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La politica degli armamenti e la politica industriale della Difesa Amm. Sq. Gianpaolo DI PAOLA Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti Ritengo il tema che tratterò oggi sia di grande importanza. Cercherò di fare una prima presentazione non eccessivamente lunga – ancorché, a giu- dicare dalle pagine che ho predisposto, risulterebbe piuttosto estesa – per- ché, tenuto conto del tipo e dell’ampiezza della tematica che mi accingo a trattare, intenderei gestire questo intervento in maniera interattiva, così da ampliare e meglio definire i concetti che ora vado ad esprimere. Come sapete, in questi giorni si sta concludendo quel grande avveni- mento internazionale che è la Mostra di Parigi-Le Bourget, da dove sono ritornato proprio ieri. Si tratta di una Mostra aeronautica ma, in realtà, è soprattutto un gran- de momento di incontro per gli industriali europei e americani, sostanzial- mente, ma anche di altri Paesi che posseggono una realtà industriale nel campo dell’aerospazio. Un momento utile per finalizzare gli affari, fare annunci e dichiarazioni. Ci si confronta anche sulle direzioni di movimen- to della Difesa dei vari Paesi, in generale, e, in particolare, sulla politica industriale degli armamenti. 65

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La politica degli armamenti e la politicaindustriale della Difesa

Amm. Sq. Gianpaolo DI PAOLASegretario Generale della Difesa e

Direttore Nazionale degli Armamenti

Ritengo il tema che tratterò oggi sia di grande importanza. Cercherò difare una prima presentazione non eccessivamente lunga – ancorché, a giu-dicare dalle pagine che ho predisposto, risulterebbe piuttosto estesa – per-ché, tenuto conto del tipo e dell’ampiezza della tematica che mi accingo atrattare, intenderei gestire questo intervento in maniera interattiva, così daampliare e meglio definire i concetti che ora vado ad esprimere.

Come sapete, in questi giorni si sta concludendo quel grande avveni-mento internazionale che è la Mostra di Parigi-Le Bourget, da dove sonoritornato proprio ieri.

Si tratta di una Mostra aeronautica ma, in realtà, è soprattutto un gran-de momento di incontro per gli industriali europei e americani, sostanzial-mente, ma anche di altri Paesi che posseggono una realtà industriale nelcampo dell’aerospazio. Un momento utile per finalizzare gli affari, fareannunci e dichiarazioni. Ci si confronta anche sulle direzioni di movimen-to della Difesa dei vari Paesi, in generale, e, in particolare, sulla politicaindustriale degli armamenti.

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Ritengo, quindi, che la discussione di oggi su questo tema possa essere rav-vivata dagli eventi che si stanno verificando proprio in questi giorni a Parigi.

Sullo stesso tema mi sembra anche molto importante ricordare un pas-saggio del discorso programmatico che il presidente del Consiglio ha tenu-to in occasione del voto di fiducia sia al Senato sia alla Camera.

Un passaggio che leggo testualmente (leggo le parole del Presidente delConsiglio) “la politica di difesa ha bisogno di investimenti di qualità, di unprocesso di informazione che deve inevitabilmente integrare l’industria dellasicurezza collettiva con le nuove acquisizioni della tecnologia militare con ipatti sottoscritti dal nostro Paese”.

Mi sembra che in questo passaggio molto breve, e tuttavia molto incisi-vo, sia concentrato il cuore delle tematiche della politica industriale e,soprattutto, della politica dello sviluppo degli armamenti. Mi sembra, insostanza, che il presidente del Consiglio abbia voluto richiamare la centra-lità di questa politica e metterla insieme alla politica di professionalizzazio-ne delle Forze Armate, cioè alla continuazione della trasformazione dellostrumento militare che è stata avviata.

Questo tema della politica industriale della difesa si inserisce nel quadrodello sviluppo dell’Unione Europea, dello sviluppo della dimensione euro-pea di sicurezza e difesa sul rafforzamento di questa dimensione europeanell’ambito del rapporto con l’Alleanza transatlantica.

I temi, ovviamente prettamente politici di questa dimensione, sono temiampiamente noti, discussi e trattati da voi nell’ambito della vostra sessioneal CASD perché rappresentano un po’ il driver dello sviluppo della nuovarealtà della sicurezza in Europa.

I risultati che sono stati conseguiti alla Conferenza di Helsinki con ladeterminazione di sviluppare una nuova realtà operativa europea nel campodelle forze di intervento rapido sono molto significativi.

Il nuovo processo politico, però, presuppone, in qualche modo si fonda,si basa, è underpinned (si direbbe con la terminologia anglosassone) su unarealtà industriale che diventa sempre più integrata, multinazionale, europeae, naturalmente, transatlantica.

Il tema politico del giorno è il gap operativo – che poi si traduce in gappolitico – tra gli Stati Uniti e i partner europei. Si tratta di un gap di capa-cità operative, cioè mezzi, sistemi, acquisizioni, politiche degli investimen-ti, politiche dello sviluppo e della ricerca tecnologica. Tutto ciò si riassumenell’ambito del concetto della politica delle acquisizioni, della politica degliarmamenti e, di conseguenza, della politica dell’industria della difesa.Perché non c’è dubbio che queste capacità operative presuppongono, hanno

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bisogno, di una capacità industriale forte, tecnologicamente capace di for-nire all’Europa, di fornire ai Paesi europei dell’Alleanza quei sistemi e quel-le tecnologie di cui hanno bisogno per colmare – o comunque per renderemeno vistoso – il gap con il partner statunitense, ma, soprattutto, per con-sentire un concreto livello di interoperabilità che oggi è a rischio.

Il vero significato del gap non è soltanto operativo ma rischia di diventare poli-tico e si traduce nell’incapacità degli Europei a tenere ragionevolmente il passocon gli alleati americani. Il rischio dell’incapacità a lavorare insieme potrebbecreare una frattura politica e, di conseguenza, un indebolimento dell’Alleanza.

La grossa sfida per l’Europa è proprio questa.Quando oggi parliamo di dimensione europea di sicurezza e difesa ne

parliamo sempre più mettendola in relazione al rapporto con gli Stati Uniti.Noi italiani e europei siamo sempre più convinti che la crescita della dimen-sione europea della sicurezza e della difesa sia un elemento essenziale perrafforzare l’Alleanza transatlantica. È impensabile che l’Alleanza transatlan-tica possa continuare ad esistere nel nuovo quadro strategico, come lo erafino ad ieri, cioè sostanzialmente basata su un rapporto assolutamente sbi-lanciato tra la realtà statunitense e la realtà europea.

Questa è la vera essenza del problema con il quale sempre più spesso ciconfrontiamo.

Non si tratta certo di voler sviluppare una capacità indipendente, unacapacità europea separata da quella degli Stati Uniti: assolutamente no! Ilproblema vero è di sviluppare una capacità europea che consenta di avereun rapporto più sano, più armonico, più bilanciato, più equo con il partnertransatlantico. Questo processo rappresenta l’unica strada percorribile perconsentire all’Alleanza di continuare a maturare, crescere, prosperare e aconsolidarsi nel nuovo quadro strategico mondiale.

Di questo aspetto politico, la dimensione degli armamenti è certamentecentrale. Intendo dire che le capacità operative che gli Europei voglionoacquisire non possono essere ottenute senza una solida base industrialeeuropea che sia in grado di fornire quell’innovazione tecnologica, quell’in-novazione anche operativa di cui abbiamo bisogno per tenere il passo congli Americani. Questa è l’essenza di quelle due grosse iniziative che sono laDefence Capabilities Iniziative, sviluppata in ambito alleato, e “l’identitàeuropea di sicurezza di difesa”. Nel quadro dell’Unione che si sta consoli-dando si tratta di due facce della stessa medaglia, della stessa sostanza delproblema. In definitiva, si tratta di stabilire come gli Europei possono accre-scere le proprie capacità operative per essere partner efficaci degli USA.

Tutto questo non può essere conseguito senza una solida politica degli

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armamenti e senza una solida politica di riorganizzazione del compartoindustriale europeo.

Lo dice la logica, lo dicono anche i fatti. Oggi si sta sviluppando in Europa un grosso processo di riorganizzazio-

ne industriale: ne è esempio evidente anche il Polo Missilistico che si èrecentemente creato in ambito europeo – la MBDA - che mette insiemel’industria del settore britannico, tedesco, francese ed italiano e che rappre-senta, oggi come oggi, un grosso polo industriale, numero due al mondodopo la Raytheon in questo settore.

Convergenze si stanno realizzando nel settore dell’avionica, e siamo ai primipassi nel settore aeronautico dove l’Alenia si sta avviando in una impresa comu-ne con l’EADS per la creazione di una nuova realtà che attualmente viene prov-visoriamente chiamata EMAC (European Air Military Company) ma che poi avràun suo nome quando questa realtà verrà formalmente annunciata.

Similmente, nel settore dello Spazio, delle tecnologie spaziali, che è unaltro settore importante anzi fondamentale delle tecnologie, si stannoavviando dei processi di convergenza europea molto significativi.

È confortante sotto un certo punto di vista notare che l’Italia oggi puòaffrontare questi vari processi di riorganizzazione con maggior tranquillità,con maggiore consapevolezza, avendo negli anni passati intrapreso un pro-cesso di riorganizzazione interna piuttosto significativo, di razionalizzazio-ne, di acquisizione di produttività e di efficienza, avendo rimesso ordine incasa propria nel settore industriale della Difesa.

In sostanza, il nostro Paese adesso può giocare più attivamente le sue cartenell’ambito dei processi di accorpamento che si stanno creando in Europa.

Ma in tutto questo quadro, il movimento dell’Europa dell’industria delladifesa non vuole e non può essere in antitesi con la realtà industriale ame-ricana. Non lo può e non lo vuole per vari motivi.

Il primo motivo è fondamentalmente politico: non ci sentiamo in con-trapposizione con gli Stati Uniti ma, nella misura in cui vogliamo diventa-re partner più responsabili del quadro transatlantico, dobbiamo giocoforzadiventare partner industriali più responsabili.

L’Europa, usando questa parola in senso ampio e generale, non può pen-sare di diventare un partner operativo più responsabile e allo stesso tempo,rimanere un nano industriale. Di conseguenza, il processo di razionalizza-zione industriale, e quindi degli investimenti, è molto importante.

In secondo luogo, perché gli Stati Uniti hanno oggi, e continueranno adavere per il futuro, una base industriale tecnologicamente più avanzata insvariati settori e questo induce l’industria europea a cercare sinergie e coo-

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perazioni con l’industria americana. Naturalmente la cooperazione con l’in-dustria americana non può avvenire se nella realtà l’industria europea nonsi consolida, cresce e diviene più forte, per poter effettivamente trattare suuna base di ragionevole equità.

