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1 AMBITO TERRITORIALE DI DALMINE PER L’ATTUAZIONE DEL PIANO DI ZONA DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI Comuni di Azzano S.Paolo, Boltiere, Ciserano, Comun Nuovo, Curno, Dalmine, Lallio, Levate, Mozzo, Osio Sopra, Osio Sotto, Stezzano, Treviolo, Urgnano, Verdellino, Verdello e Zanica La presa in carico della persona con disabilità nel servizio sociale Approvato dall’Assemblea dei Sindaci nella seduta del xxxxx Gruppo area disabili – Ambito territoriale di Dalmine

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AMBITO TERRITORIALE DI DALMINE PER L’ATTUAZIONE DEL PIANO DI ZONA DEL SISTEMA INTEGRATO DI INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI

Comuni di Azzano S.Paolo, Boltiere, Ciserano, Comun Nuovo, Curno, Dalmine, Lallio, Levate, Mozzo, Osio Sopra, Osio Sotto, Stezzano, Treviolo, Urgnano, Verdellino, Verdello e Zanica

La presa in carico

della persona con disabilità

nel servizio sociale

Approvato dall’Assemblea dei Sindaci

nella seduta del xxxxx

Gruppo area disabili – Ambito territoriale di Dalmine

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Indice

Premessa pag. 4 1. Alcuni dati numerici “ 5 2. Riferimenti normativi “ 10 3. Definizione di persona con disabilità “ 12 4. Presa in carico come diritto soggettivo della persona con

disabilità “ 12

4.1 Definizione di presa in carico e di diritto soggettivo “ 15 4.2 Multidisciplinarietà della presa in carico: educativa, sociale

e psicologica “ 15

4.3 Presa in carico attraverso tre dimensioni: il soggetto, la famiglie e il territorio

“ 17

4.4 La presa in carico attraverso l’integrazione tra sociale e sanitario

“ 19

4.4.1 Un esempio di integrazione socio-sanitaria nella presa in carico delle persone con disabilità in condizione di non autosufficienza

“ 21

5. La presa in carico della persona con disabilità nel servizio

sociale comunale “ 23

5.1 L’inclusione della persona disabile attraverso l’azione di sensibilizzazione e promozione del servizio sociale comunale verso la collettività

“ 23

5.2 Il segretariato sociale “ 25 5.3 Le fasi della presa in carico “ 26 5.3.1 La domanda formale “ 27 5.3.2 La raccolta di informazioni “ 28 5.3.3 L’analisi del bisogno, la predisposizione del progetto e la definizione del contratto

“ 29

5.3.4 La verifica del progetto di intervento “ 31 5.3.5. Gli strumenti professionali dell’assistente sociale “ 32 6. Altri soggetti titolari della presa in carico della persona con

disabilità “ 33

6.1 La scuola “ 34 6.2 La Neuro Psichiatria Infantile “ 36 7. Altri soggetti coinvolti nella presa in carico “ 38 7.1 Il Consultorio familiare per disabili dell’ASL di Bergamo “ 40 7.2 Il Centro per l’assistenza domiciliare (CEAD) “ 41 Appendice: I principali modelli teorici del servizio sociale “ 44 1 Modello problem solving “ 44 2 Modello sistemico relazionale “ 45 3 Modello unitario centrato sul compito “ 46

3

Ringraziamenti pag. 47 Allegati: “ 49 1. Progetto di sensibilizzazione promosso dal Comune di

Dalmine “ 50

2. Domanda “ 60 3. Autorizzazione per accesso ai dati “ 62 4. Griglia di rilevazione provinciale “ 63

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Premessa

Nel piano di zona 2009/2011 dell’Ambito di Dalmine si individua quale obiettivo da

perseguire la definizione di linee guida sulla presa in carico della persona con disabilità,

che orientino e supportino l’assistente sociale comunale, nel rispetto della recente

normativa regionale e della metodologia dei servizi sociali.

A tale scopo si è costituito un gruppo di lavoro composto da: Albergoni Daniela (Ambito di

Dalmine), Colpani Simona (Provincia di Bergamo), Gamba Mariagrazia (Cooperativa

sociale La Solidarietà), Carrara Paola (Neuropsichiatria Infantile di Bergamo), Malanchini

Fabrizia (ASL della Provincia di Bergamo), Zanchi Simonetta (Comune di Azzano San

Paolo), Baccara Giulia (Comune di Boltiere) e Ghezzi Giulia (Comune di Stezzano).

Questo gruppo, oltre a vedere riuniti i referenti delle più significative realtà impegnate nella

presa in carico della persona con disabilità, vede una predominanza di assistenti sociali,

figura professionale deputata, all’interno dell’organizzazione di un Comune, alla

costruzione di progetti e servizi rivolti alle persone con disabilità.

Durante il lavoro di costruzione delle linee guida il gruppo si è soffermato, in diverse

occasioni, sulle peculiarità dell’area disabili rispetto ad altre aree di intervento dei servizi

sociali comunali, che di seguito vengono sinteticamente riportate:

1. L’area disabili interessa tutte le fasce d’età e tutte le tappe della vita di una persona

(nascita, infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia), determinando un livello di

complessità molto alto nella presa in carico.

2. Tutti gli interventi che un servizio sociale può attuare, nella migliore delle situazioni,

può favorire l’integrazione, l’inclusione della persona con disabilità ma mai la

risoluzione della menomazione che, insieme alle barriere sociali, avevano determinato

la disabilità. Questo elemento e il livello di accettazione della disabilità da parte della

famiglia e dell’utente stesso condizionano inevitabilmente il rapporto con il servizio

sociale.

3. Numericamente le persone con disabilità sono una percentuale minima rispetto alla

popolazione complessiva di un Comune e in diversi casi sono poco visibili e presenti

nella vita della comunità. Pertanto, ai fini di una adeguata programmazione dei servizi

sociali, risulta fondamentale rilevarne l’entità ed i bisogni. L’archivio provinciale sulla

disabilità rappresenta un valido supporto in tal senso.

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4. I più recenti riferimenti normativi hanno sostituito il concetto di integrazione con quello

di inclusione, entrambi concetti validi che richiedono però un forte cambiamento a

livello culturale, in una società caratterizzata da modelli centrati sulla bellezza,

sull’efficienza, sul dinamismo, ecc. che fanno fatica a conciliarsi con il tema della

disabilità. E’ quindi importante non trascurare il rapporto con la comunità, attraverso

momenti di sensibilizazione, di confronto ma anche attraverso spazi in cui la persona

con disabilità integrata/inclusa diventa visibile e reale.

1. Alcuni dati numerici

Per comprendere il significato e la portata della presa in carico delle persone con disabilità

da parte dei servizi sociali comunali, è necessario riflettere su alcuni dati numerici ricavati

dall’archivio provinciale sulla disabilità, a cui l’Ambito di Dalmine ha aderito da tempo.

Di seguito le tabelle ed i grafici forniti dalla Provincia di Bergamo riferiti al 30 novembre

2010 e riguardanti i 17 Comuni dell’Ambito di Dalmine:

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Le persone con disabilità censite risultano essere 656 con una netta prevalenza del

genere maschile e con una presa in carico da parte del servizio pari all’82,6%.

Purtroppo questo dato non è esaustivo sia per la non completezza dei dati forniti da alcuni

Comuni (Levate e Osio Sopra indicano rispettivamente 4 e 1 disabili censiti) che

dall’assenza di dati da parte di 4 Comuni (Curno, Osio Sotto, Verdello e Zanica).

Pertanto il dato concreto è che 537 soggetti sono in carico a 11 Comuni dell’Ambito con

una netta prevalenza da parte del Comune di Dalmine che gestisce il 42,4% delle persone

con disabilità censite.

7

Ben 413 persone con disabilità risultano convivere con entrambi i genitori o con il coniuge

o con i fratelli, confermando, almeno sul piano statistico, la presenza di una rete familiare

di supporto.

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Vengono poi segnalate 97 persone con disabilità che convivono con un solo genitore e 38

persone che vivono da sole, entrambi i dati potrebbero evidenziare una criticità futura.

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Un dato estremamente interessante rispetto alla presa in carico risulta essere la tipologia

di disabilità delle persone rilevate: 187 persone presentano una disabilità “multipla” ossia

con almeno due diverse tipologie di disabilità, elemento questo che rende più complessa

la presa in carico; 144 hanno una disabilità cognitiva, 73 fisica e 72 psichica.

Purtroppo anche in questo caso il dato rilevato è parziale non essendo stata indicata per

ben 123 persone la tipologia di disabilità posseduta.

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Altro dato di forte interesse rispetto alla presa in carico è l’età anagrafica delle persone

con disabilità, che vede l’interessamento di tutte le fasce di età individuate ma con una

forte predominanza delle fasce 6-17 anni, 18-39 anni e 40-64 anni. Il coinvolgimento di

tutte le fasi di crescita della persona con disabilità, dalla nascita alla vecchiaia, rende

estremamente complessa la presa in carico sia per la diversità dei bisogni espressi e delle

risposte possibili che ciascuna fascia di età richiede, sia per la necessità di mantenere un

filo conduttore, un legame nel passaggio tra le diverse fasi della vita.

Ultimo dato rilevato è la limitazione delle attività della persona con disabilità che vede una

distribuzione equa tra disabilità lieve, media e grave, pur con il forte limite che per ben 238

persone il dato non è stato rilevato. Anche in questo caso la diversità della limitazione

comporta necessariamente una diversità nella presa in carico.

2. Riferimenti normativi

La Costituzione italiana negli articoli 2, 3, 34 e 38, in modo generale, riconosce e

garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, la pari dignità, il diritto all’istruzione, al lavoro e

all’assistenza sociale.

La legge 5 febbraio 1992 n. 104 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i

diritti delle persone handicappate” e successive modifiche definisce le finalità dell’azione

dello Stato a tutela della persona con disabilità usando concetti quali la libertà,

l’integrazione, la prevenzione delle cause invalidanti e il recupero funzionale e sociale

della persona con disabilità. Ai fini della definizione del progetto di vita risultano

interessanti i richiami al coordinamento e all’integrazione tra i servizi (articolo 5) ed alla

realizzazione di prestazioni sanitarie e sociali integrate (articolo 7).

Nella legge 8 novembre 2000 n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema

integrato di interventi e servizi sociali”, all’articolo 14, si parla del progetto

individualizzato per le persone con disabilità attribuendone ai Comuni, d’intesa con le

aziende unità sanitarie locali, la predisposizione, su richiesta dell’interessato. Al comma 2

dello stesso articolo vengono indicate le parti che compongono il progetto individualizzato:

1. valutazione diagnostico-funzionale;

2. prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del servizio sanitario nazionale;

3. servizi alla persona del Comune per il recupero e l’integrazione sociale;

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4. misure economiche per superare condizioni di povertà ed emarginazione;

5. potenzialità e eventuali sostegni per il nucleo familiare.

