Catechesi sulla preghiera

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Catechesi sulla preghiera 2010\11 1 CATECHESI SULLA PREG CATECHESI SULLA PREG HIERA HIERA TRATTA DAL SITO TRATTA DAL SITO HTTP HTTP :// :// WWW WWW . SANPRO SANPRO . ORG ORG / A] A] I L SIGNIFICATO DELLA L SIGNIFICATO DELLA PREGHIERA NELLA VITA PREGHIERA NELLA VITA E NELL E NELL INSEGNAMENTO DI INSEGNAMENTO DI G ESÙ ESÙ Farò ovviamente solo qualche accenno a riguardo del titolo di questa catechesi, ma credo che per cogliere alcune note essenziali della preghiera non vi sia modo migliore che quello di individuarli negli atteggiamenti concreti e negli insegnamenti del Signore. Se fondamentalmente la vita cristiana è, come dice san Paolo, un continuo divenire “conformi all’immagine del Figlio” di Dio (Rm 8,29), è chiaro che tale “conformità” dovrà assumere anche a questo aspetto così caratteristico di Gesù che fa di Lui “l’uomo orante” per eccellenza. Vediamo allora alcuni aspetti generali e altri relativi ai singoli Vangeli. Scorrendo i Vangeli ciò che sorprende è davvero il continuo atteggiamento orante di Gesù. Ricordiamo la prima manifestazione dello “spirito di preghiera” di Gesù al Tempio dopo il pellegrinaggio a Gerusalemme. Gesù ha dodici anni. “Perché mi cercavate? Non sapete che io debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?” (Lc 2,49). Tutta la vita di Gesù possiamo dire che si muove sotto il segno di una ricerca costante della volontà del Padre: “Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato” (Gv 4,34). Gesù non verrà mai meno a questo atteggiamento di radicale disponibilità verso il Padre: “Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò! ” (Gv 12,2728). Così nel Getsemani: “Padre mio, se è possibile, assi da me questo calice; però non come voglio io, ma come vuoi Tu” (Mt 26,39). Vi sarebbero altri testi da considerare e interessanti a riguardo – pensiamo al “Padre nostro”: “sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra” (Mt 6,10) , ma ora possiamo dire che Gesù prega per cercare e restare nella volontà del Padre. Nella preghiera Gesù realizza un contatto intimo e profondo col Padre, si incontra con Lui e aderisce totalmente alla sua volontà di amore: potremmo dire che ogni preghiera di Gesù fa avanzare di qualche passo decisivo il disegno della salvezza. L’evento della Trasfigurazione ci svela poi un altro aspetto strettamente legato al precedente. Luca lo inserisce in un contesto di preghiera: “Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare” (Lc 9,28) e ci porta a questa rivelazione: “E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (Lc 9,35). Altro aspetto della preghiera di Gesù è, per così dire, la ricerca di gradimento da parte del Padre. Negli ultimi fatti della vita terrena di Gesù, la sua preghiera raggiunge la massima espressione: è la preghiera più bella, più significativa e più commovente: la preghiera cosiddetta “sacerdotale”, nel contesto della ormai prossima Passione. Così prega Gesù: “Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo

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Catechesi sulla preghiera

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Catechesi  sulla  preghiera  2010\11  

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C A T E C H E S I S U L L A P R E GC A T E C H E S I S U L L A P R E G H I E R AH I E R A

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A]A] II L SIGNIFICATO DELLA L SIGNIFICATO DELLA PREGHIERA NELLA VITAPREGHIERA NELLA VITA E NELLE NELL ’’ INSEGNAMENTO DI INSEGNAMENTO DI GGESÙESÙ

Farò  ovviamente  solo  qualche  accenno  a  riguardo  del  titolo  di  questa  catechesi,  ma  credo  che  per  cogliere  alcune  note  essenziali  della  preghiera  non  vi  sia  modo  migliore  che  quello  di  individuarli  negli   atteggiamenti   concreti   e   negli   insegnamenti   del   Signore.   Se   fondamentalmente   la   vita  cristiana  è,  come  dice  san  Paolo,  un  continuo  divenire  “conformi  all’immagine  del  Figlio”  di  Dio  (Rm  8,29),  è  chiaro  che  tale  “conformità”  dovrà  assumere  anche  a  questo  aspetto  così  caratteristico  di  Gesù  che  fa  di  Lui  “l’uomo  orante”  per  eccellenza.  

Vediamo  allora  alcuni  aspetti  generali  e  altri  relativi  ai  singoli  Vangeli.  

Scorrendo   i   Vangeli   ciò   che   sorprende   è   davvero   il   continuo   atteggiamento   orante   di   Gesù.  Ricordiamo   la   prima   manifestazione   dello   “spirito   di   preghiera”   di   Gesù   al   Tempio   dopo   il  pellegrinaggio  a  Gerusalemme.  Gesù  ha  dodici   anni.  “Perché  mi   cercavate?  Non   sapete   che   io   debbo  occuparmi  delle  cose  che  riguardano  il  Padre  mio?”  (Lc  2,49).  Tutta  la  vita  di  Gesù  possiamo  dire  che  si  muove  sotto   il   segno  di  una  ricerca  costante  della  volontà  del  Padre:  “Mio  cibo   è   fare   la  volontà  di  Colui   che  mi  ha  mandato”   (Gv  4,34).  Gesù  non  verrà  mai  meno  a  questo  atteggiamento  di   radicale  disponibilità  verso  il  Padre:  “Ora  l’anima  mia  è  turbata;  e  che  devo  dire?  Padre,  salvami  da  quest’ora?  Ma  per   questo   sono   giunto   a   quest’ora!   Padre,   glorifica   il   tuo   nome”.   Venne   allora   una   voce   dal   cielo:   “L’ho  glorificato  e  di  nuovo  lo  glorificherò!  ”  (Gv  12,27-­‐‑28).  Così  nel  Getsemani:  “Padre  mio,  se  è  possibile,  assi  da  me  questo   calice;  però  non  come  voglio   io,  ma  come  vuoi  Tu”   (Mt  26,39).  Vi   sarebbero  altri   testi  da  considerare  e  interessanti  a  riguardo  –  pensiamo  al  “Padre  nostro”:  “sia  fatta  la  tua  volontà  come  in  cielo   così   in   terra”   (Mt   6,10)   -­‐‑,  ma   ora   possiamo   dire   che  Gesù   prega   per   cercare   e   restare   nella  volontà  del  Padre.    

Nella   preghiera   Gesù   realizza   un   contatto   intimo   e   profondo   col   Padre,   si   incontra   con   Lui   e  aderisce   totalmente   alla   sua   volontà   di   amore:   potremmo   dire   che   ogni   preghiera   di   Gesù   fa  avanzare   di   qualche   passo   decisivo   il   disegno   della   salvezza.   L’evento   della   Trasfigurazione   ci  svela  poi  un  altro    

aspetto  strettamente  legato  al  precedente.  Luca  lo  inserisce  in  un  contesto  di  preghiera:  “Circa  otto  giorni  dopo  questi  discorsi,  prese  con  sé  Pietro,  Giovanni  e  Giacomo  e  salì  sul  monte  a  pregare”  (Lc  9,28)  e  ci  porta   a   questa   rivelazione:   “E   dalla   nube   uscì   una   voce,   che   diceva:   “Questi   è   il   Figlio   mio,   l’eletto;  ascoltatelo”  (Lc  9,35).  Altro  aspetto  della  preghiera  di  Gesù  è,  per  così  dire,  la  ricerca  di  gradimento  da  parte  del  Padre.    

Negli  ultimi  fatti  della  vita  terrena  di  Gesù,  la  sua  preghiera  raggiunge  la  massima  espressione:  è  la  preghiera  più  bella,  più  significativa  e  più  commovente:  la  preghiera  cosiddetta  “sacerdotale”,  nel  contesto  della  ormai  prossima  Passione.  Così  prega  Gesù:  “Io  ti  ho  glorificato  sopra  la  terra,  compiendo  

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l’opera  che  mi  hai  dato  da  fare.  […]  Ora  io  vengo  a  te.  Padre  santo,  custodisci  nel  tuo  nome  coloro  che  mi  hai  dato,  perché  siano  una  cosa  sola,  come  noi”  (Gv  17).  C’è  una  connotazione  sacrificale  della  preghiera  di  Gesù  che  è  essenziale  per  tutti:  non  si  può  pregare  se  non  a  condizione  di  essere  in  un  sincero  atteggiamento   sacrificale,   nel   quale   si   intercede   per   tutti   in   virtù   del   Battesimo   che   ci   ha   resi  sacerdoti   e   dove   la   nostra   volontà   cerca   di   coincidere   con   quella   del   Padre.   Questo   aspetto   di  sintesi   a   pensarci   bene   non   è   affatto   scontato   nella   nostra   preghiera   e   può   avere   risvolti   molto  concreti  circa  la  vita  quotidiana  fatta  di  lavoro,  di  studio  e  di  relazioni.    

Sempre  dal  Vangelo  di  Giovanni  e  come  sviluppo  della  preghiera  sacrificale  si  apprende  l’aspetto  di  forte  intercessione  della  preghiera  di  Gesù.  Due  ambiti  in  particolare:  la  preghiera  di  Gesù  per  la   fede   di   Pietro   (cf   Lc   22,32)   e   quella   per   i   discepoli   perché   siano   “consacrati   nella   verità”   (Gv  17,17)  .  Sì,  Gesù  prega  perché  Pietro  non  venga  meno  nella  fede  e  possa  confermare  in  essa  i  suoi  fratelli:  è’  la  preghiera  di  Gesù  sulla  Chiesa,  affinché  sia  fedele  alla  volontà  del  Padre  e  la  ricerchi  sempre   per   corrispondervi   con   filiale   fiducia   e   obbedienza.   Vi   è   anche   la   preghiera   per   tutti   i  discepoli,  affinché  fedeli  al  Vangelo,  in  tutto  e  per  tutto,  siano  in  esso  “consacrati”,  comprendano  cioè  di  appartenere  al  Padre  e  in  esso  vi  trovino  la  gioia  di  donarsi  per  la  salvezza  del  mondo.  

Altri   aspetti   veramente   belli   della   preghiera   di   Gesù   sono   quelli   dell’esultanza,   del   perdono,  dell’affidamento  totale.  Luca  per  introdurre  una  preghiera  bellissima  di  Gesù  precisa  che  “esultò  [di  gioia]  nello  Spirito  Santo  e  disse:  “Io  ti  rendo  lode,  Padre,  Signore  del  cielo  e  della  terra,  che  hai  nascosto  queste  cose  ai  dotti  e  ai  sapienti  e  le  hai  rivelate  ai  piccoli.  Sì,  Padre,  perché  così  a  te  è  piaciuto”(Lc  10,21-­‐‑22).  E’  meravigliosa  questa  gioia,  diremmo  infantile,  di  Gesù  che  si  confida  al  Padre  e  che  ci  rivela  la  sua  intimità  con  Lui  e  con  i  piccoli.  Commuove  davvero.  C’è  poi  la  preghiera  di  perdono:  “Padre  perdona   loro  perché  non  sanno  quello  che   fanno”  (Lc  23,34).  Gesù  invita  anche  noi  a  questo  reciproco  perdono,  essenziale  per  una  preghiera  autentica.  Nel  Padre  nostro  lo  ripetiamo:  Rimetti  a  noi  i  nostri  debiti,  come  noi  li  abbiamo  rimessi  –  il  tempo  è  di  un’azione  compiuta  –  ai  nostri  debitori  (Mt  6,21).  Poi  dicevo  della  preghiera  di  totale  affidamento:  “Padre,  nelle  tue  mani  affido  il  mio  spirito”  (Lc  23,46).  Da  Gesù   ci   viene   consegnata   la   preghiera   di   più   totale   e   fiducioso   abbandono   filiale   a   Colui   che   è  Padre,  suo  Padre  e  mio  Padre.  

Permettete   solo   brevi   accenni   ad   alcuni   aspetti   della   preghiera   di   Gesù   specifici   dei   Vangeli  sinottici  e  di  Giovanni.  

All’interno   dei   sinottici   senz’altro   ciò   che   emerge   con   forza   è   la   preghiera   di   lode   e   di  ringraziamento.  Soprattutto  in  Luca,  che  possiamo  definirlo  l’Evangelista  della  preghiera,  si  coglie  poi  come  la  preghiera  debba  essere  costante  nella  fiducia  attendo  da  Dio  il  dono  dello  Spirito  (cf  Lc   11,9-­‐‑13)1.   Altro   aspetto   da   evidenziare   è   senz’altro   la   preghiera   comune.   Matteo   parla   della  preghiera  comunitaria  all’interno  del  discorso  ecclesiastico  di  Gesù.  Viene  sottolineata  la  sinfonia  

                                                                                                                         1  “Ebbene  io  vi  dico:  Chiedete  e  vi  sarà  dato,  cercate  e  troverete,  bussate  e  vi  sarà  aperto.  Perché  chi  chiede  ottiene,  chi  cerca  trova,  e  a  chi  bussa  sarà  aperto.  Quale  padre  tra  voi,  se  il  figlio  gli  chiede  un  pane,  gli  darà  una  pietra?  O  se  gli  chiede  un  pesce,  gli  darà  al  posto  del  pesce  una  serpe?  O  se  gli  chiede  un  uovo,  gli  darà  uno  scorpione?  Se  dunque  voi,  che  siete  cattivi,  sapete  dare  cose  buone  ai  vostri  figli,  quanto  più  il  Padre  vostro  celeste  darà  lo  Spirito  Santo  a  coloro  che  glielo  chiedono!  ”.    

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della  preghiera2,  nella  quale  il  cuore  deve  battere  all’unisono  con  quello  di  tutta  la  Chiesa,  dei  suoi  pastori  e  tra  fratelli.  E’  proprio  così,  ci  chiediamo?  

In  Giovanni  certamente  emerge  l’atteggiamento  contemplativo,  di  unione  tra  il  Padre  e  colui  che  prega  (Gv  1;  6;  15;  17  solo  per  citare  alcuni  capitoli).  Giovanni  ci  ha  scritto  un  Vangelo  che  già  di  per   se   stesso  è  preghiera.  Essa   si   svolge   sempre  nello  Spirito  Santo,   che  abita  “in  noi”,  Maestro  interiore,  Luce  d’intelligenza,  Paraclito  e  Guida  verso  Dio  (Gv  14;  16).  

Termino  con  una   riflessione  di   J.   Jeremias,  un  grande   teologo  e  biblista   luterano   tedesco,   su  una  provocazione   di   Clemente   d’Alessandria   circa   un   detto   di   Gesù   che   non   figura   nei   Vangeli:  “Chiedete  le  cose  grandi  e  Dio  vi  concederà  le  piccole”.  Jeremias  commenta:  “Le  vostre  preghiere  si  muovono  sempre  sulla  sfera  del  vostro  piccolo  ‘io’,  delle  vostre  necessità,  delle  vostre  difficoltà,  dei  vostri  desideri.  Domandate  delle  cose  grandi:   la  gloria  di  Dio,   il  Regno  di  Dio  onnipotente,   il  dono  delle  grandi  grazie,  il  pane  di  vita  e  la  misericordia  infinita  di  Dio;  e  tutto  questo  chiedetelo  per   l’ora  presente,  per  quaggiù:   ‘oggi’.  Con  questo  non  si  dice  che  non  possiate  esporre  a  Dio   le  vostre   povere   necessità   personali.  Ma   queste   non   devono   circoscrivere   la   vostra   preghiera.   E’   il  Padre  vostro  che  pregate.  egli  sa  tutta.  Sa,  prima  ancora  che  glielo  chiediano,  ciò  di  cui  i  suoi  figli,  hanno   bisogno.   Ed   aggiungerà   alle   grandi   grazie   i   piccoli   doni.  Gesù  disse:   “Chiedete   le   grandi  cose  e  Dio  vi  concederà  le  piccole”.  Gesù  ci  insegna  a  chiedere  al  Padre  le  “cose  grandi”  3.  

