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Carlo de Morelli, nella sua Istoria della Contea di Gorizia, nel IV volume, a pag. 104, annotava con grande precisione che “nel 1500 veniva con- sacrato la domenica penultima di agosto da Pietro Carlo Vescovo di Ca- orle, Vicario del Patriarca Domenico Grimani, l’altare maggiore della chiesa di S. Rocco presso Gorizia”, a conclusione di questo giorno me- morabile per l’antico Borgo ci fu una piccola sagra di ballo. Dopo il grande avvenimento le notizie diventano frammentarie e la storia della festa di San Rocco si avvolge in una impenetrabile oscurità: bisogna at- tendere oltre un secolo, fino al 1623, quando i goriziani fecero voto, come ringraziamento per essere sfuggiti dalla terribile pestilenza che aveva decimato l’Europa, di restaurare e ampliare la piccola cappella pri- mitiva dedicata ai Ss. Sebastiano e Rocco e di farvi visita ogni 16 agosto. Il 23 agosto del 1637 il Vescovo di Trieste Pompeo Coronini consacrava l’altare maggiore della chiesa e proprio da questa data si può far ini- ziare, con certezza, la tradizionale sagra del borgo di San Rocco che non sarà mai disgiunta dai festeggiamenti legati al Santo Patrono. Dopo le pestilenze del XVII secolo, durante le quali le popolazioni ricorsero all’intercessione di San Rocco, la devozione si radicò profonda- mente nella pietà popolare per cui il tempio sanroccaro era considerato alla stregua di un santuario votivo. Nella notte tra il 15 e il 16 ago- sto le abitazioni e le aie delle case contadine del borgo, specie quelle più prossime alla chiesa, ospitavano i pellegrini per un ristoro, seppure precario, su improvvisati giacigli di paglia. As- solte le pratiche di pietà, nella stessa mattinata del giorno 16 essi riprendevano la strada del ri- torno. Il giorno di San Rocco la chiesa, il sagrato e la piazza pullulavano di parrocchiani, di citta- dini e di forestieri i quali fin dall’alba si avvicen- davano in preghiera nel tempio. Alla processione votiva dal Duomo a San Rocco (isti- tuita per volere dei goriziani nel 1623 dopo l’epidemia di peste) e che si snodava per le vie Rabatta, Vogel (oggi Baiamonti) e Parcar, inter- venivano il principe arcivescovo, il capitolo me- tropolitano e una folla di fedeli. Per buona parte del secolo XIX prendevano parte al corteo anche autorità civili, infatti un giornale del- l’agosto 1883 riferiva che “non sono trascorsi molti anni che il borgomastro o podestà di Go- rizia, in adempimento al voto, assisteva alla pro- cessione con un numeroso stuolo di con- cittadini”. Nella piazza erano allineate le ban- carelle con giocattoli, bigiotteria, ricordini di San Rocco ma sopratutto dolciumi tra cui le ca- ratteristiche ciambelle (i colàz) nonché l’imman- cabile anguria. Presso l’ingresso della chiesa erano esposti, a cura del sagrestano, piccoli og- getti in cera riproducenti alcune parti del corpo che il pellegrino, a seconda delle parti cui era stato o era sofferente, acquistava per deporli come richiesta di grazia davanti all’altare. In tempi più lontani, come sottolinea Ranieri Mario Cossàr nel suo Cara vecchia Gorizia “il se- dici agosto, le donzelle appena uscite di chiesa, dopo la Messa cantata, donavano al giova- notto, verso il quale nutrivano della simpatia, un fiocco di seta per il cappello, da ciò il detto: Par San Roc il fantat cul floc”. Alla parte religiosa seguiva, la domenica succes- siva, quella dedicata al divertimento, cioè la sagra vera e propria con il ballo in piazza, sul tavolato (brear). Molto per tempo i giovani del “comitato del ballo” (i fantas dal Bal) dalla stampa ottocentesca citati come “impresari del ballo” si adoperavano con entusiasmo nei pre- parativi. La sera della vigilia, mentre dalla torre si diffondevano festosi scampanii (che inizia- vano già qualche giorno prima), provvedevano ad installare alberelli ornamentali (i Majs) di- La plurisecolare sagra di San Rocco Cinque secoli di tradizione

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Carlo de Morelli, nella sua Istoria della Contea di Gorizia, nel IV volume,a pag. 104, annotava con grande precisione che “nel 1500 veniva con-sacrato la domenica penultima di agosto da Pietro Carlo Vescovo di Ca-orle, Vicario del Patriarca Domenico Grimani, l’altare maggiore dellachiesa di S. Rocco presso Gorizia”, a conclusione di questo giorno me-morabile per l’antico Borgo ci fu una piccola sagra di ballo. Dopo ilgrande avvenimento le notizie diventano frammentarie e la storia dellafesta di San Rocco si avvolge in una impenetrabile oscurità: bisogna at-tendere oltre un secolo, fino al 1623, quando i goriziani fecero voto,come ringraziamento per essere sfuggiti dalla terribile pestilenza cheaveva decimato l’Europa, di restaurare e ampliare la piccola cappella pri-mitiva dedicata ai Ss. Sebastiano e Rocco e di farvi visita ogni 16 agosto.Il 23 agosto del 1637 il Vescovo di Trieste Pompeo Coronini consacraval’altare maggiore della chiesa e proprio da questa data si può far ini-ziare, con certezza, la tradizionale sagra del borgo di San Rocco che nonsarà mai disgiunta dai festeggiamenti legati al Santo Patrono.

Dopo le pestilenze del XVII secolo, durante lequali le popolazioni ricorsero all’intercessionedi San Rocco, la devozione si radicò profonda-mente nella pietà popolare per cui il tempiosanroccaro era considerato alla stregua di unsantuario votivo. Nella notte tra il 15 e il 16 ago-sto le abitazioni e le aie delle case contadine delborgo, specie quelle più prossime alla chiesa,ospitavano i pellegrini per un ristoro, seppureprecario, su improvvisati giacigli di paglia. As-solte le pratiche di pietà, nella stessa mattinatadel giorno 16 essi riprendevano la strada del ri-torno. Il giorno di San Rocco la chiesa, il sagratoe la piazza pullulavano di parrocchiani, di citta-dini e di forestieri i quali fin dall’alba si avvicen-davano in preghiera nel tempio. Allaprocessione votiva dal Duomo a San Rocco (isti-tuita per volere dei goriziani nel 1623 dopol’epidemia di peste) e che si snodava per le vieRabatta, Vogel (oggi Baiamonti) e Parcar, inter-venivano il principe arcivescovo, il capitolo me-tropolitano e una folla di fedeli. Per buonaparte del secolo XIX prendevano parte al corteoanche autorità civili, infatti un giornale del-l’agosto 1883 riferiva che “non sono trascorsimolti anni che il borgomastro o podestà di Go-rizia, in adempimento al voto, assisteva alla pro-cessione con un numeroso stuolo di con- cit tadini”. Nella piazza erano allineate le ban-carelle con giocattoli, bigiotteria, ricordini diSan Rocco ma sopratutto dolciumi tra cui le ca-ratteristiche ciambelle (i colàz) nonché l’imman-cabile anguria. Presso l’ingresso della chiesaerano esposti, a cura del sagrestano, piccoli og-

getti in cera riproducenti alcune parti del corpoche il pellegrino, a seconda delle parti cui erastato o era sofferente, acquistava per deporlicome richiesta di grazia davanti all’altare. Intempi più lontani, come sottolinea RanieriMario Cossàr nel suo Cara vecchia Gorizia “il se-dici agosto, le donzelle appena uscite di chiesa,dopo la Messa cantata, donavano al giova-notto, verso il quale nutrivano della simpatia,un fiocco di seta per il cappello, da ciò il detto:Par San Roc il fantat cul floc”.Alla parte religiosa seguiva, la domenica succes-siva, quella dedicata al divertimento, cioè lasagra vera e propria con il ballo in piazza, sultavolato (brear). Molto per tempo i giovani del“comitato del ballo” (i fantas dal Bal) dallastampa ottocentesca citati come “impresari delballo” si adoperavano con entusiasmo nei pre-parativi. La sera della vigilia, mentre dalla torresi diffondevano festosi scampanii (che inizia-vano già qualche giorno prima), provvedevanoad installare alberelli ornamentali (i Majs) di-