La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità del 2007 ratificata dall’Italia il 26

febbraio 2009 riprende e amplifica i principi già indicati nella legge quadro 104/1992: il

rispetto della dignità, l’autonomia individuale e l’indipendenza, la non discriminazione, la

partecipazione e l’inclusione all’interno della società, l’accettazione delle persone con

disabilità, la parità di opportunità, l’accessibilità e la parità tra uomini e donne. Dai principi

si diramano poi i conseguenti diritti: di uguaglianza, di libertà, di accesso all’ambiente fisico

e all’informazione, diritto alla vita, alla sicurezza, all’inclusione e partecipazione all’interno

della comunità, ai servizi, all’istruzione, alla salute, all’abilitazione e riabilitazione, al lavoro,

all’assistenza, ecc. L’articolo 26 della Convenzione sottolinea l’importanza della

“valutazione multidisciplinare dei bisogni e dei punti di forza dell’individuo”.

La legge regionale 12 marzo 2008 n. 3 “Governo della rete degli interventi e dei servizi alla

persona in ambito sociale e sociosanitario” pur non facendo un riferimento specifico

rispetto alle persone con disabilità, all’articolo 1, sottolinea la promozione delle “(…)

condizioni di benessere e inclusione sociale della persona, della famiglia e della comunità

(…)”. La legge 3/2008 nei successivi articoli definisce la rete delle unità di offerta sociali e

sociosanitarie, specificando i soggetti promotori, i compiti previsti, le modalità di accesso, i

diritti degli utenti, la partecipazione al costo delle prestazioni, ecc.

All’articolo 6 comma 4 si attribuisce ai Comuni, d’intesa con l’ASL, l’attività di

segretariato sociale finalizzata alla presa in carico della persona con lo scopo di

orientarla, informarla, valutarne il bisogno e segnalarla “(…) ai competenti uffici del

Comune e dell’ASL ed alle unità di offerta, affinché sia assicurata la presa in carico della

persona secondo criteri di integrazione e di continuità assistenziale (…)”.

Al fine della presa in carico della persona con disabilità risulta inoltre interessante l’articolo

7 (Diritti della persona e della famiglia) in cui si sottolinea l’importanza dell’informazione,

della riservatezza, del permanere nel proprio ambiente familiare; si parla di “prese in

carico in maniera personalizzata e continuativa” e di fornire all’utente “una valutazione

globale, di norma scritta, del proprio stato di bisogno”.

Il codice deontologico dell’Assistente sociale approvato dal Consiglio Nazionale

dell’Ordine Assistenti Sociali nella seduta del 17 luglio 2009 nel punto 8 specifica che

l’azione professionale dell’assistente sociale è svolta “ (…) senza discriminazione di età,

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di sesso, di stato civile, di etnia, di nazionalità, di religione, di condizione sociale, di

ideologia politica, di minorazione psichica o fisica, o di qualsiasi altra differenza che

caratterizzi le persone”, ponendo quindi l’attenzione anche sulla persona con disabilità.

3. Definizione di persona con disabilità

Negli ultimi 20 anni si è assistito da parte degli operatori, ma soprattutto da parte delle

associazioni di familiari, ad una continua ricerca del termine che meglio potesse

presentare la persona con disabilità: la legge 104/1992 parla di “handicappato”, poi

sostituito da “disabile”, a sua volta sostituito da “diversamente abile”, che per la prima volta

rilegge la disabilità in chiave positiva, non come limite ma come diversa possibilità; per

arrivare negli ultimi anni a “persona con disabilità”, dove l’accento è appunto sulla persona

in quanto essere sociale e poi sulla disabilità.

E’ ripercorrendo questo cammino che è possibile dare oggi una chiara definizione di

persona con disabilità.

La persona con disabilità, nell’articolo 3 della Legge quadro 104/1992, viene definita “colui

che presenta una minorazione fisica psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che

è causa di difficoltà di apprendimento, relazionale, o di integrazione lavorativa e tale da

determinare un processo di svantaggio sociale e di emarginazione (…) Qualora la

minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale correlata all’età in

modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente continuativo e

globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione

di gravità”.

La Convenzione Onu del 2007 propone nell’articolo 1 la seguente definizione: “le persone

con disabilità includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a

lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed

effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri.”

4. Presa in carico come diritto soggettivo della persona con disabilità

Quando un bambino nasce, la sua mamma è “tutto il suo mondo”, ed il suo mondo è tutto

ciò che gli serve. Durante i primi mesi di vita ad un bambino sono indispensabili poche

persone, anzi pochissime: la sua mamma ed il suo papà. Anzi, forse solo la sua mamma.

Con il passare del tempo, la presenza prima del papà, poi dei nonni, di eventuali cugini,

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dei bambini incontrati a scuola diventano elementi altrettanto importanti perché egli cresca

anche in termini sociali. Via via la presenza della mamma diventa sempre meno cardinale

e la vita del bambino, ormai ragazzino, si impernia sul gruppo di amici che si infoltisce con

il passare del tempo. Poi arriva il lavoro, e con esso altre relazioni sociali. Poi la famiglia, i

figli, gli amici dei figli….

La vita di un individuo, in termini relazionali, inizia quindi nel rapporto preferenziale con

una persona - la mamma - per crescere progressivamente in termini quantitativi con il

passare del tempo. Giunto all’età adulta l’individuo dovrebbe essere circondato da tante

persone, amici, figli, nipoti, … Questo se tutto funziona bene, se tutto va “come dovrebbe”

e come ci auguriamo che vada. Volendo rappresentare con un disegno il crescere

numerico delle relazioni sociali, ne uscirebbe un triangolo con la punta rivolta verso il

basso.

Prendendo l’estremo opposto a questa situazione -e cioè quella della nascita critica di un

bambino con una disabilità, quindi di una nascita che richiede un forte intervento medico

(quale ad esempio una nascita gravemente prematura, o situazioni di alcune sindromi) -

cosa accade in termini relazionali? La mamma basta al suo bambino? La mamma è “tutto

il mondo” del bambino? Il titolo del libro di Fava Viziello, “Figli delle macchine”, ci dà già

una risposta. Ci sono bambini che sopravvivono non perché la mamma c’è, ma perché al

posto della mamma sono intervenute tante altre persone, perché ci sono “macchine” che

fanno respirare i loro piccoli cuccioli, che li alimentano, … Poi le macchine vengono

lasciate, ma per favorire la crescita di questi bambini ci sono il neuropsichiatria infantile, i

centri “superspecializzati”, i terapisti della riabilitazione, poi arrivano i logopedisti, gli

psicomotricisti, …

Tante persone. La vita di questi bambini inizia con tante persone che ruotano attorno a

loro. Con il passare del tempo iniziano le prime esperienze sociali: l’asilo nido, poi la

scuola dell’infanzia. Finché i bambini sono piccoli le occasioni per stare insieme si

riescono ad individuare con maggior facilità. All’asilo nido è relativamente semplice; alla

scuola dell’infanzia, a secondo della situazione dei bambini con disabilità e delle

caratteristiche strutturali e organizzative dell’ente, le fatiche iniziano a farsi sentire. Con la

scuola primaria, poi, si amplia “la forbice” tra le competenze possedute dai bambini che

hanno una disabilità e “gli altri”. La differenza si rende visibile, percepibile e soprattutto

“raccontabile” anche da parte dei bambini stessi. Progressivamente, gli individui con cui le

persone con disabilità interagiscono si riducono. A parte i centri e le strutture dedicate, le

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relazioni di queste persone si esauriscono nella cerchia familiare. Se non hanno fratelli

che vivono vicino, crescendo si trovano a vivere con un solo genitore anziano, fino a che

questi ce la fa.

Sicuramente la situazione descritta nelle righe precedenti presenta alcune semplificazioni

ed imprecisioni. Premettendo che le considerazioni precedenti necessiterebbero di uno

spazio più ampio nel quale introdurre aggiunte, chiarimenti e precisazioni, nella loro

genericità possono essere riassunte nel modo seguente: la vita sociale di una persona con

disabilità è come un triangolo con la punta verso l’alto, mentre per una persona senza

disabilità la vita sociale è paragonabile ad un triangolo con la punta verso il basso.

anziano

bambino

In un documento che affronta il tema della presa in carico in relazione al progetto di vita,

vorremmo prendere a prestito questa immagine per dire quale è l’obiettivo che

auspichiamo di far intravedere a coloro che lo leggeranno.

Nessuno dovrebbe partire da una punta di triangolo, neppure chi sta bene. Nessuno

dovrebbe arrivare con una punta di triangolo, neppure chi ha una disabilità. Un “trapezio”,

per continuare sull’immagine visiva geometrica, dovrebbe essere l’augurio per ognuno di

noi, anche con la base maggiore appoggiata sul basso.

anziano bambino

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4.1. Definizione di presa in carico e di diritto soggettivo

Anna Abburrà nel Dizionario di servizio sociale1 nel tentativo di definire la presa in carico

riprende l’etimologia delle parole “prendere in carico”.

Il termine “prendere” ha in sé diversi significati: “portare con sé, interpretare”, “giungere a

una decisione, scegliere”, ma anche “subire, catturare, pervadere, occupare”.

Il termine “carico” indica “un onere, un peso, un aggravio, ma anche una forza che

sollecita, una potenza attiva (…)”.

Trasferendo questi significati nel servizio sociale, si può “(…) dedurre che prendere in

carico significa definire e programmare un processo di aiuto con e per i cittadini e la loro

comunità sociale”, processo che si traduce in un progetto condiviso con le persone

interessate, con lo scopo di promuovere la partecipazione e le potenzialità dei soggetti

coinvolti.

Nel corso di formazione sulla presa in carico della disabilità che si è tenuto nell’autunno

20082 sono stati elencati altri aggettivi, definiti come qualità specifiche della presa in

carico, che possono aiutare nella definizione di questo complesso concetto: accogliente,

accompagnante, stabile, continuativa, flessibile, creativa, professionale, informata,

informante, attivante, non sostitutiva, rispettosa, connettiva, ecc.

In questa cornice si inserisce il diritto soggettivo della persona con disabilità ad essere

preso in carico, dove per diritto soggettivo si intende il potere di agire di un soggetto a

tutela di un proprio interesse riconosciuto dall’ordinamento giuridico.

In tal senso il diritto della persona con disabilità ad essere preso in carico diventa un diritto

esigibile, che in caso di violazione prevede l’intervento dell’autorità giudiziaria affinché il

diritto venga rispettato.

4.2 Multidisciplinarietà della presa in carico: educativa, sociale e psicologica La presa in carico educativa della persona disabile, a partire da

un’osservazione/valutazione generale volta ad individuare capacità, limiti e potenzialità

individuali, investe la globalità della persona al fine di favorire un percorso di crescita del

soggetto attraverso interventi mirati, all’interno di un progetto, che portino all’acquisizione

1 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma 2 Corso di formazione “La presa in carico della disabilità” organizzato dalla Provincia di Bergamo nel settembre 2008

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di strumenti ed allo sviluppo o, ove ciò non sia possibile, al mantenimento di: autonomia

nella gestione del quotidiano, abilità cognitive, competenze comunicative e relazionali per

la gestione della vita sociale e affettiva, senso di autostima e costruzione della propria

identità personale, autonomie sociali per l'utilizzo delle risorse e delle opportunità di vita,

capacità lavorative, orientamento nella vita quotidiana, integrazione sociale.

La presa in carico sociale della persona con disabilità si esplica attraverso un percorso

metodologico che parte dall’accoglienza e dall’analisi della richiesta, da un’accurata

raccolta di dati, informazioni; per arrivare ad una valutazione della situazione e

all’enucleazione degli obiettivi dell’intervento; per poi tradursi in un progetto di intervento

e in un contratto, costantemente verificato e monitorato.

