La peste del Nòrico · La peste del Nòrico (Georgiche, 3, vv. 478-566) La digressione sulla peste...

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© Mondadori Education 1 Virgilio La peste del Nòrico (Georgiche, 3, vv. 478-566) La digressione sulla peste che colpì la regione alpina del Nòrico conclude, con la forza di un esempio storico, la sezione sulle malattie del bestiame, al termine del III libro. La «peste d’Ate- ne», il finale grandioso e terribile impresso da Lucrezio al suo poema, presente come in fi- ligrana nel testo virgiliano, dà spessore alla reciprocità tra il destino degli animali e quello dell’uomo. Così, anche se l’uomo non è affetto dal contagio prima dell’ultima, orrida scena, il suo coinvolgimento nella devastazione causata dalla peste percorre tutto il brano. La peste sovverte l’ordine naturale, impedisce il culto religioso, segna un regresso all’età che precedette l’invenzione dell’aratura. Nel gioco dei contrasti interni alle Georgiche, il finale del III libro rappresenta una delle tonalità più cupe e solleva un dubbio pesante sulla possibilità di realizzare l’ideale di felicità rappresentato nel makarismòs della vita agricola. metro: esametri Hic 1 quondam morbo caeli miseranda coorta est tempestas totoque autumni incanduit aestu 480 et genus omne neci pecudum dedit, omne ferarum, corrupitque lacus, infecit pabula tabo. Nec via mortis erat simplex, sed, ubi ignea venis Qui 1 un tempo per infezione del cielo nacque una stagione miserevole, e avvampò di tutto il calore del primo autunno: fece morire ogni specie di animali domestici e di fiere, infettò le pozze, impestò i pascoli di putridume. Ma non era semplice il cammino 1. Nella regione del Nòrico, compresa tra le Alpi carniche e il Danubio.

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La peste del Nòrico(Georgiche, 3, vv. 478-566)

La digressione sulla peste che colpì la regione alpina del Nòrico conclude, con la forza di un esempio storico, la sezione sulle malattie del bestiame, al termine del III libro. La «peste d’Ate-ne», il finale grandioso e terribile impresso da Lucrezio al suo poema, presente come in fi-ligrana nel testo virgiliano, dà spessore alla reciprocità tra il destino degli animali e quello dell’uomo. Così, anche se l’uomo non è affetto dal contagio prima dell’ultima, orrida scena, il suo coinvolgimento nella devastazione causata dalla peste percorre tutto il brano. La peste sovverte l’ordine naturale, impedisce il culto religioso, segna un regresso all’età che precedette l’invenzione dell’aratura.

Nel gioco dei contrasti interni alle Georgiche, il finale del III libro rappresenta una delle tonalità più cupe e solleva un dubbio pesante sulla possibilità di realizzare l’ideale di felicità rappresentato nel makarismòs della vita agricola.

metro: esametri

Hic1quondammorbocaelimiserandacoortaest tempestastotoqueautumniincanduitaestu480 etgenusomnenecipecudumdedit,omneferarum, corrupitquelacus,infecitpabulatabo. Necviamortiseratsimplex,sed,ubiigneavenis

Qui1untempoperinfezionedelcielonacqueunastagionemiserevole,eavvampòditutto il caloredel primoautunno: fecemorire ogni specie di animali domestici e difiere,infettòlepozze,impestòipascolidiputridume.Manonerasempliceilcammino

1. NellaregionedelNòrico,compresatraleAlpicarnicheeilDanubio.

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omnibusactasitis2miserosadduxeratartus, rursusabundabatfluidusliquoromniaqueinse485 ossaminutatimmorboconlapsatrahebat. Saepeinhonoredeummediostanshostiaadaram, laneadumniveacircumdaturinfulavitta, intercunctantisceciditmoribundaministros; aut,siquamferromactaveratantesacerdos,490 indenequeimpositisardentaltariafibris3, necresponsapotestconsultusredderevates, acvixsupposititinguntursanguinecultri summaqueieiunasanieinfuscaturharena. Hinclaetisvitulivolgomoriunturinherbis495 etdulcisanimasplenaadpraesepiareddunt, hinccanibusblandisrabiesvenitetquatitaegros tussisanhelasuesacfaucibusangit4obesis. Labiturinfelixstudiorumatqueimmemorherbae victorequusfontisqueavertituretpedeterram500 crebraferit5;demissaeaures;incertusibidem

