Principessa del Deserto

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PARTE PRIMA

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Il terzo volume della saga "Principesse del Regno della Fantasia", dedicato a Samah, la Principessa del Deserto.

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Ne abbiamo fatta di strada, cari amici!Che cosa vi avevo detto a proposito del labirinto

che circonda Fiordoblio? Nella vita nulla è come sembra, e anche un semplice giardino può nascondere una via segreta che conduce in un luogo lontano.

È proprio qui, nel Regno del Deserto, che sono arrivati Gunnar, il Principe dei Ghiacci, e Kalea, la Principessa dei Coralli. E noi, anche questa volta, abbiamo tutta l’intenzione di seguirli, non è vero? Abbiamo una missione importante: aiutare i nostri amici ad avvertire la principessa Samah della minaccia che incombe su di lei e scongiurare così il pericolo che il malvagio Principe senza Nome si impossessi di un’altra strofa della Canzone del Sonno.

Prima di partire, però, ho una raccomandazione da farvi: aprite il vostro armadio e prendete una sciarpa di cotone o di lino, non importa di quale colore. Il deserto è spesso battuto da violente tempeste di sabbia, perciò la sciarpa vi sarà indispensabile per accompagnare Samah soprattutto quando...

Ma che cosa dico? Non voglio anticiparvi nulla!

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Però credetemi: se deciderete di seguirmi in questa nuova avventura, non ve ne pentirete.

Cose importanti stanno per accadere nella meravigliosa cittadina di Roccadocra e, se non volete perdere un’alba sulle dune, tanto bella da lasciarvi senza fi ato, vi consiglio di affrettarvi.

Il deserto è un luogo misterioso e incantevole e, ne sono certa, anche voi rimarrete rapiti dal suo fascino. E da quello di Samah, che ne è la principessa.

Benvenuti nel Regno del Deserto!Ma non dimenticate di proteggervi dalla sabbia

e dal vento!

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Benvenutia Roccadocra

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a cittadina di Roccadocra si ergeva su uno sperone di roccia giallo e levigato, come una gemma incastonata nel suo scettro.

Ai suoi piedi, fi n dove lo sguardo riusciva a spingersi, si estendeva il Deserto dei Sussurri, un mare di sabbia che a poco a poco si tramutava in una distesa rocciosa.

Un chiarore diffuso illuminava l’orizzonte e si allargava rapido sul deserto fi no a tingere le case di Roccadocra di un rosa tenue e rassicurante. L’aria pungente del mattino profumava di fi ori, e qualche timida voce cominciava a echeggiare nei vicoli stretti intorno alle abitazioni come rami di un labirinto segreto.

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Benvenuti a Roccadocra

– Oggi è il gran giorno – sussurrò un uomo con il capo avvolto in un turbante blu e verde.

– Sì, i mercanti stanno per arrivare. Fra poco sarà tempo di dare il segnale – rispose un altro, sollevando i neri occhi di ebano sull’imponente palazzo che dominava la città. Strinse forte il corno che portava con sé e si incamminò verso lo strapiombo della rupe per annunciare il primo giorno di mercato.

~*~

Ai piedi della rocca addormentata, in quell’istante ancora sospeso tra la notte e il giorno, una linea di polvere tagliava le morbide dune. Samah, sovrana di Roccadocra e Principessa del Deserto, stava attraversando al galoppo l’ultimo tratto di pianura sabbiosa che la separava dalla sua città. Intorno a lei, i rifl essi grigiorosa messaggeri del nuovo giorno illuminavano le nuvole di sabbia sollevate dagli zoccoli della sua cavalcatura.

‘Non c’è molto tempo’ si disse Samah, spronando con delicatezza il suo destriero, ‘presto arriveranno i mercanti’.

La principessa cavalcava ormai da più di un’ora;

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quel mattino si era alzata prestissimo, quando il cielo era ancora scuro. Il sonno l’aveva abbandonata prima del tempo lasciando spazio a un’attesa trepidante, mista alla preoccupazione che tutto fosse pronto e in ordine per il tradizionale Mercato delle Sabbie.

Il mercato era un evento importante che, una volta all’anno, radunava a Roccadocra mercanti provenienti da ogni angolo del Regno del Deserto.

La principessa aveva curato i preparativi nei minimi dettagli, ma per sfuggire all’apprensione delle ultime ore aveva deciso di uscire con Amira, la cavalla dal manto dorato che era per lei una compagna preziosa.

Si chinò in avanti fi no a sfi orarle la criniera e sussurrò: – Più veloce, Amira! Dobbiamo essere a Roccadocra prima che sorga il sole.

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La cavalla, che aveva con la principessa un’intesa speciale, nitrì e accelerò l’andatura. Samah ebbe l’impressione di volteggiare in una danza silenziosa, sospesa tra il vento e la sabbia.