Tali azioni non si esplicano e traducono come semplici prassi, ma si inseriscono in una

pratica più ampia dell’operatore sociale che attraverso strumenti propri della professione

contribuiscono a costruire un “progetto concordato e condiviso” con l’utente e la sua

famiglia.

L’operatore deve saper creare connessioni di senso e valore rispetto agli elementi raccolti,

alla singola storia del soggetto, ai suoi vissuti, ai percorsi già sperimentati con altri servizi

e/o con cui si interfaccia, deve prima conoscere per comprendere, lavorare in un’ottica

preventiva e poi agire.

La presa in carico sociale in generale, ma nello specifico rispetto alla persona con

disabilità, presuppone un approccio globale, ponendo nel contempo un’attenzione centrata

sulla persona, sui suoi bisogni e potenzialità sia espressi che non.

La presa in carico psicologica della persona con disabilità e/o del sistema famigliare, si

sviluppa attraverso dei colloqui con la persona o il sistema che si rivolge ad un terapeuta.

Il contatto con lo psicologo è utile e auspicabile che sia fatto dall’utente, in quanto

indicativo e opportuno per costruire le ipotesi iniziali e fare una riflessione sul tipo d’invio o

modalità d’accesso al percorso psicologico. Partendo da un’iniziale valutazione della

specificità dell’altro, che porta alla definizione di un piano terapeutico condiviso con

l’utente, il terapeuta ha il compito di attivare un processo di cambiamento che sfoci nella

possibilità per l’utente di incominciare a pensare al problema e alle possibili soluzioni in

modo diverso rispetto all’inizio del percorso psicologico. Il contratto terapeutico definisce

quali aspetti trattare, tempi e modalità d’incontro. La terapia è il contesto comunicativo

entro cui è possibile costruire un dominio linguistico o discorsivo, diverso da quello in cui i

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problemi dell’utente si sono originati e dal quale invece si generino nuovi modi di

descriversi e quindi anche di essere. Lo psicologo cerca di creare connessioni tra il mondo

interno e il mondo esterno dell’individuo, mentre allo stesso tempo mantiene l’interesse

per i modelli che, nella vita dell’individuo, connettono azioni, relazioni, emozioni e

significati. Nel percorso terapeutico è quanto accade fuori, dalla stanza di terapia, la scena

dei veri eventi terapeutici, che sono poi riesaminati e rivalutati nel corso della seduta.

Questi tre diversi approcci, sociale, educativo e psicologico, presi singolarmente danno

una lettura parziale della realtà della persona con disabilità, come se il soggetto venisse

osservato da tre diversi punti di vista, da diverse angolature. E’ solo attraverso un

approccio multidisciplinare che queste tre diverse visioni si intrecciano e completano

dando un quadro più reale, pur nel rispetto delle singole specificità.

Una lettura più ampia consente di conseguenza l’individuazione di risposte più efficaci e

consente la messa in rete di risorse afferenti alle tre diverse sfere.

4.3 Presa in carico attraverso tre dimensioni: il soggetto, la famiglia e il territorio

Se riprendiamo il concetto di presa in carico vista nel paragrafo 4.1 e lo rileggiamo

attraverso tre dimensioni – il soggetto, la famiglia e il territorio – se ne ricava che prendere

in carico significa definire e programmare un processo di aiuto con e per i cittadini e la loro

comunità sociale.

Si tratta quindi di un processo che si traduce in un progetto condiviso e concordato con le

persone coinvolte e interessate, che ha come obiettivo principale quello di valorizzare e

promuovere la partecipazione e potenzialità, anche residue, dei soggetti coinvolti.

L’azione professionale svolta dal servizio sociale e di conseguenza dall’operatore,

consiste proprio nella presa in carico del singolo, della sua famiglia e del contesto in cui il

soggetto vive, attraverso un’azione che potremmo definire di “cura” nel raccogliere dati,

informazioni, nel creare connessioni di senso e valore tra i diversi aspetti e soggetti

coinvolti, in una dimensione di multidisciplinarietà.

L’operatore nell’azione di conoscenza e presa in carico, deve creare sinergie e sviluppare

capacità affinché possa entrare in relazione positiva con il sistema famigliare del soggetto

e con il contesto, la comunità che lo stesso vive .

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Tale contesto ambientale comprende sia le reti primarie (famiglia, vicini, aiutanti naturali)

che quelle secondarie (servizi, terzo settore , volontari ed associazionismo), che ai fini

della presa in carico della persona con disabilità avviano un processo relazionale e

dinamico, attraverso cui l’assistente sociale, “facilitatore” della rete complessiva, collabora

anche con i volontari delle associazioni, considerandoli alleati nella costruzione del

progetto di intervento: operatori esperti insieme a “cittadini” esperti d’altro.

Si viene così a delineare un approccio che potremmo definire “integrato” ma con azioni

mirate e specifiche . In questo modo le tre dimensioni : individuo, famiglia e comunità,

viste nella loro reciprocità, permettono sia di vedere le difficoltà /bisogni del singolo ma

anche le risorse che il soggetto, la famiglia e la comunità hanno in essere per affrontare le

criticità e cogliere le possibilità. Si tenga conto che la comunità , la famiglia devono essere

sempre più considerati come “luogo o naturale serbatoio” di risorse e potenzialità. A volte

nel processo di presa in carico, in particolare di un soggetto disabile, corriamo il rischio di

coinvolgere prima la famiglia o comunque non direttamente la “persona disabile” , primo

interlocutore, in quanto lo consideriamo in difficoltà e non sempre capace di cogliere

quanto chiediamo: è necessario quindi porre maggiore ascolto e attenzione alla persona

con disabilità superando anche i propri limiti nella relazione con la diversità.

A tal proposito si ritiene che gli strumenti propri della professione dell’assistente sociale

(colloquio, visita domiciliare, ecc.) possano essere strumenti fondamentali per dare avvio

e tenuta al processo di presa in carico o più precisamente al processo di aiuto, inteso “(…)

come la capacità di attivare, a fronte dei problemi, bisogni dell’utenza singola/associata,

percorsi di risposta articolati in cui il soggetto/i assumono un ruolo centrale e protagonista

e la relazione professionale d’aiuto costituisce il tessuto connettivo del processo stesso

nelle sue diverse fasi.”3

Le fasi metodologiche del processo di aiuto possono essere così sinteticamente indicate:

1. Individuazione del problema e presa in carico con raccolta delle informazioni

attraverso la relazione.

2. Analisi del problema e delle risorse.

3. Valutazione preliminare del problema ed enucleazione degli obiettivi

dell’intervento in rapporto ai risultati ipotizzati.

4. Elaborazione del progetto di intervento e del contratto.

3 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma

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5. Attuazione del progetto di intervento.

6. Verifica e valutazione dei risultati ottenuti (in itinere e finali).

7. Conclusione del processo di aiuto (eventuale riformulazione del progetto o

formulazione di uno nuovo).

La sequenza lineare delle fasi, nell’operatività ha uno sviluppo definibile ad “andamento

ecoloidale” , poiché il passaggio da una fase all’altra deve avvenire solo dopo aver

verificato e valutato i risultati raggiunti con le attività afferenti alla fase stessa. Si delinea

così un processo in continua evoluzione che necessita di essere curato nelle diverse fasi.

4.4 La presa in carico attraverso l’integrazione tra sociale e sanitario

Per comprendere il valore dell’integrazione degli interventi sanitari con quelli socio-

assistenziali (quella che definiamo integrazione socio sanitaria), è fondamentale partire da

un concetto condiviso di salute, inteso come stato di benessere fisico e psichico

complessivo della persona. In questa definizione viene superata la visione di “salute”

come semplicemente “non malattia” e le condizioni di salute sono strettamente connesse

alle condizioni sociali della persona.

L’integrazione socio sanitaria ha la finalità di perseguire questo concetto di salute.

Nella gamma degli interventi previsti a favore di persone con disabilità assumono

particolare importanza gli interventi socio-sanitari così definiti perché caratterizzati

dall'integrazione di risorse sanitarie e sociali.

Possiamo definire “prestazioni socio-sanitarie" tutte quelle attività atte a soddisfare,

mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono sia

prestazioni sanitarie( diagnosi terapia riabilitazione), che azioni di protezione sociale in

grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra i diversi percorsi. Le

prestazioni sociosanitarie vanno distinte in base all'intensità assistenziale di cui necessita

la persona in una determinata fase del suo progetto di vita. In particolare possiamo

individuare tre livelli di intensità assistenziali:

1. la fase intensiva, che vede un impegno riabilitativo specialistico di tipo diagnostico e

terapeutico, di elevata complessità e di durata breve e definita;

20

2. la fase estensiva, con una minore intensità terapeutica, tale comunque da richiedere

una presa in carico specifica, a fronte di un programma assistenziale di medio o

prolungato periodo;

3. la fase di lungoassistenza, tesa a mantenere la potenziale o residua autonomia

funzionale e a rallentare il suo deterioramento, nonché a favorire la partecipazione alla

vita sociale, anche attraverso percorsi educativi.

In ciascuna fase c’è un periodo, più o meno lungo, durante il quale le prestazioni di cura

hanno una valenza più o meno sanitaria: le prestazioni nelle fasi intensiva ed estensiva

sono prevalentemente di competenza sanitaria, mentre la competenza sociale è maggiore

durante la fase di lungoassistenza.

In questo percorso diventa importante la cura del processo di presa in carico integrata tra

servizi sanitari (Neuro Psichiatrie Infantili, Ospedale, ASL) e sociali (Ente Locale) della

persona con disabilità, che si connota come l’insieme delle attenzioni e degli interventi

sanitari e sociali tesa a garantire la costante e globale valutazione delle abilità della

persona, dei suoi bisogni e a individuare e predisporre le azioni che facilitano la sua

partecipazione alla vita sociale. Ciò implica la necessità di interrelazione sistematica dei

servizi e delle prestazioni di carattere sanitario sociosanitario e sociale, per arrivare a

definire un “progetto globale di presa in carico della persona con disabilità4.

La presa in carico fornisce una risposta adeguata ai bisogni socio-sanitari e socio-

assistenziali delle persone con disabilità e necessita della definizione di un Progetto

individuale, che prevede il coinvolgimento ed il supporto della persona con disabilità, della

sua famiglia e della comunità. Si tratta quindi di rimettere al centro la persona e la sua

famiglia nella prospettiva di garantire all’interno della rete integrata dei servizi sociali e

socio sanitari, interventi flessibili che le sostengano in un ruolo attivo di costruzione del

proprio percorso di vita5.

Va infine sottolineato che in tale percorso diventa importante individuare un referente che

si assume la responsabilità del progetto globale di presa in carico, e “rappresenti la

dimensione del riferimento unitario di fiducia della persona , affinchè sia tutelato il principio

dell’esigibilità dei diritti e la finalizzazione ultima dei progetti allo sviluppo integrato e

integrale della persona6.”

4 tratto da ”interventi sociosanitari”- Informa disAbile Torino-Abile-Disabile-Assistenza

5 tratto da “strumenti per garantire l’integrazione sociosanitaria”- Informa disAbile Torino-Abile-Disaile-Assistenza

6 tratto da “Progetto globale di presa in carico della persona con disabilità”- www ed.scuola.it

21

Tale referente dovrebbe essere riconosciuto e legittimato oltre che dalla persona disabile

e dalla sua famiglia, anche da tutti i servizi coinvolti sulla situazione, ma questa cosa

nell’operatività non è scontata e va perseguita.