La plurisecolare sagra di San Rocco

Cinque secoli di tradizione

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nanzi alla chiesa davanti al cui ingresso venivaeretto un arco (puarton) inghirlandato di sem-preverde e di fiori e con la scritta “Sancte Rocheora pro nobis”. Altri alberelli ornavano la cano-nica, la piazza e le soglie delle osterie del borgoi cui titolari ripagavano i giovani con una gene-rosa bicchierata. I sanroccari che per motivi varivivevano fuori dal borgo o fuori città amavanoritornare nel luogo natio per trascorrere con iparenti e amici queste liete giornate.All’imbocco di via Parcar veniva eretto un arcoa base di conifere e di edere trapuntato di fiorie sormontato da una scritta allusiva alla festa:il cosiddetto “trasparent”, cioè un cartone nerosul quale venivano praticati dei fori in modotale da raffigurare un soggetto che variava dianno in anno e dietro veniva posto un lume chefaceva risaltare l’immagine, la più ricorrenteraffigurava il castello. Alberelli, globi cartacei,fiori e drappi conferivano un tono particolar-mente festoso alle case fino alla piazza SanRocco dove coppie di ogni età e condizione so-

ciale danzavano a tempo, come rileva il Cossàr,dell’“armonica musicale” del bandista Pelizono di quella dello Zuccon, rampolli delle onoratedinastie di suonatori dell’Ottocento. Da notareche, fino al primo decennio del XX secolo, lapiazza appariva come un vero salotto inquanto, sul lato nord, era delimitata da un edi-ficio scolastico e, verso l’inizio di via Lunga,dalle case coloniche di proprietà dei Lantieri,abitate dalle famiglie borghigiane dei Madriz edei Zotti. Alla festa intervenivano spesso le au-torità e talvolta anche il capitano provinciale inquanto fino all’inizio della prima guerra mon-diale gli organizzatori intendevano solenniz-zare, con la sagra, il genetliaco dell’ImperatoreFrancesco Giuseppe I, che ricorreva proprio il 18agosto. La cerimonia d’inaugurazione seguivaun copione ben preciso: vi era il saluto dei gio-vani all’effigie dell’imperatore, la banda suo-nava, si offriva il vino alle autorità presenti che

in segno di gradimento lasciavano cadere su diun vassoio una manciata di monete e solo aquel punto si potevano aprire le danze. I primitre balli erano gratuiti e prerogativa dei “zovinsdal bal” che, con gli abiti nuovi di foggia, invi-tavano a danzare le giovani borghigiane, osser-vate con particolare attenzione dalle rispettivemadri sedute attorno al tavolato. Conclusi iprimi tre balli le danze erano aperte a tutti maa pagamento, solitamente si cumulavano due otre turni senza uscire: in un passato lontano lecoppie per accedere al “brear” (delimitato dauna balaustra in legno con due passaggi, unoper l’entrata e l’altro per l’uscita) pagavanodieci soldi, mentre negli anni Venti e Trenta delsecolo scorso la tariffa era di una lira per treballi. Alcuni giovanotti, sostenendo una lungacorda, convogliavano con la dovuta delicatezzai ballerini all’uscita dalla pista che subito andavariempiendosi di altre coppie che usufruivanodell’altra apertura munita di cassa: era questo,in genere, l’unico introito che consentiva agliorganizzatori di affrontare le spese per la festaallestita soprattutto per un profondo rispettodella tradizione. Nell’Ottocento la banda eraformata da pochi orchestrali ma immancabilierano il contrabbasso, il violino, il clarinetto ela fisarmonica. Tra la fine del XIX e il primo de-cennio del XX secolo anche i ritmi erano mutatie accanto ai tradizionali come “la furlana”, “la

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mazurka” e “la roseana” si aggiunsero il walzere la polka. Nelle sue cronache del Borgo lo storico GuidoAlberto Bisiani racconta che “nel corso della se-rata venivano lanciati i fuochi d’artificio e untempo si sparavano anche colpi di mortarettoma in seguito a qualche incidente la rumorosaoperazione venne soppressa. Nelle case e nelleosterie del borgo si consumava il dolce tipicodella sagra sanrocchese: Strucui cusinas tal ta-vajus ossia struccoli avvolti e cotti nel tova-gliolo”. È ben noto, inoltre, che non ci potevaessere sagra senza la classica baruffa che diven-tava anch’essa tradizionale: “Se no favin ba-ruffa, no contàvin fiesta!”, ciò fa riferimento aitempi più antichi quando bisognava chiedereall’autorità austriaca il permesso di organizzareil ballo, autorizzazione che veniva data conestrema reticenza in quanto molto spesso lesagre finivano in rissa o gli organizzatori eranopersone che non avevano tenuta una “buonacondotta”.Tra il 1914 e il 1922 la sagra venne sospesa,causa il devastante primo conflitto mondiale, eriprese proprio il 16 agosto 1923, quando alcunisanroccari si attivarono perché questa antichis-sima tradizione non si perdesse definitivamentesotto le macerie della guerra. Negli anni Qua-ranta l’organizzazione della sagra passò alla So-cietà Sportiva Isontina e dal 1948 l’iniziativavenne assunta dai contadini autoctoni in alter-nanza con altri gruppi. L’ubicazione venne mo-dificata, pertanto non si poteva più parlare diun ballo in pubblica piazza ma i festeggiamentisi trasferirono all’interno del campo sportivo

Baiamonti. Negli anni Sessanta il mutare deitempi e il crescente benessere fece trascurarequelli che erano stati i valori fondanti di questagrande festa e così i borghigiani più anziani de-cisero di riunirsi in un sodalizio che trovava giànella sua intitolazione un denominatore comunee cioè la conservazione e la valorizzazione delletradizioni. Nacque proprio nel 1973 il cosiddetto“Centro per le Tradizioni” che, a tutt’oggi, sicura della complessa organizzazione della pluri-secolare sagra. Nei tempi recentissimi alcune no-vità importanti hanno ancora maggiormentecaratterizzato l’evento agostano, infatti, oltrealla classica pesca di beneficenza e alle due im-mancabili tombole, si possono acquistare libri, divario genere, a peso, la prima domenica di sagraè dedicata alla rassegna di arte campanaria (apartire dal 1976) che vede confrontarsi gruppidel Goriziano e della Slovenia, il Centro per leTradizioni si occupa di realizzare mostre a temanella vicina Sala Incontro, alcuni pomeriggi sonodedicati o alla presentazione di libri di autori lo-cali o a conferenze sulle tradizioni eno - gastro-nomiche. La sagra in quanto tale continua adappassionare i goriziani, e non solo, e anche se isecoli trascorrono lei conserva sempre la fre-schezza giovanile e caratterizza la fisionomia diun borgo antico.

Vanni Feresin

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1973: Luigi Nardin, Antonio Zotti e PietroPiciulin (con menzione particolare a Giovanni Cumar,

Francesco Franco e Michele Zotti) 1974: Luigi Camauli (alla memoria)e Mario Drossi corista e "scampanotador"

1975:dott. prof. Tarcisio Marega,medico chirurgo

1976: Rocco Madriz antico contadino e amministratore della città

1977: Bruno Cumar direttore della Corale dal 1948

1978: Damiano Culotimprenditore ecommerciante

1979: Luigia Marchi Vecchiet (con menzione particolaread altre trenta rappresentani di aziende agricole del

borgo, tra cui la più anziana Maria Zottig ved. Bisiani)

P r e m i o S a n R o c c o

Albo d’oro

L. Nardin P.Piciulin

G.Cumar

M.Zotti F.Franco

A.Zotti

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1980: Evaristo Lutmanfondatore dell'Associazione Coltivatori Diretti

1981: Suore Scolastiche di "Nostra Signora"

1982: Lino Visintinartigiano calzolaio, già cooperatore sacrestano

1983: mons.Onofrio Burgnich

già parroco diSan Rocco dal1960 al 1967

1984: Giovanni CulotPresidente ITE Telecomunicazioni

1985: dott. Pietro Piciulinmedico sanroccaro

Nel 1986 il Premio “San Rocco” venne sospeso e dall’anno suc-cessivo si iniziarono a premiare personalità nonsolamente borghigiane ma provenienti dalla cultura cittadina.

1987: comm. rag. Luciano Spangherstorico e ricercatore

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1988: Celso Macor scrittore e poeta 1989: prof. Sergio Tavanodocente universitario e storico della città di Gorizia

1990: prof. Cecilia Seghizziviolinista, musicologa, compositrice e pittrice

1993:prof. Bruna Mazzolini

Tomasinifondatrice del Centro

Studi e Restaurodi via Rabatta

1994: Associazione musicale e culturale"M° Rodolfo Lipizer"

1991: Olivia Averso Pellis storica e ricercatrice

1992: don Ruggero Dipiazzaparroco di San Rocco dal 1967

e direttore della "Caritas Diocesana"

1995: rag. Pasquale De Simonegià Sindaco di Gorizia

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1996: don Lorenzo Boscarolprimo direttore della rivista "Borc San Roc"

e direttore del settimanale diocesano "Voce Isontina"1997: Gruppo folkloristico "Santa Gorizia"

1998: mons. Julien Mavule Koutovescovo di Atakpamè (Togo)

2001: Marino Zanetti commediografo e regista

2003: Bruno Leon dirigente dell'"Atletica Gorizia"2002: prof. Alessandro Arbodocente universitario, pianista,filosofo e musicologo

1999: Michele Martina giàsindaco di Gorizia e

parlamentare

2000: Maestro Franco Dugo artista goriziano

2004: Corale goriziana"Augusto Cesare Seghizzi"

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2005: Libreria Editrice Goriziana2006: don Luigi Tavano

docente, storico e presidente dell'Istitutodi Storia Sociale e Religiosa di Gorizia

2009: Mauro Fontaninimedico, commediografo e regista

2011: dott.ssa Lucia Pillonarchivista, paleografa, storica della città di Gorizia

2010: Guido Alberto Bisianigiornalista, storico e cronista della città di Gorizia

2007: Francesco Macedoniocommediografo e regista

2008:Edda Polesi Cossàr

già Presidentedel Centro perle Tradizioni di

Borgo San Rocco

2012: Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleeuropei

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SOCI FONDATORIEvaristo Lutman, Luigi Nardin, Renato Madriz