In realtà la cooperazione industriale - se vogliamo parlare di seria coopera-zione industriale, di cooperazione tecnologica - si fa fra partner che siano quan-tomeno comparabili se non uguali. Intendo dire che una Europa che avesseuna base industriale fortemente frazionata e una tecnologia fortemente in ritar-do rispetto agli Stati Uniti non potrebbe cooperare. Il tutto si tradurrebbe inuna semplice colonizzazione tecnologica-industriale: questa è la realtà.

Voi sapete che il tema della two-way-street, cioè della cooperazione nelle duedirezioni, è sempre stato uno dei temi di battaglia caldi del rapporto transa-tlantico nel settore della cooperazione industriale. In realtà si è sempre tratta-to perlopiù di una dichiarazione programmatica. Una two-way-street non è maiesistita, è sempre stata unicamente e sostanzialmente una one-way-street.

E questo sia perché non c’era da parte europea una sufficiente capacità divoler perseguire una two-way-street - il che vuol dire disporre di una capa-cità tecnologica di sviluppare un’industria significativa, di investire e razio-nalizzare - sia perché il mercato americano e le politiche americane eranoabbastanza conservative e autarchiche.

Oggi anche da parte americana ci sono dei passi, o per lo meno delledichiarazioni politiche di apertura in questo senso. Di conseguenza, se oggil’Europa saprà e lo vorrà, se saprà essere un partner più credibile ancheindustrialmente, si possono creare le premesse per la two-way-street anchenel campo della cooperazione industriale.

Al Consiglio Atlantico a livello di Capi di Stato di Governo che si è svoltorecentemente, il 13 giugno scorso, a Bruxelles, Bush ha dichiarato che è arri-vato il momento non to buy european, non to buy american ma to buy transa-tlantic. Un’affermazione di questo tipo da parte del Presidente americano ècertamente una dichiarazione importante, anzi il welcome, però anche in que-sto caso buy transatlantic deve voler dire two-way-street cooperation, vuol direche l’Europa si deve mettere in condizioni di poterlo fare e per poter far que-sto bisogna continuare a razionalizzare, investire e concentrare.

Ecco perché ritengo che sia così significativo il riferimento che ilPresidente del Consiglio ha fatto alla necessità di investimenti di qualità, edi investimenti nelle tecnologie.

Questa indicazione rappresenta la consapevolezza del fatto che in questosettore l’Italia e gli altri Paesi europei devono camminare di più, meglio,devono essere in grado di fare un salto di qualità.

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Naturalmente, questo significa anche rendersi conto che alla base delconsolidamento della cooperazione industriale c’è la capacità di produrretecnologia.

L’Italia, e l’Europa in generale, (non do cifre, tanto sono ben note) fannoinvestimenti nella ricerca tecnologica che non sono neanche vagamentecomparabili con quelli che fanno gli americani, non lo sono in assoluto enon lo sono nel rapporto risultati/spesa fatta; questo, soprattutto perché inEuropa siamo fortemente frazionati.

In realtà, ognuno di noi in Europa, chi più chi meno (l’Italia è certa-mente oggi tra “i chi meno” non certo tra “i chi più”) fa della ricerca tec-nologica ancora su base essenzialmente nazionale, rispondendo sostanzial-mente a dei requisiti e a delle esigenze che sono fondamentalmente for-mulate in modo nazionale.

Ecco quindi che anche la somma matematica, delle risorse che i princi-pali Paesi europei dedicano alla ricerca tecnologica, oltre a rappresentare unnumero comunque più basso di quanto gli Stati Uniti dedicano a questosettore, finisce anche con l’essere meno efficace.

Se si sommano matematicamente le risorse dedicate dagli europei allaricerca il risultato è più basso degli stanziamenti americani.

In realtà poi, occorre precisare che non di una somma matematica siparla ma di una somma tecnologica, in quanto non siamo ancora in gradodi concentrare le risorse in maniera unitaria ed a fare insieme ricerca comu-ne o quantomeno complementare.

Questo processo sta iniziando solo ora e non sono ancora visibili risul-tati significativi.

In questo senso, è certamente importante la strada che si sta percorren-do con i programmi EUCLIDE, che, pur essendo tecnologicamente mode-sti (questo non ce lo possiamo nascondere), sono però politicamente signi-ficanti.

La recente firma da parte dei Ministri della Difesa dei Paesi europei delMoU “EUROPA” rappresenta un passo in avanti, potenzialmente moltosignificativo.

Il MoU “EUROPA” consente e favorisce la ricerca tecnologica in campoeuropeo in maniera più flessibile.

Oggi, la cooperazione europea nel settore della ricerca si svolge nell’am-bito del Western European Armaments Group (WEAG), il gruppo che riuni-sce 19 Paesi europei, Foro certamente importante seppur disomogeneo.

Il WEAG, però, è un Foro che lavora all’unanimità e così, se da un lato con-sente a tutti di partecipare, dall’altro rappresenta un freno per quei Paesi che

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vogliono proseguire più speditamente e che quindi sono anche disposti adinvestire di più in certe aree che sono anche tecnologicamente più sensibili.

Il MoU “EUROPA” recepisce questa disomogeneità della realtà delWestern European Armament Group e consente flessibilità in programmi diinvestimento selettivi per quei Paesi che vogliono andare avanti di più emeglio degli altri. In questo senso, il MoU Europa rappresenta una grossaopportunità.

Tuttavia, i MoU non fanno ricerca, i MoU creano strumenti per farericerca insieme, ma non sono la ricerca; la ricerca è il risultato della volontà,della disponibilità, della determinazione dei Paesi di allocare le risorse e,soprattutto, di individuare un piano di ricerca tecnologica comune checonsenta di far fruttare al meglio le risorse assegnate.

Contiamo su questo nuovo processo e su di esso stiamo fortemente lavo-rando.

In sostanza la strada della maggiore efficacia europea nel campo dellaricerca tecnologica passa attraverso maggiori investimenti e attraverso lavolontà – perlomeno di quel gruppo di Paesi che è più disposto ad avanza-re in questo settore - di mettere in comune gli investimenti.

Maggiori investimenti fatti insieme in un programma di ricerca tecnologi-ca comune europeo, razionalizzazione della base industriale, costituisconoimportanti processi in atto sul versante della razionalizzazione della offerta.

Unitamente alla razionalizzazione dell’offerta c’è poi l’altro importanteaspetto della razionalizzazione della domanda, cioè della razionalizzazionedei requisiti operativi, non solo in termini di esigenze ma soprattutto in ter-mini di pianificazione delle esigenze.

Intendo dire che l’Europa ha bisogno - o per lo meno il gruppo leaderdella realtà europea, cioè quei Paesi che hanno un’industria europea piùavanzata, che investono di più in questo settore – hanno bisogno di mette-re insieme la pianificazione degli investimenti.

Non può bastare, infatti soltanto cercare o sforzarsi di avere gli stessirequisiti. Cosa che spesso oggi ancora non viene fatta in quanto troviamodifficoltà anche nel solo mettere insieme l’esigenza. Francamente, trovoquesto fenomeno singolare e molto strano: credo che troppo spesso ten-diamo a mettere enfasi sul requisito nazionale, cerchiamo di spingere avan-ti il discorso “noi abbiamo delle particolarità, noi siamo diversi, noi abbia-mo un requisito diverso”. Ebbene, credo che si tratti solamente di una “resi-stenza mentale” che noi Italiani - ma questo vale anche per gli altri Paesi –abbiamo nel continuare a pensare di avere esigenze, e quindi requisiti ope-rativi, diversi da quelli degli altri.

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Sono fermamente convinto che l’Italia abbia un requisito fondamental-mente identico a quello degli Inglesi, Tedeschi, Francesi e Spagnoli e che leresistenze mentali e la scusa dell’unicità del requisito pongono resistenza alprocesso di cambiamento. Occorre quindi che ci sforziamo di pensareinsieme almeno con i Paesi-guida dell’Europa e dell’Alleanza, alla definizio-ne in comune dei requisiti e delle esigenze operative.

Occorre anche pensare insieme alla pianificazione, ovvero alla realizza-zione del requisito nel tempo. Facciamo un esempio. Ammettiamo chel’Italia e l’UK abbiano stesso, identico requisito. Se il Regno Unito decide,ad esempio, che l’ammodernamento di una certa linea lo farà nel 2020mentre l’Italia lo vuole fare nel 2002, è evidente che, pur trattandosi di unostesso requisito, si crea un problema.

Se invece i due Paesi si mettono d’accordo per sviluppare la linea in una dataintermedia, ad esempio nel 2010, ecco che questo consente una cooperazioneinternazionale e la possibilità di sviluppare programmi significativi in campoeuropeo, creando una massa critica dell’esigenza, che consente di conseguireun’efficienza. Questo perché è diverso per l’industria o per un consorzio indu-striale sviluppare un certo programma in 30 anni, ovvero in 10-12 anni.

Quindi non basta avere lo stesso requisito, ma è necessario sforzarsi dimettere insieme la pianificazione temporale, perché questo è quello che fala differenza, questo è quello che consente di creare effettivamente sinergiae, quindi, di farci fare quel salto di qualità anche nel costo/efficacia dellerisorse impiegate. Non possiamo continuare ad avere risorse o pianificazio-ni che sono in qualche misura solo sommatoria algebrica delle capacità mache non rappresentano una vera unitarietà in campo europeo.

Questo è il vero salto di qualità mentale che tutti insieme dobbiamo fare,del quale io sono assolutamente convinto e sul quale spero di aver convin-to anche voi.

A premessa, naturalmente, dovremo realizzare una pianificazione nazio-nale veramente integrata.

L’anno scorso, nel discorso di chiusura al CASD, l’allora Capo di StatoMaggiore della Difesa, il Gen. ARPINO, fece un discorso molto chiaro e moltoforte su questo punto dicendo “adesso basta, abbiamo finito di scherzare, adessoè arrivato il momento che la pianificazione diventi un fatto veramente integrato”.Credo che questo concetto verrà sempre più riaffermato nei mesi che verranno.

Certamente, mi sembra che l’azione dell’attuale Capo di Stato Maggioredella Difesa, Gen. Rolando MOSCA MOCHINI proceda con chiarezza diidee in questa direzione: esiste una sola pianificazione della Difesa, non esi-stono pianificazioni di strumenti separati.