4.4.1 Un esempio di integrazione socio-sanitaria nella presa in carico delle persone

con disabilità in condizione di non autosufficienza

La presa in carico di cittadini disabili in condizioni di non autosufficienza richiede lo

sviluppo di modalità integrate di lavoro tra servizi, operatori e tra questi e il mondo

dell’associazionismo e del volontariato, dell’area sanitaria, socio-sanitaria e sociale.

L’integrazione presuppone un governo di sistemi complessi di risorse (personale, risorse

economiche, prestazioni, ecc) che attraverso processi di programmazione debbono

trasformarsi in servizi alle persone, in condizioni di fragilità.

Nell’integrazione socio-sanitaria si attribuisce un valore fondamentale alla continuità

assistenziale, alla qualificazione dei rapporti tra soggetti pubblici e soggetti privati e del

terzo settore, alla promozione di reti locali solidali ed alla responsabilizzazione di tutti i

soggetti coinvolti.

Questo processo richiede un cambiamento che è prima culturale e poi operativo e non può

prescindere da una visione unitaria e complessa dei bisogni della persona non

autosufficiente e della sua famiglia.

Con il Prologo a carattere Provinciale, piani di zona 2009-2011, gli ambiti territoriali della

provincia di Bergamo e l’ASL, hanno assunto l’integrazione come nuova modalità

organizzativa e posto tra gli obiettivi operativi la costituzione di una porta unica d’accesso

ai servizi per il cittadino non autosufficiente , la costruzione di un piano di assistenza

individualizzato e l’integrazione tra gli interventi domiciliari (Assistenza domiciliare

integrata e Servizio assistenza domiciliare).

Questi obiettivi si sono tradotti, per l’ambito territoriale di Dal mine, nei seguenti progetti-

servizi:

� Rete PUOI ( punti unici orientamento informativo)

� PAI integrato (piano assistenziale individuale)

� CEAD (centro assistenza domiciliare)

22

Con il progetto PUOI i servizi dell’ASL, dell’Ambito territoriale, dei Comuni, i medici, le

unità d’offerta socio-sanitarie ed i patronati, accederanno ad un sistema informatico che

consentirà all’operatore, che sta interagendo con un utente, di fornirgli tutte le informazioni

relative a prestazioni e servizi di natura socio-sanitaria e socio-assistenziale, evitandogli

accessi presso altri enti al solo scopo di avere informazioni. Il sistema Puoi si presenta

quindi come un “servizio” diffuso, che assolve esclusivamente alla funzione informativa.

Rimangono invece in capo al segretariato sociale professionale le funzioni di valutazione

della richiesta, orientamento e/o accompagnamento per l’eventuale presa in carico del

soggetto da parte dei servizi, in particolare per i soggetti in condizione di fragilità sociale.

Attualmente la rete Puoi è in fase di implementazione e per ora è attiva presso alcuni

uffici-servizi dell’ASL ed i Patronati con dati aggiornati relativi all’area socio-sanitaria ed è

accessibile anche dai servizi sociali comunali.

Il piano assistenziale integrato si sostanzia in un dispositivo informatico che raccoglie in

un’unica cartella le informazioni e le prestazioni erogate dal servizio sociale comunale e

dal Cead, consentendo agli operatori dei due servizi di accedere alla visione complessiva

del piano assistenziale garantito ad uno specifico utente. Il Pai è quindi uno strumento ,

che in quanto tale, può facilitare la costruzione di un progetto assistenziale integrato, che

consideri l’intero sistema delle risorse a disposizione ed un loro efficiente utilizzo. E’

evidente che trattandosi di uno strumento, presuppone un percorso metodologico di presa

in carico ed accompagnamento di una persona con disabilità e della sua famiglia, in

un’ottica di integrazione delle competenze, oltre che delle risorse.

Attualmente è attiva presso l’ASL e verrà avviata una fase di sperimentazione con alcuni

servizi sociali comunali dell’Ambito di Dalmine.

Il Centro per l’assistenza domiciliare è un nuovo modello gestionale nell’ambito

dell’assistenza socio-sanitaria, promosso dalla Regione Lombardia con deliberazione n

VIII/010759 del 1.12.2009 ed attivato dall’ASL di Bergamo nel febbraio 2010 tramite

Delibera e protocollo d’intesa con il consiglio di rappresentanza dei Sindaci.

Nella delibera è identificato come “organismo di filtro ed orientamento dell’utenza,

caratterizzato da snellezza organizzativa, elevata accessibilità e capacità di risposta

rapida”. Ha il compito di coordinare gli interventi socio-sanitari e sociali in ambito

domiciliare e risponde alla domanda espressa da anziani e disabili in condizioni di non

autosufficienza e delle loro famiglie.

23

5. La presa in carico della persona con disabilità nel servizio sociale comunale

Gli articoli 6 e 13 della legge regionale 3/2008 attribuiscono un ruolo importante nella

presa in carico delle persone in difficoltà al Comune, attraverso il segretariato sociale

professionale ed il servizio sociale.

L’articolo 14 della Legge 328/2000 indica il servizio sociale comunale quale soggetto

deputato, su richiesta della persona disabile o della sua famiglia, alla predisposizione

formale del progetto di vita o progetto individualizzato della persona con disabilità.

Con tali premesse normative, si possono declinare tre fondamentali azioni svolte dal

servizio sociale comunale a favore della persona con disabilità:

1. l’azione di sensibilizzazione e promozione dell’inclusione della persona con

disabilità, svolta nei confronti della collettività;

2. l’attività di segretariato sociale;

3. la presa in carico e la predisposizione del progetto di vita.

5.1 L’inclusione della persona disabile attraverso l’azione di sensibilizzazione e

promozione del servizio sociale comunale verso la collettività

Il riferimento di uno specifico territorio, quello comunale, consente al servizio sociale di

essere promotore di una cultura dell’inclusione della persona con disabilità.

Il termine territorio riassume, per il servizio sociale, altri concetti quali ambiente, comunità,

contesto. Riprendendo la definizione data da Maria Rosa Guerrini l’ambiente è inteso “non

solo come natura, ambito geografico, ma come ambiente sociale, culturale, affettivo,

relazionale”. Ricollegandosi al convegno di Frascati del 1965, il servizio sociale definisce il

concetto di comunità come un “territorio circoscritto che consente l’instaurarsi di un

particolare rapporto fra area territoriale e abitanti con la creazione di legami comuni

improntati a sentimenti di solidarietà, di identificazione, a modelli culturali condivisi che

permettono di sviluppare azioni collettive”.7

E’ in questa accezione che il servizio sociale può diventare attore e promotore principale di

azioni volte a favorire un cambiamento culturale nel territorio di appartenenza della

persona con disabilità, al fine di favorirne l’inclusione.

7 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma

24

La prima azione possibile è l’organizzazione e la promozione di eventi informativi e

formativi rivolte alla cittadinanza su temi connessi all’integrazione, alla socializzazione

della persona con disabilità nella propria comunità, ma anche su argomenti relativi alla

rete dei servizi a cui è possibile accedere. Si tratta principalmente di comuni modelli di

informazione tenuti da esperti o da attori privilegiati.

Significative sono inoltre le rappresentazione teatrali o musicali aperte alla collettività che

coinvolgono persone con disabilità, che trasmettono emozioni ed una immagine lontana

dai vecchi stereotipi, in cui la persona con disabilità veniva rappresentata solo come un

soggetto in situazione di bisogno.

Un’altra possibile azione è la costruzione di percorsi di formazione e di

accompagnamento rivolti ad attori significativi del territorio (responsabili dei centri ricreativi

estivi, allenatori sportivi, catechisti, ecc.).

Tali percorsi devono essere condotti da operatori con esperienza nell’area disabili, al fine

di fornire strumenti ed un adeguato supporto a quei soggetti, che possono favorire ed

accompagnare l’accesso delle persone con disabilità in “normali” attività presenti sul

territorio: dall’iscrizione ad un corso di cucina alla partecipazione alla squadra di pallavolo.

A tale proposito un esempio interessante, da utilizzare come spunto di riflessione, può

essere il percorso formativo mirato all’inclusione dei minori con disabilità nei Centri

ricreativi estivi (CRE) parrocchiali di Dalmine, promosso dal servizio sociale comunale, con

la conduzione di un educatore professionale e di un’assistente sociale, che ha visto la

partecipazione dei responsabili dei 6 CRE presenti sul territorio (si veda il progetto

allegato).

Infine è innegabile l’azione di sensibilizzazione attuata in forma indiretta, attraverso la

presenza delle persone con disabilità nei consueti contesti di vita (dal panettiere, in

biblioteca, nel centro diurno anziani, al mercato, ecc.).

In questo caso non servono parole convincenti o supporti formativi di esperti: basta la sola

presenza fisica, la vicinanza, la relazione diretta con la persona con disabilità per

consentirne l’inclusione.

Ciò è possibile attraverso i progetti mirati di territorio (finalizzati all’inserimento socio-

occupazionale in una agenzia del territorio della persona con disabilità, con un iniziale

accompagnamento da parte dell’educatore professionale), i progetti di inserimento

lavorativo (promossi e condotti dall’ èquipe inserimenti lavorativi dell’Ambito), i progetti di

25

inserimento in agenzie del territorio (un gruppo di persone con disabilità accompagnate da

un educatore professionale in contesti quali ad esempio un centro diurno anziani con

obiettivi di socializzazione), ecc.

In questo modo la persona con disabilità diventa “visibile”, parte attiva e soggetto incluso

nella sua comunità di appartenenza.

Attraverso queste azioni il servizio sociale adempie a quanto indicato all’articolo 34 del

Codice deontologico dell’assistente sociale, ossia conoscere il territorio, la sua

soggettività, i bisogni e le risorse, la cultura e i valori, identificando le diversità e la

molteplicità come una ricchezza da salvaguardare e da difendere.

5.2 Il segretariato sociale

Il segretariato sociale viene definito da Lorenza Anfossi come “un’attività complessa tesa a

soddisfare il dovere delle istituzioni di informare i cittadini sulla consistenza e sull’efficacia

del sistema dei servizi e, contemporaneamente, il diritto del cittadino ad avere quelle

informazioni che permettono loro un accesso più lineare e consapevole delle risorse

sociali e la concreta possibilità di essere soggetti attivi nei processi partecipativi relativi al

sistema stesso.”8

Il segretariato sociale è quindi inteso come risposta ai bisogni di informazione, come

un’attività accessibile, pubblica, gratuita, riservata, flessibile e imparziale, in cui il cittadino

può ricevere risposte complete sulle risorse presenti e disponibili.

Per fare ciò è fondamentale che l’assistente sociale acceda ad informazioni complete e

costantemente aggiornate, possibile solo attraverso la costruzione di banche dati o sistemi

informatici che supportino tale funzione.

Ne è un recente esempio la Rete PUOI (punti unici orientamento informativo) promosso

dall’ASL di Bergamo in collaborazione con gli Ambiti territoriali, di cui si parla nel paragrafo

4.4.1.