Poco più tardi, la sagoma familiare di Roccadocra si fece più vicina. Ancora qualche minuto e Samah imboccò al galoppo la stradina che conduceva alle porte della città.

Giunta in cima, tirò le redini con un gesto deciso e arrestò la corsa in una nuvola di polvere.

Saltò agilmente a terra e, tenendo le briglie di Amira che la seguiva docile, si diresse a passo deciso verso il palazzo reale.

Kel-Radek, lo stalliere di corte, la aspettava nel cortile centrale della reggia.

La principessa gli andò incontro allegra. – Buongiorno, Kel-Radek! – esclamò la ragazza. – Ti affi do Amira. Più tardi passerò nelle stalle... ma adesso devo proprio scappare! Dev’essere tutto pronto per stasera!

Così dicendo, sparì nel porticato, facendosi largo tra tendaggi di cotone fi nissimo.

~*~

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Per gli abitanti del Regno del Deserto il palazzo reale era un luogo pieno di fascino; pochi avevano avuto la fortuna di visitarlo: i più conoscevano solo il grande cortile centrale che ospitava le feste abitualmente offerte dalla principessa.

Si raccontavano però molte storie sui raffi nati mosaici di corte, sulle terme e sui saloni di rappresentanza come la Sala della Volta Celeste. Si diceva anche che la reggia nascondesse tra le sue stanze antichi segreti.

Il palazzo di Roccadocra sorgeva al limitare della cittadina, sul lato orientato a nord-ovest. Come tutti gli edifi ci in città era costruito in mattoni di fango essiccato e paglia, ma era più grande e maestoso, con una facciata dai riquadri sgargianti che incorniciavano le fi nestre in una scacchiera. L’unico ingresso era un massiccio portone di legno di iroko; sulle ante erano incise due spirali, simbolo dell’acqua di cui la città era ricca, e due teste di rinoceronte, emblema di forza e potenza.

La principessa era salita nella sua stanza e, spinta dalla curiosità, si era affacciata alla fi nestra. Di lì a poco sarebbero arrivati i mercanti! A Samah il Mercato delle Sabbie metteva allegria:

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era un’occasione festosa per conoscere da vicino il suo popolo e per stare in mezzo alla gente. Sapeva che molti mercanti affrontavano un lungo e faticoso viaggio per raggiungere Roccadocra; in tanti venivano

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dagli angoli più remoti del regno e, anche se abituati ai capricci del deserto e ai forti sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte, spesso giungevano a destinazione sfi niti. Tanto più se si erano imbattuti in una delle micidiali tempeste di sabbia del Deserto dei Sussurri o, peggio ancora, nei famigerati scorpioni tigrati che si nascondevano sotto le dune.

Il veleno degli scorpioni era mortale, se entro tre giorni non si provvedeva a curare la puntura con il giusto antidoto. Ma per fortuna gli scorpioni tigrati non erano malvagi e pungevano solo se si sentivano minacciati.

Il suono del corno richiamò l’attenzione di Samah: l’alba del primo giorno del Mercato delle Sabbie era stata annunciata.

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i alzò il vento. La principessa si strinse nella tunica di lino color lavanda, lasciando i lunghissimi capelli liberi nell’aria mattutina.

Scrutava il deserto dalla fi nestra aperta, con le tende di seta che danzavano dolcemente al vento. Samah adorava dormire cullata dal fresco e dalle voci della notte; per questo chiudeva le fi nestre molto di rado.

Inspirò profondamente abbassando le palpebre. Le piacevano i profumi portati dal vento: le parlavano di luoghi lontani e misteriosi. Quando riaprì gli occhi, un primo spicchio di sole faceva capolino sulla linea dell’orizzonte. La città e il palazzo si accesero di un tenue rosa che poi rapidamente virò all’ocra e al rosso

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intenso. Non esisteva un solo pittore nel regno in grado di riprodurre la meraviglia di quei colori.

La luce cominciò ad animare gli oggetti nella stanza, indugiando sul letto verniciato d’oro, sul basso comodino di ebano e sul tappeto di Samah, un oggetto a cui la principessa era molto affezionata. Rischiarati dai rifl essi dell’alba, gli uccelli multicolori che ne decoravano la trama parvero prendere il volo, in un intrico verde di alberi e foglie. Poi i raggi del sole illuminarono il tavolo dipinto e i cuscini

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vicino alla porta, che facevano da studio e da salotto. Nel palazzo, infatti, non c’erano sedie, tranne quella che Dasin, la tessitrice di corte, usava per lavorare al telaio.

