La prassi orante di Gesù nella catechesi lucana

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LA PRASSI ORANTE DI GESÙ NELLA CATECHESI LUCANA L. D. Chrupcała Tutti gli evangelisti, ma in particolare Luca, si compiacciono di annotare che Gesù pregava in diverse circostanze e situazioni 1 . I passi redazionali in cui il terzo evangelista ritrae Gesù in preghiera scandiscono le tappe sa- lienti del suo ministero. Gesù prega al momento del battesimo nel Giordano (Lc 3,21), dopo una giornata di predicazione (5,16), nel contesto dell’ele- zione dei dodici apostoli (6,12), prima della confessione di Pietro (9,18), all’ora della trasfigurazione sul monte (9,28), quando insegna ai discepoli a pregare (11,1), sul monte degli Ulivi alla vigilia della passione (22,41) 2 . L’«evangelista della preghiera» 3 riferisce inoltre le parole di alcune orazioni di Gesù (Lc 10,21-22; 22,42; 23,34.46) e in varie occasioni ripor- ta il suo insegnamento sulla preghiera (cf. le due sezioni: Lc 11,2-13 e 18,1- 14; e poi 6,28; 21,36; 22,40.46); ma è anzitutto nei passi redazionali – dove Luca illustra la preghiera di Gesù, diciamo così, dall’«esterno» – che si coglie con maggiore intensità il volto di Gesù, uomo di preghiera e mae- stro di preghiera 4 . Delineando con numerose sfumature questo tratto tipico della spiritua- lità di Gesù, Luca offre nello stesso tempo alla comunità cristiana un pre- zioso apporto all’imitatio Christi. Per lui infatti lo stile della preghiera di 1. Nonostante pregevoli tentativi di delucidazione, il tema della preghiera in Luca resta ancora un cantiere aperto, come si può appurare anche dalla bibliografia, in continua cre- scita, su questo argomento (si veda la nota bibliografica in fondo all’articolo). È opportuno richiamare l’analisi di F. Bovon, Luc le théologien. Vingt-cinq ans de recherches (1950- 1975), Genève 1988 2 , 420-422; «Luc insiste, on le sait, sur la prière. Diverses études ont donc porté sur cette caractéristique rédactionnelle. Ce qui surprende, c’est la date récente des monographies approfondies sur le sujet» (p. 420). Per la storia della ricerca sulla pre- ghiera in Lc-At cf. Crump, Jesus, 2-11. 2. Per qualcuno il numero di questi testi sarebbe intenzionale; così Monloubou, La prière, 58: «il est peu probable que le chiffre sept soit fortuit». Unicamente per l’ultimo passo, quello della preghiera al monte degli Ulivi, si possono trovare paralleli in Mc 14,35 e Mt 26,39. 3. Il titolo, a quanto pare, è stato coniato per Luca da P. Samain (cf. Dupont, Le discours, 349 nota 1). 4. Così vengono intitolati due capitoli centrali della monografia di Drago (cf. anche Panimolle). Questo stimolante studio di indole pastorale si è rivelato assai utile ai fini del presente contributo. LA 49 (1999) 101-136

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LA PRASSI ORANTE DI GESÙ NELLA CATECHESI LUCANA

L. D. Chrupcała

Tutti gli evangelisti, ma in particolare Luca, si compiacciono di annotareche Gesù pregava in diverse circostanze e situazioni1. I passi redazionali incui il terzo evangelista ritrae Gesù in preghiera scandiscono le tappe sa-lienti del suo ministero. Gesù prega al momento del battesimo nel Giordano(Lc 3,21), dopo una giornata di predicazione (5,16), nel contesto dell’ele-zione dei dodici apostoli (6,12), prima della confessione di Pietro (9,18),all’ora della trasfigurazione sul monte (9,28), quando insegna ai discepolia pregare (11,1), sul monte degli Ulivi alla vigilia della passione (22,41)2.

L’«evangelista della preghiera»3 riferisce inoltre le parole di alcuneorazioni di Gesù (Lc 10,21-22; 22,42; 23,34.46) e in varie occasioni ripor-ta il suo insegnamento sulla preghiera (cf. le due sezioni: Lc 11,2-13 e 18,1-14; e poi 6,28; 21,36; 22,40.46); ma è anzitutto nei passi redazionali – doveLuca illustra la preghiera di Gesù, diciamo così, dall’«esterno» – che sicoglie con maggiore intensità il volto di Gesù, uomo di preghiera e mae-stro di preghiera4.

Delineando con numerose sfumature questo tratto tipico della spiritua-lità di Gesù, Luca offre nello stesso tempo alla comunità cristiana un pre-zioso apporto all’imitatio Christi. Per lui infatti lo stile della preghiera di

1. Nonostante pregevoli tentativi di delucidazione, il tema della preghiera in Luca restaancora un cantiere aperto, come si può appurare anche dalla bibliografia, in continua cre-scita, su questo argomento (si veda la nota bibliografica in fondo all’articolo). È opportunorichiamare l’analisi di F. Bovon, Luc le théologien. Vingt-cinq ans de recherches (1950-1975), Genève 19882, 420-422; «Luc insiste, on le sait, sur la prière. Diverses études ontdonc porté sur cette caractéristique rédactionnelle. Ce qui surprende, c’est la date récentedes monographies approfondies sur le sujet» (p. 420). Per la storia della ricerca sulla pre-ghiera in Lc-At cf. Crump, Jesus, 2-11.

2. Per qualcuno il numero di questi testi sarebbe intenzionale; così Monloubou, La prière,58: «il est peu probable que le chiffre sept soit fortuit». Unicamente per l’ultimo passo,quello della preghiera al monte degli Ulivi, si possono trovare paralleli in Mc 14,35 e Mt26,39.

3. Il titolo, a quanto pare, è stato coniato per Luca da P. Samain (cf. Dupont, Le discours,349 nota 1).

4. Così vengono intitolati due capitoli centrali della monografia di Drago (cf. anchePanimolle). Questo stimolante studio di indole pastorale si è rivelato assai utile ai fini delpresente contributo.

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Gesù non è un mero riflesso della tradizione storica di Gesù – sebbenemolto significativo per il suo quadro cristologico5 –, ma si profila anchecome il paradigma della preghiera cristiana (la parenesi)6. Nell’operalucana la comunità cristiana è invitata a contemplare la figura orante diGesù (Lc) per poter assimilare, sulla scia della chiesa apostolica, il suoesempio nella vita (At). Anche per Luca quindi, come già per Paolo, l’im-perativo pastorale-etico deve poggiare saldamente sull’indicativo della sal-vezza. Si comprende pertanto che soffermarsi sulla dinamica dellapreghiera di Gesù nell’ottica lucana è importante oltre che doveroso7.

1. La topografia della preghiera

Al tempo di Gesù esistevano due luoghi ufficiali di culto e di preghieragiudaica: il tempio e la sinagoga. Anche se Gesù fin da ragazzo si recavain pellegrinaggio al tempio (Lc 2,41-42), «casa di preghiera» (Lc 19,46 =Is 56,7; cf. Lc 18,10; At 22,17)8 e santuario dell’adorazione di Dio (cf. Lc2,37-38; At 7,7; 26,7)9, e partecipava, «secondo il suo solito» (Lc 4,16),alle liturgie sinagogali, non esiste tuttavia nessuna menzione della preghie-

5. Si vedano gli studi di L. Feldkämper e D. Crump.

6. Scrive bene Trites, «The Prayer», 185: «Luke presents a far fuller picture of Jesus atprayer than either of the other Synoptists or John. He does so not only because of atheological or christological interest, but also because of a didactic purpose».

7. Contestando una delle tesi di O.G. Harris, il quale (sulla scorta di Ott, Gebet, 92-94) negache Luca fosse interessato ai «meccanismi» della preghiera, Plymale, The Prayer, 5, ribadi-sce giustamente: «The mechanics of prayer – how, where and when one prays – aresignificant for Luke»; e per provare questa affermazione egli cita una lunga serie di testi incui Luca connette la preghiera con le più svariate realtà (p. 4). Valido anche il giudizio diSchille, «Grundzüge», 218: «Offenbar spielt der Ort… für das Gebet eine gewichtigereRolle. Noch deutlicher liegen die Dinge bei der Zeit. Lukas legt auf die Beständigkeit desGebetes wert».

8. Luca ha rimpiazzato klhqh¿setai «sarà chiamata [la casa]» di Mc 11,17//Mt 21,13 cone‡stai «sarà», forse perché riteneva il tempio – soprattutto e non anche – come il luogodella preghiera ebraica.

9. È ben nota la centralità geografica, teologica e letteraria di Gerusalemme con il suo tem-pio nell’opera lucana. Basti ricordare che il terzo Vangelo si apre con la liturgia del sacrifi-cio vespertino (1,8-10) e termina con la scena dei discepoli radunati nel tempio a lodareDio (24,53); nel tempio è collocata anche la prima rivelazione dell’autocoscienza di Gesù(2,49). Sul tema del tempio in Luca sarà utile vedere fra gli altri: M. Bachmann, Jerusalemund der Tempel. Die geographisch-theologischen Elemente in der lukanischen Sicht desjüdischen Kultzentrums (BWANT 109), Stuttgart etc. 1980; A. Casalegno, Gesù e il tem-pio. Studio redazionale di Luca-Atti, Brescia 1984.

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10. Per uno sguardo panoramico sulla preghiera di Gesù nei vangeli segnaliamo i saggi diJeremias, Gnilka, Radermakers, Bernard. Vedere anche: de la Potterie, La preghiera, cap. I,dedicato alla presentazione del «quadro esterno della preghiera di Gesù» (i luoghi e i mo-menti della preghiera di Gesù e il suo atteggiamento orante).

11. ⁄Oroß ricorre 14 volte in Mt, 7 in Mc, 10 in Lc (e 3 in At; cf. anche ojreino¿ß in Lc 1,39.65) e 5 in Gv. Nella maggioranza dei casi il sostantivo è unito con l’articolo determinativo(benché nessun monte, eccetto quello degli Ulivi, abbia un nome proprio) e di solito formacon la prep. ei˙ß il complemento di moto al luogo.

ra comunitaria o collettiva di Gesù, fatta insieme con il popolo o con ilgruppo dei discepoli. Nella sinagoga e nel tempio Gesù si dedicava princi-palmente all’insegnamento (cf. Lc 4,31; 6,6; 13,10 e Lc 19,47; 20,1; 21,37-38; 22,53). Quando si parla invece della «preghiera» di Gesù, si tratta dellapreghiera personale e, quasi sempre, solitaria10.

Nell’opera lucana (specie negli Atti) si fa sovente cenno alla preghieracomunitaria o pubblica che si svolgeva nel tempio (Lc 1,10; 19,45-46;24,53; At 2,42?46-47; 3,1; 5,12b; 21,26), in casa (At 1,13a.14.24; 2,46;4,23-24; 6,6?; 12,5.12; 13,3; 20,7-12.36?) o in altri posti adibiti casualmen-te a luoghi di culto (At 16,13.16: lungo il fiume; 16,25: nella prigione; 21,5:sulla spiaggia). Tale preghiera va distinta dalla preghiera individuale, in cuiil credente si indirizza a Dio a titolo proprio (Lc 18,10.11; At 9,11.40;10,9.30-31).

Gesù pregava anche, come capo del gruppo, nell’ora dei pasti (cf. Lc9,16; 22,17.19-20; 24,30.35), ma per l’orazione privata sceglieva abitual-mente posti naturali: la montagna o luoghi deserti / appartati, e mai la casa,di cui del resto non poteva disporre nell’arco della sua missione (Lc 9,58;cf. però Mc 7,24).

La montagna

In base alla statistica non pare che Luca attribuisca particolare importan-za al monte11. Rispetto a Matteo che nutre invece maggiore interesse perquesto luogo, Luca elimina la menzione di «un monte altissimo» delletentazioni in Lc 4,5 (cf. Mt 4,8), trasforma il discorso matteano della«montagna» (Mt 5,1; 8,1) in quello della «pianura» (Lc 6,17; cf. inoltreMt 18,12 con Lc 15,4), tralascia il secondo racconto della moltiplicazionedei pani, ubicata sul monte (Mt 15,29; cf. Gv 6,3), mantiene il silenziosull’incontro del Risorto con gli Undici in Galilea «sul monte che Gesùaveva loro fissato» (Mt 28,16) e, per finire, non ricorda i detti di Gesùsulla fede in grado di spostare un monte (Mt 17,20; 21,21//Mc 11,23).

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12. Secondo K.P. Fischer, «“Der Berg” in den Evangelien – Zeichen für die Völker», BNHeft 99 (1999) 42-54, la «montagna» sarebbe sinonimo del monte del tempio / della nuovaSion: «die Synoptiker, besonders Mt, “den Berg” als eine theologische Größe verstehen, dieauf den Zion verweist…” (p. 54). Dubito che questa ipotesi, verosimile forse per Matteo,possa valere anche per Luca. È vero che Luca conosce la teologia di Sion-Gerusalemme,ma il suo uditorio di origine prevalentemente pagana avrebbe avuto non poche difficoltà discorgere nel «monte» evangelico una fine allusione alla Sion dell’AT. Per una tesi affine aquella di Fischer cf. K. Broadhead, «Which Mountain Is “This Mountain”? A Critical Noteon Mark 11:22-25», Paradigms 2 (1986) 33-38. Sul motivo della montagna, in Matteo maanche nelle religioni extra-bibliche e nell’AT, cf. inoltre T.L. Donaldson, Jesus on theMountain. A Study in Matthean Theology (JSNT SS 8), Sheffield 1985; e lo studio di J.Mánek, «On the Mount – On the Plain (Mt. v 1 – Lk. vi 17)», NovT 9 (1967) 124-131, ilquale tenta di spiegare un distinto interesse per il monte in base alle diverse concezioniescatologiche di Matteo e Luca.

13. Si veda ad es. J. Jeremias, Der Gottesberg. Ein Beitrag zum Verständnis der biblischenSymbolsprache, Gütersloh 1919; T. Booij, «Mountain and Theophany in Sinai Narrative»,Bib 65 (1984) 1-26; T.B. Dozeman, God on the Mountain. A Study of Redaction, Theologyand Canon in Exodus 19–24 (SBL MS 37), Atlanta GA 1989.

