra regina!».

6

Al contempo, preparativi per l’incoronazione si stavano compiendo in tutta fretta. Come sito venne scelta la Fossa del Drago. Sotto la sua immane cupola, si trovavano abbastanza panche di pietra da ospitare fino a ottantamila persone. Inoltre, le spesse mura, il robusto tetto e i torreggianti portali di bronzo rendevano la fossa agevolmente difendibile, qualora dei traditori avessero cercato di interrompere la cerimonia. Il giorno stabilito, ser Criston Cole collocò la corona di ferro e di rubini appartenuta ad Aegon il Conquistatore sul capo del primogenito di re Viserys e della regina Alicent, proclamandolo Aegon della Casa Targaryen, secondo del suo nome, re degli andali, dei rhoynar e dei primi uomini, lord dei Sette Regni e Protettore del Reame. Sua madre, la regina Alicent, adorata dal popolino, collocò la corona che a lei stessa apparteneva sul capo della figlia Helaena, sorella e moglie di Aegon. Dopo averla baciata sulle guance, la madre s’inginocchiò al cospetto della figlia e disse: «Mia regina». Con l’Alto Septon rimasto a Vecchia Città, troppo anziano e cagionevole per affrontare il viaggio fino ad Approdo del Re, spettò quindi a septon Eustace ungere la fronte di re Aegon con gli unguenti sacri e benedirlo con i nomi di tutti i Sette Dèi. Alcuni dei presenti alla cerimonia, quelli con lo sguardo più acuto degli altri, notarono che solo quattro cappe bianche, e non cinque come da protocollo, erano schierate in occasione dell’incoronazione del nuovo re. Aegon II aveva subito le prime defezioni la notte precedente, quando ser Steffon Darklyn della Guardia reale si era allontanato di soppiatto dalla città assieme al suo scudiero, a due attendenti e a quattro armigeri. Con il favore delle tenebre, si erano dileguati da una delle porte delle scolte, raggiungendo poi un’imbarcazione da pesca che li avrebbe portati fino alla Roccia del Drago. I cavalieri recavano con sé una corona rubata, un pezzo d’oro giallo con incastonate sette gemme, ciascuna di diverso colore: era la corona portata da re Viserys e, prima di lui, da Jaehaerys, il Vecchio Re. Quando, a onore del suo stesso nome, il principe Aegon aveva optato per la corona di ferro e rubini del suo leggendario antenato, Aegon il Conquistatore, la regina Alicent aveva dato ordine che la corona di Viserys fosse messa al sicuro. L’attendente al quale la sovrana aveva affidato quella responsabilità l’aveva invece trafugata. Conclusa l’incoronazione, i membri rimasti della Guardia reale scortarono Aegon al suo destriero, una splendida creatura ricoperta di scintillanti scaglie dorate e dalle membrane alari color rosa pallido: Sole di Fuoco fu il nome dato a questo drago dell’alba d’oro. Maestro Munkun ci racconta che per due volte il nuovo sovrano volò in circolo sopra la città, prima di tornare a terra all’interno delle mura della Fortezza Rossa. Ser Arryk Cargyll accompagnò sua grazia fino alla sala del trono illuminata da torce, dove Aegon II, sotto gli sguardi di un migliaio tra lord e cavalieri, salì i gradini che conducevano al Trono di Spade. Grida di giubilo echeggiarono nella sala. Nessun grido di giubilo, per contro, si udiva alla Roccia del Drago, dove, invece, risuonavano, tra le sale e le scale della Torre del Drago marino, urla provenienti dagli appartamenti della regina, nei quali Rhaenyra Targaryen, al suo terzo giorno di doglie, spingeva e si contorceva. L’infante non sarebbe dovuto arrivare se non dopo un altro ciclo di luna, ma le notizie giunte da Approdo del Re avevano riempito la principessa di furore nero. Furore che sembrava avere accelerato la nascita, come se il bimbo dentro di lei fosse a sua volta furente e stesse lottando per uscire il prima possibile. Per l’intero travaglio la principessa non aveva mai smesso di lanciare imprecazioni, invocando gli dèi perché scatenassero la loro collera non soltanto contro i suoi fratellastri ma addirittura contro la sua stessa madre, la regina Alicent, ed elencando pure le torture che avrebbe inflitto a tutti loro prima di consegnarli alla morte. Neppure il bimbo che portava in grembo fu risparmiato da questo. «Vieni fuori!» urlava la principessa, artigliando il proprio ventre rigonfio, il suo maestro e la sua levatrice che cercavano di trattenerla. «Mostro... mostro! Vieni... FUORI!» E quando non il bimbo, ma la bimba alla fine nacque si rivelò effettivamente un mostro: una creatura nata morta, un groviglio deforme, con una specie di voragine nel petto laddove avrebbe

7

dovuto trovarsi il cuore e una tozza coda coperta di scaglie rettiliane. Il giorno dopo la principessa Rhaenyra, una volta che il latte di papavero ebbe attenuato il dolore che l’affliggeva, annunciò che la bimba nata morta era stata chiamata Visenya. «Era la mia unica figlia. E loro l’hanno uccisa. Hanno rubato la mia corona e hanno assassinato mia figlia. Di tutto questo, pagheranno il prezzo.» E così la Danza ebbe veramente inizio. La principessa convocò un suo concilio: il “concilio nero”, contrapposto al “concilio verde” di Approdo del Re. Fu Rhaenyra in persona a presiederlo, al fianco di suo zio e marito, il principe Daemon Targaryen. Con loro c’erano i tre figli, per quanto nessuno avesse ancora raggiunto l’età adulta (Jace aveva quindici anni, Luke quattordici, Joffrey dodici). C’erano anche i due cavalieri della Guardia reale fuggiti dalla Fortezza Rossa: ser Erryk Cargyll, gemello di ser Arryk, e ser Lorent Marbrand, uomo delle Terre dell’Ovest. Trenta cavalieri, un centinaio di balestrieri e trecento uomini d’arme costituivano il resto della guarnigione della Roccia del Drago. Una forza combattente che era sempre stata considerata sufficiente per una fortezza di quella entità. «Tuttavia, come strumento di conquista» rilevò tetramente il principe Daemon «il nostro esercito lascia in qualche modo a desiderare.» Facevano parte del concilio nero anche una dozzina di altri uomini, tra lord minori, alfieri e vassalli della Roccia del Drago. Tra di essi: Celtigar dell’Isola della Chela, Staunton di Riposo del Corvo, Massey di Stonedance, Bar Emmon di Punta Acuminata e Darklyn di Duskendale. Ma il lord più importante pronto a schierare le sue forze a favore della principessa rimaneva Corlys Velaryon di Driftmark. Per quanto il Serpente di Mare fosse ormai in età avanzata, continuava a sostenere di rimanere aggrappato alla vita nello stesso modo in cui “un marinaio ubriaco si aggrappa al relitto di una nave affondata”. «Forse i Sette Dèi hanno voluto preservarmi per quest’ultima battaglia.» Al fianco di lord Corlys c’era pure sua moglie, la principessa Rhaenys, cinquantacinque anni, dal viso affilato, segnato da rughe sottili, i capelli argentei striati di bianco, eppure ancora fiera e impavida come lo era stata a ventidue anni, donna a volte conosciuta dal popolino come “la-Regina-che-non-fu”. Coloro i quali sedevano nel concilio nero definivano loro stessi “lealisti”, ma erano fin troppo consapevoli del modo in cui re Aegon II li avrebbe bollati: traditori. Ognuno di loro aveva già ricevuto una convocazione da Approdo del Re, nella quale s’imponeva di presentarsi alla Fortezza Rossa per giurare fedeltà al nuovo sovrano. Gli eserciti di tutti loro messi assieme non riuscivano a raggiungere neppure la forza numerica dell’armata che gli Hightower da soli erano in grado di mandare in campo. Ma i verdi di Aegon potevano contare anche su altri vantaggi. Vecchia Città, Approdo del Re e Lannisport erano le più grandi e più ricche città del reame, e tutte e tre erano controllate dai verdi. Ogni singolo simbolo di legittimità apparteneva ad Aegon II Targaryen. Aegon sedeva sul Trono di Spade. Aegon viveva nella Fortezza Rossa. Aegon portava la corona del Conquistatore, brandiva la spada del Conquistatore, era stato investito da un septon del Credo sotto gli occhi di decine di migliaia di sudditi. Il gran maestro Orwyle sedeva nei suoi concili, ed era stato il lord comandante della Guardia reale in persona a porre la corona sul suo regale capo. Inoltre, Aegon era maschio, fatto che, agli occhi di molti, lo rendeva re di diritto, la sua sorellastra null’altro che un’usurpatrice. A fronte di tutto ciò, i vantaggi di Rhaenyra erano scarsi. Taluni lord anziani ricordavano ancora i giuramenti da loro prestati quando era stata fatta principessa della Roccia del Drago e nominata erede del padre. C’era stato un tempo in cui Rhaenyra era molto amata sia dalla nobiltà sia dal popolino, quando tutti la osannavano come Delizia del Reame. Molti giovani lord e nobili cavalieri anelavano al suo favore... ma quanti di loro avrebbero ancora combattuto per lei, adesso che era una donna sposata, invecchiata e appesantita da ben sei parti, questa era una domanda alla quale nessuno era in grado di rispondere. Per quanto il suo fratellastro avesse razziato il tesoro del loro padre, la principessa aveva comunque a disposizione la ricchezza della Casa Velaryon, le flotte del Serpente di Mare le davano anche la superiorità sulle acque. Poi, il suo consorte principe Daemon, la cui risolutezza e durezza erano state dimostrate e temprate dagli scontri sulle

8

Stepstones, aveva più esperienza bellica di tutti i di lei avversari messi assieme. Infine, elemento cruciale, Rhaenyra aveva i suoi draghi. «Lo stesso vale per Aegon» rilevò lord Staunton. «Noi ne abbiamo più di lui» disse la principessa Rhaenys, la Regina-che-non-fu, che cavalcava draghi da molto più tempo di tutti loro. «E i nostri draghi, eccezion fatta per Vhagar, sono più grossi, più forti. Qui sulla Roccia del Drago, i draghi si sviluppano meglio.» Ella procedette quindi a enumerare per il concilio. Re Aegon aveva il suo Sole di Fuoco. Una splendida bestia, anche se giovane. Aemond il Guercio cavalcava Vhagar, ed era impossibile valutare con esattezza il pericolo rappresentato da quello che era stato il drago niente meno che della regina Visenya. Sogno di Fuoco, che un tempo aveva portato fra le nubi Rhaena, sorella del Vecchio Re, era la cavalcatura della regina Helaena. Il drago femmina del principe Daeron era Tessarion, ali scure come cobalto, artigli, cresta e scaglie ventrali vivide come rame lavorato. «Quattro draghi di stazza da combattimento» precisò infine Rhaenys. I figli gemelli della regina Helaena avevano a loro volta un drago ciascuno, ma erano appena nati. Quanto a Maelor, figlio dell’usurpatore, tutto quello che possedeva era... un uovo. Contro tutto ciò, il principe Daemon aveva Caraxes e la principessa Rhaenyra aveva Syrax, entrambi bestie enormi, formidabili. Soprattutto Caraxes era impressionante e, dopo le Stepstones, tutt’altro che inesperto di fuoco e sangue. Tutti e tre i figli che Rhaenyra aveva avuto da Laenor Velaryon cavalcavano draghi: Vermax, Arrax e Tyraxes erano in pieno sviluppo, diventando più grossi ogni anno che passava. Aegon il Giovane, primogenito dei due figli generati da Rhaenyra con il principe Daemon, possedeva un giovane drago, Nube tempestosa, ma non lo aveva ancora cavalcato. Viserys, suo fratello minore, non si separava mai dal suo uovo. Quanto al drago femmina di Rhaenys, Meleys la Regina Rossa, si era fatto pigro anche se, provocato, rimaneva comunque terribile. Anche le figlie gemelle del principe Daemon e di Laena Velaryon avrebbero cavalcato draghi. Il drago di Baela, lo snello Danzatore di Luna, presto sarebbe stato sufficientemente grosso da portare in groppa la fanciulla e... per quanto dall’uovo della sorella Rhaena fosse scaturita una patetica creatura deforme che era morta solo poche ore dopo essere uscita dal guscio, Syrax aveva di recente prodotto altre uova. Una delle quali era stata data proprio a Rhaena: si diceva che la fanciulla portasse quell’uovo nel letto con sé ogni notte, levando preghiere affinché le venisse concesso un drago identico a quello della sorella. Inoltre, altri sei draghi avevano scavato le loro tane nelle fumiganti caverne del Monte del Drago, sopra la fortezza. C’erano Ali d’argento, cavalcato un tempo dalla regina Alysanne la Buona, Mare infuocato, la bestia grigio pallido che era stata l’orgoglio e la passione di ser Laenor Velaryon, il venerando Vermithor, mai più cavalcato dopo la dipartita di re Jaehaerys. Sull’altro versante della montagna crescevano tre draghi selvaggi, mai posseduti, mai cavalcati da nessun uomo, che questi fosse in vita o in morte. Il popolino li chiamava Ladro di Pecore, Spettro Grigio e il Cannibale. «Trovate dei cavalieri in grado di condurre Ali d’argento, Vermithor e Mare infuocato: a quel punto, noi avremo nove draghi. Contro i quattro di Aegon. Domiamo e conduciamo in volo i tre draghi selvaggi, e arriveremo a dodici, anche senza Nube tempestosa» sottolineò la principessa Rhaenys. «Ecco come noi vinceremo questa guerra.» I lord Celtigar e Staunton si dichiararono d’accordo. Aegon il Conquistatore e le sue sorelle avevano comprovato che né cavalieri né eserciti potevano competere con il respiro infuocato dei draghi. Celtigar insistette affinché la principessa raggiungesse immediatamente in volo Approdo del Re, tramutando l’intera città in una distesa di cenere e ossa. «E quale vantaggio ne trarremmo, mio lord?» gli chiese il Serpente di Mare. «Noi vogliamo dominare quella città, non bruciarla fino all’ultima pietra.» «Non arriveremo mai a questo» ribadì Celtigar. «L’usurpatore non avrà altra scelta se non schierare contro di noi i suoi, di draghi. Ed è certo che i nostri nove annienteranno i suoi quattro.» «Ma a quale prezzo?» intervenne la principessa Rhaenyra. «Lasciate che ve lo ricordi:

9

saranno tre dei miei figli a cavalcare tre di quei draghi. Il che non significa affatto nove contro quattro. Per qualche tempo, io stessa non avrò ancora recuperato abbastanza forze da poter volare. E chi mai cavalcherà Ali d’argento, Vermithor e Mare infuocato? Forse tu, mio lord? Davvero non lo ritengo possibile. Il rapporto di forze è cinque contro quattro, e uno dei loro quattro sarà Vhagar. No, non abbiamo nessun vantaggio.» Per una volta tanto, il principe Daemon fu d’accordo con la sua consorte. «Alle Stepstones, i miei nemici appresero a fuggire e a nascondersi nel momento stesso in cui vedevano le ali di Caraxes o udivano il suo ruggito... ma loro non avevano draghi. Per nessun uomo è facile diventare un uccisore di draghi. Per contro, i draghi possono uccidere altri draghi, cosa che è già accaduta. Ogni maestro che abbia studiato la storia di Valyria può confermarlo. Da parte mia, non intendo scagliare i nostri draghi contro quelli dell’usurpatore a meno che io non abbia altra scelta. Ci sono altri modi per fare uso dei draghi, modi migliori.» Al che il principe illustrò le sue strategie al concilio nero. Che Rhaenyra avesse la sua incoronazione, così da contrastare quella di Aegon. Quindi, loro avrebbero inviato corvi messaggeri, facendo appello ai lord dei Sette Regni affinché giurassero fedeltà alla loro vera regina. «È con le parole che dobbiamo combattere questa guerra... prima di combatterla sul campo» affermò il principe. I lord delle grandi casate erano la chiave di volta della vittoria, insistette Daemon, alfieri e vassalli avrebbero seguito le loro direttive. Aegon l’Usurpatore aveva ottenuto l’appoggio dei Lannister di Castel Granito, quanto a lord Tyrell di Alto Giardino non era altro che un infante con ancora il pannolino. Sua madre, investita del fardello della reggenza, avrebbe quasi certamente allineato l’Altopiano al volere dei suoi potenti alfieri, gli Hightower di Vecchia Città. Quanto al resto degli alti lord del reame... ancora non si erano schierati. «Capo Tempesta sarà con noi» dichiarò la principessa Rhaenys, lei stessa, per parte di madre, era di quel sangue, e il defunto lord Boremund Baratheon era sempre stato il più solido dei suoi amici. Il principe Daemon aveva valide ragioni per sperare che la Vergine della Valle avrebbe fatto sì che Nido dell’Aquila si unisse alla loro causa. Di sicuro, considerò inoltre il principe, Aegon l’Usurpatore avrebbe cercato di ottenere l’assenso di Pyke: sui mari, le Isole di Ferro erano le uniche in grado di competere con le forze della Casa Velaryon. Ma gli uomini di ferro erano notoriamente inaffidabili, Dalton Greyjoy adorava il sangue e la battaglia e, forse, convincerlo a sostenere la principessa non sarebbe stato poi così arduo. Il Nord era troppo lontano per rappresentare un fattore significativo nello scontro che stava per iniziare, giudicò il concilio nero: nel tempo che gli Stark avrebbero impiegato a radunare un esercito, la guerra poteva essere già finita. Il che lasciava fuori solamente i lord dei Fiumi, branco decisamente turbolento e litigioso, dominato, almeno di nome, dalla Casa Tully di Delta delle Acque. «Noi abbiamo amici nelle Terre dei Fiumi» proseguì il principe Daemon «per quanto non tutti loro abbiano ancora osato rivelare da che parte intendono schierarsi. È necessario trovare un luogo nel quale essi possano radunarsi, un fortilizio sul continente che sia grande a sufficienza da allocare un esercito consistente, e che sia pure abbastanza solido da reggere l’assalto di qualsiasi forza l’usurpatore invierà contro di noi. E quel luogo è questo...» mostrò loro la mappa «Harrenhal.» La decisione venne presa. Cavalcando Caraxes, il principe Daemon avrebbe guidato l’assalto contro Harrenhal. La principessa Rhaenyra sarebbe rimasta invece alla Roccia del Drago fino a quando non avesse recuperato le forze. La flotta di Velaryon avrebbe sbarrato il Gullet, salpando dalla Roccia del Drago verso Driftmark per bloccare tutte le navi in ingresso o in uscita dal Golfo delle Acque Nere. «Non abbiamo sufficienti forze per attaccare Approdo del Re» aggiunse il principe «non più di quante ne abbiano i nostri avversari per attaccare la Roccia del Drago. Aegon però è un ragazzo focoso, e i ragazzi focosi possono essere provocati con facilità. Forse potremmo indurlo a compiere un gesto insensato.» Il Serpente di Mare avrebbe comandato la

10

flotta, con la principessa Rhaenys a cavalcare il suo drago al di sopra di essa, così da prevenire attacchi da parte dei draghi dei loro nemici. Al contempo, corvi messaggeri avrebbero spiccato il volo verso Delta delle Acque, Nido dell’Aquila, Pyke e Capo Tempesta, richiedendo l’alleanza dei loro lord. A quel punto prese la parola Jacaerys, primogenito della regina. «Dovremmo essere noi a portare quei messaggi» disse. «Sui lord, i draghi hanno un effetto ben maggiore che non i corvi.» Suo fratello Lucerys fu d’accordo, insistendo che lui e Jace ormai erano uomini, o almeno uomini quanto bastava. «Nostro zio ci chiama spregiativamente Strong e dice che siamo dei bastardi, ma nel momento in cui i lord ci vedranno a dorso di drago, capiranno che si tratta di una menzogna. Solamente i Targaryen cavalcano draghi.» Perfino il giovanissimo Joffrey si schierò, offrendosi di cavalcare il suo drago Tyraxes e di unirsi ai fratelli. Cosa che la principessa Rhaenyra proibì: Joffrey aveva solo dodici anni, ma Jacaerys ne aveva quindici e Lucerys quattordici. Due ragazzi robusti e atletici, addestrati all’uso delle armi, che avevano servito a lungo come scudieri. «Se andrete, lo farete come messaggeri, non come cavalieri» disse loro la principessa. «Non prenderete parte a nessun combattimento.» Solo dopo che entrambi i ragazzi ebbero prestato solenne giuramento su una copia de La stella a sette punte, sua grazia finalmente acconsentì a impiegarli quali emissari. Venne deciso di affidare a Jace, tra i due quello di maggiore età, il compito più lungo e più pericoloso: raggiungere in volo Nido dell’Aquila per trattare con la Lady della Valle. Da là, a Porto Bianco, per convincere lord Manderly. Infine a Grande Inverno, per negoziare con lord Stark. La missione di Luke sarebbe stata più breve e meno rischiosa: raggiungere Capo Tempesta, dove ci si aspettava che Borros Baratheon gli riservasse un caloroso benvenuto. Il giorno successivo venne eseguita una frettolosa incoronazione. L’arrivo di ser Steffon Darklyn, il quale aveva disertato la Guardia reale di Aegon, fu evento di grande giubilo alla Roccia del Drago, specialmente quando si apprese che lui e i suoi lealisti (“voltagabbana” li avrebbe in seguito definiti ser Otto Hightower, all’atto di offrire una ricompensa per la loro cattura) avevano portato con sé la corona rubata di re Jaehaerys il Conciliatore. Trecento paia di occhi osservarono il principe Daemon porre sul capo della moglie la corona del Vecchio Re, proclamandola Rhaenyra della Casa Targaryen, prima del suo nome, regina degli andali, dei rhoynar e dei primi uomini. Per sé, il principe tenne il titolo di Protettore del Reame. Rhaenyra nominò il figlio maggiore, Jacaerys principe della Roccia del Drago ed erede del Trono di Spade. Come suo primo atto ufficiale, la regina proclamò traditori e ribelli ser Otto Hightower e la regina Alicent. «Quanto ai miei fratellastri e alla mia dolce sorella Helaena» aggiunse «essi sono stati distolti dalla retta via dai sussurri di uomini malvagi. Che essi vengano quindi alla Roccia del Drago, compiano atto di sottomissione, implorino il mio perdono e io sarò ben lieta di risparmiare loro la vita e di accoglierli nuovamente nel mio cuore, in quanto essi sono sangue del mio sangue, e nessun uomo o donna è più maledetto dell’uccisore di consanguinei.» La notizia dell’incoronazione di Rhaenyra raggiunse la Fortezza Rossa il giorno seguente, con estremo disappunto di re Aegon II. «La mia sorellastra e mio zio sono evidentemente colpevoli di alto tradimento» affermò il giovane sovrano. «Voglio che vengano catturati, voglio che vengano arrestati... li voglio morti.» Nell’ambito del concilio verde, temperamenti più controllati desideravano dire la loro. «La principessa deve prendere coscienza che la sua causa è senza speranza» disse il gran maestro Orwyle. «Mai un fratello dovrebbe scendere in guerra contro la sorella. Mandami da lei a parlamentare, vostra grazia, affinché noi si possa raggiungere un accordo amicale.» Aegon nemmeno volle ascoltarlo. Nelle sue cronache, septon Eustace sostiene che sua grazia accusò il gran maestro di slealtà, minacciando di gettarlo in una delle celle nere, le segrete più profonde e più tenebrose della fortezza, così da mandarlo a tenere compagnia “ai suoi amici neri”. Ma quando le due regine – la regina Alicent, sua madre, e la regina Helaena, sua moglie – si

11

espressero in favore della proposta di Orwyle, il re, sia pure con riluttanza, cedette. Così, viaggiando sotto i vessilli di pace, il gran maestro Orwyle venne inviato oltre il Golfo delle Acque Nere. Al suo seguito, ser Arryk Cargyll della Guardia reale e ser Gwayne Hightower delle cappe dorate, la guardia cittadina di Approdo del Re, più una falange di scribi e septon. I termini offerti da sua grazia erano generosi. Nel momento in cui la principessa lo avesse riconosciuto come re, compiendo quindi atto di obbedienza al cospetto del Trono di Spade, Aegon II le avrebbe confermato il dominio sulla Roccia del Drago, consentendo pure che, alla di lei morte, sia il titolo sia l’isola sarebbero passati al figlio Jacaerys. Il secondogenito della principessa, Lucerys, sarebbe stato riconosciuto come erede di diritto di Driftmark, nonché delle terre e dei possedimenti della Casa Velaryon. Ad Aegon il Giovane e a Viserys, figli di Rhaenyra avuti dal principe Daemon, sarebbero stati assegnati posti di alto livello a corte, il primo come scudiero del re, il secondo come suo coppiere. Il perdono reale sarebbe stato inoltre concesso a tutti quei lord e quei cavalieri che con la principessa avevano cospirato in guisa di traditori contro il loro vero re. Rhaenyra ascoltò dette condizioni in un silenzio come di pietra, quindi domandò a Orwyle se si rammentasse del di lei padre, re Viserys. «Ma certamente, vostra grazia» replicò il gran maestro. «In tal caso allora puoi forse dirci chi egli nominò quale suo erede e successore» continuò Rhaenyra. «Voi, vostra grazia» rispose Orwyle. La regina annuì e concluse: «Con le tue stesse labbra, tu quindi ammetti che la tua regina di diritto sono io. Perciò, per quale motivo tu servi il mio fratellastro? Va’ a dire a quell’impostore che io avrò il mio trono, oppure avrò... la sua testa». Dopodiché, congedò il gran maestro Orwyle e il suo seguito. Aegon II Targaryen aveva ventidue anni, rapido nell’ira, lento nel perdono. Il rifiuto di Rhaenyra di accettare il suo dominio lo fece infuriare. «Io le offro una pace onorevole, e quella puttana mi sputa in faccia!» ruggì. «Di ciò che accadrà da questo momento in avanti, la responsabile sarà solo e solamente lei.» Mentre il re pronunciava quelle parole, la Danza era già cominciata. A Driftmark, le navi del Serpente di Mare salpavano da Hull e da Città delle Spezie per chiudere il Gullet, così da strangolare tutti i commerci da e per Approdo del Re. Non molto tempo dopo, Jacaerys Velaryon era in volo verso nord sul dorso del suo drago, Vermax, suo fratello Lucerys verso sud su Arrax, mentre il principe Daemon cavalcava Caraxes in direzione del Tridente. Già una volta, quando Aegon il Conquistatore calò su di essa, la mastodontica fortezza di Harrenhal aveva dato prova della sua vulnerabilità agli attacchi dal cielo. Nel momento in cui Caraxes apparve sulla sommità della Torre del Rogo del Re, ser Simon Strong, l’anziano castellano, fu quanto mai pronto ad ammainare i vessilli. Oltre al castello stesso, con un unico colpo il principe Daemon aveva preso possesso anche della tutt’altro che trascurabile ricchezza della Casa Strong nonché di una dozzina di importanti ostaggi, fra cui ser Simon e i suoi nipoti. Al contempo, il principe Jacaerys era in volo verso nord sul suo drago per fare visita a lady Arryn della Valle, lord Manderly di Porto Bianco, lord Borrelle e lord Sunderland di Sisterton e lord Cregan Stark di Grande Inverno. Tanto seducente fu il giovane principe, quanto terrificante fu il suo drago, tali da indurre i lord in questione a giurare fedeltà e sostegno alla regina sua madre. Per converso, se il “più breve, meno rischioso” volo di suo fratello minore avesse avuto un esito diverso, molto spargimento di sangue e molti lutti sarebbero stati evitati. La tragedia che travolse Lucerys Velaryon a Capo Tempesta non fu nulla di premeditato. In merito tutte le nostre fonti concordano. Le prime battaglie della Danza dei Draghi vennero combattute con penne d’oca e corvi messaggeri, minacce e promesse, decreti e blandizie. La notizia dell’assassinio di lord Beesbury non si era ancora diffusa nel concilio verde: i più ritenevano che sua signoria stesse languendo in una qualche segreta. A corte, talune facce note non si vedevano più, ma nessuna testa mozzata era apparsa sui portali della Fortezza Rossa, e molti continuavano a sperare che il contenzioso sulla successione potesse essere risolto pacificamente. Lo Sconosciuto, però, aveva ben altri piani. Di certo, deve esserci stata la sua oscura volontà