Atto Costitutivo e Statuto 31 ottobre 1973Primo Consiglio direttivo 12 novembre 1973

1982 – 1983

Federico Lebani PresidenteAlbino Turel VicepresidenteRenato Madriz SegretarioGiuseppe Marchi CassiereFranco BertuzziMario BisianiSilvio BressanTullio de FornasariRuggero DipiazzaMadriz LauraMadriz MarioMauro MazzoniPaolo MichelonNatalina PetarinAldo Sossou

1984 – 1985

Federico Lebani PresidenteAlbino Turel VicepresidenteRenato Madriz SegretarioGiuseppe Marchi CassiereFranco BertuzziClemente BressanPrimo CampiLuciano CicuttinRuggero DipiazzaLaura FasioloTullio de FornasariEnrico FurlanutGiuseppe PaoneAldo SossouDario Zoff

1986 – 1987

Federico Lebani Presidente finoal novembre 1986

Albino Turel Vicepresidente, Presidente dal 16 dicembre 1986

Edda Polesi Cossar SegretarioGiuseppe Marchi TesoriereFranco BertuzziMarino BorsiClemente BressanElio CaregnatoLorenzo CrobeRuggero DipiazzaFurlanut EnricoLorenzo LiberatoMario MadrizPaolo MichelonPietro Stacul

Sergio Cumar e Fulvio MianRevisori dei conti

1988 – 1989

Edda Polesi Cossar PresidenteLorenzo Crobe VicepresidenteBernardo De Sanctis SegretarioGiuseppe Marchi CassiereSergio CumarTullio de FornasariRuggero DipiazzaEnrico FurlanutFulvio MianMauro MazzoniAldo SossouMarino ZanettiDario Zoff

Sergio Cumar e Fulvio MianRevisori dei conti

1990 – 1991

Edda Polesi Cossar PresidenteLorenzo Crobe VicepresidenteMauro Ungaro SegretarioGisueppe Marchi CassiereClemente BressanSergio CumarTullio de FornasariBernardo De SantisRuggero Di piazzaEnrico FurlanutFulvio MianAldo SossouMarino Zanetti

Primo consiglio direttivo1973 – 1975

Luigi Nardin PresidenteRenato Madriz SegretarioSergio CodegliaMario DrossiEvaristo LutmanAldo SossouPietro Stacul

1975 – 1976

Luigi Nardin PresidenteRenato Madriz SegretarioSilvio BressanEnzo CividinSergio CodegliaRuggero DipiazzaMario DrossiFerruccio FranchiEvaristo LutmanSergio LutmanRiccardo MacuzziMauro MazzoniAntonio PiciulinAldo SossouPietro StaculAlbino TurelCarlo UrdanDario Zoff

1976 – 1979

Aldo Sossou Presidente dal10 dicembre 1976 fino al5 ottobre 1977

Renato Madriz Segretario, Presidente dal 5 ottobre 1977 al 19 dicembre 1979

Umberto BressanMarian CefarinSergio CodegliaLuciano FrancoGiuseppe Marchi Vicepresi-dente dal 5 ottobre 1977Mauro Mazzoni Segretario

dal 5 ottobre 1977Albino turelDario StaculDario Zoff

1979 – 1981

Albino Turel Presidente dal19 dicembre 1979

Mauro Mazzoni VicepresidenteRenato Madriz SegretarioGiuseppe Marchi TesoriereNevina BisiachSilvio BressanEzio CamauliElio CaregnatoEnzo CividinTullio de FornasariLaura Madriz MacuzziLicia Battisti SapunzachiAldo SossouPietro StaculDario Zoff

Soci Fondatori e Consigli direttivi

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1992 – 1993

Edda Polesi Cossar PresidenteGiuseppe Marchi VicepresidenteBernardo De Santis SegretarioGiuseppe Faganel TesoriereEnzo CoccoloSergio CumarRuggero DipiazzaEnrico FurlanutMauro MazzoniFulvio MianAldo SossouMarino ZanettiDario Zoff

1994 – 1995

Edda Polesi Cossar PresidenteGiuseppe Marchi VicepresidenteLaura Fasiolo SegretarioGiuseppe Faganel TesoriereGiovanna BoschinEnzo CoccoloSergio CumarRuggero DipiazzaGianluca MadrizPaolo MichelonAldo SossouLuciano SusicMarino ZanettiDario ZoffGianfranco Zotter

Franco Bertuzzi e Ferruccio Franchi

Revisori dei conti

1996 – 1997

Edda Polesi Cossar PresidenteMauro Mazzoni Vicepresidente

dimessosi nel dicembre 1996Alessandra Fasiolo SegretarioGiuseppe Faganel TesoriereElena BertuzziEnzo CoccoloRuggero DipiazzaRoberto HvalaAnita MadrizGianluca MadrizRenato Madriz dimessosi

nel 1996Giuseppe Marchi dal gennaio

1997 VicepresidentePaolo MartellaniFulvia OblassiaLuciano SusicAlbino TurelNadia UrsicDario ZoffGianfranco Zotter

Clemente Bressane Marino Zanetti

Revisori dei conti

1998 – 1999

Edda Polesi Cossar PresidenteGiuseppe Marchi VicepresidenteLuisa Tomasi SegretarioGiuseppe Faganel TesoriereEnzo CoccoloSaverio ComelRuggero DipiazzaPaolo MartellaniMartino MazzoniMauro MazzoniFulvia Oblassia MartellaniAldo SossouAntonio StaculDario ZoffGianfranco Zotter

Clemente Bressan e Marino Zanetti

Revisori dei conti

2000 – 2001

Edda Polesi Cossar PresidenteGiuseppe Marchi VicepresidentePierpaolo Silli SegretarioFulvia Oblassia TesoriereMarco ChiozzaEnzo CoccoloRuggero DipiazzaAldo SossouAntonio StaculAlbino TurelDario Zoff

Giuseppe Faganel eMarino Zanetti

Revisori dei conti

2002 – 2003

Edda Polesi Cossar PresidenteBruno Campi VicepresidenteGiuseppe Marchi SegretarioFulvia Oblassia Martellani

TesoriereEmilio CarelliLuciano CicuttinEnzo CoccoloRuggero DipiazzaMattia FajdigaPaolo MartellaniMaria Sivec MartellaniMauro MazzoniPaolo MichelonTommaso ScoccoPietro SossouAntonio StaculFulvio Mian e Marino Zanetti

Revisori dei conti

2004 – 2005

Edda Polesi Cossar PresidenteBruno Campi VicepresidenteGiuseppe Marchi SegretarioPaolo Martellani TesoriereEmilio CarelliEnzo CoccoloRuggero DipiazzaMattia FajdigaFulvia Oblassia MartellaniMartino MazzoniMauro MazzoniPaolo MichelonTommaso ScoccoPietro SossouAntonio StaculPaolo Stacul

Fulvio Mian e Marino Zanetti Revisori dei conti

2006 – 2007

Edda Polesi Cossar PresidenteMartino Mazzoni VicepresidenteGisueppe Marchi SegretarioJosè Nadaia Franchi TesoriereBruno CampiFabiola Vitturelli CampiEmilio Carelli dimessosi nel 2006Enzo CoccoloRuggero DipiazzaMattia FajdigaMauro PisaroniPietro SossouDario Zoff dimessosi nel 2006Fulvio Mian e Marino Zanetti

Revisori dei conti

2008 – 2009

Paolo Martellani PresidenteMarco Lutman VicepresidenteGiuseppe Marchi SegretarioJosè Nadaia Franchi TesoriereBruno CampiFabiola Vitturelli CampiEnzo CoccoloEdda Polesi CossarFlavio CulotRuggero DipiazzaFulvia Oblassia MartellaniMauro PisaroniMarco SalateoPietro Sossou

Fulvio Mian e Marino Zanetti Revisori dei conti

2010 – 2011

Paolo Martellani PresidenteMarco Lutman VicepresidenteGiuseppe Marchi SegretarioJosè Nadaia Franchi TesoriereBruno CampiFabiola Vitturelli CampiEnzo CoccoloEdda Polesi CossarNevio CostanzoEnrico de FornasariRuggero DipiazzaRoberto DondaVanni FeresinLaura Madriz MacuzziGiovanna Marin SalateoFulvia Oblassia MartellaniMaria Grazia MorattiMauro PisaroniMarco SalateoPietro SossouSergio Codegliae Adriana Macoratti Russian

Revisori dei conti

2012 – 2013

Marco Lutman PresidenteLaura Madriz Macuzzi VicepresidenteGiuseppe Marchi SegretarioSergio Amoroso TesoriereEdda Polesi CossarNevio CostanzoManuel DaddioRuggero DipiazzaRoberto DondaVanni FeresinGianluca MadrizGiovanna Marin Salateo

Maria Grazia MorattiGiusppe PaoneCaterina SalateoMarco SalateoPietro SossouGianfranco ZotterSergio Codeglia