14. Cf. B.J. Koet, «Divine Communication in Luke-Acts», in J. Verheyden (ed.), The Unityof Luke-Acts (BETL 142), Leuven 1999, 753-754. Troppo radicale il giudizio di Crump,Jesus, 146 nota 122: «it is unlikely that [in Luca] there is any symbolic significance attachedto the mountain, Mosaic or otherwise». Se il nesso con il monte del tempio è da escludere,viceversa – come veniva già suggerito da H. Conzelmann (1954) – «la tipologia del Sinai èquanto meno esplicita» (Il centro del tempo. La teologia di Luca, Casale Monferrato 1996,52 nota 84). Conzelmann fa bene però ad avvertire che non si deve cercare un senso miste-rioso in ogni ricorrenza evangelica di o‡roß (cf. nota 83).

Viceversa, è del patrimonio lucano Lc 3,5 (= Is 40,4: «ogni monte e ognicolle sia abbassato») e 4,29 (il monte sul quale era costruita Nazaret; cf.Mt 5,14). Se il monte racchiude per Luca un significato che va oltre lasemplice connotazione topografica, lo si può intravedere proprio nel rilie-vo dato da lui al nesso tra il monte e la preghiera di Gesù (Lc 6,12;9,28.37; 22,39)12.

Nell’AT il monte è il luogo della dimora e della rivelazione di Dio.Queste caratteristiche si addicono soprattutto al monte Sinai. Fu lì cheMosè, sostando nella preghiera, ricevette le tavole dell’alleanza e uscì tra-sfigurato dall’incontro con Dio (Es 19,16-25; 34,29; cf. At 7,30-38). Piùtardi sul monte Sinai trovò rifugio il profeta Elia e anche lui ebbe l’occa-sione di incontrarsi con il Signore (1Re 19,8-14). Il monte quindi è luogoper eccellenza della teofania e dell’incontro personale con Dio che in taleambiente manifesta la sua volontà e fa comprendere agli uomini scelti lamissione da compiere13. Anche se Luca non elabora più di tanto la tipologiaGesù-Mosè, tuttavia i passi sulla salita di Gesù al monte per pregare richia-mano in modo spontaneo l’ascesa di Mosè al monte di Dio14.

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a) Lc 6,12: «In quei giorni avvenne che egli [Gesù] se ne uscì sulmonte per pregare, e pernottava nella preghiera a Dio (ejxelqei√n aujto\n ei˙ßto\ o‡roß proseu¿xasqai, kai« h™n dianuktereu¿wn ejn thˆv proseuchˆv touvqeouv)». In questo passo, situato nel contesto dell’elezione dei dodici apo-stoli (vv. 12-16), si trovano tutti gli elementi essenziali della prassi orantedi Gesù: il luogo (il monte), il tempo (la notte) e il modo (l’insistenza nellapreghiera solitaria). Il parallelo di Mc 3,13 si limita a dire che Gesù «salìsul monte» (ajnabai/nei ei˙ß to\ o‡roß), mentre Matteo non offre alcuna indi-cazione di luogo.

Luca ha ben espresso il motivo principale della salita di Gesù sul mon-te15. Il tema della preghiera compare infatti due volte nel versetto, indican-do prima lo scopo della decisione di Gesù di recarsi sul monte (laproposizione finale proseu¿xasqai) e poi la modalità della sua messa inatto (il complemento di stato in luogo figurato ejn thˆv proseuchˆv touv qeouv).Nel NT il verbo composto proseu¿comai ricorre 85 volte (Lc 19 – At 16;Mt 15, Mc 10) e il sostantivo proseuch/ 37 volte (Lc 3 – At 9; Mt 2, Mc2). Si tratta di due termini favoriti di Luca16. Quello tuttavia che lo distin-gue dagli altri scrittori del NT non è tanto il vocabolario, quanto la frequen-za e il contesto in cui viene inserito il tema della preghiera.

Le annotazioni topografiche: «uscì sul monte» (v. 12) / «disceso conloro» (v. 17) formano un ponte tra la preghiera di Gesù e il suo ministero.Egli si ritira sulla montagna – in un luogo che la «folla» non può raggiun-gere – con il proposito di «pregare» e la finalità di questo atto è duplice:discernere la volontà di Dio circa l’elezione degli apostoli (che «si era sceltinello Spirito santo»: At 1,2) ed essere riempito della potenza per il serviziodivino che egli riprenderà appena disceso dal monte. Quindi, in modo si-mile a Lc 3,21-22 e 5,16-17, anche in 6,12 la preghiera rafforza il rapportodi Gesù con Dio e lo rafforza per il ministero.

b) Lc 9,28-29: Gesù «prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salìsul monte per pregare (ajne/bh ei˙ß to\ o‡roß proseu¿xasqai). E mentre pre-gava (proseu¿cesqai), il suo volto cambiò d’aspetto…». Nel racconto del-la trasfigurazione di Gesù sul monte, come in quello precedente, leindicazioni topografiche fanno da cornice all’episodio: «salì sul monte» (v.28) / «quando discesero dal monte» (v. 37). Anche qui la preghiera, che

15. «This is the most emphatic prayer notice yet in Luke» (Crump, Jesus, 145).

16. Luca designa sempre la preghiera di Gesù mediante questi due vocaboli che fanno partedi una ricca terminologia lucana sull’argomento; cf. inter alia Monloubou, La prière, 93-131; George, «La prière», 402-405.

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prepara il terreno all’evento teofanico e alla rivelazione della missione diGesù, è descritta in modo enfatico.

Nei passi paralleli di Mc 9,2.9 e Mt 17,1.9, che non rilevano la pre-ghiera di Gesù, la scena è ambientata «su un monte alto», in un luogo ap-partato e in solitudine.

c) Lc 22,39: «Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Uli-vi…». A differenza degli altri sinottici che situano la preghiera di Gesù «inun podere, chiamato Getsemani», Luca dice che essa si svolse sul montedegli Ulivi, in un luogo ben determinato (v. 40a: geno¿menoß ejpi« touvto¿pou)17. In questa introduzione redazionale il terzo evangelista affermainoltre che Gesù aveva l’abitudine di andare in quel posto. Ma a che cosabisogna riferire l’inciso lucano kata\ to\ e¡qoß? Se si tiene conto del fattoche il lettore è stato già informato che Gesù si recava sul monte degli Uliviper passarvi la notte (Lc 21,37; cf. Gv 18,2), ed essendo evidente che Gesùstava per affrontare un momento di crisi e di grande decisione (contestipreferiti da Luca per mettere l’enfasi sulla preghiera), si comprende chel’abitudine riguarda il ritirarsi a pregare sulla montagna che è di fronte aGerusalemme. Del resto, il monte degli Ulivi era conosciuto come luogodi preghiera fin dai tempi di Davide (1Sam 15,32). Sembra pertanto legitti-mo concludere che Luca offre un’immagine di Gesù che va al monte degliUlivi con l’intenzione di pregare – come viene poi confermato dal seguitodel racconto – al fine di comprendere meglio la volontà di Dio e il sensodella sua missione18.

Se Luca mostra un certo interesse per il monte quale luogo della pre-ghiera di Gesù, egli non sembra tuttavia volergli assegnare una funzioneassoluta. Stando alla relazione di Marco, dopo il (secondo) miracolo dellamoltiplicazione dei pani Gesù congedò la folla e «salì sul monte per prega-re (ajphvlqen ei˙ß to\ o‡roß proseu¿xasqai)» (Mc 6,46). Molto simile suonala variante di Matteo. Il primo evangelista ha voluto chiarire Mc 6,47 e hamesso inoltre in luce che Gesù «salì sul monte, solo, per pregare (ajne/bhei˙ß to\ o‡roß kat∆ i˙di/an proseu¿xasqai). Venuta la sera, egli se ne stavaancora solo (mo¿noß) lassù» (Mt 14,23). Nessuno dei due sinottici ha spie-gato il motivo per cui Gesù sia andato a pregare (in ricerca della solitudi-

17. Dato che il monte rappresenta un luogo tipico della preghiera, dell’epifania e della co-municazione celeste, «per questo ha un ruolo speciale anche nei racconti della passione, unruolo che le fonti di Luca non gli assegnavano» (Conzelmann, Il centro, 52). Il terzo evan-gelista, rinunciando al simbolismo escatologico del monte degli Ulivi, lo considera un luo-go dell’insegnamento e della preghiera notturna di Gesù (ibid., 84, 86).

18. Cf. Plymale, The Prayer, 59-60; Schille, «Grundzüge», 217.

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19. Il pa¿lin di Giovanni è alquanto curioso. Gv 6,3 asserisce che «Gesù salì sulla monta-gna e là si sedette con i suoi discepoli». Subito dopo, narrando la moltiplicazione dei pani,non viene menzionato alcun cambio di luogo. Se Gesù si trovava già sul monte, perché al-lora vi «si ritirò di nuovo»? Del «ritiro / fuga» di Gesù – a motivo della preghiera però –parla anche Lc 5,16 (il verbo upocwre/w, che nel NT compare solo 2 volte in Lc, corrispon-de all’ajnacwre/w di Gv 6,15).

20. Per Monloubou, La prière, 59, questa omissione sarebbe dovuta all’intenzione di Lucadi presentare Gesù orante solo nelle situazioni che trovano riscontro nella vita della chiesa(cf. p. 61). Se ciò fosse vero, Luca avrebbe dovuto eliminare tutti i passi sulla preghiera diGesù sul monte.

21. Sul significato del deserto negli scritti biblici merita di essere consultato ad es. W.Schmauch, Orte der Offenbarung und der Offenbarungsort im Neuen Testament, Berlin1956, 27-47; R.W. Funk, «The Wilderness», JBL 78 (1959) 205-214.

ne, come potrebbe suggerire Matteo?). La spiegazione viene data dall’evan-gelista Giovanni: Gesù «si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo(ajnecw¿rhsen pa¿lin ei˙ß to\ o‡roß aujto\ß mo¿noß)» (Gv 6,15), perché cerca-va di sfuggire alla gente che voleva farlo re. Va notato però che Giovanni,parlando di questa nuova «fuga» di Gesù sul monte19, non accenna mini-mamente alla preghiera di Gesù, forse perché per lui la montagna non èpiù il luogo di culto per eccellenza (cf. Gv 4,20-21).

Sorprende a prima vista che Luca, così attento a rilevare il fatto dellapreghiera di Gesù sul monte, abbia tralasciato questo particolare nel suoracconto della moltiplicazione dei pani. L’omissione dipende verosimil-mente da motivi redazionali20. Infatti, dopo l’episodio della moltiplicazio-ne dei pani l’evangelista colloca la scena della confessione di Pietro, laquale si apre appunto con la menzione della preghiera di Gesù (Lc 9,18).

Il deserto

Un altro luogo peculiare in cui Luca ambienta la preghiera di Gesù è ildeserto. La tradizione biblica collega questo posto soprattutto con il perio-do dell’esodo di Israele, ricordato pure in At 7,30.36.43. È una terra arida,inospitale, dimora dei demoni (Lc 8,29; 11,24), ma anche un luogo sempli-cemente disabitato o vuoto, dove tanti personaggi biblici hanno cercato ri-fugio (Gv 11,54), catarsi spirituale (Lc 4,1//) o preparazione all’eventodella salvezza (Is 40,3 = Lc 3,4//)21. Gesù amava interrompere la sua mis-sione con brevi soggiorni in luoghi deserti; in tale scenario sono collocatiad es. i racconti sinottici della moltiplicazione dei pani (Mc 6,31-32.35//Mt 14,13.15; cf. Lc 9,10b12; Mc 8,4//Mt 15,33).

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22. La tradizione biblica connette spesso la preghiera con il digiuno (ad es. 1Sam 7,6; 2Sam12,16; Ne 1,4; Tb 12,8; Bar 1,5; Dn 9,3). Nel NT questo nesso è presente solo nell’operalucana (Lc 2,37; At 1,14 l. var.; 9,9.11.19; 10,9-10a; 13,2-3; 14,23; cf. però Mt 17,21; Mc9,29 l. var.). Gesù fece nel deserto l’esperienza del digiuno (Mt 4,2: nhsteu/saß; Lc 4,2b:oujk e¡fagen oujde\n). Di altri periodi di digiuno di Gesù non ci sono tracce nella tradizioneevangelica che chiarisce, del resto, la sua assenza e il senso del futuro digiuno cristiano (Lc5,33-35//).

23. Cf. W. Kirchschläger, «Jesu Gebetsverhalten als Paragidma zu Mk 1,35», Kairos 20(1978) 303-310.

Ma Gesù si recava di frequente nel deserto per uno scopo ben preciso.Come segnala il sommario di Lc 5,16: «Gesù si ritirava nei luoghi desertie pregava (ejn tai√ß ejrh/moiß kai« proseuco/menoß)». I due participi coordi-nati nella coniugazione perifrastica (h™n upocwrw◊n kai« proseuco/menoß)indicano che egli andava regolarmente nel deserto per pregare. E lì appun-to che si incontra la solitudine e il silenzio, quasi che soltanto in tali condi-zioni Dio possa parlare e far sentire la sua voce (cf. Os 2,16).

In questo contesto è utile richiamare un altro elemento proprio di Luca.Mentre Mc 1,4//Mt 3,1 sono unanimi nell’affermare che Giovanni Battistainiziò a predicare nel deserto, in Lc 3,2 si legge che «la parola di Dio scesesu Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (ejn thˆv ejrh/mw)̂»; Giovanni, in-fatti, fin dalla sua giovinezza, «viveva nei luoghi deserti (h™n ejn tai√ßejrh/moiß)» (Lc 1,80; cf. 7,24//Mt 11,7). Dal momento che Luca vede neldeserto un luogo abituale della preghiera di Gesù, è ragionevole dedurneche la volontà divina sia stata rivelata a Giovanni proprio nel contesto diuna preghiera solitaria. Fra l’altro, il gruppo dei seguaci del Battista si di-stingueva sia per l’austerità della vita che per la dedizione alla preghiera.Soltanto Luca dice esplicitamente che Giovanni insegnò ai suoi discepoli apregare (Lc 11,1b) e questa pratica, unita al digiuno, era ben nota alla gen-te (Lc 5,33a)22.

Luca ha voluto senz’altro mettere bene in luce che il deserto rientravatra i luoghi preferiti della preghiera di Gesù. Ma come prima nel caso dellamontagna, così anche ora egli non esita a sacrificare questo particolare abeneficio della sua visione teologica.