12

dietro il malaugurato destino che portò i due giovani principi a Capo Tempesta nello stesso tempo, il drago Arrax, inseguito da un tumultuoso fronte di tempesta, che sfrecciava per portare Lucerys Velaryon al sicuro nel cortile del castello, dove trovò il principe Aemond Targaryen, arrivato prima di lui. Vhagar, il possente drago femmina di Aemond, fu il primo a percepire l’arrivo di Arrax. Gli armigeri di pattuglia sui camminamenti delle massicce mura esterne della fortezza serrarono le impugnature delle loro picche, colti da subitaneo terrore quando Vhagar si riscosse, emettendo un ruggito che arrivò a far tremare le fondamenta stesse della Sfida di Durran. Un ruggito di fronte al quale perfino Arrax si ritrasse come una quaglia, costringendo Luke a fustigarlo senza requie pur di costringerlo ad atterrare. Folgori squarciavano il cielo a est e una dura pioggia cadeva quando Lucerys saltò giù dal dorso del suo drago, il messaggio della madre stretto nel pugno. Di certo, Lucerys aveva compreso immediatamente quale fosse il significato della presenza di Vhagar a Capo Tempesta, per cui non deve essere stata per lui una grossa sorpresa ritrovarsi a confronto con Aemond Targaryen nella Sala Rotonda, sotto tutti quegli sguardi: lord Borros Baratheon, le sue quattro figlie, il septon, il maestro e due intere testuggini composte da cavalieri, guardie e servitori. «Osservala, questa trista creatura, mio lord» esordì il principe Aemond. «Il piccolo Luke Strong, il bastardo.» Poi, rivolgendosi a Luke: «Sei tutto bagnato, bastardo. Cos’è, fuori piove oppure ti sei pisciato addosso per la paura?». Lucerys Velaryon lo ignorò, rivolgendosi unicamente a lord Baratheon. «Lord Borros, sono latore di un messaggio da parte di mia madre, la regina.» «Regina?» Il principe Aemond si fece avanti per strappare la lettera dalla mano di Lucerys. «La baldracca della Roccia del Drago, vorrà dire.» Lord Borros ruggì allora un ordine. Una falange dei suoi cavalieri si avventò, frapponendosi tra i due giovani principi. Uno di loro portò la lettera di Rhaenyra alla piattaforma, sulla sommità della quale sua signoria il lord era assiso sul trono degli antichi re della Tempesta. Nessuno può sapere che cosa in verità Borros Baratheon provasse in un simile frangente. I resoconti di coloro i quali si trovavano nella Sala Rotonda differiscono grandemente gli uni dagli altri. Taluni dicono che sua signoria il lord fosse rosso in viso e abbattuto, come un uomo che entri nella propria camera da letto e trovi la propria moglie in intimità con un’altra donna. Taluni altri dichiarano che lord Borros sembrava invece quasi godere degli eventi, in quanto compiaceva la sua stessa vanità avere ben due re e una regina competere gli uni contro gli altri per ottenere il suo sostegno. Cionondimeno, tutti i testimoni concordano appieno su che cosa lord Borros fece e su che cosa lord Borros disse. Mai stato uomo di parole scritte, egli porse la missiva della regina al proprio maestro, il quale procedette a spezzare il sigillo, sussurrandone il contenuto all’orecchio del lord. Il cui volto non tardò ad aggrottarsi. Si accarezzò la barba, l’espressione che s’induriva nello squadrare Lucerys Velaryon. «E dimmi, ragazzo, se io facessi quello che tua madre mi chiede, quale delle mie figlie tu sposeresti?» accennò alle quattro fanciulle. «Forza: scegli.» «Mio lord, io non sono in libertà di sposarmi» il principe Lucerys poté solamente arrossire. «Sono promesso a mia cugina Rhaena.» «Proprio quello che pensavo» ribatté lord Borros. «Tornatene a casa, ragazzetto, e di’ a quella fetente di tua madre che il lord di Capo Tempesta non è un cane a cui lei può fare un fischio affinché si lanci contro i suoi nemici.» A quel punto, il principe Lucerys fece per lasciare la Sala Rotonda. Ma il principe Aemond snudò la spada. «Strong, fermati!» «Non intendo combatterti.» Il principe Lucerys ricordò la promessa fatta alla madre. «Mi trovo qui come emissario, non come cavaliere.» «Tu ti trovi qui come codardo e traditore» rispose il principe Aemond. «E io adesso ti

13

toglierò la vita, Strong.» L’ansia di lord Borros stava crescendo. «Non qui» rumoreggiò. «È venuto quale emissario. Non permetterò che sangue venga versato sotto il mio tetto.» Di nuovo le sue guardie si frapposero tra i due giovani principi, scortando Lucerys Velaryon fuori dalla Sala Rotonda, fino al cortile del castello dove Arrax, il suo drago, era aggobbito sotto la pioggia, in attesa del suo ritorno. La bocca di Aemond Targaryen si contorse in una smorfia di rabbia. Si voltò di nuovo verso lord Borros, chiedendo il consenso di andarsene. Il lord di Capo Tempesta scrollò le spalle: «Non spetta a me dirti che cosa fare quando non ti trovi sotto il mio tetto» rispose. E i suoi cavalieri si fecero da parte, mentre il principe Aemond si scagliava oltre i portali. Fuori, la tempesta infuriava. Tuoni rombavano sulla fortezza, la pioggia cadeva in tendaggi accecanti. Di quando in quando, violente folgori bianco-azzurre illuminavano tutto quanto a giorno. Era un pessimo tempo per levarsi in volo. Arrax stentava a tenersi in aria quando il principe Aemond saltò in groppa a Vhagar e si lanciò sulla sua scia. Se i cieli fossero stati in quiete, probabilmente il principe Lucerys sarebbe stato in grado di sfuggire al suo inseguitore, Arrax era più giovane, più veloce... ma la giornata era oscura e, alla fine, i due draghi si affrontarono al di sopra del Golfo dei Naufragi. Scolte sulle mura del castello dichiararono di aver visto fiammate lontane, di aver udito un urlo distorto coprire il rombo dei tuoni. Poi le due bestie arrivarono a contatto, altre folgori che squarciavano il cielo tutt’intorno. Vhagar, veterano di mille battaglie, era grosso cinque volte l’avversario. Se tra i due draghi duello ci fu, non dovette durare a lungo. Arrax cadde, spezzato in due, finendo inghiottito dalle acque della baia, flagellate dalla tempesta. Tre giorni dopo, la sua testa e il suo collo vennero ad arenarsi alla base delle scogliere sotto Capo Tempesta, divenendo banchetto per granchi e gabbiani. Stesso destino toccò anche al cadavere del principe Lucerys. Con la sua morte, la guerra combattuta da corvi ed emissari e patti nunziali arrivò alla fine. A cominciare in pieno furore fu la guerra fatta di fuoco e sangue. Alla Roccia del Drago, nell’apprendere della morte del secondogenito, la regina Rhaenyra ebbe un mancamento. Joffrey, fratello minore di Luke (Jacaerys era lontano, ancora in missione al nord) giurò una terribile vendetta contro il principe Aemond e lord Borros. Solo l’intervento del Serpente di Mare e della principessa Rhaenys impedì che il ragazzo saltasse in groppa al proprio drago e spiccasse il volo per mettere quella vendetta in atto. O quantomeno per tentare di metterla in atto. Mentre il concilio nero tornava a riunirsi per decidere come colpire in risposta, un corvo messaggero arrivò da Harrenhal. “Occhio per occhio, figlio per figlio” scriveva il principe Daemon. “Lucerys sarà vendicato.” Nella sua gioventù, il volto e la risata di Daemon Targaryen erano ben noti a tutti i tagliaborse, le baldracche e i biscazzieri del Fondo delle Pulci. Il principe aveva ancora amici in quantità nei bassifondi di Approdo del Re, e anche molti seguaci fra le cappe dorate della Guardia cittadina. All’insaputa di re Aegon, del Primo Cavaliere e della stessa regina madre, Daemon aveva alleati anche a corte, addirittura nello stesso concilio verde... In più, contava un altro emissario, un amico molto speciale di cui il principe si fidava completamente, il quale conosceva le osterie e i postriboli che proliferavano sotto l’incombere della Fortezza Rossa altrettanto bene quanto Daemon li aveva conosciuti un tempo, in grado quindi di muoversi agevolmente fra le ombre della città. Fu proprio a questo personaggio evanescente che il principe si rivolse, per segrete vie, allo scopo di attuare la sua spaventosa vendetta. Tra i calderoni fetidi del Fondo delle Pulci l’emissario di Daemon trovò gli strumenti adatti. Il primo fu un sergente della Guardia cittadina, grosso e brutale, espulso dalle cappe dorate per avere pestato a morte una baldracca nel pieno di un’esplosione di furia alimentata dal troppo bere. Il secondo fu un acchiappatopi della Fortezza Rossa. Per la storiografia, i veri nomi di questi due soggetti rimangono perduti. Essi sono comunque ricordati come Sangue e Formaggio. L’acchiappatopi conosceva le porte segrete e i tunnel nascosti che Maegor il Crudele aveva

14

fatto scavare all’interno del suo tetro maniero altrettanto bene quanto i topi cui dava la caccia. Attraverso un passaggio ormai dimenticato, senza che le guardie se ne accorgessero, Formaggio guidò Sangue fino al ventre stesso del castello. Taluni sostengono che il loro bersaglio fosse il re in persona ma, dovunque andasse, Aegon era sempre scortato dalla Guardia reale, e neppure Formaggio sapeva di una via per penetrare nel Fortino di Maegor diversa dal ponte levatoio che scavalcava il fossato secco irto di micidiali rostri di ferro. Per contro, la Torre del Primo Cavaliere era meno protetta. I due uomini s’intrufolarono oltre le mura, evitando i picchieri a guardia delle porte della torre. Per loro, gli appartamenti di ser Otto Hightower erano privi d’interesse. Violarono invece le stanze della di lui figlia, un piano più sotto. Era colà che, dopo il trapasso di re Viserys, la regina Alicent aveva spostato i propri alloggi, mentre suo figlio Aegon si sistemava nel Fortino di Maegor assieme alla sua consorte, la regina Helaena. Una volta dentro, Formaggio procedette a legare e imbavagliare la regina madre mentre Sangue strangolava la fantesca. Dopodiché i due sicari rimasero in attesa: sapevano che era abitudine della regina Helaena accompagnare i figli a fare visita alla nonna ogni sera, prima di mandarli a letto. Ignara del pericolo, Helaena apparve quando il crepuscolo avanzava sul castello, accompagnata dai tre figli. Jaehaerys e Jaehaera avevano sei anni, Maelor due. Entrando negli appartamenti, Helaena protese la piccola mano e chiamò il nome della madre. Sangue sprangò la porta e sgozzò l’armigero assegnato alla protezione della regina. Formaggio balzò fuori e afferrò Maelor. «Un grido solo» intimò Sangue a sua grazia «e siete tutti morti.» Si dice che la regina Helaena abbia mantenuto appieno la calma. «Chi siete?» domandò ai due sicari. «Siamo quelli che riscuotono i debiti» rispose Formaggio. «Occhio per occhio, figlio per figlio. Ne vogliamo solamente uno, per sistemarle giuste, le cose qua. Non gli facciamo mica male, a tutti voialtri di gente ricca, manco un capello vi torciamo. Qual è che vuol perdere, vostra grazia?» Nel momento in cui si rese conto di che cosa quell’essere stava dicendo, la regina Helaena implorò che uccidessero lei. «Una moglie non è mica un figlio» intervenne Sangue. «Dev’essere uno dei ragazzetti.» Formaggio avvertì la regina di prendere una decisione in fretta, prima che Sangue perdesse davvero la pazienza e stuprasse la bambina. «Decidi» minacciò l’uomo dei ratti «se no i tuoi cuccioli li ammazziamo tutti.» In ginocchio, piangendo, Helaena fece il nome di Maelor. Forse riteneva che il bimbo fosse troppo piccolo per capire. O forse perché Jaehaerys era il primogenito e l’erede di re Aegon, il prossimo dunque in linea di successione ad ascendere al Trono di Spade. «Hai sentito, piccoletto?» Formaggio bisbigliò all’orecchio di Maelor. «Mammina, qua, a te ti vuole morto ammazzato.» Dopodiché Formaggio rivolse a Sangue un sogghigno. Il gigantesco assassino mulinò la spada e vibrò un colpo che spiccò dal corpo la testa del principe... Jaehaerys. La regina eruppe in urla disperate. Strano a dirsi, eppure l’uomo dei ratti e l’uomo dei mattatoi mantennero la parola data. Non fecero alcun male né alla regina Helaena né ai due figli superstiti, ma in compenso se ne andarono portandosi via il cranio mozzato del principe Jaehaerys. Per quanto Sangue e Formaggio le avessero risparmiato la vita, non si può comunque dire che la regina Helaena sia realmente sopravvissuta al crepuscolo di quel terribile giorno. In seguito, cessò di mangiare, di lavarsi. Non lasciò più le sue stanze, né riuscì più ad alzare gli occhi sul figlioletto Maelor, sapendo di averlo scelto per farlo morire. Il re non ebbe altra scelta se non toglierle il bambino, per poi affidarlo alla propria madre, la regina Alicent, affinché lo crescesse come se fosse suo figlio. Dopo la tragedia, Aegon e la consorte dormirono in stanze separate, la regina Helaena che sprofondava sempre di più nella follia, e il re che cedeva al furore e beveva e di nuovo cedeva al furore... A quel punto il bagno di sangue non fu più arginabile. Per sua grazia, la resa incondizionata di Harrenhal al principe Daemon fu causa di profondo sconvogimento. Fino a quel momento, Aegon II aveva creduto che la causa della sorellastra fosse

15

persa in partenza. Ma con la caduta di Harrenhal sua grazia si sentì vulnerabile per la prima volta. Le due successive e rapide sconfitte di Mulino in fiamme e Stone Hedge furono altri duri colpi, che fecero capire al re quanto la situazione fosse ben più pericolosa di quanto fosse apparsa in un primo tempo. Timori che si accentuarono ancora di più quando corvi messaggeri fecero ritorno dall’Altopiano, dove i verdi avevano ritenuto di essere oltremodo forti. La Casa Hightower e Vecchia Città erano solidamente al fianco di re Aegon, il quale aveva anche Arbor... ma altrove, a sud, alcuni lord si stavano schierando con Rhaenyra, fra cui lord Costayne di Tre Torri, lord Mullendore di Terrealte, lord Tarly di Collina del Corno, lord Rowan di Goldengrove, lord Grimm di Scudo Grigio. Seguirono altri rovesci: la Valle, Porto Bianco, Grande Inverno, i Blackwood e altri lord dei Fiumi si affrettarono verso Harrenhal, radunandosi sotto i vessilli del principe Daemon. Le flotte del Serpente di Mare bloccarono il Golfo delle Acque Nere, per cui ogni mattina re Aegon si ritrovava costretto ad ascoltare le lamentele dei mercanti. Lamentele alle quali sua grazia non aveva nulla da rispondere, se non ingollare un’ennesima coppa di forte vino. «Fa’ qualcosa!...» abbaiò a ser Otto Hightower. Il suo Primo Cavaliere lo assicurò che qualcosa si stava facendo: aveva escogitato un piano per forzare il blocco navale di Velaryon. Uno dei pilastri che sostenevano la pretesa al trono di Rhaenyra era il suo consorte, per contro il principe Daemon rappresentava anche una delle sue più profonde debolezze. Nel corso delle sue molteplici, discutibili avventure, il principe si era fatto molti più nemici che non amici. Ser Otto Hightower, che di quei nemici era stato fra i primi, stava ora cercando di raggiungere un altro nemico ancora, dall’altra parte del Mare Stretto, il Regno delle Tre Figlie, con la speranza di convincerlo ad agire contro il Serpente di Mare. Ma al giovane sovrano quel ritardo non fu affatto gradito. Scarsa era la pazienza di Aegon II verso le prevaricazioni del nonno. Anche se la regina madre Alicent parlava in difesa di ser Otto, il re rimaneva sordo alle sue petizioni. Dopo aver convocato ser Otto nella sala del trono, il re strappò dal suo collo la catena della carica di Primo Cavaliere, fatta di piccole mani dorate, e la gettò a ser Criston Cole. «Il mio nuovo Primo Cavaliere è un pugno d’acciaio» abbaiò il re. «Scrivere altre lettere? No: abbiamo finito.» Quanto a ser Criston, di certo non sprecò tempo a ribadire quanto sopra. «Non è degno di te andare a chiedere il sostegno dei tuoi stessi lord, nemmeno tu fossi un mendicante che supplica l’elemosina» disse ad Aegon. «Tu sei il re di diritto di Westeros, e tutti coloro i quali lo negano sono traditori. È venuto il tempo che si rendano conto di quale sia il prezzo del tradimento.» Larys Strong Piededuro, maestro delle spie di re Aegon, aveva compilato un elenco di tutti i lord convenuti alla Roccia del Drago per presenziare all’incoronazione della regina Rhaenyra e che sedevano nel suo concilio nero. Le sedi dei lord Celtigar e Velaryon si trovavano su delle isole. Dal momento che Aegon era privo di forze navali, essi non potevano dunque essere colpiti dalla sua ira. Per contro, quei lord “neri” le cui terre si trovavano sul continente non potevano vantare quella medesima barriera protettiva. Attaccata di sorpresa dall’esercito del re, Duskendale cadde facilmente, la città saccheggiata, i vascelli alla fonda nel porto dati alle fiamme, lord Darklyn decapitato. Riposo del Corvo fu il bersaglio successivo di ser Criston. Preavvertito del suo arrivo, lord Staunton chiuse le porte e si preparò a resistere agli assalitori. Da dietro le sue mura, sua signoria fu spettatore impotente del rogo dei suoi campi, delle sue foreste, dei suoi villaggi, armenti e popolino passati a fil di spada. Nel momento in cui, all’interno del castello, le provviste cominciarono a scarseggiare, egli inviò un corvo messaggero alla Roccia del Drago, invocando soccorsi. Nove giorni dopo la richiesta di aiuto di lord Staunton, il suono di ali membranose echeggiò sul mare e il drago Meleys apparve al di sopra di Riposo del Corvo. La Regina Rossa – così si chiamava quel drago femmina a causa delle scaglie scarlatte che ricoprivano il suo corpo – possedeva ali color rosa e una cresta, corna e artigli vividi come rame. Sul suo dorso, in un’armatura d’acciaio e rame che, investita dai raggi del sole, mandava barbagli, cavalcava Rhaenys

16

Targaryen, la Regina-che-non-fu. Ser Criston Cole non ne fu impensierito. Il Primo Cavaliere di Aegon si aspettava quella mossa, l’aveva addirittura desiderata. Un rullo di tamburi impartì un ordine, arcieri muniti di archi lunghi e balestrieri si precipitarono in avanti, riempiendo il cielo di frecce e di dardi. Scorpioni, balestre gigantesche montate su ruote, vennero spinti in posizione e inclinati verso l’alto. Scagliarono verghe di ferro grosse come quelle che, molto tempo prima, avevano abbattuto Meraxes durante l’assalto contro Dorne. Il drago Meleys fu colpito in più punti, con l’unico risultato di farlo inferocire ancora di più. Calò in picchiata, sputando fuoco a destra e a sinistra. Cavalieri vennero arsi vivi mentre erano ancora in sella, le criniere, le code, i finimenti dei loro destrieri che bruciavano come torce. Armigeri lasciarono cadere le loro lance e si diedero alla fuga. Taluni tentarono di ripararsi sotto i loro scudi, ma nessun legno di quercia, nessun ferro battuto poteva resistere al respiro di drago. «Il cavaliere!» urlava ser Criston tra le fiamme e il fumo in sella al suo cavallo bianco. «Colpite il cavaliere!» Meleys ruggì, del fumo si attorcigliava fuori delle sue nari, uno stallone scalciava tra le sue fauci, lingue di fiamme lo annientavano. Poi, in risposta, sopraggiunse un diverso ruggito. Apparvero altre due forme alate: il re in persona in sella a Sole di Fuoco il Dorato, e Aemond, il di lui fratello, in groppa a Vhagar. Criston Cole aveva teso la trappola, e Rhaenys aveva abboccato all’esca. Ora, le fauci si stavano chiudendo su di lei. La principessa Rhaenys non fece il benché minimo tentativo di fuggire. Un grido di esultanza, uno schiocco di frusta, e fece virare Meleys verso il nemico. Contro il solo Vhagar, Meleys avrebbe anche potuto farcela: la Regina Rossa era anziana e scaltra, e tutt’altro che inesperta in battaglia. Ma contro Vhagar e Sole di Fuoco assieme, la fine era pressoché sicura. I draghi si scontrarono con ferocia migliaia di piedi al di sopra del campo di battaglia, sfere di fuoco eruttarono, dilagarono, fuoco talmente vivido che, in seguito, gli uomini al suolo dissero che il cielo parve pieno di soli. Per un momento, le fauci purpuree di Meleys si serrarono attorno al collo di Sole di Fuoco, fino a quando Vhagar non calò su di loro dall’alto. Tutti e tre i mostri piombarono vorticando verso terra. Pestarono con tale violenza che, a mezza lega di distanza, intere pietre vennero divelte dalle fortificazioni di Riposo del Corvo. Nessuno di coloro che si trovava più vicino ai draghi sopravvisse per descrivere gli eventi. Quanto a quelli più lontani, non furono in grado di vedere altro che fiamme e fumo. Ci vollero ore perché quel braciere si estinguesse. Un braciere dal quale l’unico a uscire fu Vhagar. Meleys era morto, spezzatosi durante l’impatto, ridotto poi in pezzi una volta al suolo. Sole di Fuoco, quella splendida bestia dorata, si ritrovò con un’intera ala sradicata dal corpo, e il suo reale cavaliere Aegon II con svariate costole spezzate, un’anca fratturata e ustioni su metà del corpo. Il peggio capitò al suo braccio sinistro. Il respiro di drago aveva fuso il ferro dell’armatura con le carni stesse del re. Un corpo, verosimilmente quello di Rhaenys Targaryen, venne rinvenuto presso la carcassa del suo drago. Un corpo talmente annerito che nessuno, in realtà, poté essere certo che si trattasse davvero di lei. Amata figlia di lady Jocelyn Baratheon e del principe Aemon Targaryen, fedele moglie di lord Corlys Velaryion, madre e nonna, la Regina-che-non-fu aveva vissuto senza conoscere la paura, morendo nel fuoco e nel sangue. Aveva cinquantacinque anni. Ottocento fra cavalieri e scudieri e uomini comuni persero la vita quel giorno. Altri cento morirono non molto tempo dopo, quando il principe Aemond Targaryen e ser Criston Cole presero Riposo del Corvo e sterminarono ciò che restava della guarnigione. La testa mozzata di lord Staunton fu portata ad Approdo del Re e infilata sulla punta di una picca al di sopra della Porta Vecchia... ma fu il cranio del drago Meleys, trasportato per la città su un carro, a far calare il silenzio sulla popolazione. Dopo quell’evento, a migliaia fuggirono da Approdo del Re, fino a quando la regina madre non diede ordine che le porte della città venissero chiuse e sbarrate. Re Aegon II non morì, per quanto le atroci sofferenze causate dalle ustioni, dicono alcuni,

17

più volte lo abbiano spinto a invocare la morte. Trasportato ad Approdo del Re all’interno di una lettiga chiusa allo scopo di celare la gravità delle sue condizioni, per il resto dell’anno sua grazia non poté lasciare il letto. Septon per lui pregarono, maestri a lui si dedicarono somministrandogli pozioni e latte di papavero. Aegon dormiva nove ore su dieci, svegliandosi solo per il tempo necessario a ingerire scarso nutrimento prima di sprofondare nuovamente nel sonno. A nessuno venne permesso di turbare il suo riposo, eccezion fatta per la regina madre e per ser Criston Cole, il suo Primo Cavaliere. La regina sua consorte, nemmeno tentò di fargli visita. A tal punto Helaena, dopo la terribile morte del figlioletto Jaehaerys, era perduta nel dolore e nella follia. Sole di Fuoco, il drago del re, troppo imponente e pesante per poter essere spostato, impossibilitato a volare a causa dell’ala spezzata, rimase nei campi oltre Riposo del Corvo, arrancando tra le ceneri come un’immane serpe dorata. All’inizio si nutrì delle carcasse bruciate dei caduti. Poi, una volta esauritesi, gli uomini lasciati da ser Criston sul sito a sorvegliare la bestia portarono vitelli e pecore. «Fino a quando tuo fratello non avrà recuperato le forze per riprendere la corona» disse il Primo Cavaliere del re al principe Aemond «dovrai essere tu a dominare il reame.» Non fu necessario che ser Criston lo ripetesse. Così, Aemond il Fratricida, guercio da un occhio, si mise sul capo la corona di ferro e rubini che era appartenuta ad Aegon il Conquistatore. «Sta molto meglio su di me di quanto sia mai stata su di lui» dichiarò subito il principe. Cionondimeno, Aemond non assunse il titolo di re, limitandosi a proclamare se stesso Protettore del Reame e principe reggente. Ser Criston mantenne la carica di Primo Cavaliere. Al contempo, i semi che Jacaerys Velaryon aveva diffuso durante il suo volo a nord avevano cominciato a dare i loro frutti. Uomini d’arme si stavano radunando a Porto Bianco, Grande Inverno, Barrowton, Sisterton, Città del Gabbiano e presso le Porte della Luna. Se siffatte forze fossero arrivate a congiungersi a quelle che i lord dei Fiumi stavano ammassando ad Harrenhal a sostegno del principe Daemon, neppure le possenti mura di Approdo del Re sarebbero state in grado di reggere l’assalto. In merito, ser Criston mise in guardia il nuovo principe reggente. Nutrendo suprema fiducia nel proprio valore di guerriero e nella possanza di Vhagar, il suo drago, Aemond non vedeva l’ora di affrontare i nemici in battaglia. «La baldracca della Roccia del Drago non è la vera minaccia» affermò. «Non più di quanto lo siano Rowan e i suoi traditori sull’Altopiano. Mio zio, lui è il vero pericolo. Morto Daemon, tutti questi stolti che ora vanno a raccogliersi sotto i vessilli di mia sorella torneranno a rintanarsi dentro i loro castelli e non ci daranno più pensiero.» A est del Golfo delle Acque Nere anche la regina Rhaenyra aveva seri problemi. La morte violenta del figlio Lucerys era stata un duro colpo per una donna già alquanto provata da gravidanza, travaglio e una figlia nata morta. Quando la notizia della caduta della principessa Rhaenys raggiunse la Roccia del Drago, parole colme di rabbia vennero scambiate fra la regina e lord Velaryon, il quale addossò a lei la reponsabilità della morte della moglie. «Avresti dovuto essere tu al suo posto» ringhiò il Serpente di Mare a sua grazia. «Era a te che Staunton aveva chiesto aiuto, eppure tu hai mandato mia moglie... impedendo ai tuoi figli di andare con lei!» L’intero castello sapeva perfettamente che Jace e Joff erano più che pronti a lanciarsi sui loro draghi verso Riposo del Corvo assieme alla principessa Rhaenys. Verso la fine di quel fatale anno 129 DC arrivò così il turno di Jacaerys di passare all’azione. Per prima cosa, egli convinse il lord delle Maree a tornare sulla scena nominandolo Primo Cavaliere della regina. Di concerto, lui e lord Corlys Velaryon cominciarono a pianificare l’attacco di Approdo del Re. Ben consapevole delle promesse fatte alla Vergine della Valle, Jace diede ordine al principe Joffrey di andare in volo fino a Città del Gabbiano in groppa a Tyraxes. Maestro Munkun suggerisce che l’elemento cruciale in questa sua decisione fu la precisa volontà di Jace di tenere il fratello lontano dai combattimenti. Decisione che però non incontrò affatto il favore di Joffrey,

18

determinato a dare prova del proprio valore in battaglia. Fu solo dopo aver saputo che stava per essere inviato a difendere la Valle contro i draghi di re Aegon che il giovane principe, controvoglia, accettò di andare. Ad accompagnarlo venne scelta Rhaena, la figlia tredicenne che il principe Daemon aveva avuto da Laena Velaryon. Nota come Rhaena di Pentos, la città nella quale era nata, ella non era un’amazzone di draghi, in quanto il drago a lei destinato era morto tre anni prima al momento della sua uscita dall’uovo. In ogni caso Rhaena portò con sé altre tre uova di drago, pregando ogni notte che esse fossero fertili. A sua volta anche il principe della Roccia del Drago aveva a cuore la sorte dei suoi due fratellastri, Aegon il Giovane e Viserys, rispettivamente di nove e sette anni di età. Nel corso dei suoi numerosi viaggi verso la città libera di Pentos, il principe Daemon loro padre si era fatto molti amici. Conseguentemente, Jacaerys guardò al di là del Mare Stretto e al principe dominatore di quella città, il quale accettò di prendersi cura dei due fanciulli fino a quando Rhaenyra non si fosse saldamente insediata sul Trono di Spade. Negli ultimi giorni dell’anno 129 DC, i giovani principi s’imbarcarono sul mercantile Lieta Seduzione – Aegon con il suo drago Nube tempestosa, Viserys aggrappato al suo uovo – salpando verso Essos. A scortarli affinché raggiungessero Pentos in sicurezza, il Serpente di Mare inviò sette vascelli da guerra. Con Sole di Fuoco, ferito e impossibilitato a volare, ancora presso le rovine di Riposo del Corvo, con Tessarion assieme al principe Daeron a Vecchia Città, a difendere Approdo del Re rimanevano solamente due draghi in età avanzata... quanto alla regina Helaena, cavaliere di Sogno di Fuoco, ella trascorreva le sue giornate al buio e in lacrime, e non poteva certo essere considerata una minaccia. Tutto questo lasciava in campo solamente Vhagar. Quanto a dimensioni e ferocia, nessun drago vivente poteva competere con lui, eppure, rimuginava Jace, se Vermax, Syrax e Caraxes fossero calati su Approdo del Re tutti assieme, nemmeno “quella vecchia malefica” sarebbe stata in grado di reggere. Tuttavia, la nomea di Vhagar era tale che il principe esitava, valutando in che modo aggiungere altri draghi all’attacco. La Casa Targaryen dominava la Roccia del Drago da oltre duecento anni, da quando lord Aenar Targaryen era arrivato per primo da Valyria assieme ai suoi draghi. Da sempre, era tradizione dei Targaryen sposarsi tra fratello e sorella, cugino e cugina. Ma il sangue dei giovani ribolle per cui non era infrequente che gli uomini della casata andassero alla ricerca di piaceri carnali tra le figlie (o addirittura le mogli) di altri individui: fra il popolino che abitava i villaggi sotto il Monte del Drago, agricoltori e pescatori. Alla Roccia del Drago, come peraltro anche nel resto del continente occidentale, l’antica legge del diritto della prima notte – il privilegio del lord di fornicare con qualsiasi fanciulla del suo dominio alla prima notte di matrimonio – era rimasta in vigore fino all’avvento di re Jaehaerys e della regina Alysanne la Buona. Per quanto il diritto della prima notte fosse duramente osteggiato pressoché dovunque nei Sette Regni – e ciò da parte di uomini dal temperamento geloso che non comprendevano quale grande onore venisse fatto loro da parte del lord – siffatte opposizioni erano silenti sulla Roccia del Drago, luogo nel quale i Targaryen erano giustamente considerati come ben più vicini agli dèi di qualsiasi altro comune mortale. Sulla Roccia del Drago le spose benedette da parte dei loro signori la prima notte di nozze erano invidiate, così come i figli generati da tali unioni erano tenuti nel massimo conto, questo in quanto i lord della Roccia del Drago spesso ne celebravano la nascita elargendo ricchi doni alla madre: ori e sete e terre. Si diceva che tali felici bastardi fossero “nati dal seme di drago”, e successivamente furono chiamati semplicemente “i semi”. Perfino dopo l’abolizione del diritto della prima notte, taluni Targaryen continuarono comunque a sollazzarsi con figlie di locandieri e mogli di pescatori, pertanto i semi e, successivamente, la progenie dei semi, abbondarono sempre sulla Roccia del Drago. Il principe Jacaerys aveva necessità di altri cavalieri di draghi, e anche di altri draghi, per cui fu proprio ai nati dal seme di drago che egli guardò, dichiarando che qualsiasi uomo si fosse rivelato capace di domare, e quindi condurre, un drago sarebbe stato ricompensato con terre e ricchezze e il titolo di cavaliere. I di lui figli sarebbero stati a loro volta dei nobili, le figlie sarebbero andate in