Revisore dei contiTommaso Scocco

Revisore dei conti

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Il “Centro”: testimone diretto di una cultura contadina

di Renato Madriz

Alcune premesse

Non v’è dubbio alcuno, quando si fa riferimento all’istituzione “Centro”, che il richiamo forte ed inequivocabileassume i connotati di una vicenda che ha oltrepassato molti secoli di un borgo i cui pilastri erano piantati nellapovera ma “ricca” cultura contadina, fondamento di ogni altra attività umana e così profondamente legata ai va-lori della Creazione.Infatti, anche Adamo ed Eva nacquero (almeno il primo) dalla terra; e contadino fu anche Noè, nonostante la pocaconoscenza di mosti e vini: due suggestioni bibliche per affermare che, nato contadino, l’uomo metterà fine almondo con l’estinzione dell’ultimo contadino. E anche due metafore per inquadrare una cultura radicata nellapopolazione di questa minuta contrada, che faceva, nella sua maggioranza, perno sulla cura di quegli straordinaridoni di cui la Natura e la Terra fertile presenta, se rispettata come una Madre generosa, se maltrattata, se nonviolentata, se non abbandonata, ha sempre saputo garantire.In quell’epopea edificata dai contadini in un intreccio di percorsi di vita e lavoro che non conosceva soste né oziin cui poltrire – ma capaci di distinguere i pericoli evidenti da quelli subdoli – nacquero, nel periodo tra fine Otto-cento e metà del Novecento, alcune delle più alte espressioni di quell’intrapresa quotidiana che sapeva unire l’esi-genza di un progressivo miglioramento del tenore di vita al respiro rinfrancante delle feste.Avvenne così che, a cavallo dei due secoli passati, ilborgo produsse, da un lato l’allegria del ballo popo-lare, fondando lo storico gruppo di folklore del“Santa Gorizia”, ben supportato dall’originalità diuna mirata esaltazione del mondo rurale, con unalunghissima stagione vissuta dal “Bal dai contadins”(1908) che sapeva calamitare l’interesse dell’interaprovincia, costringendo sempre l’organizzazionedell’evento ad imporre la prenotazione obbligatoria.Dall’altro, grazie alle dinamiche di una lenta ma pro-gressiva crescita dell’autonomia anche delle piccoleaziende contadine, finalmente liberate dai lacci dellatifondismo ancora imperante fino alla prima metàdel secolo trascorso, il rafforzamento dei sistemi ditutela del lavoro dei campi e della dignità, spesso cal-pestate dai regimi dominanti.Infatti, con la nascita a San Rocco nel 1949 dell’Asso-ciazione Coltivatori Diretti di Gorizia, grazie all’ac-corta e determinante azione propositiva degli “ufiej”(termine utilizzato per riconoscere i contadini di Sanrocco, grandi produttori di rape – ufiej), veniva san-cita anche qui la rivincita delle genti dei campi.

Come nasce il “Centro”

Intanto, i suoi tratti costituivi, così come trasparenell’exurcus di premessa, non potevano che esserefigli, a tutto tondo, di quel vissuto secolare delmondo contadino autoctono, solo grazie al qualeuna geniale intuizione dell’allora quasi novello Par-roco – don Ruggero Dipiazza – con il nobile propositodi far convergere in un organismo strutturato il “pas-sato” con il “presente” per significarlo nel futuro concontaminazioni spirituali all’ombra della torre, trovòterreno fertile per i suoi primi germogli.Prodromi della genesi (31 ottobre 1973) vanno ricer-cati nei tratti dei calori inconfondibili di alcune stalle

La foto ritrae Luigi Nardin (il Miklaus), coofondatore e primoPresidente del “Centro” sino agli inizi del 1978, ripreso mentre

nell’orto rigoglioso di casa “vàia lis vîts”. Notoria la sua pas-sione per il “vincotto”, un vino denso e liquoroso, che lui otte-

neva - unico agricoltore in tutto il circondario - con unasuccessione di concentrazioni del mosto sul fuoco vivo, prima

della fermentazione finale; una vera chicca di cui egli andava aragione orgoglioso nell’offrirlo, quale rara e preziosa degusta-

zione, a tutti coloro che varcavano la soglia della sua anticacantina seminterrata.

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del borgo: non solo come una metafora ma pure ilriferimento suggestivo di una serie di piccoli dibattitie pacate riflessioni con canuti personaggi protagoni-sti del duro lavoro degli orti, tra le pinte di latte ap-pena rilasciato dal bestiame ed i pasti serali a pezzaterosse e bruno alpine, mansuete testimoni di quei“summit”.Non a caso, dei tre soci fondatori dell’Associazione,Luigi Nardin ed Evaristo Lutman rappresentavano aloro modo i simboli, oltre che dell’impegno civile edi governo della città, soprattutto della gestione delsindacato locale del mondo rurale, con mirabile di-spendio di energie sottratte al lavoro dei campi e tra-sferite negli spazi dell’alterità per un alto sensodell’appartenenza, sia micro contestuale che legato,già allora, a quel fenomeno contemporaneo che è lacittadinanza attiva.Quella quotidianità accompagnò loro anche nellostudio notarile per la formalizzazione dell’atto di ri-cognizione con il quale sancita la volontà di mettereal sicuro la storia di un mondo che ha contrassegnatoun’epoca di enormi fatiche ed ataviche lotte per lasopravvivenza che, con rari momenti di felicità, siidentificavano con i sapori della vita ed i silenzi cheirrompevano come fulmini a ciel sereno.Ultimata la lettura dell’atto costituivo, l’ampio studionotarile era impregnato dell’inconfondibile “fra-granza” di cascina che molto colpì il notaio dott. Sar-delli, sì da richiamare in lui analoghi profumi ch’egliaveva vissuto in gioventù attorno al mondo conta-dino toscano da dove proveniva.Un mondo nel quale si immergeva la stessa denomi-nazione dell’ente, prodigo nel tempo di tante ope-razioni di promozione e conservative delle virtù dellaloro umanità, prima di sbarcare sul molo di una re-altà contagiata già dal modernismo.

Quale futuro?

Partirei dai vai ambiti visitati dell’Associazione, tal-volta orientati ad azioni di recupero conservativo dipratiche, gesti, abitudini e occasioni celebrative, inconcorso con la spiritualità anche liturgica del pas-sato. Per tutte valga ricordare alcune ormai consoli-date, come l’immediata riesumazione di un classicodella vecchia cucina pasquale, ovvero il dolce delle“fule” che, dal 1975 contraddistingue, con i suoi ac-costamenti alla liturgia del tempo, la “festa del ri-torno”; ancora, l’originale istituzione, proprio in queiprimi anni di vita del “Centro”, della “Gara dai scam-panotadòrs” a respiro internazionale, manifesta-zione culturale anticipatrice in assoluto della suapromozione in ambito regionale; l’indizione del“Premio San Rocco”, che si poneva l’obiettivo di dareevidenza a particolari meriti acquisiti da figli illustridi queste terre; infine, la pubblicazione della rivistaannuale “Borc San Roc”, importante strumento d’in-dagine e diffusione storico – culturale soprattutto delborgo.

L’auspicio non può essere che quello di dare conti-nuità a queste espressioni di conservazione della me-moria attraverso una più decisa azione di sviluppo edi ricerca, con un dimensionamento degli obiettivi in-siti nello stesso d.n.a del Centro, tra i quali:

1) Il rispetto dell’ambiente e del territorio, più chemai abbandonati a se stessi dalla imbarazzante as-senza del rispetto da questa civiltà senza sentimenti;il suggestivo progetto di recupero dello straordinarioparco dell’ex Seminario Minore potrebbe, al ri-guardo, mettere in grande rilievo i tratti di un volon-tariato al servizio della collettività;2) Il recupero dell’identità difendendo la lingua friu-lana che, per tutti i sanroccari era la propria linguamadre, purtroppo stemperatasi nel tempo;3) Dare un volto a quel prezioso scrigno della culturacontadina e della tradizione sanroccara con l’istitu-zione di un museo etnografico transfrontaliero, chenon è né uno slogan né un’utopia ma una sfida realeda vincere per conservare la memoria ed essere gratiai nostri avi di averci consegnato una storia che è pa-trimonio e dimensione dello spirito;4) La valorizzazione della cultura rurale con l’edifica-zione della statua dell’ortolano da collocare, nell’am-bito della prossima ristrutturazione della piazzasimbolo del Borgo;5) Un più circostanziato inquadramento della rivista“Borc San Roc” perché sia prioritariamente rivista delterritorio dove, accanto all’attualità, possano trovarespazio la ricerca storica e dell’arte che questa terraha saputo esprimere;6) L’investimento nelle nuove generazioni quali mes-saggere per il futuro di una cultura senza tempo, cheva conosciuta, promossa e vissuta nei gesti quotidianie in tutte le relazioni interpersonali.

Credo che il futuro della cultura sia legato alla capa-cità di trasmettere il passato conservandone i trattipiù importanti ed è possibile solo se si prenderà co-scienza del vissuto così difficile ma dignitoso di chi èstato prima di noi.