Samah guardava dritto davanti a sé. Il Deserto dei Sussurri sembrava estendersi all’infi nito, ma lei sapeva che quella vasta distesa di sabbia a ovest si trasformava in roccia, a nord-ovest mutava in fertile pianura e a nord, seguendo il corso del Fiume dei Miraggi, cedeva il passo all’acqua sconfi nata del Mare dei Passaggi.

La principessa conosceva il suo regno palmo a palmo: conosceva la sabbia e la pietra rovente sotto il sole di mezzogiorno; conosceva la Verde Pianura, un luogo di rara bellezza appena al di là del Deserto dei Sussurri, e conosceva i Pendii Desolati a ovest del regno, un posto aspro e impervio dove quasi nessuno aveva il coraggio di avventurarsi.

– Eccoli! – esclamò.In lontananza si scorgevano piccole carovane che

avanzavano verso la città.– Bene, è ora di mettersi all’opera.Con un campanellino Samah chiamò una delle

sue domestiche, che come ogni mattina la aiutò a

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prepararsi. La principessa fece il bagno, poi indossò una gonna lunga e una casacchina di seta bianca.

La ragazza la osservò ammirata. – Siete bellissima, principessa.La carnagione scurita dal sole risaltava sugli abiti

bianchi di Samah, mentre gli occhi color della terra risplendevano alla luce del suo sorriso. I capelli le ricadevano sulle spalle acconciati in lunghe treccine.

Samah sorrise con riconoscenza alla domestica, poi volle assicurarsi che tutto procedesse al meglio per la cena del Mercato delle Sabbie. – È tutto pronto in cucina? – domandò sistemandosi sui fi anchi una cintura di monetine tintinnanti.

– I cuochi sono al lavoro, principessa.– Mi raccomando, dev’essere tutto perfetto. La cena era offerta ai mercanti ogni anno. Era un modo

per accogliere e ringraziare gli uomini e le donne che contribuivano a rendere fl oridi Roccadocra e il suo regno.

– Lo sarà, principessa. Non vi preoccupate. Samah e la domestica scesero nel portico e

attraversarono il cortile centrale. Il pavimento era decorato con piccole tessere di marmi colorati che componevano la mappa del Regno del Deserto. Era un mosaico molto antico e molto prezioso.

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L’arrivo dei mercanti

Mentre lo osservava, Samah si rese conto che le mancava qualcosa e si fermò, portandosi una mano sulla testa, imbarazzata.

– Che cosa succede, principessa?– Temo di aver scordato un piccolo dettaglio –

ammise con un sorriso: in effetti i suoi piedi sottili erano scalzi.

– Com’è possibile che mi capiti tanto spesso?

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La domestica soffocò un risolino, che Samah ricambiò con uno sguardo divertito. Poi fece un cenno d’intesa alla ragazza: – Tu prosegui pure. Io torno a prendere le babbucce.

– Come desiderate, principessa.La ragazza si allontanò e Samah ritornò sui suoi passi. Aveva compiuto vent’anni da poco ed era la maggiore

delle sue sorelle, ma spesso e volentieri si dimenticava di indossare le babbucce. Scosse la testa, sorridendo.

La verità era che camminare a piedi nudi le piaceva: le dava una meravigliosa sensazione di libertà.

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La ragazza del nettare di pesca

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n’interminabile fi la di mercanti avanzava lentamente lungo la stradina che risaliva la rupe di Roccadocra. Le strette curve mettevano

in diffi coltà chi portava merci ingombranti come vasi, oggetti di rame, mobili intarsiati e molto altro ancora.

Una volta in cima, però, i mercanti venivano ripagati dello sforzo con nettare di pesca ghiacciato, specialità e vanto della cittadina di Roccadocra.

Per quanto la coltivazione del pesco non fosse abituale a quelle latitudini, a Roccadocra era una tradizione da quando, molti anni prima, un giardiniere di nome Helgi, un uomo taciturno proveniente dal Regno dei Ghiacci Eterni, aveva scoperto delle sorgenti sotterranee.

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Deducendo che la terra fosse fertile, aveva creato uno splendido giardino con tutte le piante tipiche dei climi caldi, incluso un raro baobab dal tronco rosso, e aveva completato l’opera piantando dei semi di pesco speciali che aveva portato con sé nel suo lungo viaggio. Durante i lavori per la realizzazione del giardino, Helgi aveva custodito quelle sementi in una borsa di cuoio da cui si separava malvolentieri e che apriva spesso, come per accertarsi che tutto fosse in ordine. Gli uomini ingaggiati per aiutarlo lo avevano accolto con commenti a metà tra il divertito e il compassionevole. Le battute si rincorrevano durante il giorno: – Che bisogno c’è di controllare le sementi in continuazione? Saranno poi così preziose?

– Che il vento del deserto abbia scompigliato le idee al nostro giardiniere?

– Da che mondo è mondo, nessuno ha mai visto deisemi darsela a gambe per le dune... io dico che tutte queste cerimonie sono esagerate!