Il segretariato sociale, nello specifico del servizio sociale, non è però solo fornire

informazioni ma rappresenta anche la modalità principale di accesso dell’utenza alle

prestazioni erogate; è spesso il canale attraverso cui la persona con disabilità o la sua

famiglia incontrano per la prima volta la figura dell’assistente sociale. Ed è proprio per

8 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma

26

queste sue caratteristiche che assume una forte rilevanza nella costruzione della presa in

carico.

Dal Pra Ponticelli definisce il segretariato sociale come “un tipo di rapporto con l’utenza”,

come “uno strumento di contatto iniziale” dell’assistente sociale.

Un servizio per fornire informazione o una modalità di relazione con l’utenza?

La legge 328/2000 nell’articolo 22 comma 4 sembra richiamare entrambe le definizioni: il

segretariato sociale inteso come una delle funzioni del servizio sociale professionale e il

segretariato sociale come servizio di informazioni. A conferma il Piano attuativo della

Legge 328/2000 individua quali caratteristiche del segretariato sociale l’unitarietà

d’accesso, la funzione di orientamento, il filtro, l’osservatorio e il monitoraggio dei bisogni e

delle risorse, caratteristiche che possono rientrare in entrambe le definizioni.

In tal senso l’assistente sociale, attraverso strumenti propri della professione, deve “offrire

informazioni ma nel contempo mettere a disposizione degli spazi relazionali, in cui il

soggetto apprende conoscenze nuove e viene orientato in un percorso di cambiamento”.9

E’ in questa cornice che si inserisce il concetto di “relazione d’aiuto” che Carmen Prizzon

definisce appunto come “l’insieme delle azioni professionali indirizzate ai rapporti con la

persona, il contesto di appartenenza e l’organizzazione di riferimento (…)”10; rapporti che

si fondono sul rispetto della persona, sulla centralità e unicità dell’utente, sul

riconoscimento all’altro di responsabilità e capacità di autodeterminazione. In tal senso lo

sviluppo della relazione d’aiuto professionale viene ad essere caratterizzata da

comprensione e azione, da impegno reciproco e collaborazione dei vari soggetti coinvolti.

5.3 Le fasi della presa in carico

Di seguito vengono affrontate le fasi che compongono la presa in carico di una persona da

parte dei servizi sociali, cercando di evidenziarne le peculiarità nel caso di persona con

disabilità.

Non si tratta di una scansione sempre lineare e articolata, in quanto la specificità di ogni

persona rende unico e, a volte, irrepetibile il percorso intrapreso con il singolo soggetto.

9 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma

10 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma

27

Ci sono però degli elementi che risultano fondanti per la buona riuscita della presa in

carico e che quindi si è valutato opportuno trattare in questo documento: la

formalizzazione della domanda, la raccolta delle informazioni, l’analisi del bisogno

espresso ed inespresso, la predisposizione del progetto di intervento attraverso anche la

definizione di un contratto con l’utente ed, infine, la verifica del progetto, intesa sia come

azione che accompagna ogni fase del progetto che come riflessione finale.

Questa presentazione delle fasi della presa in carico viene poi arricchito nei contenuti

attraverso una breve analisi degli strumenti professionali dell’assistente sociale .

5.3.1 La domanda formale

La persona con disabilità o la sua famiglia generalmente entrano in relazione con i servizi

sociali comunali a seguito di una domanda di intervento che presentano all’assistente

sociale (si veda domanda allegata), domanda che necessita di una formalizzazione

qualora l’intervento sia relativo ad una prestazione comunale. In questa prima fase è utile

far sottoscrivere alla famiglia l’autorizzazione ad accedere a tutte le informazioni

necessarie per effettuare una valutazione sociale ed una presa in carico reale (si veda

modulo di autorizzazione allegato). Questa autorizzazione consente, infatti, all’assistente

sociale e agli operatori del servizio sociale comunale coinvolti di prendere contatto con i

servizi specialistici che seguono la persona con disabilità e di raccogliere la

documentazione e le informazioni ritenute necessarie.

La domanda formale di accesso ad una specifica prestazione sociale non preclude,

ovviamente, l’accesso ad altri servizi o interventi che potrebbero rivelarsi utili e necessari

nel corso della presa in carico. L’assistente sociale deve infatti porre attenzione alla

domanda esplicita presentata dalla persona con disabilità e dalla sua famiglia, ma anche

rilevare ed approfondire eventuali altre necessità o bisogni presenti, ma non dichiarati o

riconosciuti dagli interessati. Sovente la richiesta della famiglia di persona con disabilità è

centrata sul benessere del proprio familiare in difficoltà, negando o non riconoscendo i

bisogni che altri membri della famiglia possono presentare. Si pensi ad alcuni genitori che

avrebbero il bisogno di ritagliarsi degli spazi come coppia ma non lo esplicitano o lo

negano per non “rubare” tempo al proprio figlio disabile; oppure al malessere inespresso di

alcuni fratelli/sorelle “schiacciati” dalla responsabilità e dal carico futuro, quando i genitori

non ci saranno più.

28

E’ quindi fondamentale che l’assistente sociale affronti la domanda formale ed esplicita,

senza però dimenticare l’eventuale domanda implicita, non espressa ma pur sempre

presente.

5.3.2 La raccolta di informazioni

L’assistente sociale, in qualità di operatore inserito all’interno di un contesto organizzativo,

potrebbe trovarsi di fronte ad una serie di prassi che sono state costruite nel tempo dal

servizio, per indirizzare la raccolta delle informazioni in relazione ad alcune variabili

significative per l’erogazione di una prestazione.

Questa fase se gestita in maniera burocratica, per adempiere ad un compito organizzativo

rischia di compromettere l’aggancio empatico con l’utente11. L’obiettivo che invece ci si

deve porre nella raccolta delle informazioni è quello di scoprire le relazioni che individuo e

ambiente hanno strutturato, evidenziando quali sono funzionali, quali disfunzionali e

rispetto a che cosa.

Si ritiene di fondamentale importanza che le prime informazioni relative all’utente vengano

raccolte dal momento in cui questi presenta la richiesta o è contattato su segnalazione.

Informazioni avute per vie diverse rischiano di compromettere o limitare le possibilità di

intervento, alimentando nell’assistente sociale pregiudizi o quanto meno un’immagine che

non deriva in prima istanza dal rapporto professionale.

Appare dunque evidente che nella raccolta delle informazioni sia importante non tanto lo

scoprire molte notizie, ma saper leggere le informazioni raccolte all’interno della relazione.

Possiamo considerare la richiesta al servizio come l’ultima mossa di un gioco relazionale

da scoprire. Il senso di questa mossa deve essere compreso cercando di conoscere chi

ne è al corrente, come mai la richiesta avviene in quel particolare momento, che cosa l’ha

prodotta, quali effetti relazionali si propone e per chi. Per raggiungere questi obiettivi può

essere utile centrare la raccolta di informazioni su delle aree significative che potranno

essere approfondite e dettagliate successivamente:

� dati anagrafici del richiedente e del suo nucleo familiare;

� gli elementi significativi relativi alla sua storia personale e al suo contesto

ambientale e sociale;

11 Annanaria Campanini, 2005, L’intervento sistemico, Carocci Faber, Roma

29

� l’inviante;

� le informazioni sul problema;

� l’analisi della richiesta;

In particolare per quanto riguarda la presa in carico di una persona con disabilità, risulta

fondamentale che l’assistente sociale acquisisca attraverso la raccolta delle informazioni

una approfondita conoscenza della situazione, attraverso tre principali fonti: la persona

con disabilità stessa, la sua famiglia e i servizi/professionisti che lo hanno in carico.

Tale conoscenza deve riguardare il bisogno espresso, l’anamnesi sociale e familiare, le

limitazioni e le potenzialità della persona con disabilità. A tal fine può essere utile nei primi

colloqui utilizzare come traccia la griglia di rilevazione predisposta dalla Provincia di

Bergamo per la mappatura della disabilità che si articola appunto in dati anagrafici,

percorso scolastico, certificazione di invalidità, tipo di menomazione e limitazione e tipi di

servizi usufruiti (si veda griglia di rilevazione allegata).

Alla fine di questa fase dovremmo avere elementi utili per formulare una prima ipotesi di

massima in base alla quale definire : “chi convocare”, “come convocare” e per “fare che

cosa”.12

5.3.3 L’analisi del bisogno, la predisposizione del progetto e la definizione del

contratto

Nell’andare ad analizzare il bisogno che la persona con disabilità porta e l’ipotesi da

formulare a suo favore, non possiamo esimerci dal considerare il suo contesto di vita ossia

l’ambiente da cui proviene e con cui è in relazione sia a livello familiare che a livello

sociale (servizi socio-sanitari pubblici e privati, associazioni sportive, piuttosto che del

tempo libero, reti di solidarietà, gruppi di volontariato e di self-help).

La situazione perciò va analizzata a partire dalle informazioni raccolte non solo ponendo

attenzione all’utente e al suo “problema”, ma anche alle relazioni che l’utente stesso sta

sperimentando all’interno dei suddetti sistemi.

Le aree da esplorare possono riguardare:

� i dati che porta il richiedente (domanda esplicita, domanda implicita);

12 Annamaria Campanili e Francesco Luppi, 1990, Servizio sociale e modello sistemico, La Nuova Italia Scientifica, Roma

30

� l’inviante dell’utente o il segnalante la situazione al servizio;

� i dati del nucleo familiare e le caratteristiche del contesto sociale;

� la natura del problema, quando è sorto e cosa ha attivato la richiesta;

� i tentativi di soluzione al problema e da parte di chi;

� i sistemi significativi coinvolti nel “problema”e /o attivabili come risorse;

� le aspettative presenti nei confronti dell’Ente e dell’assistente sociale.

La raccolta di informazioni fatta all’inizio, ha poi una sua dinamicità nel processo di presa

in carico, perché va aggiornata e integrata man mano, per consentire all’assistente sociale

di verificare la sua valutazione e ricalibrare il suo intervento.

L’analisi della situazione in un’ottica relazionale, dovrà collegare le informazioni raccolte in

maniera circolare, evidenziando le reciproche influenze tra i sistemi coinvolti nel

“problema”, così da favorirne la comprensione e individuare possibili strategie di intervento

finalizzate a modificarla o migliorarla.

Questa stessa valutazione vedrà coinvolti tutti i servizi implicati con l’utente, così da

diventare una “valutazione integrata del problema”, che individua nella stesura del

progetto di intervento “chi fa che cosa” e “in quali tempi” e facilita il processo della presa in

carico specificando quale sia l’operatore e il servizio che costituisce il punto di riferimento.

Il coordinamento integrato degli interventi consentirà all’operatore di ciascun servizio di

avere una valenza di complementarietà nei confronti di tutti gli altri.

Nel processo di aiuto, l’intervento potrebbe avere un carattere informativo, assistenziale,

consulenziale, di controllo o valutativo e nel progetto bisognerà tenerne conto.

Nell’utilizzo degli strumenti professionali (colloquio, documentazione, riunioni, ecc.) e

nell’erogazione di prestazioni concrete e di servizi a disposizione (assistenza domiciliare,

educativa, sussidi, ecc.), non va dimenticato che tutto ciò è a supporto degli obiettivi di

miglioramento o di cambiamento perseguiti nel progetto e non è il fine dell’intervento.13

Uno strumento importante nel processo di aiuto per definire con attenzione gli impegni

reciproci tra l’utente e l’assistente sociale è il “contratto”.