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Ovviamente questa responsabilità è del Capo di Stato Maggiore dellaDifesa, certamente con il concorso, con la cooperazione e con il contribu-to dei Capi di Stato Maggiore di Forza Armata e del Segretario Generale eDirettore Nazionale degli Armamenti.

I requisiti nascono certamente dal contributo specialistico delle compo-nenti, ma questo è soltanto il primo passo, in quanto, poi, devono esseresempre validati e fatti propri, dal vertice militare che è rappresentato dalCapo di Stato Maggiore della Difesa.

Questo è quanto stanno già facendo gli altri Paesi europei e su questadirezione è bene che ci muoviamo rapidamente.

Una volta definito il ruolo di centralità del Capo di Stato Maggiore dellaDifesa nel definire requisiti e pianificazioni, il Segretariato Generale, instretta sinergia con le Direzioni Generali, lo SMD e gli SM di FA, suben-tra con il suo ruolo principale e trainante di individuare - anche in con-fronto critico con la realtà industriale italiana, europea e multinazionale -quali siano le possibili e più opportune strategie ed azioni per soddisfare l’e-sigenza operativa definita dal Capo di Stato Maggiore della Difesa.

Soltanto da questo lavoro di analisi e di confronto aperto con tutte le com-ponenti operative della Difesa, e con le DDGG, che alla fine sono quelle chia-mate a operare l’attività contrattuale, e con la realtà industriale europea e non,può nascere, alla fine, la soluzione più opportuna a soddisfare il requisito, sullabase ovviamente delle indicazioni, delle scelte e degli indirizzi politici del SignorMinistro, cui competono le scelte finali tecniche, politiche e industriali.

Scelte che sempre più sono multinazionali, europee e anche transa-tlantiche.

Questo è un aspetto assolutamente centrale, sul quale insisto molto, per-ché ritengo che sia la vera, l’unica strada da percorrere, la vera novità, il verofrutto del cambiamento che si è verificato in questi ultimi anni che hannoportato alla riforma dell’organizzazione al Vertice da un lato e alla riformae all’avvio di un processo di creazione di una realtà europea della difesa inte-grata da un forte rapporto transatlantico.

Ho riassunto finora solo alcuni dei concetti che avevo in mente, ma altriancora vanno approfonditi.

Il rapporto PIL/spese militari delle nazioni europee nel processo di raziona-lizzazione, concentrazione e investimento in ambito europeo.

Questo è il tema dei cosiddetti “criteri di convergenza”, usati per la primavolta a Maastricht per la convergenza nel settore delle politiche economiche.

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È questo un tema che l’Italia, certamente negli anni passati, ha cercato diportare avanti: cioè il discorso di creare una Maastricht della difesa. Non siusa questa parola perché crea ovviamente subito apprensioni in moltiambienti, però questa è la realtà.

Il tema dei criteri di convergenza nel settore delle politiche della difesa chel’Italia ha sollevato, sembra che oggi stia in effetti facendo capolino e su que-sta idea, credo, si stia cominciando a creare una certa maturazione politica.

Si tratta di un tema che insieme all’Italia, che ha fatto da precursore, èstato portato avanti da quei Paesi che tradizionalmente sono sul versante dei“sotto la media” diciamo così della sfera europea, mentre trovava più resi-stenza in altri Paesi, tipo la Gran Bretagna e la Francia, che sono “sopra lamedia”, o aveva tiepida accoglienza in altri Paesi come la Germania .

Recentemente ho sentito trattare questo tema da Richard, ho sentito sol-levarlo da Scharping…. non ho sentito ancora sollevarlo dagli inglesi, ma,insomma, vuol dire che, intanto, si sta incominciando a creare una certaqual massa critica.

Quindi, vuol dire che ci si rende conto della necessità di creare un pro-cesso di convergenza anche nelle politiche della difesa, incluso il settoreovviamente del budget e quindi degli investimenti.

È un tema che sta diventando politico. Non è più il solito “grido” di doloredegli operativi, dei tecnici, dei militari ma sta diventando un problema politico.

Certamente, rispetto ai criteri di convergenza rigidi che sono stati conce-piti a Maastricht per la convergenza economica al fine di arrivare a quella chepoi è stata la moneta unica, qui parliamo di criteri più flessibili, cioè di crite-ri che non sono politicamente vincolanti, anche perché adesso mi sembra nonci sia consenso e sufficiente maturazione in campo europeo per accettare deicriteri politicamente vincolanti nel settore delle spese destinate alla difesa.

Però si comincia a parlare di criteri politici, di criteri che hanno un valo-re di indirizzo politico e che sono criteri che, pur non essendo finanziaria-mente vincolanti, se si faranno strada diverranno politicamente significati-vi e quindi consentiranno una maggior convergenza delle spese della difesa.

Quando si parla di criteri se ne possono usare vari. Si può parlare, adesempio, della percentuale delle spese rispetto al PIL - ancorché questo siauno di quelli che più suscita preoccupazione in alcuni Paesi.

Si può parlare di criteri di spese di investimento rispetto alla quota del Pil,di spese di investimento rispetto alle spese della difesa, di spese pro-capite,cioè parametri diciamo un po’ più indiretti rispetto a quello che è il parame-tro spese difesa rispetto al PIL. Però, parametri che, pur essendo un pò menodiretti, esprimono soprattutto l’esigenza di maggiori investimenti.

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Nei Paesi europei dove ci sono stati grossi strumenti militari in termini diuomini di leva, vi sono stati sempre meno risorse da dedicare all’investimento.

Ecco che questa forma di parametri indiretti che meno colpiscono iltema del rapporto spese-Difesa rispetto al PIL, rappresenta un modo di ini-ziare a far convergere gli strumenti europei verso strumenti militari in cuici sia un più sano rapporto tra le risorse dedicate agli investimenti e le risor-se dedicate al complesso della difesa, cioè alle tre voci: personale, manteni-mento e investimenti .

Nel momento in cui questi criteri dovessero in qualche misura affermar-si anche come tetti minimi al di sopra dei quali essere o come bande all’in-terno delle quali essere, pur non essendo vincolati e quindi non compor-tando penalizzazioni, come peraltro in vari studi si è anche arrivati a con-cepire, si farebbe un significativo passo in avanti.

È importante mettere in moto questo processo.Credo che questo processo di convergenza sia un punto centrale su cui

insistere e su cui avviare politiche virtuose di spesa militare, anche al di làdel valore assoluto della spesa militare.

Un altro modo di raggiungere l’obiettivo è quello di fissarsi su certe capa-cità operative, perché nel momento in cui ci si fissa certe capacità operativenon significa solamente determinarsi ad avere, ad esempio, un corpo di rea-zione rapida di 60.000 persone. Questo corpo di reazione rapida deve essereun corpo di reazione rapida avente determinate capacità operative e, quindi,le capacità operative richiedono a sua volta investimenti per acquisirle.

Ecco quindi che anche il fissare dei parametri di capacità operative puòessere un modo indiretto ma efficace per poter poi far crescere la spesa pergli investimenti.

Questo è certamente un tema centrale che credo diventerà nei prossimimesi e anni cruciale per la dimensione europea della sicurezza e difesa.

L’Agenzia Europea degli Armamenti

Ritengo che l’Agenzia degli Armamenti sarà qualcosa che diverrà, qual-cosa che avverrà, qualcosa che nel futuro avremo. Attualmente c’è un per-corso in atto: all’Agenzia degli Armamenti, oggi come oggi, ci si potrebbearrivare attraverso due strade: il WEAG o quella di un gruppo pioniere piùristretto che ha dato luogo all’OCCAR.

Intendo dire che all’Agenzia Europea degli Armamenti, o quella che saràl’Agenzia Europea degli Armamenti, ci si potrebbe arrivare attraverso la cre-scita e il consolidamento dell’OCCAR o attraverso la strada del WEAG.

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Per quanto concerne l’opzione WEAG, ciò potrebbe avvenire attraversola crescita della Western European Armament Organisation (WEAO) che èun’agenzia di procurement, soprattutto un’agenzia nel campo della ricerca.La WEAO o Research Cell, come viene anche chiamata, è quell’Agenzia,quel braccio operativo che piazza i contratti per la WEAG nel campo dellaricerca. È, quindi, una cellula che ha delle capacità di piazzare contratti, haun suo status internazionale, ha una sua personalità giuridica e, quindi, puòfare contratti internazionali per conto di un gruppo di Paesi.

Al momento la WEAO lavora soprattutto nel campo dei contratti cheafferiscono alla ricerca tecnologica, quindi in genere di contratti di dimen-sioni abbastanza modeste come in genere sono i progetti di ricerca tecnolo-gica di base. Qui non parliamo infatti, di ricerca e sviluppo cioè di pro-grammi di ricerca finalizzata a realizzare un sistema. Parliamo, invece, ingenere di ricerca tecnologica.

L’altra realtà grossa, o perlomeno che potenzialmente sta diventandogrossa è l’OCCAR, un’Agenzia di procurement multinazionale di quattroPaesi: Italia, Francia, Regno Unito e Germania, in allargamento ad altriPaesi; in particolare Spagna, Olanda e Belgio. È una realtà che incominciaoggi a gestire grossi programmi internazionali di sviluppo.

Ha una realtà giuridica sua, dopo che i quattro Paesi che l’hanno origi-nata, l’hanno ratificata.

L’OCCAR in questo momento sta gestendo (cito un programma che voiconoscete) un programma importante come il FSAF, che è un grosso pro-gramma, un programma di migliaia e migliaia di miliardi.

L’OCCAR è anche l’Agenzia che è stata prescelta per gestire il program-ma A-400M, che è un altro programma da circa 20 mila miliardi, per ilquale durante la Mostra di Parigi-Le Bourget è stato firmato da parte di uncerto numero di Paesi il Memorandum per il lancio del programma, cuiseguirà nei prossimi mesi il lancio del contratto.

La cosa significativa è che l’OCCAR pur essendo una realtà multinazio-nale di quattro Paesi, gestisce oggi programmi come l’A400M per contonon solo di Paesi OCCAR ma di altri paesi che OCCAR non sono. Sapete,infatti, che l’A400M in questo momento interessa Paesi come la Turchia, ilBelgio, la Spagna che ancora in OCCAR non sono.

Per alcuni di essi vi è la prospettiva di entrare in OCCAR a breve, peraltri questa prospettiva non c’è. Quindi il fatto che oggi l’OCCAR siaun’Agenzia multinazionale di un gruppo limitato di Paesi in allargamento,non impedisce all’OCCAR di essere un’Agenzia capace di seguire grossiprogrammi di sviluppo europeo in senso molto lato. Tutto questo mi porta

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a ritenere che l’OCCAR per le sue dimensioni, per i Paesi che lo sostengo-no - a pieno titolo come membri o quali aspiranti, come Spagna, Belgio eOlanda - possa essere, per consolidamento e per allargamento del nucleoiniziale, un efficace candidato per evolvere in futuro nell’Agenzia Europeadegli Armamenti.