All’indomani della lunga e operosa giornata di Cafarnao, Gesù «si alzòal mattino quando era ancora buio e, uscito di casa, andò in un luogo de-serto e là pregava (ei˙ß e¡rhmon to/pon kajkei√ proshu¿ceto)» (Mc 1,35)23.Questa frase non compare in Matteo, mentre il parallelo di Lc 4,42 recita:«sul far del giorno [Gesù] uscì e si recò in un luogo deserto (ei˙ß e¡rhmon to/pon)». Perché Luca, che predilige la figura di Gesù orante, ha tralasciato lanotizia sulla sua preghiera? Non è accettabile la spiegazione secondo cui

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24. È l’illazione di Monloubou, La prière, 59: «Luc omet ce trait dont il ne saisit pastellement le sens; il lui suffit que Jésus vienne dans la solitude».

25. Cf. George, «La prière», 396 nota 3, 406. Drago, Gesù, 39, suppone (sulla scia diDupont, Le discours, 353) che Luca abbia trasportato la notizia di Mc 1,35 «in un contestomigliore» (Lc 5,16). A mio avviso, si tratta di due contesti distinti che dànno un senso di-verso all’andata di Gesù nel deserto; cf. Crump, Jesus, 142-143.

26. Il primo ad aver messo in luce questo aspetto centrale della teologia lucana della pre-ghiera è stato O.G. Harris. Le sue conclusioni sono state largamente accettate dagli studiosi(cf. la lista in Crump, Jesus, 6 nota 13). Per C.H. Fuhrman invece, non si tratterebbe di unaspetto centrale, in quanto il nesso tra la preghiera e la storia della salvezza è presente giànelle fonti di Luca. Fuhrman sostiene che l’intento di Luca sia di carattere parenetico-ec-clesiale. Al di là del fatto che l’uso delle fonti non depone contro l’originalità di Luca, nonmi sembra che un aspetto necessariamente escluda l’altro.

27. Per i testi dell’opera lucana cf. Smalley, «Spirit», 59-61. Ha ragione Plymale, ThePrayer, 114, nel dire che «for Luke prayer is as instrumental in guiding salvation history».Mi dissocio invece dalla sua divisione della storia lucana di salvezza in quattro (!) epoche:Israele, Cristo, chiesa, consumazione finale; i tempi storici non sono da confondere con itempi teologici che nell’intento di Luca sono due: promessa e compimento. A quanto pare,la vecchia tesi di Conzelmann tuttora esercita il suo fascino.

28. Per quanto segue ci basiamo sul recente studio di A. Prieur, Die Verkündigung derGottesherrschaft. Exegetische Studien zum lukanischen Verständnis von basilei/a touv qeouv(WUNT 2/89), Tübingen 1996, 167-181.

egli non avrebbe colto le intenzioni della fonte marciana, limitandosi alfatto della solitudine di Gesù24, né che egli sia preoccupato di evitare le ri-petizioni; dopo infatti egli sintetizza l’agire orante di Gesù (Lc 5,16, moltovicino a Mc 1,35 e parallelo a Mc 1,45)25. Il vero motivo che ha spintoLuca ad eliminare la menzione della preghiera di Gesù va cercato altrove.

Osservando da vicino i passi lucani sulla preghiera non sfugge che essiricorrono nei momenti in cui il ministero di Gesù si trova ad una svolta.Mediante la preghiera, che per Luca rappresenta un importante mezzo tra-mite il quale Dio guida gli eventi della storia di salvezza26, vengono elargitenuove conoscenze, istruzioni o rivelazioni riguardanti il piano di Dio27.Questo però non è il caso di Lc 4,42. Un rapido sguardo al contesto ampiodi questo passo aiuta a capire meglio l’orientamento di Luca28.

È noto che nella pericope programmatica di 4,14-44 si fa fortemente sen-tire la mano redazionale di Luca. L’evangelista vi inserisce innanzitutto lascena della predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazaret (vv. 16-30), cheè sua propria, e seguendo la sua fonte (Mc 1,21-34) presenta due guarigioniavvenute a Cafarnao (vv. 31-37.38-41). Quindi descrive una breve scenasvoltasi il mattino dopo in un luogo deserto. Ma il brano lucano (vv. 42-44)è anche questa volta frutto dell’interpretazione della fonte marciana (Mc1,35-38). Oltre all’omissione della preghiera di Gesù, occorre registrare una

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sostanziale rielaborazione del detto con cui questi, rispondendo alle folledesiderose di trattenerlo, indica lo scopo della sua missione. In Mc 1,38 ilmotivo è quello di far giungere agli altri la sua predicazione. Invece in Lc4,43 a monte dell’invio di Gesù si trova la necessità di annunciare ovunqueil regno di Dio. A differenza di Mc 1,14-15, che menziona il regno qualeoggetto della predicazione di Gesù già all’inizio della sua attività, Luca neparla per la prima volta al termine di 4,14-44. Ne risulta allora che i fattiaccaduti a Nazaret e a Cafarnao sono per lui una concreta illustrazionedell’«annuncio del regno di Dio». Lc 4,43 ribadisce quindi la piena coscien-za di Gesù circa l’oggetto centrale della sua missione, incominciata propria-mente nella sinagoga nazaretana. Il suo invio nel mondo, finalizzato aproclamare il compimento delle promesse salvifiche di Dio, è una realtà notaa Gesù stesso fin dal principio e di cui egli non ha bisogno di essere istrui-to29. La grande svolta, insomma, non è avvenuta in Lc 4,43 ma nel momentoin cui Gesù, dopo il battesimo nel Giordano (è qui che Gesù prega!), ha datoinizio in Galilea alla sua opera di liberazione30.

Un posto qualunque

Nel racconto del battesimo solo Luca precisa che mentre Gesù «stava pre-gando (proseucome/nou) si aprì il cielo…» (Lc 3,21). I due fenomeni suc-cessivi, e cioè la discesa dello Spirito santo e la voce dal cielo, più che albattesimo, sono legati alla preghiera di Gesù. È un particolare estremamen-te significativo, tanto più che si tratta dell’unica vistosa aggiunta di Lucaalla sua fonte. Malgrado la presenza del popolo, Gesù si immerge nellapreghiera, nel corso della quale e in risposta ad essa egli riceve la confer-ma divina del suo ministero.

29. «Der in V43 angegebene Zweck seiner Sendung ist dem lukanischen Jesus seit Beginnseines Wirkens gewiß» (Prieur, Die Verkündigung, 168).

30. Quindi, il vero motivo per cui Luca omette la menzione della preghiera di Gesù in 4,42 è diordine teologico e non semplicemente parenetico, come vorrebbe invece Monloubou, Laprière, 60: «Amener les chrétiens à prier: parce que c’est le but de son livre, c’est aussi le motifpour lequel Luc néglige certains moments de la prière de Jésus, pour lequel aussi il en présented’autres». A prescindere dal fatto che lo «scopo» del terzo Vangelo non è esattamente quello di«portare i cristiani alla preghiera», resta comunque vero che l’intento principale di Luca è dicarattere pastorale, di cui fa parte (anche) la sua parenesi sulla preghiera. Più pertinente, in talsenso, è l’osservazione di J.A. Fitzmyer, The Gospel According to Luke I-IX (AB 28), GardenCity NY 1981, 244: Luca «depicts Jesus often at prayer, because this is to become one of theways in which the disciple is to follow him». Cf. più avanti nota 50.

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Il racconto lucano della confessione di Pietro si apre con la fraseredazionale di Lc 9,18: «E avvenne che, mentre egli [Gesù] si trovava inun luogo appartato a pregare (ejn twˆ◊ ei•nai aujto\n proseuco/menon kata\mo/naß)…». Gli altri sinottici sono più esatti nel situare l’episodio nella re-gione di Cesarea di Filippo (Mc 8,27//Mt 16,13). Luca invece sposta tuttal’attenzione dal posto, lasciato intenzionalmente indefinito, al fatto dellapreghiera di Gesù.

Al ritorno dei discepoli dalla missione, «in quello stesso istante Gesùesultò nello Spirito santo» (Lc 10,21). La breve introduzione della fonte Q(Mt 11,25) è stata elaborata con cura da Luca. Egli ha voluto precisare siala modalità con cui Gesù ha pronunciato il suo inno al Padre, facendonechiaramente un’orazione (ajgallia¿omai appartiene al vocabolario lucanodella preghiera), sia il tempo vago dell’avvenimento («in quel tempo»). Inossequio alla sua fonte egli non ha indicato invece il luogo. È una dellerare occasioni in cui Gesù recita una preghiera in presenza degli altri e inun posto qualsiasi.

Poco dopo Luca riferisce che mentre Gesù «si trovava in un certo luo-go a pregare (ejn twˆ◊ ei•nai aujto\n ejn to/pwˆ tini« proseuco/menon), quandoebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare»(Lc 11,1). Anche qui l’indicazione generica del luogo è molto eloquente,quasi a sottolineare la sua irrilevanza.

Nel libro degli Atti non si parla mai di preghiera sul monte o in luoghi de-serti, come se in questo modo Luca volesse renderla indipendente dal luogo.In compenso si incontrano altri ambienti non menzionati nel vangelo: la«casa» nella quale pregavano Paolo (At 9,11) e Cornelio (10,30-31), la «ter-razza» della casa dove Pietro salì a pregare (10,9). Non mancano posti incon-sueti, come la riva del fiume (16,13), la prigione (16,25) o la spiaggia (21,5).

Non si possono dimenticare infine i numerosi passi degli Atti in cui siparla di assiduità e di concordia nella preghiera comunitaria (At 1,14;2,42.46; 4,24.31; 5,12). La comunità radunata in unità e unanime nell’ora-zione è il luogo (figurato) che a Luca interessa più di un posto materialedove pregare. Se per gli ebrei il posto era legato fondamentalmente con iltempio (ad es. 1Sam 1,9-10; 1Re 8,33; 2Re 19,4; LXX Sal 47,10; 121,4;Sir 50,16-21)31, per Luca non è più così. Non è l’unità del luogo (la collo-cazione della preghiera comunitaria) ma l’unità delle persone (e quindi la

31. Sulla preghiera nel tempio secondo la tradizione giudaica cf. S. Zeitlin, «The Templeand Worship», JQR 51 (1961) 209-241; in sintesi: S.E. Dowd, Prayer, Power, and theProblem of Suffering. Mark 11:22-25 in the Context of Markan Theology (SBL DS 105),Atlanta GA 1988, 45-50; Falk, «Jewish Prayer», 285-292.

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maniera di pregare insieme) ad assumere l’importanza decisiva. Qui il ter-zo evangelista è perfettamente d’accordo con quanto Gesù dice in Mt18,19-20 e in Gv 4,21-24.

In conclusione: nonostante una chiara predilezione per luoghi particola-ri, Luca esprime la convinzione che la preghiera non va limitata. È fuori didubbio che la montagna o il deserto possano favorire il raccoglimento, ma lapreghiera sfugge a qualsiasi tentativo di restrizione spaziale. Indicando piùdi una volta in modo generico i posti frequentati da Gesù per pregare, Lucafa capire che il luogo ha un’importanza relativa e il suo ruolo è puramentefunzionale. Ogni posto, in fin dei conti, è buono per intrattenersi con Dio,come conferma anche la prassi della comunità cristiana nascente.

2. I tempi della preghiera

Sull’aspetto temporale della preghiera (quando e quanto pregare) Luca di-mostra lo stesso punto di vista che nei confronti del luogo. Egli conosce ilmomento privilegiato della preghiera giudaica, il giorno di sabato, in cui siandava in sinagoga a celebrare il culto divino32. Lo faceva regolarmenteGesù (Lc 4,16-22 ecc.) e in seguito la comunità giudeo-cristiana della Pa-lestina (At 3,1) e quelle della diaspora (At 13,14.44; 16,13; 17,3; 18,4;22,19), benché molto presto i cristiani abbiano sostituito il giorno festivodi sabato con la domenica (At 20,7), «il primo giorno dopo il sabato» (Lc24,1), per celebrare la memoria della risurrezione del Signore33. Ma la pre-ghiera di Gesù, come fanno vedere i racconti evangelici, non si riducevaaffatto ai turni settimanali.

La prassi della preghiera quotidiana

Agli ebrei del tempo di Gesù era familiare la preghiera quotidiana, con-nessa con alcuni momenti significativi della giornata. In base alla prescri-

32. Va ricordato però che prima della distruzione del tempio (70 d.C.), la sinagoga servivasoprattutto per la lettura e lo studio della Scrittura, non per la preghiera pubblica; cf. Falk,«Jewish Prayer», 277-285.

33. Cf. M.M.B. Turner, «The Sabbath, Sunday, and the Law in Luke/Acts», in D.A. Carson(ed.), From Sabbath to Lord’s Day. A Biblical, Historical, and Theological Investigation,Grand Rapids MI 1982, 99-157; B. Blue, «The Influence of Jewish Worship on Luke’sPresentation of the Early Church», in I.H. Marshall - D. Peterson (ed.), Witness to theGospel. The Theology of Acts, Grand Rapids MI - Cambridge U.K. 1998, 473-497.

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zione contenuta in Dt 6,7 e 11,19, si è fissato l’uso di recitare all’alba ealla sera la professione di fede (shemà), accompagnata da espressioni dilode e benedizione34. Accanto a questa consuetudine, limitata ai soli uomi-ni, esisteva un’altra usanza di preghiera vera e propria, prescritta a tutti.Tale usanza, attestata in Dn 6,11b.14 (cf. anche Sal 54,18 LXX), associa-va la preghiera alle tre parti del giorno: il mattino, il pomeriggio e la sera,in concomitanza con il culto compiuto nel tempio. In questi momenti pe-culiari della giornata il pio israelita pregava recitando un grande inno dibenedizione (tefillà), conosciuto dalla fine del I secolo d.C. sotto il nomedi «Diciotto benedizioni»35.

Questo tipo di preghiera distribuita lungo tempi determinati del giornoraggiunse un alto grado di formalizzazione nella comunità di Qumran, chelodava Dio «in tutte le stagioni e nei tempi prescritti per sempre, al sorgeredel giorno e al calar della notte, all’inizio della sera e del mattino» (1QMXIV,13-14; cf. anche 1QS X,1-7; 1QH XII,3-9 dove si dà una lista più det-tagliata dei tempi stabiliti per la preghiera)36. La preghiera istituzionalizza-ta praticata dagli esseni si poneva quindi in contrasto con la tradizionebiblica e la prassi del tempo37.