Va ricordato che l’intento dell’assistente sociale, nel suo operato, è quello dell’autonomia

dell’utente e la formalizzazione di un “contratto” riconosce la possibilità che si lavori

13 Annamaria Campanili e Francesco Luppi, 1990, Servizio sociale e modello sistemico, La Nuova Italia Scientifica, Roma

31

insieme, per aiutare la persona e il suo “sistema” a trovare le sue soluzioni,

incentivandone la creatività e le potenzialità.

Nel “contratto” vengono stabiliti, come detto, gli impegni reciproci tra utente e servizi, che

riguardano da un lato, gli aspetti pratici: dal numero degli incontri, al rispetto degli orari,

agli accordi sugli eventuali progetti, ad un riferimento preciso alle persone che si prendono

in carico la situazione; dall’altro viene individuato un luogo in cui poter parlare delle

relazioni, quelle dell’utente con il proprio sistema di riferimento e quelle con il servizio.

Il momento del contratto pone attenzione all’interazione assistente sociale-utente e

all’importanza di una definizione chiara di questa relazione, insieme all’elemento tempo

che rimanda al messaggio che si prevede un’autonomizzazione del “sistema”.

Tale contratto andrà poi monitorato e modificato nel tempo in base all’andamento della

situazione.14

5.3.4 La verifica del progetto di intervento

La valutazione nel processo di aiuto15 è una fase di fondamentale importanza e consiste in

un processo continuo di correlazione di informazioni, necessario per un’adeguata

conoscenza e comprensione della situazione delle persone coinvolte.

Valutare implica l’assunzione di un punto di vista progettuale: progettazione, intervento e

valutazione costituiscono infatti percorsi integrati tra loro.

La valutazione nel processo di aiuto consiste nell’attribuire senso e significato ai risultati

ottenuti. Per questo è importante che l’assistente sociale si ponga nell’atteggiamento di

recezione attiva di tutti i feed-back che i vari sistemi inviano rispetto agli interventi attuati.

La valutazione ha inizio prima dell’intervento, quando a partire dalle informazioni raccolte

si formulano ipotesi sulla situazione.

L’azione valutativa continua poi durante l’attuazione del progetto operativo, attraverso il

monitoraggio necessario per verificare l’andamento del progetto e il raggiungimento degli

obiettivi definiti precedentemente. Si conclude al termine del progetto d’intervento con la

valutazione degli interventi e dei risultati raggiunti.

14 Annamaria Campanili e Francesco Luppi, 1990, Servizio sociale e modello sistemico, La Nuova Italia Scientifica, Roma 15 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma

32

Il risultato del processo di valutazione può essere una riprogettazione dell’intervento e una

conseguente rinegoziazione del contratto o invece la conclusione dell’azione.

La valutazione nel processo di aiuto, se realizzata con continuità contribuisce al

miglioramento della qualità degli interventi a beneficio di una maggiore soddisfazione degli

utenti. Costituisce inoltre un efficace strumento di rivalutazione del proprio ruolo

professionale, favorendo nell’operatore una verifica sistematica delle proprie azioni.

5.3.5 Gli strumenti professionali dell’assistente sociale

Fondamentale nel lavoro dell’assistente sociale l’utilizzo di un’opportuna

documentazione16 che nel servizio sociale può essere definita come l’insieme dei

documenti prodotti e l’attività stessa necessaria alla redazione:

� La cartella sociale è il luogo di raccolta di tutti i documenti che testimoniano l’attività dell’assistente sociale e che ne definiscono i presupposti metodologici. Al suo interno si possono trovare: il diario del caso, la registrazione di colloqui e di visite domiciliari, le relazioni scritte prodotte nel corso del processo, i verbali del lavoro con altri operatori e delle decisioni di équipe, i certificati e le relazioni prodotti dagli altri servizi che seguono lo stesso caso con particolare riferimento alle certificazioni mediche e della commissione di invalidità.

� Il diario del caso è caratterizzato dalla possibilità di una consultazione veloce, che permette la visualizzazione degli eventi relativi a d un dato periodo di tempo. La tecnica più adatta alla redazione del diario risulta quindi essere quella descrittiva e sintetica tipica della cronaca.

� La registrazione è costituita dalla trascrizione, la più fedele possibile, degli scambi comunicativi e relazionali avvenuti all’interno del colloquio e/o visita domiciliare.

� La relazione scritta viene considerata la documentazione per eccellenza, essa è un testo argomentativo finalizzato ad un obiettivo, spesso una presa di decisione. La produzione di una relazione implica un’approfondita riflessione sull’intera vicenda. Prioritario è definire lo scopo e la finalità della relazione per individuare la prospettiva attraverso cui procedere alla selezione delle informazione e all’articolazione del percorso da illustrare.

� Il report come la relazione scritta è un testo argomentativo che si focalizza su un’attività del singolo operatore e/o del servizio in relazione a specifici obiettivi, prevalentemente di gestione e programmazione.

Altri due strumenti importanti per l’assistente sociale sono il colloquio e la visita

domiciliare.

16 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007,Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma

33

Il colloquio viene definito da A.M. Campanini17 come una interazione non occasionale

che avviene all’interno di un contesto che ha degli obiettivi ed è diretta dall’operatore, è

caratterizzato da una serie di tappe che ne definiscono la struttura formale: la

preparazione, lo svolgimento, - a sua volta articolato in fase iniziale, corpo centrale,

conclusione - e la documentazione. Il colloquio richiede capacità di ascolto, all’interno di

un processo di comunicazione, come elemento fondamentale nella costruzione della

propria identità e della relazione con l’altro. E’ perciò necessario attivare un processo

complesso che richiede intenzionalità e disponibilità, conoscenza di sé e della propria

visione del mondo, capacità di riconoscesi reciprocamente in una relazione senza

confondersi né sovrapporsi, per realizzare un intensità e una qualità di ascolto, funzionali a

una conduzione efficace del colloquio.

L’assistente sociale si può trovare nelle diverse fasi del processo di aiuto a ricorrere alla

visita domiciliare come strumento per rispondere a diversi obiettivi:

� raccogliere informazioni che rendano più completa l’analisi della situazione in vista della costruzione di un progetto di intervento. In questo modo si ha la possibilità di conoscere direttamente l’ambiente di vita del soggetto ed osservare le interazioni tra i membri famigliari nella loro dimensione quotidiana;

� svolgere una funzione di controllo rispetto a quelle situazioni in cui la relazione è contrassegnata da un mandato dell’autorità giudiziaria.

In entrambi i casi bisogna essere consapevoli che il domicilio dell’utente, a differenza

dell’ufficio, presenta maggiori difficoltà e dei rischi di confusione, in quanto ci si trova in un

contesto in cui l’utente accoglie, e può disporre la scena.

É fondamentale pertanto la chiarire all’utente qual’è il motivo, quando, ed eventualmente,

con chi si farà la visita domiciliare, al fine di fugare gli inevitabili timori che la presenza del

servizio nella propria casa può attivare nel soggetto. In questo modo sarà possibile

riportare la visita alla sua funzione di vicinanza e conoscenza di elementi utili alla

costruzione di storie personali e familiari che diano contenuto e significato al percorso di

aiuto.

6. Altri soggetti titolari della presa in carico della persona con disabilità

Come già descritto nel paragrafo 4.2, la presa in carico della disabilità non può che essere

multidisciplinare e presupporre un approccio globale alla persona. Questi assunti fondanti

17 Annanaria Campanini, 2005, L’intervento sistemico, Carocci Faber, Roma

34

permettono di allargare lo sguardo dall'individuo al contesto in cui vive, alla rete di relazioni

con i soggetti che contribuiscono a co-costruire la presa in carico.

Si è scelto qui di proporre due soggetti in particolare: la scuola e la Neuropsichiatria

Infantile, come fondamentali nella costruzione della presa in carico del disabile; spesso

sono anche tra i primi soggetti con cui il disabile e la sua famiglia si interfacciano, i primi

che ne raccolgono bisogni e progetti. Il lavoro di questi soggetti si svolge in parallelo a

quello del servizio sociale e con esso deve necessariamente connettersi, in un'ottica di

complessità.

Nei due paragrafi successivi si propone per ognuno dei due soggetti, scuola e

Neuropsichiatria Infantile, una sintesi e un chiarimento delle competenze di entrambi.

6.1 La scuola

La scuola ha un ruolo rilevante che si prolunga per parecchi anni nella vita del disabile

quale soggetto cui va garantito il “diritto all’istruzione” sancito nell’art. 34 della costituzione

che dichiara “La scuola è aperta a tutti” . Tale diritto coniugato con le dichiarazione

dell’art. 3 che al primo comma recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono

uguali dinanzi alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di

opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» e il secondo comma dello stesso art. 3

che recita: «E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e

sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno

sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori

all’organizzazione politica, economica e sociale del paese» sono state e sono tuttora le

norme che hanno guidato ogni altro intervento legislativo per l’integrazione scolastica dei

disabili.

E’ a partire dalla Legge118/1971 che si introduce il principio dell’integrazione degli alunni

disabili nelle classi comuni, su richiesta delle famiglie, dove i disabili non sono più obbligati

alla frequenza nelle classi speciali. Con la legge 517/1977 l’integrazione scolastica viene

sostanzialmente realizzata con l’istituzione della figura dell’insegnante di sostegno, quale

docente con una specifica formazione sul tema della disabilità e con l’attribuzione al

consiglio di classe della costruzione del progetto di integrazione.

La legge 517/1977 è stata seguita da vari altri interventi legislativi, che hanno

ulteriormente definito i principi dell’integrazione di tutti i disabili nella scuola comune. Con

35

la Legge 104/1992, “Legge quadro”, si unificano, sintetizzano e descrivono i ruoli di ogni

istituzione ed ente coinvolti a vario titolo e con diverse competenze per garantire al

disabile l’integrazione, non solo scolastica ma anche quella sociale.

In questa legge viene ribadito che la scuola deve prendersi cura del disabile con percorsi

personalizzati che diano risposte specifiche ai bisogni espressi da ogni alunno. E’ da

questa legge e dal successivo “Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle

unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap” che la scuola, partendo dalla

Diagnosi Funzionale redatta dai servizi sanitari, redige con gli stessi servizi e la famiglia il

Profilo Dinamico Funzionale e il Piano Educativo Individualizzato, che indica finalità ed

obiettivi del progetto di istruzione ed educazione del disabile.

La scuola ha perciò il compito essenziale di promuovere, attraverso l’istruzione,

l’integrazione del disabile nel gruppo classe e nell’intero contesto scolastico. Infatti il

compito di integrazione non è del solo consiglio di classe, ma di tutta l’istituzione

scolastica che viene coinvolta nel garantire per ognuno e per tutti le migliori opportunità

possibili.

Per fare questo si avvale di alcuni strumenti e risorse interne alla scuola:

- l’insegnante di sostegno assegnato alla classe che accoglie alunni disabili;

- gli organi collegiali (collegio docenti e consiglio d’istituto in primis) che deliberano il

Piano dell’Offerta Formativa (POF) e quindi definiscono gli interventi e i progetti da

realizzare per dare risposte precise ad esigenze educative individuali che

promuovano l’integrazione dei disabili;

- il dirigente scolastico che cura la realizzazione delle diverse azioni previste nel POF

anche attraverso la collaborazione di docenti con incarichi di funzione strumentale e

la riflessione e progettazione del Gruppo di Lavoro H d’istituto;

- la collaborazione con i servizi sanitari, con l’ente locale e con le famiglie.