19

sposa ad alti lord, e l’uomo in questione avrebbe avuto l’onore di combattere al fianco del principe della Roccia del Drago contro l’impostore Aegon II Targaryen e la sua schiatta di traditori. Coloro che risposero all’appello del principe non erano tutti semi, né figli o nipoti di semi. Intere falangi di cavalieri della stessa regina si offrirono quali cavalieri di draghi, tra essi ser Steffon Darklyn, lord comandante della Guardia della regina, e assieme a lui scudieri, sguatteri, marinai, armigeri, guitti e due fanciulle. I draghi però non sono cavalli. Non accettano facilmente di avere qualcuno sul dorso; inoltre, se irritati o minacciati, i draghi attaccano. Sedici uomini persero la vita mentre tentavano di diventare cavalieri di draghi. Il triplo finirono ustionati o mutilati. Steffon Darklyn venne bruciato a morte mentre tentava di cavalcare il drago Mare infuocato. Stessa sorte toccò a Gormon Massey quando tentò di domare Vermithor. A un uomo chiamato Denys l’Argenteo, i cui capelli e i cui occhi facevano pensare che fosse un figlio bastardo di Maegor il Crudele, il drago selvaggio Ladro di Pecore sradicò un braccio. Mentre i figli di Denys si precipitavano a soccorrerlo, su di loro calò il Cannibale, il quale mise in fuga Ladro di Pecore e divorò tutti quanti, padre mutilato e figli volenterosi. Cionondimeno, Mare infuocato, Vermithor e Ali d’argento erano abituati all’uomo e ne tolleravano la presenza. Essendo già stati cavalcati, erano più inclini ad accettare nuovi cavalieri. Vermithor, il drago un tempo appartenuto al Vecchio Re, chinò il collo per il figlio bastardo di un fabbro ferraio, un gigante d’uomo chiamato sia Hugh Martello sia Hugh il Duro. Un armigero dai capelli biondo-cenere di nome Ulf il Bianco (per i capelli) o anche Ulf il Beone (per il bere) montò Ali d’argento, il preferito della regina Alysanne. Quanto a Mare infuocato, un tempo cavalcatura di Laenor Velaryon, accettò sul dorso un ragazzo di quindici anni chiamato Addam di Hull, le cui origini rimangono oggetto di contenzioso fra gli storiografi addirittura ai giorni nostri. Non molto tempo dopo che Addam di Hull aveva dato prova di essere in grado di cavalcare Mare infuocato, lord Corlys arrivò al punto di fare richiesta formale alla regina Rhaenyra allo scopo di cancellare il marchio di bastardo dal ragazzo e dal di lui fratello. Nel momento in cui anche il principe Jacaerys sostenne la richiesta, la regina cedette. Addam di Hull, seme di drago e bastardo, divenne così Addam Velaryon, erede di Driftmark. Anche se fu molto meno facile domare i tre draghi selvaggi che non erano mai stati cavalcati, dei tentativi vennero comunque fatti con tutti e tre. Ladro di Pecore, un brutto drago color marrone fango uscito dall’uovo quando il Vecchio Re era ancora giovane, adorava ingozzarsi di montoni, calando sulle greggi da Driftmark fino al fiume Wendwater. Di rado faceva del male ai pastori, a meno che questi non cercassero d’interferire, ma si sapeva che, occasionalmente, non disdegnava mangiarsi anche qualche cane a guardia delle pecore stesse. Spettro Grigio, che aveva ricavato il proprio antro in una delle caverne che espellevano fumo sull’alto versante orientale del Monte del Drago, preferiva il pesce, per cui lo si vedeva spesso planare sulla superficie del Mare Stretto, per strappare le proprie prede dall’acqua. Bestia dello stesso colore grigio pallido della bruma del mattino, era un drago decisamente schivo, che poteva tenersi a distanza dagli uomini e dai loro manufatti per interi anni. Il più grosso e anche il più vecchio dei draghi selvaggi era il Cannibale, così chiamato perché si nutriva delle carcasse dei draghi morti, e anche perché non esitava a piombare sui luoghi di covatura della Roccia del Drago per rimpinzarsi di draghi appena nati e di uova ancora non dischiuse. Non meno di una dozzina di volte aspiranti domatori di draghi avevano tentato di cavalcarlo: le loro ossa erano disseminate nel suo antro. Nessuno dei semi di drago fu folle al punto da disturbare il Cannibale (e quelli che osarono farlo non fecero ritorno per raccontare le loro gesta). Alcuni andarono alla ricerca di Spettro Grigio, senza però riuscire a trovarlo: era una creatura troppo sfuggente. Stanare Ladro di Pecore fu impresa più semplice, ma esso rimaneva comunque una belva spietata, di indole feroce, che da sola aveva ucciso più semi che non i tre “draghi di castello” messi assieme. Uno fra coloro che cercarono di

20

domarlo (dopo aver cercato inutilmente di trovare Spettro Grigio) fu Alyn di Hull. Ladro di Pecore però fu irriducibile. Quando caracollò fuori dall’antro della bestia con il mantello che bruciava, Alyn si salvò solamente in virtù del rapido intervento del fratello. Mare infuocato allontanò il drago selvaggio mentre Addam soffocava le fiamme con la sua cappa. Sulla schiena e sulle gambe, Alyn Velaryon avrebbe riportato le cicatrici di quell’incontro per il resto della sua lunga vita. Eppure egli poté comunque dirsi fortunato: era sopravvissuto. Molti altri semi e individui temerari che aspiravano a cavalcare Ladro di Pecore finirono invece a riempirgli la pancia. Alla fine il drago marrone venne domato dal più improbabile dei cavalieri: una “ragazzetta marrone” di sedici anni chiamata Netty. Ogni mattina ella portava al mostro una pecora appena scannata, fino a quando Ladro di Pecore non imparò ad accettarla e addirittura ad aspettare la sua venuta. Una ragazzetta scarna con capelli neri, occhi castani, pelle scura, lingua di cloaca e senza paura... la prima, e anche l’ultima, a cavalcare Ladro di Pecore. Con questo, il principe Jacaerys aveva ottenuto ciò che si era prefisso. A dispetto di tutta la morte e la sofferenza, di tutte le vedove, di tutti gli uomini ustionati le cui cicatrici li avrebbero accompagnati fino al giorno della loro morte, quattro nuovi cavalieri di draghi erano stati effettivamente trovati. Così, mentre l’anno 129 DC si avviava alla sua conclusione, il principe si preparò ad attaccare Approdo del Re dal cielo. Data scelta per l’attacco, la prima luna piena del nuovo anno. Ma i piani degli uomini altro non sono se non trastullo degli dèi. E, infatti, proprio mentre Jace metteva a punto la sua strategia, una nuova minaccia si stava avvicinando da est. I complotti orditi da Otto Hightower avevano dato i loro frutti: riunito a Tyrosh, l’Alto Concilio della Triarchia delle città libere aveva accettato la sua offerta di alleanza. Sotto i vessilli delle Tre Figlie, novanta navi da guerra salparono dalle Stepstones, levando i remi verso il Gullet e... quasi per un tiro di dadi degli dèi stessi, il mercantile pentoshi Lieta seduzione, che trasportava i due giovanissimi principi Targaryen, finì dritto fra le loro fauci. I vascelli di scorta vennero affondati o abbordati, la Lieta seduzione catturata. La notizia giunse alla Roccia del Drago solo all’arrivo del principe Aegon il Giovane, disperatamente aggrappato al collo del suo drago, Nube tempestosa. Il ragazzo era pallido per il terrore, tremava come una foglia e puzzava di piscio. A soli nove anni, non aveva mai volato prima... né mai più avrebbe volato dopo. Nel corso della fuga Nube tempestosa era rimasto orribilmente ferito, dozzine di dardi conficcati nel ventre, una verga di scorpione attraverso la gola. Il drago morì nel giro di un’ora, sibilando di sofferenza, sangue ribollente, nero e fumigante che colava dalle ferite. Quanto al fratello più giovane di Aegon, il principe Viserys, non aveva avuto alcuna possibilità di fuggire dal mercantile. Ragazzo dalla mente pronta, nascose il suo uovo di drago e indossò vestiti cenciosi e chiazzati di sale, fingendo di essere null’altro che un mozzo. Ma solamente per essere tradito da uno dei veri mozzi di bordo e preso quindi prigioniero. A rendersi conto per primo di chi avesse catturato fu un capitano di Tyrosh, il quale però venne ben presto privato del suo trofeo dall’ammiraglio della flotta, Sharako Lohar di Lys. Quando il principe Jacaerys, sul dorso di Vermax, calò su una squadra di galee lyseniane venne accolto da un fitto sbarramento di lance e di frecce. I marinai della Triarchia erano già stati a confronto con i draghi, combattendo il principe Daemon sulle Stepstones. Nessuno avrebbe potuto mettere in dubbio il loro coraggio: erano pronti ad affrontare il respiro di drago con tutte le armi a loro disposizione. «Uccidete il cavaliere!» ordinarono capitani e comandanti. «E il drago se ne andrà...» Una delle navi andò a fuoco, poi un’altra. Eppure gli uomini delle città libere continuarono a combattere fino a che... echeggiò un urlo. Alzarono gli sguardi, videro altre forme alate emergere da dietro il Monte del Drago e dirigersi verso di loro. Affrontare un singolo drago è una cosa, affrontarne cinque è ben altra. Nel momento in cui Ali d’argento, Ladro di Pecore, Mare infuocato e Vermithor calarono su di loro, gli uomini della Triarchia sentirono che il coraggio li abbandonava. La linea delle navi da guerra si fratturò quando,

21

una dopo l’altra, le galee invertirono la rotta. I draghi scesero come folgori, lanciando sfere di fuoco, fuoco azzurro e arancione, rosso e dorato, ognuna più vivida della precedente. Nave dopo nave venne squarciata in due, divorata dalle fiamme. Uomini urlanti ridotti a torce saltarono in mare. Alte colonne di fumo nero si levarono dalle acque. Tutto sembrava perduto... tutto era perduto... ... Fino al momento in cui Vermax volò troppo basso, finendo a schiantarsi in mare. Molti sono i resoconti, molto diversi uno dall’altro, su come e perché il drago sia caduto. Taluni sostengono che un balestriere fosse riuscito a conficcargli un dardo di ferro in un occhio. Tale versione appare però sospettosamente simile al modo in cui, tanto tempo prima, a Dorne, era stato abbattuto Meraxes. Secondo un altro resoconto, un marinaio nella coffa di una galea myriana lanciò un grappino mentre Vermax planava sulla flotta. Uno degli uncini del grappino si conficcò tra due scaglie, affondando ancora di più nel corpo del drago a causa della sua elevata velocità. Il marinaio aveva avvolto la fune connessa al grappino attorno all’albero del vascello, per cui il peso della nave da un lato, la forza delle ali di Vermax dall’altro, finirono con lo scavare un lungo squarcio slabbrato nel ventre del drago. Il ringhio di furore della bestia venne udito fino a Città delle Spezie, arrivando a coprire addirittura il fragore della battaglia. Il volo del drago si concluse violentemente: Vermax andò giù fumando e urlando, artigli che falciavano l’acqua. I sopravvissuti dissero che Vermax lottò per risollevarsi, solo per crollare una volta per tutte su una galea in fiamme. Il fasciame andò in pezzi, l’albero si abbatté di schianto. Il drago, nel tentativo di risollevarsi, finì attorcigliato nel sartiame. La nave si rovesciò e affondò, e Vermax affondò con essa. Si racconta che Jacaerys Velaryon riuscì a saltare dal dorso della bestia in agonia, aggrappandosi per qualche istante a un relitto di legno fumante. Svariati balestrieri su una nave myriana lo presero di mira. Il principe fu colpito una prima volta, poi di nuovo. Sempre più balestrieri gli scagliarono contro i loro dardi. Alla fine, uno di essi lo centrò alla nuca. Jace venne inghiottito dal mare. La Battaglia del Gullet continuò a infuriare per l’intera notte, a sud e a nord della Roccia del Drago. Essa rimane una delle battaglie più cruente della storia. Sharako Lohar, l’ammiraglio della Triarchia, aveva portato dalle Stepstones una flotta combinata di novanta vascelli da guerra myriani, lyseniani e tyroshi. Di questi, solamente ventotto riuscirono poi ad arrancare verso casa. Per quanto gli attaccanti avessero superato la Roccia del Drago, giudicando l’antico avamposto Targaryen troppo ben difeso per essere assaltato, essi fecero comunque pagare un macabro prezzo a Driftmark. Città delle Spezie venne brutalmente saccheggiata, i cadaveri macellati di uomini, donne e bambini abbandonati nelle strade, rosso nutrimento per ratti e corvi, gli edifici dati alle fiamme. La città non fu mai più ricostruita. Anche Altamarea venne data alle fiamme. Tutti i tesori che il Serpente di Mare aveva riportato dall’Oriente furono divorati dal fuoco, i servitori sterminati mentre cercavano di sfuggire al rogo. La flotta Velaryon perse un terzo delle sue forze. Morti a migliaia. Eppure, nessuno di quei lutti ebbe un impatto paragonabile alla perdita di Jacaerys Velaryon, principe della Roccia del Drago, erede del Trono di Spade. Due settimane più tardi, sull’Altopiano, Ormund Hightower si ritrovò preso tra due eserciti. Thaddeus Rowan, lord di Goldengrove, e Tom Flowers, il Bastardo di Ponteamaro, calarono su di lui da nordest guidando un massiccio schieramento di cavalleria pesante. Questo mentre ser Alan Beesbury, lord Alan Tarly e lord Owen Costayne univano le loro forze per tagliare a lord Ormund la ritirata verso Vecchia Città. Quando i due eserciti, attaccando simultaneamente da fronte e da terga, si serrarono su di lui presso le rive del fiume Vino di Miele, lord Hightower vide le sue linee andare in pezzi. La sconfitta sembrava imminente... fino a quando un’ombra fluì sul campo di battaglia, e uno spaventoso ruggito parve spezzare il cielo stesso, cancellando il fragore dell’acciaio contro altro acciaio. Un drago era arrivato. Tessarion, la Regina Azzurra, color cobalto e rame. A cavalcarlo, il più giovane dei tre figli

22

della regina Alicent, Daeron Targaryen, di quindici anni, scudiero di lord Ormund. L’arrivo del principe Daeron e del suo drago rovesciò le sorti della battagla. E furono così gli uomini di lord Ormond a lanciarsi al controattacco, inveendo contro i nemici, gli uomini della regina che si davano alla fuga. Quando la giornata si concluse, lord Rowan si stava ritirando a nord con quello che restava del suo esercito, il cadavere bruciato di Tom Flowers giaceva in un canneto, i due Alan erano stati presi prigionieri e lord Costayne stava morendo lentamente a causa della ferita inflittagli dalla lama brunita di Jon Roxton l’Audace, chiamata Creatore di orfani. Mentre lupi e corvi banchettavano con i corpi dei caduti, anche lord Hightower banchettava con il principe Daeron a base di uri arrosto e vino forte, nominandolo cavaliere con Vigilanza, la sua celebre spada lunga di acciaio di Valyria, e imponendogli anche il titolo di “ser Daeron il Temerario”. Con modestia, il principe replicò: «Mio lord, sei generoso a dire questo ma... la vittoria appartiene a Tessarion». Alla Roccia del Drago, giunta la notizia della disfatta sul Vino di Miele, una cupa atmosfera di sconfitta calò sulla corte nera. Lord Bar Emmon arrivò al punto da suggerire che forse era arrivato il tempo di fare atto di sottomissione ad Aegon II. La regina, per contro, rifiutò anche solo di pensare alla resa. Soltanto gli dèi veramente sanno quanto pieno di cose strane sia il cuore degli uomini e delle donne. Spezzata dalla perdita del figlio, Rhaenyra Targaryen parve trovare rinnovata forza dalla perdita di un secondo figlio. Indurita dalla morte di Jace, le sue paure ridotte in cenere, in lei permanevano null’altro che rabbia e odio. Sua grazia poteva ancora contare su più draghi di quanti non ne possedesse il suo fratellastro. E di quei draghi lei era determinata a servirsi, a dispetto di quale prezzo sarebbe stato pagato. La regina avrebbe fatto grandinare fuoco e morte su Aegon e su tutti coloro i quali lo appoggiavano, disse al concilio nero. Lo avrebbe strappato dal Trono di Spade... o sarebbe morta lei stessa nel tentativo di farlo. Sulla sponda opposta del Golfo delle Acque Nere, identica determinazione si era radicata anche nel cuore di Aemond Targaryen, il quale dominava nel nome del fratello mentre Aegon continuava a giacere, tormentato dalle ustioni. Pur pieno di disprezzo verso la sorellastra Rhaenyra, Aemond il Guercio individuava però la minaccia più grande nello zio, il principe Daemon, e nel numeroso esercito che questi aveva ammassato ad Harrenhal. Radunati congiuntamente i suoi lord alfieri e il concilio, il principe annunciò la propria decisione di voler essere lui ad attaccare lo zio, e di punire severamente i lord dei Fiumi. Non tutti i membri del concilio verde erano però a favore di quella mossa audace. Aemond godeva dell’appoggio di ser Criston Cole, il Primo Cavaliere, e anche di quello di ser Tyland Lannister, maestro del conio. Per contro, il gran maestro Orwyle insisteva perché Aemond, prima di procedere, inviasse un messaggio a Capo Tempesta, così da aggiungere alle sue forze anche quelle della Casa Baratheon. Inoltre, lord Jasper Wilde, Verga di Ferro, aggiunse che Aemond avrebbe dovuto richiamare dal sud lord Hightower e il principe Daeron sulla base del principio che “due draghi sono meglio di uno solo”. Perfino la regina madre esortava alla cautela, cercando di convincere il principe ad aspettare che sia suo fratello il re sia il suo drago Sole di Fuoco il Dorato si riprendessero, cosicché entrambi potessero prendere parte all’attacco a venire. Ma il principe Aemond non era incline a piegarsi a siffatti ritardi. Dichiarò che non aveva bisogno né dei suoi fratelli né dei loro draghi perché Aegon era ferito troppo gravemente e Daeron era troppo giovane. Che per quanto Caraxes fosse una bestia micidiale, selvaggio e astuto e temprato in battaglia... per contro Vhagar era più vecchio, più feroce e grosso il doppio. Stando a septon Eustace, il Fratricida era determinato a essere l’unico artefice di quella vittoria, e non aveva alcuna intenzione di condividerne la gloria, né con i suoi fratelli né con altri. Che nessuno poteva contraddirlo: fino a quando Aegon non avesse lasciato il suo letto di sofferenze per impugnare nuovamente la spada, reggenza e dominio sarebbero rimasti nelle sue mani. Coerente con le decisioni prese, nel giro di due settimane il principe lasciò Approdo del Re diretto a nord, varcando la Porta degli Dèi alla testa di un esercito di quattromila uomini.

23

Daemon Targaryen però aveva troppi anni sulle spalle ed era troppo indurito dalla battaglia per restare confinato tra le mura di una fortezza, anche se si trattava di una fortezza possente come Harrenhal. Il principe aveva ancora amici ad Approdo del Re: i piani del nipote gli erano stati rivelati addirittura prima che Aemond si mettesse in marcia. Si narra che quando apprese che Aemond e ser Criston Cole avevano lasciato Approdo del Re, il principe Daemon sia scoppiato in una risata: «Ed era anche ora». Un momento, questo, che egli aveva lungamente atteso. Un intero stormo di corvi prese così il volo dalle torri ritorte di Harrenhal. Altrove nel reame, lord Walys Mooton guidò cento cavalieri fuori da Maidenpool per unirsi ai Crabb e ai Brune, clan semi-selvaggi di Punta della Chela Spezzata, e ai Celtigar dell’Isola della Chela. Varcando foreste di pini e colline ammantate dalla nebbia, si avventarono su Riposo del Corvo, dove la loro apparizione improvvisa colse la guarnigione di sorpresa. Dopo avere riconquistato il castello, lord Mooton condusse i suoi uomini più valorosi fino al campo lungamente incenerito a ovest, per uccidere il drago Sole di Fuoco. Quegli aspiranti sterminatori di draghi dispersero facilmente il cordone di guardie nemiche colà dislocate per nutrire, servire e proteggere il drago caduto. Sole di Fuoco però si rivelò un avversario ben più temibile di quanto ci si fosse aspettato. Al suolo, i draghi sono creature goffe e, a causa dell’ala spezzata, il grande rettiloide dorato non poteva spiccare il volo. Gli assalitori erano certi che fosse in punto di morte. Per contro, lo trovarono addormentato. Il cozzare delle spade e il rombo degli zoccoli dei cavalli non impiegarono molto a riscuoterlo. Nel momento in cui la prima lancia lo colpì, la sua furia dilagò. Viscido di fango, contorcendosi fra gli scheletri dell’insensato numero di pecore da lui stesso divorate, Sole di Fuoco si raccolse e si attorcigliò come un serpente, la coda che flagellava, lanciando ventagli di fiamme dorate contro gli aggressori mentre tentava comunque di lanciarsi verso il cielo. Tre volte si sollevò, tre volte tornò a schiantarsi sul terreno. Gli uomini di Mooton gli furono addosso con spade e asce, infliggendo molte, dolorose ferite. Eppure... a ogni colpo inferto il furore del drago non faceva altro che aumentare. Il numero dei cavalieri caduti era triplicato prima che i superstiti, alla fine, decidessero di darsi alla fuga. Tra quei caduti c’era anche Walys Mooton, lord di Maidenpool. Il suo corpo venne ritrovato due settimane dopo dal fratello Manfyrd, carbonizzato e brulicante di vermi, all’interno di un’armatura devastata. Per contro, da nessuna parte in quel campo di ceneri disseminato dai cadaveri di uomini ardimentosi e da carogne rigonfie e decomposte di almeno cento cavalli, lord Manfyrd riuscì a trovare il drago di re Aegon. Sole di Fuoco era come svanito nel nulla. Nessuna traccia sul terreno, se il drago si fosse trascinato via ce ne sarebbero state. Sole di Fuoco il Dorato era tornato a volare, sembrava... ma volare verso dove, nessun uomo lo seppe mai. Al contempo, il principe Daemon Targaryen si stava dirigendo a sud sulle ali del suo drago Caraxes. Volando al di sopra della sponda occidentale dell’Occhio degli Dèi, molto lontano dalla linea di marcia di ser Criston Cole, egli evitò l’esercito nemico, superò il Fiume delle Rapide Nere e deviò verso est, seguendone il corso fino ad Approdo del Re. Alla Roccia del Drago, la regina Rhaenyra Targaryen indossò un’armatura a lucide scaglie nere, montò in groppa a Syrax e salì a sua volta in cielo mentre una violenta tempesta flagellava il Golfo delle Acque Nere. Fu in alto sulla città che la regina e il suo principe si ricongiunsero, volando in cerchio al di sopra dell’Alta Collina di Aegon. La vista dei due sovrani a dorso di drago gettò nel terrore le strade della città sottostante. Il popolino infatti non impiegò molto a rendersi conto che l’attacco da tutti loro temuto era alla fine arrivato. Impegnati a riconquistare Harrenhal, il principe Aemond e ser Criston avevano permesso che la città rimanesse senza una vera difesa... il Fratricida aveva preso Vhagar, quella terribile bestia, lasciando solamente Sogno di Fuoco e una manciata di giovani draghi appena nati a opporsi ai draghi della regina. Giovani draghi che non erano mai stati cavalcati e, quanto al cavaliere di Sogno di Fuoco, la regina Helaena, era ormai una donna distrutta. A tutti gli effetti, Approdo del Re era priva di draghi.