2. La sete (ignea perché causatadallafebbre)eracollegatadaglian-tichiconlacircolazionedelsangue(venis), piuttosto che con la dige-stione.3. Ilfattocheleinterioradellavit-timanonbruciasseroerainterpre-tato come un rifiuto dell’offerta

dapartedelladivinità(ilprodigio,causatodallapeste,diventavacosìpresagio di ulteriori sciagure); ladegenerazione patologica delle vi-scere(v.491)neimpedivalaletturadapartedell’aruspice.4. Il verboango rimanda al nomedellamalattia,l’angina,descrittada

AristotelenellaHistoria animalium comeunadellepiù importantipa-tologiesuine.5. Undettaglioregistratodallefontiscientifichecomesintomodipazziadelcavallo(crebraèneutropluraleconvaloreavverbiale).

dellamorte;quandoinfuocatalasete2,penetrandointuttelevene,avevarattrappitolemiseremembra,poidicontrounumorefluidoprendevaacolareinabbondanzaeassorbivainséunpocoallavoltatutteleossasgretolatedalmale.Spessoduranteunacerimoniainonoredeglidèilavittima,rittadavantiall’altare,mentrelabendadilanalevenivafissatacolnastrobianchissimo,siabbattémorentefral’esitaredeicelebranti;o, se il sacerdotene immolavaqualcunaper tempo,diquellavittimanonardevanole fibre poste sugli altari3 e l’indovino interrogatononpoteva trarne i responsi, e amalapenaicoltellipiantatidasottonellagolasitingevanodisangue,lasuperficiedelterrenosicoloravaappenadiunmarciumequasisecco.Perciòivitellimuoionodaogniparteinmezzoall’erbarigogliosaedesalanolecareanimedavantiallagreppiaricolma;perciòaicanifestosivienelarabbia,scuoteiporcisofferentiunatosseaffannosaelistrangola4conilgonfioredellefauci.Scivolagiù,infelice,immemoredellapassionedicorrereedell’erba,ilcavallovincitorenellecorse,rifuggedallefontieconlozoccolopicchiafrequentementesulterreno5;abbassateleorecchie;intermittentelìintornoil

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sudoretillequidemmoriturisfrigidus;aret pellisetadtactumtractantiduraresistit. Haecanteexitiumprimisdantsignadiebus: sininprocessucoepitcrudesceremorbus,505 tumveroardentesoculiatqueattractusabalto spiritus,interdumgemitugravis,imaquelongo iliasingultutendunt;itnaribusater sanguisetobsessasfaucespremitasperalingua. Profuitinsertolaticesinfunderecornu510 Lenaeos6;eavisasalusmorientibusuna; moxerathocipsumexitio,furiisquerefecti ardebantipsiquesuosiammortesubaegra (dimeliorapiis,erroremquehostibusillum!) discissosnudislaniabantdentibusartus.515 Ecceautemdurofumanssubvomeretaurus conciditetmixtumspumisvomitorecruorem extremosquecietgemitus.Ittristisarator maerentemabiungensfraternamorteiuvencum atqueopereinmediodefixareliquitaratra.520 Nonumbraealtorumnemorum,nonmolliapossunt pratamovereanimum,nonquipersaxavolutus puriorelectrocampumpetitamnis;atima

6.Latices … Lenaeosèunaperifrasiper«vino»;LenaeusèunepitetodiBacco(dalgrecolenòs,«torchioper

l’uva»).7. Invertisse in traduzione è «averrovesciato»,maprobabilmentel’in-

finitohaquivaloreaoristico(equi-valenteaunpresente),comespessoinpoesia.

sudoreeindubbiamentequellofreddodeimoribondi;lapelleèsecca,resisteduraaltattoseunolapalpeggia.Questi sintomi mostrano nei primi giorni, prima della morte. Quando poi il malecominciaainfierirenelsuodecorso,alloragliocchisonoinfiammatieilrespirotrattosudalprofondo,taloraappesantitodaungemito,etendonoconunlungosingultoilbassoventre;esceperlenaricinerosangueelalinguascabracomprimelefauciotturandole.Fudigiovamentoversaredelliquoreleneo6inboccaaicavalli,permezzodiuncorno;quellasembròl’unicasalvezzapericavallimoribondi;benprestoquellostessorimedioeralamorte,e,rianimati,eranoardentidirabbiaedasésoli,sullasogliadellamortestraziante–dianoglidèimigliorsorteaibuoniequeldelirioainemici!–dilaniavanoleloromembrasquarciandolecoidentiscoperti.Edeccofumantesottoilduroaratroabbattersiiltoro:dallaboccaemettesanguemistoabaveelanciaisuoiultimigemiti.Vatristel’aratore,sciogliendoilgiovencoafflittoperlamortedelfratello,el’aratroèrimastoconficcatointerra,illavoroametà.Nonpossonocarezzare l’animo leombredeglialtiboschiné imollipratiné ilfiumechecerca lapianurascorrendotraisassipiùpurodell’ambra;maifianchicadonogiùallentatie