 

Preghiamo  

O  Padre,  che  unisci   in  un  solo  volere   le  menti  dei   fedeli,   concedi  al   tuo  popolo  di  amare  ciò  che  comandi  e  desiderare  ciò  che  prometti,  perché  fra  le  vicende  del  mondo  là  siano  fissi  i  nostri  cuori  dove  è  la  vera  gioia.    

Per  Cristo  nello  Spirito  Santo.    

Amen.  

(dalla  Colletta  XXI  del  T.O.)  

 

                                                                                                                         2    In  verità  vi  dico  ancora:  se  due  di  voi  sopra  la  terra  si  accorderanno  per  domandare  qualunque  cosa,  il  Padre  mio  che  è  nei  cieli  ve  la  concederà.  Perché  dove  sono  due  o  tre  riuniti  nel  mio  nome,  io  sono  in  mezzo  a  loro”.    (Mt  18,19-­‐‑20)  

3 J. Jeremias, Il messaggio centrale del Nuovo Testamento. Ed. Paideia, Brescia 1968

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B]B] LLA DISCIPLINA NELLA PA DISCIPLINA NELLA PREGHIERAREGHIERA.. A.JA.J .. HHESCHEL ESCHEL –– G.G. DDOSSETTI SJOSSETTI SJ

 

“Parlare  di  preghiera  è  per  un  versante  un  po’  presuntuoso,  nel  senso  che  non  ci  sono  espedienti,  non  esistono   tecniche,  non  esiste  una   forma  di  specializzazione  della  preghiera  come  se   fosse  un  qualcosa  di  matematico.  La  vita  intera  dev’essere  allenamento  alla  preghiera.  Preghiamo  nel  modo  in  cui  viviamo.  La  preghiera  dipende  non  solo  da  noi,  ma  anche  dalla  volontà  e  dalla  grazia  di  Dio.  A  volte  ci  di  fronte  ad  un  muro,  un  muro  molto  alto  e  non  siamo  in  grado  di  scalarlo.  E’  difficile  passare  oltre,  ma  anche  battere  il  capo  contro  il  muro  ha  molto  senso.  In  ultima  analisi,  c’è  un  solo  modo  di  acquisire  la  certezza  della  realtà  di  qualsivoglia  realtà,  e  questo  è  battere  la  testa  contro  il  muro.  Allora  scopriamo  che  c’è  qualcosa  di  reale  al  di  fuori  della  mente”.  

Così   si   esprime   A.J.Hescel,   uno   dei  massimi   pensatori   e  mistici   ebraici   del   secolo   scorso   (1907-­‐‑1972).    

Quello   qui   riportato   rispecchia   bene   sia   un   sentire   interiore   che   a   volte   ci   accompagna   nella  preghiera   e   per   il   quale   non   dobbiamo   spaventarci,  ma   piuttosto   coglierlo   come   una   realtà   –   lo  stare  come  davanti  ad  un  muro  –,  sia  una  via  –  direbbe  Gesù  “la  necessità  di  pregare  sempre”  -­‐‑,  sia  quell’aspetto   così  delicato  della  preghiera,   tra  Dio  e   l’uomo,  di   reciproca   immersione  nell’intimo  che  rende   le  cose  sempre  nuove  –  “la  sedurrò,   la  condurrò  nel  deserto  e  parlerò  al   suo  cuore.  Ti  farò  mia  sposa  per  sempre  nella  fedeltà”  (Osea).  

Questo  aspetto  ci  introduce  realisticamente  in  una  disciplina  che  la  preghiera  porta  in  sé,  rispettosa  del  mistero  che  essa  conserva.    

La  nostra  riflessione  ora  si  volge  alla  preghiera  cristiana  che  proprio  perché  tale  contempla  in  sé  l’elemento  chiave  della  preghiera  d’Israele:  l’ascolto  e  la  benedizione,  sono  come  un  tutt’uno.  

Sia  l’ascolto  che  la  benedizione  ci  indicano  che  la  preghiera  non  si  può  esaurire  in  un  istante,  né  si  muove  su  una  superficie  piana.  Essa  procede  attraverso  profondità  e  altezze,   lungo  deviazioni   e  vie  secondarie.  Avanza  gradualmente  da  parola  a  parola,  da  pensiero  a  pensiero,  da  sentimento  a  sentimento.  E  una  volta  giunti,   troviamo,  a  un  livello  in  cui   le  parole  sono  tesori,  che  i  significati  sono  nascosti,  ancora  da  scoprire:  si  tratta  della    

contemplazione   del   Nome   di   Dio,   nome   che   designa   un   esserci   costante   e   operante   per   il   suo  popolo,  per  i  suoi  figli.    

L’ascolto  è  la  prima  disciplina  nella  preghiera:  noi  ascoltiamo  Dio  –  “Ascolta  Israele:  Io  sono  il  tuo  Dio”   (Esodo);  “Tu  mi  sarai   figlio  e   io   ti   sarò  Padre”   (Profeti,   Isaia);  “Figlio  mio  custodisci   le  mie  parole   (Sapienziali,   Proverbi)   -­‐‑   nella   consapevolezza   che  Lui   ascolta  noi   –   “Il   tuo  grido   è  giunto  fino  a  me”   (Esodo);   “Al   tempo  della  misericordia   ti  ho  ascoltato”   (Profeti,   Isaia);   “La  mia  parola  non  era  ancora  sulle  labbra  e  Tu,  Signore,  già  la  conoscevi  tutta”  (Sapienziali,  Salmo).  L’ascolto  si  

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fa  poi  reciproca  benedizione  cosmica:  noi  benediciamo  per  il  Creato  nel  quale  vediamo  l’opera  di  Dio  e  a  Lui  torniamo  con  la  lode;  Egli  nel  Creato  contempla  l’uomo,  sua  immagine  e  somiglianza.  

Guardiamo  ora   alla   tipicità  della  preghiera   cristiana.  Essa   è   “preghiera  oggettiva”,   cioè   ancorata  alla   oggettività   della   Rivelazione”4,:   qu’   trova   la   sua   discilina.   Liquidiamo   così   subito   una  preghiera  sincretista,  oggi  di  moda,  dove  c’è  tutto  e  di  più,  dove  universi  religiosi,  che  nulla  hanno  a   che   fare   col   cristianesimo,   si   intrecciano   in   parzialità   e   controsensi:   è   la   cosiddetta  New  Age.  Dobbiamo  anche  stare  attenti  ad  una  preghiera  cosiddetta  antropologica,  che  assume  l’uomo,  l’io  soltanto,   come   oggetto   e   contenuto,   che   riflette   su   se   stessa.   Essa   ha   un   confine  molto   velato   e  sottile   perché   tende   a   rifarsi   fortemente   all’aspetto   emotivo.  Essa  perviene   a   volte   anche   ad  una  esplosione   per   così   dire  mistica   –   espressione   infelice,  ma   per   capirsi   -­‐‑,  ma   tutto   resta   orientato  all’io.  Ciò  accade  nelle  religioni  orientali  così  parzialmente  assunte   in  Occidente,   tradendo  il   loro  cuore   culturale.  Per  noi   credo  occorra  maggior   attenzione   ad  una  preghiera   che  valuti   in  ultima  istanza   tutto   sulla   base   emotiva.   E’   questo   un   rischi   costante   che   corriamo   e   nel   quale   spesso  cadiamo.   La   fonte   della   preghiera   non   è   l’emozione   che   si   prova   e   tanto  meno   l’emozione   può  diventare  un  criterio  a   sé  di  valutazione  della  preghiera   stessa.  La  preghiera  cristiana  è  ancorata  alla  Rivelazione.  E’  preghiera   trinitaria  per  Cristo,  nello  Spirito  e   rivolta  al  Padre.  Preghiera  che  vive   nel   mistero   della   Chiesa,   con   le   sue   azioni   propriamente   salvifiche   ed   efficaci,   ovvero   la  Liturgia  e  la  Carità:  questa  è  la  disciplina    della  preghiera  cristiana.    

Sulla   linea  di   quanto  detto   la  disciplina  nella  preghiera   è   ben   espressa  nella  Liturgia  delle  Ore.  L’Uffico,   le   Lodi,   l’Ora   media,   i   Vespri   e   Compieta   sono   preghiera   ufficiale,   disciplinata,   della  Chiesa.  Lì  si  prega  con  la  Chiesa,  per  la  Chiesa  e  il  mondo  intero;  si  compie  l’esercizio  dell’ufficio  sacerdotale  del  Battesimo.  La  preghiera  delle  Ore  meriterebbe  una  catechesi  apposita,  ma  per  ora  è  bene  sottolineare  come  essa  sia  disciplinata  con  il  resto  di  tutta  la  preghiera  liturgica  della  Chiesa  ed  è  consegnata  a  tutti  nell’ambito  degli  stati  di  vita  di  ciascuno.  E’  una  preghiera  che  dobbiamo  scoprire  maggiormente   in   tutta   la   sua   ricchezza  biblica   e   teologica.  Essa  non   è   la  preghiera   “già  pronta”,   ma   piuttosto   porta   con   sè   una   storia   biblica   di   uomini   in   dialogo   con   Dio,   capaci   di  riconoscere  la  Sua  presenza  fedele  nella  storia  e  di  leggerla  alla  luce  della  Parola  eterna.  

Non  si  terminerebbe  mai  di  trattare  questo  tema,  dando  uno  sguardo  interessantissimo  anche  alle  tradizione   spirituali   occidentali,   a   quella  monastica   e   a   quella   ortodossa,  ma   non   è   ovviamente  possibile.  Termino  limitandomi  alla  proposta  di  una  preghiera  quotidiana  disciplinata  in  tre  tempi:  mattino,  mezzogiorno  e  sera.    La  preghiera  del  mattino  è  quella  che  già  vede  l’alba,  il  giorno  nuovo:  essa  è  quella  che  ci  orienta  a  Cristo   mettendoci   nel   quotidiano   atteggiamento   di   sequela   a   Lui   come   gente   che   già   guarda   al  giorno  eterno.  E’  preghiera  che  vede  al  centro  il  Vangelo,  magari  quello  che  la  Liturgia  ci  offre.    La   preghiera   a  metà   giornata   contempli   l’invocazione   allo  Spirito   che   ci   guida   alla   verità   e   alla  comprensione  dell’opera  di  Dio  nel  tempo,  nell’oggi  che  si  sta  vivendo.  

                                                                                                                         4 Don Giuseppe Rossetti senior, Conversazioni.

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La  preghiera  della   sera   sia   il   ritorno   a   casa  nelle   braccia  del  Padre,   al   quale   confidare   tutto   e  di  tutto  rendere  grazie.  Lui  che  non  prende  sonno  ci  custodisce  per  il  nuovo  giorno  e  per  il  giorno  che  non  avrà  fine.  Questo  non  vuole  essere  uno  schema  rigido  e  formale,  ma  piuttosto  l’invito  concreto,  gestito  nelle  modalità  proprie  di  ciascuno,  alla  “santificazione  del  giorno  e  di  tutta  l’attività  umana”5  

 

 

 

C] “IL CANTO DI LODE CHE RISUONA ETERNAMENTE NELLE SEDI CELESTI… LA LITURGIA DELLE ORE

 

“Il   canto  di   lode,  che  risuona  eternamente  nelle  sedi  celesti,  e  che  Gesù  Cristo  Sommo  Sacerdote  introdusse   in  questa   terra  d’esilio,   la  Chiesa   lo  ha  conservato  con  costanza  e   fedeltà  nel   corso  di  tanti  secoli  e  lo  ha  arricchito  di  una  mirabile  varietà  di  forme”.    

Così   Paolo  VI   nella   Costituzione   apostolica  Laudis   canticum   (1   nov   1970),   sulla   scia   del   Concilio  Vaticano  II,  introduceva  il  Popolo  di  Dio  alla  preghiera  di  lode  a  Dio  che  perpetuamente  la  Chiesa  celebra  a  nome  di  tutto  il  creato  davanti  al  suo  Signore:  l’Ufficio  divino  o  Liturgia  delle  Ore.  Grazie  al  Concilio  Vaticano  II,  con  la  Costituzione  conciliare  Sacrosanctum  concilium  (4  dic  1963),  si  è   anche  maggiormente   compreso  come   la  Liturgia  delle  Ore   sia  “voce  della  Sposa   che  parla  allo  Sposo”  (84),  anzi,  partecipazione  alla  “preghiera  che  Cristo  unito  al  suo  corpo  eleva  al  Padre”  (84).    Essa   è   così   “destinata   a   diventare   la   preghiera   di   tutto   il   Popolo   di   Dio   […]   dove   ciascuno   vi  prende  parte   secondo   il   ruolo   che   riveste   nella  Chiesa   e   le   circostanze  della   propria   vita”   (CCC  1175).  

Dall’introduzione   sopra   citata   possiamo   cogliere   alcuni   aspetti   bellissimi   circa   la   comprensione  della  Liturgia  delle  Ore.  Essa  è  canto  di  lode  prima  di  tutto;  un  canto  perpetuo  che  risuona  dalla  terra,  ovvero  dal  cuore  di  ogni  uomo  e  quindi  da  ogni   cultura.  E’   canto   che   l’uomo  eleva   a  Dio,  ma   si   rende  voce  di   ogni  creatura:   è   canto   di   lode   cosmica.   La   fine   del   Prefazio   della   Preghiera   eucaristica   IV   ci   aiuta   a  comprendere  la  portata  di  questa  lode  cosmica:  “Schiere  innumerevoli  di  angeli  stanno  davanti  a  Te  per  servirti,  contemplano  la  gloria  del   tuo  volto,  e  giorno  e  notte  cantano  la  tua  lode.   Insieme  con   loro   anche  noi,   fatti   voce   di   ogni   creatura,  esultanti   cantiamo:   Santo  Santo  Santo  …”.   Sì,   “fatti  voce  di  ogni  creatura”.  Meravigliosa  è   la  citazione  del  Card.  Ballestrero  che  ho  già  richiamato   in  un’altra  catechesi:  “non  c’è  nessun  essere  che  sia  nato  per  pregare,   se  non   l’uomo.  Le  pietre  non  pregano.  Pregano  quando  l’uomo  in  un  gesto  religioso  le  prende  e  le  cambia  in  altare.  Ma  è  l’uomo  che  prega.  Siamo  nati  da  un  divino  colloquio  e  siamo  chiamati  ad  entrare  in  esso”.  

                                                                                                                         5 Principi e norme per la Liturgia delle Ore, 11.

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Ora,  questo  canto  di  lode,  è  celebrato  sulla  terra,  ma  esso  “risuona  nelle  sedi  celesti”.  Essa  è  liturgia  di  lode  celeste  che  ci  indirizza  al  giorno  che  non  conosce  tramonto6.  

Il  Santo  Concilio  si  esprime  in  modo  mirabile  a  proposito:  “Cristo  Gesù,  il  sommo  sacerdote  della  nuova   ed   eterna   alleanza,   prendendo   la   natura   umana,   ha   introdotto   in   questo   esilio   terrestre  quell'ʹinno  che  viene  eternamente  cantato  nelle  dimore  celesti.  Egli  unisce  a  sé  tutta  l'ʹumanità  e  se  l'ʹassocia   nell'ʹelevare   questo   divino   canto   di   lode.   Cristo   continua   ad   esercitare   questa   funzione  sacerdotale   per   mezzo   della   sua   Chiesa,   che   loda   il   Signore   incessantemente   e   intercede   per   la  salvezza   del   mondo   non   solo   con   la   celebrazione   dell'ʹEucaristia,   ma   anche   in   altri   modi,  specialmente  recitando  l'ʹufficio  divino”  (SC  83).  