34. Il mattino e la sera erano i tempi forti di preghiera anche nell’antichità greco-pagana;cf. A. Hamman, «La prière chrétienne et la prière païenne, formes et différences», in W.Haase (ed.), Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II.23.2, Berlin - New York 1980,1190-1247, qui 1199-1201.

35. Cf. J. Jeremias, «La preghiera quotidiana nella vita di Gesù e nella chiesa delle origi-ni», in Id., Abba (Supp. al GLNT 1), Brescia 1968, 71-88, spec. 73-78; «La levata del sole,il pomeriggio (verso le quindici) e il tramonto erano quindi, all’epoca neotestamentaria, letre ore che il popolo giudaico destinava alla preghiera» (p. 78). Per la documentazione circal’orario della preghiera giudaica cf. H.L. Strack - P. Billerbeck, Kommentar zum NeuenTestament aus Midrash und Talmud, II, München 1924, 696-702. Si veda inoltre gli studidi J. Bonsirven, Le Judaïsme palestinien au temps de Jésus-Christ, II, Paris 1935, 143-154;K. Hubry, «Les heures de la prière dans le judaïsme à l’époque de Jésus», in La prière desheures (Lex Orandi 35), Paris 1963, 59-84; D.Y. Hadidian, «The Background and Origin ofthe Christian Hours of Prayer», ThSt 25 (1964) 59-69; G.J. Cuming, «The New TestamentFoundation for Common Prayer», StLitur 10 (1974) 88-105; Falk, «Jewish Prayer», 271-275.293-298.

36. Cf. H. Ringgren, The Faith of Qumran. Theology of the Dead Sea Scrolls. ExpandedEdition, ed. by J.H. Charlesworth, New York 1995 [1961], 222-224. Per una visione piùampia cf. J. Maier, «Kult und Liturgie der Qumrangemeinde», RevQ 14 (1990) 543-586.

37. «This concern for prayer at fixed times sets the prayer theology of Qumran apart fromits Hebrew tradition» (Plymale, The Prayer, 23). La rigida struttura della preghieraqumranica era ispirata, tra l’altro, dal desiderio di sostituire – in linea con Prv 15,8 – lastruttura del culto sacrificale nel tempio, ritenuto empio e superato. Descrivendo il caratteredella preghiera biblica, P.D. Miller, They Cried to the Lord. The Form and Theology ofBiblical Prayer, Minneapolis 1994, 48.50, fa notare a questo riguardo: «Both narrative and

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L’uso giudaico di pregare in alcuni momenti della giornata doveva es-sere ben noto a Gesù. Seppure pochi, non mancano gli indizi sulla preghie-ra di Gesù al mattino (Mc 1,35) e alla sera (Mc 6,46; Lc 6,12: qui lapreghiera notturna prolunga quella serotina). Anche nella chiesa apostolicasi era radicata l’usanza di pregare nei momenti fissi della giornata (At 2,42:tai√ß proseucai√ß). Pietro e Giovanni solevano salire al tempio per la pre-ghiera dell’ora nona (= le tre del pomeriggio: At 3,1; cf. 10,2-3.30), vale adire nell’ora del sacrificio pomeridiano (cf. Esd 9,5; Gdt 9,1; Dn 9,21).Luca presenta Pietro come uno che pregava con regolarità, anche quandosi trovava fuori di Gerusalemme (At 10,9). Paolo e Sila cercarono un luo-go per pregare durante il loro soggiorno a Filippi, il che suggerisce cheavessero l’abitudine di farlo (At 16,16).

Se da un lato Gesù pregò a ritmi regolari, dall’altro però egli mostrauna grande libertà nei confronti degli schemi precostituiti38. Gesù sapevapregare in maniera spontanea. Ne fa fede il suo esultante rendimento dilode al Padre «nello stesso istante» in cui i discepoli tornarono dalla mis-sione (Lc 10,21-22). Anche in questo punto la chiesa apostolica segue fe-delmente le orme del Signore. La comunità leva la voce a Dio appena vienea sapere che gli apostoli sono stati liberati dalla prigione (At 4,23-30);Simon mago subito chiede di intercedere per lui, dopo essere stato avverti-to da Pietro del rischio che corre con la sua insolita richiesta (8,24); Pietroprega da solo accanto alla salma di Tabità prima di richiamarla in vita(9,40); anche Paolo, prima di guarire il padre di Publio, si mette a pregare(28,8).

Non si deve dimenticare infine la questione della durata della preghie-ra. A questo proposito Luca riporta il detto in cui Gesù stigmatizza l’ipo-crisia degli scribi che «divorano le case delle vedove e in apparenza fannolunghe preghiere» (Lc 20,47//Mc 12,40; cf. Lc 5,33). È sottineso che talipreghiere, per raggiungere il loro scopo (l’esibizione della pietà), doveva-

psalmic texts indicate considerable openness about when and where people prayed in ancientIsrael… The Scriptures identify prayer as an act that could be set in particular moments andplaces and routiniezed in definite ways. But it was not confined to such settings. Formalityand fixity interchange with openness and freedom in the time and place prayer». Questa de-scrizione è in perfetta sintonia con l’idea della preghiera negli scritti lucani.

38. Cf. Jeremias, «La preghiera», 83-85, che oltre al fattore «tempo» rileva anche il distac-co di Gesù dalla vigente prassi giudaica nella forma linguistica e soprattutto nel contenutodella preghiera. In tempi recenti un importante contributo per riscoprire la figura di Gesùorante è venuto dalla psicologia; cf. E.R. Compagnone, «Come pregava Gesù. Componentipsicologiche», in E. Ancilli (ed.), Gesù Cristo mistero e presenza, Roma 1971, 193-232; A.Vergote, «Jésus de Nazareth sous le regard de la psychologie religieuse», in Jésus Christ,Fils de Dieu, Bruxelles 1981, 115-146.

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no essere fatte in pubblico. Tuttavia anche su questo punto il terzo evange-lista si mostra assai flessibile. Egli tralascia il detto di Mt 6,7, in cui vienecensurato il comportamento dei pagani che fanno le preghiere molto pro-lisse credendo di venir ascoltati a forza di parole. L’uditorio lucano di cep-po gentile non avrebbe gradito una frase del genere; così si può spiegare lasua eventuale omissione da parte di Luca. Per lui, la durata della preghieradipende dalla situazione particolare in cui si trova l’orante. L’esempio mi-gliore è, come sempre, Gesù. Egli passa l’intera notte in preghiera (Lc 6,12;cf. anche Mc 6,46.48), ma recita anche orazioni assai brevi (Lc 10,21-22;22,42; 23,34.46)39. La verbosità nel pregare biasimata da Gesù ha una mo-tivazione teologica: il Padre sa infatti di quali cose ha bisogno il credente(Lc 12,30).

La preghiera notturna

Gesù cominciava la giornata molto presto e tardi andava a riposare.Emblematico è il caso della prima giornata missionaria. Luca racconta che«al calar del sole» portavano da Gesù malati (Lc 4,40; cf. 9,12), e dopo ilriposo, piuttosto breve, «sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deser-to» (4,42a); per le ragioni che abbiamo avuto modo di esporre sopra, il ter-zo evangelista ha ritoccato qui il passo di Mc 1,35, tralasciando la notiziasulla preghiera mattutina di Gesù. Ugualmente intenso e faticoso era il mi-nistero di Gesù a Gerusalemme, dove «ogni giorno insegnava nel tempio»(Lc 19,47); «durante il giorno insegnava nel tempio, la notte usciva e per-nottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi (cf. 22,39.53). E tutto il po-polo veniva da lui di buon mattino40 nel tempio per ascoltarlo» (21,37-38).

Diversamente da Marco che mette in risalto la preghiera mattutina diGesù, Luca sembra prediligere le ore notturne. Lc 21,27 e 22,39 fanno ca-

39. Si tenga presente che nella versione lucana la preghiera insegnata da Gesù agli apostoli(Lc 11,2-4: il «Padrenostro») è più breve rispetto a quella nella versione matteana (Mt 6,9b-11); cf. inoltre le rispettive preghiere del fariseo e del pubblicano in Lc 18,11-12.13b. S.Agostino faceva, con riferimento a Lc 6,12, questa distinzione: «il pregare a lungo non è,come qualcuno crede, lo stesso che pregare con molte parole. Altro è un lungo discorso,altro uno stato d’animo prolungato» (Ep. 130,10,19).

40. Questa informazione conferma indirettamente che Gesù era un tipo mattiniero (Mc 1,35;cf. Gv 8,1-2). Il verbo ojrqri/zw, che fa parte del vocabolario della LXX, compare solo quinel NT (all’imperfetto w‡rqrizen); cf. inoltre Lc 24,1.22: le donne scoprirono il sepolcrovuoto «all’alba»; At 5,21: gli apostoli si misero ad insegnare «sul far del mattino». Cf. T.Pasqualetti, «Note sulle determinazioni temporali del vangelo secondo Luca», RivBib 23(1975) 399-412.

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pire che Gesù amava sostare di notte in preghiera sul monte degli Ulivi.Ma lo faceva anche fuori di Gerusalemme, come dimostra Lc 6,12: «passòtutta la notte in orazione». La coniugazione perifrastica (h™n dianuk-tereu¿wn) dona maggiore enfasi all’aspetto della durata, sottolineata anchedal v. 13 che esordisce con un’altra indicazione temporale: «quando fu gior-no, chiamò a sé i suoi discepoli». È lecito presumere che anche la scenadella trasfigurazione, avvenuta in un contesto di preghiera, si è svolta nelleore notturne, dato che i discepoli erano gravati dal sonno (Lc 9,32).

La notte, accanto alla sera e al buon mattino, sono i momenti preferiti chel’uomo biblico dedica alla preghiera personale41. La preghiera notturna di Gesùriflette una ricca tradizione biblica. Quando Samule apprese che il Signore siera pentito d’aver scelto Saul, «rimase turbato e alzò grida al Signore tutta lanotte» (1Sam 15,11). Il Salmista, il quale «sette volte al giorno» loda il Si-gnore (Sal 118,164), non si stanca di ripetere: «nel mio giaciglio di te mi ri-cordo, penso a te nelle veglie notturne» (62,7; cf. 4,5); «di notte per lui innalzoil mio canto: la mia preghiera al Dio vivente» (41,9; cf. 76,3.7); «ricordo iltuo nome lungo la notte… nel cuore della notte mi alzo a renderti lode»(118,55.62); perché è bello «annunziare al mattino il tuo amore, la tua fedeltàlungo la notte» (91,3; cf. 118,147-148; 133,1). Un desiderio affine del Signo-re ha il profeta Isaia: «Di notte anela a te l’anima mia, al mattino ti cerca ilmio spirito». Anche la sposa del Cantico vigilava durante la notte: «sul miogiaciglio, lungo la notte, ho cercato l’amato del mio cuore» (Ct 3,1). Non destaquindi stupore che il profeta rivolga alla vergine figlia di Sion questo strug-gente invito: «Alzati, grida di notte, quando cominciano i turni di sentinella;effondi come acqua il tuo cuore davanti al Signore» (Lam 2,19).

Come Gesù ha pregato tutta la notte prima di scegliersi gli apostoli, cosìpure la chiesa, fedele al suo comando (Lc 10,2b: «Pregate dunque il padro-ne della messe…»), segue il suo esempio, anche per quanto riguarda il tem-po. Imprigionati a Filippi, «verso mezzanotte Paolo e Sila stavano pregando(proseuco¿menoi) inni a Dio» (At 16,25). La loro orazione notturna riflettela richiesta di quell’uomo della parabola di Gesù, il quale andò ad impor-tunare il suo amico nel cuore della notte (Lc 11,5). Nella notte si svolse lasingolare riunione a Troade (At 20,7-12). Il raduno, presieduto da Paolo,ebbe luogo «il primo giorno della settimana» (v. 7). Paolo conversò «fino amezzanotte» (v. 8), quando un ragazzo di nome Eutiche, sopraffatto dalsonno, cadde dalla finestra. Dopo averlo rimesso in vita e dopo aver cele-

41. Sulla preghiera serotina si può vedere: Esd 9,5; Gdt 9,1; 13,3; Sal 54,18; mentre su quel-la mattutina: Gdt 12,5-8; Gb 1,5; LXX Sal 5,4; 16,15; 62,2; 87,14; 89,14; 142,8; Sap 16,28;Sir 39,5.

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brato l’eucaristia, Paolo parlò ancora molto «fino all’alba» (v. 11). È lecitopensare che anche il rito della frazione del pane, che la comunità geroso-limitana celebrava «ogni giorno» (At 2,42.46), iniziasse secondo l’usanzaebraica dopo il tramonto. Proprio quando il giorno volgeva al declino (Lc24,29), Gesù risorto si fece riconoscere ai discepoli di Emmaus nello spez-zare il pane (v. 35), ossia mentre pregava42, e in seguito apparve agli apo-stoli. Nella notte infine avvennero tutte le visioni di Paolo (At 16,9;18,9-10; 23,11; 27,23-24).

La preghiera in circostanze particolari

Se Luca dimostra di non essere rigido nel connettere la preghiera con tem-pi ufficiali e momenti fissi, egli presta però molta attenzione al nesso tra lapreghiera e gli eventi della vita di Gesù. In pratica, egli ritrae Gesù immer-so nell’orazione nei punti cruciali del racconto evangelico, i quali segnanole tappe più importanti del suo ministero messianico. Lo stesso vale per lachiesa apostolica degli Atti. Il messaggio di Luca non lascia dubbi: ognimomento è opportuno per dedicarsi alla preghiera, ma lo è specialmentequello in cui il credente è chiamato a riscoprire nella propria esistenzal’agire di Dio e prendere attivamente parte nel piano della salvezza.