Alla scuola l’alunno accede:

• con la semplice iscrizione se si tratta di scuola dell’infanzia che nella nostra

legislazione non è ancora scuola dell’obbligo;

• con iscrizione obbligatoria per il primo ciclo dell’istruzione che va dai 6 ai 14 anni,

• con iscrizione obbligatoria fino ai 16 anni per rispetto dell’obbligo di istruzione che

dura 10 anni;

36

• con richiesta di iscrizione nel secondo ciclo di istruzione fino ai 21 anni.

L’alunno ha diritto a:

� l’insegnante specializzato se la famiglia presenta il verbale redatto dall’ASL che

accerta la situazione di handicap ai sensi del Decreto del Presidente del Consiglio

dei Ministri n.185/2006; verbale che va consegnato all’atto dell’iscrizione e che la

scuola invia all’Ufficio scolastico per l’assegnazione dell’organico di sostegno;

� l’assistenza educativa se richiesta dal servizio sanitario all’ente locale e/o alla

Provincia;

� l’inserimento in una classe con non più di 20 alunni;

� la stesura di un Piano Educativo Individualizzato da parte del Consiglio di Classe

che valorizzi le sue potenzialità e rimuova gli ostacoli ad una piena e completa

integrazione;

� il coinvolgimento e la piena partecipazione della famiglia alla progettazione delle

strategie e delle modalità di integrazione, oltre che alla partecipazione delle stesure

del Profilo Dinamico Funzionale e del Piano Educativo Individualizzato;

� una valutazione che sia espressa sulla base degli obiettivi indicati nel Piano

Educativo Individualizzato;

� la raccolta ordinata e puntuale di tutta la documentazione scolastica e non

scolastica che la scuola deve raccogliere nel Fascicolo Personale dell’alunno.

La scuola occupa una parte importante della vita dell’alunno disabile, quella per altro

cui tutti accedono. Ha quindi anche la responsabilità, nel caso in cui ci fosse una non

presa in carico di situazione di disabilità da parte di enti e/o istituzioni a ciò deputate, di

promuovere incontri e riunire intorno a un tavolo tutti gli interlocutori essenziali alla

riflessione e impostazione del progetto di vita del disabile.

6.2 La Neuropsichiatria Infantile

Le Unità di Neuropsichiatria Infantile sono servizi di appartenenza ospedaliera e nello

specifico nella provincia di Bergamo: all’Azienda Ospedaliera di Bergamo, di Treviglio e

di Seriate. Queste Unità operative sono collocate in poli territoriali. L’ UONPIA dell’azienda

Ospedaliera di Bergamo accanto al polo territoriale consta anche di un polo posto

all’interno della sede ospedaliera.

37

A chi si rivolge

• Età evolutiva da 0 a 18 anni

• Genitori

• Agenzie educative e sociali

• Pediatri e medici

Di cosa si occupa

� neurologia e psichiatria dell’età evolutiva;

� disturbi neurologici (epilessia, cefalea, malattie acute e croniche del sistema

nervoso; neurologia dello sviluppo della prima infanzia; disturbi psichici di origine

organica);

� disturbi psichiatrici (problemi relazionali e comportamentali, autismo, disturbi

psicosomatici, del sonno, della condotta alimentare);

� disturbi del linguaggio (ritardo e difficoltà di espressione e comprensione; disturbi di

articolazione);

� disturbi dell’apprendimento (ritardo intellettivo; grave difficoltà scolastica; disturbi

specifici della lettura, scrittura e calcolo; disturbo dell’attenzione).

Area di intervento prevalente

• neurologia infantile (consulenze e gestione clinica dei pazienti ricoverati, in

collaborazione con le varie U.O. dell’Ospedale; diagnosi e terapia in regime

ambulatoriale; ricovero in day hospital per il polo ospedaliero);

• epilettologia infantile;

• neurologia dello sviluppo (follow-up neonati a rischio neurologico, disturbi neurologici e

dello sviluppo psicomotorio, anormalità dell’accrescimento e conformazione del cranio);

• cefalea dell’età evolutiva;

• neurologia pediatrica;

• psichiatrica infantile;

• neuropsicologia;

• riabilitazione (valutazioni diagnostiche in équipe multidisciplinare, controlli clinici e

presa in carico terapeutica; sostegno psicologico alle famiglie per specifiche patologie;

diagnosi neuropsicologica di 2° livello per disturbi dell’apprendimento e neurocognitivi;

trattamenti riabilitativi individuali e di gruppo neuromotorio, logopedico e psicomotorio

38

con vari indirizzi; valutazione e sviluppo di sussidi informatici per le aree delle disabilità

linguistica, cognitiva e motoria; collaborazione stabile con la scuola e le agenzie sociali;

segretariato sociale per i minori in carico; consulenza neurofisiatrica ed assistenza

ausili.

Modalità di accesso all’U.O.NPI

• visite solo su appuntamento e non è necessaria l’impegnativa medica

• le richieste di prima visita e presa in carico vengono effettuate direttamente dai genitori,

telefonicamente o di persona, presso la segreteria.

7. Altri soggetti coinvolti nella presa in carico

Numerosi sono i soggetti, di natura pubblica o privata, che a diverso titolo possono essere

coinvolti nella presa in carico della persona con disabilità. Si pensi solo al panorama dei

servizi per disabili regolamentati dalla Regione Lombardia:

� Centri Diurni integrati per persone Disabili (CDD) – “(…) è la struttura

semiresidenziale socio sanitaria destinata all’accoglienza di disabili gravi. (…)In

coerenza con le caratteristiche della classe vengono garantite agli ospiti: attività

socio sanitarie ad elevato grado di integrazione, attività di riabilitazione, attività

socioriabilitazione, attività educative“18

� Centri Socio Educativi (CSE) – “(…) Servizio diurno, pubblico o privato, per disabili

la cui fragilità non sia compresa tra quelle riconducibili al sistema socio sanitario.

Gli interventi socio-educativi o socio animativi, sono finalizzati: alla autonomia

personale, alla socializzazione, al mantenimento del livello culturale, propedeutici

all’inserimento nel mercato del lavoro.”19

� Servizi di formazione all’autonomia (SFA) – “(…) è un servizio sociale territoriale

rivolto a persone disabili che, per le loro caratteristiche, non necessitano di servizi

ad alta protezione, ma di interventi a supporto e sviluppo di abilità utili a creare

consapevolezza, autodeterminazione, autostima e maggiori autonomie spendibili

per il proprio futuro, nell’ambito del contesto familiare, sociale, professionale. E’

18 Delibera Giunta della Regione Lombardia n. 18334 del 23 luglio 2004

19 Delibera Giunta della Regione Lombardia n. 7/20763 del 16 febbraio 2005

39

caratterizzato dall’offerta di percorsi socio educativi e socio formativi

individualizzati, ben determinati temporalmente e condivisi con la famiglia.”20

� Comunità Socio Sanitaria (CSS) – “(…) è la Comunità alloggio socio assistenziale

autorizzata al funzionamento che, essendo disponibile anche all’accoglienza di

persone adulte con grave disabilità privi di sostegno familiare ed essendo stata

scelta dall’utente come sua dimora abituale, sia accreditata al sistema socio

sanitario regionale”21

� Residenze Sanitario Assistenziale per persone con disabilità (RSD) – “(…) tra le

tipologie della classe residenze sanitarie assistenziali, è quella specificatamente

destinata all’area della disabilità grave. In esse, in coerenza alle caratteristiche

della classe, vengono pertanto garantite agli ospiti: prestazioni ad elevato grado di

integrazione sanitaria, riabilitazione di mantenimento, residenzialità anche

permanente, programmi individualizzati, coinvolgimento delle famiglie “22

� Comunità di accoglienza residenziale – “(…) Struttura residenziale di accoglienza,

pubblica o privata, per disabili la cui fragilità non sia compresa tra le fragilità

riconducibili al sistema socio sanitario. Gli interventi educativi e sociali sono

assicurati in forma continuativa.”23

A queste si aggiungano poi i servizi, riconosciuti a livello regionale, non specifici per

disabili ma comunque accessibili anche ad essi: i servizi afferenti all’area anziani

(Residenze sanitarie assistenziali per anziani, Centri diurni Integrati, Centri per

l’assistenza domiciliare, ecc.) o all’area minori (Consultori familiari, Asili nido, Spazi gioco,

Comunità alloggio per minori, ecc.).

Per motivi di spazio e di tempo ci siamo soffermati su due di questi servizi: il Consultorio

familiare e il Centro per l’assistenza domiciliare, rinviando ai riferimenti normativi indicati

nelle note per un approfondimento delle unità di offerta per disabili.

20 Delibera Giunta della Regione Lombardia n. 7433 del 13 giugno 2008

21 Delibera Giunta della Regione Lombardia n. 18333 del 23 luglio 2004

22 Delibera Giunta della Regione Lombardia n. 7/12620 del 7 aprile 2003

40

7.1 Il Consultorio familiare per disabili dell’ASL di Bergamo

Il consultorio familiare per la disabilità è un progetto sperimentale frutto della

collaborazione tra gli operatori del servizio disabili dell’ASL e le associazioni della

provincia di Bergamo .

L’attività viene erogata nella sede del Consultorio familiare ASL di Borgo Palazzo ed è al

momento garantito da tre figure professionali:

� educatrice a part-time

� psicologa a part-time

� psichiatra per 5 ore al mese.

L’idea che il progetto coltiva è che a breve siano i consultori familiari dell’ASL ad

occuparsi dei bisogni di relazione, affettivi e sessuali della persona con disabilità, nonché

dell’accompagnamento e sostegno dei care-giver, riservando al consultorio per la

disabilità una funzione esclusivamente specialistica.

Attualmente il consultorio per la disabilità è in grado di offrire le seguenti prestazioni:

� consulenza alle associazioni del territorio relativamente alle situazioni da loro

seguite

� interventi formativi specifici (sessualità ed affettività) rivolti agli educatori dei Centri

diurni disabili;

� consulenza ai genitori delle persone con disabilità;

� certificazioni psicologiche per la valutazione dell’invalidità.

Il consultorio ha al momento assunto anche alcune funzioni dell’Ambulatorio handicap,

pertanto lo psichiatra effettua anche valutazioni per le situazioni che necessitano di

interventi farmacologici per la salute mentale, competenza specialistica che dovrebbe

trovare collocazione nella struttura ospedaliera.

Si accede al consultorio per la disabilità previo appuntamento telefonico; è preferibile che

l’invio venga effettuato dagli operatori che conoscono e si prendono già cura della

situazione (servizi sociali comunali, operatori dei Centri diurni disabili o di altri servizi per

disabili, ecc.).

23 Delibera Giunta della Regione Lombardia n. 7/20763 del 16 febbraio 2005

41

7.2 Il Centro per l’assistenza domiciliare (CEAD)

Il Centro per l’assistenza domiciliare è un nuovo modello gestionale nell’ambito

dell’assistenza socio-sanitaria con il compito di coordinare gli interventi socio-sanitari e

sociali in ambito domiciliare a favore di anziani e disabili in condizioni di non

autosufficienza e delle loro famiglie.