Nella  Liturgia  delle  Ore  si  esercita  in  modo  sublime  il  sacerdozio  battesimale;  non  vi  si  prega  solo  per  sé,  ma  a  nome  di  tutta  la  Chiesa,  in  comunione  con  essa,  per  essa  e  per  il  mondo  intero.  Questo  aspetto,   espresso   molto   chiaramente   dal   Concilio7,   conduce   ad   una   consapevolezza   alta   della  preghiera  cristiana,  che  non  può  essere  espressione  di  un  sentire  soggettivo  o  di  gruppo,  ma  nella  sua  maturità   inserita   ed   espressione   di   tutta   la   Chiesa.   Questa   preghiera   “a   nome   e   secondo   le  intenzioni  della  Chiesa”  è  sempre  stato  patrimonio  della  spiritualità  cristiana  fin  dalle  origini  e  ha  risuonato  nel  cuore  della  gente  anche  se  non  sapeva  leggere  o  capire  quello  a  cui  assisteva.  Oggi  c’è  una  consapevolezza  nuova,  possibilità  nuove  che  vanno  “sfruttate”   sapientemente  da   tutto   il  Popolo  di  Dio.  

Per  tale  ragione  la  Liturgia  delle  Ore  va  celebrata  bene  ovvero  con  consapevolezza  e  secondo  la  sua  disciplina.   Vediamo   innanzitutto   alcune   cose   a   riguardo   della   sua   natura   e   poi   alcune   note   di  metodo,  tenendo  presente  ovviamente  che  è  impossibile  qui  dire  tutto.  

Circa   la  comprensione  della  Liturgia  delle  Ore  aggiungo  che  essa  è  preghiera  di  Cristo  rivolta  al  Padre   ed   è   allo   stesso   tempo   preghiera   che   esprime   l’azione   dello   Spirito   Santo   che,   unificando  tutta  la  Chiesa,  per  mezzo  di  Gesù  la  conduce  al  Padre8.    

La  LdO  è  suddivisa   i  sette   tempi:  Ufficio  di   lettura,  Lodi,  Ora  media  di   terza,  di  sesta  e  di  nona,  Vespri,  Compieta:  “sette  volte  al  giorno  io  ti  lodo”  (cf  Sal  118,164).  

Per  la  natura  liturgica  di  questa  preghiera,  essa  va  celebrata  con  i  suoi  ritmi  e  le  sue  condizioni.    

Per   la   recita   comunitaria   è   innanzitutto   indispensabile   e   non   scontato   comprendere   che   è   recita  comune,  d’assemblea,  quindi  con  la  voce  di  tutti  i  presenti  e  in  modo  corale.  Alcune  note  utili:  

ü Non  ci  devono  essere  voci  che  sovrastano  le  altre  quando  è  preghiera  comunitaria  e  tutti  devono  far  sentire  una  voce  non  alta  ma  sicura,  timbrata  e  corale;  

ü I   tempi  della   lode  non   sono   soggettivi:   chi  detta   i   tempi   è   colui   che  presiede   e   anche   lui  deve  essere  soggetto  ai  tempi  che  la  salmodia  richiede;  

                                                                                                                         6  cfr  Principi  e  Norme  per  la  Liturgia  delle  Ore,  15-­‐‑16.  7   È   ardente  desiderio  della  madre  Chiesa   che   tutti   i   fedeli   vengano   formati   a   quella  piena,   consapevole   e  attiva   partecipazione   alle  celebrazioni  liturgiche,  che  è  richiesta  dalla  natura  stessa  della  liturgia  e  alla  quale  il  popolo  cristiano,  «stirpe  eletta,  sacerdozio  regale,  nazione  santa,  popolo  acquistato»  (1  Pt  2,9;  cfr  2,4-­‐‑5),  ha  diritto  e  dovere  in  forza  del  battesimo  (SC  14).  8  cfr  Principi  e  Norme  per  la  Liturgia  delle  Ore,  3-­‐‑9.  

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ü I  salmi  hanno  dei  segni:  generalmente  una  croce  e  un  asterisco.  Essi  designano  delle  pause  non  solo   per   il   canto,   ma   anche   per   la   recita   che,   appunto   perché   sia   una   recita   corale,   vanno  rispettate.  Non  si  fanno  pause  nelle  virgole  o  nei  punti  e  nemmeno  tra  una  strofa  e  l’altra  ma  solo  dove  sono  i  segni:  la  croce  una  pausa  brevissima,  l’asterisco  una  pausa  di  respiro.  

ü Non   si   deve   correre   nella   recita   (questo   capita   soprattutto   con   il   Benedictus,   il   Magnificat,   il  Nunc   dimittis   e   altri   salmi   che   si   sanno   a  memoria),  ma   nemmeno   scandire   le   lettere:   occorre  imparare   a   rispettare   i   tempi   di   tutti   e   il   modo   migliore   è   stare   al   tempo   di   chi   presiede,  rispettando  le  pause  dovute.  

ü Al  responsorio  breve  ci  si  alza  in  piedi  al  momento  di  chi  presiede.  

Nel   caso  della   recita  personale,   consiglio  di   ripetersi  un  versetto  di  ogni   salmo  per   far   risuonare  questa  parola  nella  vita.  Si  può  sostituire  la  lettura  breve  con  il  Vangelo  del  giorno  o  con  un’altra  lettura  biblica.  

LA LITURGIA DELLE ORE, PREGHIERA DELLA CHIESA – B. GIOVANNI PAOLO II, UDIENZA GENERALE 4 APR 2001

1.   Prima   di   intraprendere   il   commento   dei   singoli   Salmi   e   Cantici   delle   Lodi,   completiamo  quest’oggi   la   riflessione   introduttiva   iniziata   nella   scorsa   catechesi.   E   lo   facciamo   prendendo   le  mosse  da  un  aspetto  molto  caro  alla  tradizione  spirituale:  cantando  i  Salmi,  il  cristiano  sperimenta  una  sorta  di  sintonia  fra  lo  Spirito  presente  nelle  Scritture  e  lo  Spirito  dimorante  in  lui  per  la  grazia  battesimale.  Più  che  pregare  con  proprie  parole,  egli  si  fa  eco  di  quei  "ʺgemiti  inesprimibili"ʺ  di  cui  parla   san   Paolo   (cfr   Rm   8,26),   con   i   quali   lo   Spirito   del   Signore   spinge   i   credenti   ad   unirsi  all’invocazione  caratteristica  di  Gesù:  "ʺAbbà,  Padre!"ʺ  (Rm  8,15;  Gal  4,6).  

Gli   antichi  monaci   erano   talmente   sicuri  di   questa  verità,   che  non   si  preoccupavano  di   cantare   i  Salmi  nella  propria   lingua  materna,  bastando   loro   la  consapevolezza  di  essere,   in  qualche  modo,  "ʺorgani"ʺ   dello   Spirito   Santo.   Erano   convinti   che   la   loro   fede   permettesse   ai   versetti   dei   Salmi   di  sprigionare  una  particolare  "ʺenergia"ʺ  dello  Spirito  Santo.  La  stessa  convinzione  si  manifesta  nella  caratteristica  utilizzazione  dei  Salmi,  che  fu  chiamata  "ʺpreghiera  giaculatoria"ʺ  -­‐‑  dalla  parola  latina  "ʺiaculum"ʺ,   cioè   dardo   -­‐‑   per   indicare   brevissime   espressioni   salmodiche   che   potevano   essere  "ʺlanciate"ʺ,   quasi   come  punte   infuocate,   ad   esempio   contro   le   tentazioni.  Giovanni  Cassiano,  uno  scrittore   vissuto   fra   il   IV   e   il   V   secolo,   ricorda   che   alcuni   monaci   avevano   scoperto   l’efficacia  straordinaria  del  brevissimo   incipit  del  Salmo  69:  "ʺO  Dio  vieni  a  salvarmi;  Signore  vieni  presto  in  mio  aiuto"ʺ,  che  da  allora  divenne  come  il  portale  d’ingresso  della  Liturgia  delle  Ore  (cfr  Conlationes,  10,10:  CPL  512,298  ss).  

2.  Accanto  alla  presenza  dello  Spirito  Santo,  un’altra  dimensione   importante  è  quella  dell’azione  sacerdotale   che   Cristo   svolge   in   questa   preghiera   associando   a   sé   la   Chiesa   sua   sposa.   A   tal  proposito,   proprio   riferendosi   alla   Liturgia   delle   Ore,   il   Concilio   Vaticano   II   insegna:   "ʺIl   Sommo  

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Sacerdote   della   nuova   ed   eterna  Alleanza,   Cristo  Gesù,   […]   unisce   a   sé   tutta   la   comunità   degli  uomini,  e  se  l’associa  nell’elevare  questo  divino  canto  di  lode.  Infatti  Cristo  continua  questo  ufficio  sacerdotale  per  mezzo  della  sua  stessa  Chiesa,  che  loda  il  Signore  incessantemente  e  intercede  per  la  salvezza  del  mondo  intero  non  solo  con  la  celebrazione  dell’Eucaristia,  ma  anche  in  altri  modi,  specialmente  con  la  recita  dell’Ufficio  divino"ʺ  (Sacrosanctum  Concilium,  83).  

Anche   la  Liturgia   delle  Ore,  dunque,  ha   il   carattere  di  preghiera  pubblica,  nella  quale   la  Chiesa  è  particolarmente  coinvolta.  È   illuminante  allora  riscoprire  come  la  Chiesa  abbia  progressivamente  definito  questo  suo  specifico  impegno  di  preghiera  scandita  sulle  varie  fasi  del  giorno.  Occorre  per  questo  risalire  ai  primi  tempi  della  comunità  apostolica,  quando  ancora  vigeva  uno  stretto  legame  fra  la  preghiera  cristiana  e  le  cosiddette  "ʺpreghiere  legali"ʺ  -­‐‑  prescritte  cioè  dalla  Legge  mosaica  -­‐‑  che  si   svolgevano   in   determinate   ore   del   giorno   nel   Tempio   di   Gerusalemme.   Dal   libro   degli   Atti  sappiamo  che  gli  Apostoli  "ʺtutti  insieme  frequentavano  il  Tempio"ʺ  (2,46),  oppure  che  "ʺsalivano  al  Tempio   per   la   preghiera   dell’ora   nona"ʺ   (3,1).   E   d’altra   parte   sappiamo   anche   che   le   ‘preghiere  legali’  per  eccellenza  erano  appunto  quelle  del  mattino  e  della  sera.  

3.   Gradualmente   i   discepoli   di   Gesù   individuarono   alcuni   Salmi   particolarmente   appropriati   a  determinati  momenti  della  giornata,  della  settimana  o  dell’anno,  cogliendovi  un  senso  profondo  in  rapporto   al   mistero   cristiano.   È   autorevole   testimone   di   questo   processo   san   Cipriano,   che   così  scrive  nella  prima  metà  del  terzo  secolo:  "ʺBisogna  infatti  pregare  all’inizio  del  giorno  per  celebrare  nella  preghiera  del  mattino  la  risurrezione  del  Signore.  Ciò  corrisponde  a  quello  che  una  volta  lo  Spirito  Santo  indicava  nei  Salmi  con  queste  parole:  «Tu  sei  il  mio  re,  il  mio  Signore,  ed  io  innalzerò  a  te,  o  Signore,  di  mattino  la  preghiera:  ascolterai  la  mia  supplica;  di  mattino  mi  presenterò  a  te  e  ti  contemplerò»  (Sal  5,3-­‐‑4).  […]  Quando  poi  il  sole  tramonta  e  viene  meno  il  giorno,  bisogna  mettersi  di  nuovo  a  pregare.  Infatti,  poiché  il  Cristo  è  il  vero  sole  e  il  vero  giorno,  nel  momento  in  cui  il  sole  e  il  giorno  del  mondo  vengono  meno,  chiedendo  attraverso  la  preghiera  che  sopra  di  noi  ritorni  la  luce,  invochiamo  che  Cristo  ritorni  a  portarci  la  grazia  della  luce  eterna"ʺ  (De  oratione  dominica,  35:  PL  39,655).  

4.   La   tradizione   cristiana   non   si   limitò   a   perpetuare   quella   ebraica,   ma   innovò   alcune   cose   che  finirono   col   caratterizzare   diversamente   l’intera   esperienza   di   preghiera   vissuta   dai   discepoli   di  Gesù.  Oltre   infatti  a  recitare,  al  mattino  e  alla  sera,   il  Padre  nostro,   i  cristiani  scelsero  con  libertà   i  Salmi  con  i  quali  celebrare   la   loro  preghiera  quotidiana.  Lungo  la  storia,  questo  processo  suggerì  l’utilizzazione  di  determinati   Salmi  per   alcuni  momenti  di   fede  particolarmente   significativi.   Fra  questi  teneva  il  primo  posto  la  preghiera  vigiliare,  che  preparava  al  Giorno  del  Signore,  la  Domenica,  in  cui  si  celebrava  la  Pasqua  di  Risurrezione.  

Una   caratteristica   tipicamente   cristiana   è   stata   poi   l’aggiunta   alla   fine   di   ogni   Salmo   e   Cantico,  della   dossologia   trinitaria,   "ʺGloria   al   Padre   e   al   Figlio   e   allo   Spirito   Santo"ʺ.   Così   ogni   Salmo   e  Cantico  viene  illuminato  dalla  pienezza  di  Dio.  

5.  La  preghiera  cristiana  nasce,  si  nutre  e  si  sviluppa  intorno  all’evento  per  eccellenza  della  fede,  il  Mistero   pasquale   di   Cristo.   Così,   al   mattino   e   alla   sera,   al   sorgere   e   al   tramonto   del   sole,   si  

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ricordava   la  Pasqua,   il  passaggio  del   Signore  dalla  morte   alla  vita.   Il   simbolo  di  Cristo   "ʺluce  del  mondo"ʺ   appare   nella   lampada   durante   la   preghiera   del   Vespro,   chiamata   per   questo   anche  lucernario.  Le  ore   del   giorno   richiamano  a   loro  volta   il   racconto  della  passione  del   Signore,   e   l’ora  terza   anche   la  discesa  dello   Spirito   Santo   a  Pentecoste.  La  preghiera   della   notte   infine  ha   carattere  escatologico,  evocando  la  veglia  raccomandata  da  Gesù  nell’attesa  del  suo  ritorno  (cfr  Mc  13,35-­‐‑37).  

Cadenzando   in   questo   modo   la   loro   preghiera,   i   cristiani   risposero   al   comando   del   Signore   di  "ʺpregare  incessantemente"ʺ  (cfr  Lc  18,1;  21,36;  1  Ts  5,17;  Ef  6,18),  ma  senza  dimenticare  che  tutta  la  vita  deve  in  qualche  modo  diventare  preghiera.  Scrive  a  tal  proposito  Origene:  "ʺPrega  senza  posa  colui  che  unisce  la  preghiera  alle  opere  e  le  opere  alla  preghiera"ʺ  (Sulla  preghiera,  XII,2:  PG  11,452C).  

Questo   orizzonte   nel   suo   insieme   costituisce   l’habitat   naturale   della   recita   dei   Salmi.   Se   essi  vengono   sentiti   e   vissuti   così,   la   dossologia   trinitaria   che   corona   ogni   Salmo   diventa,   per   ciascun  credente   in   Cristo,   un   continuo   rituffarsi,   sull’onda   dello   Spirito   e   in   comunione   con   l’intero  popolo  di  Dio,  nell’oceano  di  vita  e  di  pace  in  cui  è  stato  immerso  col  Battesimo,  ossia  nel  mistero  del  Padre,  del  Figlio  e  dello  Spirito  Santo.  