Luca presenta Gesù come uno che pregava in modo abituale, sia perquanto riguarda la preghiera comunitaria (Lc 4,16), sia soprattutto perquella privata. In un sommario messo dopo il racconto della guarigione diun lebbroso l’evangelista afferma che la fama di Gesù si diffondeva sem-pre di più e venivano a lui folle di gente desiderosa di ascoltarlo e di far-si guarire. Come reagiva Gesù a questa popolarità indesiderata? «Egliallora si ritirava nei luoghi deserti e pregava» (Lc 5,16)43. Nella visualelucana, il ritiro di Gesù nasce dal desiderio di rifugiarsi nella preghiera enon perché egli volesse evitare la gente (cf. Gv 6,15)44. Luca cambia quin-

42. In tutti questi casi «lo spezzare il pane» (hJ kla¿siß touv a‡rtou) indica per metonimia lapreghiera di benedizione e la distribuzione del pane. A prescindere dal fatto se il pasto ap-prontato da Paolo in At 27,35 abbia il valore cultuale o meno, resta vero (e significativo)che anche qui esso ebbe luogo tra la mezzanotte (v. 27) e lo spuntare del giorno (vv. 33.39).

43. Attento alla presentazione lucana della preghiera abituale di Gesù, Dupont, Le discours,354, propone la seguente traduzione di Lc 9,18: «alors qui’il était de nouveau (commetoujours) en train de prier…».

44. Impiegando lo stesso verbo (upocwre/w), Luca parla del «ritiro / fuga» di Gesù dallafolla in Lc 9,10, ma qui non viene menzionata la preghiera; questo atto è stato provocatodalla necessità di trovare un momento di tregua, come dice espressamente Mc 6,31-32.

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di la portata del sommario di Marco, secondo cui alla notizia della guari-gione divulgata dal lebbroso Gesù «non poteva più entrare pubblicamentein una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano da lui daogni parte» (Mc1,45).

Gesù pregava regolarmente ma aveva anche l’abitudine di farlo neimomenti e circostanze particolari. Luca menziona due volte la preghiera diGesù in 6,12, con cui si apre il racconto dell’elezione degli apostoli, evi-dentemente per dare maggiore rilievo all’accaduto45. In effetti, la scelta deiDodici aveva una grande importanza; per prepararsi a questo evento Gesùsi ritirò in preghiera e in essa gli fu rivelata la volontà di Dio in proposito.Lo stesso fece la chiesa apostolica, quando in At 1,24-25 chiese al Signoredi far conoscere il nome del candidato che doveva rimpiazzare Giuda46.

Soltanto Luca rileva che Gesù salì sul monte della «trasfigurazione»con l’intenzione di pregare (Lc 9,28) e il suo volto cambiò d’aspetto pro-prio «mentre egli stava pregando» (v. 29). La doppia menzione della pre-ghiera denota l’importanza dell’evento. Agli apostoli non solo vienesvelato il mistero della persona di Gesù, ma essi vengono pure illuminatisul ruolo salvifico che a lui è stato assegnato nel piano divino: egli devecompiere a Gerusalemme il suo esodo pasquale. L’inserimento di questarivelazione nell’ambito della preghiera sembra suggerire che quanto quiviene svelato agli altri all’esterno, Gesù lo sperimentava costantementenella preghiera; tramite di essa egli entrava a diretto contatto con la glo-ria di Dio, giungeva a conoscere meglio il proprio ruolo nel disegnosalvifico di Dio e si preparava a compiere la sua missione (cf. anche Lc3,21; 9,18; 22,39)47.

Alla necessità di pregare, anzitutto nei momenti decisivi, Luca ha datoparticolare risalto nella scena della preghiera di Gesù al monte degli Uli-vi. Si potrà aprezzare meglio il suo intento osservando la maniera in cuiegli ha rielaborato il materiale tradizionale48. Marco mette per primo l’ac-

45. È ovvio che la preghiera di Gesù era sempre diretta a Dio. Ma solo in Lc 6,12 il terzoevangelista ha sentito il bisogno di esplicitarlo, con il genitivo oggettivo thˆv proseuchˆv touvqeouv (cf. inoltre At 16,25).

46. Altri esempi che illustrano l’abitudine della chiesa di pregare per conoscere la volontàdi Dio circa le persone destinate ad un ministero si trovano in At 6,6; 13,3; 14,23; 20,36.

47. «Preghiera-visione-missione: tre realtà, ci dice quindi san Luca, che stanno in reciprocaconnessione» (Drago, Gesù, 47).

48. Cf. M. Galizzi, Gesù nel Getsemani (Mc 14,32-42; Mt 26,36-46; Lc 22,39-46) (Biblio-teca di scienze religiose 4), Zürich 1972; J.W. Holleran, The Synoptic Gethsemane. ACritical Study (AnGreg 191), Rome 1973; J.H. Neyrey, «The Lucan Redaction of Lk 22:39-46», Bib 61 (1980) 153-171; J.B. Green, «Jesus on the Mount of Olives (Luke 22.39-46).

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cento sulla preghiera di Gesù, menzionata tre volte (Mc 14,32.35.39),mentre solo una volta accenna alla preghiera dei discepoli (v. 38), il cuidovere principale resta quello di «vegliare» (vv. 34.37.38). Anche inMatteo, che segue da vicino Marco, il Gesù orante è al centro del raccon-to (Mt 26,36.39.44) e il compito dei discepoli consiste nel vegliare «con»lui (vv. 38.40.41). L’ottica di Luca è alquanto diversa. Benché anche luiparli per tre volte della preghiera di Gesù (Lc 22,41.44.45), tuttavia, rife-rendosi ai discepoli, tralascia del tutto l’invito a vegliare e riporta inveceper due volte, all’inizio e alla fine del racconto (un tipico procedimentodi inclusione letteraria: vv. 40.46), l’imperativo di Gesù di pregare pernon entrare in tentazione49.

Per Luca quindi, pare di capire, l’episodio del Getsemani non è soltan-to il momento supremo della prova per Gesù ma lo è anche per i suoi di-scepoli ed essi pertanto, imitando il Maestro (cf. il verbo ajkolouqe/w nel v.39), devono trarre la forza dalla preghiera, se vogliono davvero rimanerefedeli50. L’attenzione di Luca si concentra comunque in primo luogo sullapersona di Gesù. Tutto ciò che egli fa (la separazione dai discepoli, la posi-zione del corpo e la preghiera solitaria) serve ad indicare che Gesù affrontacon grande dignità la situazione oltremodo difficile. Egli è il modello, nontanto della sofferenza51, quanto piuttosto dell’obbedienza alla volontà diDio, alla quale egli ha saputo adeguarsi opponendosi invece, col poteredella preghiera, alla tentazione di abbandonare il campo.

Tradition and Theology», JSNT 26 (1986) 29-48; e il più recente e ben documentato R.E.Brown, The Death of the Messiah. From Gethsemane to the Grave. A Commentary on thePassion Narratives in the Four Gospels, I, New York ecc. 1998 [1994], 107-234.

49. Il peirasmo¿ß non indica qui le ricadute nel peccato o l’infedeltà quotidiana (in sensomorale), frutto della debolezza della carne (il dato di Mc 14,38b//Mt 26,41b manca in Luca);l’espressione sintetizza invece le prove, tribolazioni e persecuzioni che potrebbero portareil credente all’apostasia (Lc 8,13). È necessario quindi chiedere l’aiuto di Dio per preserva-re la fede (Lc 11,4: «non permettere che soccombiamo nella tentazione»). «Prayer ispresented [by Luke] as the way to avoid falling from the faith» (Plymale, The Prayer, 109;cf. p. 60).

50. La sequela di Gesù nella sua vita di preghiera è un importante elemento del discepolato;cf. D.M. Sweetland, «Following Jesus. Discipleship in Luke-Acts», in E. Richard (ed.), NewViews on Luke and Acts, Collegeville MN 1990, 109-123, qui 113.

51. È bene ricordare che Luca tralascia le informazioni di Mc 14,33-34//Mt 26,37-38 sullapaura e angoscia di Gesù. Sotto un altro profilo, la forte tensione e l’aspetto doloroso dellapreghiera di Gesù sono comunque contemplati nel materiale particolare di Lc 22,43-44 (lamisterosa apparizione dell’angelo confortatore e l’abbondante sudorazione di Gesù). Questiversetti appartengono ad un’antica tradizione ma non figurano nei più antichi codici delvangelo di Luca. Per la discussione rinvio a R.E. Brown, «The Lucan Authorship of Luke22:43-44», in E.H. Lovering, Jr. (ed.), SBL Seminar Papers, Atlanta GA 1992, 154-164.

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È quindi nel dialogo personale con Dio che l’uomo sperimenta la pre-senza di lui e gli viene rivelato il disegno divino; ed è questa anche lalezione che, sull’esempio di Gesù, Luca cerca di impartire ai lettori dellasua opera presentando l’atteggiamento orante della primitiva comunità cri-stiana. Mediante la preghiera la chiesa apostolica si prepara alla venutadello Spirito (At 1,14; 2,1); terminata l’orazione comunitaria «tutti furonopieni di Spirito santo e annunciavano la parola di Dio con franchezza»(4,31). È nella preghiera che Dio guida Pietro ad accettare Cornelio comeprimo pagano convertito (10,9; 11,5), così come guida Cornelio (10,3-4).Nella preghiera Paolo può comprendere la sua missione (9,11; 22,17). Lepreghiere degli apostoli spianano la strada agli eventi miracolosi (9,40;16,25; 28,8).

Il pensiero di Luca sull’importanza e sul ruolo preminente della pre-ghiera nei confronti della missione salvifica si coglie in maniera esem-plare in At 6,4, dove i Dodici spiegano la scelta dei Sette con questamotivazione: «Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministerodella parola». L’ordine dei compiti apostolici sembra strano, a prima vi-sta. Infatti, nelle parole dell’invio (Lc 24,47; At 1,8), in cui Gesù indi-ca l’oggetto della missione degli apostoli, manca qualsiasi riferimentoalla preghiera. Ciononostante Luca è convinto, e lo fa vedere lungo tuttala sua opera letteraria, che il buon esito della missione dipende dallavita di preghiera che dona forma, contenuto e sostegno ad ogni attivitàapostolica52.

La preghiera continua

Nell’indicare la durata della preghiera di Gesù e della comunità apostolicaLuca è ugualmente generico e impreciso come prima a proposito del luo-go53, quasi volesse con ciò dire che in fin dei conti la durata della preghie-ra non è di fondamentale importanza; quello che conta davvero è pregare,

52. Cf. più diffusamente l’articolo di J. Quinn.

53. Si noti ad es. che Luca tralascia il rimprovero fatto da Gesù a Pietro e agli altri disce-poli, incapaci di vegliare con lui «un’ora sola (mi/an w‚ran)» (Mc 14,37//Mt 26,40). L’im-perfetto iterativo proshu¿ceto (Lc 22,41//Mc 14,35) segnala che la preghiera di Gesù, dicui l’evangelista ha colto nel v. 42 il contenuto o il dato più caratteristico, era prolungatae si rinnovava in un arco di tempo imprecisato. Parimenti lunga e impossibile da definireè la durata della preghiera in Lc 11,1: proseuco¿menon (il part. pres.) wß ejpau¿sato(l’aoristo). Lo stesso, in fin dei conti, si potrebbe dire di tutte le altre menzioni della pre-ghiera di Gesù.

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pregare sempre54. Numerosi passi lucani sulla preghiera di Gesù fanno pen-sare che egli non solo dedicava ad essa molto tempo, ma che l’intera esi-stenza di Gesù affondava le sue radici nella preghiera, trovando in essaguida per la vita e alimento spirituale. Questa verità, espressa dall’evange-lista a livello narrativo, riceve una conferma dall’insegnamento di Gesù,che, di riflesso e quasi a modo di commento, getta ulteriore luce sulla suaprassi orante.

Solo Luca riporta la parabola del giudice e della vedova (18,2-8)55. Eglipremette ad essa un’introduzione redazionale che riecheggia il suo pensie-ro sulla preghiera continua: «[Gesù] disse loro una parabola sulla necessitàdi pregare sempre (pa¿ntote proseu¿cesqai), senza stancarsi» (v. 1)56.

Nell’intenzione di Gesù la parabola doveva, come al solito, illustrare ilcomportamento di Dio. Se un giudice disonesto è capace di soddisfare larichiesta di una vedova ostinata, a maggior ragione Dio saprà rispondere aquanti gli chiedono un favore; solo bisogna fidarsi di lui e della sua bontàpaterna. Questo senso originale ha assunto nella fase redazionale pre-lucanaun marcato indirizzo escatologico (vv. 7-8a). La parabola si è trasformatain un invito ad invocare l’imminente avvento della parusia e il compimen-to della vera giustizia, nutrendo la fiducia che Dio adempirà le sue promes-se. Nonostante il cambio d’indirizzo, il fondo primitivo della parabola èrimasto invariato. Lo stesso va detto dell’ultimo stadio della redazione,benché in essa la parabola di Gesù abbia preso di nuovo un’altra direzione.Infatti Luca, il quale mostra maggiore interesse per il tempo presente chenon per quello della fine, ha voluto imprimere nel racconto di Gesù unaparenesi radicata nella volontà divina (cf. l’infinito dei√n nel v. 1). Egli in-coraggia i suoi lettori ad essere perseveranti nella preghiera, che a volte puòdiventare importuna e molesta, come quella della vedova, avendo comun-

54. A questo aspetto è consacrata la monografia di W. Ott. Secondo lui nelle esortazioni di18,1 e 21,36 si riassume tutta la parenesi lucana sulla preghiera. La preghiera continua è ilmezzo con cui la chiesa, sull’esempio di Gesù, può vincere la tentazione dell’apostasia. Iltema della preghiera perseverante attraversa però tutta l’opera lucana, per quanto dallo stu-dio di Ott, il quale analizza soprattutto 11,1-13; 18,1-8; 21,34-36; 22,31-34.39-46 e dedicasolo poche pagine agli Atti, possa apparire diversamente.

55. Per una visione d’insieme del problema critico-esegetico di questa parabola cf. Caba,La oración, 26-62.

56. L’avverbio pa¿ntote, riferito alla preghiera, compare solo qui nei vangeli. Tale nesso èfrequente invece nell’epistolario paolino: Rm 1,10; 1Cor 1,4; Ef 5,20; Fil 1,4; Col 1,3; 4,12;1Tes 1,2; 2Tes 1,3.11; Fm 4. Si veda anche 1Tes 5,17: «pregate senza interruzione»(ajdialei/ptwß); questo precetto esercitò un grande influsso sulla spiritualità cristiana, spe-cie quella patristica; cf. un bel libretto di L. Cignelli, La «preghiera continua» nei Padridella Chiesa (collana «Repara domum meam»), Assisi 1986, soprattutto 11-18.