Il Cead viene definito quale “organismo di filtro ed orientamento dell’utenza, caratterizzato

da snellezza organizzativa, elevata accessibilità e capacità di risposta rapida”, le cui

funzioni sono:

•••• informazione sulle prestazioni erogabili dal sistema di assistenza e cura

domiciliare, sulle modalità e i relativi tempi di accesso con la consegna dei modelli

per l’attivazione;

•••• orientamento dell’utente e della sua famiglia nella scelta del servizio più appropriato

a rispondere al bisogno evidenziato ed accompagnamento nei percorsi di accesso

alla rete dei vari servizi disponibili;

•••• supporto alla persona ed alla sua famiglia e\o care-giver nella definizione del piano

di assistenza integrato (costituito dall’insieme di più interventi sociosanitari e/o

sociali definiti dai soggetti erogatori) più adeguato nel dare risposte ai bisogni

evidenziati;

•••• sostegno e punto di riferimento per la persona in situazione di bisogno e per la sua

famiglia nel realizzarsi del percorso assistenziale, assumendo un ruolo di raccordo

e mediazione tra la stessa ed i diversi enti e\o servizi chiamati ad intervenire;

•••• regolazione e coordinamento dell’erogazione dei servizi domiciliari.

Per la sua attività e per la gestione delle situazioni il Cead si raccorda con i servizi del

distretto socio sanitario (ADI, Ufficio protesi, Ufficio invalidi) e dei dipartimenti ASL e con i

servizi socio assistenziali dei comuni e dell’ambito

•••• per i casi valutati come “semplici” (SAD, ADI, Telesoccorso, ecc.) gli operatori

del Cead inviano l’eventuale domanda al servizio per la presa in carico;

42

•••• per i casi valutati come “complessi”: il Coordinatore sociosanitario attiva l’équipe

CeAD per l’avvio dei successivi percorsi necessari alla definizione del PAI (piano

assistenziale individualizzato).

Successivamente all’avvio del percorso assistenziale adeguato il CeAD continua con la

funzione di sostegno e punto di riferimento per tutte le persone e le famiglie per cui si è

attivato.

Casi

semplici

Comune: SAD, pasti caldi, sollievo

Distretto ASL: ADI, ausili, invalidità civile

Ambito: voucher, buoni, sollievo

CDI

RSA

Casi

complessi

CEAD

Comune: SAD, pasti caldi,

sollievo

Distretto ASL: ADI,

ausili, invalidità civile

Ambito: vaucher, buoni,

sollievo

CDI

RSA

43

Sul territorio del distretto di Dalmine il Cead ha sede presso il distretto di Dalmine, in Viale

Betelli 2; è aperto al pubblico il lunedì, martedì e venerdì dalle 9,00 alle12,30; il

mercoledì e giovedì dalle 14,00 alle16,00 . L’equipe è composta da un’infermiera, una

fisioterapista, il medico di distretto, la coordinatrice infermieristica ed un’assistente sociale

dipendente dell’ambito; è coordinata dal coordinatore socio-sanitario in collaborazione con

il responsabile dell’ufficio di piano.

44

Appendice: I principali modelli teorici del servizio sociale

Per “modello” si intende uno schema che serve a percepire in modo più semplice un

fenomeno complesso, o ad organizzare dati slegati apparentemente lontani.

Di seguito si riportano, in forma sintetica, i contributi che riassumono le impostazioni dei

tre principali modelli adottati dalle varie scuole di servizio sociale in Italia24.

1 Modello problem solving

Il modello problem solving si articola in diverse proposte teorico operative che hanno dato

origine a vari modelli. In ognuno di questi modelli l’intervento del servizio sociale ha

l’obiettivo di sostenere la persona nel cammino di apprendimento, di costruzione di schemi

cognitivi più adeguati, di elaborazione di progetti di vita più realistici e potenziamento delle

proprie capacità di affrontare i problemi.

Il caposaldo di questo filone di modelli orientati al problem solving è costituito dal libro

della Perlman25, nel quale l'autrice articola il processo di aiuto nelle seguenti fasi:

1. accertare i fatti del problema, definendo i contorni della situazione problematica

2. chiarirli alla luce di assunti teorici

3. prendere le decisioni utili per realizzare obiettivi condivisi

4. attuare il piano (in questa fase l'assistente sociale deve promuovere e sostenere

l'autonomia dell'utente)

5. valutare i risultati per rafforzare l'autostima dell'utente.

Nonostante in Italia non si sia approfondito il dibattito intorno a questo modello, alcuni suoi

concetti fondamentali sono penetrati nella cultura di base degli assistenti sociali, come per

esempio: il concetto di persona come solutore di problemi, l'empowerment, l'importanza

dell'apprendimento di competenze, l'impostazione di un processo di aiuto che punti sia

sull'aspetto cognitivo che motivazionale e comportamentale.

24 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma

25 Helen Harris Perlman , 1962, Il casework, Onarmo, Roma

45

2. Modello sistemico relazionale

Il modello sistemico relazionale26 si sviluppa a partire dalla riflessione sulla teoria

generale dei sistemi e dalla sua applicazione nel campo della terapia familiare. L'utilizzo di

questo metodo richiama l'importanza di un processo di aiuto basato su fasi metodologiche

ben definite in cui ci sia spazio per la riflessione, al di là delle pressioni operative e delle

urgenze quotidiane.

Rispetto al processo di aiuto, l'accoglimento della domanda dovrà consentire una prima

raccolta di informazioni utili a comprendere se la stessa è di pertinenza del servizio o se

deve essere fatto un invio.

Qualora si decidesse la presa in carico, la situazione dovrà essere ulteriormente

analizzata con particolare attenzione al contesto di vita dell'utente, nella convinzione che

le singole informazioni non possono essere adeguatamente comprese se non vengono

contestualizzate.

Le informazioni raccolte andranno poi rilette in modo da rompere gli schemi interpretativi

proposti dall'utente e che si sono rivelati inefficaci.

Per comprendere le dinamiche familiari in questo modello vengono impiegati i concetti di

"ciclo di vita", "struttura della famiglia" e "gioco relazionale", mentre tra gli strumenti,

ricordiamo il genogramma e l'ecomappa, strumenti che permettono di considerare la

famiglia come un sistema basato su di un insieme di relazioni ipotizzandone così il

funzionamento.

Successivamente alla formulazione di un'ipotesi di funzionamento del sistema-famiglia,

l'assistente sociale e l'utente concorderanno un contratto, chiarendo i ruoli e i compiti da

svolgere in vista degli obiettivi di cambiamento decisi.

Infine, nel monitoraggio in itinere e nella valutazione finale saranno utilizzati i concetti di

azione/retroazione, interazione tra sistemi, ristrutturazione del sistema, nel tentativo di

cogliere le connessioni tra gli esiti del processo di aiuto e le interazioni tra i soggetti

coinvolti.

26 Annanaria Campanini, 2005, L’intervento sistemico, Carocci Faber, Roma

46

3 Modello unitario centrato sul compito

L'approccio unitario centrato sul compito27 si colloca all'interno dei modelli olistici, che

considerano i problemi individuali all'interno di un'ottica collettiva. In questo modello il

professionista ha un ruolo di mediazione attiva tra bisogni e domanda sociale da un lato e

risorse disponibili o attivabili dall'altro.

Qui l'intervento professionale è orientato sia alle persone che all'organizzazione e al

territorio. I problemi dei singoli vengono ricondotti alla loro dimensione sociale e sono

stimolo per interventi finalizzati al contesto ambientale.

Per l'assistente sociale, essere centrati sul compito significa individuare interventi fattibili

che possano creare trasformazioni concrete, progettando l'intervento in modo da

individuare priorità e definire incarichi. In questo caso la relazione di aiuto deve essere di

tipo promozionale, cioè deve saper riconoscere e incoraggiare le capacità dell'utente di far

fronte ai piccoli compiti individuati in vista degli obiettivi concordati.

L'intervento deve inoltre prevedere chiaramente l'arco di tempo entro il quale svilupparsi,

per evitare la cronicizzazione della relazione. A questo approccio individuale, l'assistente

sociale deve affiancare un lavoro di rete finalizzato a migliorare l'ambiente in cui sono

inseriti i soggetti e a creare sinergie con gli altri attori del territorio.

27 Maria Dal Pra Ponticelli (diretto da), 2007, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma

47

Ringraziamenti A conclusione di questo lavoro sono doverosi i ringraziamenti a coloro che hanno

concretamente realizzato o contribuito alla realizzazione del presente elaborato.

Si ringraziano innanzitutto gli enti di appartenenza che hanno consentito la partecipazione

al gruppo di lavoro dei loro operatori:

� i Comuni di Dalmine, Azzano San Paolo, Boltiere e Stezzano;

� la Provincia di Bergamo;

� l’Azienda Ospedaliera di Bergamo;

� l’ASL della provincia di Bergamo;

� la Cooperativa sociale La Solidarietà di Dalmine.

Si ringraziano gli stessi operatori del gruppo di lavoro che, pur nella diversità di

appartenenza e di professione, hanno saputo collaborare fattivamente nel rispetto

reciproco:

� Albergoni Daniela, responsabile dell’area disabili dell’Ambito di Dalmine; assistente sociale e responsabile dei servizi sociali del Comune di Dalmine;

� Baccara Giulia, assistente sociale del Comune di Boltiere;

� Carrara Paola, assistente sociale della Neuropsichiatria Infantile di Bergamo;

� Colpani Simona, pedagogista e consulente della Provincia di Bergamo;

� Gamba Mariagrazia, educatore professionale e responsabile dell’ufficio assistenza alla persona della Cooperativa sociale La Solidarietà di Dalmine;

� Ghezzi Giulia, sostituta assistente sociale del Comune di Stezzano;

� Daleffe Giuseppina, assistente sociale del Comune di Stezzano;

� Malanchini Fabrizia, assistente sociale e coordinatore socio-sanitario del distretto di Dalmine;

� Zanchi Simonetta, assistente sociale e responsabile dei servizi sociali del Comune di Azzano San Paolo;

Si ringraziano inoltre gli operatori che sono stati invitati dal gruppo a fornire un loro

contributo su uno specifico tema, mettendo in condivisione il proprio sapere e

consentendo al gruppo di ampliare le proprie conoscenza e punti di vista:

o Cinzia Carminati, psicologa e consulente del Servizio Territoriale Disabili di

Dalmine, per la parte sulla presa in carico psicologica;

48

o Rita Rovaris, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo di Verdellino, per la

presentazione della scuola, quale ente coinvolto nella presa in carico della persona

con disabilità;

o Monica Cella, coordinatrice educativa del Servizio territoriale disabili del Comune di

Dalmine, per la condivisione del progetto di formazione mirato all’inclusione dei

minori disabili nei CRE parrocchiali di Dalmine.

Il gruppo di lavoro si augura che questo documento possa rappresentare un punto di

partenza per l’assistente sociale che per la prima volta si occupa di presa in carico della

persona con disabilità, ma anche diventare un’occasione di riflessione per chi da anni già

se ne occupa. Non si ha la presunzione attraverso questo elaborato di trovare ogni

risposta alle mille domande che l’operatore sociale si pone nella presa in carico della

persona con disabilità, ma si auspica che esso rappresenti uno strumento di supporto ed

orientamento.

Dalmine, 11 ottobre 2011

49

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