24

A migliaia, gli abitanti si riversarono fuori dalle porte della città, caricandosi sulla schiena i bimbi più piccoli e quel poco di averi che potevano trasportare, cercando rifugio nelle campagne. Altri scavarono buche e gallerie sotto i loro tuguri, antri umidi e oscuri nei quali speravano di nascondersi mentre la città andava a fuoco. Tumulti dilagarono nel Fondo delle Pulci. Quando le vele delle navi del Serpente di Mare vennero avvistate lungo la costa orientale del Golfo delle Acque Nere, dirette al fiume, le campane di ogni singolo tempio della città presero a suonare a distesa. Questo mentre folle furibonde invadevano le strade, saccheggiando tutto ciò che potevano. A dozzine morirono prima che le cappe dorate della Guardia cittadina ripristinassero una parvenza di ordine. Con il lord protettore e il Primo Cavaliere del re entrambi assenti, con lo stesso re Aegon, dilaniato dalle ustioni, che ancora giaceva nel suo letto in preda ai sogni allucinatori del latte di papavero, toccò alla regina madre assumersi la responsabilità di difendere la città. Responsabilità che la regina Alicent non esitò ad affrontare, facendo sbarrare le porte del castello e della città, ordinando alle cappe dorate di presidiare le mura, inviando messaggeri in sella a cavalli veloci ad avvertire il principe Aemond affinché ritornasse indietro. Al tempo stesso la regina diede ordine al gran maestro Orwyle di mandare corvi “a tutti i lord a noi leali” perché accorressero a difesa del loro vero re. Tuttavia, nel fare ritorno ai suoi alloggi, Orwyle trovò quattro cappe dorate ad aspettarlo. Uno di loro soffocò le sue grida, gli altri procedettero a picchiarlo e a legarlo. Con un sacco calato sulla testa, il gran maestro venne trascinato nelle celle nere. Quanto ai messaggeri inviati dalla regina Alicent, non riuscirono nemmeno a superare le mura: vennero bloccati e imprigionati da altre cappe dorate. Sua grazia ne era del tutto ignara, ma i sette capitani di presidio alle porte della città, scelti per la loro lealtà a re Aegon, erano stati o incarcerati o assassinati nel momento stesso in cui Caraxes era apparso nel cielo al di sopra della Fortezza Rossa... Le schiere e gli ufficiali della Guardia cittadina di Approdo del Re continuavano a adorare Daemon Targaryen, loro comandante di un tempo. Ser Gwayne Hightower, fratello della regina, secondo in comando delle cappe dorate, si precipitò alle stalle, deciso a dare l’allarme. Venne fermato, disarmato e portato al cospetto del suo, di comandante, Luthor Largent. Quando Hightower lo accusò di essere un voltagabbana ser Luthor gli disse ridendo: «È stato Daemon a darci questi mantelli. E da qualsiasi parte tu li volti, rimangono comunque d’oro». Dopodiché affondò la spada nel ventre di ser Gwayne e diede ordine che le porte della città venissero spalancate agli uomini che si stavano riversando giù dai vascelli del Serpente di Mare. A dispetto della tanto decantata possanza delle sue mura, Approdo del Re cadde in meno di un giorno. Un breve, sanguinoso combattimento avvampò alla Porta del Fiume, dove tredici cavalieri Hightower e cento armigeri respinsero le cappe dorate e tennero la posizione per quasi otto ore contro attacchi interni ed esterni. Vano atto d’eroismo, in quanto le truppe di Rhaenyra si riversarono all’interno attraverso tutte e sei le altre porte senza incontrare resistenza alcuna. Bastò la sola vista dei draghi della regina nel cielo sopra di loro a demoralizzare i difensori. I lealisti di re Aegon rimasti o si nascosero o fecero atto di sottomissione. Uno dopo l’altro, i draghi discesero. Ladro di Pecore andò ad annidarsi sulla sommità della Collina di Visenya, Ali d’argento e Vermithor sulla Collina di Rhaenys, all’esterno della Fossa del Drago. Il principe Daemon volò in cerchio sulle torri della Fortezza Rossa prima di far calare Caraxes nel cortile esterno. Solo dopo essersi assicurato che i difensori non gli avrebbero arrecato danno alcuno, fece cenno alla regina sua consorte di scendere a sua volta assieme a Syrax. Addam Velaryon rimase a solcare i cieli, conducendo Mare infuocato attorno alle mura della città, il ritmo delle ali membranose del drago come un avvertimento a chiunque albergasse sogni di gloria, i quali sarebbero stati accolti dal respiro di fuoco. Consapevole di come qualsiasi resistenza fosse ormai futile, la regina madre Alicent uscì dal

25

Fortino di Maegor accompagnata dal padre, ser Otto Hightower, da ser Tyland Lannister e da lord Jasper Wylde, Verga di Ferro. (Lord Larys Strong non era con loro. In qualche modo, il maestro delle spie era riuscito a dileguarsi.) La regina Alicent tentò di negoziare con la figliastra. «Convochiamo un concilio allargato, tu e io, assieme, come il Vecchio Re fece un tempo» propose «e presentiamo il contenzioso della successione ai lord del reame.» Ma la regina Rhaenyra respinse con disprezzo la proposta. «Entrambe sappiamo quale sarebbe la decisione del concilio.» Quindi lasciò la scelta alla matrigna: resa o rogo. Chinando il capo in segno di sconfitta, la regina Alicent consegnò le chiavi del castello, ordinando a cavalieri e armigeri di deporre le spade. «La città è tua, principessa» così, secondo le cronache, rispose la regina madre «ma non lo resterà per molto. Quando il gatto non c’è, i topi ballano. Mio figlio Aemond farà ritorno... portando fuoco e sangue.» In effetti, il trionfo di Rhaenyra era ben lungi dall’essere completo. I suoi uomini trovarono la moglie del rivale, certo: la regina Helaena, rinchiusa nella sua stanza da letto... ma quando sfondarono le porte degli appartamenti del re tutto ciò che trovarono fu “il letto, vuoto, e il pitale, pieno”. Re Aegon II Targaryen era fuggito. Lo stesso valeva per i suoi figli, la principessa Jaehaera, di sei anni, e il principe Maelor, di due. Nessuna traccia nemmeno di ser Willis Fell e di ser Rickard Thorne, cavalieri della Guardia reale. Neppure la stessa regina madre sembrava avere idea di dove fossero spariti. Quanto a Luthor Largent, spergiurò che nessuno aveva varcato le porte della città. Per contro, non esisteva alcun modo per far sparire il Trono di Spade. La regina Rhaenyra non si sarebbe addormentata fino a quando non si fosse insediata sullo scranno del padre. Per cui, nella sala del trono le torce vennero accese, la regina salì gli scalini di ferro e si assise laddove re Viserys era stato assiso prima di lei, e il Vecchio Re prima di lui, e Maegor e Aenys e Aegon il Drago nei tempi andati. L’espressione austera, con ancora indosso la sua armatura nera, Rhaenyra sedette nel punto più alto, mentre ogni uomo e ogni donna della Fortezza Rossa veniva fatto inginocchiare al suo cospetto, implorare il perdono e giurare vita e spada e onore a lei quale regina. La cerimonia si protrasse per l’intera notte. Era ben oltre l’alba quando la regina Rhaenyra finalmente si alzò e scese dallo scranno d’acciaio... “E mentre il lord suo consorte principe Daemon la scortava fuori della sala, ferite da taglio divennero visibili sulle gambe di sua grazia e sulla sua mano sinistra. Mentre ella incedeva, gocce di sangue caddero sul pavimento, e gli uomini saggi si scambiarono occhiate, anche se nessuno osò dire il vero: il Trono di Spade l’aveva rifiutata, e fin troppo pochi sarebbero stati i suoi giorni su di esso.” Tutto questo accadeva proprio mentre il principe Aemond e ser Criston Cole avanzavano nelle Terre dei Fiumi. Dopo diciannove giorni di marcia raggiunsero Harrenhal... e trovarono le porte del castello aperte, il principe Daemon e tutti i suoi... svaniti. Nel corso della marcia, il principe Aemond aveva mantenuto Vhagar assieme alla colonna principale, sospettando che lo zio potesse tentare di attaccarla cavalcando Caraxes. Arrivò ad Harrenhal un giorno dopo Cole, celebrando quella stessa notte una grande vittoria: Daemon e la sua “feccia di fiume” erano fuggiti piuttosto che affrontare il suo furore, proclamò Aemond. Nessuna meraviglia quindi se, in seguito, nel ricevere la notizia della caduta di Approdo del Re, il principe si sia sentito come l’ultimo dei guitti. A vedersi, la sua rabbia fu qualcosa di terribile. A ovest di Harrenhal, mentre l’avanzata dell’esercito Lannister languiva, i combattimenti continuavano. L’età e l’infermità del loro comandante, lord Lefford, avevano rallentato la marcia tramutandola in un lento trascinarsi in avanti. Cionondimeno, mentre l’esercito stava avvicinandosi alle sponde occidentali dell’Occhio degli Dèi, esso si trovò davanti un altro esercito, enorme, a sbarrare loro la strada. Roddy la Rovina e i suoi Lupi dell’Inverno avevano unito le loro forze a quelle di Forrest Frey, lord del Guado, e di Robb Rivers il Rosso, conosciuto come l’Arciere di Raventree. Duemila erano gli uomini del Nord, Frey comandava duecento cavalieri e il triplo di uomini di fanteria, Rivers portava allo scontro trecento arcieri. Lord Leffort si era appena fermato per affrontare il

26

nemico che aveva davanti quando altri nemici apparvero da sud, dove Lungafoglia l’Ammazzaleoni e un malridotto gruppo di sopravvissuti a battaglie precedenti si erano ricongiunti con i lord Bigglestone, Chambers e Perryn. Preso fra due avversari, Lefford esitava a muoversi contro il primo schieramento, temendo che il secondo potesse attaccare la sua retroguardia. Per cui tenne il lago alle spalle, si trincerò e inviò corvi al principe Aemond ad Harrenhal, implorandolo di venire in soccorso. Furono almeno una dozzina i corvi che spiccarono il volo, ma non uno raggiunse il principe: Robb Rivers il Rosso, considerato il miglior arciere di Westeros, li abbatté tutti. Il giorno seguente arrivarono altri uomini dei Fiumi, guidati da ser Garibald Grey, lord Jon Charlton e il nuovo, giovanissimo lord di Raventree, Benjicot Blackwood, di undici anni. Grazie a questi rinforzi, gli uomini della regina furono concordi nel ritenere che fosse giunto il momento di attaccare. «Meglio porre fine a questi leoni prima che vengano i draghi» sentenziò Roddy la Rovina. La più sanguinosa fra le battaglie terrestri della Danza dei Draghi ebbe inizio il giorno successivo, al sorgere del sole. Negli annali della Cittadella è conosciuta come Battaglia della Riva del Lago, ma per gli uomini che sopravvissero per narrarla, essa sarebbe rimasta per sempre la Battaglia del Banchetto dei Pesci. Attaccati da tre lati, gli uomini dell’Ovest vennero spinti sempre più indietro nelle acque dell’Occhio degli Dèi. Morirono a centinaia, abbattuti nello scontro fra i canneti. Altre centinaia annegarono tentando di fuggire. Al calar della notte, i caduti erano duemila. Tra loro, molti notabili, inclusi lord Frey, lord Lefford, lord Bigglestone, lord Charlton, lord Swyft, lord Reyne, ser Clarent Crakehall, ser Tyler Hill, il Bastardo di Lannisport. L’esercito dei Lannister venne distrutto e macellato, certo, ma a un tale prezzo anche per gli assalitori che Ben Blackwood, lord ragazzino di Raventree, pianse amare lacrime di fronte ai cumuli di cadaveri. A subire le perdite peggiori furono gli uomini del Nord, in quanto i Lupi dell’Inverno avevano supplicato l’onore di condurre l’attacco, caricando ben cinque volte le falangi irte di picche dei Lannister. Oltre i due terzi degli uomini che erano andati a sud con lord Dustin risultarono morti o feriti. Ad Harrenhal, Aemond Targaryen e Criston Cole dibatterono su come meglio rispondere alle offensive della regina. Per quanto la già famigerata sede di Harren il Nero fosse fin troppo massiccia per essere presa con la forza – i lord dei Fiumi nemmeno osarono cingerla d’assedio temendo le fiamme di Vhagar – gli uomini del re cominciavano a scarseggiare in cibo e biada, e molti morirono a causa della fame e delle malattie. Guardando dalla sommità delle solide mura del castello, il paesaggio era null’altro che una desolazione di campi anneriti e di villaggi bruciati. Inoltre, i gruppi di foraggiatori inviati più lontano non facevano ritorno. Ser Criston insistette per ritirarsi a sud, dove il sostegno ad Aegon era più consistente. Ma il principe si oppose: «Solamente un codardo fugge di fronte ai traditori». La caduta di Approdo del Re e la perdita del Trono di Spade lo avevano mandato su tutte le furie e, quando la notizia del Banchetto dei Pesci raggiunse Harrenhal, mancò poco che il lord Protettore del Reame strangolasse lo scudiero latore della notizia medesima. Fu solamente grazie all’intercessione di Alys Rivers, concubina del principe, che la vita del ragazzo venne risparmiata. Il principe Aemond insisteva per un attacco immediato contro Approdo del Re. Nessuno dei draghi della regina poteva competere con Vhagar, era la sua insistente argomentazione. Un’idea che ser Criston definì folle. «Un solo drago contro sei? Sarebbe un combattimento da stolti, mio principe» dichiarò il Primo Cavaliere. «Lascia che noi si marci a sud» insistette poi «in modo da riunire le nostre forze con quelle di lord Hightower.» Il principe Aemond poteva in effetti ricongiungersi con il fratello Daeron e il suo drago. Re Aegon era sfuggito alle grinfie di Rhaenyra, di questo tutti loro erano a conoscenza, di sicuro il sovrano sarebbe tornato a prendere Sole di Fuoco, riunendosi poi ai suoi fratelli. E, forse, i loro amici all’interno della città sarebbero stati in grado di trovare il modo di liberare anche la regina Helaena, consentendole di aggiungere

27

allo scontro anche Sogno di Fuoco. A quel punto, quattro draghi potevano affrontarne sei, se uno dei quattro era Vhagar. Ma, di nuovo, il principe Aemond respinse questa “cosa da codardi”. Per cui il principe Aemond e ser Criston decisero di prendere strade molto diverse. Cole avrebbe assunto il comando dell’esercito, dirigendosi verso sud per ricongiungersi con Ormund Hightower e il principe Daeron. Il principe reggente non sarebbe andato con loro. Egli intendeva combattere una sua guerra, scatenando sui traditori un diluvio di fuoco. Prima o poi, “la regina infame” avrebbe mandato uno o due dei suoi draghi a fermarlo, e Vhagar li avrebbe distrutti. «Non oserà mai mandarli tutti, i suoi draghi» insistette Aemond «lasciando Approdo del Re esposta e vulnerabile. Né metterà a rischio Syrax, e quell’ultimo dolce figlioletto che le rimane. Rhaenyra potrà anche chiamare se stessa regina, ma rimane comunque una donna, con il cuore debole di ogni donna e le paure di ogni madre.» E così il Creatore di Re e il Fratricida si separarono, ognuno per la propria strada. Questo mentre, alla Fortezza Rossa, la regina Rhaenyra Targaryen cominciava a ricompensare i suoi amici e a infliggere brutali punizioni a coloro i quali avevano servito il suo fratellastro. Enormi ricompense vennero offerte per informazioni che potevano condurre alla cattura “dell’usurpatore che definiva se stesso re Aegon II”, di sua figlia Jaehaera, di suo figlio Maelor, dei “falsi cavalieri” Willis Fell e Rickard Thorne e di Larys Strong Piededuro. Una volta che detta iniziativa non produsse nessuno dei risultati sperati, sua grazia inviò gruppi di “cavalieri inquisitori” a rastrellare “i traditori e i malvagi” che le erano sfuggiti, e a punire chiunque li avesse aiutati. La regina Alicent finì in ceppi dorati ai polsi e alle caviglie, anche se la figliastra le risparmiò la vita “nel nome di nostro padre, che un tempo ti amò”. Il padre della regina Alicent, per contro, fu molto meno fortunato. Ser Otto Hightower, il quale aveva servito come Primo Cavaliere sotto ben tre diversi re, fu il primo traditore a essere decapitato. A mettere la testa sul ceppo dopo di lui fu Verga di Ferro, il quale continuò a insistere fino all’ultimo che, secondo la legge, il figlio del re deve comunque venire prima della figlia. Ser Tyland Lannister venne torturato, per costringerlo a rivelare dove avesse celato il tesoro della corona, con l’idea di riuscire a recuperarne almeno una parte. Né Aegon né suo fratello Aemond erano mai stati molto amati dalla popolazione di Approdo del Re, per cui buona parte degli abitanti aveva auspicato il ritorno della regina, solo che... amore e odio altro non sono se non due facce della stessa moneta. Per cui, mentre le teste mozzate apparivano ogni giorno più numerose sui rostri sopra le porte della città, in aggiunta a nuove tasse sempre più rapaci, la moneta girò. La fanciulla un tempo conosciuta come Delizia del Reame era diventata una donna avida e vendicativa, si sibilava nelle strade, una regina addirittura più crudele di qualsiasi altro re. Un salace detto la definiva “Re Maegor con le tette” e, per centinaia di anni a venire dopo questi accadimenti, “Tette di Maegor” divenne un insulto quanto mai diffuso tra gli abitanti della capitale. Con la città, il castello e il trono in suo possesso, il tutto difeso da non meno di sei draghi, Rhaenyra si ritenne sufficientemente al sicuro da mandare a prendere i suoi figli. Una dozzina di vascelli levarono le vele dalla Roccia del Drago, con a bordo le cortigiane della regina e il di lei figlio, Aegon il Giovane. Rhaenyra fece del ragazzo il proprio coppiere, in modo da averlo pressoché sempre vicino. Un’altra flotta salpò da Città del Gabbiano con il principe Joffrey, ultimo dei tre figli che la regina aveva avuto da Laenor Velaryon, assieme al suo drago Tyraxes. Sua grazia incominciò quindi a fare piani per un’opulenta celebrazione che avrebbe consacrato formalmente Joffrey quale principe della Roccia del Drago ed erede al Trono di Spade. Nel pieno della sua vittoria, Rhaenyra Targaryen non poteva neppure remotamente sospettare quanto pochi fossero i giorni che ancora le rimanevano. Eppure, ogni volta che si sedeva sul Trono di Spade, le lame del sinistro scranno traevano altro sangue dalle sue mani e dalle sue gambe, un tetro segno ormai sotto gli occhi di tutti.

28

Oltre le mura della città, i combattimenti continuavano in tutti i Sette Regni. Nelle Terre dei Fiumi, ser Criston Cole, abbandonata Harrenhal, attaccò la sponda occidentale dell’Occhio degli Dèi con tremilaseicento uomini (morte, morbi e diserzioni avevano assottigliato i ranghi dell’esercito che aveva marciato da Approdo del Re). Il principe Aemond se n’era già andato, cavalcando Vhagar. Non più legato ad alcun castello, ad alcun esercito, il principe con un occhio solo era libero di andare in volo ovunque volesse. Era guerra così come Aegon il Conquistatore e le sue sorelle l’avevano condotta un tempo, guerra combattuta con il respiro di drago, Vhagar che calava dal cielo d’autunno, devastando le terre e i villaggi e i castelli dei lord dei Fiumi. Casa Darry fu la prima a subire il furore del principe. Gli uomini che trasportavano il raccolto finirono bruciati, oppure si diedero alla fuga nel momento in cui i campi avvamparono. Castello Darry venne annientato da una tempesta di fuoco. Lady Darry e i suoi figli più piccoli riuscirono a sopravvivere solo trovando rifugio nelle cripte sotto la fortezza, ma il lord suo marito e il loro figlio suo erede morirono sulle fortificazioni, annientati assieme a due falangi di spade giurate e di arcieri. Tre giorni più tardi, fu la Città di Harroway a essere ridotta in cenere. E poi Mulino del Lord, Blackbuckle, Buckle, Claypool, Swynford, Bosco del Ragno... uno dopo l’altro, il furore di Vhagar si avventò su tutti questi luoghi, fino a quando metà delle Terre dei Fiumi parve un unico rogo. Anche ser Criston Cole fronteggiava roghi. Nel condurre i suoi uomini a sud attraverso le Terre dei Fiumi, fumo si levava sia davanti a lui sia dietro di lui. Ogni singolo villaggio fu bruciato e abbandonato. Laddove, solo fino a pochi giorni prima, erano esistiti alberi in pieno rigoglio, ora la colonna di ser Criston si muoveva fra cimiteri di alberi morti: i lord dei Fiumi avevano dato alle fiamme tutto quello che si trovava sulla loro linea di marcia. In ogni torrente, in ogni stagno, in ogni pozzo di villaggio egli trovò morte: cavalli, vacche, uomini, cadaveri gonfi e fetidi lasciati ad avvelenare le acque. In altri luoghi i suoi esploratori incontrarono macabre messe in scena: cadaveri in armatura, in abiti viscidi per la putrefazione, collocati nella grottesca pantomima di un banchetto. Cadaveri di uomini caduti in battaglia, teschi ghignanti sotto elmi rugginosi, carne verdastra e corrotta che si staccava a brani dalle ossa. Gli attacchi veri e propri ebbero inizio quattro giorni dopo che ser Criston aveva lasciato Harrenhal. Arcieri in agguato fra gli alberi abbatterono con i loro archi lunghi fiancheggiatori della colonna e soldati che si erano allontanati troppo. Uomini morirono. Uomini rimasti troppo indietro rispetto alla retroguardia svanirono senza lasciare traccia. Uomini disertarono, abbandonando scudi e picche all’oblio dei boschi. Uomini passarono al nemico. Sulla piazza del villaggio di Olmi Incrociati, venne scoperto un altro di quegli orridi festini di cadaveri. Ormai abituate a quei luridi spettacoli, le punte avanzate di ser Criston procedettero e basta, senza nemmeno prestare attenzione a quei resti putrefatti... fino al momento in cui quegli stessi resti putrefatti non schizzarono in piedi e li attaccarono. Una dozzina di uomini era già stata colpita a morte prima che gli altri si rendessero conto che si trattava di un agguato. Eppure, tutto questo fu solo il preludio. I lord del Tridente stavano raccogliendo le loro forze. Una volta che ser Criston Cole si fu lasciato il lago alle spalle, marciando in direzione delle Acque Nere, li vide ad aspettarlo sulla sommità di un saliente roccioso. Trecento cavalieri in armatura, altrettanti arcieri con archi lunghi, tremila arcieri, tremila volontari straccioni delle Terre dei Fiumi armati di picche, centinaia di uomini del Nord che brandivano asce, mazze ferrate e non, ancestrali spade di ferro. Sopra gli elmi e le teste di tutti loro, i vessilli della regina Rhaenyra. La battaglia che seguì non fu una battaglia vera e propria, fu la peggiore strage a senso unico dell’intera Danza. Lord Roderick Dustin si portò un corno da guerra alle labbra e lanciò il segnale della carica. Guidati dai Lupi dell’Inverno in sella ai loro irsuti brocchi e dai cavalieri in armatura sui loro snelli destrieri, gli uomini della regina si avventarono dal saliente urlando. Quando ser Criston Cole venne falciato e cadde da cavallo, già morto nell’abbattersi al suolo, gli uomini che lo avevano seguito da Harrenhal persero del tutto il loro coraggio. Spezzarono i ranghi, gettarono scudi e spade e si diedero alla fuga. Gli avversari non concessero loro scampo, lanciandosi

29

all’inseguimento, abbattendoli a centinaia. Nel Giorno della Vergine dell’anno 130 DC, dalla Cittadella di Vecchia Città spiccarono il volo trecento corvi bianchi. Questo rito era l’annuncio che l’inverno stava arrivando. Ma per la regina Rhaenyra Targaryen era ancora il pieno dell’estate. A dispetto della disaffezione che gli abitanti di Approdo del Re nutrivano nei suoi confronti, ella continuava a controllare sia la città sia la corona. Dalla parte opposta del Mare Stretto, gli uomini della precaria Triarchia delle città libere avevano cominciato a dilaniarsi vicendevolmente. Ora le onde appartenevano a Casa Velaryon. Più a nord, le nevi avevano già bloccato i valichi attraverso le Montagne della Luna, la Vergine della Valle aveva ampiamente tenuto fede alla parola data, inviando uomini via mare di rinforzo agli eserciti della regina. Altre flotte portarono altri uomini ancora da Porto Bianco, guidati da Medrick e Torrhen, i figli di lord Manderly. Dovunque ci si volgesse, il potere della regina Rhaenyra cresceva mentre quello di re Aegon scemava. Ma al tempo stesso, nessuna guerra può dirsi definitivamente vinta fino a quando resta sia pure un solo nemico non ancora sconfitto. Ser Criston Cole, il Creatore di Re, era caduto ma, da qualche parte nel reame, Aegon II, il re da lui creato, rimaneva in vita e in libertà. Lo stesso valeva per Jaehaera, figlia di Aegon. Di Larys Strong, il membro più enigmatico e più astuto del concilio verde, si era persa qualsiasi traccia. Capo Tempesta era ancora tenuta da lord Borros Baratheon, di certo non un amico della regina. Anche i Lannister dovevano essere considerati fra i nemici della regina Rhaenyra per quanto, con lord Jason morto, con la maggior parte dei cavalieri dell’Ovest caduti o dispersi, Castel Granito si trovava in una situazione estremamente incerta. Il principe Aemond era diventato il terrore del Tridente. Calava dal cielo rovesciando fuoco e morte sulle Terre dei Fiumi, svanendo nei cieli, solo per tornare a colpire il giorno dopo, cinquanta leghe più lontano. Le fiamme di Vhagar ridussero in cenere Vecchio Salice e Bianco Salice, Hogg Hall venne ridotta a pietre annerite. A Merrydown Dell, trenta uomini e trecento pecore bruciarono nel respiro di drago. Inaspettatamente, il Fratricida fece poi ritorno ad Harrenhal, dando alle fiamme ogni singola struttura di legno della fortezza. Sei cavalieri e due falangi di armigeri perirono nel tentativo, fallito, di abbattere il drago. Mentre la notizia di questi attacchi si spargeva, altri lord levavano al cielo occhi colmi di paura, domandandosi chi sarebbe stato il prossimo. Lord Mooton di Maidenpool, lady Darklyn di Duskendale, lord Blackwood di Raventree inviarono urgenti messaggi alla regina, supplicandola di inviare i draghi a difendere i loro possedimenti. Eppure, la più grande delle minacce al regno di Rhaenyra non era Aemond il Guercio, bensì suo fratello minore, il principe Daeron il Temerario. Lui e il grande esercito a sud al comando di lord Ormund Hightower. L’esercito Hightower aveva varcato il Mander e stava lentamente avanzando verso Approdo del Re, schiacciando i lealisti della regina chiunque essi fossero, dovunque essi tentassero di ostacolarlo, costringendo ogni lord a fare atto di sottomissione e ad aggiungere le proprie forze alle sue. Con Tessarion alla testa della colonna, il principe Daeron si rivelava un esploratore insostituibile, preavvertendo lord Ormund di ogni singolo movimento nemico, di ogni singola trincea nemica. Sempre più spesso, invece che affrontare il respiro di drago in battaglia, gli uomini della regina si disgregavano al primo, fugace avvistamento delle ali della Regina Azzurra. Ben consapevole di tutte queste minacce, lord Corlys Velaryon, Primo Cavaliere della regina Rhaenyra, suggerì a sua grazia che era giunto il momento d’intavolare negoziati. Insistette affinché la regina offrisse il regale perdono ai lord Baratheon, Hightower e Lannister, dando così modo a costoro di fare atto di sottomissione, prestare giuramento di fedeltà e offrire ostaggi al Trono di Spade. Il Serpente di Mare propose anche che fosse il Credo a farsi carico della regina Alicent e della regina Helaena, cosicché potessero trascorrere il resto delle loro esistenze in preghiera e in contemplazione. Quanto a Jaehaera, figlia di Helaena, poteva diventare la protetta dello stesso lord Corlys e, a tempo debito, sposare il principe Aegon il Giovane, unendo così i due

30

rami della Casa Targaryen. «E riguardo ai miei fratellastri?» domandò Rhaenyra quando il Serpente di Mare le prospettò detta strategia. «Parlo del falso re Aegon e del fratricida Aemond. Dovrei quindi perdonare anche loro, che hanno rubato il mio trono e assassinato i miei figli?» «Risparmiali e inviali alla Barriera» rispose lord Corlys. «Lascia che prendano il nero e vivano le loro vite come uomini dei Guardiani della notte, vincolati da un sacro giuramento.» «Giuramento di spergiuri?» chiese la regina con animosità. «Quanto valevano i loro giuramenti quando hanno preso il mio trono?» Il principe Daemon si associò ai dubbi della consorte. Concedere il perdono a ribelli e traditori contribuiva unicamente a gettare i semi per ribellioni a venire, insistette. «La guerra avrà fine soltanto quando le teste dei traditori saranno infilzate sui rostri sopra la Porta del Re, e non prima.» Aegon II sarebbe stato trovato, “nascosto sotto qualche roccia”, quanto a loro, potevano e dovevano portare la guerra ad Aemond e a Daeron. Anche i Lannister e i Baratheon dovevano essere distrutti, in modo che le loro terre e i loro castelli venissero concessi agli uomini che avevano dato prova di lealtà. Garantire Capo Tempesta a Ulf il Bianco e Castel Granito a Hugh Martello il Duro, propose il principe... Suscitando così la piena ripugnanza del Serpente di Mare. «Dovessimo noi essere crudeli al punto da annientare queste due antiche e nobili casate, metà dei lord di Westeros insorgerebbe» disse lord Corlys. Toccò quindi alla regina in persona fare una scelta fra il suo consorte e il suo Primo Cavaliere. Rhaenyra decise per il compromesso. Avrebbe inviato emissari a Capo Tempesta e a Castel Granito, offrendo “giuste condizioni” per il perdono... ma solamente dopo aver ucciso i fratelli dell’usurpatore, i quali continuavano a combatterla sul campo. «Morti loro, quelli che restano faranno atto di sottomissione. Uccideremo i loro draghi, in modo che io possa collocare le loro teste sulle pareti della mia sala del trono. Che gli uomini le guardino, negli anni a venire, e che le guardino bene, così da capire qual è il prezzo del tradimento.» Approdo del Re doveva essere difesa, nessun dubbio in merito. La regina Rhaenyra sarebbe rimasta in città con Syrax, e anche con i suoi figli Aegon e Joffrey, le cui vite non potevano essere messe a rischio. Joffrey, che ancora non aveva tredici anni, scalpitava per dare prova di essere un guerriero ma, nel momento in cui gli venne detto che Tyraxes era necessario a sua madre in caso la Fortezza Rossa si fosse ritrovata sotto attacco, il ragazzo giurò solennemente di obbedire. Anche Addam Velaryon, erede del Serpente di Mare, sarebbe rimasto in città con Mare infuocato. Per difendere Approdo del Re, tre draghi erano sufficienti. Gli altri sarebbero andati in battaglia. Il principe Daemon in persona avrebbe portato Caraxes sul Tridente, al suo fianco la ragazzetta Nettles in groppa a Ladro di Pecore. La loro missione: trovare il principe Aemond e Vhagar, e abbatterli entrambi. Ulf il Bianco e Hugh Martello il Duro avrebbero raggiunto in volo Tumbleton, cinquanta leghe a sudovest di Approdo del Re, l’ultima piazzaforte leale tra lord Hightower e la città, così da rafforzare le difese e distruggere il principe Daeron e Tessarion. A lungo il principe Daemon e la ragazzetta dalla pelle scura chiamata Nettles diedero la caccia ad Aemond il Guercio, ma senza successo. Si erano dislocati a Maidenpool, su preciso invito di lord Manfryd Mooton, il quale viveva nel terrore che Vhagar calasse sulla sua città. Invece il principe Aemond colpì a Testa-di-pietra, ai piedi delle Montagne della Luna, a Dolcesalice, sulla Forca Verde, e a Danza di Sally, sulla Forca Rossa. Ridusse in cenere Ponte della Freccia, bruciò Old Ferry e Mulino della Vecchia, distrusse il tempio della madre a Bechester, tornando sempre a svanire nei cieli prima dell’arrivo degli avversari. Vhagar non si arrestava mai. Quanto ai superstiti, le loro versioni riguardo a quale direzione il drago avesse preso dopo gli attacchi erano spesso contraddittorie. Ogni mattina all’alba, Caraxes e Ladro di Pecore si levavano in volo da Maidenpool, salendo molto in alto sulle Terre dei Fiumi, percorrendo cerchi sempre più ampi nella speranza d’individuare Vhagar a una quota inferiore... solo per fare ritorno al tramonto, sconfitti. Lord Mooton si spinse a suggerire che i cavalieri di draghi si separassero, così da raddoppiare l’area della

31

ricerca. Il principe Daemon rifiutò. Dei tre grandi draghi arrivati a Westeros assieme ad Aegon il Conquistatore e alle sue sorelle, Vhagar era l’ultimo rimasto, ricordò il principe a sua signoria il lord. Per quanto più lento di un secolo prima, il drago aveva raggiunto pressoché la stessa stazza di Balerion, il Terrore Nero di un tempo. Le sue fiamme erano talmente incandescenti da fondere la pietra, inoltre né Caraxes né Ladro di Pecore potevano rivaleggiare in ferocia. Solo attaccandolo assieme potevano sperare di abbatterlo. Per cui il principe tenne la ragazzetta Nettles al proprio fianco, di giorno come di notte, nel cielo come nel castello. Al contempo, a sud, la battaglia tornò ad avvampare a Tumbleton, ricco centro mercantile sul fiume Mander. Il castello che dominava la città era robusto ma piccolo, con una guarnigione di non più di una quarantina di uomini, anche se migliaia di altri avevano risalito il fiume provenendo da Ponteamaro, Lunga Tavola e da più a sud ancora. L’arrivo di un’ulteriore forza combattente dei lord dei Fiumi fece aumentare ancora il loro numero, incrementando inoltre la loro determinazione alla lotta. In tutto, le forze che erano andate a raccogliersi sotto i vessilli della regina Rhaenyra a Tumbleton ammontavano a novemila uomini. Gli uomini della regina però erano largamente inferiori all’esercito di lord Hightower. Nessun dubbio quindi che l’arrivo dei draghi Vermithor e Ali d’argento, e dei loro cavalieri, fosse quanto mai il benvenuto da parte dei difensori di Tumbleton. Mai e poi mai costoro potevano anche solo remotamente immaginare gli orrori che li attendevano. A tutt’oggi, il come, il quando, il perché degli eventi conosciuti come i Tradimenti di Tumbleton rimangono materia di acceso dibattito. È pressoché certo che la verità riguardo a detti eventi non verrà mai chiarita. Sembra che alcuni di coloro i quali vennero ad ammassarsi nella città, in fuga di fronte all’avanzata dell’esercito di lord Hightower, facessero in realtà parte di quello stesso esercito, mandati in avanti con il preciso scopo d’infiltrarsi nei ranghi degli avversari. Eppure, questa infiltrazione avrebbe avuto comunque scarso effetto se ser Ulf il Bianco e ser Hugh Martello non avessero scelto proprio quel frangente per passare da un campo all’altro. Dal momento che nessuno dei due sapeva né leggere né scrivere, non conosceremo mai che cosa abbia indotto i “Due Traditori” (è così che essi sono passati alla storia) a fare ciò che fecero. Per contro, della Battaglia di Tumbleton sappiamo tutto ciò che c’è da sapere e anche di più. Seimila uomini della regina serrarono i ranghi per affrontare lord Hightower in campo aperto. Essi combatterono coraggiosamente, almeno per qualche tempo, ma un diluvio di frecce scagliate dagli arcieri di lord Ormund assottigliò le loro file. Dopodiché una carica frontale della cavalleria pesante spezzò la loro formazione, costringendo gli scampati a cercare rifugio entro le mura della città. Una volta che la maggior parte dei guerrieri rimasti fu al sicuro, Roddy la Rovina e i suoi Lupi dell’Inverno compirono una sortita attraverso la porta delle scolte. Lanciando le loro spaventose grida di guerra, essi aggirarono gli assalitori sul fianco sinistro. Nel caos che seguì, gli uomini del Nord si aprirono la strada combattendo attraverso forze dieci volte superiori in numero, cercando di raggiungere il punto nel quale lord Ormund Hightower si ergeva sul suo cavallo da guerra sotto i vessilli del drago dorato di re Aegon, di Vecchia Città e degli Hightower. Secondo quanto narrano i cantastorie, lord Roderick era coperto di sangue dalla testa ai piedi quando si avventò in attacco, lo scudo e l’elmo sfondati, e al tempo stesso talmente famelico di strage che sembrava non sentire nemmeno il dolore delle ferite che gli erano state inflitte. Ser Bryndon Hightower, cugino di lord Ormund, si frappose tra il guerriero del Nord e il suo lord, mutilando il braccio di Rovina che reggeva lo scudo con un terribile colpo della sua ascia lunga, eppure... il selvaggio lord di Barrowton continuò comunque a combattere. Prima di morire, uccise sia ser Bryndon sia lo stesso lord Ormund. Quando i vessilli di lord Hightower crollarono, gli abitanti di Tumbleton eruppero in grandi grida di giubilo, certi che le sorti della battaglia stessero volgendo a loro favore. Neppure la comparsa sul campo di Tessarion li impensierì: sapevano di avere dalla loro parte non uno ma due draghi. Solo che... quando Vermithor e Ali d’argento salirono in cielo per poi vomitare il loro fuoco su Tumbleton quelle grida divennero urla di morte.