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È stata testimone della cultura friulana rendendola viva e pulsante.Enorme è stato il lavoro e il contributo di idee e di pensiero che Anna Bombig ha dato alla Società Filologica Friulana che la an-novera tra i componenti di assoluto rilievo nel portare alte le idealità e le finalità culturali del benemerito sodalizio. Così comeil costante contributo dato ai periodici “Sot la Nape”, “Borc San Roc” e “Strolic furlan”, unitamente al settimanale diocesanoVoce Isontina che l’ha vista sempre presente e, sino all’ultimo, attiva collaboratrice. Nel 2007 era stata nominata “socio meri-torio” della Filologica. Il direttore della stessa Feliciano Medeot unitamente al neo vicepresidente della filologica per il Friuliorientale Renzo Medossi la ricordano con affetto sottolineando quanto da lei appassionatamente dato per la friulanità.Anche nel Borgo di San Rocco la maestra Anna Bombig è stata una figura di spicco, apprezzata da tutti. Non è mai mancata a

ANNA BOMBIG

Sorridente esempio di semplicità, raffinata cultrice di storia patria e amica del Borgo di San Rocco

rici ma soprattutto poetessa: i testidelle sue liriche sono state fonte diispirazione per tanti musicisti comeCecilia Seghizzi, don Narciso Mi-niussi, don Stanko Jericijo e Gio-vanni Mazzolini. Farrese tutta d’unpezzo e “Sanroccara” acquisita, in-terveniva a tutte le manifestazioniche si svolgevano nell’Arcidiocesi diGorizia (dalla conferenza su Aqui-leia, alla presentazione di mono-grafie su tradizioni, usi e costumi,alla festa dei “Scampanotadors”che amava moltissimo per il loroservizio sulle torri campanarie) arricchendole dalla sua in-nata vena artistica, le sue poesie riflettevano lo spirito e lavita della popolazione. Fu un’insegnante ed educatrice diintere generazioni di alunni che hanno visto in lei l’esempiodi una persona tutta d’un pezzo, nella sua dirittura moralee forte della sua cultura permeata di alti valori e di pro-fonda condivisione di fede.Il suo nome è presente anche fra le stelle. Un asteroide, sco-perto nel 1997 dall’Osservatorio di Farra, porta il suo nome.

GRAZIE MAESTRA ANNA

mava con quella sua delicata, sottile e intonata voce, carat-teristica ineguagliabile della maestra Bombig. Come scriveMauro Ungaro, direttore del settimanale diocesano VoceIsontina: “per capire Anna Bombig bisognava sentirla can-tare. Pareva impossibile che da quella figura così minuta,apparentemente fragile, potessero uscire note di tonalitàcosì intensa. Per questo si rimaneva colpiti quando, fosse inuna celebrazione liturgica o in un momento conviviale diallegria, intonava i canti della tradizione religiosa o diquella popolare, trascinando le altre voci in cori che sape-vano raccontare l’anima e la tradizione di un popolo”.Anna Bombig è stata una portentosa scrittrice di saggi sto-

nessuno dei grandi appuntamenti annuali: dalla festa delRingraziamento, al Premio San Rocco, alla presentazionedella rivista “Borc San Roc”. È sempre stata identificatacome una presenza gentile, sorridente, appassionata, felicedella vita e di raccontare la storia; una donna colta, dall’in-telligenza acuta, dalla memoria prodigiosa e molto compe-tente. Restano di lei gli scritti in lingua friulana che sonodelle perle straordinarie con il sapore di una saggezza an-tica. Come non ricordare in questa occasione le liriche in lin-gua friulana, che scriveva su degli antichi fogli di protocollo,dedicate alla personalità, all’ente, all’istituto che veniva in-signito dell’annuale Premio “San Rocco”, e che poi decla-

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Un credente aperto al dialogo e al servizio

quota infernale.Ma Lebani non fu soltanto uomo d’armi. Sorretto da unafede ben salda e da un’encomiabile apertura sociale ac-cettò tutte le cariche combattentistiche e d’Arma e tuttigli incarichi volti all’umana solidarietà.Nel dopoguerra riprende ad insegnare, fa parte di diversecommissione nazionali per la riforma della scuole elemen-tari e medie e per l’adozione dei libri di testo. La sua car-riera scolastica viene premiata con la nomina ad ispettorescolastico della Provincia Isontina, carica che lascia per

Federico Lebani, classe 1914, uomodi patria e cultura italiana come luistesso amava definirsi, nel 1924proveniente da Salcano viene ac-colto nel Collegio Salesiano “S.Luigi” di Gorizia. Terminata lascuola dell’obbligo frequenta l’Isti-tuto magistrale “S. Slataper” diGorizia, conseguendo il diploma apieni voti. Inizia l’insegnamento in

Quando il Comando Superiore de-cide l’azione di quota 731 di Mo-nastir (punto nevralgico del frontegreco – conquistata tale quota sipoteva dilagare in Grecia) l’azioneviene affidata al plotone Arditi delLebani che sceglie 37 volontari etre sottoufficiali e prepara punti-gliosamente l’azione, che ha iniziola mattina del 19 marzo 1941.Lebani con i suoi uomini prende laposizione a bombe a mano ed al-l’arma bianca, ma viene sopraf-fatto dai mortai greci cheriprendono la posizione. Feritouna prima volta non ferma lo slan-cio dei suoi fanti, ferito nuova-mente resiste impavido, finchéfalciato dal fuoco nemico scom-pare nell’inferno della battaglia

Friuli e si iscrive subito alla Facoltàdi Lettere e Filosofia di Urbino; silaurea a pieni voti nel 1944.Scoppiato il conflitto si arruola vo-lontario e chiede di far parte dellaCompagnia Arditi.

con tutti i suoi valorosi uomini.La fama dell’eroico comportamento del biondo sot-totenentino italiano si sparge per tutta la Grecia;viene ricoverato in un ospedale militare di Atene ecurato e assistito in modo esemplare.Gli viene conferita la medaglia d’oro alla memoria,degradata in medaglia d’argento quando si scopreche non è morto.Rientrato in Italia, “infranto nelle membra ma indo-mito nello spirito”, sopporta per oltre sette anni ilcalvario di molti ospedali.Per le sue 14 ferite e per la totale perdita di un pol-mone viene riconosciuto Grande Invalido.Modesto e schivo soltanto l’11 aprile 1978 l’amicoEno Pascoli riesce a fargli rievocare le sue gesta al-l’associazione carristi e in seguito al Rotary di Gori-zia. Egli si sofferma a ricordare l’animo e isentimenti dei suoi 30 arditi scomparsi tutti nella

raggiunti limiti di età.Nel 1981 accetta la Presidenza del Centro per le Tradizioniche opera a San Rocco, carica che mantiene per cinqueanni fino al 1986, quanto improvvisamente muore.Uomo dotato di una vivissima intelligenza e di una pro-fonda cultura, affascinante oratore con capacità naturale

Il prof. Lebani con la suafamiglia d’origine,

i suoi colleghi maestri,al tavolo di ispettore,giovane “Tenentino”,

ancora a scuola...

di rapportarsi con tutti da gran Signore.Con la sua presidenza il Centro guarda avanti non fermandosiad esaltare un passato strettamente borghigiano: ci si apreal nuovo, alla città conquistando stima e considerazione.A 27 anni dalla sua dipartita il Centro, nel celebrare i qua-rant’anni di fondazione, intitola un Premio a questo uomoeccezionale di cui brevemente abbiamo tracciato la storia edesprime il rammarico per l’interruzione di una collabora-zione, che avrebbe portato a traguardi di sicuro e più impor-tante prestigio.

Edda Polesi Cossàr

Mauro Ungaro scrive su “Voce Isontina” del 13

dicembre 1986: “Patria, scuola, borgo: tre ele-

menti fondamentali per comprendere una vi-

cenda umana vissuta con intensità e coerenza,

tre momenti a prima vista profondamente di-

versi, eppure accomunati dalla passione del

saper fare con gli altri per gli altri, in una cri-

stiana attenzione al prossimo resa ancora più

viva dalla particolare attitudine alla mediazione

e al dialogo con ciascuno, in un rapporto ten-

dente a privilegiare l’incontro, da collega ed

amico piuttosto che nella veste ufficiale di fun-

zionario. In questo quadro si collocano le tante

scelte, spesso scomode e controcorrente ma co-

munque disinteressate, sin da quando, volonta-

rio sul fronte greco nel corso del secondo

conflitto mondiale, rifiutò di presentare ricorso

contro l’assurda decisione del comando gene-

rale che l’aveva privato della meritata medaglia

d’oro e al valor militare, assegnandogli quella

d’argento in quanto reo di non essere morto

ma “soltanto” gravemente ferito nei combatti-

menti, volendo così anche onorare la memoria

dei tanti giovani che aveva visto cadere al pro-

prio fianco e di cui nessuno sembrava volersi ri-

cordare, nemmeno per una semplice citazione

al merito”.

Il prof. Lebani immortalato mentre ricevele decorazioni come eroe della secondaguerra mondiale e nell’associazionismocombattentistico culturale e religioso.