Possiamo, poi, ipotizzare anche scenari più articolati che, tutto somma-to, hanno senso: sostanzialmente mettere insieme da una parte l’OCCAR edall’altra la Research Cell della WEO. La prima deputata ai grandi pro-grammi, l’altra alla ricerca tecnologica. Tutti e due insieme potrebbero esse-re bracci operativi di un Organismo più grande che potrebbe, appunto,essere l’Agenzia Europea degli Armamenti.

Anche questo, forse, potrebbe essere il futuro.

La concorrenza a livello europeo nel processo di ristrutturazionedell’industria della difesa

La realtà è complessa. L’Europa non è in grado di creare, o non ha lamassa industriale per creare, due poli alternativi in tutti i settori.Probabilmente, io credo che in prospettiva futura questo sarà il destino delsettore aeronautico propriamente detto. Ma ci sono altri settori in cui que-sto non sarà così. Per esempio, nel settore generale dell’elettronica attual-mente ci sono tre grossi poli: THALES, la EADS e la BAe Systems.

Anche nel campo aeronautico esistono tre poli: BAe Systems, DAS-SAULT e la nascente realtà che dovrebbe essere l’EMAC, cioè la messainsieme degli assetti di EADS e di Alenia Aeronautica.

La polarità tuttavia si creerà anche attraverso il mercato globale, cioè ilmercato transatlantico nel senso che non è detto – e questo è uno dei punticentrali – che noi Europei dobbiamo acquisire sempre e soltanto “europeo”.Credo che una delle grosse sfide sia di consentire la nascita di gruppi euro-pei che siano in grado di competere, quindi di essere sul mercato, con igruppi americani: competere quando c’è da competere, poter cooperarequando c’è da cooperare.

Però proprio per questo, proprio perché sono gruppi che devono avereuna dimensione globale di competizione, non possono pretendere diavere l’esclusività della spesa militare europea. Ci saranno dei casi in cuinoi potremmo impegnarci, giustamente e tranquillamente, in processi diacquisizione competitivi aperti anche al mercato americano, nella misurain cui anche quest’ultimo sarà aperto alle dinamiche europee: e lì vinca ilmigliore.

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Oggi però siamo ancora in una fase transitoria in cui, sostanzialmente, viè la necessità di fare consolidare la realtà europea, quale passo indispensabi-le, per conseguire una più aperta competizione in futuro.

L’interazione tra scelte e indirizzi industriali e scelte e indirizzimilitari nel settore della ricerca

Il livello di interazione che si sta consolidando in questi ultimi tempi èbuono, per una più chiara visione delle esigenze della ricerca tecnologicaitaliana/europea – attraverso un piano di ricerca tecnologica della Difesache a sua volta si inserisce, o si dovrà sempre più inserire, in un piano diricerca tecnologica europeo oltre che nazionale. La ricerca tecnologica hamolto spesso ricadute sia nel mondo civile che in quello militare e avvienein dialogo e in confronto con l’industria.

Molte delle conoscenze tecnologiche, o quali siano i settori critici dellatecnologia, non nascono solo da una certa visione del futuro del requisitooperativo, del futuro del warfare, ma nascono anche dal confronto fra leconoscenze tecnologiche o dalla visione del futuro tecnologico che l’indu-stria ha (o quantomeno quella seria ha) perché è proprio a livello industria-le che c’è la conoscenza tecnologica.

Di conseguenza, esiste un confronto molto serrato, continuo, per defini-re insieme quelle che sono aree tecnologiche critiche o che si pensa possa-no diventare aree tecnologiche critiche nel futuro.

Perciò, da una parte la visione di quello che sarà il mondo futuro delleoperazioni e dall’altra la conoscenza di quelle che sono le prospettive degliavanzamenti tecnologici, hanno portato alla definizione di un piano diricerca tecnologica della Difesa – che è un documento unitario elaboratodallo SMD, come è giusto che sia – che raccoglie l’espressione e il prodot-to di questo confronto, che è sempre più intenso.

Non si tratta di una dipendenza dall’industria, ma significa che nessunadelle parti ha l’esclusività del sapere in questo campo.

In questo senso, il SGD/DNA, l’Area della quale sono responsabile, hauna funzione di coordinatore, di coagulatore, del confronto fra il mondoindustriale e il mondo del requisito operativo, in modo che il piano di ricer-ca sia proprio il risultato di questo confronto.

Noi siamo la struttura che sia a livello nazionale sia a livello europeo etransatlantico cerca di captare tutti i segnali e tutte le indicazioni che ven-gono da tutti i vari attori interessati al problema per poi mettere insiemeuna visione comune e indirizzare le risorse tecnologiche in senso unitario.

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Si tratta di un percorso abbastanza soddisfacente nella visione concettua-le. Per ciò che riguarda l’attuazione, siamo ancora agli inizi. Il piano di ricer-ca tecnologica della Difesa è nato un anno fa e, attualmente, forse abbiamopiù una chiarezza di aspirazioni e ambizioni che non una chiarezza di attua-zione.

I criteri nella scelta della concorrenza o della non concorrenzaindustriale in Europa

Non credo che ci siano dei criteri o, perlomeno, per adesso non esistonodei criteri predeterminati. Nella realtà, si guarda al complesso, ovverosia siguarda soprattutto al requisito operativo. C’è anche da dire che questo, asua volta, non può essere pensato in astratto perché non può non tenereconto di certe realtà industriali.

E qui faccio un inciso, strettamente politico, relativo al processo di pia-nificazione europeo e come questo debba essere strettamente sintonizzato ecoerente con quello dell’Alleanza, nel presupposto che fin tanto che saremo– e mi auguro più a lungo possibile – sia alleati europei sia alleati transa-tlantici, avendo noi uno strumento militare che serve l’una e l’altra esigen-za, i processi di pianificazione sia in ambito europeo sia in ambito alleatodevono essere coerenti, pienamente in sintonia.

Di conseguenza, sia il requisito transatlantico che quello europeo rap-presentano l’elemento fondamentale.

È inutile che ci nascondiamo dietro un dito (faccio un esempio concre-to): una cosa è comprare una pistola dalla Remington invece che dallaBeretta, con tutto il rispetto per entrambe, un’altra cosa è se vado a com-prare un sistema spaziale negli Stati Uniti o in Europa.

È evidente, cioè, che non tutti i programmi sono uguali, non tutti i pro-grammi hanno la stessa valenza. Perciò, avere la capacità di contribuire acerti programmi con tecnologie sviluppate in casa ha più valenza che nonin altri. Occorre, quindi, valutare il tipo di programma, l’impatto che que-sto programma, fatto unicamente in un contesto americano, può avere sul-l’industria europea e sulle nostre capacità di sostenerlo, una volta acquisito,durante il suo ciclo vitale.

Non esistono, pertanto, questi criteri a priori ma si possono individuaredelle indicazioni.

Ci sono dei casi in cui l’industria europea ha una ragionevole capacità difornire a un ragionevole costo un prodotto che soddisfa la domanda. Neicasi in cui ciò non è possibile è giusto andare, disinvoltamente, in compe-

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tizione aperta e ... vinca veramente chi deve vincere. In altri casi, potrà esse-re opportuno anche rivedere e accettare, al limite, una soddisfazione mino-re del requisito, a patto che un certo prodotto sia determinante per unacerta crescita di una realtà tecnologica europea. Ci sono poi altri casi in cuiè possibile spingere, come spesso si fa, per una cooperazione fra un gruppoeuropeo e un gruppo americano.

Direi, quindi, che si tratta di valutare caso per caso, sebbene i fattoriguida siano l’importanza del soddisfacimento del requisito, che deve essereragionevole e che deve poter essere ragionevolmente soddisfatto a costicompetitivi sul mercato, e quanta importanza abbia il programma per unacrescita tecnologica e industriale della realtà europea.

La politica degli investimenti europea nel medio e nel lungo termine.

Credo la politica degli investimenti europea nel medio e nel lungo terminesia destinata al successo, perché se non ci credessi saremmo messi propriomale: se uno limita le sue visioni, le sue ambizioni, è molto probabile chenon raggiunga mai i risultati. Credo che quello dell’Europa sia un quadroche risente molto della realtà attuale. Intendo dire che l’Europa sta facendoi primi passi nello sviluppo di una dimensione europea di sicurezza e dife-sa. È chiaro che, confrontata con la realtà transatlantica, una realtà che è lea-der mondiale da 50 anni, il confronto diventa impietoso e può dare luogoa scoraggiamenti.

Se si pensa, però, che siamo all’inizio di questo percorso, credo che nonsi debba essere così negativi e che, anzi, si debba essere coscienti e si debbaspingere affinché questa maturazione avvenga prima possibile.

Oggi abbiamo messo moltissimo l’accento sulle capacità operative perchésenza di esse non si fa politica.È pur vero però che le capacità operative perpoter essere utilizzate hanno bisogno di una visione politica abbastanzacomune. Questo vale per ogni Paese e per ogni realtà sopranazionale o mul-tinazionale. Se non ci fosse, infatti, una visione sufficientemente comunedell’impiego dello strumento militare che si gestisce in comune, la capacitàoperativa non servirebbe a niente.

È giusto aver messo come punto di partenza l’accento sulle capacità opera-tive, ma occorre anche forgiare una visione politica comune dell’utilizzo diquesto strumento. Questo è un po’ quello che sta avvenendo, esiste cioè undibattito che sta maturando nel tempo e sono convinto che questa convergen-za politica avverrà. Come accade spesso nella politica degli uomini, i fatti, lecircostanze, talvolta forzano certi processi che, in condizioni normali, avrebbe-

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ro tempi più lunghi. Talvolta, la politica del fare forza e diventa spesso la poli-tica del pensare, ancorché teoricamente si dovrebbe prima pensare e poi fare.

Le crisi balcaniche fino ad ieri sono state certamente il teatro dell’azionedell’alleanza. Adesso, per la prima volta negli ultimi anni, si comincia a par-lare più distintamente di una politica europea nei confronti dei Balcani, siain termini politico-economici sia in termini di sicurezza.

Avete notato che ora nei Balcani compare sempre di più Solana a fiancodi Robertson? Anzi, per certi versi c’è più spesso Solana che non Robertson.Spesso ci vanno insieme proprio per rafforzare questa sintonia Europa-Alleanza e il fatto che Solana sia “un giorno sì e l’altro pure” nei Balcani èindicativo di una certa maturazione politica europea in questo contesto.