La sera, nelle taverne di Roccadocra, qualcuno raccontava persino di aver sorpreso il giardiniere mentre parlava ai semi, dando prova di dedicare alle piante molte più attenzioni di quante ne riservasse alle persone. Era davvero un uomo strano!

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Molte altre cose si mormoravano a Roccadocra sul suo conto. Helgi lo sapeva bene, ma non dava peso a quelle chiacchiere.

Al termine dei lavori, nessuno degli abitanti di Roccadocra avrebbe scommesso il più futile dei suoi beni sulla prosperità di quel frutteto. Invece, in breve tempo, dai semi crebbero alberi robusti che producevano pesche bianche dal gusto sopraffi no e dalla buccia vellutata, la cui fama si diffuse presto in tutto il regno. La gente di Roccadocra dovette ricredersi: quei semi erano davvero speciali! All’improvviso, le cure che quel giardiniere aveva riservato al frutteto smisero di essere motivo di scherno e diventarono oggetto di silenziosa ammirazione.

Questo era accaduto molti anni prima, quando il Regno del Deserto era appena sorto, e gli echi di battaglia che avevano attraversato il Regno della Fantasia erano ancora vivi nella memoria delle genti.

C’era stato infatti un tempo in cui esisteva unico Grande Regno, che il Re Saggio, padre di Samah, aveva strappato a un tiranno da tutti conosciuto come il Vecchio Re. Solo al termine di una lunga e sanguinosa guerra il tiranno era stato sconfi tto e, per effetto di

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un potente incantesimo, era sprofondato in un sonno eterno insieme a tutta la sua corte.

Samah e le sue sorelle Diamante, Nives, Kalea e Yara non potevano ricordare quei tempi turbolenti perché non erano ancora nate, ma avevano lontana memoria del periodo di pace e quiete che visse il Grande Regno sotto la guida del loro padre, il nuovo re, amato e rispettato da tutto il popolo.

La pace, però, non era servita a placare le preoccupazioni del Re Saggio: con il passare del tempo, il sovrano si era convinto che il controllo su un regno così grande non dovesse restare nelle mani di una sola persona. L’uomo rabbrividiva al solo pensiero che un nuovo tiranno potesse tornare al potere.

Così, prima di sparire per sempre, aveva deciso di dividere il regno e di affi dare una corona a ciascuna delle sue cinque fi glie, imponendo loro di vivere lontane e di non rivedersi più. Solo così si sarebbe scongiurata la minaccia di una nuova tirannia.

Ogni principessa divenne dunque sovrana di un regno e custode di una strofa dell’antica Canzone del Sonno, l’incantesimo con cui il Re Saggio aveva addormentato il suo acerrimo nemico. Quelle strofe, cinque in tutto, dovevano restare segrete. Se fossero

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state riunite, cadendo nelle mani sbagliate, i Cinque Regni avrebbero corso grandissimi pericoli e il tempo amaro della guerra sarebbe tornato.

Per il momento, comunque, nulla lasciava presagire questo pericolo nella pacifi ca Roccadocra, dove la principessa Samah si preparava ad aprire il tradizionale Mercato delle Sabbie.

~*~

Tra i mercanti che risalivano la china di Roccadocra, pregustando il leggendario nettare di pesca

che li avrebbe accolti in città, c’era una famiglia giunta dai confi ni settentrionali del regno con un cavallo e un carretto

carico di manufatti. Il più giovane dei due fi gli, di nome Nuasef, era di indole dolce e gentile e si

guardava intorno ammirato, mentre il maggiore, Yuften, procedeva con gli

occhi puntati a terra e l’espressione contrariata. Il ragazzo non perdeva occasione per mostrarsi seccato, a cominciare dal rifi uto

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di indossare il turbante tradizionale: aveva un carattere ribelle e, a sentire sua madre, la sua specialità era dare ai genitori una preoccupazione dietro l’altra. Nei giorni precedenti aveva fatto di tutto per non partire per Roccadocra, ma il padre era stato irremovibile: – Un giorno ti occuperai tu di vendere la mercanzia, quindi devi venire con noi e imparare.

– Io non sarò mai un mercante! – aveva ribattuto Yuften, orgoglioso.

Ma alla fi ne era stato costretto a seguire la famiglia.

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Il viaggio era stato noioso e interminabile, a tal punto che al momento di fare il suo ingresso a Roccadocra, Yuften era ancora di pessimo umore.

– Prendi un po’ di nettare di pesca – gli consigliò suo padre, sospirando.

Il ragazzo grugnì una risposta incomprensibile e sollevò controvoglia lo sguardo da terra.

Fu in quel momento che la vide.