Eno Pascoli scrive su “Nuovo Fronte” del gennaio– marzo 1987: “Mi trovavo nel marzo del 1941nei pressi di Gllva, dove la “Centauro” era di rin-calzo, allorché giunse al mio bivacco un sergentedel reparto carri M – 13/40 del Tenente Camera,reduce dall’azione del 19 marzo contro la quota731. Mi raccontò le gesta dei cinque carri e quelledella compagnia Arditi della Siena, comandatadal principe di Borbone Parma, che al grido di“Savoia” ed a colpi di bombe a mano aveva tra-scinato i suoi arditi sulla quota contesa ed era ca-duto sul trincerone greco, che difendeva la cimadella quota. Il sergente soggiunse che con il ca-pitano vi era un sottotenente biondo di Gorizia,che “aveva fatto il finimondo” (parole testuali)ed era stato falciato da fuoco greco scompa-rendo nella fornace ardente della battaglia,come un eroe nibelungico. Da Gorizia mi giunsepoco dopo la conferma. I miei avevano assistitoalla messa di suffragio celebrata nella chiesa delSacro Cuore a Gorizia. Era stato proposto per lamedaglia d’oro alla memoria. Invece quando letruppe italiane occuparono la Grecia lo rinven-nero in un Ospedale Militare Ellenico, infrantonelle membra, ma indomito nello spirito”.

SI RINGRAZIA DI CUORELA FAMIGLIA LEBANI PER LA PREZIOSA

DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICAE GIORNALISTICA MESSA A DISPOSIZIONE

PER QUESTO SPECIALE.

Renato Madriz in occasione dei 25 anni dalla scomparsalo ricordava così:“Capitava spesso, nelle sere d’autunno inoltrato, che ibambini scendessero al piano terra dove il nonno, tradoppiette, sovrapposti e Mauser, aperto uno scrigno ri-servato, brigava con quella sorta di ferri del farmacistaper ripristinare la batteria della cartucciera che la dome-nica appresso avrebbe fatto la propria parte in quellasuggestiva sfida con lepri e fagiani tra le brume e le di-stese di mais della ricca riserva che lambiva l’Isonzo.E lui, interrotta la silenziosa concentrazione, si lasciavasovente andare con loro a qualche remoto ricordo conqualche chiosa che tradiva i suoi trascorsi ginnasiali; unadi queste così recitava: ”Coram canu capite consurge etonora personam senis”, ovvero: “davanti all’anziano al-zati, e onora la sua saggezza”.Con questo inalterato sentimento ripenso a Federico Le-bani, figura decisiva per la storia e le radici sanroccare,per molti di noi “il professore”. Il tempo trascorso nonha affatto sbiadito un ricordo – di Lui – particolare, poi-ché vero modello di quell’ambito di persone di cui si èprobabilmente smarrita la fattispecie.Rammento i suoi primi approcci ad un nuovo tipo di re-sponsabilità, quello di rappresentare un’entità – il “Cen-tro” – della quale, pur respirando da tempo i caratteri,tuttavia scontava un deficit di governo dei contenuti sto-rico – culturali che solo l’esperienza diretta avrebbe po-tuto, quantomeno teoricamente, garantirgli.E però, intelligenza e acuta sensibilità nella capacità diascolto e di maturazione delle conoscenze di un mondoda lui osservato, peraltro, con l’umiltà e la ricchezza dellospirito, lo fecero sanare il “gap” con raro senso dell’im-pegno e dello stile.Del resto, la sua storia personale, sin dagli anni della gio-ventù, rimane un chiaro paradigma di quello che il “pro-fessore” ha saputo essere e rappresentare, esempio diuna non comune dotazione delle sensibilità del cuore edel pensiero, del rigore morale e della determinazione,delle capacità pedagogiche e dell’equilibrata gestionedelle risorse che ben gli valsero la definizione di “Si-gnore”.

A San Rocco con gli “Scampanotadors”

Nel quarantesimo anniversario di Fondazionedel Centro per le Tradizioni è stata intitolata una borsa di studio

al prof. Federico Lebani, già presidente del sodalizio dal 1981 al 1986.

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Origine dell’antico sodalizio di San Rocco

di Sergio Lutman

Quanti rintocchi hanno liberato nell’aria le campane di S. Rocco da quando nel lontano ottobre del 1973 i contadini, o meglio i col-tivatori diretti sig. Luigi Nardini, il cav. Evaristo Lutman, nonno dell’attuale Presidente del Centro ed il rag. Renato Madriz hannovarcato la porta dello studio del notaio Giuseppe Sardelli per costituire l’associazione “Centro per la conservazione e valorizzazionedelle tradizioni popolari di Borgo S. Rocco – GORIZIA”.

perare fondi per le varie attività, sul modo di spenderli, sulproblema delle campane, sul come rendere più funzionalel’oratorio e sul sempre insoluto problema della circolazionedelle automobili sul cosiddetto piazzale antistante la chiesa.Alcuni di questi problemi sono tuttora attuali e a volte ancorairrisolti, ma certamente con il mutare dei tempi se ne sono ag-giunti altri anche perché con il sorgere di nuove problematichee con le vedute sempre più lungimiranti dei vari Presidenti chesi sono succeduti, fra i quali vanno ricordati, senza nulla to-gliere agli altri, il prof. F. Lebani e la sig.ra Edda Cossar, il Cen-tro, attraverso scelte sempre più ponderate ed equilibrate, hainiziato a guardare oltre i limiti del borgo, con vedute semprepiù ampie anche se a volte troppo coraggiose rispetto alle ri-sorse finanziarie disponibili.Il premio S.Rocco, ad esempio, credo sia uno dei pochi confe-rimenti al merito in città. La gara degli “scampanotadors” con-tinua a portare a S. Rocco rappresentanti di diversi paesi,provenienti per la maggior parte da oltreconfine. Il Centrosembra stia oggi supplendo ad una certa inefficienza dellacittà in campo culturale con incontri d’autore, con l’istituzionedi borse di studio, con incontri ed iniziative varie durante lasagra, portando l’attività dell’orto nella scuola elementare,promuovendo attività creative come la colorazione delle uovapasquali, mostre di pittura, di fotografia, spettacoli teatrali,incontri musicali di tutto rispetto, per non parlare della grandesagra di S. Rocco che è il fulcro di tutte le attività e che ri-chiama gente da tutta la regione e che permette di poter farfronte alle iniziative programmate.Va anche detto che tutte queste attività vengono svolte dapersone che dedicano volontariamente parte del loro tempolibero in modo del tutto disinteressato, il che non è poco inun mondo dove tutto è monetizzato.Oggi, a distanza di tanti anni dalla sua fondazione, il Centrocontinua la sua attività dimostrando tuttora la sua validità ela lungimiranza dei suoi promotori. Noi vecchi sanroccari pos-siamo andare orgogliosi nel vedere che i nipoti dei cosiddettipatriarchi, ma anche i nuovi borghigiani, credono ancora nelprogetto e lo stanno portando avanti, pur con le dovute inno-vazioni in linea con l’attualità dei tempi.

Va però ricordato che tale associazione esisteva già da alcunianni, anche se non in forma ufficiale, cioè dal 1966 e che avevasempre come scopo la promozione delle iniziative atte a valo-rizzare le tradizioni, gli usi ed i costumi del Borgo con sedenell’oratorio della parrocchia. D’altronde la parrocchia erasempre stata il luogo dove si discutevano i vari problemi ine-renti la chiesa e la collettività, sia nei momenti lieti che tristi,edè qui che nacque durante le varie riunioni la volontà di farequalcosa di utile per conservare quelle tradizioni che sotto laspinta del modernismo si stavano spegnendo.Anche se questo Centro nasce dalla volontà di alcuni borghi-giani con l’appoggio del parroco, si può affermare quasi concertezza che esso è una costola nata dall’associazione coltiva-tori diretti di Gorizia che si riuniva inizialmente presso la trat-toria “Alla Fortezza” sita in Piazza S. Rocco ed il cui Presidenteera Evaristo Lutman, uomo di carattere forte, di spiccata per-sonalità e capacità decisionale, fiero della sua appartenenza almondo agricolo per difendere il quale si è sempre impegnatoin vari incarichi politico-amministrativi, diventando all’attodella fondazione del Centro Vicepresidente ed in seguito insi-gnito del Premio S. Rocco.A dimostrazione di quanto sopra non si può dimenticare cheinizialmente il consiglio del Centro, dal Presidente Nardini ingiù, era composto per la maggioranza da agricoltori (i patriar-chi) che hanno sempre sentito fortemente la necessità di tra-mandare ai posteri la loro parlata, il modo di vivere,imperniato su tanti sacrifici religiosamente sopportati con or-goglio e dignità.Non dobbiamo dimenticare che il borgo in passato era preva-lentemente abitato da contadini, lavandaie, vetturini, norcini,sarte, fabbri ferrai, bottai, povera gente in poche parole, unmondo che stava lentamente scomparendo e perciò si spiegala volontà di ricordare e trasmettere quei valori frutto di durafatica a dimostrazione che la vita richiede impegno e a volteduro sacrificio.Inizialmente le discussioni, talvolta accese, avvenivano spessoin friulano (d’altronde S. Rocco è sempre stato un borgo friu-lano per eccellenza): si discuteva sulla necessità di interventidella chiesa, sulle modalità della processione pasquale, sullaprogrammazione della sagra, sullo spostamento dell’obelisco,su come rendere più sicura l’uscita dalla chiesa, su come recu-