L’altro possibile campo di interesse potrebbe diventare l’area medio-orientale: Solana ieri era in Macedonia, oggi è andato in medio-oriente e,sulla via del ritorno si rifermerà a Skopie. Probabilmente, qualche mese fanon ci avrebbero fatto nemmeno avvicinare a Tel Aviv. Direi che questo èun riconoscimento del fatto che noi Europei stiamo crescendo e forse anchegli Stati Uniti comprendono ora che un ruolo più incisivo dell’Europa inmolti casi può aiutare a risolvere quei problemi che da soli avrebbero mag-giori difficoltà a risolvere.

Il personale civile della Difesa: una importante risorsa

Il tema è attuale e molto importante e riguarda le circa 41.000 unità,mentre il quadro definito dall’attuale quadro normativo-legislativo ne pre-vede 43 mila.

Occorre che noi militari la smettiamo di considerare i civili come unacomponente marginale della struttura della difesa. In verità, dobbiamo nonsolo dirlo ma anche pensarlo. La componente civile è una componenteimportante dello strumento militare nel suo complesso come lo è negli altripaesi. Dobbiamo farla sentire importante, investire perché diventi piùimportante, spingere i civili alla formazione e, una volta formati, spingerliad assumere incarichi di responsabilità ai vari livelli.

I civili, a loro volta, devono essere pronti ad accettare questa sfida, la sfidadell’impegno. È anche vero che i civili questa sfida l’accettano e l’accette-ranno nella misura in cui sapranno che questo processo non è solo una que-stione di parole ma una questione di realtà. Ciò significa anche, conse-guentemente, costruire un rapporto, un trattamento complessivo, uno statogiuridico che sia in maggior rapporto con quello che è oggi lo status, piùparticolare, del militare.

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Dobbiamo sentirci tutti più complementari, due gambe importanti dellastessa organizzazione e lavorare in questo senso.

Io a questo credo e mi sto sforzando di farlo, visto che ho responsabilitàin questo settore e mi sto sforzando di farlo insistendo moltissimo sullacomponente civile per accelerare questi processi di formazione.

Da parte mia non c’è nessun tipo di preclusione a nessun tipo di posi-zione per i civili, penso che ci siano delle professionalità serie e valide nelmondo civile che però devono essere arricchite e valorizzate, che richiedo-no da parte dei civili la disponibilità a un salto di qualità mentale, che anco-ra non tutti sono in grado di fare. Non tutti sono disposti a valorizzarsi, amettersi in gioco, sfidarsi, far vedere che sono in grado di fare quanto emeglio dei militari in certi settori, ad arricchire la loro formazione, a nonsentirsi una risorsa marginale.

La legge 331, con la rivoluzione che ha portato nella dimensione dellostrumento militare, è una potente spinta a questa valorizzazione e quindicredo che il vertice militare e la dirigenza civile, nei suoi gradi e nei suoilivelli più responsabile, abbiano il peso di portare avanti questa trasforma-zione.

Noi ne abbiamo bisogno, credo che sia nell’interesse di tutti, dobbiamolavorare fortemente in questa direzione. Certo ci sarà da confrontarsi con leorganizzazioni sindacali perché le organizzazioni sindacali sono elementoimportante di questo processo.

Io credo che se si parla seriamente, se si fa vedere che si è seri in certi per-corsi di formazione, di arricchimento e non soltanto di sistemazione di pol-trone, le organizzazioni sindacali siano disponibili ed aperte ad accettare ilcambiamento.

Credo che da entrambe le parti si debba voler fare il salto di qualità; iomi sto impegnando seriamente su questa linea.

La pianificazione delle esigenze militari a livello europeo

Io resto ottimista che noi si possa arrivare ad una pianificazione conver-gente delle esigenze. Il quadro europeo è disomogeneo, ma non è chel’Alleanza Atlantica sia meno disomogenea. Nell’Alleanza atlantica ci sonogli Stati Uniti e c’è il Lussemburgo, c’è il Regno Unito, c’è la Francia, chepur non è integrata nell’Alleanza militare, e c’è l’Italia. Le stesse problema-tiche che noi oggi abbiamo nel quadro europeo le viviamo anche nel qua-dro transatlantico. Ciò non toglie che si riesca o che si sia riusciti nel qua-dro transatlantico ad avere una visione comune di una certa pianificazione

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di certe capacità. Nell’Alleanza alcuni Paesi hanno un ruolo più forte e piùdi leadership nell’attuazione di questa visione comune, altri hanno una posi-zione più defilata.

Lo stesso avviene inevitabilmente in Europa dove ci sono un nucleo diPaesi che sono più maturi, che hanno maggior consapevolezza dell’esigenzache lo strumento militare non sia soltanto utile e capace per le operazioniumanitarie.

Ci sono momenti in cui le situazioni, il contesto operativo e la politicafanno maturare la scelta dell’impiego ad alta intensità dello strumento mili-tare che, quindi, deve farsi trovare preparato. Vi sono, poi, molti altri casiin cui la politica ne ipotizza e ne richiede un utilizzo di minore intensità,ancorchè non meno impegnativo dal punto di vista operativo. Queste sonole operazioni a supporto della pace, gli impegni regionali o appunto gliimpegni tipo quelli nei Balcani.

È evidente, quindi, che lo strumento militare debba avere una sua piani-ficazione complessiva che tenga conto di entrambe le esigenze. Ecco perchéè fondamentale che la pianificazione europea e la pianificazione alleatariflettano un sentire comune.

È anche necessario che quei Paesi europei che meno sentono, che menohanno consapevolezza dell’utilizzo dello strumento militare a supporto diuna politica internazionale di una realtà che si chiama Europa possano avereun passo più defilato, come avviene anche nella NATO.

Nella NATO ci sono tanti Paesi il cui sforzo non è minimamente com-parabile con lo sforzo di altri Paesi, tuttavia non rappresentano elemento diblocco.

Il cosiddetto “scudo spaziale”

Quanto allo scudo spaziale, si tratta di un problema serio. Gli americanihanno messo sul tappeto le loro idee; adesso con queste idee bisogna con-frontarsi sul piano degli argomenti, bisogna avere la capacità di contrap-porre delle idee alternative, bisogna avere la capacità di riconoscere cheniente è più scritto sulle tavole della legge.

Il trattato ABM, probabilmente, può essere modificato tenendo contodella realtà di oggi. Il trattato ABM è sostanzialmente basato su un equili-brio strategico che oggi non esiste più: questa è una realtà, un fatto.

Ora, che la risposta a questi cambiamenti sia lo scudo spaziale questo ionon lo dico e non lo voglio dire, dico solo: affrontiamo con gli americani ildiscorso in maniera seria e costruttiva.

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CENTRO ALTISTUDI PER LA DIFESA

CERIMONIA DI CHIUSURA

28 GIUGNO 2001

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Intervento delPresidente del CASD

Gen. S.A. Ugo DE CAROLIS

Onorevole Signor Ministro, desidero porgerle, anche a nome di tuttoil personale militare e civile del Centro Alti Studi per la Difesa e dei fre-quentatori italiani e stranieri dei corsi in atto, il più caloroso benvenuto egli auguri più fervidi per il conseguimento di obiettivi sempre più presti-giosi.

Come lei sa, il Centro opera mediante tre componenti – l’Istituto AltiStudi per la Difesa (IASD), l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze(ISSMI) e il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) – responsabili,rispettivamente, dell’alta formazione dirigenziale, della formazione superio-re interforze e della ricerca strategica in senso lato.

Prima di soffermarmi sulle attività svolte, sui traguardi raggiunti e sulleprospettive future, desidero salutare con molta cordialità il Capo di StatoMaggiore della Difesa, Generale Rolando Mosca Moschini, le autoritàgovernative, gli onorevoli parlamentari, le autorità religiose, civili e milita-ri, i rappresentanti degli organi di informazione e tutti i graditi ospiti chesono venuti a manifestare stima e amicizia al nostro Centro.

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I corsi che oggi saranno chiusi sono:- la 52^ Sessione dello IASD, con 23 generali e colonnelli delle Forze

Armate italiane e della Guardia di Finanza, 5 generali e colonnelli stranieriprovenienti da altrettanti Paesi e 2 dirigenti civili del Ministero della Difesa;

- il 3° Corso ISSMI con 113 ufficiali delle Forze Armate italiane e dellaGuardia di Finanza, per lo più a livello tenente colonnello, e 25 ufficialistranieri di 17 Paesi.

I frequentatori dell’ISMMI resteranno a Palazzo Salviati per altre due set-timane per partecipare al corso aggiuntivo di Consigliere Giuridico per ilrispetto delle convenzioni di Ginevra, a completamento degli insegnamen-ti di diritto internazionale umanitario.

Uno dei temi principali che caratterizzano la strutturazione dei corsi è ilcambiamento.

È noto che i grandi processi di cambiamento che avvengono nell’ambitodi organizzazioni complesse, devono essere sostenuti da due elementi fon-damentali, cioè da un salto culturale a livello organizzativo e da una con-vinta partecipazione del personale. Se sono coinvolte le Forze Armate, aidue elementi predetti è necessario aggiungerne almeno altri due: il mante-nimento dell’integrità e della purezza dei valori che sono alla base dell’isti-tuzione militare e la creazione di un saldo spirito interforze.

I programmi di studio del CASD recepiscono pienamente tali esigenze cul-turali ed etiche e il bilanciamento tra discipline scientifiche e tecnologiche ediscipline umanistiche, storico/politiche, economico/finanziarie e sociologi-co/gestionali consente il continuo aggiornamento dei percorsi formativi inrelazione alle tendenze evolutive che si manifestano nei vari scenari.

I programmi riguardanti la componente IASD sono indirizzati ad unadirigenza in grado di fornire contributi efficaci per la definizione di linee dipolicy di grande respiro, proiettate a livello internazionale, nei settori ope-rativo, amministrativo e tecnologico.

Nel prossimo anno una particolare enfasi sarà data alle problematicheriguardanti l’impiego di uno strumento militare ridotto e interamentevolontario, ai rapporti euro/atlantici, alle tecnologie avanzate, alla politicadella comunicazione nelle sue due forme endodiretta e eterodiretta e, infi-ne, alla cultura della mediazione componente fondamentale per la costru-zione della pace.