 

 

Tratto  da  “TRADIZIONE  APOSTOLICA”    (  Sec.)  DI  PSEUDO-­‐‑IPPOLITO,  41  

Tutti  i  fedeli,  uomini  e  donne,  la  mattina,  appena  si  svegliano  dal  sonno,  prima  di  ogni  altra  cosa,  si  lavino  le  mani  e  preghino  Dio,  quindi  incomincino  ad  occuparsi  dei  loro  affari.    

Se   tuttavia   c'ʹè  una  predica,   le   si  dia   la  preferenza,  persuasi   che  Dio  parla  per  bocca  di   colui   che  predica.  Chi   ha   pregato   così   nella   chiesa,   è   premunito   contro   la   fatica   del   giorno.  Chi   teme  Dio  deve  considerare  una  grande  perdita  il  non  partecipare  all'ʹistruzione.    

Quando   il   predicatore   è   giunto,   tutti   si   affrettino   a   recarsi   alla   chiesa,   dove   si   tiene   l'ʹistruzione.  L'ʹoratore   saprà   parlare   per   l'ʹutilità   di   ciascuno.   Tu   sentirai   quello   a   cui   non   pensavi   e   trarrai  profitto  di  quanto  ti  dirà  lo  Spirito  per  bocca  di  chi  parla.    

In  tal  modo  la  tua  fede  sarà  rafforzata  dalle  parole  che  sentirai.  Ti  sarà  indicato  anche  il  contegno  che  devi  tenere  in  casa.  

Nei   giorni   senza   istruzione,   ognuno   prenda   un   libro   sacro   e   faccia   una   lettura   che   serva   per   il  profitto  della  sua  anima.  

Se  sei  in  casa,  prega  a  terza  (alle  nove  del  mattino)  e  loda  Iddio;  se  ti  trovi  fuori  in  quel  momento,  prega  Dio  nel  tuo  cuore,  perché  in  quell'ʹora  il  Cristo  è  stato  inchiodato  alla  croce.    

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Pregherai  pure  a  sesta   (a  mezzogiorno)  ricordandoti  del  Cristo  che  fu   legato  alla  croce,  mentre   il  giorno   si   arrestava   e   regnavano   le   tenebre.   In   quell'ʹora   farai   una   preghiera   intensa,   per   imitare  Colui  che  pregò,  quando  l'ʹuniverso  fu  oscurato  a  causa  degli  ebrei  increduli.    

A  nona  (le  tre  del  pomeriggio)  prolunga  la  preghiera  e   la   lode,  per   imitare   l'ʹanima  dei  giusti  che  lodano   il  Dio  di  verità,   il  quale  si  è  ricordato  dei  suoi  Santi  e  mandò  il  Verbo  per  portare   loro   la  luce.  In  quell'ʹora  il  Cristo,  col  costato  aperto,  sparse  acqua  e  sangue,  illuminò  il  tramonto  di  quel  giorno,  sino  alla  fine.  E  facendo  coincidere  il  ritorno  della  luce  col  suo  sonno,  diede  un'ʹimmagine  della  sua  risurrezione.    

Prega  anche  prima  che  il  tuo  corpo  si  conceda  il  riposo.  Verso  la  metà  della  notte,  àlzati,  làvati  le  mani  con  acqua  e  prega.  Se  hai  moglie,  pregate  insieme;  se  non  è  ancora  cristiana,  ritirati  in  un'ʹaltra  camera  per  pregare,  poi  ritorna  a  coricarti...    

Bisogna  pregare  in  quell'ʹora,  perché  gli  antichi,  dei  quali  ci  è  stata  trasmessa  questa  tradizione,  ci  hanno  insegnato  che  allora  tutto  il  creato  si  riposa  per  un  istante  per  lodare  il  Signore.  Le  stelle,  gli  alberi   e   le   acque   si   fermano  un   attimo,   e   tutto   il   coro  degli  Angeli   si   impegna   con   le   anime  dei  giusti  a  cantare  le  lodi  di  Dio.  Per  questo  i  fedeli  debbono  essere  contenti  di  pregare  in  quell'ʹora...    

Verso   l'ʹora  del  canto  del  gallo,  àlzati  ancora  una  volta  e   fa'ʹ   lo  stesso.   In  quell'ʹora,  mentre   il  gallo  cantava,   i   figli  di   Israele  hanno  rinnegato  il  Cristo,  che  noi  abbiamo  conosciuto  mediante   la  fede;  aspettiamo  il  giorno  della  risurrezione  dei  morti,  nella  speranza  della  luce  eterna.    

Così  dunque,  voi   tutti  che  siete   fedeli,   se  agite  a  questo  modo  e  ricordate  questi  misteri,   istruen-­‐‑dovi   gli   uni   con   gli   altri   e   dando   l'ʹesempio   ai   catecumeni,   non   potrete   né   soccombere   alla   ten-­‐‑tazione,  né  perdere  l'ʹanima,  perché  vi  ricordate  continuamente  del  Cristo.  

 

Tratto  da    “PRINCIPI  E  NORME  PER  LA  LITURGIA  DELLE  ORE”  (Capitolo  III)  

I.  I  salmi  e  il  loro  rapporto  con  la  preghiera  cristiana    

100.  Nella   Liturgia   delle  Ore   la  Chiesa   prega   in   gran   parte   con   quei   bellissimi   canti,   che   i   sacri  autori,  sotto  l'ʹispirazione  dello  Spirito  Santo,  hanno  composto  nell'ʹAntico  Testamento.  Per  la  loro  stessa   origine,   infatti,   essi   hanno   una   capacità   tale   da   elevare   la  mente   degli   uomini   a   Dio,   da  suscitare  in  essi  pii  e  santi  affetti,  da  aiutarli  mirabilmente  a  render  grazie  a  Dio  nelle  circostanze  prospere,  da  recare  consolazione  e  fermezza  d'ʹanimo  nelle  avversità.        

101.   I   salmi,   tuttavia,   non  offrono   che  un'ʹimmagine   imperfetta  di   quella  pienezza  dei   tempi   che  apparve  in  Cristo  Signore  e  dalla  quale  trae  il  suo  vigore  la  preghiera  della  Chiesa.  Pertanto  può  talvolta   accadere   che,   pur   concordando   tutti   i   cristiani   nella   somma   stima   dei   salmi,   trovino  tuttavia  qualche  difficoltà,  nello  stesso  tempo  in  cui  cercano  di  far  propri  nella  preghiera  quei  canti  venerandi.        

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102.  Ma  lo  Spirito  Santo,  sotto  la  cui  ispirazione  i  salmisti  hanno  cantato,  assiste  sempre  con  la  sua  grazia  coloro  che  eseguono  tali  inni  con  fede  e  buona  volontà.  È  tuttavia  necessario  che  ciascuno,  secondo  le  sue  possibilità,  si  procuri  «una  maggiore  formazione  biblica,  specialmente  riguardo  ai  salmi»  (SC  9).  Inoltre  si  deve  arrivare  ad  assimilare  bene  il  modo  e  il  metodo  migliore  per  pregarli  come  si  conviene.        

103.   I   salmi   non   sono   letture,   né   preghiere   scritte   in   prosa,  ma   poemi   di   lode.  Quindi   anche   se  talvolta   fossero   stati   eseguiti   come   letture,   tuttavia,   in   ragione   del   loro   genere   letterario,  giustamente   furono  detti  dagli  ebrei  «Tehillim»,  cioè  «cantici  di   lode»  e  dai  greci  «psalmoi»  cioè  «cantici  da  eseguire  al  suono  del  salterio».  In  verità,   infatti,   tutti   i  salmi  hanno  un  certo  carattere  musicale,   che  ne  determina   la   forma  di   esecuzione  più   consona.  Per   cui   anche   se   il   salmo  viene  recitato   senza   canto,   anzi   da   uno   solo   e   in   silenzio,   deve   sempre   conservare   il   suo   carattere  musicale:  esso  offre  certo  un  testo  di  preghiera  alla  mente  dei  fedeli,  tuttavia  tende  più  a  muovere  il  cuore  di  quanti  lo  cantano,  lo  ascoltano  e  magari  lo  eseguono  con  «il  salterio  e  la  cetra».        

104.  Chi  dunque  vuole  salmeggiare  con  spirito  di  intelligenza  deve  percorrere  i  salmi  versetto  per  versetto  e  rimanere  sempre  pronto  nel  suo  cuore  alla  risposta.  Così  vuole  lo  Spirito,  che  ha  ispirato  il  salmista  e  che  assisterà  ogni  uomo  di  sentimenti  religiosi  aperto  ad  accogliere  la  sua  grazia.  Per  questo  la  salmodia,  anche  se  eseguita  con  tutto  quel  rispetto  che  si  deve  alla  maestà  di  Dio,  deve  prorompere  dalla  gioia  del   cuore  e   ispirarsi   all'ʹamore,   come  si   addice  a  una  poesia   sacra  e  a  un  canto  divino,  e  massimamente  alla  libertà  dei  figli  di  Dio.        

105.  Spesso  le  espressioni  del  salmo  ci  offriranno  il  modo  di  pregare  più  facilmente  e  con  maggior  fervore,   sia   quando   rendiamo   grazie   a   Dio   e   lo   glorifichiamo   in   esultanza,   sia   quando   lo  supplichiamo  dal  profondo  delle  nostre  sofferenze.  Tuttavia  -­‐‑  soprattutto  se  il  salmo  non  si  rivolge  direttamente  a  Dio  -­‐‑  può  sorgere  talvolta  qualche  difficoltà.  Il  salmista,  infatti,  nella  sua  qualità  di  poeta   spesso   parla   al   popolo   rievocando   la   storia   d'ʹIsraele;   talvolta   interpella   altri,   e   fra   questi  magari  anche  creature  prive  di  ragione.  Talora  introduce  a  parlare  anche  Dio  stesso  e  gli  uomini,  e  anche,  come  nel  salmo  2,  i  nemici  di  Dio.  È  chiaro  quindi  che  il  salmo  non  è  preghiera  dello  stesso  tipo  di  una  orazione  o  colletta  composta  dalla  Chiesa.    

Inoltre   il   carattere   poetico   e   musicale   dei   salmi   comporta   che   talvolta   siano   piuttosto   cantati  davanti   a   Dio   anziché   svolgersi   in   discorso   diretto   a   lui,   come   avverte   san   Benedetto:  «Consideriamo  come  ci  si  deve  comportare  alla  presenza  di  Dio  e  dei  suoi  angeli,  e  partecipiamo  alla  salmodia  in  modo  che  il  nostro  spirito  preghi  all'ʹunisono  con  la  nostra  voce»  (San  Benedetto,  Regola  monastica  19).        

106.  Chi  recita  i  salmi  apre  il  suo  cuore  a  quei  sentimenti  che  i  salmi  ispirano  secondo  il  loro  genere  letterario:  di  lamentazione,  di  fiducia,  di  rendimento  di  grazie.  Questi  generi  letterari  giustamente  sono  tenuti  in  grande  considerazione  dagli  esegeti.        

107.  Chi   recita   i   salmi,   aderendo   al   significato   delle   parole,   presta   attenzione   all'ʹimportanza  del  testo  per  la  vita  umana  dei  credenti.    

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Si  sa,  infatti,  che  ogni  salmo  fu  composto  in  circostanze  particolari,  alle  quali  intendono  riferirsi  i  titoli   premessi   a   ciascuno   di   essi   nel   salterio   ebraico.  Ma   in   verità   qualunque   sia   la   sua   origine  storica,  ogni  salmo  ha  un  proprio  significato,  che  anche  ai  nostri   tempi  non  possiamo  trascurare.  Sebbene   quei   carmi   siano   stati   composti   molti   secoli   fa   presso   popoli   orientali,   essi   esprimono  assai  bene   i  dolori   e   la   speranza,   la  miseria  e   la   fiducia  degli  uomini  di  ogni   tempo  e   regione,   e  cantano  specialmente  la  fede  in  Dio,  la  rivelazione  e  la  redenzione.        

108.  Chi  recita  i  salmi  nella  Liturgia  delle  Ore,  li  recita  non  tanto  a  nome  proprio  quanto  a  nome  di  tutto   il   Corpo   di   Cristo,   anzi   nella   persona   di   Cristo   stesso.   Se   ciascuno   tiene   presente   questa  dottrina,   svaniscono   le   difficoltà,   che   chi   salmeggia  potrebbe   avvertire   per   la   differenza  del   suo  stato   d'ʹanimo   da   quello   espresso   nel   salmo,   come   accade   quando   chi   è   triste   e   nell'ʹangoscia  incontra  un  salmo  di  giubilo,  o,  al  contrario,  è  felice  e  si  trova  di  fronte  a  un  canto  di  lamentazione.  Nella  preghiera  puramente  privata  si  può  evitare  questa  dissonanza,  perché  vi  è  modo  di  scegliere  il  salmo  più  adatto  al  proprio  stato  d'ʹanimo.  Nell'ʹUfficio  divino,  invece,  si  ha  un  determinato  ciclo  di  salmi  valevole  per  tutta   la  comunità  ed  eseguito  non  a  titolo  personale,  ma  a  nome  di  tutta   la  Chiesa,  anche  quando  si  tratta  di  un  orante  che  celebra  qualche  Ora  da  solo.  Chi  salmeggia  a  nome  della   Chiesa   può   sempre   trovare   un   motivo   di   gioia   o   tristezza,   perché   anche   in   questo   fatto  conserva  il  suo  significato  l'ʹespressione  dell'ʹApostolo:  «Rallegratevi  con  quelli  che  sono  nella  gioia,  piangete   con   quelli   che   sono   nel   pianto»   (Rm   12,   15)   e   così   la   fragilità   umana,   ferita   dall'ʹamor  proprio,  viene  risanata  nella  misura  di  quella  carità  per  la  quale  la  mente  concorda  con  la  voce  che  salmeggia  (San  Benedetto,  Regola  monastica  19).      

 109.  Chi  recita  i  salmi  a  nome  della  Chiesa,  deve  badare  al  senso  pieno  dei  salmi,  specialmente  al  senso  messianico,  per   il  quale   la  Chiesa  ha  adottato  il  salterio.  Tale  senso  messianico  è  diventato  pienamente  chiaro  nel  Nuovo  Testamento,  anzi  fu  posto  in  piena  luce  dallo  stesso  Cristo  Signore,  quando  disse  agli  apostoli:  «Bisogna  che  si  compiano  tutte  le  cose  scritte  su  di  me  nella  Legge  di  Mosè,   nei   profeti   e   nei   salmi»   (Lc   24,   44).   Di   ciò   è   esempio   notissimo   quel   dialogo,   riferito   da  Matteo,  circa  il  Messia,  Figlio  di  David  e  suo  Signore  (cfr  Mt  22,  44  ss)  in  cui  il  salmo  109  è  riferito  al  Messia.    

Seguendo  questa  via,  i  santi  Padri  accolsero  e  spiegarono  tutto  il  salterio  come  profezia  di  Cristo  e  sulla  Chiesa;  e  con  lo  stesso  criterio  i  salmi  sono  stati  scelti  nella  sacra  liturgia.  Sebbene  talvolta  si  proponessero  alcune  interpretazioni  alquanto  complicate,  tuttavia  generalmente  sia  i  Padri  che  la  liturgia  con  ragione  vedevano  nei  salmi  Cristo  che  si  rivolge  al  Padre,  o  il  Padre  che  parla  al  Figlio;  anzi  riconoscevano  la  voce  della  Chiesa,  degli  apostoli  e  dei  martiri.    

Questo  metodo   di   interpretazione   fiorì   anche   nel  Medioevo,   quando   coloro   che   salmeggiavano  trovavano  in  molti  codici,  scritti   in  quell'ʹepoca,   il   titolo  preposto  a  ciascun  salmo  e  così  si  apriva  loro  il  senso  cristologico  dei  salmi.    