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solvunturlateraatqueoculosstuporurgetinertis adterramquefluitdevexoponderecervix.525 Quidlaborautbenefactaiuvant?Quidvomereterras invertisse7gravis?AtquinonMassicaBacchi munera8,nonillisepulaenocuererepostae; frondibusetvictupascuntursimplicisherbae, poculasuntfontesliquidiatqueexercitacursu530 flumina,necsomnosabrumpitcurasalubris. Temporenonaliodicuntregionibusillis quaesitasadsacrabovesIunonis9eturis imparibusductosaltaaddonariacurrus. Ergoaegrerastristerramrimanturetipsis535 unguibusinfodiuntfruges,montisqueperaltos contentacervicetrahuntstridentiaplaustra. Nonlupusinsidiasexploratoviliacircum necgregibusnocturnusobambulat:acriorillum curadomat;timididammaecerviquefugaces540 nuncinterquecanesetcircumtectavagantur. Iammarisimmensiprolemetgenusomnenatantum litoreinextremoceunaufragacorporafluctus proluit;insolitaefugiuntinfluminaphocae. Interitetcurvisfrustradefensalatebris545 viperaetattonitisquamisastantibushydri.

8. Il«màssicodonodiBacco»è«ilvinodelMassico»,monte al confi-ne settentrionale della Campania,dovesiproducevaunvinopregiato.

9. UnritoinonorediGiunone,incuitoribianchiaccompagnavanolasa-cerdotessaaltempio,èattestatoadArgo.Durantelapeste,furonousati

per il rito bovini selvatici (uri,unaspeciedibufali obisonti), difformipertagliaecaratteristiche,equindinonpares(=accoppiatiperilgiogo).

unostuporepremesugliocchiimmotielatestasipiegaalsuolo,inclinatadalsuostessopeso.Achegiovanolavoroemeriti?Achescopoaverrovesciato7colvomereiterrenipesanti?EppurenonfuilmàssicodonodiBacco8,néilbanchettoricercato,arovinarli;sicibanodifronde,diunvittodisempliceerba,ilorobicchierisonofontilimpideefiumiperpetuamenteincorsa,el’affannononspezzaisonnibenefici.Intemponondiverso,dicono, sicercarono inquellecontradegiovencheper il rito inonorediGiunone9, edabufalimaleaccozzati futrascinatoilcarrofinoaglialtisantuaridelladea.Perciòpenosamentegrattanolaterracoirastriepersinoconleunghieinterranoisemidellamesseetrascinano,ilcollotesonellafatica,carricigolantisupermontagnescoscese.Nonesploraagguati il lupo intornoagliovilienonvaga immersonellanottepressolegreggi:unanecessitàpiùaspralovince;timididainiecervisempreinfugaorasiaggirano inmezzoai cani e intornoalle case.Ormai laproledelmare sconfinato etutta le stirpechenuotaèbagnatadalflutto sulbordodella spiaggia, comecorpidinaufraghi; inattese, cercanoriparoneifiumi le foche.Muoreanche lavipera,difesainvanodalsuonascondigliotortuosoecosìancheiserpentid’acqua,storditientrole

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Ipsisestaëravibusnonaequus,etillae praecipitesaltavitamsubnuberelinquunt. Praetereaiamnecmutaripabularefert quaesitaequenocentartes;cesseremagistri550 PhillirydesChironAmythaoniusqueMelampus10. SaevitetinlucemStygiisemissatenebris pallidaTisiphone11MorbosagitanteMetumque inquediesavidumsurgenscaputaltiuseffert; balatupecorumetcrebrismugitibusamnes555 arentesquesonantripaecollesquesupini. Iamquecatervatimdatstragematqueaggeratipsis instabulisturpidilapsacadaveratabo, donechumotegereacfoveisabsconderediscunt. Namnequeeratcoriisusus,necvisceraquisquam560 autundisabolerepotestautvincereflamma; netonderequidemmorboinluviequeperesa velleranectelaspossuntattingereputris; verumetiaminvisossiquistemptaratamictus, ardentespapulaeatqueimmundusolentiasudor565 membrasequebatur,neclongodeindemoranti temporecontactosartussacerignis12edebat.