Fra le attività internazionali dello IASD, è da evidenziare la Conferenza qua-drilaterale degli istituti militari di alta formazione di Francia, Portogallo,Spagna e Italia. Si tratta di una conferenza annuale che ha come tema princi-pale la sicurezza del Mediterraneo. Quest’anno si è svolta a Venezia, sotto la

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presidenza italiana, con risultati particolarmente proficui sia dal punto di vistaistruzionale, sia sul piano delle relazioni interpersonali. Nella circostanza èstato, tra l’altro, deciso di ampliare i rapporti culturali con gli istituti omolo-ghi rivieraschi e di elevare la visibilità della Conferenza.

A partire dal nuovo anno accademico, lo IASD aprirà i suoi corsi anchea dirigenti pubblici e privati provenienti da vari settori della società civile.A tal fine sarà attivata una sessione speciale, più snella di quella ordinaria,che consentirà ai partecipanti di continuare a svolgere le loro attività pro-fessionali.

L’obiettivo è duplice: diffondere e approfondire le conoscenze nel campo dellasicurezza e difesa e promuovere l’osmosi culturale tra Forze Armate e società.

Il CASD ha, inoltre, manifestato la propria disponibilità per l’istituzionedi una struttura formativa riguardante il procurement, una importante ini-ziativa del Segretariato Generale collegata all’unificazione dei processi diacquisizione e alla gestione di programmi in cooperazione internazionale.

Nei programmi di studio dell’ISSMI sono inserite discipline ritenutefondamentali per conseguire una autentica “professionalità globale” checonsenta, alla futura dirigenza militare, di affrontare efficacemente i pro-blemi di uno stato maggiore interforze, dalla routine quotidiana alle com-plesse esigenze riguardanti le missioni operative a carattere multinazionale.

Con ciò si è voluto affermare una figura di ufficiale che – conservando lequalità e le capacità tradizionali – sia caratterizzata da una cultura interdi-sciplinare e multisettoriale, da un forte sentimento solidaristico essenzialeper gestire il cambiamento in chiave interforze, dalla capacità di percepirele tendenze evolutive a livello nazionale ed internazionale, di partecipare aiprocessi di integrazione europea e transatlantica, di comunicare con moda-lità e linguaggi adeguati ai tempi, puntando lontano, verso il futuro, aldilàdegli orizzonti nazionali.

Una importante componente innovativa riguarda l’attivazione della con-venzione sottoscritta dal CASD, dall’Università Statale di Milano e dallaLUISS, per il conseguimento, su base volontaria, di un master in studi inter-nazionali strategico/militari.

I risultati sono stati positivi: 134 ufficiali italiani e stranieri e 4 frequen-tatori civili provenienti dall’Università di Milano hanno conseguito il diplo-ma; altri 10 ufficiali, non in possesso dei requisiti di base richiesti dalle uni-versità, sono stati ammessi al corso come uditori ottenendo un attestato dipartecipazione.

La confluenza della “componente master” in un programma strutturatocon attività didattiche già definite ha inizialmente comportato talune ine-

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vitabili difficoltà. Al fine di razionalizzare il piano degli studi e l’organizza-zione didattica del corso, è stato sviluppato uno studio innovativo.

Pertanto, nel prossimo anno, in una visione autenticamente finalizzataagli obiettivi didattici del corso, le discipline saranno raggruppate in gran-di aree omogenee e razionalizzate nei contenuti. Agli approfondimenti con-cettuali sarà attribuita una valenza elevata.

Tra le attività internazionali dell’ISSMI va citata la settimana congiuntainterforze svoltasi contemporaneamente negli istituti paritetici di Francia,Germania, Gran Bretagna, Spagna e Italia mediante gruppi multinazionali.A ciò vanno aggiunte le esercitazioni operative effettuate in Italia e all’este-ro, le attività svolte presso comandi multinazionali, le attività bilaterali svi-luppate con istituti paritetici.

Tali attività saranno rafforzate, mediante la soluzione di casi concreti,perseguendo obiettivi didattici interforze più elevati.

La presenza di numerosi stranieri nell’ambito dei due corsi – in totale 30ufficiali provenienti da 20 Paesi – e le numerose attività svolte a livellointernazionale, oltre a soddisfare esigenze culturali e professionali, costitui-scono anche un importante mezzo di integrazione socio/politico.

Il CeMiSS – responsabile della ricerca interforze nei settori delle relazio-ni internazionali, della sociologia e dell’alta tecnologia – collabora forte-mente ad aumentare lo spirito europeo e transatlantico. A tal fine 13 delle69 ricerche avviate nell’anno in corso sono state assegnate a studiosi o a cen-tri di studio stranieri e 5 convegni, su temi collegati all’Europa e allaNATO, sono stati organizzati con istituti omologhi di altrettanti Paesi.

Fra tali progetti spicca quello avviato con il Centro di Studi per la Difesadel King’s College di Londra sulle implicazioni politico-militari riguardan-ti il raggiungimento degli obiettivi delineati ad Helsinki. La presentazioneufficiale di un primo rapporto avverrà nel mese di luglio.

Un altro evento molto significativo è il convegno sulle famiglie dei mili-tari di professione, che avrà luogo in autunno, riguardante le problematichee i disagi derivanti, in particolare, dall’intensa attività svolta al di fuori deiconfini nazionali.

I tre istituti del CASD operano in modo sinergico, cercando di rendere cia-scun frequentatore, militare o civile, attore del cambiamento e promuovono ilnecessario consenso divulgando principi guida in ambito politico/culturale.

Il CASD, attraverso la cultura, mantiene desto il senso dei valori al finedi renderli, nello stesso tempo, fini istituzionali e strumenti formativi. E, inquesta sua opera, trova un terreno quanto mai fertile nelle variegate espe-rienze dei frequentatori, nazionali ed esteri, il cui contributo – oltre a tro-

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vare riscontro in studi e ricerche – arricchisce sicuramente anche la coscien-za e la sensibilità di ciascuno.

Questa osmosi culturale costituisce una delle grandi ricchezze del CASD,organismo capace di promuove risorse culturali interdisciplinari che vivifi-cano la didattica ponendola al di fuori di rituali auto referenziati e collega-no la ricerca allo spirito del tempo e al divenire della realtà.

L’adattamento alla turbolenza degli scenari internazionali impone, ad unistituto di alta formazione come il CASD, non solo di monitorizzare glieventi, ma anche di elaborarli rapidamente e di finalizzarli alle esigenzedella Difesa e del sistema Paese.

In effetti, per assolvere appieno il ruolo che l’ordinamento della Difesagli assegna, il CASD deve porsi sempre di più al centro di un sistema cul-turale complesso, composto sinergicamente dagli stati maggiori, dai centridi ricerca nazionali ed esteri, dalle università, dalle istituzioni formativedelle varie amministrazioni e dal mondo della ricerca empirica nei settoridelle scienze sociali.

La particolare struttura organizzativa, la consolidata esperienza, la proie-zione a livello internazionale e la capacità intrinseca del CASD di mobilita-re risorse culturali differenziate consentono di sviluppare un costante dialo-go con l’opinione pubblica, di fornire un autentico supporto alle decisionistrategiche dei vertici della Difesa e di contribuire alla valorizzazione delruolo italiano a livello internazionale.

Concludo esprimendo la mia soddisfazione per i risultati conseguiti nel-l’anno che si chiude e rivolgo, perciò, il mio più vivo apprezzamento aidirettori coadiutori dello IASD, al direttore dell’ISSMI, al direttore delCeMiSS, ai docenti civili e militari, ai tutori e a tutti coloro che hanno col-laborato con gli istituti del CASD.

Ringrazio tutto il personale militare e civile del CASD per il proficuo egeneroso impegno.

L’apprezzamento più significativo va a voi frequentatori italiani e stra-nieri, militari e civili, della 52^ Sessione dello IASD e del 3^ Corso ISSMI,con gli auguri più fervidi per il vostro avvenire e con l’auspico che possiateraggiungere traguardi sempre più ambiti, con dignità ed onore, per il benedei vostri Paesi e per un mondo migliore.

E con questi sentimenti prego il Capo di Stato Maggiore della Difesa divoler dichiarare chiuso l’Anno Accademico 2000-2001.

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Intervento del Capo di StatoMaggiore della Difesa

Gen. Rolando MOSCA MOSCHINI

Signor Ministro della Difesa, Autorità, gentili ospiti,Porgo il caloroso saluto delle Forze Armate e mio personale ed un rin-

graziamento per essere qui con noi a celebrare la chiusura dell’AnnoAccademico del Centro Alti Studi per la Difesa.

Sono grato agli Onorevoli Sottosegretari, al Presidente dellaCommissione Difesa della Camera e ai membri delle Commissioni Difesadel Parlamento che con la loro presenza dimostrano l’attenzione, la tensio-ne morale con cui hanno assunto le funzioni loro assegnate, la volontà dicomprendere le Forze Armate e di costituire per noi riferimenti politici esostegni rigorosi e sicuri.

Sono particolarmente lieto, Signor Ministro, che la sua prima uscita uffi-ciale in ambito nazionale avvenga presso questo Istituto che costituisce, comeha giustamente messo in risalto il Generale De Carolis, luogo di formazionedirigenziale della Difesa, di analisi dello scenario nazionale e internazionale,epicentro della ricerca strategica e dell’evoluzione del pensiero militare, unpensiero militare che sia al passo con i tempi e, quando necessario, li precorra.

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Il rigore e la profondità dello studio costituiscono presupposto di cresci-ta culturale e, quindi di qualificazione, di costante aggiornamento, di effi-cienza.

Questo, Signor Ministro, è sicuramente il suo credo – come dimostra lasua storia personale – ed è sicuramente un credo della Istituzione militare.

Il Centro Alti Studi per la Difesa ne è la più significativa espressione.Io ritengo che uno dei principali fattori che hanno talvolta rallentato la

crescita dello strumento militare sia stata la sua tendenza all’autoreferenzia-lità. Ebbene, uno degli strumenti principali per superare questo limite èproprio lo studio, la preparazione culturale, perché tale strumento conferi-sce a chi lo possiede la voglia di confrontarsi.

Se la collocazione gerarchica dell’Istituzione militare e il dispiegamento deisuoi poteri attengono alla sfera eminentemente politica, è tuttavia indispensa-bile riconoscere che la gestione di ogni giorno di un tale complesso e variegatoventaglio di risorse richiede una profonda e, direi, coraggiosa padronanza delleleve tecniche, che si ottiene dopo lunghi anni di studio, ma anche di applica-zione pratica e poi di elaborazione teorica delle esperienze acquisite e, infine, diricerca; in un continuo concatenarsi di studio e di operazioni sul campo.