32

Tumbleton, l’intera Tumbleton, si trasformò in un cratere: botteghe, case, templi, persone, tutto quanto. Uomini avvolti dalle fiamme precipitarono dalle fortificazioni e dalle garitte. Altri uomini si contorsero nelle strade, ridotti a torce. I Due Traditori annientarono l’intera città da un capo all’altro. Il saccheggio che seguì fu il più orripilante dell’intera storia del continente occidentale. Tumbleton, prospera città-mercato, venne ridotta a braci e ceneri. Non venne mai più ricostruita. A migliaia furono arsi vivi. Altre migliaia annegarono mentre cercavano di salvarsi a nuoto attraverso il fiume Mander. In seguito, taluni dissero che costoro furono i fortunati: ai superstiti del disastro non venne concessa pietà alcuna. Gli uomini di lord Footly gettarono scudi e spade e si arresero. Solo per essere legati e quindi decapitati, tutti. Le poche donne di Tumbleton sopravvissute all’olocausto del fuoco di drago subirono stupri di massa, stessa sorte toccò alle bambine fino a otto, dieci anni di età. I vecchi e i fanciulli furono passati a fil di spada. I draghi banchettarono con le carni bruciate delle loro vittime. Fu circa in quello stesso momento che la Nessaria, un malridotto vascello mercantile, arrancò nel porto sotto la Roccia del Drago per eseguire riparazioni e caricare provviste. Diretta a Vecchia Volantis, la nave stava tornando da Pentos quando una tempesta l’aveva spinta fuori rotta, disse la ciurma. Una quanto mai comune storia di rischi del mare, alla quale però i volantiani aggiunsero un risvolto bizzarro. Mentre la Nessaria riprendeva la sua rotta verso ovest, su di essa incombeva il Monte del Drago, immane contro il sole al tramonto e... i marinai videro due draghi che si combattevano, i loro ruggiti che echeggiavano contro le impervie scogliere nere delle pendici orientali della montagna fumante. Questa storia venne poi raccontata in ogni taverna, ogni locanda, ogni postribolo del fronte del porto, poi raccontata di nuovo, ingigantita, fino a quando tutti quanti, alla Roccia del Drago, non l’ebbero udita. Per gli uomini di Vecchia Volantis, i draghi erano creature portentose, per cui la vista di ben due di essi che si davano battaglia fu qualcosa che nessuno di loro avrebbe mai dimenticato. Chi era nato e cresciuto sulla Roccia del Drago era, in un certo qual modo, abituato a quei mostri... cionondimeno, la storia narrata da quei marinai suscitò interesse. La mattina seguente alcuni pescatori del posto portarono le loro imbarcazioni sull’altro versante del Monte del Drago. Fecero ritorno asserendo di avere visto i resti bruciati e macellati di un drago arenati ai piedi della montagna. Dal colore delle ali e delle scaglie, si evinceva che quei resti appartenevano a Spettro Grigio. Il drago era stato smembrato in due parti, a loro volta squarciate e parzialmente divorate. Nell’apprendere la notizia, ser Robert Quince, l’assurdamente obeso, amabile cavaliere che la regina, prima di partire, aveva nominato castellano della Roccia del Drago, non ebbe esitazione a identificare l’uccisore: il Cannibale. Quasi tutti concordarono. Si sapeva che, in passato, il Cannibale aveva già attaccato draghi più piccoli, per quanto di rado lo avesse fatto in modo tanto feroce. Molti dei pescatori, temendo di essere i prossimi a venire attaccati dalla bestia, fecero pressione su ser Quince affinché mandasse dei cavalieri nell’antro del Cannibale per eliminarlo una volta per tutte. Ma Quince rifiutò. «Noi non andiamo a disturbare lui, lui non viene a disturbare noi» dichiarò. E, giusto per restare sul sicuro, vietò la pesca nelle acque sottostanti il versante orientale del Monte del Drago, dove la carcassa del drago morto continuava a decomporsi. Al contempo, sulla riva occidentale del Golfo delle Acque Nere, la notizia della battaglia e dei tradimenti di Tumbleton aveva raggiunto Approdo del Re. Nell’apprenderle, si dice che la regina madre Alicent sia scoppiata in una risata. «Avete seminato vento, ora raccogliete tempesta.» Sul Trono di Spade, la regina Rhaenyra prima impallidì poi ebbe un malore, dando quindi ordine che le porte della città venissero chiuse e sprangate. Da quel momento in avanti, a nessuno fu più consentito di entrare o uscire da Approdo del Re. «Non permetterò a nessun voltagabbana di violare la mia città per poi aprire le sue porte ai ribelli» ella proclamò. L’esercito di lord Ormund poteva essere sotto le loro mura all’alba, oppure all’alba del giorno seguente. I traditori, a dorso di drago, potevano addirittura arrivare prima. Prospettiva, questa, che il principe Joffrey trovò davvero eccitante. «Che vengano pure»

33

dichiarò il ragazzo. «Ci sarò io ad aspettarli, sul dorso di Tyraxes.» Affermazione che mise subito in allarme sua madre. «Assolutamente no» affermò la regina. «Sei troppo giovane per andare in battaglia.» Ma ella permise comunque a Joffrey di essere presente alle riunioni del concilio nero mentre si discuteva del modo migliore per affrontare il nemico che continuava ad avvicinarsi. Ad Approdo del Re rimanevano sei draghi, ma solamente uno, Syrax, il drago femmina della regina, si trovava entro le mura della Fortezza Rossa. Una stalla situata nel cortile esterno era stata svuotata dei cavalli e quindi usata per ospitare la bestia. Pesanti catene la trattenevano al suolo. Catene lunghe quanto bastava da permetterle di spostarsi dalla stalla al cortile, ma non abbastanza da fare sì che essa spiccasse il volo senza cavaliere. Da lungo tempo Syrax era abituato alle catene. Nutrito regalmente, erano anni che non andava a caccia. Gli altri cinque draghi erano tutti confinati nella Fossa del Drago, la titanica struttura che Maegor il Crudele aveva eretto proprio per quello specifico scopo. Al di sotto della sua grande cupola, quaranta gigantesche cripte sotterranee, disposte su un ampio perimetro anulare, erano state scavate nel ventre stesso della Collina di Rhaenys. Massicce porte di ferro serravano entrambe le uscite di questi antri fabbricati dall’uomo, le porte interne si affacciavano sulla sabbia della fossa, quelle esterne conducevano ad aperture nel fianco della collina. Prima di andare in battaglia, Caraxes, Vermithor, Ali d’argento e Ladro di Pecore avevano creato i loro antri là sotto. Rimanevano cinque draghi: Tyraxes del principe Joffrey, Mare infuocato, color grigio pallido, di Addam Velaryon, i giovani draghi Morghul e Shrykos, legati alla principessa Jaehaera (fuggita) e al principe Jaehaerys (morto), e infine... Sogno di Fuoco, adorato dalla regina Helaena. Era antica usanza che almeno un cavaliere di drago risiedesse alla Fossa, così da essere pronto a ergersi a difesa della città qualora fosse stato necessario. Dal momento che la regina Rhaenyra preferiva tenere i figli accanto a sé, quel compito era stato affidato a Addam Velaryon. Solo che, nella riunione del concilio nero, si levarono voci che mettevano in discussione la lealtà di ser Addam. I semi di drago Ulf il Bianco e Hugh Martello erano passati al nemico, ma... erano davvero gli unici traditori in mezzo a loro? Che si poteva dire di Addam di Hull e di quella ragazzetta, Nettles? Loro stessi erano di genia bastarda? Ci si poteva davvero fidare? Secondo lord Bartimos Celtigar la risposta era “no”. «I bastardi sono infidi di natura» affermò. «Ce l’hanno nel sangue. Per un bastardo, il tradimento equivale a quello che, per gli uomini di pura discendenza, è la lealtà.» Dopodiché lord Celtigar fece pressioni su sua grazia affinché i due cavalieri di draghi provenienti dal volgo venissero imprigionati immediatamente, al fine di evitare che passassero ancora una volta al nemico con i loro draghi. Una prospettiva che anche altri membri del concilio nero condivisero, fra costoro ser Luthor Largent, a capo della Guardia cittadina, e ser Lorent Marbrand, lord comandante della Guardia della regina. Perfino i due uomini di Porto Bianco, l’impressionante cavaliere ser Medrick Manderly e il suo abile, corpulento fratello, ser Torrhen, si schierarono per la diffidenza. «Meglio non correre rischi» affermò ser Torrhen. «Dovessero i nostri nemici acquisire altri due draghi, per noi sarebbe la fine.» L’unico a esprimersi in difesa dei semi di drago fu lord Corlys, dichiarando che ser Addam e suo fratello Alyn erano dei “veri Velaryon”, eredi di Driftmark a pieno diritto. Quanto alla ragazzetta Nettles, ella poteva anche essere sporca e sgradevole, ma nella Battaglia del Gullet aveva combattuto con valore. «Lo stesso vale per quei due traditori» controbatté lord Celtigar. In un simile contesto, le accorate argomentazioni del Primo Cavaliere caddero nel vuoto. Tutte le paure, tutti i sospetti della regina erano stati solleticati. Ella stessa era stata tradita troppe volte, da troppe persone, per cui non esitava a credere il peggio in chiunque e da chiunque. Il tradimento aveva cessato di sorprenderla. Rhaenyra Targaryen si aspettava di essere tradita, perfino da coloro che ella amava di più. Per cui la regina Rhaenyra diede ordine a Luthor Largent di condurre venti cappe dorate alla Fossa del Drago e di procedere all’arresto di ser Addam Velaryon. E così il tradimento generò altro tradimento: a completo danno della regina. Mentre Luthor Largent e le sue cappe dorate risalivano a

34

cavallo la Collina di Rhaenys per eseguire l’ordine di sua grazia, le porte superiori della Fossa del Drago venivano aperte. Mare infuocato spalancò le grandi ali grigio pallido e spiccò il volo, soffiando vapori scuri dalle nari. Ser Addam Velaryon era stato preavvertito e non aveva esitato a fuggire. Stupefatto, inferocito, ser Luthor rientrò immediatamente alla Fortezza Rossa, fece irruzione nella Torre del Primo Cavaliere e non esitò a fare brutalmente i conti con l’anziano lord Corlys, accusandolo senza mezzi termini di tradimento. Qualcosa che il vecchio nobiluomo non negò. Legato e picchiato, ma senza comunque avere proferito parola, venne trascinato nelle segrete e gettato in una delle celle nere, in attesa di processo e quindi di esecuzione. In tutto questo, voci e racconti sulle stragi di Tumbleton si spargevano per la città... e con essi si spargeva anche il terrore. Sta per toccare ad Approdo del Re, diceva la gente. Drago avrebbe combattuto drago, e questa volta la città sarebbe certamente andata a fuoco. In preda al panico per l’arrivo del nemico, gli abitanti cercarono di fuggire a centinaia, ma solo per essere respinti dalle cappe dorate di fronte alle porte. Intrappolati all’interno delle loro stesse mura, alcuni cercarono rifugio negli scantinati più profondi in previsione della tempesta di fuoco che ritenevano stesse per scatenarsi, altri si volsero alla preghiera, al bere e a qualsivoglia piacere si trovi fra le cosce di una donna. Al calar della notte, le taverne, i bordelli, i templi della città traboccavano di uomini e donne decisi a sollazzarsi in ogni modo, continuando a scambiarsi resoconti di orrori. Un caos di diverso tipo regnava a Tumbleton, sessanta leghe a sudovest. Mentre Approdo del Re tremava di terrore, i nemici che la capitale temeva non si erano nemmeno messi in marcia: i lealisti di re Aegon si ritrovavano privi di un capo, lacerati da divisioni, conflitti e dubbi. Ormund Hightower era morto, lo stesso valeva per suo cugino ser Bryndon, il più noto cavaliere di Vecchia Città. I suoi figli rimanevano nell’Alta Torre, a migliaia di leghe di distanza, e comunque si trattava di ragazzetti inesperti. E anche se Ormund aveva chiamato Daeron Targaryen “Daeron il Temerario”, lodando il suo coraggio in battaglia, il principe era comunque solo un ragazzo. Ultimogenito dei figli di re Aegon, egli era cresciuto nell’ombra dei fratelli maggiori, ed era ben più avvezzo a eseguire gli ordini che non a impartirli. Degli Hightower rimasti, il più in età era ser Hobert, un altro dei cugini di lord Ormund, al comando del convoglio della logistica. Uomo “tanto massiccio quanto lento”, Hobert Hightower aveva raggiunto la notevole età di sessant’anni senza distinguersi in alcun modo, eppure ora si presumeva che prendesse lui il comando dell’esercito che, di diritto, apparteneva alla regina Alicent. Raramente una qualsiasi altra città dei Sette Regni aveva subito un saccheggio altrettanto lungo e infame quanto quello che continuava ad annientare Tumbleton dopo i Tradimenti. Disgustato dall’incubo di cui era testimone, il principe Daeron diede ordine a ser Hobert Hightower di porre fine alle atrocità. Malauguratamente, gli sforzi di Hightower si rivelarono vacui come l’uomo che li compiva. I crimini peggiori furono perpetrati dai Due Traditori, i cavalieri di draghi venuti dal volgo chiamati Hugh Martello e Ulf il Bianco. Ser Ulf si abbandonò completamente all’ubriachezza, annegando se stesso nel vino e nella carnalità. Chi non riuscì a compiacerlo divenne cibo per il suo drago. A nulla valse il cavalierato che la regina Rhaenyra gli aveva concesso. Così come non bastò nemmeno che il principe Daeron lo nominasse lord di Ponteamaro. Il Bianco aveva in mente una preda ben più grossa: bramava nientemeno che il trono di Alto Giardino, dichiarando che i Tyrell non avevano in alcun modo partecipato alla Danza e che, di conseguenza, dovevano essere denunciati quali traditori. Ciononostante, le ambizioni di ser Ulf devono essere comunque considerate modeste a confronto di quelle del suo compare voltagabbana Hugh Martello. Figlio di un comune fabbro, Martello era un uomo gigantesco, con mani talmente forti da consentirgli di piegare e torcere barre d’acciaio. Per quanto non addestrato all’arte della guerra, la sua massa e la sua forza lo rendevano comunque un temibile avversario. L’arma da lui prescelta era la mazza da guerra, con la quale calava colpi devastanti, letali. In battaglia, Martello cavalcava Vermithor, il drago che un tempo era

35

appartenuto addirittura al Vecchio Re. Di tutti i draghi di Westeros, solamente Vhagar era più vecchio e più grosso di lui. Per tutte queste ragioni, lord Hammer (era così che ora si faceva chiamare) cominciò a vagheggiare corone. Agli uomini che ora si raccoglievano attorno a lui diceva: «Perché accontentarsi di essere lord, quando puoi essere re?». Nessuno dei Due Traditori sembrava essere troppo ansioso di sostenere il principe Daeron in un attacco contro Approdo del Re. Avevano un grande esercito e avevano tre draghi, ma anche la regina (per quanto ne sapevano) aveva tre draghi e, una volta che il principe Daemon avesse fatto ritorno alla città assieme a Nettles, quei draghi sarebbero diventati cinque. Lord Peake preferiva rimandare qualsiasi avanzata fino a quando lord Baratheon non fosse arrivato da Capo Tempesta, aggiungendo le sue forze alle loro. Ser Hobert per contro voleva arretrare sull’Altopiano, così da ricostituire le loro vettovaglie in rapido esaurimento. Nessuno però sembrava preoccuparsi del fatto che anche il loro stesso esercito si stava esaurendo ogni giorno che passava, dissipandosi come bruma del mattino mentre sempre più uomini disertavano, tornando alle loro case e ai loro raccolti, carichi di tutta la razzia che riuscivano a trasportare. Molte leghe più a nord, in un castello che si affacciava sulla Baia dei Granchi, anche un altro lord si ritrovava a scivolare sul filo di una spada. Manfryd Mooton, lord di Maidenpool, aveva appena ricevuto un corvo messaggero da Approdo del re: gli veniva ordinato di consegnare la testa della ragazzetta bastarda chiamata Nettles, la quale nel frattempo era diventata amante del principe Daemon e che la regina aveva quindi giudicato colpevole di alto tradimento. «Nessun male dovrà essere fatto al lord mio consorte, il principe Daemon della Casa Targaryen» comandava sua grazia. «Rimandatelo a me una volta che l’ordine sarà stato eseguito, in quanto abbiamo urgente bisogno di lui.» Maestro Norren, estensore delle Cronache di Maidenpool, sostiene che quando sua signoria il lord lesse la missiva della regina ne fu scosso al punto da perdere la voce. La qual voce non tornò se non dopo aver bevuto tre intere coppe di vino. A quel punto, lord Mooton mandò a chiamare il capitano delle guardie, suo fratello e il suo campione, ser Florian Grigioacciaio. Ordinò che anche maestro Norren fosse presente. Il lord lesse la lettera, chiedendo quindi il loro consiglio. «La cosa non è difficile» disse il capitano delle guardie. «Il principe dorme accanto alla ragazza, ma è uomo in età. Tre dei miei armigeri dovrebbero bastare a trattenerlo, in caso cercasse d’interferire. Per andare sul sicuro, ne porterò sei. Il mio lord desidera che venga fatto stanotte?» «Sei armigeri, sessanta armigeri... quell’uomo rimane comunque Daemon Targaryen» obiettò il fratello di lord Mooton. «Una pozione sonnifera nel vino che il principe beve la sera sarebbe una scelta più saggia. Lasciamo che si svegli e se la ritrovi accanto già morta.» «Non è altro che una ragazzina, a dispetto di quanto infame sia il suo tradimento» rilevò ser Florian, l’anziano cavaliere, ingrigito, rugoso, austero. «Mai il Vecchio Re avrebbe fatto una simile richiesta, a nessun uomo d’onore.» «Questi sono tempi infami» disse lord Mooton «e quella che la regina mi sta imponendo è una scelta altrettanto infame. La ragazza è un’ospite sotto il mio tetto. Se obbedisco, Maidenpool sarà maledetta in eterno. Se rifiuto, verremo prima condannati e poi distrutti.» «Potremmo essere distrutti comunque, a dispetto di quale sia la scelta» rispose suo fratello. «Il principe prova ben più che affetto verso questa ragazza dalla pelle scura, e il suo drago è fin troppo vicino. Un lord saggio li ucciderebbe entrambi, per evitare che il furore del principe distrugga Maidenpool.» «La regina proibisce che gli venga fatto del male» ricordò loro lord Mooton «e assassinare non uno ma addirittura due ospiti sotto il proprio tetto rappresenta un doppio obbrobrio. Sarei maledetto due volte.» Sospirò. «Quanto vorrei non averla mai ricevuta, questa lettera...» «Forse» intervenne maestro Norren «è proprio così.» Ciò che venne detto in seguito rimane ignoto. Tutto quello che sappiamo è che il maestro, un giovane di ventidue anni, incontrò il principe e la ragazzetta Nettles quella stessa notte, mentre

36

consumavano la cena. Mostrò loro la lettera della regina. «Parola di una regina, opera di una puttana.» Questo disse il principe dopo averla letta. Poi estrasse la spada e chiese se gli uomini di lord Mooton fossero oltre la porta per prendere lui e la ragazza prigionieri. Una volta che il maestro gli ebbe rivelato di essere venuto da solo e in segreto, il principe rinfoderò la spada. «Sei un pessimo maestro, ma un ottimo uomo» decretò. Dopodiché lo congedò, ordinandogli di “non fare parola di tutto questo né con il lord né con nessun altro fino al mattino”. Di come il principe del drago e la sua ragazza bastarda abbiano trascorso sotto il tetto di lord Mooton la loro ultima notte assieme non esiste resoconto ma, quando l’alba apparve a est, entrambi comparvero nel cortile del castello. Ancora una volta, il principe Daemon aiutò Nettles a sellare Ladro di Pecore. La ragazza aveva preso l’abitudine di nutrirlo ogni mattina, prima di volare: a pancia piena, i draghi sono più inclini a seguire la volontà del loro cavaliere. Quella mattina, Nettles gli servì un ariete nero, il più grosso di tutta Maidenpool, sgozzandolo di persona. I finimenti di cuoio erano lordi di sangue quando Nettles salì in groppa al suo drago, scrive maestro Norren, “e le sue gote erano striate di lacrime”. Tra l’uomo e la fanciulla non fu pronunciata nessuna parola di addio ma, mentre Ladro di Pecore batteva le sue ali membranose salendo nel cielo dell’alba, Caraxes levò il capo e lanciò un ruggito che disintegrò tutte le finestre della Torre di Jonquil. In alto sopra la città, Nettles deviò il volo del drago verso la Baia dei Granchi, svanendo nelle brume del mattino. Nessuno la vide più né a corte né al castello. Daemon Targaryen tornò al castello solo per il tempo necessario a consumare la colazione assieme a lord Mooton. «Questa è l’ultima volta che mi vedrai» disse a sua signoria. «Ti sono grato per la tua ospitalità. Che venga reso noto per tutte le tue terre che mi sono recato ad Harrenhal. Se mio nipote Aemond vorrà osare affrontarmi, è là che mi troverà. Da solo.» Così il principe Daemon Targaryen lasciò Maidenpool per l’ultima volta. Dopo essersene andato, maestro Norren si presentò al suo signore. «Togli la catena dal mio collo e usala per legare le mie mani. Devi consegnarmi alla regina. Nel momento in cui ho avvertito il traditore, permettendogli quindi di fuggire, lo sono diventato a mia volta.» Lord Mooton rifiutò. «Tieni la tua catena» affermò sua signoria. «Qui siamo tutti traditori.» Quella stessa notte, i vessilli divisi in quattro settori della regina Rhaenyra furono ammainati lungo i pennoni sui portali di Maidenpool. Al loro posto vennero alzati i draghi dorati di re Aegon II. Non c’erano vessilli a sventolare sulle torri annerite e sui manieri devastati di Harrenhal quando il principe Daemon calò dal cielo per prendere possesso della fortezza. Alcuni reietti avevano trovato rifugio nelle cripte profonde e nei sotterranei del castello, ma bastò il suono delle ali di Caraxes per metterli in fuga. Quando tutti se ne furono andati, Daemon Targaryen percorse da solo gli interni cavernosi della sede di Harren il Nero, il drago come sua unica compagnia. A ogni crepuscolo, il principe assestava un fendente all’albero del cuore del parco degli dèi, segno che un altro giorno era passato. C’erano altri tredici segni nel tronco di quell’albero. Vecchie ferite, profonde e oscure, sebbene i lord che hanno dominato Harrenhal dopo il giorno dell’arrivo di Daemon sostengano che, ogni primavera, da esse grondi nuovo sangue. Il quattordicesimo giorno della veglia del principe, un’ombra fluì sulla fortezza, un’ombra molto più oscura di qualsiasi nube. Terrorizzati, tutti gli uccelli nel parco degli dèi si levarono in volo. Un vento torrido turbò le foglie cadute nel cortile. Vhagar. Alla fine, il grande drago femmina era arrivato. Sul suo dorso, c’era Aemond Targaryen, il principe cui mancava un occhio, chiuso in un’armatura nera con inserti d’oro. Non era venuto solo. Con lui c’era Alys Rivers, i lunghi capelli neri spinti indietro dal vento, il ventre gonfio per la gravidanza. Per due volte il principe Aemond volò in cerchio al di sopra delle torri di Harrenhal, quindi condusse Vhagar a calare nel cortile esterno, Caraxes a un centinaio di iarde di distanza. I due draghi si scrutarono con ferocia. Caraxes allargò le ali ed emise un sibilo, corte fiamme che danzavano tra le sue zanne. Il principe aiutò la donna a scendere dal dorso di Vhagar, poi si girò a fronteggiare lo zio.