10. Mitici esperti nell’artemedica:Chirone,ilcentaurofigliodiCronoeFillira,eMelampo,figliodiAmi-tàone, che vantava competenzespecificheavendoguaritolePretididallafollia,dalmomentochesicre-

devanogiovenche.11.Tisìfone, la «vendicatrice delleuccisioni»,indicaquileFurieinge-nerale.Morbi eMetus sonoperso-nificazioni ricorrentinella rappre-sentazione dell’Ade (cfr.Eneide, 6,

vv.491-492).12. Ilsacer ignisèpropriamenteil«fuocodisant’Antonio»,maqui insensogenericoindical’ulcerazionecancrenosa simile alla lebbra pro-vocatadaitessuticontaminati.

loro scaglie irte.Persinoagliuccelli l’arianonègiusta, edessi lasciano lavita sottoun’altanube,piombandogiù.Delrestoormainonservemutarepascoli,irimeditantoricercatifannomale;hannorinunziatoigrandimedici,ilFillirideChironeel’AmitaonioMelampo10.Infuriaeallaluce, inviatadalle tenebre stigie, lapallidaTisifone11 faavanzare iMorbie laPauraedigiorno ingiorno innalzandosisporgepiù inalto la testa insaziabile;echeggianodibelatodipecoreedifittimuggitiifiumi,lespondeinaridite,icollisupini.Eormaifa strage a mucchi e anche nelle stalle accumula cadaveri disfatti dalla putredineripugnante,finchénons’imparaacoprirliditerra,anasconderlinellefosse.Nonerapiù buono il cuoio, nessuno poteva ripulire le carni nell’acqua corrente o cuocerleallafiamma; enemmeno tosare i velli corrosi dalmale e dal sudiciumeèpossibile,maseanchequalcunoprovavaqueipannirepellenti,pustolebruciantieunimmondosudorecoprivanolesuemembrafetideesenzaattenderemoltotempoilfuocosacro12mangiavagliartiinfetti.

(trad.diA.Barchiesi)

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Guida alla lettura

strutturA Il propagarsi dell’infezione (vv. 478-485) La descrizione della peste inizia precisando la modalità di diffusione dell’infezione: per via aerea. L’atmosfera corrotta, a sua volta, con-tamina l’acqua e i pascoli degli animali, colpiti dagli inequivocabili sintomi che precedono la morte: prima l’ignea sitis causa l’inaridirsi dei tessuti, poi il fluidus liquor provoca la liquefa-zione delle ossa in tutto l’organismo (venis / omnibus; omniaque … ossa). Il fallimento dei sacrifici (vv. 486-493) Posta l’eziologia scientifica dell’epidemia, Virgilio esclude ogni possibilità di interpretare la pe-ste come una manifestazione dell’ira divina; e per questo, particolare rilievo è dato al falli-mento dei riti sacri (vv. 486-493). La produzio-ne di vittime sacrificali è citata tra le principali finalità dell’allevamento del bestiame (Geor-giche, 3, v. 160); ora, anche la vittima muore prima di essere immolata o, se sopravvive per il sacrificio, il sangue è così scarso e le viscere tanto putrefatte da impedire l’auspi-cio. Il testo dipana così una verità amara: non solo la peste non è la punizione meritata da un’umanità empia; essa, al contrario, impe-disce la pratica religiosa e dimostra che la pietas non vale a proteggere l’agricola dalle calamità naturali. La morte del bestiame: il cavallo (vv. 498-514) Introdotta dal paradosso tragico dei vitellini che muoiono nell’abbondanza di pa-scoli divenuti letali (vv. 494-495), la sezione sulla morte del bestiame culmina negli ampi squarci dedicati al cavallo e al bue (sedici ver-si ciascuno: vv. 498-514, esclusa la parente-tica ai vv. 513, e 515-530): lo stravolgimento dei tratti fisici e comportamentali negli ani-mali malati è definito in opposizione alle con-dizioni degli esemplari sani, descritte nella prima parte del terzo libro.