Ho detto “coraggiosa padronanza” perché sono convinto che il coraggioabbia come padre un animo forte, ma la madre è la conoscenza delle pro-prie possibilità. È la coraggiosa padronanza di sé, che consente di deciderecorrettamente nelle situazioni più complesse che oggi un comandante dialto livello deve fronteggiare. Essa richiede appunto una vasta e duttile cul-tura senza la quale si balbetta, si inciampa, spesso si frana.

Questo Istituto ha la responsabilità di formare i comandanti militari e diaffinare la preparazione di funzionari civili di alto livello, potenzialmentedestinati ad incarichi di vertice.

Oggi posso assicurare che ad esso chiederò molto, di più di quanto meri-toriamente ha già fatto, e, allo stesso tempo, assicuro ad esso, al suo Presidenteche di recente ne ha assunto la guida, puntuale e costante attenzione.

Le aperture e le chiusure degli anni accademici sono tradizionalmente leoccasioni di programmi e di consuntivi.

Da parte mia, avendo assunto da circa tre mesi la responsabilità delleForze Armate, coglierò questa opportunità per parteciparvi i risultati dellamia prima analisi del momento attuale vissuto dal nostro strumento mili-tare, il contesto in cui è inserito ed opera, gli impegni che deve onorare, lesue possibilità, le sue difficoltà.

È l’analisi dalla quale discendono i percorsi da seguire, l’analisi che cideve consentire di impostare un lavoro di pianificazione e di programma-

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zione di largo respiro, rifuggendo dalla logica dell’emergenza alla qualesiamo spesso stati costretti nel passato.

Nella presente situazione noi dobbiamo fare leva su tutte le nostre risor-se per costruire decisioni che ci consentano di fronteggiare una realtà inter-nazionale che tende a sfuggire da ogni criterio di previsione che vada oltreil breve termine.

D’altro canto, dobbiamo tenere realisticamente conto delle possibilitàche il nostro scenario interno consente.

La comprensione di queste due realtà, esterna ed interna, è l’interruttore cheaccende la luce dei nostri percorsi, è la chiave che ci consente di produrre deci-sioni compatibili con le esigenze e con i vincoli internazionali e nazionali.

Lo scenario internazionale ci vede al centro di un arco di crisi che va dal-l’area danubiano-balcanica, al Caucaso, al Medio Oriente, alla fascia norda-fricana. Si tratta di un susseguirsi di regioni caratterizzate da conflittualitàpalesi o latenti, condizioni socio-economiche precarie, debolezza istituziona-le. Gli eventi, i fenomeni che interessano queste aree hanno ripercussionipesanti, dirette o indirette, sulla sicurezza del nostro Paese, costituisconominaccia, manifesta o potenziale, per gli interessi nazionali o comunitari.

Allo stesso tempo, l’Italia è giustamente inserita nel sistema di sicurezzae stabilità internazionale, il sistema di sicurezza e stabilità che si sta pro-gressivamente sviluppando dalla fine dell’era bipolare.

È un sistema costituito, per quanto ci riguarda, essenzialmente da trelivelli:- le Nazioni Unite, l’Alleanza Atlantica, l’Unione Europea.

Le Nazioni Unite costituiscono l’organizzazione globale di massima valen-za politica, in grado di intervenire in tutte le fasi che caratterizzano una situa-zione di crisi impiegando, direttamente o indirettamente, un ampio spettrodi strumenti per prevenire e disinnescare tensioni, per ridurre alla radice lecause di conflitti, per soccorrere, assistere, far crescere meccanismi sociali eistituzioni. L’ONU svolge un importante ruolo di peace-building e di peace-keeping; peraltro, sul piano militare, per motivi sui quali non mi soffermo mache sicuramente sono a voi ben noti, non è in grado e non sarà mai in gradodi condurre missioni militari ad alta intensità operativa.

L’impatto dell’organizzazione onusiana con le conflittualità dei primianni ‘90 ha messo in risalto questo limite ed ha stimolato sinergie e distri-buzione di funzioni e responsabilità con organizzazioni regionali o con coa-lizioni in grado di svolgere missioni più complesse e di affrontare situazio-ni ad alto rischio ed a forte valenza operativa. Le organizzazioni regionali ele coalizioni, infatti, dispongono di strumenti militari idonei e sono stimo-

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late e sostenute nei loro sforzi dalla necessità di difendersi da minacce diret-te agli interessi dei loro membri.

Questo è lo scenario nel quale si sono sviluppate l’evoluzione del con-cetto strategico e la definizione dei nuovi compiti dell’Alleanza Atlantica.

La sicurezza dell’area euro-atlantica, la consultazione, la dissuasione edifesa, la gestione delle crisi, insieme al riconoscimento del ruolo, primadella UEO e oggi della Unione Europea, hanno disegnato un nuovo mododi concepire la sicurezza in Europa e nell’area transatlantica.

D’altro canto, le cosiddette missioni di PETERSBERG, oggi fatte propriedall’Unione Europea, non furono altro che la positiva risposta della UEOalla NATO per cooperare per la sicurezza in Europa.

Nazioni Unite, Alleanza Atlantica, Unione Europea costituiscono, quindi, itre livelli fondamentali del sistema di stabilità e sicurezza internazionale in cuiè inserita l’Italia, i tre fattori dominanti la realtà esterna della nostra analisi.

Le Forze Armate italiane hanno ampiamente onorato e continuano adonorare i loro impegni nell’ambito delle operazioni dell’ONU con una pre-senza variabile nel tempo in relazione alle esigenze di sicurezza e di politicaestera del nostro Paese.

I progetti di revisione della struttura e delle forze della NATO ci vedonodeterminati protagonisti anche in relazione alla posizione geostrategicadell’Italia ed alla necessità di assicurare la rivitalizzazione della Regione Sudche deve essere messa nelle condizioni di poter efficacemente proiettare sta-bilità nei Balcani ed in gran parte del bacino del Mediterraneo.

E con riferimento all’Alleanza Atlantica ed ai suoi progetti di revisione,ricordo i nostri obiettivi prioritari:- il Comando ad Alta Prontezza Operativa Navale (High Readiness Force -

Maritime-HQs), già selezionato dalla NATO ed in via di completamen-to e perfezionamento funzionale anche con il progressivo rafforzamentodel suo carattere multinazionale; è stata già assicurata la partecipazione aquesto progetto da parte di Spagna e Gran Bretagna;

- il Comando ad Alta Prontezza Operativa Terrestre (High Readiness Force –Land – HQs) in via di costituzione a Milano – Solbiate Olona che dovreb-be raggiungere la Initial Operational Capability entro il giugno 2002 e laFinal Operational Capability entro dicembre 2002. Si tratta di un progettoche avrà successo se riusciremo a prevalere nella serrata competizione che siè aperta tra gli alleati. Infatti, a fronte di una esigenza globale NATO di treComandi di questo tipo, sono in campo sei progetti. La nostra proposta èvalida, ha molti punti di forza, sarà soprattutto determinante per produrreun balzo di qualità delle nostre Forze Armate e dell’Esercito in particolare.

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Per questi motivi stiamo producendo il massimo sforzo, stiamo investendomolto in risorse umane e finanziarie, stiamo avendo contatti serrati con leForze Armate dei nostri alleati per acquisire la partecipazione ampia e qua-lificata di personale di staff e di unità di altri Paesi.Per dare un’idea dell’importanza che personalmente attribuisco a questo pro-

getto, faccio presente che nel breve scorcio iniziale del mio mandato ho avutoincontri bilaterali in Italia e all’Estero con i Capi di Stato Maggiore della Difesadi Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, Portogallo, Grecia e conto di com-pletare entro i prossimi trenta giorni questa prima fase di contatti, premessa perla costruzione di una solida rete relazionale a sostegno delle nostre iniziative.

È questa, Signore e Signori, un’esigenza primaria delle Forze Armate edè compresa e sentita dall’Autorità politica.

Il Signor Ministro ha già garantito il suo personale, e sicuramente deter-minante impegno.

Con l’Unione Europea, che come noto sta sviluppando capacità decisiona-li ed operative per condurre tutta la gamma delle missioni di “Petersberg”,l’Italia si è impegnata a fornire il suo contributo (unità terrestri, navali ed aereeper un totale di circa 22.000 uomini) alla Forza di Reazione Rapida di circa50-60 mila uomini che dovrà essere disponibile entro il 2003.

Ovviamente, i progetti di revisione e potenziamento della NATO e direalizzazione di una capacità militare europea sono e devono essere assolu-tamente complementari, impegnare le stesse forze, evitare duplicazioni odispersione di risorse.

Il progetto di Difesa Europea deve costituire una strada maestra di raffor-zamento della NATO.

La valutazione tecnico-operativa delle Forze Armate italiane è cristallinaed inequivocabile al riguardo, come chiara e decisa è anche la nostra lineapolitica, come potrà confermare il Signor Ministro.

I percorsi definiti dagli aspetti internazionali sono quindi ben chiari.Il nostro impegno nelle operazioni oltre confine è consistente, sicura-

mente facciamo la nostra parte con dignità, sosteniamo adeguatamente ilruolo che l’Italia deve svolgere, esprimiamo, e mi riferisco soprattutto aiBalcani dove abbiamo circa 8000 uomini, livelli operativi paragonabili aquelli dei maggiori Paesi europei.

Ne abbiamo fatta di strada da quando, durante la “guerra fredda”, si rite-neva che le nostre Forze Armate non producessero significativo valoreaggiunto al sistema difensivo alleato o, più recentemente, da quando, inoccasione della Guerra del Golfo, non ritenemmo possibile schierare nean-che una delle ventiquattro Brigate esistenti.

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Le operazioni in Mozambico ed in Somalia, prima, l’operazione Alba inAlbania, poi, ci hanno rivisto buoni protagonisti sulla scena internazionale.

Devo dare atto a coloro che mi hanno preceduto che il lavoro di ristrut-turazione e di razionalizzazione di questi ultimi anni ci ha consentito di par-tecipare ad operazioni militari complesse meritando l’apprezzamento e lastima dei nostri alleati.

Dobbiamo però considerare, e questo è un punto su cui attiro l’attenzione ditutti, che noi riusciamo ad esprimere l’attuale quantità e qualità di unità opera-tive nei Balcani con grandi sacrifici e spremendo a fondo l’intera struttura.

Quando saremo in grado di impiegare 8000 uomini oltre confine connaturalezza, la naturalezza di cui già godono altri Paesi, potremo dichiarare didisporre di uno strumento militare efficiente, adeguato, al passo con i tempi.