37

«Ho saputo che mi stavi cercando.» «Solamente te» affermò Daemon. «Chi ti ha detto dove trovarmi?» «La mia lady» rispose Aemond. «Ti ha visto in una nube di tempesta, al crepuscolo, presso una sorgente di montagna, nel fuoco che abbiamo acceso per cucinare la nostra cena. Vede molte cose, la mia Alys, moltissime cose. E tu... sei stato uno stolto a venire da solo.» «Se non fossi stato solo, tu non saresti venuto.» «Eppure eccoti qui, con me. Hai vissuto troppo a lungo, zio.» «Concordo» annuì Daemon «almeno su questo.» L’anziano principe indusse Caraxes ad abbassare il collo. Con movimenti rigidi, salì sul dorso del drago. Il principe più giovane diede un bacio alla sua donna, poi volteggiò su Vhagar, facendo attenzione ad agganciare le quattro corte catene che connettevano il suo cinturone alla sella. Daemon invece lasciò che le sue, di catene, restassero allentate. Caraxes sibilò di nuovo, riempiendo l’aria di fiamme. Vhagar rispose con un ruggito. I due draghi schizzarono verso il cielo come in un’unica forma alata. Il principe Daemon portò Caraxes a salire con rapidità, fustigandolo con una frusta dal puntale d’acciaio, entrambi che scomparivano in un banco di nubi. Vhagar, più vecchio e molto più grosso, rallentato dalla sua stessa massa, salì più gradualmente, in cerchi sempre più ampi che lo portarono, assieme al suo cavaliere, sul lago dell’Occhio degli Dèi. L’ora era tarda, il sole era prossimo al tramonto, la superficie delle acque scintillava come se fosse fatta di rame allo stato liquido. Vaghar salì ancora di più, cercando Caraxes. In basso, ad Harrenhal, Alys Rivers osservava dalla sommità della Torre del Rogo del Re. L’attacco, improvviso e furibondo, si scatenò con la rapidità di una folgore. Caraxes, seminascosto dalla vampata del sole alle spalle, calò su Vhagar e sull’angolo cieco della visuale del principe Aemond lanciando un urlo lacerante, un urlo che venne udito fino a dodici miglia di distanza. La Serpe di Sangue cozzò contro il drago più anziano con forza inaudita. I loro ruggiti risuonarono sull’intera estensione dell’Occhio degli Dèi mentre si avventavano l’uno sull’altro, forme nere intente a dilaniarsi contro il cielo rosso sangue. Le fiamme che lanciarono erano talmente vivide che ai pescatori in basso parve che perfino le nubi avessero preso fuoco. Attorcigliati l’uno all’altro, i due draghi precipitarono verso il lago. Le fauci della Serpe di Sangue si serrarono sul collo di Vhagar, zanne nere che affondavano nelle carni del drago più anziano. Gli artigli di Vhagar aprirono uno squarcio nel ventre dell’avversario, le zanne sradicarono un’ala. Ma Caraxes morse ancora più in profondità, ignorando sia la spaventosa ferita al ventre sia le acque che salivano verso di loro a terribile velocità. Fu a quel punto, dicono i resoconti, che il principe Daemon Targaryen gettò una gamba oltre la sella e... saltò. Da un drago all’altro. Nella destra, brandiva Sorella oscura, la spada d’acciaio di Valyria appartenuta alla regina Visenya. Aemond il Guercio alzò uno sguardo pieno di terrore, artigliando le catene che lo trattenevano alla sella, cercando di sganciarle. Fu il suo ultimo sguardo. Daemon strappò l’elmo del nipote e affondò la lama della spada nell’occhio cieco con una tale forza che la punta fuoriuscì dalla parte opposta della gola del giovane principe. Un battito di ciglia più tardi, i draghi colpirono il lago, scaraventando verso il cielo una colonna d’acqua addirittura più alta, si dice, della Torre del Rogo del Re. Nessuno, né uomo né drago, avrebbe potuto sopravvivere a quell’impatto. E nessuno, infatti, sopravvisse. Caraxes riuscì a strisciare fino alla terraferma. Sventrato, un’ala sradicata dal corpo, le acque del lago fumiganti tutto attorno, la Serpe di Sangue trovò la forza per trascinarsi fino a riva, esalando l’ultimo respiro sotto le mura di Harrenhal, la fortezza maledetta. La carcassa di Vhagar sprofondò fino al fondale del lago, il suo sangue incandescente fece ribollire le acque di quella che sarebba stata la sua tomba. Quando Aemond venne ritrovato, svariati anni dopo la fine della Danza dei Draghi, il suo scheletro giaceva ancora nell’armatura nera, incatenato alla sella, Sorella oscura conficcata fino all’elsa nella cavità orbitale svuotata. Nessuno poté dubitare che anche il principe Daemon fosse morto. I suoi resti non vennero

38

mai ritrovati. Ma il lago è percorso da strane correnti, infestato da pesci famelici. I cantori però ci narrano che l’anziano principe fosse sopravvissuto a quel terribile scontro e che fosse riuscito a tornare da Nettles, trascorrendo al suo fianco il resto dei suoi giorni terreni. Tuttavia siffatte dicerie non costituiscono storiografia attendibile. Esse non sono null’altro che la materia di cui sono fatte le leggende. Era il ventiduesimo giorno del quinto ciclo di luna dell’anno 130 DC quando i draghi danzarono, e morirono, sull’Occhio degli Dèi. All’atto della sua dipartita, Daemon Targaryen aveva novantaquattro anni, mentre il principe Aemond ne aveva appena compiuti venti. Vhagar, il più mastodontico dei draghi Targaryen rimasto dopo il trapasso di Balerion, il Terrore Nero, contava centottanta anni trascorsi su questa terra. Così, mentre il crepuscolo e la tenebra finivano d’inghiottire la fortezza maledetta di Harren il Nero, anche l’ultima creatura vivente rimasta dai giorni della Conquista di Aegon concludeva la sua esistenza. Eppure, di tale evento epocale, pochi, pochissimi furono i testimoni. Per cui sarebbe trascorso del tempo prima che la notizia dell’esito dell’ultima battaglia del principe Daemon si diffondesse nel reame degli uomini. Ad Approdo del Re, la regina Rhaenyra si ritrovava sempre più isolata in seguito a ogni nuovo tradimento. Addam Velaryon, sospetto voltagabbana, era riuscito a fuggire dalla Fossa del Drago prima di essere interrogato. Ordinandone l’arresto, Rhaenyra non aveva perduto solamente un drago e chi lo conduceva in battaglia, aveva perduto anche il suo Primo Cavaliere... E metà dell’esercito che dalla Roccia del Drago era salpato per conquistare il Trono di Spade, forze che avevano giurato fedeltà a Casa Velaryon. Nel momento in cui si diffuse la notizia che lord Corlys languiva in una qualche tenebrosa segreta sotto la Fortezza Rossa, quei soldati cominciarono ad abbandonare Rhaenyra a centinaia alla volta. Alcuni di loro raggiunsero Piazza dei Selciatori, unendosi alle folle che colà si stavano radunando. Altri si allontanarono di soppiatto attraverso le porte delle scolte, o scavalcando le mura, con l’intento di raggiungere Driftmark. Di chi era rimasto, non era possibile fidarsi. Quello stesso giorno, non molto dopo il tramonto, un ennesimo orrore ebbe luogo alla corte della regina. Helaena Targaryen, sorella, moglie e regina di re Aegon II, nonché madre dei suoi figli, si gettò dalla finestra dei suoi quartieri nel Fortino di Maegor. Morì impalata sui rostri di ferro che si ergevano dal fossato secco sottostante. Aveva solamente ventun anni. Al calar della notte, una diceria addirittura più tetra si diffondeva nelle strade e nei vicoli di Approdo del Re, nelle locande, nei bordelli e nelle taverne, perfino nei sacri templi dei Sette Dèi: la regina Helaena era stata assassinata, e i suoi figli pure, prima di lei. Presto, il principe Daemon e i suoi draghi sarebbero arrivati alle porte della città, e sarebbe giunta la fine del regno di Rhaenyra. L’anziana regina aveva così deciso di non lasciare in vita la giovane sorellastra affinché ella potesse godere della sua caduta. Per cui aveva inviato da Helaena ser Luthor Largent, le cui mani enormi l’avevano afferrata e scaraventata nel vuoto, fino ai rostri sottostanti. In breve, la diceria sull’“assassinio” della regina Helaena fu sulla bocca di metà degli abitanti di Approdo del Re. E la rapidità con cui fu creduta vera dimostrava come la cittadinanza avesse cambiato idea su quella che un tempo era stata la loro “amata” regina. Rhaenyra era odiata, Helaena era stata amata. Né il popolino aveva dimenticato il crudele omicidio del giovanissimo principe Jaehaerys da parte dei due brutali sicari chiamati Sangue e Formaggio. Pietosamente veloce era stata la fine di Helaena: uno dei rostri le aveva perforato la gola da parte a parte ed ella era morta senza emettere alcun suono. Nel momento del suo trapasso, sulla vetta della Collina di Rhaenys, all’estremo opposto della città, il suo drago Sogno di Fuoco si era riscosso improvvisamente, emettendo un ruggito che aveva fatto tremare l’intera Fossa del Drago e spezzando due delle catene che lo trattenevano. Quando la regina Alicent venne informata della morte della figlia, si strappò le vesti e lanciò una terribile maledizione contro la rivale. Quella stessa notte, Approdo del Re insorse. La sanguinosa sommossa ebbe inizio tra i vicoli e i meandri del Fondo delle Pulci. Uomini e

39

donne si riversarono a centinaia fuori da osterie fetide, taverne infami e botteghe puzzolenti. Erano inferociti, ubriachi, spaventati. Dai bassifondi, gli insorti dilagarono per la città, invocando giustizia per i principi morti e per la loro madre assassinata. Carri e chioschi vennero rovesciati, negozi saccheggiati, case razziate e date alle fiamme. Alcuni uomini delle cappe dorate che tentarono di soffocare gli assalti vennero aggrediti e pestati a sangue. Nessuno, fosse di alto o di infimo lignaggio, venne risparmiato. Lord furono ricoperti di rifiuti, cavalieri trascinati a terra dai loro cavalli. Lady Darla Deddings vide il proprio fratello Davos ricevere una lama di coltello a sfondargli un occhio mentre cercava di difenderla da tre stallieri ubriachi decisi a stuprarla. Marinai impossibilitati a fare ritorno alle loro navi assaltarono la Porta del Fiume ingaggiando un feroce scontro con la Guardia cittadina. Per disperderli, ser Luthor Largent fu costretto a schierare oltre quattrocento picche. Ma a quel punto la porta stessa era stata ridotta per metà a brandelli dalle asce e centinaia di uomini erano morti o moribondi, un quarto di loro cappe dorate. Da tutti i quartieri, i clamori della rivolta arrivavano fino alla Piazza dei Selciatori. La Guardia cittadina era intervenuta in forze, cinquecento uomini in cotta di maglia brunita, elmetti d’acciaio e lunghi mantelli dorati, armati di spade corte, picche e mazze ferrate a rostri. Presero posizione sul lato sud della piazza, dietro una testuggine di scudi e picche. Alla loro testa si ergeva ser Luthor Largent, in sella a un cavallo da guerra anch’esso corazzato, spada lunga in pugno. Bastò la mera vista del comandante della Guardia per mettere in fuga centinaia di scalmanati, i quali si dispersero tra vicoli, piazzette e strade laterali. Altre centinaia fuggirono nel momento in cui ser Luthor diede ai suoi armigeri l’ordine di avanzare. Per contro, sulla piazza rimanevano ancora almeno diecimila insorti. La compressione dei corpi era tale che, quand’anche molti di loro avessero voluto dileguarsi, non avrebbero potuto farlo: spintonati, schiacciati e calpestati, si ritrovarono impossibilitati a muoversi. Il grosso dei rivoltosi si spinse in avanti, gomiti intrecciati gli uni con gli altri, lanciando urla e insulti, mentre la falange di scudi e picche delle cappe dorate incalzava lentamente verso di loro al battere ritmico dei tamburi. «Fate largo, maledetti idioti!» ruggì ser Luthor. «Andate a casa. Non vi verrà fatto alcun male. Andate a casa!» Taluni dicono che il primo a morire sia stato un fornaio, il quale emise un grugnito di sorpresa nel momento in cui la punta di una picca gli perforò le carni, tramutando il suo grembiule in uno straccio rosso. Secondo altri, fu invece una bambina, macellata sotto gli zoccoli del cavallo da guerra di ser Luthor. Una pietra venne scagliata dalla folla, centrando un picchiere in piena fronte. Poi urla, imprecazioni, infine bastoni, sassi e pitali grandinarono dai tetti tutto attorno. Dalla parte opposta della piazza, un arciere si mise a scoccare frecce. Una torcia arrivò a contatto con un altro picchiere, la sua cappa dorata prese fuoco all’istante. La Guardia cittadina era composta da uomini grandi e grossi, forti, giovani, disciplinati, bene armati, solidamente corazzati. La loro barriera di scudi resse per almeno venti iarde, le loro spade che scavavano un solco sanguinoso nella folla, lasciandosi dietro una scia di morti e morenti. Ma, contro diecimila rivoltosi ammassati, il rapporto di forze era cinque a uno. Un picchiere venne abbattuto, poi un altro. Poi, di colpo, il popolino fece breccia nella falange, attaccando con coltelli e pietre, addirittura a morsi, sopraffacendo la Guardia cittadina, aggirandola ai fianchi, assaltando da terga, scaricando tegole dai tetti e dai balconi. La battaglia divenne un corpo a corpo e il corpo a corpo si tramutò in massacro. Circondati da ogni lato, gli uomini delle cappe dorate si ritrovarono sotto una marea montante di corpi, senza spazio sufficiente per maneggiare le loro armi. Molti finirono impalati dalle loro stesse spade. Altri vennero fatti a pezzi, ammazzati a calci, pestati a morte, smembrati da mazze da muratore e da mannaie da macellaio. Neppure il temibile ser Luthor Largent riuscì a sfuggire al bagno di sangue. La spada strappata dal suo pugno ferrato, Largent venne strattonato giù dalla sella, pugnalato al ventre, il cranio sfondato da uno degli stessi ciottoli della piazza. Quando, il giorno seguente, i carri arrivarono a raccogliere i cadaveri, egli fu identificato solo grazie alle dimensioni del suo corpo. Il

40

suo elmo, il suo cranio erano ridotti a una irriconoscibile, orrida polpa di metallo sfondato e carne dilaniata. Nel corso di quella lunga, terribile notte, mezza città venne travolta dal caos, mentre bizzarri lord e brutali re dominavano sull’altra metà. Un cavaliere errante di nome ser Perkin la Pulce incoronò il proprio scudiero Trystane, un ragazzotto sedicenne, affermando che fosse un figlio naturale di re Viserys. Un qualsiasi cavaliere può nominare cavaliere qualcun altro, per cui, nel momento in cui ser Perkin si mise a nominare ogni mercenario, ladro e garzone di macellaio che si presentava sotto il vessillo di stracci di Trystane, uomini e ragazzi accorsero a centinaia per sostenere la sua “causa”. All’alba, incendi continuavano a divampare da un capo all’altro di Approdo del Re. Piazza dei Selciatori era una distesa di cadaveri. Bande di fuorilegge scorrazzavano nel Fondo delle Pulci, depredando case e negozi, mettendo le mani addosso a ogni persona onesta che gli capitava sotto. Gli uomini delle cappe dorate sopravvissuti si erano rifugiati nei loro baraccamenti. A dominare le strade erano cavalieri da cloaca, re da farsa e profeti dementi. Esattamente come gli scarafaggi che sembravano, il peggio di questa feccia scomparve alle prime luci, ritirandosi in suburre e scantinati a dormire il sonno dell’ubriaco, a spartirsi ciò che avevano depredato, a ripulirsi le mani dal sangue versato. Le cappe dorate di stanza alla Porta Vecchia e alla Porta del Drago scesero in campo guidate dai loro capitani, ser Balon Byrch e ser Garth Labbro Leporino. A mezzogiorno, erano riusciti a riportare una parvenza di ordine nelle strade a nord e a est della Collina di Rhaenys. Ser Medrick Manderly, alla testa di un centinaio di uomini di Porto Bianco, fece lo stesso nella zona a nordest dell’Alta Collina di Aegon, giù fino alla Porta di Ferro. Il resto di Approdo del Re rimaneva però ancora immerso nel caos. Quando ser Torrhen Manderly condusse i suoi uomini del Nord lungo l’Uncino, trovarono la Piazza della Pescheria e il Lungofiume che brulicavano dei cavalieri da cloaca di ser Perkin. Alla Porta del Fiume, il vessillo straccione di re Trystane sventolava sulle mura fortificate, con i cadaveri del capitano e di tre suoi sergenti impiccati sopra la garitta. Quanto al resto della guarnigione del “Piede di Fango” era passata a ser Perkin. Nel ritirarsi combattendo fino alla Fortezza Rossa, ser Torrhen perse un quarto degli uomini... Eppure a lui andò ancora bene a confronto di ser Lorent Marbrand, il quale guidò un centinaio tra cavalieri e armigeri al Fondo delle Pulci. Tra tutti, solamente sedici fecero ritorno. Ser Lorent, lord comandante della Guardia della regina, non era fra questi. Al calar della sera, la regina Rhaenyra si ritrovava duramente assediata da ogni parte, il suo regno in rovina. Andò su tutte le furie nell’apprendere che Maidenpool era passata al nemico, che della ragazzetta Nettles e del suo drago si era persa qualsiasi traccia, che il suo stesso amato consorte l’aveva tradita. E quando lady Mysaria la mise in guardia, dato l’incombente calare delle tenebre, sul fatto che la notte che si preparava sarebbe stata addirittura peggiore di quella appena trascorsa, la regina fu scossa da un tremito. All’alba, c’erano un centinaio di uomini ad attenderla nella sala del trono, solo che, uno dopo l’altro, si dileguarono. Sua grazia oscillava tra furore e afflizione, aggrappandosi al Trono di Spade con tale disperata foga che, al calar del sole, entrambe le sue mani grondavano sangue. Affidò a ser Balon Byrch, capitano della Porta di Ferro, il comando della Guardia cittadina, inviò corvi messaggeri a Grande Inverno e a Nido dell’Aquila chiedendo altri rinforzi, ordinò che venisse stilato un decreto contro i Mooton di Maindepool bollandoli quali traditori e nominò il giovane cavaliere ser Glendon Goode nuovo lord comandante della Guardia della regina. (Per quanto avesse solamente vent’anni, Goode si era distinto nei combattimenti al Fondo delle Pulci di quella stessa giornata. Era stato lui a recuperare il corpo di ser Lorent, impedendo agli insorti di depredarlo.) Aegon il Giovane rimase al fianco della madre ogni istante, anche se quasi non proferì parola. Il principe Joffrey, di tredici anni, indossò la sua armatura di scudiero, implorando la regina di permettergli di raggiungere la Fossa del Drago e di salire in groppa a Tyraxes. «Voglio combattere per te, Madre, così come hanno fatto i miei fratelli. Lascia che dia prova di essere

41

valoroso quanto loro.» Parole le quali non fecero altro che irrigidire ulteriormente la posizione di Rhaenyra. «Erano valorosi, certo, e sono morti, tutti e due. I miei amati ragazzi...» E, ancora una volta, la regina proibì al principe di lasciare il castello. Con l’avvento della notte, la feccia di Approdo del Re riemerse di nuovo da topaie, nascondigli e scantinati in numero addirittura maggiore della notte precedente. Alla Porta del Fiume, l’infame ser Perkin offrì ai suoi cavalieri da cloaca un banchetto a base di cibo razziato. Dopodiché li guidò fino agli approdi fluviali, a saccheggiare moli, magazzini e ogni singolo vascello che non era salpato. Approdo del Re vantava mura massicce e solidi torrioni, ma tutto questo era stato concepito e costruito per respingere attacchi provenienti dall’esterno, non dall’interno delle mura stesse. In particolare, la guarnigione alla Porta degli Dèi era quanto mai debole, i loro capitani e un terzo degli armigeri erano morti con ser Luthor alla Piazza dei Selciatori. Quelli che restavano, molti dei quali feriti, vennero facilmente sopraffatti dalle orde di ser Perkin. Nel giro di un’altra ora, sia la Porta del Re sia la Porta del Leone erano aperte. Le cappe dorate di stanza alla prima delle due erano fuggite, i “leoni” della seconda avevano addirittura rafforzato i ranghi dei saccheggiatori. A quel punto, tre delle sette porte di Approdo del Re erano spalancate per i nemici di Rhaenyra. Tuttavia, la più virulenta minaccia al dominio della regina venne ancora una volta dall’interno della città. Calata la notte, un’altra folla era tornata a radunarsi sulla Piazza dei Selciatori, numerosa il doppio di quella della notte precedente e minacciosa il triplo. Come la regina che disprezzavano, anche loro scrutavano il cielo con terrore, temendo che i draghi di re Aegon, seguiti a breve distanza da un esercito, arrivassero prima che la notte avesse fine. Non credevano più che la regina sarebbe stata in grado di proteggerli. Per cui, quando un profeta mezzo demente, addirittura monco di una mano, chiamato il Pastore si mise a inveire contro i draghi – e non solamente contro quelli che stavano venendo ad attaccarli, ma contro tutti i draghi, dovunque essi fossero – la folla, mezza demente anch’essa, volle ascoltare. «Quando i draghi verranno» berciava il Pastore «le vostre carni bruceranno e si ricopriranno di piaghe e si ridurranno in cenere. Le vostre mogli danzeranno in abiti fatti di fuoco, urlando mentre bruciano, laide e nude sotto le fiamme. E tutti voi vedrete i vostri figli più piccoli piangere... piangere fino a quando i loro occhi non si scioglieranno e gli coleranno lungo la faccia come budini fumanti, e poi la loro carne rosata diventerà nera e si spaccherà, mostrando le ossa. Lo Sconosciuto sta arrivando, sta arrivando, sta arrivando!... Per farci scontare il fio dei nostri peccati. Le preghiere non basteranno a placare il suo furore, non più di quanto le lacrime possano placare il respiro di drago. Il sangue: solamente il sangue può fare questo. Il vostro sangue, il mio sangue, il loro sangue!» Poi il Pastore sollevò il braccio destro ridotto a un moncherino e indicò la Collina di Rhaenys, alle sue spalle, e la Fossa del Drago, che si stagliava nera contro il cielo stellato. «Là! Ecco dove si annidano i demoni! Lassù! Questa è la loro città. Se volete che divenga la vostra, dovrete prima distruggerli! Se volete ripulire le vostre anime dal peccato, dovrete prima bagnarvi nel sangue di drago! Perché solamente il sangue può placare i roghi degl’inferi!» «UCCIDIAMOLI! UCCIDIAMOLI!» fu l’urlo che si levò da diecimila gole. Quindi, come un unico mostro dotato di diecimila zampe, gli agnelli del Pastore cominciarono a muoversi, spingendo e arrancando, facendo ondeggiare le torce, brandendo spade e coltelli e altre armi addirittura più rozze, camminando, correndo per le strade e i vicoli. Verso la Fossa del Drago. In quella folla, taluni ci ripensarono e si eclissarono, tornando verso le loro case. Ma per uno che se ne andava, altri dieci apparivano a ingrossare i ranghi degli sterminatori di draghi. E, quando raggiunsero la Collina di Rhaenys, erano il doppio. Dalla parte opposta della città, sulla cima dell’Alta Collina di Aegon, la regina osservava le fasi dell’assalto dal tetto del Fortino di Maegor. Con lei, i figli e i membri della corte. Era una notte oscura, il cielo coperto, le torce talmente numerose da sembrare che le stelle stesse fossero

42

precipitate dal cosmo per abbattersi sulla Fossa del Drago. Raggiunta dalla notizia che la folla inferocita era in marcia, Rhaenyra inviò messaggeri a cavallo da ser Balon alla Porta Vecchia, ordinando di disperdere la feccia e di difendere i draghi reali... ma con la città in preda a quei dilaganti tumulti, era tutt’altro che certo che quei messaggeri riuscissero a passare. E quand’anche ce l’avessero fatta, le cappe dorate superstiti erano in numero troppo esiguo per sperare di avere successo. Il principe Joffrey implorò la sovrana di permettergli di montare in sella assieme ai suoi cavalieri e a quelli di Porto Bianco. Ma la regina oppose un nuovo rifiuto. «Se prendono quella collina, la prossima che attaccheranno sarà questa» affermò. «Ogni singola spada è necessaria qui, a difesa del castello.» «Ma li uccideranno...» il principe Joffrey era colmo di angoscia. «Uccideranno i draghi.» «O forse invece saranno i draghi a uccidere loro» rispose la regina, inflessibile. «Che brucino. Di certo il reame non rimpiangerà quella feccia. Che brucino tutti.» «Madre, ma se uccidessero Tyraxes?» insistette il giovane principe. Qualcosa che la regina rifiutava di credere. «Non sono altro che ratti. Ubriachi e stolti e ratti da cloaca. Un solo assaggio di fuoco di drago, e fuggiranno.» Al che, a parlare fu Fungo, il giullare di corte. «Saranno anche ubriachi, ma un uomo ubriaco non conosce la paura. Stolti, aye, ma uno stolto può uccidere perfino un re. Ratti, certo, anche ratti. Ma mille ratti possono divorare un orso. L’ho visto accadere, già una volta, al Fondo delle Pulci.» Sua grazia tornò a volgersi verso la scena oltre i parapetti. Fu solamente quando le persone sul tetto del fortino udirono il ruggito di Syrax che ci si rese conto che il principe Joffrey si era silenziosamente dileguato. «No...» sibilò la regina. «Gliel’ho proibito, gliel’ho... proibito!» Aveva appena finito di dirlo che il suo drago si levò in volo dal cortile della Fortezza Rossa. Per un breve momento, Syrax volteggiò al di sopra delle mura merlate del castello, poi si lanciò nella notte, sul dorso il figlio della regina con la spada in pugno. «Inseguitelo!» gridò Rhaenyra. «Tutti, tutti quanti! Ogni uomo, ogni ragazzo, tutti a cavallo, a cavallo! Riportatemelo indietro, non ha idea, riportatemelo indietro! Mio figlio, il mio caro figlio...» Ma era troppo tardi. Non abbiamo la presunzione di comprendere in alcun modo il legame tra un drago e il suo cavaliere: un enigma, questo, su cui menti acute continuano a meditare da secoli. Ciò che sappiamo, tuttavia, è che i draghi non sono cavalli, pronti a essere montati da chiunque getti loro una sella sul dorso. Syrax era il drago della regina. E non aveva mai conosciuto nessun altro cavaliere. Conosceva il principe Joffrey allo sguardo e all’olfatto, una presenza nota il cui armeggiare con le catene non suscitò allarme alcuno, solo che il grande drago femmina non voleva proprio essere montato da lui. Nella fretta di spiccare il volo prima di essere scoperto, il giovane principe saltò in groppa a Syrax senza l’ausilio né della sella né della frusta. Il suo intento, dobbiamo presumere, era o portare Syrax in battaglia o, cosa più credibile, attraversare la città fino alla Fossa del Drago, così da raggiungere Tyraxes, il suo, di drago. Forse intendeva liberare anche tutti gli altri draghi. Ma alla Collina di Rhaenys, Joffrey non arrivò mai. Una volta in aria, Syrax si contorse sotto di lui, lottando per sbarazzarsi di quel cavaliere estraneo. Dal basso, la folla inferocita lanciava un urgano di pietre, picche e frecce, facendo infuriare la bestia ancora di più. Duecento piedi al di sopra del Fondo delle Pulci, il principe Joffrey scivolò dal dorso del drago e precipitò. La sua caduta ebbe fine sanguinosa presso l’incrocio di cinque vicoli. Joffrey impattò contro un tetto fortemente inclinato e rotolò giù da esso per altri quaranta piedi, schiantandosi al suolo in una grandinata di tegole ridotte in pezzi. Si dice che la caduta gli abbia spezzato la schiena. Dopodiché frammenti di ardesia gli rovinarono addosso come altrettanti pugnali, la sua stessa spada sradicata di mano gli perforò il ventre. Ancora oggi, nel Fondo delle Pulci, si parla di Robin, figlia di un candelaio, che tenne il principe fra le sue braccia fino all’ultimo istante, cercando di dargli conforto nell’attesa della morte. Ma in questo c’è più leggenda che non storiografia. «Madre,

43

perdonami...» pare abbia rantolato Joffrey, esalando l’ultimo respiro... per quanto si continui ad argomentare se stesse parlando a sua madre la regina, o se stesse pregando rivolto alla Madre nei cieli. Così perì Joffrey Velaryon, principe della Roccia del Drago, erede al Trono di Spade, ultimo dei figli che la regina Rhaenyra aveva avuto da Laenor Velaryon... o forse ultimo dei bastardi avuti da ser Larys Strong, a seconda di quale verità si voglia credere. Mentre il sangue scorreva nei vicoli del Fondo delle Pulci, un’altra battaglia infuriava più in alto, alla Fossa del Drago, sulla cima della Collina di Rhaenys. Fungo non si sbagliava: orde di ratti famelici, se abbastanza numerosi, possono realmente abbattere tori e orsi e leoni. Non importa quanti il toro o l’orso riescano a ucciderne. I ratti sono sempre più numerosi: mordono le zampe della grande bestia, si aggrappano al suo ventre, corrono sul suo dorso. E tanto, infatti, accadde quella notte. Quei ratti in forma umana erano armati di lance, asce lunghe, bastoni irti di rostri, e dozzine di altre armi, tra esse anche archi lunghi e balestre. Le cappe dorate della Porta del Drago, obbedendo all’ordine della regina, uscirono dai loro baraccamenti a difesa della collina, solo per ritrovarsi incapaci di aprirsi un varco tra la folla impazzita. Per cui si ritirarono. Quanto ai messaggeri inviati alla Porta Vecchia, nessuno arrivò mai a destinazione. Anche la Fossa del Drago aveva un suo contingente di armigeri, ma erano numericamente pochi. Vennero sopraffatti e macellati quando la folla sfondò gli accessi (i torreggianti portali principali, rinforzati di ferro e bronzo, erano troppo robusti per essere presi d’assalto, ma la struttura aveva fin troppi altri ingressi secondari) e dilagò all’interno dalle finestre. Forse gli assalitori pensavano di cogliere i draghi nel sonno all’interno dei loro antri, ma il fragore dell’attacco lo rese impossibile. Chi sopravvisse, in seguito narrò di urla e grida, del tanfo di sangue nell’aria, di porte di quercia e ferro frantumate da rudimentali arieti e dai colpi di innumerevoli asce. «Di rado così tanti uomini hanno corso tutti assieme con foga verso le proprie pire funerarie» scrisse in seguito il gran maestro Munkun «essi però erano preda della follia.» La Fossa del Drago ospitava quattro bestie. Quando l’avanguardia degli assalitori si riversò sulla sabbia, tutte quelle bestie erano agitate, sveglie e furiose. Non esistono resoconti che concordino sul numero di donne e di uomini che quella notte perirono sotto la grande cupola della Fossa del Drago: duecento, duemila, che cosa potrà mai importare? Per ogni uomo che trovò la morte, dieci rimasero ustionati eppure sopravvissero. Intrappolati nella fossa, circondati dalle mura e dalla volta, i draghi non poterono volare via, né utilizzare le ali per evitare gli attacchi, né calare dall’alto sui nemici. Lottarono invece con corna, artigli e zanne, scattando in ogni direzione come tori gettati in un pozzo di ratti... ma quelli erano tori che respiravano fuoco. La Fossa divenne una fossa degli inferi. Uomini in fiamme barcollavano nel fumo, la carne che si staccava dalle ossa annerite. Per ogni uomo che cadeva, però, altri dieci si ammassavano a urlare che i draghi dovevano morire. E i draghi morirono, uno dopo l’altro. Shrykos cadde per primo, ucciso da Hobb il Taglialegna che gli saltò sul collo, conficcandogli l’ascia nel cranio mentre il drago ringhiava e si contorceva tentando di disarcionarlo. Hobb assestò sette colpi, le gambe serrate attorno al collo della bestia e, ogni volta che la sua ascia calava, urlava il nome di uno dei Sette Dèi. Fu il settimo colpo, quello dello Sconosciuto, ad ammazzare il drago, sfondando scaglie e ossa, fino al cervello della bestia. Morghul, è scritto, fu ucciso dal Cavaliere Fiammeggiante, un enorme bruto in armatura pesante che, armato di lancia, caricò a capofitto tra le zampe del drago, conficcando ripetutamente la punta dell’arma nell’occhio della bestia, continuando ad attaccare persino mentre le fiamme fondevano la sua armatura a piastre d’acciaio, divorandogli le carni. Tyraxes, il drago del principe Joffrey, si ritirò nel suo antro, si racconta, arrostendo talmente tanti degli aspiranti sterminatori di draghi precipitatisi contro di lui che i loro cadaveri finirono con l’ostruire l’ingresso. Ma bisogna ricordare che ognuna di quelle caverne artificiali aveva due ingressi, uno che si apriva sulle sabbie della Fossa, l’altro sul fianco della collina. Presto i rivoltosi