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L'ʹinterpretazione  cristologica  non  si   limita   soltanto  a  quei   salmi  che  sono  considerati  messianici,  ma   si   estende   a  molti   altri,   nei   quali   senza   dubbio   si   tratta   di   semplici   adattamenti,   convalidati  tuttavia  dalla  tradizione  della  Chiesa.    

Soprattutto   nella   salmodia   dei   giorni   festivi,   i   salmi   sono   stati   scelti   in   base   a   un   certo  orientamento  cristologico,  ad   illustrare   il  quale  per   lo  più  vengono  proposte  delle  antifone   tratte  dagli  stessi  salmi.    

 

PREGHIERA  Signore,  la  tua  bontà  mi  ha  creato,  la  tua  misericordia  ha  cancellato  i  miei  peccati,  la  tua  pazienza  fino  a  oggi  mi  ha  sopportato.  Tu  attendi,  o  Signore  misericordioso  la  mia  conversione  e  io  attendo  la  tua  grazia  per  raggiungere  attraverso  la  conversione  una  vita  secondo  la  tua  volontà.  Vieni  in  mio  aiuto  o  Dio  che  mi  hai  creato  e  che  mi  conservi  e  mi  sostieni.  Di  te  sono  assetato,  di  te  sono  affamato,  te  desidero,  a  te  sospiro,  te  bramo  al  di  sopra  di  ogni  cosa.  

Sant’Anselmo  d’Aosta  (XI  sec.)  

D] PREGARE PER VIVERE. Renè Voillaume

“Pregare  per  vivere”  è  il  titolo  di  un  libro  di  un  grande  maestro  di  vita  9spirituale  qual  è  stato  Renè  Voillaume.   Nato   nel   1905,   il   19   luglio,   a   Versailles   (Francia),   in   una   famiglia   numerosa   e  profondamente   credente,   attratto   in   un   rimo   tempo   dai   Padri   Bianchi   per   la   missione,   dopo   la  lettura  della  biografia  di  Charles  de  Foucauld,  si  sente  chiamato  ad  un  altro  percorso.  Superato  un  periodo  d’incertezze   e  difficoltà,  nel   1933   fonda,   insieme  ad  alcuni   amici,   la  prima  comunità  dei  Piccoli   Fratelli   di   Gesù,   a   El-­‐‑Abiodh-­‐‑Sidi-­‐‑Cheikh,   nel   Sahara.   Per   anni   collabora   con   la   Piccola  sorella  Magdeleine,   fondatrice  delle  Piccole   Sorelle  di  Gesù.  Nel   1956   fonda   i   Piccoli   Fratelli   del  Vangelo  e  nel  1963   le  Piccole  sorelle  del  Vangelo.  Uomo  di  grandissima  umanità  ed  elevatissima  

                                                                                                                         9 Renè Voillaume, Pregare per vivere, San Paolo, 2007

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spiritualità  ha  tracciato  il  cammino  spirituale  in  anni  complessi,  assieme  ad  altri  maestri  tra  i  quali  fr.  Carlo  Carretto.  Nel  1968  papa  Paolo  VI  lo  invita  a  predicare  in  Vaticano.  Nel  201  si  ritira  nella  fraternità  delle  Piccole  Sorelle  di  Gesùdi  Aix-­‐‑en-­‐‑Provence.  Muore  il  13  maggio  2003.  

Nella   catechesi  di  oggi  vorrei   semplicemente   lasciare   spazio  alle  parole  di  questo  grande  perché  umile  e  umile  perché  evangelicamente  grande  maestro  e  testimone  della  semplicità  e  umanità  della  preghiera   cristiana   in   particolare.   Lasciamo   la   parola   a   lui.   Si   sentirà   il   respiro   della   preghiera  carmelitana,  così  davvero  profondamente  filiale  e  impastata  di  umanità.  

<<Quando  ti  prepari  a  pregare,  chiediti  dunque  cosa  stai  per  fare  e  perché.  Devi  pregare  anzitutto  perché,   avendoti   Dio   fatto   per   lui,   è   a   lui   che   devi   tornare,   e   la   preghiera   è   come   la   forza   di  gravità  che  suscita  e  accelera  il  moto  di  ritorno  al  tuo  Signore  e  supremo  Bene.  

Devi  pregare  perché  il  Signore  Gesù  ti  ha  amato  per  primo  e  tu  di  rimando  l’ami:  l’amicizia  invoca  un  dialogo  intimo,  in  cui  tu  possa  esprimere  il  tuo  amore  e  conoscere  Dio  per  esperienza  e  amore.  Si  tratta  di  giungere  a  una  conoscenza  molto  semplice,  in  genere  oscura,  al  di  là  di  ogni  parola,  in  cui  le  cose  divine  vengono  gustate  ora  dolci  e  ora  amare.  Per  questo,  la  tua  preghiera  a  volte,  si  ridurrà  a  non  essere  che  un  appello  profondo,  un’attesa  umile,  silenziosa  ma  piena  di  desiderio,  di  quella  scienza  di  Dio  che  soltanto  lo  Spirito  Santo  può  comunicarti.  

Devi   pregare   perché   sei   miserabile   e   infinitamente   piccolo   e,   per   essere   totalmente   vero,   devi  esprimere   la   dipendenza   del   tuo   essere   supplicando   il   Signore   di   venire   a   colmare   la   tua  insufficienza  con  la  sua  pienezza.  

Devi   pregare,   infine,   perché   il   Signore  Gesù   ti   ha   chiamato   a   lavorare   insieme   con   Lui   per   la  salvezza   degli   uomini,   e   non   solamente   partecipando   alla   sua   Croce,   ma   con   una   preghiera  costante  e  facendo  la  tua  parte  nella  sua  preghiera  de  giardino  degli  Ulivi.  Tu  hai  la  cura  d’anime:  non  te  ne  convincerai  mai  abbastanza!  Ricorda  che,  pregando  con  tutta  la  tua  anima    e  spendendo  te  stesso,  fai  il  massimo  che  puoi  per  salvare  e  santificare  quegli  uomini  la  cui  sorte  spirituale  Gesù  ha  creduto  bene   legare  alla   tua  miserabile  cooperazione.  E’  uno  dei  grandi  compiti  della   tua  vita  che   niente   e   nessuno   al   mondo   può   rubarti   o   impedirti   di   assolvere!   Ricordati   queste   cose   e  comincia  a  pregare10>>.  

<<La  continuità  della  presenza  a  Dio  non  è  nella  coscienza  attuale,  esplicita,  soprattutto  mediante  idee  o  immagini,  di  questa  Presenza,  ma  consiste  nella  vigilanza  dell’amore.  L’attenzione  mediante  immagini   o   quella   intellettiva   non   sono   che   un   modo   di   arrivare   alla   vigilanza.   Il   cuore   deve  vegliare,  e  può  farlo,  anche  quando  l’uomo  attende  interamente  al  suo  lavoro  per  farlo  bene11>>.  

<<L’insegnamento  evangelico  sulla  preghiera  possiamo  compendiarlo  in  due  punti  essenziali:  una  promessa  che  Dio  si  farà  incontro  a  noi  quando  e  come  vorrà,  ed  è  la  parte  del  lavoro  che  tocca  a  Dio,  la  parte  principale,  dato  che  abbiamo  la  speranza  –  che  non  può  andare  delusa  –  che  la  nostra                                                                                                                            10 Dalla Regola di vita dei Piccoli Fratelli di Gesù 11 El-Abiodh-Sidi-Cheikh, 24 marzo 1948

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preghiera  si  completerà   in   lui;  e  un   invito  pressante  alla  perseveranza  perché  sapeva  che  sarebbe  stato  per  noi  difficile  pregare,  a  causa  del  nostro  bisogno  di  cambiamento  e  novità.  

Non  aspettate  per  pregare  quando  ne  avrete  voglia!  Smettereste  di  pregare  proprio  nel  momento  in  cui  ne  avreste  più  bisogno.  E’  una  pericolosa  illusione,  cui  molti  devono  attribuire  la  responsabilità  di   essersi   allontanati   da   Cristo.   Il   desiderio   della   preghiera   non   può   nascere   che   dalla   fede.  Desiderare   di   pregare   è   già   un   effetto   della   preghiera.   Vi   basti   sapere   che   Dio   vi   aspetta.  Dio  desidera  vedervi  pregare  anche  quando  non  ne  avete  voglia,  e  forse  soprattutto  quando  non  me  avete  voglia12>>.  

<<…esiste  un  terzo  mondo,  quello  di  Gesù  Cristo,  che  fa  parte  del  mondo  –  inaccessibile  –  di  dio  e  del  mondo  delle  creature.  E’  un  terzo  mondo  in  senso  vero  e  proprio,  perché  non  è  il  mondo  del  Dio   invisibile,  ma  del   suo  Verbo   incarnato;   è   il  mondo  di  Cristo,   con   tutto   ciò   che   con  questo  mondo   ha   a   che   fare   come   sua   causa   o   suo   fine:   la   Vergine  Maria,   la   Chiesa   e   i   sacramenti,   il  mondo  soprannaturale  della  grazia  cristiana.  E’   il  mondo  della  Rivelazione,   l’unica  realtà  che  del  mondo  di  Cristo   ci   fa   conoscere   tutte   le  dimensioni  e   ce  ne   fa  “affermare,   insieme  con   i   santi,   la  larghezza,   la   lunghezza,   l’altezza   e   la  profondità,   cioè   conoscere   l’amore  di  Cristo   che   trascende  ogni  conoscenza  (Ef  3,18-­‐‑19)13>>.  

<<Ho  avuto  molte  volte  occasioni  di  constatare  che,  quando  pretendiamo  di  non  avere  il  tempo  di  pregare,   il   più   delle   volte   non   si   tratta   di   vera   mancanza   di   tempo,   ma   piuttosto   di   una   sorta  d’impossibilità  psicologica  di  prenderci   il   tempo  che  ci  vuole,  un’impossibilità  provocata  da  uno  stato  interiore  di  tensione  e  fretta  che  è  l’esatto  contrario  dell’atteggiamento  dell’anima  necessario  al  raccoglimento  dello  spirito.  […]  …è  importante  trovare  i  modi  di  arrivare  alla  calma  interiore.    

[…]  …sarebbe  sbagliato  non  prendere  a  sufficienza  sul  serio  le  condizioni  naturali  –  spesso  fatte  di  fedeltà  a  cose  piccole  piccole  –  di  quell’equilibrio  umano  che  è  alla  base  della  contemplazione.  Quante   famiglie   cristiane,   quante   vite   religiose   e   sacerdotali   vanno   in   sfacelo   a   causa  semplicemente  dell’assenza  di  questa  elementare  sapienza!   […]  La  causa  più   importante  e  sottile  di  questo  squilibrio  si  trova  abbastanza  spesso  dentro  di  noi.  E’  come  un  senso  di  frustrazione,  di  profonda  insoddisfazione,  di  assenza  di  una  felicità  che  ci  sfugge.  Spesso  non  osiamo  confessarcelo  e,  per  generosità  e   fedeltà,   ci   sforziamo,   in  una   tensione  continua  della  volontà,  di  dedicarci  agli  uomini  e  a  Dio  in  una  spoliazione  di  noi  stessi  che  ci  appare  inumana.  Si  ha  come  l’impressione  che  la   vita   spirituale   sia   un’impalcatura   instabile   e   che   tutto   crollerebbe,   se   dovessimo   fermarci   un  istante  a  riflettere.  […]  

Dobbiamo   recuperare   l’equilibrio   dell’uomo   come   Dio   l’ha   fato,   e   Cristo   l’ha   rifatto,   e   osar  guardare  a  Dio  come  alla  fonte  più  completa  della  felicità  e  della  compiutezza  di  ogni  uomo14>>.    

                                                                                                                         12 Gerusalemme, 27 luglio 1951 13 Parte di una conferenza del 1964 14 Casablanca, 5 febbraio 1960

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Nelle   raccolte   di   lettere,   scritti   e   conferenze15   di   Renè   Voillaume,   si   possono   trovare   riflessioni  preziose  a  riguardo  di  tante  domande  circa  la  preghiera  in  sé.  Le  cose  qui  evidenziate  in  grassetto  sono  chiavi  di  comprensione  della  preghiera,  dal  mio  punto  di  vista  importantissime.  Termino  con  queste  ulteriori  riflessioni.  

<<Sappiamo   trovare,   mediante   le   nostre   imperfezioni   e   le   nostre   stesse   debolezze,   il   segno  dell’amore  di  Dio!  L’accettazione  del  nostro   stato  di  povertà  e  miseria   spirituale  offre  a  Cristo  l’occasione  di  farsi  incontro    a  noi  per  guardarci.  […]  

E’   sbagliato   pensare   che   il   sangue   di   Gesù   si   sia   dovuto   sparger   per   il   tempo   e   lo   spazio   e   a  ciascuno  è  stata  data  una  goccia  di  salvezza,  a  chi  più  a  chi  meno  e  forse  a  qualcuno  nulla.  Cristo  non  si  divide  e  neanche  la  sua  passione,  il  suo  sangue,  il  suo  sacrificio,  il  suo  amore  si  dividono.  E’  questo  che  dobbiamo  ben  comprendere,  se  vogliamo  capire  fino  a  che  punto  Cristo  ci  ama,  fino  a  che  punto  gli  apparteniamo  ed  Egli  appartiene  a  noi16>>.  

 

Cuore  di  Gesù,  che  io  cerchi  di  amare  in  tutte  le  cose  soprattutto  in  quelle  piccole,    piuttosto  che  fare  grandi  cose  per  amore.    Che  io  non  abbia  paura  di  vedere  il  fondo  della  mia  miseria  e  di  accettarlo.    Perché  tu  lo  vedi  meglio  di  me  e  ciò  non  mi  impedisce  nulla;    anzi  è  proprio  per  questa  miseria  che  tu  mi  ami.                                            

   Renè  Voillaume   E] SAN GIOVANNI DELLA CROCE, MAESTRO DI PREGHIERA

 San  Giovanni  della  Croce  non  ha  scritto  molto  in  maniera  sistematica  sulla  preghiera,  anche  se  le  sue  opere  sono  pienamente  intrise  di  questa  realtà,  come  lo  era  la  sua  vita17:  non  per  nulla  da  Papa  Piò  XI  fu  chiamato  “dottore  dell’orazione”.  Una  lezione  fondamentale  che  riguarda  la  preghiera  è  esposta  da  Giovanni  della  Croce  nel  libro  III  della  Salita  del  Monte  Carmelo   (cp  44,4):   “Riguardo  alle  preghiere  e  alle  altre  devozioni,   le  anime,  con  la  loro  volontà,  non  vogliano  darsi  a  cerimonie  e  modi  di  pregare  diversi  da  quelli  insegnati  da  Gesù  Cristo  (Lc  11,1-­‐‑2)”.    Questo  forse    a  noi  dice  una  cosa  scontata,  ma  non  lo  era  in  un  periodo  di  forte  devozionismo  dove  la  preghiera  era  legata  essenzialmente  alla  forma,  tralasciando  il  legame  filiale  con  Dio  Padre.  