~*~

Davanti a lui c’era una ragazza dalla bellezza abbagliante; indossava un lungo abito rosso, portava i capelli neri raccolti in una coda bassa e due grandi orecchini d’oro. I suoi abiti profumavano di spezie e ogni

suo gesto era accompagnato dal tintinnio dei bracciali d’oro

che portava ai polsi. Yuften rimase immobile per qualche istante; la ragazza gli stava

offrendo del nettare di pesca, con un sorriso aperto, solare.

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Nei suoi diciotto anni di vita aveva visto molte giovani, ma nessuna lo aveva colpito come la ragazza che aveva davanti: tutto in lei era un’armonia di grazia e fi erezza. Quegli occhi da volpe del deserto, quella pelle scurita dal sole, liscia come un quarzo...

– Che cosa aspetti, Yuften? – lo esortò il padre. La madre era già sul punto di scusarsi con la ragazza,

quando lui ebbe un sussulto e rispose: – Ti ringrazio, gentile fanciulla.

I genitori e il fratello lo guardarono, sorpresi da quella cortesia così improvvisa.

Lui fece fi nta di nulla e bevve un sorso.La ragazza dal vestito rosso si volse verso l’uomo

che reggeva il contenitore del nettare, riempì un’altra coppa e la porse a Nuasef.

– Posso conoscere il nome di chi mi offre questa delizia? – chiese a quel punto Yuften.

La fanciulla lo guardò divertita. – Sì, certo. Il mio nome è Daishan.

Yuften rimase ipnotizzato da quel nome, poi si riprese. – Io sono Yuften. Permettimi di rendere omaggio alla tua bellezza.

Quindi si mise a rovistare in una delle sacche di tela caricate sul carretto e ne estrasse un bracciale

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di legno con fi gure di animali incise a fuoco. Lo porse alla ragazza cercando di incontrare il suo sguardo.

– Ecco. È per te.Daishan accettò con un sorriso. – Sei molto gentile,

Yuften. È bellissimo. – Sono contento che ti piaccia.– Lo hai fatto tu?– Certo – mentì lui, aggiustandole il braccialetto

intorno al polso sottile.Nuasef, a pochi passi dal fratello, soffocò una risata

nella sua coppa. La ragazza arrossì e, per togliersi dall’imbarazzo,

versò altre due coppe di nettare ai genitori di Yuften. Questi la ringraziarono e la guardarono allontanarsi per accogliere un nuovo gruppo di mercanti.

– Hai sentito nostro fi glio? Un vero talento per i braccialetti! – commentò il padre a mezza voce.

– Però ha detto il vero prima di partire, – rispose la moglie con un sorriso – almeno quando ha annunciato che non sarà mai un mercante... Altrimenti non avrebbe regalato a cuor leggero un oggetto che ci avrebbe fruttato un discreto guadagno.

Yuften distolse lo sguardo da Daishan solo quando suo padre invitò la famiglia a dirigersi verso la piazza.

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Ma per lui, che già non aveva grande interesse per il mercato e per gli affari, ogni cosa al di fuori della ragazza del nettare di pesca aveva smesso di esistere. Era come se il tempo si fosse arrestato, come se il soffi o del destino si fosse fermato su di lui, lasciandolo inerme e senza fi ato.

Si incamminò dietro il carretto con movimenti lenti, meccanici. Non riusciva ad allontanare dai suoi occhi quella visione di bellezza e dolcezza.

‘Daishan...’ mormorò a mezza voce. In cuor suo era sicuro che l’avrebbe rivista.

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n cucina sembrava tutto a posto. Le cuoche e i cuochi di corte erano affaccendati nella preparazione dei prelibati manicaretti

destinati ai mercanti. La principessa Samah stava controllando

scrupolosamente che ogni cosa fosse stata fatta a regola d’arte, in particolare quelle ricette che venivano tramandate di generazione in generazione e costituivano il vanto di Roccadocra, come il dolce di datteri.

Anche lei di tanto in tanto si dilettava in cucina. Le piaceva soprattutto sperimentare e abbinare sapori che nessuno avrebbe mai pensato di mettere insieme.

– Non preparate nulla, oggi, principessa? – le chiese

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una delle cuoche, una ragazza giovane ma già molto brava. Stava lavorando con le mani una grossa massa di pasta per un dolce, e aveva tutto il viso incipriato dalla farina che usciva a sbuffi dall’impasto.

– Direi di no. È una cena troppo importante per guastarla con qualcuna delle mie creazioni – rispose lei con un sorriso. – Io adesso vado alle stalle: Amira mi aspetta. Se avete bisogno di me, potete trovarmi là.

– Come desiderate – rispose la cuoca accennando un piccolo inchino.