44

irruppero dalla “porta posteriore”, ululando attraverso il fumo, brandendo spade, lance e asce. Quando Tyraxes si girò rimase impigliato nelle sue stesse catene, che lo intrappolarono in una rete d’acciaio al punto da limitarne fatalmente i movimenti. Una mezza dozzina di uomini (e una donna) avrebbero in seguito rivendicato di avergli inflitto il colpo mortale. L’ultimo dei quattro non morì altrettanto facilmente. La leggenda narra che, alla morte della regina Helaena, Sogno di Fuoco avesse già spezzato due delle sue catene. Le catene rimaste le ruppe in quell’occasione, strappando gli uncini dalle mura mentre la folla lo caricava, quindi piombando tra loro con furia, facendo uomini a pezzi, dilaniandone le membra, scatenando le sue spaventose fiamme. Mentre altri invasati ancora si avvicinavano, Sogno di Fuoco si levò in volo, prese a roteare sotto l’enorme volta della Fossa per poi discendere in picchiata sugli uomini sottostanti. Tyraxes, Shrykos e Morghul ne uccisero un gran numero, non v’è dubbio, ma Sogno di Fuoco ne sterminò quanti tutti e tre assieme. A centinaia fuggirono dalle sue fiamme, in preda al terrore... ma centinaia ancora, ebbri, folli o posseduti dal coraggio del Guerriero stesso, si fecero largo per un nuovo assalto. Sia pure presso la sommità della volta, il drago rimaneva a tiro di arcieri e balestrieri: ovunque si voltasse frecce e quadrelli si avventavano contro Sogno di Fuoco e, a una distanza così ridotta, alcuni riuscirono persino a penetrarne le scaglie. Ogni volta che il drago si posava, lo assaltavano in massa, costringendolo ad alzarsi in volo. Per due volte il drago volò fino ai grandi cancelli bronzei della Fossa del Drago, solo per trovarli chiusi, sprangati, difesi da istrici di lance. Impossibilitato a fuggire, Sogno di Fuoco rispose agli attacchi, assaltando a sua volta con ferocia i suoi aguzzini finché le sabbie della Fossa non furono cosparse di corpi carbonizzati e l’aria stessa non fu satura di fumo e del tanfo di carne bruciata. Eppure lance e frecce continuavano a volare. La fine giunse quando un dardo di balestra lacerò uno degli occhi del drago. Semi-accecato, inferocito a causa di una decina di ferite meno gravi, il drago spalancò le ali e volò dritto contro l’enorme volta: l’ultimo, disperato tentativo di aprirsi la via verso il cielo. Già indebolita dalle raffiche di respiro di drago, la volta si incrinò sotto la forza dell’impatto. Un momento dopo crollò rovinosamente, schiacciando sia il drago sia gli sterminatori di draghi sotto intere tonnellate di pietra in frantumi e macerie. L’assalto alla Fossa del Drago era concluso. Quattro dei draghi Targaryen giacevano morti, seppure a caro prezzo. Il drago della regina, però, era ancora vivo e libero... e, quando i sopravvissuti al massacro nella Fossa, ustionati e insanguinati, uscirono incespicando dalle rovine fumanti, Syrax calò su di loro. A migliaia, urla e grida riecheggiarono per la città, mescolandosi al ruggito del drago. Sulla sommità della Collina di Rhaenys, la Fossa del Drago ardeva di una corona di fiamme gialle, talmente vivide da sembrare il sorgere di un diverso sole. Persino la regina tremò a quella visione, lacrime che le scintillavano sulle guance. Molti dei suoi compagni in cima al tetto fuggirono, temendo che le fiamme potessero presto avvolgere la città intera, inclusa la Fortezza Rossa, in cima alla Collina di Aegon. Altri si recarono al tempio del castello a pregare per la propria salvezza. Rhaenyra stessa cinse con le braccia il suo ultimo figlio vivente, Aegon il Giovane, e lo strinse con forza a sé. Né l’avrebbe mai lasciato andare... Fino al terribile momento in cui anche Syrax cadde. Senza catene né cavaliere, Syrax era in grado di volar via con facilità da quella follia. Il cielo gli apparteneva. Poteva ritornare alla Fortezza Rossa, abbandonare del tutto la città, lanciarsi verso la Roccia del Drago. Furono forse il rumore e il fuoco, i ruggiti e le grida dei draghi morenti, l’odore della carne bruciata ad attirarlo verso la Collina di Rhaenys? Non è dato saperlo, come non è dato sapere il motivo per cui Syrax decise di abbattersi sulla folla in tumulto, dilaniandola con artigli e zanne, e divorando uomini a dozzine, quando avrebbe potuto altrettanto facilmente far piovere fuoco su di loro, visto che in cielo nessun uomo poteva ferirlo. Possiamo quindi solo riferire quel che accadde. Esistono molte versioni contrastanti riguardo alla morte del drago della regina. Alcuni la

45

attribuiscono a Hobb il Taglialegna, anche se è quasi certamente un errore. Può il medesimo uomo aver ucciso addirittura due draghi nella stessa notte e allo stesso modo? Alcuni parlano di un lanciere senza nome, “un gigante coperto di sangue”, che balzò dalla Fossa del Drago direttamente sulla schiena della bestia. Altri riferiscono di come un cavaliere chiamato ser Warrick Wheaton ne abbia tranciato un’ala con una spada d’acciaio di Valyria. Un balestriere di nome Bean ne avrebbe in seguito rivendicato l’uccisione, vantandosene in molte bettole e taverne finché uno dei lealisti della regina si stancò della sua lingua troppo sciolta e gliela mozzò. Nessuno saprà mai tutta la verità, resta solo il fatto che quella notte anche Syrax morì. La perdita di entrambi i suoi draghi e del figlio Joffrey rese Rhaenyra Targaryen pallida e inconsolabile. Si ritirò nelle sue stanze mentre i suoi consiglieri conferivano. Tutti concordarono: Approdo del Re era perduta. Bisognava abbandonare la città. Sua grazia, con riluttanza, fu persuasa a partire il giorno seguente, all’alba. Con la Porta di Fango in mano ai nemici e tutte le navi lungo il fiume bruciate o affondate, Rhaenyra e un piccolo gruppo di seguaci fuggirono attraverso la Porta del Drago con l’intenzione di dirigersi lungo la costa fino a Duskendale. Con lei cavalcavano i fratelli Manderly, quattro delle Guardie della regina sopravvissute, ser Balon Byrch e venti cappe dorate, quattro dame di compagnia della regina e Aegon, suo ultimo figlio superstite. Altro, molto altro stava intanto accadendo anche a Tumbleton, ed è là che dobbiamo volgere lo sguardo. Quando la notizia dei tumulti di Approdo del Re giunse alle schiere del principe Daeron, molti dei lord più giovani divennero impazienti di marciare immediatamente verso la città. I loro capi erano ser Jon Roxton, ser Roger Corne e lord Unwin Peake, ma... ser Hobert Hightower raccomandò prudenza, e i Due Traditori rifiutarono di unirsi a ogni attacco a meno che non venissero esaudite le loro richieste. Ulf il Bianco, si ricorderà, desiderava che gli venisse assegnato il castello di Alto Giardino con tutte le sue terre e le sue rendite, mentre Hugh Martello il Duro per sé non desiderava niente di meno che una corona. Questi conflitti raggiunsero l’apice nel momento in cui Tumbleton apprese, tardivamente, della morte di Aemon Targaryen ad Harrenhal. Re Aegon II non era più stato visto né sentito da sua sorella Rhaenyra dopo la caduta di Approdo del Re, e molti temevano che la regina l’avesse messo a morte in segreto, nascondendone il cadavere in modo da non essere condannata come regicida. Con la concomitante uccisione di suo fratello Aemond, i verdi si ritrovarono privi di re e senza una guida. Il principe Daeron era il prossimo in linea di successione. Lord Peake dichiarò che il ragazzo doveva essere proclamato immediatamente principe di Roccia del Drago: altri, credendo alla morte di Aegon II, lo volevano incoronare re. Anche i Due Traditori sentivano il bisogno di un re... ma Daeron Targaryen non era il re che volevano. «Ci vuole un uomo forte che ci guidi, non un ragazzo» dichiarò Hugh Martello il Duro. «Il trono dev’essere mio.» Quando Jon Roxton l’Audace chiese di conoscere in base a quale diritto Martello avesse la pretesa di proclamarsi re, lord Hammer rispose: «Il medesimo diritto del Conquistatore. Un drago». E in effetti, con Vhagar finalmente morto, il drago più vecchio e possente di tutto Westeros era Vermithor, un tempo cavalcatura del Vecchio Re e ora di Hugh il Duro il bastardo. Vermithor era tre volte più grosso di Tessarion, il drago femmina del principe Daeron. Vedendoli assieme, non si poteva non notare quanto Vermithor fosse una bestia decisamente più spaventosa. Anche se l’ambizione di Martello era fuori luogo per un uomo di così umili origini, il bastardo innegabilmente possedeva sangue Targaryen, dimostrandosi spietato in battaglia e generoso con i suoi seguaci, mettendo in mostra quel genere di liberalità che attrae gli uomini verso i condottieri come un cadavere attira le mosche. Sono questi i peggiori tra gli uomini, senza dubbio: mercenari, cavalieri-briganti e, in massa, uomini di sangue impuro e nascita incerta che adorano la guerra fine a se stessa e vivono per i saccheggi e per il bottino. I lord e i cavalieri di Vecchia Città e dell’Altopiano erano però offesi dall’arroganza della pretesa del Traditore, e nessuno lo era più dello stesso principe Daeron, che si infuriò al punto da

46

gettare un calice di vino in faccia a Hugh il Duro. Mentre lord il Bianco liquidò la cosa come uno spreco di buon vino, lord Martello affermò: «I ragazzini devono essere più educati quando parlano gli uomini. Penso che tuo padre non ti abbia picchiato abbastanza spesso. Bada che non ci pensi io». I Due Traditori si accomiatarono insieme e iniziarono a fare progetti per l’incoronazione di Martello. Quando riapparve il giorno dopo, Hugh il Duro indossava una corona di ferro nero, con somma ira del principe Daeron e dei suoi lord e cavalieri di sangue puro. Uno di questi, ser Roger Corne, osò addirittura buttar giù la corona dal capo di Martello. «Una corona non fa di un uomo un re» disse Corne. «Dovresti indossare un ferro di cavallo sulla testa, fabbro.» Fu un gesto stupido. Lord Hugh non ne fu divertito. Al suo ordine, i suoi uomini spinsero ser Roger a terra, dopodiché il bastardo gli inchiodò non uno, ma tre ferri di cavallo nel cranio. Quando gli amici di Corne tentarono di intervenire, vennero estratti i pugnali e sguainate le spade: tre uomini rimasero uccisi e una dozzina feriti. Fu più di quanto i lord leali al principe Daeron fossero disposti a sopportare. Lord Unwin Peake e un piuttosto riluttante Hobert Hightower convocarono altri undici lord e cavalieri proprietari di terre a un concilio segreto nelle cantine di una taverna di Tumbleton, per discutere di come contenere l’arroganza dei cavalieri dei draghi di basso lignaggio. I cospiratori concordavano che sbarazzarsi di Ulf il Bianco sarebbe stato semplice, dal momento che era più spesso ubriaco che sobrio e non aveva mai mostrato grande abilità con le armi. Martello invece costituiva un pericolo più grande: ultimamente era circondato giorno e notte da leccapiedi e civili al seguito del suo esercito, e anche da mercenari che bramavano di entrare nelle sue grazie. Uccidere il Bianco e lasciare in vita Martello sarebbe servito a poco, fece notare lord Peake: Hugh il Duro doveva morire per primo. Le discussioni riguardo al modo migliore per riuscirci furono lunghe e concitate nella taverna sotto l’insegna dei Rostri Insanguinati. «Qualsiasi uomo può essere ucciso» dichiarò ser Hobert Hightower. «Ma poi, che cosa ne sarà dei draghi?» Considerati i tumulti di Approdo del Re, sostenne ser Tyler Norcross, Tessarion da solo sarebbe stato sufficiente a riconquistare il Trono di Spade. Lord Peake replicò che la vittoria sarebbe stata molto più sicura con anche Vermithor e Ali d’argento. Marq Ambrose propose di prendere prima la città, liberandosi del Bianco e di Martello dopo essersi assicurati la vittoria. Ma Richard Rodden asserì che tale condotta sarebbe stata disonorevole. «Non possiamo chiedere a questi uomini di versare il sangue con noi e poi ucciderli.» Jon Roxton l’Audace pose fine alla discussione. «I bastardi li ammazziamo adesso» disse. «Dopo, che siano i più coraggiosi tra noi a rivendicare i draghi e a cavalcarli in battaglia.» Nessuno in quella cantina dubitava che Roxton stesse parlando di se stesso. Anche se il principe Daeron era assente alla riunione, i Rostri (così divennero noti i cospiratori) erano riluttanti a procedere senza il suo consenso e la sua benedizione. Con il favore delle tenebre, Owen Fossoway, lord di Sala dei Cedri, fu inviato a svegliare il principe per condurlo alla cantina, così che i cospiratori potessero informarlo dei loro piani. E il principe, che ormai si era spogliato della mitezza di un tempo, quando lord Unwin Peake gli porse da firmare le ordinanze per la messa a morte di Hugh Martello il Duro e Ulf il Bianco, non solo non esitò ma, anzi, fu con entusiasmo che vi appose il suo sigillo. Gli uomini possono complottare, possono pianificare e architettare, è sempre meglio però che non smettano di pregare, poiché nessun piano ordito dall’uomo ha mai resistito ai capricci degli dèi. Due giorni più tardi, proprio quando i Rostri stavano per colpire, Tumbleton fu svegliata nel cuore della notte da urla e grida. Fuori dalle mura della città gli accampamenti erano in fiamme. Colonne di cavalieri in armatura affluivano da nord e da ovest. E stavano compiendo un massacro. Dalle nubi piovevano frecce, e un drago, spaventoso e feroce, piombava sugli accampamenti. Così ebbe inizio la Seconda Battaglia di Tumbleton. Il drago era Mare infuocato, il suo cavaliere era ser Addam Velaryon, determinato a dimostrare che non tutti i bastardi dovevano per forza essere dei voltagabbana. Quale modo

47

migliore per farlo se non strappare Tumbleton ai Due Traditori, il cui voltafaccia aveva disonorato anche lui? I cantori dicono che ser Addam era volato da Approdo del Re fino all’Occhio degli Dèi, dove atterrò sulla sacra Isola dei Volti, e lì chiese consiglio agli uomini verdi. Lo studioso però deve attenersi alla realtà dei fatti, e ciò che noi sappiamo è che ser Addam volò rapido e lontano, discendendo su grandi e piccoli castelli i cui signori erano leali alla regina, allo scopo di mettere assieme un esercito. Già molte battaglie e schermaglie erano state combattute nelle terre bagnate dal Tridente, quindi rari erano i castelli o i villaggi che non avessero già pagato il loro tributo di sangue... ma Addam Velaryon era implacabile, determinato e dalla lingua sciolta. Inoltre, i lord dei Fiumi conoscevano già ogni aspetto degli orrori accaduti a Tumbleton. Quando fu pronto per calare su Tumbleton, ser Addam aveva al seguito quasi quattromila uomini. L’enorme schieramento accampato alle porte di Tumbleton superava in numero gli assalitori, ma quegli uomini erano rimasti troppo tempo nello stesso posto. La disciplina si era allentata e anche il morbo aveva attecchito: la morte di lord Ormund Hightower li aveva lasciati senza una guida, i lord che aspiravano a comandare erano in conflitto. Tanto erano presi dai loro contrasti e dalle loro rivalità che si erano del tutto dimenticati dei veri nemici. L’attacco notturno di ser Addam li colse del tutto alla sprovvista. Gli uomini dell’esercito del principe Daeron non sapevano ancora di essere in battaglia che il nemico era già in mezzo a loro, falciandoli mentre uscivano barcollando dalle tende, sellavano i cavalli e si affannavano per indossare le armature o allacciarsi i cinturoni. Più devastante di tutto fu il drago. Mare infuocato piombò su di loro più volte, soffiando fiamme. Un centinaio di tende presero presto fuoco, persino i sontuosi padiglioni di ser Hobert Hightower, di lord Unwin Peake e dello stesso principe Daeron. Né fu concesso quartiere alla città di Tumbleton. Negozi, case e templi, che erano stati risparmiati la prima volta, furono inghiottiti dal respiro di drago. Quando l’attacco ebbe inizio, Daeron Targaryen dormiva nella sua tenda. Ulf il Bianco era a Tumbleton, a smaltire con il sonno una notte di bevute in una taverna chiamata Lurido Tasso di cui aveva preso possesso. Anche Hugh Martello il Duro si trovava all’interno delle mura, a letto con la vedova di un cavaliere ammazzato durante la prima battaglia. Tutti e tre i draghi erano fuori dalla città, nei campi oltre gli accampamenti. Vennero fatti dei tentativi di svegliare Ulf il Bianco dal suo sonno da ubriaco, ma la cosa si rivelò impossibile. Scelleratamente, egli rotolò sotto un tavolo e russò per l’intera battaglia. Hugh Martello fu più rapido a reagire. Vestito a metà, si precipitò giù dalle scale e in cortile, chiedendo la sua mazza da guerra, l’armatura e un cavallo, così da poter superare le mura e montare Vermithor. I suoi uomini si affrettarono a obbedire, perfino mentre Mare infuocato incendiava le stalle. Ma lord Jon Roxton era già nel cortile. Quando scorse Hugh il Duro, Roxton intravide la sua opportunità. «Lord Martello, le mie condoglianze.» Martello si voltò con fare minaccioso. «Per quale motivo?» domandò. «Sei morto in battaglia» replicò Jon l’Audace, sguainando la sua spada Creatore di orfani e piantandola in profondità nel ventre di Martello, per poi squartare il bastardo dall’inguine alla gola. Una dozzina degli uomini di Hugh il Duro sopraggiunsero di corsa, giusto in tempo per vederlo morire. Ma perfino una spada d’acciaio di Valyria come Creatore di orfani giova a poco a un uomo quando è dieci contro uno. Jon Roxton l’Audace ne ammazzò tre prima di cadere. Si racconta che morì quando il piede gli scivolò su una spira delle budella di Hugh Martello, ma forse nel dettaglio c’è troppa perfetta ironia perché sia vero. Esistono tre resoconti contrastanti del modo in cui morì il principe Daeron Targaryen. Il più noto racconta che uscì incespicando fuori dal suo padiglione, la camicia da notte in fiamme, per essere abbattuto dal mercenario myriano Trombo il Nero che gli fracassò il volto con un colpo di mazza chiodata. Versione, questa, prediletta da Trombo il Nero, che andò avanti a raccontarla ai

48

quattro venti. La seconda versione è più o meno la stessa, se non che in base a questa il principe fu ucciso con una spada e non con una mazza chiodata, e il suo uccisore non sarebbe stato Trombo il Nero ma un ignoto uomo d’arme che con tutta probabilità nemmeno si rese conto di chi avesse ucciso. Nella terza versione il coraggioso ragazzo, noto come Daeron il Temerario, non riuscì neppure a uscire dal suo padiglione, ma morì quando in fiamme gli crollò addosso. In alto nel cielo, Addam Velaryon scorgeva la battaglia sotto di lui trasformarsi in una disfatta. Due dei tre cavalieri di draghi del nemico erano morti, ma ser Addam non aveva modo di saperlo. Poteva però senza dubbio vedere i draghi nemici. Privi di catene, erano tenuti oltre le mura cittadine così che potessero cacciare e volare a piacimento: Ali d’argento e Vermithor spesso si avvolgevano l’uno sull’altro nei campi a sud di Tumbleton, mentre Tessarion dormiva e si nutriva nell’accampamento del principe Daeron a ovest della città, a non più di un centinaio di iarde dal suo padiglione. I draghi sono creature di sangue e fiamme e, mentre la battaglia imperversava tutt’intorno, tutti e tre si risvegliarono. Ci viene raccontato che un balestriere scagliò un dardo contro Ali d’argento e che quaranta cavalieri affrontarono Vermithor con spade, lance e asce, sperando di eliminare la bestia finché era a terra, ancora mezza addormentata. Pagarono la loro follia con la vita. In un altro punto del campo di battaglia, Tessarion balzò rapido in cielo, sibilando e sputando fiamme. Addam Velaryon diresse Mare infuocato verso di esso. Le scaglie di un drago sono prevalentemente (ma non del tutto) impenetrabili alle fiamme: proteggono le parti più vulnerabili della carne e della muscolatura. Quando un drago invecchia le scaglie si inspessiscono e diventano più robuste, fornendo ancora maggiore protezione, mentre le sue fiamme divengono sempre più roventi e intense (se le fiamme di un cucciolo erano capaci di incendiare la paglia, quelle di Balerion o Vhagar all’apice della loro potenza fondevano acciaio e pietra). Quando due draghi si affrontano in combattimento, quindi, impiegano spesso armi alternative al respiro infuocato: artigli neri come il ferro, lunghi come spade e affilati come rasoi, mascelle così potenti da sbriciolare l’armatura a piastre d’acciaio di un cavaliere, code le cui frustate si racconta abbiano ridotto carri in briciole, spezzato la spina dorsale di possenti destrieri e scaraventato uomini a cinquanta piedi di distanza. La battaglia tra Tessarion e Mare infuocato fu differente. La storia chiama Danza dei Draghi la lotta fra re Aegon II e sua sorella Rhaenyra, ma fu solamente a Tumbleton che i draghi danzarono davvero. Tessarion e Mare infuocato erano draghi giovani, più agili in volo dei loro fratelli maggiori. Più volte si scagliarono l’uno contro l’altro, ma all’ultimo istante compivano una virata ed evitavano l’impatto. Levandosi in alto come aquile, piombando giù come falchi, ruotarono in cerchio, scattando e ruggendo, sputando fiamme ma senza mai farsi sotto. Una volta la Regina Azzurra svanì in un banco di nuvole solo per riapparire un istante più tardi, cogliendo in picchiata Mare infuocato alle spalle e bruciandogli la coda con un fiotto di fiamme color del cobalto. Mare infuocato intanto roteava, virava e tracciava continui cerchi. Un attimo era sotto il suo nemico, d’improvviso curvava nel cielo e riappariva alle sue spalle. I due draghi volarono sempre più in alto, mentre, dai tetti di Tumbleton, a centinaia li osservavano. In seguito, uno di costoro disse che il volo di Tessarion e Mare infuocato sembrava più un rituale di corteggiamento che non un combattimento vero e proprio. Forse lo era. La Danza si concluse quando Vermithor, ruggendo, si levò alto nel cielo. Quasi centenario ed enorme quanto i due draghi più giovani messi assieme, il drago di bronzo dalle grandi ali marrone chiaro era in collera quando prese il volo, sangue che evaporava da una dozzina di ferite. Senza cavaliere, non distinguendo fra amici e nemici, esso scatenò la sua furia su tutti indistintamente, sputando fiamme a destra e a sinistra, assalendo in modo selvaggio ogni uomo che osasse scagliargli una lancia contro. Un cavaliere cercò di fuggire al suo cospetto, solo per finire preda delle mascelle di Vermithor, mentre il suo cavallo continuava a galoppare. I lord Piper e Deddings, seduti insieme sulla sommità di una bassa collina, bruciarono con i loro scudieri,

49

servi e guardie del corpo quando Furia di Bronzo per caso si accorse di loro. E un istante più tardi, Mare infuocato calò su di lui. Quel giorno, sul campo di battaglia, Mare infuocato era l’unico dei draghi ad avere un cavaliere. Ser Addam Velaryon aveva dato prova della sua lealtà cercando di eliminare i Due Traditori e i loro draghi. Ora uno di essi era sotto di lui e stava attaccando quegli uomini che si erano uniti a lui nella lotta. Egli si sentiva in dovere di proteggerli, anche se di sicuro sapeva in cuor suo che Mare infuocato non poteva competere con il drago più vecchio. Quella non fu una Danza, ma un combattimento all’ultimo sangue. Vermithor stava volando più di venti piedi al di sopra della battaglia quando Mare infuocato gli si schiantò addosso dall’alto, scaraventandolo, urlante, nel fango. Uomini e ragazzi fuggirono in preda al terrore o furono schiacciati dai due draghi che rotolavano, dilaniandosi a vicenda, uno sull’altro. Code scattavano, ali frustavano l’aria, ma le bestie erano aggrovigliate al punto che nessuna delle due era in grado di liberarsi. Il giovanissimo Benjicot Blackwood osservò lo scontro in sella al suo cavallo, a una cinquantina di iarde. La mole e il peso di Vermithor erano eccessivi perché Mare infuocato potesse contrastarli, raccontò lord Blackwood molti anni dopo, e di certo l’avrebbe fatto a pezzi... se, proprio in quel momento, Tessarion non fosse arrivato in picchiata per unirsi alla lotta. Chi mai può comprendere il cuore di un drago? Fu la semplice brama di sangue a spingere la Regina Azzurra ad attaccare? O forse il drago femmina giunse per aiutare uno dei due contendenti? Ma quale dei due, in questo caso? Alcuni sostengono che il legame tra drago e cavaliere è profondo al punto che la bestia condivide odi e amori del suo padrone. Ma in questo caso, chi era l’alleato e chi il nemico? Un drago senza cavaliere sa distinguere gli amici dai nemici? Mai avremo le risposte a queste domande. Tutto ciò che la storia ci narra è che i tre draghi lottarono in mezzo al fango, al sangue e al fumo della Seconda Battaglia di Tumbleton. Mare infuocato morì per primo, quando Vermithor gli strinse il collo tra le fauci e gli strappò la testa. Il drago di bronzo cercò poi di spiccare il volo con il trofeo tra le mascelle, ma le sue ali squarciate in più punti non riuscirono a sostenerne il peso. Dopo un momento, Vermithor crollò e morì. Tessarion, la Regina Azzurra, resistette fino al tramonto. Per tre volte cercò di riguadagnare il cielo e per tre volte non vi riuscì. Nel tardo pomeriggio appariva talmente sofferente che lord Blackwood convocò il suo miglior arciere, di nome Billy Burley, che si posizionò a un centinaio di iarde di distanza (oltre la portata del respiro di drago) e gli piantò tre frecce nell’occhio mentre Tessarion giaceva a terra indifeso. Al crepuscolo, le ostilità terminarono. Anche se i lord dei Fiumi persero meno di cento uomini e ne abbatterono più di mille di Vecchia Città e dell’Altopiano, la Seconda Battaglia di Tumbleton non si poté considerare una completa vittoria per gli assalitori, dal momento che essi non riuscirono a conquistare la città. Le mura di Tumbleton erano ancora intatte e una volta che gli uomini del re si furono ritirati all’interno della cinta ed ebbero chiuso i cancelli, le forze della regina non ebbero modo di aprirsi un varco, prive sia di armi d’assedio sia di draghi. Esse seminarono comunque sterminio fra i loro nemici, confusi e disorganizzati. Incendiarono le loro tende, bruciarono o catturarono quasi tutti i carri, il foraggio e le provviste, si ritirarono con tre quarti dei cavalli da guerra del nemico, ammazzarono il loro principe e uccisero due dei draghi del re. Il mattino dopo la battaglia, i conquistatori di Tumbleton scrutarono oltre le mura e scoprirono che i nemici se n’erano andati. I morti erano sparsi tutt’intorno alla città e fra questi giacevano abbandonate le carcasse di tre draghi. A quel punto, ne era rimasto solo uno: Ali d’argento, un tempo cavalcatura di Alysanne la Buona. Aveva spiccato il volo all’inizio del massacro per poi girare attorno al campo di battaglia, volteggiando sulle correnti ascensionali d’aria rovente. Solo al calare delle tenebre ridiscese e atterrò accanto ai suoi cugini defunti. In seguito, i cantori raccontarono che, per tre volte, Ali d’argento sollevò col muso l’ala di Vermithor, come per farlo volare di nuovo, ma quasi certamente si tratta solo di una leggenda. Il sole dell’alba trovò Ali d’argento che volava indolente per il campo di battaglia, nutrendosi dei resti bruciati di cavalli,