                                                                                                                         15 Ben fatta è Renè Voillaume, Pregare per vivere, San Paolo, 2007 16 Parte di una conferenza del 1964 17  cf  Dizionario  carmelitano,  Città  Nuova,  2007,  pg  678  ss  

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Il   Santo   per   invogliare   alla   preghiera   invitava   a   ricercarsi   i   luoghi   più   opportuni   perché   essa  potesse   esprimere   tutto   della   persona.   Era   un   uomo   profondamente   contemplativo,   capace   di  trasformare   qualsiasi   situazione   in   una   opportunità   di   preghiera,   di   orazione   rivolta   a   Dio.  Soprattutto  la  natura  era  per  lui  pedagoga  di  preghiera  e  meditazione.  Elemento  poi  essenziale  della  preghiera  per  san  Giovanni  è  il  silenzio,  per  ascoltare  la  Parola  fatta  carne  e  gustare  in  Essa  la  comunione  col  Padre.  Egli   nella   pedagogia   alla   preghiera   utilizzava   un   metodo   semplice:   una   rappresentazione  figurativa  dei  misteri  della  vita  di  Gesù,  quindi  una  riflessione  intellettivo-­‐‑affettiva  su  di  essi  per  poi  approdare  ad  un  semplice  e  quieto  sguardo  d’amore  verso  Cristo.  

Possiamo  fare  qui  una  prima  sintesi,  ovvero  per  San  Giovanni  della  Croce  la  preghiera  coinvolge  tutta   la  persona,  nella   sua  volontà,   intelligenza   e   affetti;   essa   è   centrata  nella  persona  di  Gesù,   è  fortemente  cristocentrica  e  chiede  luoghi  e  disposizioni,  quali  la  semplicità,  il  silenzio  e  l’armonia.  

Nel  Cantico  spirituale  (I,6-­‐‑12),  San  Giovanni  della  Croce  si  chiede  provocatoriamente  dove  il  Signore  si  è  nascosto  e  dove  è  possibile  entrare  in  relazione  con  Lui.  Alla  domanda  risponde  con  un  invito  ad  entrare  nel  mistero  della  propria  interiorità,  abitata  dal  Padre  e  dal  Figlio  e  dallo  Spirito  Santo,  “essenzialmente  e  presenzialmente  nascosto”:  accettare  e  accogliere  il  mistero  di  essere  abitati,  di  essere  alla  presenza  di  Dio  Trinità  che  dimora  dentro  di  noi  è  la  chiave  di  volta  della  preghiera  in  san  Giovanni  della  Croce.  Egli  fa  di  tutto  per  incantare  la  persona  nella  percezione  del  mistero  che  l’avvolge.   Sempre   nell’incanto   del   Cantico   spirituale   afferma:   “O   anima   bellissima   fra   tutte   le  creature,  che  desideri  tanto  conoscere  il  luogo  dove  si  trova  il  tuo  Diletto,  per  trovarlo  ed  unirti  a  Lui!  Ormai  ti  è  stato  detto  che  tu  stessa  sei  il  luogo  in  cui  Egli  dimora  e  il  nascondiglio  dove  si  cela.  Tu  puoi  grandemente  rallegrarti  sapendo  che  tutto  il  tuo  bene  e  l’intera  tua  speranza  è  così  vicina  a  te   da   abitare   dentro   di   te   o,   per   dire  meglio,   che   tu   non   puoi   stare   senza   di   Lui   […]   È   grande  conforto  per   l’anima   sapere   che  Dio  non   le  viene  mai  meno,   anche   se   essa   è   in  peccato  mortale;  quanto  meno  Egli  abbandonerà  quella  che  è   in  grazia!  Che  vuoi  di  più,  o  anima,  e  perché  cerchi  ancora   fuori   di   te,   dal   momento   che   hai   dentro   di   te   le   tue   ricchezze,   i   tuoi   diletti,   la   tua  soddisfazione,   la   tua  abbondanza  e   il   tuo  regno,  cioè   l’Amato,   che   tu  desideri  e  brami?  Gioisci  e  rallegrati  con  Lui  nel  tuo  raccoglimento  interiore,  perché  lo  hai  così  vicino!”  Il   Santo   è   profondamente   realista   e   consapevole   delle   difficoltà   della   preghiera,   soprattutto   nel  chiedersi  il  “perché  se  l’Amato  è  dentro  di  me  non  lo  trovo  e  non  lo  sento?”  Egli  è  consapevole  di  questo:  da  una  parte  invita  a  non  lasciarsi  occupare  il  cuore  da  ciò  che  è  solo  minima  cosa  rispetto  alla  grandezza  che  ci  è  data,  dall’altra  invita  alla  vita  evangelica,  alla  imitazione  della  vita  di  Gesù.    Possiamo  allora  dire,  come  seconda  sintesi,  che  per  il  Santo  la  preghiera  è  ricerca  e  stupore  di  una  presenza  stabile,  è  discernimento  e  sequela.  Ci   sono   altri   aspetti  molto   importanti   da   evidenziare.  Anche   se  Giovanni   della   Croce   possiamo  dire  essere  “il  mistico”  per  eccellenza,  egli  diffida  di  una  preghiera  che  fonda  la  sua  veridicità  nel  sentire,  nella  soddisfazione  emozionale,  diremmo  noi.  Per  Lui   la  preghiera   la  si  vive  nella   fede  e  nell’amore.   Santa   Teresa   Benedetta   della   Croce   sottolineerà   che   questa   fede   e   questo   amore   è  quella   conoscenza   amorosa   che   ci   consente   di   cogliere  Dio   per   quello   che   è   e   non   per   quello   ci  

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sembra  più  opportuno  Egli  sia18.  Come  discernere  ciò?  Lo  stesso  Giovanni  lo  indica  dicendo  che  il  Signore  stesso  potrebbe  rispondere  così:  “Se  ti  ho  già  detto  tutto  nella  mia  Parola,  che  è  mio  Figlio,  non   ho   altro   da   aggiungere.   Cosa   ti   potrei   rispondere   o   rivelare   di   più?   Fissa   il   tuo   sguardo  unicamente  su  di  lui,  perché  in  lui  ti  ho  detto  e  rivelato  tutto  e  troverai  in  lui  anche  più  di  ciò  che  chiedi  e  desideri”  (Salita  del  Monte  Carmelo,  II,22,5)  Un  altro  insegnamento  importante  riguarda  il  passaggio  dalla  meditazione  alla  contemplazione.  Se  inizialmente  san  Giovanni  della  Croce  invita  ad  usare  delle  immagini  per  facilitare  l’ingresso  nella  preghiera   e   per   mettere   in   campo   tutte   le   facoltà   umane,   successivamente   queste   vanno   poi  abbandonate   per   lasciarsi   condurre   alla   contemplazione   amorosa   della   comunione   con   Dio.  Quando   questo?   Indica   tre   segni19:   primo:   l’anima   trova   aridità   nella   meditazione   iniziale   per  immaginazione  -­‐‑  normalmente  davanti  all’aridità  ci  si  ferma:  Giovanni  dice  invece  che  qui  occorre  proseguire   -­‐‑;   secondo:   anche   se   la   fantasia   –   facoltà   umana   verso   la   quale   non   temere   –   si  sbizzarrisce   a   suo   piacimento,   l’anima   non   si   lega   ad   essa   e   non   ha   voglia   di   fermare   il   suo  pensiero   su   cose  estranee  a  Dio;   terzo:   l’anima   trova   soddisfazione     a   starsene   in  una  attenzione  amorosa   in   Dio,   in   pace   interiore,   quiete   e   riposo   senza   né   esercizio   né   atto   delle   sue   facoltà   –  intelletto,  memoria  e  volontà  –  godendo  della  quiete  amorosa  e  rinunciando  ad  una  comprensione  oggettiva   –   a   volte   invece   si   giudica   la   preghiera   sulla   base   di   una   capacità   discorsiva   oppure  possessiva  del  mistero  di  Dio.    Un’ultimo  aspetto  che  qui  mettiamo  in  luce  è  che  per  questo  grande  mistico  la  preghiera  conduce  sempre  alla  vita  concreta  e  infiamma  il  servizio  al  bene  dei  fratelli.    Per  concludere,  Giovanni  della  Croce  ci  guida  ad  una  preghiera  profondamente  filiale  e  amorosa,  semplice  e  coinvolgente  ogni   facoltà  umana  nella   fede  e  nell’amore,  ad  una  preghiera  che  non  si  chiude  in  se  stessa  ma  entra  nel  vissuto  concreto  di  sé  e  dei  fratelli  quale  partecipazione  dell’amore  divino  per  ogni  creatura.  

F] SANTA TERESA D’AVILA, L’ARTE DELLA PREGHIERA

Trattare  della  preghiera   in   santa  Teresa  d’Avila   è   come   sondare   il  mare  della  Terra,  davvero  un  oceano  di  sapienza  divina  e  umana.    L’idea  centrale  di  tutto  l’insegnamento  di  santa  Teresa  sulla  preghiera  è  il  mistero  dell’inabitazione  di  Dio  nell’intimo  dell’anima,   così   che   il  primo   impegno,  nell’orazione,   è   raccogliersi   e  prendere  coscienza   della   sua   presenza   che   lavora   nell’anima.   Per   Teresa   ciò   conduce   primariamente   alla  CONOSCENZA  DI  SÉ  e  alla  eccelsa  vocazione  di  figli  di  Dio,  per  comprendere  poi  Dio,  fonte  di  ogni  bene.  

                                                                                                                         18  cf  Scientia  Crucis,  II,2    19  cf  Salita  del  Monte  Carmelo,  II,13  

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Per   santa   Teresa   L’ORAZIONE   È   STORIA   DI   AMICIZIA   E   AMORE   con   Dio   e   precisamente   CON  L’UMANITÀ  DEL  VERBO.  Vi  garantisco  che  a  riguardo  ha  pagine  di  una  commozione  unica  e  quanto  proprio  oggi  restano  di  una  attualità  e  profezia  strabiliante,  una  risposta  sapiente  alla  confusione  non  solo  mondana  ma  a  volte  anche  spirituale.  Santa  Teresa  ci  indica  che  il  punto  di  partenza  indispensabile  di  ogni  orazione  è  il  Vangelo  perché  solo  quello  contiene  le  parole  che  uscirono  dalla  santissima  bocca  di  Gesù  e  vi  si  coglie  la  Sua  santa  umanità  che,  nel  cammino  dell’orazione,  cresce,  stanza  dopo  stanza,  nell’anima  come  fatti20.  E’  storia,  cioè  vita  quotidiana,  ritrovo  del  quotidiano  umano  con  l’eterno  di  Dio  nella  persona  di  Gesù.  Santa  Teresa  matura  nella  preghiera  una  profonda  esperienza  dell’azione  attuale  di  Dio  nella  sua   anima.   Come   anche   altri   mistici   evidenziano   (sant’Agostino,   san   Giovanni   della   Croce,   poi  santa  Teresa  Benedetta  delle  Croce,  Itala  Mela  –  per  citarne  alcuni  di  cui  ho  già    fatto  cenno  altre  volte),  nel  centro  più  intimo  dell’anima  Dio  agisce  illuminando  l’intelligenza,  la  volontà  e  gli  affetti  e  più  l’orazione  matura  più  cresce  il  fuoco  dell’amore21  e  delle  aspirazioni  interiori  che  fanno  capire  che   Dio   e   veramente   la   fonte   da   dove   procede   la   nostra   vita.   E   nell’esperienza   viva   di   questa  presenza  operante  di  Dio  non  sfugge  più  all’anima   la  consapevolezza  attuale  di  essere  amata  da  Lui:  Dio  diventa  compagno  e  protagonista  della  vita,  nonostante  i  peccati  e  le  cadute  di  ogni  genere  […]  per  farci  della  sua  stessa  condizione22.  E’  un’amicizia  di  carattere  teologale  che  trascende  e  supera  il  concetto  e  la  realizzazione  di  quella  umana   senza   mortificarne   la   sostanza.   Nel   Cammino   di   Perfezione   così   illustra   gli   inizi   della  preghiera:  “[…]  figlie  mie,  poiché  siete  sole,  cercate  di  trovare  una  compagnia.  E  quale  compagnia  migliore   di   quella   dello   stesso   Maestro   che   ci   ha   insegnato   la   preghiera   che   state   recitando?  Immaginatevi   questo   nostro   Signore   vicino   a   voi   e   considerate   con   quale   amore   e   con   quanta  umiltà   vi   istruisce;   credetemi,   fate   il   possibile   per   non   privarvi   di   un   così   buon   amico.   Se   vi  abituerete  a  tenervelo  vicino,  se  egli  vedrà  che  lo  fate  con  amore  e  che  vi  adoperate  a  contentarlo,  non  potrete,  come  suol  dirsi,  togliervelo  d’attorno;  vi  assisterà  sempre;  vi  aiuterà  in  tutte  le  vostre  difficoltà;   l’avrete   con   voi   dappertutto.   Credete   che   sia   poca   cosa   aver   sempre   al   fianco   un   tale  amico?“23  L’amicizia   in   Teresa   oltre   che   presenza   reciproca   e   costante   è   condivisione   di   tutta   la   vita   nello  spirito   di   quanto   afferma   san   Paolo   nelle   sue   lettere   dove   amicizia   significa,   anche,   cercare   di  amare  l’altro,  parlare  con  lui  con  spontaneità,  piangere  con  lui  nel  dolore,  rallegrarsi  con  lui  nelle  gioie,  non  dimenticarlo  mai.  Gesù,  amate  dell’uomo,  in  cambio  di  un  po’  d’affetto  e  di  attenzione,  nella   preghiera   si   fa   suo   servo   obbediente   e   gli   manifesta   tutto   il   suo   amore24.   Nel   suo   forte  temperamento  femminile,  non  affatto  sdolcinato,  la  santa  fa  poi  notare  che  in  questa  amicizia  Dio  resta  pur   sempre  Dio,  ma   lo   fa  notare  non  per  marcare  una  distanza  –   colmata  dall’umanità  del  Verbo  –  ma  per  indicare  che  chi  ne  trae  vantaggio  è  l’uomo  che  riceve  “tutti  i  beni”  dell’amore.  