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que la certezza di essere prima o poi esauditi da Dio (cf. la domanda reto-rica e la risposta affermativa nei vv. 7-8b)57.

Analogo interesse del redattore si coglie nel discorso parabolico di Lc11,5-13, che si apre con la pittoresca parabola dei due amici (vv. 5-8), pa-rimenti riferita soltanto dal terzo evangelista58. Il racconto, che nell’inten-zione di Gesù doveva mostrare la bontà di Dio Padre, è diventato unappello alla preghiera «ostinata»59. Lo conferma una serie di detti di Gesù,presi da una fonte comune a Matteo (7,7-11) e collocati da Luca a conclu-sione della parabola: «chiedete e vi sarà dato…» (vv. 9-13). Anche qui l’in-dirizzo teologico, oggetto principale delle parabole di Gesù, è stato messoa servizio della parenesi. In Lc 11,5-13 l’agire fedele di Dio verso gli uo-mini (l’amico importunato) scende infatti in secondo piano, mentre l’inte-resse è puntato sul modo confidente con cui l’uomo (l’amico importuno)deve accostarsi a Dio nella preghiera. La sua perseveranza sarebbe tuttaviainfondata, se non fosse accompagnata dalla fiducia nell’attitudine amiche-vole e paterna di Dio, sempre pronto ad esaudire le richieste dei suoi figli.Quindi la contemplazione del volto di Dio e l’imitazione delle sue disposi-zioni sono la conseguenza diretta o il vero motivo del comportamentoorante degli uomini che, dietro le loro reiterate insistenze, verrannosenz’altro ascolati, ma come e quando lo deciderà Dio stesso60.

57. Tale certezza, che sta alla base della perseveranza nella preghiera, non va confusa conun atteggiamento di superba sicurezza nella propria giustizia, delineato nella parabola delfariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14). La fede nella misericordia di Dio, professata nellapreghiera, deve sempre rivestirsi di umiltà. Un bell’esempio di fiducia in Dio è rappresen-tato dalla preghiera d’intercessione di Gesù in favore di Pietro (Lc 22,31-32). Egli, dopoaver pregato, è certo di essere esaudito: Simone, «quando si sarà ravveduto» (ejpistre/yaß),inizierà la missione di «confermare» (sth¿rison) i fratelli.

58. Cf. Caba, La oración, 11-25; una buona sintesi della sezione di Lc 11,1-13 offre lo stu-dio di Leonardi.

59. A dire il vero il sostantivo ajnaidei/a (hapax legomenon del NT) presente nel v. 8 – ilpasso in cui si sente forte la mano redazionale di Luca – indica propriamente impudenza osfrontatezza di chi prega; cf. K. Snodgrass, «Anaideia and the Friend at Midnight (Luke11:8)», JBL 116 (1997) 505-513. Da qui deriva poi il senso di «insistenza / perseveranza»,come è stato esplicitato in alcuni codici latini (Itala, Volgata Clementina) con l’aggiunta diet si ille perseveraverit pulsans all’inizio della frase.

60. Per Luca infatti l’efficacia della preghiera non è dovuta solo ed esclusivamente alla fededell’orante. La fede unita ad una preghiera insistente sono un presupposto necessario e suf-ficiente, quando il volere di chi prega si adegua al volere di Dio. «For Luke it is not the willof the individual, but the will of God which is decisive in how prayer is answered» (Crump,Jesus, 130). È questo, verosimilmente, il motivo che ha spinto il terzo evangelista ha trala-sciare i passi di Mc 9,28-29 e 11,22-24 sull’efficacia della preghiera fatta con fede. Cf.Dupont, «La prière».

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61. In questo passo la preghiera è resa con il part. pres. medio del verbo de/omai che espri-me l’idea di una forte supplica con cui il bisognoso invoca l’aiuto di Dio o intercede pressodi lui a favore di un altro (Lc 10,2; 22,32; At 4,31; 8,22.24; 10,2; cf. anche il sostantivoderivato de/hsiß in Lc 1,13; 2,37; 5,33). Con lo stesso termine viene pregato Gesù dai suoicontemporanei (Lc 5,12; 8,28.38; cf. 9,40).

62. Nu¿kta kai« hJme¿ran ossia sempre / continuamente (cf. At 9,24; 20,31; 26,7). Analogaespressione (il merismo), in riferimento alla preghiera, compare in Lc 18,7: «Dio non faràgiustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte (hJme¿raß kai« nukto¿ß) verso di lui?» (cf.LXX Sal 21,3; 41,9; 76,3; 87,2; 1Ts 3,10; 1Tm 5,5; vedi inoltre Gc 5,13 dove l’aspetto tem-porale viene però sostituito con la circostanza: pregare nella gioia e nel dolore).

63. Osserviamo infatti con D. Peterson, «The Worship of the New Community», in Marshall- Peterson (ed.), Witness to the Gospel, 385, che in Lc 24,52-53 e nei primi capitoli degliAtti, «prayer and praise were offered to the glorified Jesus while adoration continued to beoffered to the God of their ancestors in the context of the Jerusalem temple». Questo «para-dosso» del primitivo culto cristiano può essere senz’altro giustificato.

Un’altra parola di Gesù, sempre di patrimonio lucano, raccomanda ildovere della preghiera continua: «Vegliate dunque pregando in ogni mo-mento (ejn panti« kairwˆ◊ deo¿menoi)» (Lc 21,36)61. Si potrà apprezzare me-glio il pensiero del terzo evangelista, tenendo conto dei passi paralleli inMt 24,42 e Mc 13,33, dove la vigilanza viene richiesta a motivo dellaparusia inattesa di Cristo (cf. inoltre 1Pt 4,7). Questo insegnamento Lucalo riporta altrove (Lc 12,35-40), mentre la vigilanza di cui parla nel suodiscorso escatologico si riferisce al tempo intermedio che separa dalla ve-nuta di Cristo. Per sfuggire a tutto ciò che potrebbe indebolire la fede, ènecessario vegliare. In che modo? Pregando in ogni momento. Per Luca lavigilanza e la preghiera non sono quindi due attitudini separate ma la pri-ma si concretizza nella seconda, così che si può dire che il miglior modo divegliare è la preghiera. La stessa idea emerge nel racconto della preghieradi Gesù al monte degli Ulivi (Lc 22,39-46). Il terzo evangelista non riportaqui, come fanno gli altri sinottici, le parole con cui Gesù invita i discepolia pregare e vigilare. Per lui la vigilanza vuol dire una cosa sola: «pregare,per non entrare in tentazione» (vv. 40.46).

La chiesa apostolica comprese bene l’imperativo di Gesù sulla necessi-tà di una preghiera continua. Luca racconta che dopo aver adorato Cristomentre veniva portato al cielo la comunità di Gerusalemme «stava sempre(dia\ panto\ß) nel tempio lodando Dio» (Lc 24,53), così come la profetessaAnna che «notte e giorno con digiuni e preghiere» serviva Dio nel tempio(Lc 2,37)62. Questo genere di vita dei primi cristiani, seppure paradossaleper certi versi63, si rafforza ulteriormente in seguito all’evento della Pente-coste: «ogni giorno (kaq∆ hme/ran) tutti insieme frequentavano il tempio espezzavano il pane a casa… lodando Dio» (At 2,46.47). Inoltre, del paga-

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64. «Proskartere/w signifie proprement s’attacher avec force (kra¿toß) à une chose, s’ytenir fermement» (Dupont, Le discours, 366).

65. Altrove proskartere/w significa «frequentare» il tempio (At 2,46), oppure riveste ilsenso di dedizione / servizio per qualcuno (At 8,13; 10,7). Sulla preghiera perseverante cf.inoltre Rm 12,12; Ef 6,18 e Col 4,2.

66. Cipriani, «La preghiera», 30, parla di «una permanente tensione spirituale».

no Cornelio si dice, fra l’altro, che egli «pregava sempre (deo/menoß dia\panto/ß) Dio» (At 10,2).

L’idea della costanza è implicita nel verbo proskartere/w «persevera-re / essere costante, assiduo, occupato in qualche cosa / frequentare»64. Essoricorre 6 volte negli Atti (1 volta in Marco e 4 volte nell’epistolariopaolino) e spesso si riferisce alla perseveranza nella preghiera. In At 1,14si dice che i credenti «erano assidui nella preghiera»; la stessa forma diconiugazione perifrastica ritorna in At 2,42: i cristiani «erano assidui…nelle preghiere». Se ne ricava l’impressione che la vita della primitiva co-munità cristiana fosse caratterizzata da una regolare prassi della preghiera.Infine in At 6,4 i Dodici aggiungono il seguente motivo per l’elezione deiSette: «noi invece saremo assidui / occupati nella preghiera e nel ministerodella parola»65.

Mediante alcuni richiami espliciti (Lc 18,1 e 21,36) e gli esempi, speciedi Gesù e poi della chiesa primitiva, ma anche mediante la citazione di nu-merose preghiere, Luca invita la comunità dei credenti alla costanza nellapreghiera. Non si deve però pensare che egli voglia inculcare l’esercizio diuna preghiera ininterrotta, nel senso cioè di dedicare ad essa tutto il tempo.«Pregare sempre» non vuol dire votarsi solo ed esclusivamente all’orazione(il che sarebbe impossibile anche per chi della contemplazione ha fatto unaforma di vita); significa piuttosto assumere uno stile di vita orante o religio-sa, in cui l’esistenza umana rimane aperta al trascendente e si lascia illumi-nare dall’azione trasformante di Dio. Eppure questo stato permanente diessere, di vivere e di agire66 non può tralasciare l’esercizio del dialogo veroe proprio con Dio. La preghiera delle «labbra», di qualsiasi genere ed espres-sione essa sia, è anzi un’esigenza e un imperativo della preghiera del «cuo-re». Il legame permanente con Dio, vissuto in modo esemplare da Gesù edemulato dalla primitiva comunità cristiana come un’esperienza continua, habisogno di (ri)crearsi degli spazi appropriati per dialogare con Dio, a livellosia individuale che comunitario. Luca dimostra quindi un grande equilibrio.Anche se gli sta maggiormente a cuore la formazione di un’esistenza orante,non dimentica affatto il mezzo che suscita, conduce e favorisce il raggiun-gimento di questo scopo: la prassi regolare della preghiera.

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67. Plymale, The Prayer, 30.

68. Il codice D aggiunge qui proshu¿xato kai«.

69. Si possono citare 2Cr 20,12; Tb 3,12; LXX Sal 24,15; 122,1-2; 144,15; Dn 4,31; 13,35;cf. anche Ez 18,6; 33,25: «sollevare gli occhi agli idoli». Il gesto di alzare lo sguardo alcielo non era comunque molto usuale nell’epoca di Gesù; gli ebrei solevano volgersi versoil tempio; cf. Strack - Billerbeck, Kommentar, I, 685.

3. Il modo di pregare

Da quanto si è detto fin qui appare evidente che Luca sia interessato piut-tosto alla qualità della preghiera che non al suo aspetto spaziale-quantitativo. La stessa percezione si ha osservando da vicino il trattamentoriservato da lui alla modalità della preghiera, vale a dire a come pregare.

L’atteggiamento dell’orante

Luca non condivide la tendenza, diffusa nel mondo pagano e in parte pre-sente anche nell’ambiente ebraico (Qumran), di rinchiudere la preghiera nelcampo rituale. Egli conosce i tempi ufficiali della preghiera giornaliera neltempio e nella sinagoga il giorno di sabato, ma cerca soprattutto di metterein evidenza che la preghiera, quella personale in primo luogo, è un’attivitàcontinua e rappresenta una reazione spontanea nei confronti degli eventisalvifici. Come si può notare nella parabola del fariseo e del pubblicano,«l’attitudine di chi prega sembra interessare Luca più di qualsiasi uso diparole prestabilite»67. Ma è soprattutto l’atteggiamento orante di Gesù cheha in qualche modo impressionato l’animo di Luca, come dimostra la suadescrizione della prassi del Signore e di quella della comunità apostolica.

a) Gesù prese cinque pani e due pesci e «dopo aver rivolto lo sguardoal cielo (ajnable/lyaß ei˙ß to\n oujrano\n68), li benedisse» (Lc 9,16 = Mc6,41//Mt 14,19). Giovanni non ricorda questo particolare nel suo raccontodella molitplicazione dei pani; lo menziona invece in altre due occasioni:Gesù compie lo stesso gesto al risuscitamento di Lazzaro, quando ringra-zia il Padre per averlo ascoltato (Gv 11,41), e durante l’ultima cena, quan-do pronuncia la preghiera della sua «ora» (Gv 17,1). Sulla base di questiesempi, e tenuto conto del fatto che alzare o volgere gli occhi al cielo, alladimora di Dio, fa parte dell’attitudine orante giudaica69, bisogna ritenereche anche in Mc 7,34, dove Gesù guarda verso il cielo prima di guarire unsordomuto, viene fatto riferimento ad un gesto di preghiera.

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70. L’imposizione delle mani in At 6,6 e 13,3 è preceduta dall’orazione (cf. inoltre 14,23).Su questo gesto specifico vedere R. Péter, «L’imposition des mains dans l’Ancien Testa-ment», VT 27 (1977) 48-55; J.K. Parratt, «The Laying on of Hands in Acts», ExpT 80 (1968-1969) 210-214; J. Coppens, «L’imposition des mains dans les Actes des Apôtres», in J.Kremer (ed.), Les Actes des Apôtres. Tradition, rédaction, théologie (BETL 48), Gembloux- Leuven [1978], 405-438; O. Knoch, «Die Funktion der Handauflegung im NeuenTestament», LJ 33 (1983) 222-235; G. Cavalli, L’imposizione delle mani nella tradizionedella Chiesa latina. Un rito che qualifica il sacramento (Studia Antoniana 38), Roma 1999,25-50 (l’imposizione delle mani nella Bibbia).