L. Nardin P.Piciulin

G.Cumar

M.Zotti F.Franco

A.Zotti

I PATRIARCHI

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“Lis Luzignutis” di Borc S. Roc(“Le lucciolette” di Borgo S. Rocco)

di Lucia Zanuttig

Il Gruppo Folkloristico di minidanzerini “Lis Luzignutis di Borc S. Roc”, costituito nel 1975 come parte integrante del “Centroper la conservazione e valorizzazione delle tradizioni popolari” di San Rocco, per circa un ventennio ha allietato le festeparrocchiali più importanti (processione del “Resurrexit”, festa del Ringraziamento, Premio S. Rocco, incontro con Papa Gio-vanni Paolo II al campo sportivo Baiamonti…) e le sagre paesane partecipando a sfilate e incontri in regione.Numerose sono state anche le trasferte in Italia e all’estero (Pavullo nel Frignano, Ischia, Austria, Germania, Francia, Unghe-ria…) trasformatesi sempre in festose gite familiari. Ovunque “Lis Luzignutis” hanno raccolto consensi e simpatia per la lorobravura, spontaneità ed entusiasmo nel presentare le danze locali. Per più di un lustro, con il patrocinio del Comune di Gorizia e la fattiva colla-borazione di tutti i genitori, il Gruppo ha organizzato anche gli “Incontri Fol-kloristici Internazionali di minidanzerini” ospitando gruppi di bambiniprovenienti dall’estero.Nei primi anni ’90 la signora Olivia Averso Pellis ha portato a termine la sua ri-cerca sul “tabin” sanroccaro, e le bambine del gruppo sono state le prime avestire la versione infantile di quell’abito che ora un cospicuo manipolo didonne indossa con orgoglio nelle maggiori festività.

Oggi i costumi de “Lis Luzignutis”,di proprietà del Centro che ne hafinanziato la fattura, sono indossatisolo in occasione delle feste solennidai bambini (e soprattutto bam-bine) che si rendono disponibili acontinuare la tradizione, dal mo-mento che il gruppo folkloristicoha cessato l’attività.

Niente di quanto è stato fatto nel corso di tanti anni sarebbe stato possibilesenza la generosa disponibilità di tante persone (Direttori artistici, Consigli di-rettivi, musicisti, parroco…) ma soprattutto dei genitori che si sono semprespesi al massimo nella convinzione dell’utilità e della bellezza di questo lavoro.Indubbiamente sarebbe bello poter riprendere, in questo momento che offreai più piccoli infinite proposte di attività non sempre costruttive, a presentareai bambini l’occasione alternativa di conoscere le tradizioni del passato e di im-pegnarsi in qualcosa che sia gratificante ma al tempo stesso educativo per la

costanza, socializzazione e collaborazionecon gli altri che richiede.

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“Sul troi da la cultura contadina”

intervista a Renato Madriz curata da Mauro Ungaro

Apro il cancello della sua casa in via Vittorio Veneto per incontrare Renato Madriz e penso che sto per parlare con la memoria sto-rica del Centro e del borgo. Ma, poi, mentre salgo le scale, mi rendo conto che “memoria” e “storia” sono due concetti sconosciutiper un’epoca come la nostra dove l’unico tempo ammesso pare essere il presente. Troppo incerto ed aleatorio il futuro privo diquelle certezze che hanno consentito a generazioni di uomini e donne di chiudere gli occhi la sera con fiducia nel domani; scono-sciuto un passato che l’era digitale considera solo remoto e mai prossimo.

Eppure incontrarlo significa rendersi conto che il passato può e deve essere inteso non certo in ma-niera statica ma dinamica: l’ieri al servizio dell’oggi, senza cadere nel rischio delle facili mitizzazionima con la certezza che la Storia è comunque una maestra di vita. Diceva il protagonista di una for-tunata serie televisiva rivolgendosi al nipote: “Quello che tu sei io ero; quello che io sono tu sarai”:in fondo è stato proprio questo lo spirito con cui 40 anni or sono iniziò la grande avventura delCentro.

Gettiamo uno sguardo alla genesi del Centro?

All’origine del Centro c’è la volontà espressa dagli agricoltori di San Rocco di non permettere cheandasse perduto un passato per cui si erano spesi tantissimo. Lasciare i campi per andare in Consi-glio comunale o per reggere il Consiglio dell’Associazione coltivatori diretti costava, infatti, tantis-simo perchè bisognava togliere tempo prezioso all’attività quotidiana che era la fonte delsostentamento. ll contadino, come del resto tutti allora, non aveva ozi su cui poltrire in una gior-nata che iniziava alle quattro o anche alle tre se c’era magari da tagliare l’erba…

Parliamo di un’istituzione che trova già nella sua denominazione (“Centro per la conservazione ela valorizzazione delle tradizioni popolari di borgo San Rocco) le finalità per cui è sorto e che quindinon può prescindere, nell’operare, della propria storia e delle proprie radici. Guardare al passatosignificò, ad esempio, nel 1974 (grazie ad un’intuizione del nonno Rocco) offrire per la prima voltaa tutti i presenti al termine della celebrazione pasquale del Resurrexit le fule: un dolce patrimonio

un tempo di tutte le famiglie agricole del borgo ma il cui sapore sempre meno persone conoscevano. In quella Pasqua ne prepa-rammo 1800 ed andarono esaurite in mezz’ora! Fummo i primi, sempre quell’anno, ad inventare la gara degli scampanotadôrs,copiata poi da tante altre realtà ed organizzazioni in Provincia, in Regione ed anche nel vicino Veneto: evento culturale di nonpoco conto ove si pensi al collegamento funzionale che c’era ed in qualche misura dovrebbe continuare ad esserci fra la laicità delCentro e la forma liturgica della Chiesa.

Poi è venuta l’istituzione del “Premio San Rocco”, un fiore all’occhiello dell’attività del Centro cui hanno fatto riferimento inseguito analoghe iniziative sorte successivamente nel territorio.

Erano questi alcuni dei pilastri su cui si esercitava la pressione maggiore per risollevare una cultura che nel borgo stava avviandosialla fine. Nei primi anni ’70 a San Rocco erano attive ancora 76 aziende piccolo coltivatrici di cui 39 dedite esclusivamente allaproduzione orticola: quando si andava “in piazza” per vendere i prodotti, spesso si doveva fare la fila con la burela alla fine delCorso e se arrivavi dopo le sette e mezza rischiavi di non trovare parcheggio per il tuo carretto.

Scorriamo assieme le immagini di alcuni dei protagonisti di quella prima epocadella Storia del Centro?

Per raccontare Evaristo Lutman vorrei partire da un episodio che mi sembra par-ticolarmente significativo. Un anno mi chiese di introdurre una delle assembleeordinarie del Centro in friulano: non mancarono le polemiche anche perché insala erano presenti soci che quella lingua non la conoscevano proprio ma questogesto può far capire lo spirito che animava il suo operare evidenziando l’impor-tanza che attribuiva alla necessità di conservare la storia e la cultura del borgo.Era sicuramente un uomo d’azione, talvolta forse burbero ma dotato di una ca-pacità non comune di incidere sugli interlocutori soprattutto per quanto riguar-dava la tutela della dignità dei coltivatori. La sua opera non si limitava all’ambitolocale ma, grazie ad una serie di rapporti interpersonali che aveva saputo creare,anche in quello nazionale. E così non fu solo uno dei fondatori dell’Associazionecoltivatori ma anche del consiglio dell’Epaca, l’istituto inserito poi dal ministro

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necessità di aiutare il prossimo. Aveva una passione che lo rendeva unico nel borgo e probabilmentein città: il vin cotto. Quella del vin cotto è un trattamento particolare del mosto che richiede una seriecontinua di azioni di raffreddamento e cottura terminanti con un’operazione ulteriore di fermenta-zione per dare al vino il sapore come di rosolio. Quante volte dinanzi casa sua si poteva vedere una filadi persone che volevano assaggiare questa sua specialità, rigorosamente prodotta a quantità limitata(soprattutto perché la sua vigna non era poi molto estesa!).

Quando, dopo la guerra, ci fu la chiusura dei confini, Gigi si prese cura per parecchio tempo di alcunefamiglie rimaste in Yugoslavia. Andava al campo e cominciava a zappare: quando arrivava al confinelanciava oltre il reticolato sacchi con pasta, zucchero, caffè che venivano prontamente raccolti da chiin quel modo riusciva letteralmente a sfamare la propria famiglia.

Svolse con dignità, senso del dovere e responsabilità i suoi mandati di presidente del Centro, prontoper primo a dare una mano quando c’era necessità di rimboccarsi le maniche. Allora la sagra di agosto

e nello studio una fragranza di stalla inconfondibile. Il notaio mi guardò e, con una punta di ironia ma forse anche di commozione,mi disse: “Ricordo bene questi profumi che ho vissuto in Toscana quando ero piccolo!”

Gigi Nardin aveva un carattere molto meno irruento rispetto ad Evaristo: era piùpacato e riservato con un sentimento ed un orgoglio particolari soprattutto perquanto riguardava il mantenimento e la promozione di quella Corale parrocchialeche lui “governò” per molti anni prima di lasciare il testimone a Carlo Urdan. Ri-cordarlo significa, però, anche ripensare a come, in quanto ad attenzione opera-tiva, fosse l’esatto contrario di un altro dei personaggi del borgo di quei tempi:Pierin Piciulin. Pierin, uno dei primi premiati col Premio San Rocco, era assoluta-mente preciso sulla tempistica e nella modalità di effettuazione dei vari lavori

Bonomi nella legge di riforma agraria e che rappresentava un riferimento fondamentale sotto il profilo fiscale per tutte le aziendecoltivatrici agganciate dalla Federazione; a ciò assommò anche la presidenza di quella Cassa mutua che rappresentò veramenteuna svolta per la quotidianità dei coltivatori diretti.