                                                                                                                         20  Castello  interiore  VII,2,5  21  Castello  interiore,  II,4  22  Vita  8,4-­‐‑6  23  Cammino  di  Perfezione  (Escorial),,  26,1  24  Cammino  di  perfezione  (Escorial),  26,4  

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E’   amore   che   si   esprime   in   un   immediato   sguardo   d’intesa   e   fiducia.   Nell’esperienza   di   santa  Teresa  per  pregare  non  occorre  avere  molta  intelligenza  o  facilità  di  discorso  logico,  né  occorrono  forze   fisiche25;   occorre   invece   amare   molto.   La   santa   spagnola   ha   un’espressione   bellissima   a  riguardo,  dicendo  che  Dio  “non  ama  per  nulla  che  ci  rompiamo  la  testa  con  dei  lunghi  discorsi  e  ci  capisce  anche  per  via  dei  segni”26    Dobbiamo  lasciare  questo  aspetto  e  accennare  ai  GRADI  DELL’ORAZIONE  in  santa  Teresa  d’Avila.  La   santa   cerca  di   sistematicizzare   la   sua   esperienza  perché  possa  diventare  un  percorso   agevole  anche   per   altri.   Indica   questo   cammino   nella   Vita   in   quattro   gradi   -­‐‑   o   azioni   paragonate   a   un  giardiniere   che   attinge   acqua   da   un   pozzo   per   irrigare   il   giardino   -­‐‑,   come   anche   in  Cammino   di  Perfezione,  mentre  nel  Castello  interiore  in  sette  Mansioni.  Qualunque  suddivisione  comunque  non  va  pensata  in  una  successione  ordinata  come  siamo  soliti  pensare   noi,   ma   come   un   compenetrarsi   a   vicenda,   come   uno   sviluppo   e   intensificazione   delle  stesse  esperienze  già  acquisite,  come  un  crescendi  affiatamento  e  mutua  conoscenza  fino  all’unione  delle  persone.  Un   ulteriore   aspetto   prezioso   e   comune   è   che   Tersa   ha   vissuto   la   fatica   di   tutti   nella   preghiera,  comprendendo  che  si  tratta  della  sofferenza  di  chi  vuole  iniziare  un  rapporto  con  dio  mettendosi  come  protagonista  di  questa  azione.  Se  così  è,  la  preghiera  diventa  noia  oppure  assume  un’aria  –  diremmo  noi  –  cupa,  severa,  angosciata.  Teresa   passo   dopo   passo,   riprendendo   la   preghiera   dopo   ripetute   interruzioni,   a   seguito   del  cedimento   alla   noia   e   alla   stanchezza,   sentì   che   il   suo   cuore   incominciava   ad   essere  mosso   per  qualche  istante  dall’affetto  e  ciò  per  pura  misericordia  di  Dio.  La  santa  capì,  a  forza  di  cadute,  che  solo  Dio  poteva  essere  il  protagonista  della  sua  vita  spirituale  e  che  era  indispensabile  arrendersi  completamente  a  Lui.    La   strutturazione   in  quattro  gradi,   soprattutto  nella  Vita,   Teresa   l’attinge  dalla   solida   tradizione  patristica   e  monastica   a   cui   aveva   attinto   fin   da   giovane   e   vi   ritroviamo   i   gradi   principali   della  lectio  divina:  lectio,  meditatio,  oratio,  contemplatio  a  cui  fa  indirettamente  riferimento.  Nel  Cammino  di  Perfezione  parla  di  preghiera  vocale,  poi  di  preghiera  mentale,  quindi  di  orazione  contemplativa  e  infine  di  contemplazione  perfetta.  Le  sette  tappe  del  Castello  interiore  potrebbero  essere  sintetizzate  con  una  o  più  parole  ciascuna:  la   conversione,   la   lotta   e   la   perseveranza,   la   prova   e   la   nuova   conversione,   la   grazia   come  esperienza  di  dono,  il  rinnovamento  della  vita  in  Cristo,  le  grazie  della  vita  mistica,  il  culmine  del  matrimonio  spirituale  e  della  totale  donazione  apostolica27.  Le  prime  tre  mansioni  appartengono  al  periodo  ascetico,   le  ultime   tre   a  quello  mistico   e   la  quarta   ad  un  periodo  misto.   In   realtà  questa  distinzione  è  solo  per  comodità  nostra  di  lettura;  tutto  il  cammino  spirituale  di  Teresa  è  un  costante  intreccio  tra  la  grazia  di  Dio  e  la  risposta  dell’uomo,  anche  se  all’inizio  sembra  prevalere  l’azione  della  persona  umana  e  poi  stanza  dopo  stanza  invece  sempre  più  l’azione  libera  e  gratuita  di  Dio.  

                                                                                                                         25  Vita,  7,12  26  Cammino  di  Perfezione  (Valladolid),  29,6  27  p.  Jesùs  Castellano  Cervera  OCD  

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Se  vogliamo  maturare  una  preghiera  e  un  cammino  cristiano  sereno  -­‐‑  non  isolatamente  spirituale  -­‐‑  Santa  Teresa  d’Avila  ci  offre  una  via  e  una  testimonianza  quanto  mai  unica  e  moderna.  Auguro  a  ciascuno   quanto   accadde   alla   grandissima   filosofa   ebrea   Edith   Stein   che   in   una   notte   di   lettura  della  Vita  di  santa  Teresa  trovò  quella  Verità  che  la  condurrà  a  ricevere  il  Battesimo  e  a  divenire  poi  santa  Teresa  Benedetta  della  Croce,  monaca  e  martire.  

Preghiera allo Spirito Santo (di Santa Teresa d’Avila)

O Spirito Santo, sei tu che unisci la mia anima a Dio: muovila con ardenti desideri e accendila con il fuoco del tuo amore.

Quanto sei buono con me, o Spirito Santo di Dio: sii per sempre lodato e Benedetto per il grande amore che affondi su di me!

Dio mio e mio Creatore è mai possibile che vi sia qualcuno che non ti ami? Per tanto tempo non ti ho amato! Perdonami, Signore.

O Spirito Santo, concedi all'anima mia di essere tutta di Dio e di servirlo senza alcun interesse personale, ma solo perchè è Padre mio e mi ama.

Mio Dio e mio tutto, c'è forse qualche altra cosa che io possa desiderare? Tu solo mi basti. Amen.

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G]G] “S“S IGNORE CI HAI FATTI IGNORE CI HAI FATTI PER TEPER TE”.”. LLA PREGHIERA IN A PREGHIERA IN SSANTANT’A’AGOSTINOGOSTINO

 

Iniziamo  una   catechesi   sulla  preghiera,   lasciandoci   aiutare  di   volta   in  volta  da  un   fratello   o  una  sorella  che  sono  divenuti  dei  maestri  nella  preghiera  stessa.  

Oggi   ci   accompagnerà   Sant’Agostino.   Agostino   nasce   a   Tagaste   il   13   dicembre   354   e   dopo   una  giovinezza  alla  ricerca  di  ciò  che  è  autenticamente  vero,  peregrinado  fra  varie  correnti  filosofiche  soprattutto  nel  manicheismo,  a  seguito  dell’incontro  col  vescovo  Ambrogio  e  con  la  Sacra  Scrittura,  riceve  il  battesimo  il  sabato  santo  nella  notte  tra  il  24  e  il  25  aprile  387,  assieme  al  figlio  Adeodato  e  ad  Alipio,  suo  discepolo  e  amico.    

Nel  391  viene  ordinato  sacerdote  e  fonda  una  comunità  monastica.  Nel  396  viene  ordinato  Vescovo  di  Ippona.  Muore  nel  430  mentre  la  città  è  assediata  dai  Vandali.  

Di  incalcolabile  valore  per  tutta  l’umanità  resta  la  sua  testimonianza  di  vita  mirabilmente  raccolta  nella   sua   autobiografia   Le   Confessioni   e   i   suoi   scritti   filosofico,   teologici   e   di   commento   alla  Scrittura.  

Nelle  Confessioni  Agostino  scrive:  “Tu  sei  grande,  Signore,  e  ben  degno  di   lode;  grande  è   la   tua  virtù,   e   la   tua   sapienza   incalcolabile.  E   l'ʹuomo  vuole   lodarti,  una  particella  del   tuo  creato,   che   si  porta  attorno  il  suo  destino  mortale,  che  si  porta  attorno  la  prova  del  suo  peccato  e  la  prova  che  tu  resisti  ai  superbi.  Eppure  l'ʹuomo,  una  particella  del  tuo  creato,  vuole  lodarti.  Sei  tu  che  lo  stimoli  a  dilettarsi  delle  tue  lodi,  perché  ci  hai  fatti  per  te,  e  il  nostro  cuore  non  ha  posa  finché  non  riposa  in  te”  (I,1,1).  

Agostino  comprende  che  la  grandezza  di  Dio  non  Lo  tiene  lontano  da  sè,  ma  anzi  proprio  il  fatto  di  riconoscersi   creatura   da   Lui   voluta   e   amata   è   la   chiave   di   volta   per   una   reciproca   ricerca.   In  Agostino  la  preghiera  è  proprio  il  luogo  concreto  dove  Dio  guida  l’uomo  ed  entrambi  si  incontrano  in  un  divino  e  umano  colloquio.  Per  Agostino  la  preghiera  ha  due  connotati  ben  precisi:  essa  è  fatta  con  Cristo  –  nel  mistero  della  sua   incarnazione   -­‐‑  e  con   la  Chiesa  –  comunità  dei   fratelli   che   loda  Dio,  inscindibilmente  legata  a  Gesù.  Al  di  fuori  di  ciò  non  vi  è  preghiera  matura.    

Molte  sono  le  preghiere  presenti  negli  scritti  di  Agostino,  ma  la  Lettera  130  rappresenta  un  piccolo  prezioso   trattato.   La   lettera   è   diretta   a   Proba,   una   nobilissima   signora   romana   rifugiatasi   a  Cartagine   per   sfuggire   ai   Goti   di   Alarico   (410   d.C.),   desiderosa   di   dedicarsi   intensamente   alla  preghiera.    

Agostino   vi   tratta   due   questioni   di   fondo:   con   quali   disposizioni   dobbiamo   pregare   e   che   cosa  dobbiamo  chiedere  pregando;  riflette  poi  anche  sul  perché  dobbiamo  pregare  se  Dio  sa  ciò  di  cui  abbiamo  bisogno.  

Sono  tre  domande  che  tutti  ci  poniamo  davanti  alla  preghiera.  

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Vediamo  le  disposizioni.  Agostino  ne  indica  quattro:  la  conversione,  l’intenzione,  l’attenzione  e  la  purificazione.   Non   le   commento,   perché   sono   anche   già   sufficientemente   comprensibili   per   il  nostro   obiettivo,   ma   le   possiamo   sintetizzare   dicendo   che,   per   mettersi   a   pregare   con   frutto,   è  necessario   riconoscere   la   nostra   situazione   umana,   con   la   sua   precarietà   e   i   suoi   limiti,   cioè   di  creatura,   e   creatura   chiamata   alla   lode  di  Dio  quale   luogo   in   cui   già   si   contempla   la   comunione  piena  nella  Trinità.    

Circa   l’oggetto  della   preghiera,   il   che   cosa  dobbiamo   chiedere,  Agostino   è   chiaro:   la   vita   beata,  quindi   la   felicità.   Dicendo   così   egli   vuole   precisare   che   la   preghiera   è   qualcosa   di   essenziale,  l’espressione   del   sentimento   più   comune   e   profondo   di   ogni   uomo.   In   che   cosa   consiste   la   vita  beata?   Per   Agostino   si   tratta   di   volere   ciò   che   si   deve   volere   –   come   aveva   sentito   dire   da   sua  mamma,  Monica   -­‐‑   e   in   questo   suo  dire   indica   nella   preghiera   il   criterio  della   verità   sulle   cose   e  sull’esistenza  e  porta  la  preghiera  stessa  alla  radice  del  nostro  essere.  Nella  preghiera  chiediamo  a  Dio  di  ottenere  il  bene  che  più  profondamente  desideriamo.  Ora  vi  sono  cose  che  desideriamo  per  se  stesse,  altre  in  ordine  ad  altre  cose.  Agostino  precisa  che  essendo  l’oggetto  della  preghiera  è  la  vita  beata,   essa  è   tale   solo   se   è   eterna:   così   la  beatitudine  può  essere   solo  nei  beni   eterni.  Perché  questo?   Perché   l’uomo   è   orientato   verso   la   pienezza,   verso   l’infinito.  Questo   lo   si   sperimenta   in  tante  cose,  anche  verso  i  beni  che  passano,  pur  comprendendo  la  loro  provvisorietà  e  relatività.  Ma  l’uomo   è   orientato   all’infinito   (Ci   hai   fatti   per   Te,   Signore   …).   Ma   il   bene   eterno,   Dio   nel   suo  mistero   Uno   e   Trino,   non   basta   raggiungerlo,   occorre,   riflette   Agostino,   esser   certi   che   non   lo  perderemo  più.    Qui,  per   il  Santo,  entra   in  campo   l’amore  che  si  vive  nella  preghiera   in  Cristo  e  nella  Chiesa.  Pregare  per  ottenere  la  vita  beata  significa:  chiedi  i  beni  eterni,  chiedi  la  vita  eterna,  chiedi  il  possesso  di  Dio,  la  visione  di  Dio,  l’amore  di  Dio,  la  lode  di  Dio.  

Riflettiamo  poi  sulla  necessità  della  preghiera.  Nella  lettera  a  Proba  emerge  un  aspetto  in  linea  con  quanto  detto  prima:  la  necessità  della  preghiera  sta  nel  fatto  che  Dio  non  dà  a  chi  non  chiede  per  non  dare  a  chi  non  è  in  grado  di  ricevere.  Ciò  non  è  da  intendersi  come  una  discriminazione,  ma  al  contrario  Dio  vuole   che  gli   chiediamo   le   cose  di   cui   abbiamo  bisogno,  perché  desidera   che  nella  preghiera  si  eserciti  il  nostro  desiderio,  per  diventare  capaci  di  ricevere  quello  si  prepara  a  donarci:  la  vita  beata.  Al  popolo  Sant’Agostino  dice:   “Se   tu  vai   ad  attingere   l’acqua   che   ti   serve  o  vino  o  un’altra   cosa   preziosa   che   ti   interessa,   hai   tutta   l’attenzione   di   prendere   il   vaso   più   grande   che  puoi,  perché  se  vai  alla  fonte  con  un  vaso  piccolo  porti  con  te  poca  acqua  e  se  vai  alla  botte  con  un  bicchiere  porti  via  poco  vimo.  quanto  più  grande  è  il  vaso,  tanto  maggiore  è  la  quantità  di  liquido  che  tu  puoi  prendere.  Di  conseguenza,  se  tu  desideri  proprio  di  avere  una  quantità  abbondante  di  vino   o   di   acqua,   devi   procurarti   un   vaso   di   capacità   maggiore.   Per   Agostino   la   necessità   della  preghiera   è   espressa   in   termini   di   desiderio   e   di   carità:   desiderio   che   dilata   l’anima,   carità   che  riflette  ciò  per  cui  si  prega.  

 

 

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AALCUNE PREGHIERE DI SLCUNE PREGHIERE DI SANTANT’A’AGOSTINOGOSTINO

 Abbiamo  fede  che  Dio  ci  assisterà.  Abbiamo  fede  certamente,  se  questo  è  almeno  in  nostro  potere.  Egli  stesso  è  il  nostro  potere.  E  allora  prega  con  quanto  maggiore  brevità  e  sincerità  ti  è  possibile.  O  Dio  che  sei  sempre  il  medesimo,    che  io  abbia  conoscenza  di  me,    che  io  abbia  conoscenza  di  te.    Ho  pregato.  

Soliloqui  2,1,1  

 

Dio   Padre   nostro,   che   ci   esorti   a   pregarti   e   ci   dai   ciò   di   cui   sei   pregato,   poiché,   quando   ti  preghiamo,   viviamo   meglio   e   diventiamo   migliori,   esaudisci   me   che   rabbrividisco   in   queste  tenebre  e  porgimi  la  destra.  Fammi  vedere  la  tua  luce,  richiamami  dagli  errori  e  fa'ʹ  che,  dietro  la  tua  guida,  rientri  in  me  ed  in  te.  Amen.  

Soliloqui  2,6,9  

 

Tu  sei  grande,  Signore,  e  ben  degno  di  lode;  grande  è  la  tua  virtù,  e  la  tua  sapienza  incalcolabile.  E  l'ʹuomo  vuole  lodarti,  una  particella  del  tuo  creato,  che  si  porta  attorno  il  suo  destino  mortale,  che  si  porta   attorno   la   prova   del   suo   peccato   e   la   prova   che   tu   resisti   ai   superbi.   Eppure   l'ʹuomo,   una  particella  del  tuo  creato,  vuole  lodarti.  Sei  tu  che  lo  stimoli  a  dilettarsi  delle  tue  lodi,  perché  ci  hai  fatti  per  te,  e  il  nostro  cuore  non  ha  posa  finché  non  riposa  in  te.  Concedimi,  Signore,  di  conoscere  e  capire    se  si  deve  prima  invocarti  o  lodarti,  prima  conoscere  oppure  invocare.  Ma  come  potrebbe  invocarti  chi  non  ti  conosce?  Per  ignoranza  potrebbe  invocare  questo  per  quello.  Dunque  ti  si  deve  piuttosto   invocare   per   conoscere?  Ma   come   invocheranno   colui,   in   cui   non   credettero?   E   come  credere,   se   prima   nessuno   dà   l'ʹannunzio?.   Loderanno   il   Signore   coloro   che   lo   cercano?,   perché  cercandolo  lo  trovano,  e  trovandolo  lo  loderanno.  Che  io  ti  cerchi,  Signore,  invocandoti,  e  t'ʹinvochi  credendoti,   perché   il   tuo   annunzio   ci   è   giunto.  T'ʹinvoca,   Signore,   la  mia   fede,   che  mi  hai  dato   e  ispirato  mediante  il  tuo  Figlio  fatto  uomo,  mediante  l'ʹopera  del  tuo  Annunziatore.  