71. Il gesto di alzare le mani «is one of the most common gestures in prayer» (Miller, TheyCried, 51); cf. Es 17,11; 1Re 8,22.38; 2Cr 6,13c; Esd 9,5; Tb 3,11; 2Mac 3,20; 15,12.21;LXX Sal 87,10; 142,6; Sir 48,20; Lam 2,19; 1Tm 2,8. Al gesto narrato in Lc 24,50 si puòaccostare l’imposizione delle mani sui bambini, ben conosciuta nell’ambiente giudaico (cf.Dupont, «Jésus», 18 nota 3l e 27 nota 22). Solo Mt 19,13 segnala che i bambini venivanoportati a Gesù, «perché imponesse loro le mani e pregasse». Nel parallelo di Mc 10,13 silegge: «perché li accarezzasse», ma più avanti è detto che Gesù prese i bambini fra le brac-cia «e imponendo loro le mani, li benediceva» (v. 16). Invece Lc 18,15 parla delle carezzeai «bambini piccoli», tralasciando la notizia dell’imposizione delle mani e della preghiera,forse a causa del significato particolare che questo gesto ha assunto negli Atti, come spiegaO. da Spinetoli, Luca, Assisi 19862, 658.

Nell’opera lucana questo motivo ricorre ancora nella parabola delfariseo e del pubblicano, il quale «non osava neppure alzare gli occhi alcielo» (Lc 18,13). Luca ricorda inoltre che dopo il suo discorso Stefano,«fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla suadestra» (At 7,55).

Alla benedizione, ma questa volta delle persone, è unito un altro gestodi Gesù ricordato nell’epilogo del terzo Vangelo. Il Risorto condusse i di-scepoli verso Betania e, «alzate le mani (ejpa¿raß ta\ß cei√raß aujtou◊), libenedisse» (Lc 24,50). Il gesto di alzare (o di imporre) le mani è legato inmodo specifico con la benedizione (Nm 9,22; Sir 50,20), con la consacra-zione per un ministero (Nm 8,10; 27,18; Dt 34,9)70 e soprattutto con la pre-ghiera, dove sta ad indicare l’indirizzo della preghiera, l’implorazioned’aiuto oppure il sentimento di esaltazione e lode dell’orante71.

b) «In quello stesso istante Gesù esultò (hjgallia¿sato) nello Spiritosanto e disse…» (Lc 10,21). È noto che lungo tutta l’opera lucana si re-spira un’atmosfera di esultante lode e serena letizia. Il tema della gioiacompare già all’inizio della scena che presenta il ritorno dei discepoli dal-la missione: essi «tornarono pieni di gioia (meta\ cara◊ß)» (Lc 10,17).Esultare nella preghiera, o semplicemente gioire, è spesso un atto di cele-brare la presenza e l’attività salvifica di Dio nella storia. Sarà sufficientecitare qualche esempio dal terzo Vangelo. Zaccaria esulta alla notizia cheGiovanni avrà un ruolo nel piano della salvezza (Lc 1,14); Giovanniesulta nel grembo di Elisabetta alla presenza del Signore (1,44); Maria

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72. Cf. poco sopra vv. 13-16: la condanna delle città del lago che non hanno creduto all’an-nuncio, e prima ancora 9,52-56: il ripudio di Gesù da parte dei samaritani.

73. Dupont, Le discours, 344, si dice sorpreso nel costatare che l’espressione lucana ti/qhmita\ go¿nata, perfetta traduzione del latino genua ponere, è «barbara e volgare» in greco, ilquale avrebbe preferito altre locuzioni: «cadere in ginocchio» (gonupete¿w) o «piegare leginocchia» (ka¿mptw ta\ go¿nata).

esulta per le cose che Dio ha realizzato in lei (1,47); Gesù raccomanda lagioia nelle persecuzioni (6,23); i discepoli gioscono quando Gesù entra aGerusalemme (19,17). Alla luce di questi testi si può pensare che Gesùcerchi di contenere (v. 20: mh\ cai/rete) e di dare una giusta direzione al-l’entusiasmo manifestato dai discepoli dopo la loro fortunata impresa apo-stolica. Il motivo della gioia non deve essere l’effetto immediato del loroagire personale, ma deve nascere dalla coscienza di partecipare al compi-mento del piano salvifico del Padre («i vostri nomi sono scritti nei cieli»);e detto ciò, in quello stesso istante Gesù, pieno di gioia, cominciò a loda-re il Padre. Che cosa ha originato questa esultanza nello Spirito? L’attivi-tà missionaria di Gesù, in cui il successo non è disgiunto dal fallimento72,è lo strumento della rivelazione del disegno salvifico che il Padre si ècompiaciuto di rivelare ai piccoli piuttosto che ai dotti e ai sapienti. Quin-di la gioia di Gesù, che sfocia nella sua preghiera, anche se in parte è sta-ta provocata dalla gioia dei discepoli, dipende fondamentalmente dalla suaconsapevolezza di una profonda intimità filiale che lo lega a Dio, cono-sciuto e lodato come Padre.

La stessa prospettiva sembra trapelare dall’orazione della comunitàcristiana dopo il rilascio dal carcere di Pietro e Giovanni (At 4,23-30).Anche se il termine esplicito è assente, tuttavia il brano è pervaso dallagioia che nasce dalla contemplazione dell’agire di Dio a partire dalla cre-azione fino a Davide e alla venuta di Cristo. Il passato dona la certezzache anche in futuro Dio farà trionfare la sua volontà, il cui avvento èinvocato ora nella fede. La preghiera si tramuta quindi in gioia, perchérende in un certo senso presente e benefica per chi prega l’attivitàsalvifica di Dio nel mondo.

c) «Poi [Gesù] si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, messosi inginocchio (qei«ß ta\ go¿nata), pregava» (Lc 22,41; cf. v. 45: «rialzatosidalla preghiera»)73. Non è la prima volta che Luca addolcisce il linguag-gio marciano, a volte crudo e violento, descrivendo con maggiore sen-sibilità l’atteggiamento orante di Gesù. Mentre Mc 14,35 dice che Gesù«si gettò a terra» e Mt 26,39 afferma che egli «si prostrò con la faccia aterra», Luca lo presenta in posizione inginocchiata, in conformità al co-

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74. Cf. 1Re 8,54; 18,42; 1Cr 29,20; 2Cr 6,13b; 20,18; Esd 9,5; Is 45,23; Dn 6,11. L’orantebiblico assume tre posizioni comuni nell’ambiente religioso: in piedi, in ginocchio, oppu-re con il corpo prostrato; cf. F. Heiler, Das Gebet. Eine religionsgeschichtliche undreligionspsychologische Untersuchung, München 19214 (1919), 98-109; O. Keel, TheSymbolism of the Biblical World. Ancient Near Eastern Iconography and the Book ofPsalms, New York 1978, 308-323; H. Cazelles, «Gestes et paroles de prières dansl’Ancien Testament», in Gestes et Paroles dans les diverses familles liturgiques. XXIVe

Semaine d’étude liturgique. Paris 1977 (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae». Subsidia14), Rome 1978, 87-94. La posizione è importante nella misura in cui svela l’animo inte-riore di chi prega. I due personaggi della parabola di Lc 18,10-14: il fariseo che stava«ritto» (cf. Mt 6,5) e il pubblicano che da lontano «si batteva il petto», manifestano conle pose – entrambe ammissibili e corrette (cf. Mc 11,25 e Lc 23,48) – i loro sentimentiverso Dio, che sono rispettivamente di superbia / presunzione e di umiltà / pentimento(cf. Dupont, Le discours, 342 nota 1).

75. Drago, Gesù, 41.

76. Il «gridare» (ajna-fwne/w / kra¿zw / boa¿w), frequente nell’AT (soprattutto nel Salterio;cf. M. Cimosa, La preghiera nella Bibbia greca. Studi sul vocabolario dei LXX, Roma1992, 217-220), designa «l’appel ardent, pathétique, brutal peut-être, que lancent vers Dieuceux qui se trouvent dans une situation difficile» (Monloubou, La prière, 104). Cf. Es14,10; Dt 24,15; 1Sam 12,17; 2Sam 22,7; LXX Sal 17,7; 27,1; 38,13; 60,2; 87,2-3.14; Is38,13 ecc. (in Lc 1,42 l’esclamazione di Elisabetta è gioiosa). Del «grido» di Gesù, mafuori del contesto di preghiera, si parla ancora in Lc 8,8 e in Gv 7,37; 11,43; 12,44. Siveda inoltre Eb 5,7.

77. Cf. J. Haspecker, «Israels Gespräch mit Gott», BiLe 2 (1961) 81-92, qui 87.

stume giudaico74. «Con ciò san Luca ha voluto darci una immagine com-posta e riservata dell’umanità di Gesù che, pur nel momento drammaticodella passione, sa conservare la padronanza di sé»75.

La comunità cristiana imita il gesto orante del Signore: Stefano (At7,60), Pietro (9,40), Paolo con gli anziani di Efeso (20,36) e con i disce-poli a Tiro (21,5). Il mettersi in ginocchio in segno di umile sottomis-sione, di supplica e di venerazione – così come si usava fare dinanzi adun signore orientale – è stato utilizzato anche da coloro che si avvicina-vano a Gesù (Lc 5,8: Pietro; 8,41: Giairo; 17,16: il lebbroso guarito; cf.anche Mc 15,19 dove però i soldati si inginocchiano di fronte a lui perderiderlo).

d) Prima di spirare, Gesù «gridando a gran voce (fwnh¿saß fwnhˆvmega¿lhˆ), disse: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).Nella tradizione biblica il grido esprime l’attitudine del credente che, in unfrangente particolarmente grave o doloroso, invoca il soccorso di Dio76. Unbreve grido di preghiera, per lo più spontaneo, in cui si riassume tutto l’in-timo dell’orante, è indice di una profonda dipendenza dell’uomo da Dio edella fede riposta in lui (cf. Lc 18,7)77.

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78. Si veda G. Rossé, Il grido di Gesù in croce. Una panoramica esegetica e teologica,Roma 1984; A.M. Schwemer, «Jesus letzte Worte am Kreuz (Mk 15,34; Lk 23,46; Joh19,28ff)», ThBeit 29 (1998) 5-29.

79. «On the lips of Jesus the term [cry] gives expression to the realization of imminent death»(Plymale, The Prayer, 67). Cf. J. Bligh, «Christ’s Death Cry», HeyJ 1 (1960) 142-146.

80. Ad es. R. Pesch, «Der Christ als Nachahmer Christi. Der Tod des Stefanus (Apg 7) imVergleich mit dem Tod Christi», Bibel und Kirche 24 (1969) 10-11; T. Bergholz, DerAufbau des lukanischen Doppelwerkes. Untersuchungen zum formalliterarischen Charaktervon Lukas-Evangelium und Apostelgeschichte (EH 23/545), Frankfurt a.M. etc. 1995, 89-90. Cf. inoltre C.K. Barrett, «Imitatio Christi in Acts», in J.B. Green - M. Turner (ed.), Je-sus of Nazaret, Lord and Christ. Essays on the Historical Jesus and the New TestamentChristology, Grand Rapids - Carlisle 1994, 251-262.

81. Ricordando le «grida» di Gesù e di Stefano «Luke wishes the reader not to hear cries ofdesperation; rather is portraying a deep, child-like trust and confidence in God» (Plymale,The Prayer, 20). Mediante la preghiera Luca rivela quindi qualcosa del carattere degli oranti(in tal caso: l’assoluta fiducia in Dio e il perdono per i persecutori); era una tecnica nota nelmondo greco-romano, a cui Luca ha potuto ispirarsi (ibid., 30).

Un rapido confronto tra il racconto di Luca e quello degli altri sinotticipermette di notare una diversa tonalità di fondo78. Il grido di angoscia di Mc15,34//Mt 27,46: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21,2LXX) viene trasformato da Luca in un grido di assoluta fiducia e di obbe-diente accettazione della volontà di Dio. Il grido, anche se a prima vista de-sta sorpresa, non indica nel terzo Vangelo paura o angoscia. Il Gesù lucano èun uomo pio e fiducioso in Dio; prega sulla croce recitando le parole del Sal30,6 LXX, che non a caso vengono indirizzate al Padre, mentre il suo gridoesprime una certa urgenza di compiere la volontà di Dio79. Frutto di questapreghiera ardente e fiduciosa è la morte in silenzio e maestosa pace: «Dettoquesto, spirò». Invece in Mc 15,37//Mt 27,50 si parla di un altro gridoinarticolato di Gesù nell’ora della morte. Luca non ha riferito questo parti-colare, forse perché si conciliava male con la sua visione esemplare di Gesù.Proprio la composta calma nell’affrontare l’agonia e la morte, in cui si co-glie la fede e la certezza di Gesù di essere esaudito dal Padre, fu all’originedelle reazioni da parte del centurione e della folla (vv. 47-48).

Con questa impostazione del racconto Luca consiglia ai suoi lettori diadottare lo stesso atteggiamento religioso di fiducia e di abbandono nelPadre. È stato osservato che alla scena della morte di Gesù si ispira diretta-mente, come al suo modello primo, la scena della morte di Stefano80. An-che lui, mentre veniva lapidato, «invocava e diceva: Signore Gesù, accogliil mio spirito. Poi, messosi in ginocchio, esclamava a gran voce (e¡krazenfwnhˆv mega¿lhˆ): Signore, non imputar loro questo peccato. Detto questo,morì (lett. si addormentò)» (At 7,59-60)81.

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82. L’autenticità di questo detto, assente in molti codici antichi, è oggetto di discussione. È in-negabile comunque che esso riflette lo stile di Luca, soprattutto per quanto attiene ai temi dellapreghiera e del perdono. Per i principali argomenti in favore della paternità lucana di Lc 23,34cf. Prete, «Le preghiere», 88-91; Crump, Jesus, 79-85. Da ultimo si veda il saggio di Carras.

83. «Intercession is a prominent aspect of Luke’s prayer theology» (Plymale, The Prayer, 19);cf. lo studio decisivo in tal senso di Crump. Intercedere a favore degli altri, non soltanto deipersecutori (Lc 10,21; 22,31-32; At 8,15.24; 12,5), fa parte del comandamento dell’amore delprossimo. Ha ragione quindi Prete, «Le preghiere», 93, quando dice che l’amore di Dio per ipeccatori «rappresenta la vera pointe della preghiera che il Salvatore rivolge al Padre per i suoicrocifissori». Questo amore che si tramuta in preghiera non è altro che imitazione dei senti-menti del Padre che «è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35). Nella parabola di Lc18,1-8 Gesù presenta l’agire di Dio come giudice buono. Ciò vuol dire che anche la dottrina diGesù sulla preghiera è in stretto rapporto con il suo insegnamento su Dio Padre.