La principessa uscì dalle cucine e attraversò il cortile, diretta alle scuderie. Vi si accedeva attraverso un grande cancello con assi di legno incrociate a formare una griglia. Quella mattina era chiuso, quindi Samah dedusse che Kel-Radek, lo stalliere, non ci fosse. Entrò e si ritrovò immersa in una fresca penombra.

Salutò i cavalli, accarezzandoli a uno a uno sui musi lunghi e lucidi. Capitava spesso che portasse con sé della verdura per solleticare la loro golosità, ma quel giorno i preparativi per la cena le avevano fatto dimenticare ogni altra cosa.

Sfi orò il muso di uno splendido destriero nero, poi giunse al recinto di Amira. La ammirò per qualche istante: alla luce della piccola fi nestra, il manto dorato

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La cavalla Amira

della cavalla mandava rifl essi incantevoli, come un drappo di seta pregiata.

– Eccomi, Amira! Ti avevo promesso che sarei venuta – la salutò Samah.

Riconoscendo la voce della principessa, Amira si avvicinò al recinto e chinò il capo per farsi accarezzare. Mostrava una grazia infi nita in ogni suo movimento e una sicurezza regale nell’incedere.

Samah le fece una carezza vicino alle orecchie, quindi prese una spazzola ed entrò nel recinto. Con estrema attenzione districò i crini della coda di Amira fi nché divennero morbidi come seta.

Quando Samah ebbe fi nito, la cavalla mosse il capo con uno sbuffo, facendo ondeggiare la criniera. Poi con il muso diede qualche colpetto alla mano della principessa, come per invitarla a proseguire la spazzolatura.

Samah la strinse a sé e le accarezzò il manto, mentre la cavalla strofi nava il muso sulla sua pelle liscia.

– Oh, Amira. Sei così cara... e poi tu capisci tutto, senza bisogno di parole.

Affondò le dita nella morbida matassa della criniera e quindi, con pazienza, iniziò a spazzolarla e a intrecciarla.

– Oggi è un gran giorno, sai? Questa sera terremo un

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La cavalla Amira

banchetto per i mercanti. Sarà una festa memorabile. Amira ogni tanto lanciava qualche debole nitrito,

come a dimostrare la sua felicità per tutte quelle affettuose attenzioni.

Quando la principessa ebbe fi nito, si allontanò di qualche passo e contemplò il risultato.

– Sei bellissima, amica mia! – commentò soddisfatta.Detto questo, ripose gli attrezzi in un secchio

e li pulì sotto gli occhi di Amira. Poi salutò la cavalla e dalla penombra delle scuderie uscì in pieno sole.

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’annuale Mercato delle Sabbie stava per cominciare. Una volta dissetati e ritemprati dalle fatiche del viaggio, i mercanti avevano

raggiunto la piazza di Roccadocra per sistemare le loro bancarelle.

La piazza descriveva un rettangolo allungato attorniato da case alte e strette, dipinte di giallo, rosso e ocra.

Al centro sgorgava una sorgente d’acqua fresca e limpida, da tutti chiamata Fonte delle Meraviglie. L’acqua zampillava in una vasca di roccia decorata da quattro pietre scure provenienti dai Pendii Desolati e impreziosita da migliaia di minuscole conchiglie

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originarie del lontanoRegno dei Coralli.

A mezzogiorno ogni angolo della piazza era occupato dalle mercanzie colorate. Tra i vicoli si respiravano profumi che sapevano di paesi lontani; la città era invasa da storie e racconti che viaggiavano di bocca in bocca.

Si attendeva solo l’arrivo della Principessa del Deserto. Il Mercato delle Sabbie non poteva cominciare senza il suo saluto inaugurale.

Proprio in quel momento, Samah stava attraversando i corridoi ombreggiati del palazzo e cercava di fare respiri profondi: era sempre emozionata all’idea di incontrare il suo popolo, specialmente i mercanti che le facevano visita in quella rara occasione. Inoltre non era mai veramente a suo agio nel parlare in pubblico, perché conduceva una vita semplice e non amava le formalità. Per fortuna l’avrebbe accompagnata suo cugino Armal, che abitava con lei insieme alla sorella maggiore Daishan.

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Armal era un giovane di diciassette anni, forte e coraggioso, amante dell’avventura e dell’esplorazione: per quanto fosse molto legato alla cugina, alla sorella e alla corte, si allontanava da Roccadocra anche per diverse settimane, desideroso com’era di solcare le strade del deserto al seguito delle carovane dei beduini o delle spedizioni degli esploratori. Quando

rimaneva a corte amava addestrare i meravigliosi cavalli arabi della famiglia reale insieme ad Ajar, la guida del deserto, oppure si divertiva a scalare

la parete più ripida della rocca, a strapiombo sul deserto. Soffriva negli ambienti chiusi e si sentiva vivo solo nei grandi spazi sconfi nati.Armal stava aspettando Samah

davanti al portone e quando la vide le rivolse un cenno di saluto. Quel giorno anche lui, come la principessa, era vestito di

bianco: indossava una tunica lunga fi no al ginocchio, dalla quale sbucava un paio

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di pantaloni larghi e lunghi. Aveva i capelli corti e scuri protetti dal turbante e ai piedi portava un paio di sandali di cuoio chiaro.