Era immerso veramente a tutto tondo in queste sue funzioni: diveniva inevitabile per lui infervorarsi quando argomento di di-scussione erano le problematiche della vita contadina! Quando “partiva” con i suoi interventi, nulla e nessuno riusciva a fermarlo:era impossibile cercare un contradditorio con lui perché si alzava in piedi, batteva i pugni sul tavolo, se necessario, e questi suoituoni andavano avanti anche per mezze ore ininterrottamente!

tanto che probabilmente nemmeno uno dei suoi carridi fieno andò marcio!

Lo zio Gigi era quasi l’esatto opposto anche perché eracapace di rinviare i lavori nella sua campagna se c’era

durava tre/cinque giorni e non esistevaalcun impianto di sorta. Eravamo unabatteria di forse 12 persone che allesti-vamo l’area in una settimana: si confic-cavano i pali nel terreno e si posavanosopra le assi per realizzare tavoli e pan-che; poi si iniziava tutto il lavorio attornoal brear fatto giungere da Chions, ma-gari all’ultimo momento visto che il for-nitore spesso si dimenticava dell’ordine

Come si evolse l’attività del Centro?

I primi momenti di operatività del Centro sono legati unpo’ anche a talune incertezze: c’era bisogno veramentedi inventare tutto visto che non esisteva nulla di strut-turato. Dovevi immaginare quelle che potevano esserele particolari vie e strade da seguire per realizzare unprogetto piuttosto che un altro, determinando dellepriorità da individuare di volta in volta. Il tutto, peròsempre con grande partecipazione di tutti e l’immanca-bile doppio sul tavolo, portato una volta dal Nardin,un’altra dal Sossou o magari dal Lutman per il brindisifinale che concludeva ogni riunione.Le cose, inevitabilmente, cambiarono col passare deglianni. Venne poi il tempo di quella persona intelligentissimae stimatissima che fu il professor Federico Lebani. Hoavuto modo di definirlo “il presidente del nuovo corso”:aveva una capacità davvero rara di cogliere le cose purconoscendo poco e nulla della vita contadina (anche se,abitando in via Garzarolli, sentiva ogni giorno gli odoridella terra!). Lui fece compiere sicuramente un salto diqualità, anche sotto il profilo dell’immagine, al Centro;

o il camion non si metteva in moto… Gigi ad un certo punto dellagiornata lasciava il fieno nel campo ed arrivava mettendo a dispo-sizione il suo trattore. Piccoli episodi ma che possono aiutare chinon ha avuto la fortuna di conoscerlo a comprendere lo spessore diuna persona nel cui animo era connaturato il sentimento del do-vere.

Se ripenso a Evaristo Lutman e Gigi Nardin li rivedo ancora quandoci presentammo davanti al notaio Sardelli per sottoscrivere l’attocostitutivo del Centro: arrivarono in bicicletta, lasciando per le scale

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era davvero suggestivo ascoltare i suoi dialoghi ad alta voce col dottor Scarano quando l’allora sindaco veniva nel borgo per qual-che ricorrenza speciale. Sapeva esprimere le parole giuste al momento giusto, cercando sempre quella connotazione particolareche l’avvenimento ed il tempo richiedevano. Questo è un periodo della vita del Centro che andrà studiato con cura da chi vorràscriverne la storia proprio perché Lebani seppe dargli proprio un bello scossone!I momenti successivi sono stati più complicati perché, purtroppo, col passare del tempo, si riduceva la capacità di cogliere i significatiper cui il Centro era sorto. Toccò alla presidente di turno cantare la messa e portare la croce: va dato atto alla signora Edda Cossardi avere tenuto il timone con grinta e tenacia nonostante una risposta da parte di molti consiglieri non all’altezza delle aspetta-tive.

Ed il Centro ha ancora un’anima?

Credo che abbia smarrito la sua identità. Questo perché, al di là di ogni altra con-siderazione, manca la capacità di documentarsi, di leggere, di chiedere a chi c’era.Comprendere quello che San Rocco era anche solo 50 anni fa non è impossibile:basta volerlo fare! Parliamo di un’istituzione unica nel suo genere in tutta lacittà: riscoprire lo spirito per cui sorse, interpretandolo magari alla luce del tempoattuale, rappresenterebbe un’operazione di spessore rilevante e porterebbe adun cambiamento di sorta e di ritmo di cui non potrebbe beneficiarne l’interacittà.

Qualche tempo fa ho raccolto le firme di 26 cosiddetti agricoltori o figli di colti-vatori diretti del borgo per una petizione che andava a considerare la possibilitàdi collocare nella piazza della chiesa – nell’ambito del progetto di ristrutturazioneche la riguarda – una statua dell’ortolano. La risposta del sindaco fu positiva manon possiamo pensare che l’amministrazione comunale si faccia carico dei relativioneri: la realizzazione dovrebbe essere assicurata da una sottoscrizione fra quanticredono importante un’opera che sottolinei il senso del retroterra culturale delborgo e della sua gente.

Cosa ha saputo conservare e valorizzare il Centro?

Ha conservato, sicuramente, alcuni tratti della tradizione locale. Accennavoprima alla gara dai scampanotadôrs o alla festa di Pasqua o al Premio “SanRocco”: avvenimenti ormai consolidati nel panorama annuale delle attività.Certamente, a mio avviso, si poteva fare molto di più specie nell’ambitodella cultura friulana. A San Rocco non è mai stato organizzato un conve-gno sul friulano eppure fino all’inizio degli anni Sessanta nel borgo (comedel resto in qualsiasi osteria) si sentiva parlare solo friulano: il recuperodella lingua friulana dovrebbe essere anche oggi uno degli obiettivi primarida raggiungere.

Un altro degli obiettivi potrebbe essere la creazione dello “scrigno dellamemoria”, un museo etnografico a valenza transfrontaliera da porre a be-neficio soprattutto delle nuove generazioni grazie ad un’azione didatticacon le scuole. Ne parlai qualche anno fa anche col sindaco di Øempeter il

quale dimostrò sincero entusiasmo per questa idea: d’altra parte, storicamente, i rapportifra i sanroccari ed i sampierani sono sempre davvero intensi. La location per questa strutturapotrebbe essere individuata nell’ex casermetta della Guardia di Finanza su quello che era ilvalico di confine in via Vittorio Veneto. Qui potrebbero trovare sistemazione anche tutti imateriali che talune famiglie del borgo hanno lasciato in eredità in questi anni al Centro:davvero tanti attrezzi (fra cui carretti, aratri, strumenti del lavoro quotidiano dei contadinima anche dei norcini…) di cui, purtroppo, una parte – depositata nei magazzini - non è pur-troppo già più recuperabile.

Borgo San Rocco ha ancora un’anima?

Purtroppo no; rare sono le eccezioni che però non riescono ad esercitare quella pressioneche pur servirebbe per recuperare almeno in parte quelli che erano i pilastri del borgo. Midicono: “La cultura contadina è finita; non c’è quasi più nessuno che lavori nei campi!”. Èvero ma conservare la memoria di questa cultura è importante perché essa rappresenta laStoria dei nostri genitori, dei nostri nonni. Non possiamo assumerci la responsabilità di but-tare via secoli di Storia!

Il Centro è riuscito e riesce ancora ad incidere nella storia del borgo?

Si, fino a quando c’era un vissuto della categoria nel senso che le cosiddette grandi o piccole famiglie rurali partecipavano attiva-mente alle celebrazioni che si svolgevano anche in stretta collaborazione con la parrocchia. L’alternarsi di nuovi inserimenti digente proveniente da tutte le parti del Paese ha mutato la situazione ed oggi sarebbe difficile rispondere affermativamente aquesta domanda. Però il Centro ha ancora oggi i fini e la funzione per cui è sorto: almeno fino a quando non si deciderà necessariocambiarne lo statuto!

Come fare in modo che il Centro non sia solo nostalgia?

Sviluppando la ricerca visto che c’è ancora tanto da indagare sulla storia e le tradizioni del borgo. Ma anche sviluppando una seriedi attività di promozione culturale partendo, magari, da un Congresso della Filologica Friulana da tenere a San Rocco per arrivarealla determinazione di contatti da attuare con entità simili per sviluppare di concerto iniziative comuni. E questo era già statopensato, 40 anni or sono, quando nello Statuto si citò la partecipazione ad eventi ed attività in atto o in progetto da parte di isti-tuzioni con analoga finalità.

L’importante, lo ripeto ancora una volta, è avere chiari i fini essenziali e su questo lavorare portando idee e non chiudendosi a ric-cio. Col “no” non si va avanti come la storia della città insegna.

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“Sul troi da la cultura contadina”

Mostra fotograficae documentaria

sui 40 anni di attività del “Centro per la Conservazione

e la Valorizzazione delleTradizioni Popolari

di Borgo San Rocco”

Inaugurazione

martedì 6 agosto 2013 ore 18

La mostra rimarrà aperta nel periodo di sagra.