La strada da percorrere a questo riguardo è ancora lunga.Queste straordinarie novità dello scenario internazionale oltre che le

pressanti necessità di essere aderenti alle mutevoli condizioni operative,hanno richiesto un adeguamento del nostro sistema decisionale, che hapreso avvio con la legge 25/97, la cosiddetta “riforma dei vertici”.

Il Capo di Stato Maggiore della Difesa, che prima costituiva l’autoritàcoordinatrice, ma di pari livello, dei Capi di Stato Maggiore delle singoleForze Armate, è oggi l’alto consigliere tecnico-militare del Ministro dellaDifesa, responsabile della pianificazione, della predisposizione e dell’impie-go delle Forze Armate nel loro complesso.

A lui compete la definizione della pianificazione generale finanziaria edoperativa e dei conseguenti programmi.

Basta questo quadro parziale di attribuzioni per comprendere che questariforma costituisce un balzo in avanti sul piano della razionalizzazione, unbalzo che da anni, o forse decenni, si era tentato invano di fare.

Essa è comunque solo un primo passo del processo di integrazione delleForze Armate, processo che dobbiamo accelerare con convinzione e condeterminazione per migliorare l’efficacia dello strumento militare, per evi-tare o eliminare duplicazioni di organismi operativi, logistici o amministra-tivi, per non disperdere risorse umane ancora più preziose in relazione allaloro natura ed alla loro quantità previste dalla legge. Il processo dovrà, tral’altro, consentire di eliminare le disarmonie esistenti tra responsabilità ope-rative e responsabilità logistiche, dovrà abbattere residui muri di gomma oresistenze di parte assolutamente inconcepibili in Forze Armate moderne,dovrà diffondere la cultura e la mentalità interforze intesa come naturalevocazione a valutare lo strumento militare come un unico sistema. Un siste-ma che armonicamente riunisce in sé, capacità, identità, professionalità,

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tradizioni, metodologie diverse, nella misura in cui contribuiscono all’effi-cienza complessiva ed al pieno e corretto assolvimento dei compiti che cisono affidati.

Ovviamente, all’adeguamento strutturale del sistema deve corrisponderela disponibilità delle risorse necessarie, risorse umane e risorse materiali.

Il personale è il principale aspetto dell’analisi sul versante interno.La professionalizzazione delle Forze Armate, da completare entro il 2006,

costituisce una delle decisioni cardine già prese per adeguare il nostro stru-mento alla realtà odierna nei suoi aspetti operativi e sociali.

Siamo nel mezzo di una transizione senza ritorno, dobbiamo sostenerlacon provvedimenti interni alle Forze Armate, di competenza di noiComandanti, e con provvedimenti esterni, di competenza del Parlamento,dell’Autorità politica.

Il reclutamento costituisce indubbiamente il problema centrale daaffrontare nel tempo, senza soluzioni di continuità, e da risolvere con l’o-biettivo di poter disporre di volontari di qualità e in quantità sufficiente.

Dobbiamo procedere con pragmatismo, equilibrio, metodo e determina-zione.

Evitiamo gli allarmismi fuori luogo ma manteniamo alta l’attenzione,manteniamo costante la giusta preoccupazione senza sottovalutazioni.

Innanzitutto, ci dobbiamo chiedere se stiamo offrendo delle condizionidi lavoro appetibili, sia sotto il profilo delle condizioni di vita sia sotto quel-lo dell’immagine sociale.

Inoltre, dobbiamo chiederci se il segmento di popolazione che vede coninteresse la nostra proposta di lavoro, a dispetto degli indici di disoccupa-zione, non sia saturato dalle offerte di reclutamento nelle altre amministra-zioni dello Stato e, in particolare, nelle forze di polizia.

Alcuni significativi provvedimenti a sostegno del reclutamento sono statipresi ma, a mio avviso, debbono essere considerati soltanto il primo passodi un cammino molto lungo.

Affrontiamo questo argomento con metodi sociologici, statistici e demo-grafici, ricercando ammaestramenti dalle esperienze maturate in altri Paesied evitando di prestare attenzione alle numerose soluzioni ad effetto pro-poste da tanti sedicenti esperti.

Questo Istituto potrà dare un contributo prezioso all’analisi in atto pres-so le articolazioni competenti delle Forze Armate.

Nella relazione al Parlamento sul “costo del lavoro pubblico” che annual-mente è presentata dalla Corte dei Conti, quest’anno si rilevano, al riguar-do, almeno due interessanti aspetti.

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Il primo è che le remunerazioni dei militari italiani – Ufficiali, Sottufficialie soldati – sono tra le più basse in Europa. Ritengo che si debba, ancora unavolta, stimolare un’attenta meditazione su questo punto anche nella conside-razione che le nostre Forze Armate non sono il fanalino di coda fra quelle delContinente per quanto concerne l’impegno ed i risultati conseguiti.

Inoltre, la Corte dei Conti ci dice che la politica di abbattimento dei frin-ge benefits, avanzata sinora, non è equilibrata rispetto ad analoghi istitutinelle Forze Armate degli altri Paesi europei, che garantiscono una migliorequalità della vita.

Sono queste ed altre contenute nel medesimo documento della Corte deiConti, indicazioni importanti da analizzare, con l’obiettivo di giungere asoluzioni equilibrate, compatibili con il contesto nazionale e celeri.

Le Forze Armate sono un organismo estremamente complesso che deveessere gestito conciliando due criteri apparentemente inconciliabili: tradi-zione e innovazione.

La tradizione è indispensabile per un organismo che si nutre di valori esi ispira a ideali che non possono essere improvvisati giorno per giorno.Occorre quindi indagare anche su questo versante per capire se le difficoltàdi reclutamento non siano anche conseguenza di un difetto di identità.

Sviluppare e rafforzare il senso di appartenenza deve essere un nostroobiettivo prioritario, anche se mi rendo conto che esso è connesso con glialtri aspetti della nostra condizione generale.

Ed a proposito di innovazioni, le Forze Armate necessitano anche di stareal passo con i tempi con riferimento all’adeguamento tecnologico delle armie degli equipaggiamenti, non solo perché il nostro soldato deve poter opera-re con efficacia ed in condizioni di massima sicurezza, ma anche perché le for-mazioni multinazionali – che oggi sono la norma – emarginano implacabil-mente quelle forze che non siano adeguatamente e tecnologicamente dotate.

Sento il dovere, quindi, di fare qualche riflessione sulle risorse materiali.Dall’analisi finora svolta emergono, fra l’altro, tre aspetti fondamentali,

insopprimibili, vincolanti:- gli impegni da onorare con la NATO e con l’Europa;- l’esigenza di sostenere il ruolo dell’Italia nel sistema di sicurezza e stabi-

lità internazionale;- l’esigenza di consentire, sostenere il passaggio al volontariato.

Sono aspetti vitali e vincolanti che, oltretutto, discendono da situazionidi fatto e da decisioni prese in Parlamento e dal Governo, condivise da unamplissimo spettro di forze politiche, condivise e sostenute con convinzio-ne a livello tecnico-operativo.

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Tutti, in ogni momento del processo di formazione delle decisioni, siamosempre stati consapevoli delle conseguenti implicazioni finanziarie.

La situazione odierna vede un bilancio ordinario che, anche se in lievis-sima crescita in questi ultimi anni, consente appena la dignitosa sopravvi-venza delle strutture attualmente esistenti ed è ben lontano dai livelli deinostri principali partner europei.

Mi rendo conto, dobbiamo renderci conto che il responsabile di unaIstituzione deve avanzare la richiesta di sostegno finanziario all’Autoritàpolitica certamente sulla base delle esigenze funzionali dell’Istituzione stes-sa ma anche valutando il sistema-paese in cui essa è inserita, con le sue pos-sibilità, le sue priorità ed i suoi limiti.

Ed è proprio con questo spirito, Signor Ministro, che esprimo qualchevalutazione su questo aspetto insieme alla soddisfazione per aver percepitola sua piena comprensione delle nostre preoccupazioni e delle ripercussionimateriali e morali che sarebbero prodotte da un’inversione di questa ten-denza di lievissima crescita del nostro bilancio ordinario.

Con riguardo alla politica finanziaria della Difesa in generale, il mioauspicio è che ai tre aspetti vitali e vincolanti che ho prima citato corri-sponda una strategia di Governo che metta in sistema le nostre esigenze conle linee maestre della nostra politica estera e con quelle della politica indu-striale nazionale ed europea, tenendo conto, ovviamente delle esigenze edelle implicazioni dei rapporti e degli equilibri transatlantici.

Ne dovrebbero discendere, a mio avviso, linee di programmazione atti-nenti all’ammodernamento ed al potenziamento delle Forze Armate abreve, a medio, a lungo termine e, quindi, un quadro di riferimento suffi-cientemente chiaro di esigenze e di possibilità. Questo consentirebbe sceltee decisioni corrette e razionali ai livelli politico e tecnico-operativo, una cre-scita equilibrata delle varie componenti dello strumento militare, evitandosoluzioni dettate soprattutto da fattori contingenti, spesso non prevedibili,e dall’opportunità finanziaria del momento.

Signor Ministro, Signore e Signori, ho detto all’inizio che in questa nostraprima occasione di incontro al Centro Alti Studi per la Difesa mi sarei limi-tato a parteciparvi l’analisi svolta in questo scorcio iniziale del mio mandato.

Sono andato oltre, con cenni anche a programmi ed obiettivi, ma credoche ciò abbia in qualche modo completato il quadro e consenta di indivi-duare i percorsi da seguire sul versante internazionale e sul versante interno,percorsi che impegneranno tutti i responsabili del sistema Difesa, dal livel-lo politico al livello tecnico-operativo.

Concludo affermando con convinzione e serenità che sono ottimista.

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Sono ottimista perché percepisco una crescente attenzione ed un cre-scente rispetto verso le Forze Armate, perché cresce la sinergia tra mondopolitico e mondo militare, perché la gente comprende sempre più le ragio-ni della nostra esistenza e le esigenze del nostro sviluppo.

Sono ottimista perché ho potuto verificare, in questi tre mesi, la profes-sionalità, la cultura, la lungimiranza, la sensibilità dei massimi responsabilidelle singole componenti dello strumento militare.

Sono uomini, Signor Ministro, che certamente sapranno seguirmi esostenermi con lealtà, convinzione e dedizione.

Ho concluso, ringrazio per l’attenzione e, con il consenso del Ministrodella Difesa, dichiaro chiuso l’Anno Accademico della 52^ Sessionedell’Istituto Alti Studi per la Difesa e del 3° Corso dell’Istituto Superiore diStato Maggiore Interforze.

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