– Buongiorno, cugino – lo salutò Samah. – Hai per caso visto Daishan?

– Non ancora.– E non hai idea di dove sia?Il ragazzo scosse il capo. – So che si era offerta

di distribuire il nettare di pesca ai nuovi arrivati.Una piccola ruga comparve sulla fronte della

principessa. Una ruga quasi impercettibile, che poteva notare solo chi la conosceva bene.

– C’è qualcosa che non va? – Forse.– Sei preoccupata?– No, Armal, ma tua sorella ultimamente è più

distratta del solito: tutti quei castelli in aria, quelle fantasticherie... Ha insistito per accogliere i mercanti, anche se temo di sapere perché ha voluto farlo.

– Perché?– È irrequieta. Curiosa.– Ma non c’è nulla di sbagliato nell’essere curiosi.– Una curiosità eccessiva può portare guai, non

dimenticarlo.

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A differenza della sorella, Armal era un ragazzo molto assennato e, anche se il suo amore per la vita all’aria aperta ne faceva una persona avventurosa, non era certo un impulsivo. Per questo Samah si fi dava di lui e spesso gli chiedeva consiglio; lo considerava maturo ben oltre la sua età.

– Il Nonno mi ha detto che scenderà più tardi – la informò lui, sviando il discorso.

– Gli hai parlato?– Sì. Adesso sta scrivendo.Samah non fece altre domande.Il Nonno era l’uomo più anziano a Roccadocra,

anche se dal suo portamento fi ero non si sarebbe mai detto. Come spesso accade, era anche la persona più saggia del regno.

Si chiamava Amar ed era il nonno materno di Samah. Era nato nel Regno dei Coralli ma viveva a Roccadocra da moltissimi anni, per quanto non si fosse mai veramente abituato all’usanza di indossare il turbante, come facevano invece tutti i nati nel Regno del Deserto.

Ai tempi del Grande Regno, il saggio Amar era stato uno dei consiglieri più fi dati del Re Saggio. Per questo, Samah non solo lo considerava un punto di riferimento

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per la sua saggezza e la sua esperienza, ma vedeva in lui un rifl esso dei genitori che tanto le mancavano. Negli anni, aveva continuato a chiamarlo ‘nonno’, come faceva da piccola, e a poco a poco lui era diventato il Nonno per l’intera corte.

Il saggio Amar era un uomo piuttosto riservato; trascorreva gran parte delle sue giornate a scrivere le storie del suo popolo: alcune vere, altre trasformate dalla sua fantasia. Ma erano tutte così belle che nessuno si preoccupava di sapere quali fossero inventate e quali no. Così, nel corso degli anni, realtà e immaginazione si erano mescolate indissolubilmente.

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due cugini uscirono dal portone di iroko della reggia e si ritrovarono immersi nella confusione della folla: le stradine erano

gremite di persone che andavano e venivano con merci di ogni genere. Qualcuno cercava di richiamare l’attenzione degli avventori, offrendo prezzi speciali; altri schiamazzavano allegri; altri ancora si spingevano in trattative complicatissime con i potenziali clienti. Gli affari sarebbero cominciati davvero solo dopo il discorso inaugurale della principessa, ma non era mai troppo presto per far conoscere le proprie merci.

Le voci del mercato erano accompagnate dalla musica del balafon, uno strumento molto diffuso nel

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Regno del Deserto, una sorta di xilofono di legno con delle zucche vuote poste sotto le stecche per amplifi care il suono, che a tratti poteva ricordare il rumore delle gocce d’acqua sul legno e sulla pietra.

Samah si guardava intorno felice. Passeggiare per i vicoli di Roccadocra le piaceva moltissimo. Altrove ci si sarebbe stupiti nel vedere una principessa in giro senza scorta, ma Roccadocra era una cittadina tranquilla e pacifi ca, dove non c’era bisogno di guardie. Per di più, tutti conoscevano e rispettavano la principessa Samah; se un pericolo avesse minacciato lei o il suo regno, l’intera popolazione l’avrebbe aiutata a fronteggiarlo senza esitare.

Il breve tragitto dalla reggia alla piazza venne accompagnato da applausi e acclamazioni.

‘Evviva la principessa! Lunga vita a Samah!’ si sentiva echeggiare per i vicoli di Roccadocra.

– Ci sono molti mercanti quest’anno – osservò Armal procedendo attraverso le stradine strette e affollate.