50

uomini e buoi. Dei tredici Rostri, otto erano morti: fra essi lord Owen Fossoway, Marq Ambrose e Jon Roxton l’Audace. Richard Rodden era stato colpito da una freccia al collo. Morì il giorno seguente. Restavano quattro cospiratori, fra cui ser Hobert Hightower e lord Unwin Peake. Hugh Martello il Duro era morto e il suo sogno di regnare era morto con lui, ma Ulf il Bianco, il secondo Traditore, era ancora vivo. Ulf si era svegliato dal suo sonno da ubriaco per scoprire di essere l’ultimo cavaliere di draghi e possessore dell’ultimo drago. «Il Martello è morto, e anche il vostro ragazzo» pare abbia detto a lord Peake. «Tutto quel che vi resta sono io.» Lord Peake gli domandò quali fossero le sue intenzioni. «Marciamo, proprio come volete voi» rispose Ulf. «Voi prendete la città, io mi prendo il dannato trono, che ne dite?» Il mattino seguente ser Hobert Hightower lo convocò per discutere dei dettagli del loro assalto ad Approdo del Re. Portò con sé in dono due barili di vino, uno di rosso dorniano e l’altro di oro di Arbor. Per quanto Ulf il Beone dovesse ancora trovare un vino che non gradiva, era noto prediligere le vendemmie più dolci. Senza dubbio ser Hobert sperava di sorseggiare il rosso mentre lord Ulf tracannava l’oro di Arbor. Però qualcosa nel comportamento di Hightower, che sudava, balbettava ed era troppo cordiale, come testimoniò in seguito lo scudiero che li servì, fece insospettire Ulf il quale, prudente, ordinò che il rosso dorniano venisse messo da parte e insistette perché ser Hobert condividesse con lui l’oro di Arbor. La storia non spiega con troppa dovizia di particolari che cosa accadde a ser Hobert Hightower, ma nessuno può mettere in discussione il modo in cui morì. Anziché tradire gli altri Rostri, egli acconsentì che lo scudiero gli riempisse la coppa, bevve in quantità e ne chiese dell’altro. Vedendo Hightower che beveva, Ulf il Beone mantenne fede al suo nome e ne scolò tre coppe, per poi cominciare a sbadigliare. Il veleno nel vino era di quelli delicati. Quando lord Ulf si addormentò, per non svegliarsi mai più, ser Hobert si alzò in piedi barcollando e tentò di vomitare. Troppo tardi. Il suo cuore si fermò nel giro di un’ora. In seguito, lord Unwin Peake offrì mille dragoni d’oro a qualsiasi cavaliere di nobile lignaggio che fosse stato in grado di prendere possesso di Ali d’argento. In tre si fecero avanti. Quando il primo si vide strappare un braccio e il secondo morì bruciato, il terzo ci ripensò. Ormai l’esercito di Peake, ciò che restava della vasta schiera che il principe Daeron e lord Ormund Hightower avevano condotto da Vecchia Città, stava cadendo in pezzi e i disertori fuggivano a frotte da Tumbleton con tutto il bottino che erano in grado di trasportare. Rassegnato alla sconfitta, lord Unwin convocò i suoi lord e i suoi sottufficiali, ordinando la ritirata. Addam Velaryon, nato Addam di Hull, già accusato di essere un voltagabbana, aveva salvato Approdo del Re dai nemici della regina... a costo della sua stessa vita. La regina, tuttavia, nulla sapeva del suo coraggio. La fuga di Rhaenyra da Approdo del Re era stata tormentata da molteplici difficoltà. A Rosby, aveva trovato i cancelli del castello sbarrati al suo arrivo. Il castellano del giovane lord Stokeworth le offrì ospitalità, ma soltanto per una notte. Lungo la via, metà delle sue cappe dorate disertarono e, una notte, il suo accampamento fu attaccato da uomini ridotti in disperata miseria. Anche se i suoi cavalieri respinsero l’assalto, ser Balon Byrch fu abbattuto da una freccia e ser Lyonel Bentley, un giovane cavaliere della Guardia della regina, ricevette un colpo alla testa che gli spezzò l’elmo. Morì il giorno seguente, nel delirio. La regina continuò ad avanzare verso Duskendale. La Casa Darklyn era stata tra le più ferme sostenitrici di Rhaenyra, ma il prezzo da loro pagato per tale lealtà era stato alto. Solo l’intercessione di ser Harrold Darke persuase lady Meredyth Darklyn a consentire alla regina l’ingresso tra le sue mura (i Darke erano lontani parenti dei Darklyn e ser Harrold un tempo aveva servito come scudiero del defunto ser Steffon), ma solo a condizione che non si trattenesse a lungo. La regina Rhaenyra non possedeva né oro né navi. Prendendo la fatidica decisione di rinchiudere lord Corlys nelle segrete aveva perso la sua flotta. Dopodiché, temendo per la sua vita,

51

era fuggita da Approdo del Re praticamente senza conio. Disperata e impaurita, sua grazia si faceva sempre più grigia e smunta. Non riusciva a dormire né a mangiare, né poteva tollerare di separarsi dal principe Aegon il Giovane, il suo ultimo figlio rimasto in vita: giorno e notte il ragazzo restava al suo fianco, “come una piccola ombra pallida”. Rhaenyra fu costretta a vendere la corona per pagare una traversata su un mercantile braavosiano, la Violande. Ser Harrold Darke la incitò a chiedere asilo presso lady Arryn, nella Valle, mentre ser Medrick Manderly cercò di convincerla a ritornare con lui e suo fratello Torrhen a Porto Bianco: sua grazia rifiutò entrambe le opzioni. Era risoluta a fare ritorno alla Roccia del Drago. Laggiù avrebbe trovato uova di drago, disse ai suoi fedeli: doveva avere un altro drago, altrimenti tutto sarebbe stato perduto. Forti venti spinsero la Violande più vicino alle coste di Driftmark di quanto la regina desiderasse e per tre volte passò a portata di voce dalle navi da guerra del Serpente di Mare, ma Rhaenyra fu attenta a tenersi ben nascosta. Alla fine, i braavosiani attraccarono a sera sotto il Monte del Drago. La regina aveva inviato un corvo ad avvertire del suo arrivo e, mentre sbarcava con il figlio Aegon, le sue dame di compagnia e tre cavalieri della Guardia della regina, tutto ciò che le restava, trovò ad attenderla una scorta. Pioveva quando Rhaenyra e il suo seguito giunsero a riva. Nel porto della Roccia del Drago quasi non si scorgeva anima viva. Persino i bordelli delle banchine apparivano bui e abbandonati. A quella sinistra immobilità sua grazia non prestò attenzione. Fiaccata nel corpo e nello spirito, distrutta dal tradimento, Rhaenyra Targaryen desiderava soltanto fare ritorno al suo scranno, dove, immaginava, lei e suo figlio sarebbero stati al sicuro. La regina non aveva idea di essere sul punto di subire l’ultimo dei tradimenti. L’ultimo e anche il più atroce. La scorta che l’accolse, forte di quaranta armigeri, era comandata da ser Alfred Broome, uno degli uomini lasciati nelle retrovie quando Rhaenyra aveva lanciato il suo attacco contro Approdo del Re. Essendosi unito alla guarnigione durante il regno del Vecchio Re, Broome era il cavaliere più anziano della Roccia del Drago. Come tale, si era aspettato di essere nominato castellano quando Rhaenyra si era fatta avanti per prendersi il Trono di Spade... ma l’indole cupa e i modi di fare bruschi di ser Alfred non ispiravano però né affetto né fiducia, per cui la regina lo aveva scartato, in favore del più affabile ser Robert Quince. Quando Rhaenyra domandò come mai non si fosse presentato ser Robert ad accoglierla, ser Alfred replicò che la regina avrebbe incontrato “il nostro grasso amico” al castello. E così fu. Anche se... giunti al suo cospetto, il cadavere bruciato di Quince era irriconoscibile, appeso alla merlatura del corpo di guardia accanto all’attendente della Roccia del Drago, al maestro d’armi e al capitano della Guardia. Il corpo venne riconosciuto solo per la mole: ser Robert era incredibilmente grasso. Si racconta che, scorgendo i cadaveri, il sangue defluì dal viso della regina. Tuttavia, il primo a comprendere il significato di tutto ciò fu il giovane principe Aegon. «Madre! Fuggi!» gridò. Ma era già troppo tardi. Gli uomini di ser Alfred furono addosso alla scorta della regina. Un’ascia sfondò il cranio a ser Harrold Darke prima ancora che la sua spada potesse anche solo liberarsi dal fodero. Ser Adrian Redfort fu trafitto alle spalle da una lancia, passato da parte a parte. Solo ser Loreth Lansdale si mosse con sufficiente rapidità da riuscire ad assestare un colpo in difesa della regina, abbattendo i primi due uomini che gli si fecero sotto, prima di essere a sua volta ucciso. Con lui morì l’ultimo cavaliere della Guardia della regina. Quando il principe Aegon raccolse la spada di ser Harrold, ser Alfred allontanò la lama con un gesto sprezzante. Il ragazzo, la regina e le sue dame furono fatti sfilare sotto la minaccia delle lance attraverso i cancelli della Roccia del Drago fino al cortile del castello. Lì si ritrovarono faccia a faccia con un uomo morto e un drago in fin di vita. Sotto la luce del sole, le scaglie di Sole di Fuoco brillavano ancora come oro lavorato, ma dal modo in cui giaceva sulla nera pietra valyriana fusa del cortile, apparve chiaro a tutti che il drago, il più splendido a solcare i cieli di Westeros, era una creatura in condizioni ormai devastanti.

52

L’ala quasi del tutto staccata sporgeva dal suo corpo con un’angolazione innaturale, cicatrici fresche sul suo dorso ancora sanguinavano e fumavano a ogni movimento. Quando la regina e il suo gruppo lo videro, Sole di Fuoco era avvolto su se stesso. Si agitò e sollevò la testa, enormi ferite evidenti su tutto il collo, dove un altro drago gli aveva strappato brani di carne. Sul suo ventre c’erano punti in cui delle croste avevano sostituito le scaglie. Dove avrebbe dovuto esserci l’occhio destro, c’era solo un buco vuoto incrostato di sangue nero. Viene da chiedersi, come sicuramente fece Rhaenyra, in che modo fosse successo. Noi ora sappiamo molti dettagli di cui la regina non era al corrente. Fu lord Larys Strong Piededuro a spronare il re e i suoi figli a uscire dalla città quando i draghi della regina apparvero per la prima volta nei cieli sopra Approdo del Re. Per non farli passare attraverso le porte della città, dove potevano essere visti e riconosciuti, lord Larys li condusse lungo un passaggio segreto realizzato da Maegor il Crudele, di cui lui solo era a conoscenza. E fu parimenti lord Larys a ordinare ai fuggitivi di separarsi, così che, se uno fosse stato catturato, gli altri avrebbero potuto spuntarla. A ser Rickard Thorne fu comandato di portare il principe Maelor, di soli due anni, da lord Hightower. La principessa Jaehaera, una bambina di sei anni, dolce e semplice, fu affidata alle cure di ser Willis Fell, che giurò di portarla sana e salva a Capo Tempesta. Nessuno dei due sapeva dove fosse diretto l’altro, per cui nessuno dei due, se fatto prigioniero, avrebbe potuto tradire l’altro. E solo Larys sapeva che il re, spogliato dei suoi abiti eleganti e avvolto in un mantello da pescatore chiazzato di sale, era stato nascosto in mezzo a un carico di merluzzi su una piccola barca da pesca e affidato alle cure di un cavaliere bastardo che aveva dei parenti alla Roccia del Drago. Una volta appreso della scomparsa del re, pensò Piededuro, la regina avrebbe mandato i suoi uomini a dargli la caccia... ma una barca non lascia tracce sulle onde e pochi cacciatori avrebbero pensato di cercare Aegon proprio sull’isola della sua stessa sorella, all’ombra della sua stessa fortezza. E là Aegon sarebbe rimasto, forse, nascosto ma in salvo, ad attenuare il dolore col vino e a nascondere le ustioni sotto un pesante mantello, se Sole di Fuoco non fosse ritornato alla Roccia del Drago. Possiamo domandarci che cosa l’abbia attratto di nuovo al Monte del Drago: in molti l’hanno fatto. Il drago ferito, l’ala spezzata guarita solo per metà, fu forse guidato da un primordiale desiderio di far ritorno al suo luogo di nascita, la montagna fumante dove era emerso dall’uovo? O forse, in qualche modo, avendo percepito la presenza di re Aegon sull’isola, attraverso molte leghe e mari in tempesta, volle ricongiungersi al suo cavaliere? Alcuni si spingono fino a ipotizzare che Sole di Fuoco abbia sentito il disperato bisogno di Aegon. Ma chi mai può affermare di conoscere l’animo di un drago? Dopo che lo sventurato attacco di lord Walys Mooton l’ebbe scacciato dai campi di cenere e ossa fuori dalle mura di Riposo del Corvo, le cronache persero di vista Sole di Fuoco per oltre metà di un anno. (Talune storie narrate nelle sale dei Crabb e dei Brune asseriscono che, per un certo periodo, il drago si fosse rifugiato negli oscuri boschi di conifere e nelle caverne di Punta della Chela Spezzata.) Per quanto l’ala lacerata fosse guarita abbastanza da permettergli di volare, si era rinsaldata con un’angolazione innaturale e restava debole. Sole di Fuoco non poteva più librarsi, né rimanere in volo a lungo, doveva faticare anche solo per volare per brevi distanze. Eppure, in qualche modo aveva attraversato il Golfo delle Acque Nere. Infatti... era Sole di Fuoco che i marinai a bordo della Nessaria avevano visto attaccare Spettro Grigio. Ser Robert Quince aveva incolpato il Cannibale... ma Tom Lingua Annodata, un balbuziente che ascoltava più di quanto non parlasse, aveva rimpinzato di birra i volantiani, annotando le volte che menzionavano le scaglie dorate dell’aggressore. Il Cannibale, come egli ben sapeva, era nero come il carbone. E così i Due Tom e i loro “cugini” (una mezza verità: solo ser Marston aveva il loro stesso sangue, essendo il figlio bastardo della sorella di Tom Lingua Annodata, avuto dalla donna col cavaliere che ne aveva preso la verginità) spiegarono le vele per cercare di individuare l’uccisore di Spettro Grigio.

53

Il re bruciato e il drago ferito trovarono una nuova ragione di vita l’uno nell’altro. Da un antro nascosto sui desolati versanti orientali del Monte del Drago, Aegon si azzardava a uscire ogni giorno all’alba e riguadagnava il cielo per la prima volta dopo Riposo del Corvo, mentre i Due Tom e il loro cugino Marston Waters fecero ritorno al lato opposto dell’isola in cerca di uomini che li aiutassero a conquistare il castello. Persino alla Roccia del Drago, da lungo tempo fortezza e sede di Rhaenyra, costoro trovarono molti a cui la regina era sgradita, per motivi validi e meno validi. Alcuni piangevano fratelli, figli e padri uccisi durante la Seminagione o la Battaglia del Gullet. Altri speravano nel bottino e di elevare la propria posizione, mentre altri ancora credevano che un figlio maschio dovesse venire prima di una femmina, ritenendo quindi più valide le pretese di Aegon. Ad Approdo del Re, la regina si era portata gli uomini migliori. Sull’isola, protetta dalle navi del Serpente di Mare e dalle sue alte mura valyriane, la Roccia del Drago sembrava inespugnabile. La guarnigione lasciata da sua grazia a difesa era quindi esigua, costituita in gran parte da uomini ritenuti privi di una qualsiasi altra utilità: anziani e ragazzini, zoppi, ritardati e storpi, uomini in via di guarigione dalle ferite riportate, uomini dalla lealtà dubbia o sospettati di codardia. A capo di costoro la regina aveva posto ser Robert Quince, un uomo capace, ma ormai invecchiato e ingrassato. Quince era un fermo sostenitore Rhaenyra, su ciò tutti concordano, ma taluni dei suoi sottoposti erano meno leali, covando indubbi risentimenti e rancori per vecchi torti, reali o immaginari che fossero. Tra questi spiccava ser Alfred Broome. Il quale si rivelò più che disponibile a tradire la sua regina in cambio della promessa di diventare lord, di terre e oro se Aegon II avesse riguadagnato il trono. Il suo lungo periodo di servizio con la guarnigione gli permise di fornire consiglio agli uomini del re rispetto ai punti di forza e alle debolezze della Roccia del Drago, su quali guardie potevano essere corrotte e tirate dalla propria parte, e quali invece sarebbe stato necessario uccidere o imprigionare. Quando venne il momento, la Roccia del Drago cadde in meno di un’ora. All’ora degli spettri, uomini affiliati a Broome aprirono un ingresso secondario, consentendo a ser Marston Waters, Tom Lingua Annodata e ai loro uomini di scivolare non visti all’interno del castello. Mentre un drappello conquistava l’armeria e un altro prendeva in custodia le guardie leali e il maestro d’armi, ser Marston sorprese maestro Hunnimore nella sua uccelliera, impedendo che qualsiasi notizia dell’attacco si diffondesse tramite i corvi. Ser Alfred in persona guidò gli uomini che fecero irruzione nelle stanze del castellano, cogliendo ser Robert Quince di sorpresa. Mentre il grasso castellano faticava ad alzarsi dal letto, Broome gli conficcò una lancia nell’enorme ventre pallido, con tanta forza che gli uscì dalla schiena, trapassando il materasso di piume e quello di paglia sottostante, fino a conficcarsi nel pavimento. Sotto un solo aspetto il piano andò storto. Quando Tom Lingua Annodata e i suoi sodali sfondarono la porta della stanza da letto di lady Baela per prenderla prigioniera, la ragazza scivolò fuori dalla finestra, arrampicandosi sui tetti e discendendo lungo le mura finché non raggiunse il cortile. Gli uomini del re si erano premurati di inviare alcune guardie per prendere il controllo delle stalle dove erano tenuti i draghi del castello, ma Baela conosceva vie d’accesso e d’uscita a loro ignote. Quando gli inseguitori, infine, la raggiunsero, aveva già allentato le catene di Danzatore di Luna e l’aveva sellato. E così, quando re Aegon II varcò in volo il picco fumante del Monte del Drago in sella a Sole di Fuoco – aspettandosi di fare un ingresso trionfale in un castello saldamente nelle mani dei suoi uomini, coi lealisti tutti quanti già morti o imprigionati – accadde che ad affrontarlo gli si parò innanzi Baela Targaryen, figlia del principe Daemon e della sua seconda moglie lady Laena, intrepida proprio come il padre. Danzatore di Luna era un drago giovane, verde chiaro, con corna e cresta e ossatura alare madreperla. A parte le sue ampie ali, non era più grande di un destriero da guerra e pesava meno. Era molto veloce però, e Sole di Fuoco, seppure di dimensioni molto maggiori, lottava comunque

54

con un’ala malformata e aveva subito ferite ancora fresche da Spettro Grigio. I due draghi si incontrarono nell’oscurità che precede l’alba, ombre nel cielo che illuminavano la notte con le loro fiamme. Danzatore di Luna schivò le vampate di Sole di Fuoco, evitò le sue mascelle, saettò sotto i suoi artigli rapaci. Completò un giro e artigliò il drago più grande dall’alto, scavandogli un lungo solco fumante sulla schiena e lacerandogli l’ala già ferita. Gli spettatori sottostanti dissero che Sole di Fuoco oscillava nell’aria come stordito, lottando per restare in volo, mentre Danzatore di Luna si voltava e attaccava nuovamente, sputando fuoco. Sole di Fuoco rispose con un’eruzione di fiamme dorate così intensa da illuminare il cortile sottostante come un secondo sole, una deflagrazione che colpì Danzatore di Luna proprio negli occhi. Quasi sicuramente il giovane drago fu accecato all’istante, eppure continuò a volare, schiantandosi contro Sole di Fuoco in un groviglio di ali e artigli. I due draghi precipitarono. Danzatore di Luna assaltò ripetutamente il collo di Sole di Fuoco, strappandogli brani di carne, il drago più anziano che conficcava gli artigli nel ventre. Avvolto da fuoco e fumo, accecato e sanguinante, Danzatore di Luna sbatté disperatamente le ali nel tentativo di fuggire, ma i suoi sforzi servirono solo a rallentare la caduta di entrambi. Gli spettatori nel cortile corsero a mettersi al riparo mentre i draghi, sempre lottando, si schiantavano contro la pietra. A terra, la velocità di Danzatore di Luna non si rivelò granché utile contro la stazza e il peso di Sole di Fuoco. Presto il drago verde smise di muoversi. Il drago d’oro gridò la sua vittoria e cercò di sollevarsi ancora, ma solo per crollare a terra, sangue bollente che gli sgorgava dalle ferite. Re Aegon era saltato dalla sella quando i draghi erano ancora a venti piedi dal terreno, spezzandosi entrambe le gambe. Lady Baela era rimasta con Danzatore di Luna fino all’impatto. Ustionata e malconcia, la ragazza trovò comunque la forza di sganciare le catene della sella e di allontanarsi carponi, mentre il suo drago si contorceva negli ultimi spasmi dell’agonia. Quando Alfred Broome estrasse la spada per ucciderlo, Martson Waters gli strappò la lama di mano. Tom Lingua Annodata portò Baela dal maestro. Fu così che Aegon II conquistò lo scranno ancestrale di Casa Targaryen, ma il prezzo che pagò si rivelò terribile. Sole di Fuoco non si sarebbe mai più levato in volo. Sarebbe rimasto nel cortile, là dov’era caduto, a cibarsi della carcassa di Danzatore di Luna e, in seguito, di pecore uccise per lui dalla guarnigione. A causa delle ferite riportate, Aegon II trascorse il resto della sua esistenza in preda a sofferenze atroci... benché, gli va reso onore, sua grazia rifiutò il latte di papavero. «Non percorrerò di nuovo quella strada» decise. Non molto tempo dopo, con il re che giaceva nella grande sala del Tamburo di Pietra, le gambe fasciate e steccate, il primo dei corvi della regina Rhaenyra giunse da Duskendale. Nell’apprendere che sua sorella avrebbe fatto ritorno a bordo della Violande, Aegon ordinò a ser Alfred Broome di prepararle un “degno benvenuto” in occasione del suo ritorno a casa. Tutto questo ci è noto ora. Non lo era invece alla regina quando mise piede a riva, finendo nella trappola tesa dal fratello. Nel vedere la rovina di Sole di Fuoco il Dorato, Rhaenyra rise. «Di chi è opera?» disse. «Lo dobbiamo ringraziare.» «Sorella!» gridò il re da una balconata. Impossibilitato sia a camminare sia a stare in piedi, Aegon Targaryen era stato condotto lassù su uno scranno. L’anca che si era fracassata a Riposo del Corvo lo aveva reso curvo e deforme, i suoi lineamenti un tempo avvenenti erano rigonfi a causa del latte di papavero, metà del suo corpo ricoperta dai segni delle ustioni. Nonostante ciò, Rhaenyra lo riconobbe subito: «Fratello caro, avevo sperato che tu fossi morto». «Dopo di te» rispose Aegon. «Sei tu la più vecchia.» «Lieta che tu lo ricordi» rispose Rhaenyra. «Sembra proprio che siamo tuoi prigionieri... ma non pensare di poterci trattenere a lungo. I lord a me fedeli mi troveranno.» «Se ti cercheranno nei Sette Inferi, può darsi» fu la replica del re, mentre i suoi uomini strappavano Rhaenyra

55

dall’abbraccio del figlio. Secondo alcuni resoconti, fu ser Alfred Broome ad afferrare la regina per un braccio. Altri indicano i Due Tom, Lingua Annodata padre e figlio. Ser Marston Waters fu anch’egli testimone, vestito della cappa bianca: re Aegon l’aveva nominato membro della Guardia reale per il coraggio dimostrato. Tuttavia né Waters né alcuno degli altri lord e cavalieri presenti nel cortile disse una parola di protesta quando re Aegon II consegnò la sorellastra al suo drago. Sole di Fuoco, si narra, sulle prime sembrò non provare alcun interesse per l’offerta, finché Broome non trafisse il seno della regina col suo pugnale. L’odore del sangue eccitò il drago, il quale prima annusò sua grazia, e poi la inondò con un’eruzione di fiamme tanto improvvisa che il mantello di ser Alfred prese fuoco, facendolo fuggire con un balzo. Rhaenyra Targaryen ebbe tempo di alzare il viso al cielo, urlando un’ultima maledizione contro il fratellastro prima che le fauci di Sole di Fuoco si chiudessero su di lei, strappandole spalla e braccio. Il drago dorato divorò la regina in sei morsi, lasciando solo la parte della gamba sinistra sotto lo stinco per lo Sconosciuto. Il figlio della regina osservò terrorizzato, incapace di muoversi. Rhaenyra Targaryen, Delizia del Reame e Regina per metà anno, lasciò questa valle di lacrime il ventiduesimo giorno della decima luna dell’anno 130 dopo la Conquista di Aegon. Aveva trentatré anni. Ser Alfred Broome si espresse per la messa a morte anche del principe Aegon, ma il re lo proibì. Di soli dieci anni, il ragazzo poteva avere ancora valore come ostaggio, dichiarò. Anche se la sua sorellastra era morta, ella aveva ancora dei sostenitori sul campo che bisognava affrontare prima che sua grazia potesse sperare di sedersi di nuovo sul Trono di Spade. Quindi al principe Aegon fu messo un collare, venne incatenato ai polsi e alle caviglie, e fu condotto nelle segrete sotto la Roccia del Drago. Alle dame di compagnia della defunta regina, essendo di nobile lignaggio, furono assegnate celle nella Torre del Drago marino, in attesa dei riscatti. «Il tempo di nascondersi è giunto al termine» dichiarò re Aegon II. «Liberate in volo i corvi. Che il reame sappia che la pretendente è morta e che il suo vero re sta tornando a casa, a rivendicare il trono di suo padre.» Eppure anche i veri re possono scoprire che certe cose sono più facili da proclamare che da compiere. Nei giorni seguenti alla morte della sorellastra, il re si aggrappò alla speranza che Sole di Fuoco potesse ritrovare la forza di volare ancora. Invece il drago sembrò solo indebolirsi ulteriormente e presto le ferite al collo cominciarono a emanare cattivo odore. Persino il fumo che esalava puzzava e, verso la fine, smise di mangiare del tutto. Il nono giorno della dodicesima luna del 130 DC lo splendido drago dorato che era stato il vanto di re Aegon morì nel cortile della Roccia del Drago, là dov’era caduto. Sua grazia pianse. Quando il dolore per la perdita passò, re Aegon II convocò gli uomini che gli erano leali e fece i preparativi per il suo ritorno ad Approdo del Re, per riprendere il Trono di Spade e riunirsi ancora una volta con la lady sua madre, la regina vedova, che aveva finalmente trionfato sulla sua grande rivale, seppure solo sopravvivendole. «Rhaenyra non fu mai regina.» Tanto dichiarò il re, affermando che, per quel motivo, in tutte le cronache e in tutti gli atti ufficiali, la sua sorellastra andava menzionata solo come “principessa”. Il titolo di regina era riservato solo a sua madre Alicent e alla sua defunta moglie e sorella Helaena, le “vere regine”. E così fu fatto. Il trionfo di Aegon si sarebbe rivelato tanto breve quanto amaro. Rhaenyra era morta, ma non la sua causa. Nuovi eserciti di neri erano in marcia già mentre il re faceva ritorno alla Fortezza Rossa. Aegon II si sarebbe seduto di nuovo sul Trono di Spade, ma senza mai guarire dalle ferite e senza mai conoscere né felicità né pace. La sua restaurazione sarebbe durata solo sei mesi. Il resoconto di come Aegon II cadde e fu seguito dal terzo è destinato a un’altra occasione. La guerra per il trono sarebbe proseguita, ma la rivalità cominciata a un ballo di corte, quando una principessa si era vestita di nero e una regina di verde, era giunta alla sua rossa fine. Così si conclude questa parte della nostra storia.

56

Titolo originale: The Princess and the Queen Copyright © 2013 by George R.R. Martin Traduzione di Sergio Altieri a. Nell’anno 111 DC, quale celebrazione del quinto anniversario del matrimonio del re con la regina Alicent, ebbe luogo ad Approdo del Re un grande torneo. Al banchetto di apertura, la regina indossava un abito di colore verde, in contrasto con quello della principessa Rhaenyra, che vestiva di rosso e nero, colori tradizionali della Casa Targaryen. Ciò venne notato. Da quel momento in avanti, divenne comune parlare di “verdi” e di “neri” in riferimento alle corti rispettivamente della regina e della principessa. Nel corso del torneo, poi, furono i neri a trionfare quando ser Criston Cole, portando con sé un fazzoletto nero, disarcionò uno dopo l’altro tutti e cinque i campioni della regina, inclusi due suoi cugini e suo fratello minore, ser Gwayne Hightower.