Le  Confessioni  I,1,1    

Chi  mi  farà  riposare  in  te,  chi  ti  farà  venire  nel  mio  cuore  a  inebriarlo?  Allora  dimenticherei  i  miei  mali,  e   il  mio  unico  bene  abbraccerei:   te.  Cosa  sei  per  me?  Abbi  misericordia,  affinché   io  parli.  E  cosa  sono  io  stesso  per  te,  perché  tu  mi  comandi  di  amarti  e  ti  adiri  verso  di  me    e  minacci,  se  non  ubbidisco,   gravi   sventure,   quasi   fosse   una   sventura   lieve   l'ʹassenza   stessa   di   amore   per   te?   Oh,  dimmi,  per  la  tua  misericordia,  Signore  Dio  mio,  cosa  sei  per  me.  Di'ʹ  all'ʹanima  mia:  la  salvezza  tua  io  

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sono.  Dillo,   che   io   l'ʹoda.   Ecco,   le   orecchie   del  mio   cuore   stanno   davanti   alla   tua   bocca,   Signore.  Aprile  e  di'ʹ  all'ʹanima  mia:  la  salvezza  tua  io  sono.  Rincorrendo  questa  voce  io  ti  raggiungerò,  e  tu  non  celarmi  il  tuo  volto.  Che  io  muoia  per  non  morire,  per  vederlo.    

Le  Confessioni  I,5,5    

Dio  mio,  tu  sei  il  mio  difensore,  e  senza  di  te  la  mia  lotta  contro  il  male,  nella  ricerca  delle  sue  origini,  sarebbe  stata  senza  esito.  Tu  non  hai  permesso  che  le  burrasche  dei  miei  pensieri  mi  distogliessero  dalla  fede  ricevuta  in  dono,  per  la  quale  io  credo  che  Tu  sei  il  Vivente,  che  è  immutabile  la  tua  realtà,  che  hai  cura  degli  esseri  umani  e  giudichi  con  giustizia.  Io  credo  in  Cristo  tuo  Figlio,    Signore  nostro  e  nel  dono  del  Tuo  Spirito,  le  Scritture  sante  garantite  dalla  tua  Chiesa  cattolica.  In  Cristo  e  nella  sua  Chiesa  tu  hai  collocato  per  l’umanità  la  via  della  salvezza,  verso  quella  vita  che  ha  inizio  dopo  questa  morte.  

Le  Confessioni  VII,7,11        

Stimolato  a  rientrare  in  me  stesso,  sotto  la  tua  guida,  entrai  nell'ʹintimità  del  mio  cuore,  e  lo  potei  fare   perché   tu   ti   sei   fatto   mio   aiuto.   Entrai   e   vidi   con   l'ʹocchio   dell'ʹanima   mia,   qualunque   esso  potesse   essere,   una   luce   inalterabile   sopra   il   mio   stesso   sguardo   interiore   e   sopra   la   mia  intelligenza.  Non  era  una   luce   terrena  e  visibile   che   splende  dinanzi  allo   sguardo  di  ogni  uomo.  Direi  anzi  ancora  poco  se  dicessi  che  era  solo  una  luce  più  forte  di  quella  comune,  o  anche  tanto  intensa  da  penetrare  ogni  cosa.  Era  un'ʹaltra  luce,  assai  diversa  da  tutte   le   luci  del  mondo  creato.  Non  stava  al  di  sopra  della  mia  intelligenza  quasi  come  l'ʹolio  che  galleggia  sull'ʹacqua,  né  come  il  cielo  che  si  stende  sopra  la  terra,  ma  una  luce  superiore.  Era  la  luce  che  mi  ha  creato.  E  se  mi  trovavo  sotto  di  essa,  era  perché  ero  stato  creato  da  essa.  Chi  conosce  la  verità  conosce  questa  luce.  O  eterna  verità  e  vera  carità  e  cara  eternità!  Tu   sei   il  mio  Dio,   a   te   sospiro  giorno   e  notte.  Appena   ti   conobbi  mi  hai   sollevato   in   alto  perché  vedessi   quanto   era   da   vedere   e   ciò   che   da   solo   non   sarei   mai   stato   in   grado   di   vedere.   Hai  abbagliato  la  debolezza  della  mia  vista,  splendendo  potentemente  dentro  di  me.  Tremai  di  amore  e  di   terrore.  Mi   ritrovai   lontano   come   in   una   terra   straniera,   dove  mi   parve   di   udire   la   tua   voce  

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dall'ʹalto  che  diceva:  «Io  sono  il  cibo  dei  forti,  cresci  e  mi  avrai.  Tu  non  trasformerai  me  in  te,  come  il  cibo  del  corpo,  ma  sarai  tu  ad  essere  trasformato  in  me».  Cercavo  il  modo  di  procurarmi   la  forza  sufficiente  per  godere  di   te,  e  non  la  trovavo,  finché  non  ebbi  abbracciato  il  «Mediatore  fra  Dio  e  gli  uomini,  l'ʹUomo  Cristo  Gesù»  (1  Tm  2,  5),  «che  è  sopra  ogni  cosa,  Dio  benedetto  nei  secoli»  (Rm  9,  5).  Egli  mi  chiamò  e  disse:  «Io  sono  la  via,  la  verità  e  la  vita»  (Gv  14,  6);  e  unì  quel  cibo,  che  io  non  ero  capace  di  prendere,  al  mio  essere,  poiché  «il  Verbo  si   fece   carne»   (Gv   1,   14).   Così   la   tua   Sapienza,   per   mezzo   della   quale   hai   creato   ogni   cosa,   si  rendeva  alimento  della  nostra  debolezza  da  bambini.  Tardi   ti   ho   amato,   bellezza   tanto   antica   e   tanto  nuova,   tardi   ti   ho   amato.   Ed   ecco   che   tu   stavi  dentro  di  me  e  io  ero  fuori  e  là  ti  cercavo.  E  io,  brutto,  mi  avventavo  sulle  cose  belle  da  te  create.  Eri  con  me  ed  io  non  ero  con  te.  Mi  tenevano  lontano  da  te  quelle  creature,  che,  se  non  fossero  in  te,  neppure  esisterebbero.  Mi  hai  chiamato,  hai  gridato,  hai  infranto  la  mia  sordità.  Mi  hai  abbagliato,  mi  hai  folgorato,  e  hai  finalmente  guarito  la  mia  cecità.  Hai  alitato  su  di  me  il  tuo  profumo  ed  io  l'ʹho  respirato,  e  ora  anelo  a  te.  Ti  ho  gustato  e  ora  ho  fame  e  sete  di  te.  Mi  hai  toccato  e  ora  ardo  dal  desiderio  di  conseguire  la  tua  pace.    

Le Confessioni VII-X

Signore,  Dio  mio,  ascolta  il  mio  grido,  ascolta  la  mia  preghiera.  La  tua  misericordia  esaudisca  il  mio  desiderio:    sono  preoccupato  non  solo  per  me,  ma  anche  per  servire  con  amore  i  fratelli.  Le  tue  Sacre  Scritture  siano  per  me  una  lettura  deliziosa  e  pura;  che  io  non  mi  inganni  su  di  esse,  né  inganni  gli  altri.  Signore,  prestami  ascolto  e  abbi  pietà  di  me,  Signore.  Tu  sei  la  luce  dei  ciechi  e  la  forza  dei  deboli,  la  luce  di  chi  vede  e  le  potenza  dei  forti:    ascolta  il  mio  cuore,  ascolta  la  mia  voce  dal  profondo.  Tuo  è  il  giorno,  tua  la  notte,  al  tuo  cenno  scorrono  gli  istanti.  Concedi  uno  spazio  di  tempo  per  le  nostre  meditazioni  sui  misteri  della  tua  Parola  che  p  Legge  per  noi,  perché  sei  tu  che  hai  detto:  “Bussate  e  vi  sarà  aperto”.  E’  proprio  per  un  tuo  disegno  che  hai  fato  scrivere    tante  pagine  sui  tuoi  segreti.  Signore,  completa  la  tua  opera  in  me  e  illuminami.  La  tua  Parola  è  la  mia  gioia.  La  tua  Parola  supera  ogni  mio  desiderio.  

Le  Confessioni  XI,2,3    

 

Catechesi  sulla  preghiera  2010\11  

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La  fiamma  dell’amore,  Signore,  bruci  tutto  il  mio  cuore.    Nulla  in  me  resti  per  me  che  mi  orienti  verso  me  stesso,    ma  bruci  tutto  e  tutto  in  te  arda.    Tutto  sia  preso  dal  tuo  amore,  coma  avvolto  dalle  fiamme,  che  da  te  si  sono  sprigionate.    

Esposizione  sul  Salmo  137,2    

Signore,  tu  ci  hai  chiamato  e  noi  t’invochiamo.  Abbiamo  udito  la  tua  voce  che  ci  chiamava,  ascolta  la  nostra  voce  che  ti  invoca.  Portaci  dove  hai  promesso,  completa  l’opera  che  hai  iniziato.  Non  abbandonare  i  tuoi  doni,  non  trascurare  il  tuo  campo  seminato,  la  tua  semente  entri  nel  tuo  granaio.  Sono  tante  le  tempeste  del  mondo,  ma  tu  sei  più  potente,  poiché  hai  cerato  il  mondo.  Sono  tante  le  tentazioni,    ma  non  viene  mai  meno  chi  ripone  la  speranza  in  te,    poiché  tu  non  vieni  mai  meno.  

Comm.  Evang.  Gv  40,10  O  Signore,  mediatore,    Dio  sopra  di  noi,  fatto  uomo  per  noi,  riconosco  la  tua  misericordia!  Tu  sei  tanto  grande  eppure  ti  commuovi  per  la  buona  volontà  del  tuo  amore.  Tu,  anche,  consoli,  nel  tuo  corpo,    i  molti  che  sono  turbati  dalle  necessità  della  propria  debolezza  affinché  non  finiscano  nella  disperazione.    

Comm.  Evang.  Gv  52,1-­‐‑2    

La  preghiera  alla  SS.  Trinità  Signore   nostro  Dio,   crediamo   in   te,   Padre   e   Figlio   e   Spirito   Santo.   Perché   la  Verità   non   avrebbe  detto:  Andate,  battezzate  tutte  le  genti  nel  nome  del  Padre  e  del  Figlio  e  dello  Spirito  Santo,  se  Tu  non  fossi  Trinità.  Né  avresti  ordinato,  Signore  Dio,  che  fossimo  battezzati  nel  nome  di  chi  non  fosse  Signore  Dio.   E   una   voce   divina   non   avrebbe   detto:  Ascolta   Israele:   Il   Signore  Dio   tuo   è   un  Dio  Unico,  se  Tu  non  fossi  Trinità  in  tal  modo  da  essere  un  solo  Signore  e  Dio.  E  se  Tu  fossi  Dio  Padre  e  fossi  pure  il  Figlio  tuo  Verbo,  Gesù  Cristo,  e  il  Vostro  Dono  lo  Spirito  Santo,  non  leggeremmo  nelle  Sacre  Scritture:  Dio  ha  mandato  il  Figlio  suo,  né  Tu,  o  Unigenito,  diresti  dello  Spirito  Santo:  Colui  che  il  Padre  manderà  in  mio  nome  e:  Colui  che  io  manderò  da  presso  il  Padre.    

Catechesi  sulla  preghiera  2010\11  

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Dirigendo  la  mia  attenzione  verso  questa  regola  di   fede,  per  quanto  ho  potuto,  per  quanto  tu  mi  hai   concesso   di   potere,   ti   ho   cercato   ed   ho   desiderato   di   vedere   con   l’intelligenza   ciò   che   ho  creduto,  ed  ho  molto  disputato  e  molto  faticato.    Signore  mio  Dio,  mia  unica  speranza,  esaudiscimi  e  fa’  sì  che  non  cessi  di  cercarti  per  stanchezza,  ma   cerchi   sempre   la   tua   faccia   con   ardore.  Dammi  Tu   la   forza   di   cercare,   Tu   che   hai   fatto   sì   di  essere  trovato  e  mi  hai  dato  la  speranza  di  trovarti  con  una  conoscenza  sempre  più  perfetta.    Davanti  a  Te  sta  la  mia  forza  e  la  mia  debolezza:  conserva  quella,  guarisci  questa.  Davanti  a  Te  sta  la  mia  scienza  e  la  mia  ignoranza;  dove  mi  hai  aperto,  ricevimi  quando  entro;  dove  mi  hai  chiuso,  aprimi  quando  busso.  Fa’  che  mi  ricordi  di  te,  che  comprenda  te,  che  ami  te.  Aumenta  in  me  questi  doni,  fino  a  quando  Tu  mi  abbia  riformato  interamente.    So   che   sta   scritto:  Quando   si   parla  molto,   non  manca   il   peccato,  ma  potessi   parlare   soltanto  per  predicare   la   tua   parola   e   dire   le   tue   lodi!  Non   soltanto   eviterei   allora   il   peccato,  ma   acquisterei  meriti   preziosi,   pur   parlando   molto.   Perché   quell’uomo   di   cui   Tu   fosti   la   felicità   non   avrebbe  comandato  di  peccare  al   suo  vero   figlio  nella   fede,  quando  gli   scrisse:  Predica   la  parola,   insisti  a  tempo  e   fuori   tempo.  Non  si  dovrà  dire  che  ha  molto  parlato  colui  che  non  taceva   la   tua  parola,  Signore,  non  solo  a  tempo,  ma  anche  fuori  tempo?  Ma  non  c’erano  molte  parole,  perché  c’era  solo  il  necessario.    Liberami,  o  mio  Dio,  dalla  moltitudine  di  parole  di  cui  soffro  nell’interno  della  mia  anima  misera  alla  tua  presenza  e  che  si  rifugia  nella  tua  misericordia.  Infatti  non  tace  il  pensiero,  anche  quando  tace  la  mia  bocca.  Se  almeno  non  pensassi  se  non  ciò  che  ti  è  grato,  certamente  non  ti  pregherei  di  liberarmi  dalla  moltitudine  di  parole.  Ma  molti   sono   i  miei   pensieri,   tali   quali   Tu   sai   che   sono   i  pensieri  degli  uomini,  cioè  vani.  Concedimi  di  non  consentirvi  e,  anche  quando  vi   trovo  qualche  diletto,  di  condannarli  almeno  e  di  non  abbandonarmi  ad  essi  come  in  una  specie  di  sonno.  Né  essi  prendano  su  di  me  tanta  forza  da  influire  in  qualche  modo  sulla  mia  attività,  ma  almeno  siano  al  sicuro  dal  loro  influsso  i  miei  giudizi,  sia  al  sicuro  la  mia  coscienza,  con  la  tua  protezione.  Parlando  di  Te  un  sapiente  nel  suo  libro,  che  si  chiama  Ecclesiastico,  ha  detto:  Molto  potremmo  dire  senza  giungere  alla  meta,  la  somma  di  tutte  le  parole  è:  Lui  è  tutto.    Quando  dunque  arriveremo  alla  tua  presenza,  cesseranno  queste  molte  parole  che  diciamo  senza  giungere  a  Te;  Tu  resterai,  solo,  tutto  in  tutti,  e  senza  fine  diremo  una  sola  parola,  lodandoti  in  un  solo  slancio  e  divenuti  anche  noi  una  sola  cosa  in  Te.    Signore,  unico  Dio,  Dio  Trinità.  Amen.