– È vero: signifi ca che il regno è prospero e in pace. Samah raggiunse la piazza e salì su un semplice

palchetto affi nché tutti la potessero vedere. La folla si zittì di colpo.

La principessa sorrise, inspirò profondamente

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e cominciò a parlare. – Amici mercanti, voglio darvi il benvenuto a Roccadocra a nome mio e di tutta la corte. Spero che anche quest’anno abbiate trovato degna la nostra accoglienza...

‘Più che degna’ pensò Yuften tra la folla. Mentre la principessa continuava il suo discorso, lui cercava con lo sguardo la ragazza a cui aveva donato il braccialetto, ma non riusciva a vederla da nessuna parte.

– ... perciò vi ringrazio di essere qui e di aver affrontato un lungo viaggio anche quest’anno. Vi auguro un fl orido commercio e un soggiorno piacevole a Roccadocra, che è prospera e felice anche grazie a voi.

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La principessa chinò la testa di fronte al suo popolo, com’era usanza. La folla applaudì, entusiasta.

In quel momento qualcuno tirò la manica di Armal, che era rimasto ad ascoltare il discorso di benvenuto di Samah. Era Daishan. La ragazza aveva i capelli scarmigliati e un grande sorriso dipinto sul volto: la sua espressione era radiosa.

– Ciao, Daishan. Ci stavamo proprio chiedendo dove fossi fi nita.

– Ciao, fratellino. Ho distribuito le coppe di nettare ai mercanti, alle porte della città.

– Questo lo sapevo già...– Sì, però non puoi sapere quanto mi sono divertita!– A dire il vero, mi sembri più che ‘divertita’. Di’ un

po’... ti è successo qualcosa di particolare?In quel mentre Samah si congedò da un gruppo

di mercanti e vide la cugina. – Daishan! Che piacere vederti... ma sembri un po’

affaticata – notò.– Il sole si è fatto caldo, Samah. E distribuire

il nettare a tutti è stato piuttosto impegnativo.Armal scoccò un’occhiata indagatrice alla sorella.– Che bel bracciale – osservò Samah. Alla principessa non sfuggiva nulla: riusciva

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a memorizzare ogni dettaglio e ad accorgersi anche dei minimi cambiamenti.

– Me lo ha regalato un mercante. Per la mia gentilezza.

– Per la tua gentilezza?– Perché gli ho offerto il nettare – cinguettò allegra

Daishan. Samah alzò un sopracciglio, stupita. – Ma è un gesto

che riserviamo a tutti! Non avresti dovuto accettare.– Sai... – le rispose – lui era così grato e pareva

tenerci così tanto, che mi è parso scortese rifi utare.Alla principessa parve che la cugina tradisse

un’euforia eccessiva: forse le stava nascondendo qualcosa?

Daishan, in effetti, stava ripensando a quel giovane dagli occhi neri e profondi. Probabilmente veniva da molto lontano e forse, una volta partito, non l’avrebbe mai più rivisto. Le sarebbe rimasto solo il suo nome, Yuften. Provò tristezza, senza sapere bene perché. Senza accorgersene, si lasciò sfuggire un profondo sospiro, che Samah non poté fare a meno di cogliere.

– Ed era un giovane molto bello, immagino – la distolse dai suoi pensieri la principessa.

– Sì! – sussultò. – Perché?

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– Me lo dice una certa luce nel tuo sguardo... – la stuzzicò la cugina divertita.

Anche Armal sorrise nel vedere Daishan arrossire.– Comunque è davvero un bel bracciale – concluse

Samah. – Adesso io rientro a palazzo. Voi che cosa fate? Restate qui o venite con me?

– Se non ti dispiace, ci fermeremmo in città ancora un attimo – rispose Armal.

– Come volete. A dopo!I due fratelli guardarono la fi gura esile e slanciata

della cugina scomparire tra la folla. Daishan fu felice di restare sola con Armal; era molto legata al fratello e sentiva il bisogno di confi dargli l’incontro del mattino con quel giovane mercante.

Ma il fratello la anticipò. – Allora? – domandò, incuriosito. – Chi hai conosciuto di così interessante?

Gli occhi di Daishan si illuminarono. – Non lo so. È un giovane straniero, come dicevo, ma è davvero... affascinante.

– E lo rivedrai?– Se avrò la fortuna di incontrarlo di nuovo... – Alla cena, forse.– Sì, forse.Armal era stupito e contento. Era tanto tempo

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che non vedeva sua sorella così felice e solare. – Per qualunque cosa puoi contare su di me... questo

lo sai, vero?– Sì, fratellino. Grazie!I due si abbracciarono felici.Non potevano immaginare che la vista di

quell’abbraccio potesse rattristare qualcuno. Quel qualcuno, ben nascosto tra la folla, era Yuften.

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