84. La familiarità orante di Gesù con Dio Padre, indice della sua impareggiabile intimitàfiliale, è un’istanza teologica di Luca: Lc 10,21; 22,42; 23,46; cf. anche 11,2. Sull’uso dipa¿ter rimando, fra gli altri, ad un eccellente studio di J.A. Fitzmyer, «Abba and Jesus’Relation to God», in F. Refoulé (ed.), À cause de l’Évangile. Études sur les Synoptiques etles Actes offertes au P. Jacques Dupont, O.S.B. à l’occasion de son 70e anniversaire (LD123), Paris 1985, 15-38.

La morte di Stefano è descritta da Luca come un’esperienza calma epacifica. Sull’esempio del Maestro anche lui muore con sentimenti di fedee fiducia in Dio, mentre il suo grido – lungi dall’essere un grido di dispera-zione – esprime un senso di urgenza circa il perdono invocato per i suoiuccisori. Nella sua richiesta di perdono si sente l’eco della supplica che ilCrocifisso rivolgeva ripetutamente (e¡legen) a Dio: «Padre, perdonali, per-ché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34)82. Gesù mette quindi per pri-mo in atto l’insegnamento impartito a suo tempo ai discepoli: «pregate percoloro che vi maltrattano» (Lc 6,28//Mt 5,44; cf. Lc 11,4//Mt 6,12)83.

Quello che distingue nettamente la preghiera di Gesù da quella di Stefa-no è l’indirizzo. Il primo si rivolgeva in maniera costante al Padre84, il secon-do invece «invoca» ku/rioß ∆Ihsouvß. È l’unica volta negli Atti in cui si pregain modo diretto Gesù Cristo; altrove la preghiera sarà implicitamente indiriz-zata al Signore Gesù, «invocando il suo nome (ejpikalesa¿menoß to\ o¡nomaaujtouv)» (At 22,16; cf. 2,21?; 9,14.21). Questo cambio dell’indirizzo non devestupire più di tanto. Infatti, come manifesta la visione che Stefano ha avuto inpunto di morte, dopo l’assunzione in cielo Gesù, Figlio dell’uomo, entrandoa far parte del mondo divino (vv. 55-56), è diventato il principale agente del-l’opera di giudizio (At 10,42; 17,31) e di redenzione universale (At 2,33.36;4,12; 5,31). Potrebbe stupire – semmai – che i cristiani, invocando il nome diGesù, sulla scia degli israeliti che invocavano il nome di Jhwh (cf. Am 9,12citato in At 15,17), abbiano così presto riconosciuto la sua divinità. Inoltre,tenuto conto del fatto che a partire dall’episodio di Stefano (senza contare At

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2,21 che riporta la citazione di Gl 3,5), Luca comincia ad impiegare il verboejpikale/w in riferimento alla preghiera cristiana, è ragionevole pensare cheanche altrove essa sarà indirizzata alla persona di Gesù.

La cura con cui Luca ha registrato l’attitudine orante di Gesù e dellaprimitiva comunità cristiana sta per indicare che la preghiera non è sola-mente un atto verbale. Un ruolo importante ricopre in essa il linguaggio delcorpo, i cui movimenti esprimono vari atteggiamenti dell’animo di chi pre-ga. Del resto, la stessa unità dell’uomo richiede che tutto il suo essere (spi-rito e corpo) venga coinvolto nel dialogo con Dio. La gamma dei gestioranti di Gesù rivela quindi la sua totale dedizione alla preghiera e confer-ma nello stesso tempo che essa non era per lui un’azione di routine.

La ricerca della solitudine

La solitudine dell’orante è stata messa in risalto da Luca nella preghiera diGesù al monte degli Ulivi (Lc 22,39-46): «Poi si allontanò da loro quasiun tiro di sasso e inginocchiatosi, pregava» (v. 41). Nell’orto del Getsemaniil Gesù lucano resta solo. Le indicazioni degli altri sinottici sono vaghe enon suggeriscono in ogni caso una grande distanza tra i discepoli e il loroMaestro (cf. Mt 26,39//Mc 14,35: «andato avanti un poco / proelqw»nmikro\n»). Luca invece fa «allontanare» Gesù benché solo «a un tiro di sas-so», vale a dire ad una distanza sufficiente per vedere e sentire.

Per il terzo evangelista la solitudine nella preghiera rappresenta unaforma di ritiro dal mondo, favorito anche dalla scelta di un ambiente adatto(montagna o luoghi deserti). Non sempre comunque la solitudine del luogocorrisponde alla solitudine dell’orante. Questo si verifica senz’altro in Lc6,12, dove Gesù è solo a pregare sulla montagna, mentre sul monte della«trasfigurazione» e su quello degli Ulivi egli prega in presenza dei disce-poli. Lo stesso va detto dei luoghi deserti. Gesù aveva l’abitudine di recar-si in posti isolati e spesso lo faceva in forma privata (Lc 5,16). A volte peròalla sua preghiera solitaria assistevano i discepoli (Lc 9,18; 11,1). Per quan-to sembri paradossale, anche un posto affollato può rivelarsi adatto per unapreghiera solitaria, come mostra l’esempio di Gesù raccolto in orazionedurante il battesimo (Lc 3,21).

Negli Atti, al contrario del vangelo, si assiste ad un fiorire della pre-ghiera comunitaria, ma, benché pochi, non mancano comunque gli esempidi preghiera fatta in solitudine. Si racconta di Pietro che andò a pregaresulla terrazza (At 10,9); e di Paolo, che dopo la sua conversione rimase pertre giorni a Damasco, pregando, verosimilmente da solo, in una stanza del-

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85. Non è facile rendere il contenuto del sostantivo greco ajgoni/a (hapax legomenon del NT)che Luca ha attinto dal vocabolario agonistico e sportivo del tempo. Il termine – nient’af-fatto sinonimo di ansietà, angoscia o ribellione interiore, come a volte viene reso nelle tra-duzioni (la versione CEI: «in preda all’angoscia») – indica lo stato di massima concen-trazione o tensione interiore, che si manifesta pure all’esterno nel corpo, di chi sta persostenere una prova estremamente impegnativa.

86. Così Prete, «Le preghiere», 84-85.

la casa di Giuda (9,11). Si legge anche che le preghiere di Cornelio, abi-tuato a pregare nella sua casa, furono esaudite (10,2-4.30-31).

Può apparire strano che Luca, amante della preghiera solitaria, non ab-bia riportato il detto matteano in cui Gesù invita il discepolo a ritirarsi nel-la camera, chiudere la porta e pregare il Padre «che è in segreto» (Mt 6,6).Bisogna notare però che in questo passo l’accento non cade sulla lode del-la preghiera solitaria, da contrapporre alla preghiera in comune, ma sullacondanna di una preghiera ostentata (v. 5), di qualunque genere essa sia.Luca condivide lo stesso punto di vista (Lc 20,47).

L’intensità della preghiera

L’episodio lucano della preghiera di Gesù al monte degli Ulivi tende a mo-strare che in certe situazioni la preghiera si tramuta in un duro combattimen-to, in una lotta estenuante e dolorosa. Per superare la prova e adempiere lavolontà del Padre l’orante è chiamato a impegnare tutte le sue forze; eglideve cioè pregare con insistenza, come fece Gesù, dopo aver ricevuto l’aiu-to dell’angelo confortatore: «Ed entrato in agonia, pregava più intensamen-te (ejktene/steron proshu¿ceto)» (Lc 22,44a)85. In questa frase si potrebbeidentificare la pointe della preghiera di Gesù al monte degli Ulivi nella ver-sione lucana86. In effetti, Luca non solo fa vedere quanto sia stato difficile earduo per Gesù pregare in quella circostanza di grande prova, ma presentapure il modo esemplare in cui egli visse in prima persona l’insegnamentoimpartito ai discepoli sulla costanza nella preghiera (Lc 18,1). Il sudore disangue richiama la tensione interna sperimentata da Gesù. Ricevuto il con-forto dell’angelo, egli rafforzò ulteriormente la sua orazione. L’avverbioejktenw◊ß, nella forma comparativa (hapax legomenon in tutta la Bibbia) in-dica l’intensità e insieme il fervore della preghiera di Gesù.

Nel redigere il racconto della preghiera di Gesù al monte dell’«agonia» Lucaha avuto una finalità parenetica e didattica. L’agire orante del Signore nell’oradella tentazione, e soprattutto l’inciso sulla sua preghiera intensa, diventa nor-ma e modello per i discepoli. La stessa istanza si coglie nelle parole di Gesù

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87. Cf. M. Bouttier, «L’humanité de Jésus selon saint Luc», RechSR 69 (1981) 33-44 spec.40-43; «En offrant aux chrétiens Jésus comme modèle [de la prière], Luc n’a pas cédé à lapente facile de l’assimilation. Il est Autre, ce Sauver qui nous ressemble» (p. 43).

che Luca fa seguire immediatamente alla parabola dell’amico importuno(-ato)(Lc 11,9-10). Qui l’accento non cade tanto sul contenuto della preghiera, quantosul modo in cui bisogna pregare, vale a dire in maniera insistente.

La lezione impartita da Luca sull’esempio di Gesù fu ben recepita dal-la comunità cristiana nascente. Questa infatti, quando Pietro era rinchiusoin carcere, pregò «intensamente» per lui (At 12,5: proseuch\ h™n ejktenw◊ßginome/nh). Come nel caso di Gesù che in procinto di subire la passione ela morte pregava con grande fervore, anche qui l’«intensità» non si riferi-sce tanto alla durata di una preghiera che si rinnova nel tempo, quanto piut-tosto al modo della sua esecuzione (l’intensità e il fervore), richiesto dallasituazione difficile in cui versava il soggetto della preghiera (Pietro tenutoin prigione). Medesimo significato si può annettere al culto che il popolod’Israele attuava «con intensità» (ejn ejktenei/aˆ) nel tempio, attendendo ilcompimento della promessa messianica (At 26,7).

Conclusione

Più di ogni altro evangelista, Luca mostra interesse per gli aspetti formalidella preghiera di Gesù, offrendo numerosi indizi sul dove, sul quando /quanto e sul come egli pregava. Questa insistenza, così inequivocabile, èdovuta in buona parte alla visione lucana dell’umanità di Cristo. Se il pre-gare è l’attitudine più significativa dell’uomo verso Dio, allora Gesù mani-festa davvero la perfezione della sua umanità assunta, mettendo in luce larealtà e la coscienza del suo essere uomo come gli altri e più degli altri87.

Luca delinea in Gesù l’esempio mirabile e il modello perenne della pre-ghiera cristiana. La preghiera non è semplicemente una specie di guida persvolgere la missione; essa piuttosto plasma, anima e sostiene tutta la vita el’azione del Messia. Nel racconto evangelico, in cui Gesù è praticamenteil solo personaggio che prega, egli è l’orante per eccellenza, colui che sapregare e può quindi impartire un insegnamento autorevole e valido in talemateria. Non sarà inutile ricordare che «insegnaci a pregare» (Lc 11,1) èl’unica richiesta che i discepoli rivolgono a Gesù per imparare da lui qual-che cosa. Questa è appunto la strada che Luca raccomanda ai suoi lettori:imparare da Gesù a pregare. Non si tratta di apprendere a memoria un testodi preghiera, ma assumere l’attitudine orante di Gesù. Il «Padrenostro», più

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88. Al tema dell’unità di Lc-At è stato consacrato il 47˚ Colloquium Biblicum Lovaniense (29-31 luglio 1998). Negli atti pubblicati a cura di J. Verheyden (The Unity of Luke-Acts, Leuven1999) non si trova però nessun intervento dedicato alla preghiera, a parte qualche accenno;cf. S. Walton, «Where Does the Beginning of Acts End?», 447-467, qui 465-466 (la preghie-ra come uno dei temi presenti in At 1–2, che sono già apparsi nel terzo Vangelo e verrannosviluppati nel seguito degli Atti); B.J. Koet, «Divine Communication in Luke-Acts», 745-757,qui 751-752 (la preghiera di Gesù quale mezzo di comunicazione con il Padre).

che un testo base, rappresenta infatti una sintesi dei concetti che animava-no la preghiera del Signore e, soprattutto, indica il punto di riferimento diogni preghiera: la persona di Dio Padre.

Luca non sembra inculcare il dovere di imitare gli atteggiamenti esternidi Gesù, ripetendo cioè rigidamente i suoi spazi e tempi di orazione, come sequesti fossero una conditio sine qua non della preghiera autentica; inculcal’imitazione delle attitudini interne, le quali nondimeno trovano nell’aspettofisico un valido alleato. Quindi non un’imitazione puramente letterale, mapiuttosto quella spirituale. È questa, se così possiamo dire, la via normativadella preghiera che Luca insegna ai lettori della sua opera, invitandoli a con-templare la figura esemplare di Gesù e la prassi della chiesa apostolica.

I discepoli, benché partecipino alla missione di Gesù, appaiono nel terzoVangelo come semplici spettatori del suo agire orante; non si uniscono allasua preghiera e non si dice che si dedicano all’orazione, pur mostrando l’in-teresse ed essendo affascinati dall’esempio del loro Maestro. Viceversa, nellibro degli Atti, Luca documenta il diffondersi della pratica della preghieranella comunità cristiana primitiva. Gli evidenti paralleli che egli ha instaura-to tra la preghiera di Gesù e quella della chiesa apostolica sono insieme uninvito rivolto a tutti all’imitazione del primo e un incoraggiamento per quantidubitassero di poter raggiungere il livello della seconda.

Le due parti dell’opera lucana (Lc-At) sono da questo punto di vistacome le due facce della stessa medaglia. La preghiera rappresenta senz’al-tro un tema importante che lega i due scritti lucani. Accanto ad altri temiessa contribuisce a stabilire l’unità teologico-narrativa dell’opera, ma ser-ve anche a distinguere le due fasi dell’unico tempo della salvezza88. Il peri-odo della missione terrena di Gesù, centrale e determinante, e, nel casospecifico, il suo stile di dialogare con Dio, è la base e il criterio della mis-sione della chiesa apostolica, chiamata a continuare il ministero di Cristo,operando quale strumento divino nel compimento del piano della salvezzae traendo dalla preghiera forza e necessario sostegno.

Lesław D. Chrupcała, ofmStudium Theologicum Jerosolymitanum

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LA PRASSI ORANTE DI GESÙ NELLA CATECHESI LUCANA 135

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