La collocazione enfatica di Labitur (v. 498) apre il primo quadro: il cavallo perde l’equili-brio e nemmeno si ricorda più della passione agonistica che lo rese vincitore; il contrasto, marcato da victor, è con Georgiche, 3, v. 112: tantus amor laudum, tantae est victoria curae. L’elegante andatura di un tempo («solleva in alto le zampe e con un balzo le riappoggia a terra», 3, v. 76) è stravolta in un movimento goffo e disordinato (pede terram / crebra ferit, v. 499 s.). Le orecchie sono demissae, mentre è segno di vigore la loro drittezza (micat au-ribus, «guizza con le orecchie», 3, v. 84). La virulenza del morbo è sottolineata dal falli-mento della terapia (vv. 509-514), che sorti-sce un effetto paradossale: i cavalli riacqui-stano le forze, ma sono le forze della follia, che inducono all’autolesionismo. La morte del bue (vv. 515-530) Il quadro sul bue morente si apre in parallelo con il qua-dro precedente: concidit al v. 516 corrisponde per sede metrica e significato a Labitur del v. 498. Ma la morte del bue suggerisce anche un’amara riflessione sul fallimento del labor (vv. 525-530): a niente giova la fatica dei cam-pi, a niente la vita semplice e frugale di cui il bue da lavoro è paradigma esemplare. L’op-posizione col lusso cittadino richiama il fina-le del II libro (vv. 461-474), ma la prospettiva negativa della peste getta un pesante inter-rogativo sull’ideale di vita celebrato nel ma-karismòs degli agricoltori.Il regresso della civiltà (vv. 537-547) La mo-rìa di buoi fa regredire l’umanità all’età che precede l’invenzione dell’aratro: senza tecno-logia il lavoro dei campi diventa uno sforzo penoso e improduttivo e l’uomo si sostitui-sce all’animale aggiogato. L’epidemia, estesa a tutte le specie animali, provoca un turba-mento dell’ordine naturale descritto in forma di adỳnaton, e alcuni di questi «impossibili»

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segnano il paradossale ritorno all’età dell’oro: il lupo non minaccia più le pecore e i pavidi cerbiatti si aggirano senza pericolo tra i cani (vv. 537-540), i serpenti si estinguono (v. 544 s.), fenomeni che sanciscono il ritorno all’età dell’oro rispettivamente in Bucoliche, 5, vv. 60-61: «né il lupo tende trappole alle pecore, né ci sono reti che preparano inganni ai cervi», e 4, v. 24: «si estinguerà anche il serpente»; fu Giove infatti a rendere il lupo predatore e a istillare il veleno nel serpente sancendo la fine dell’età dell’oro, nella teodicea dell’agri-coltura (Georgiche, 1, v. 129 s.). Il fallimento della medicina e il trionfo della morte (vv. 548-566) L’arte medica è pa-radossalmente nociva (quaesitaeque nocent artes, v. 549, un motivo anticipato al v. 511 ss.), tanto da indurre alla rinuncia gli esperti (magistri, esemplificati al v. 550 attraverso i nomi dei mitici precursori Chirone e Melam-po). Fallita la scienza, la Paura con le Malattie risorge dall’Ade. Il quadro culmina nel conta-gio dell’uomo, provocato dal contatto con i tessuti contaminati (vv. 563-566).

ModELLI E trAdIzIoNE Lucrezio, fonte scientifica e poetica della peste Imitando in apertura l’attacco del fina-le lucreziano sulla peste di Atene (Haec ratio quondam morborum et mortifer aestus, «Que-sto tipo di infezione e vampa apportatrice di morte», De rerum natura, 6, v. 1138, ripreso nei vv. 478-479), Virgilio dichiara il modello letterario (e scientifico) su cui costruisce l’in-tero brano. Lucrezio aveva dimostrato l’ori-gine atmosferica delle epidemie, che si tra-smettono per via aerea, e osservato il loro collegamento con le condizioni climatiche (il clima malsano dell’autunno era proverbiale a roma). due passi lucreziani sono combinati nel v. 480: morbida vis hominum generi pe-cudumque catervis («la virulenza della peste [può causare rovina letale] al genere umano e alle mandrie del bestiame», 6, v. 1092); e

catervatim morbo mortique dabantur («a muc-chi venivano consegnati alla malattia e alla morte», 6, v. 1144). L’atmosfera corrotta con-tamina l’acqua e i pascoli degli animali, al v. 481, come insegnava Lucrezio («o cade sulle acque o si posa sul grano stesso o sugli al-tri alimenti degli uomini e cibi del bestiame», 6, vv. 1126-1127) e lucreziana è la struttura ritmica e sintattica del verso, caratterizza-to dall’asindeto corrupitque…, infecit… come, nella peste di Atene, vastavitque vias, exhausit civibus urbem (6, v. 1140). La sintomatologia della morte imminente La descrizione dei sintomi che precedono la morte condensa in pochi versi (482-485) la più articolata trattazione in Lucrezio (6, vv. 1145-1198). La ripresa del modello è prezio-samente dichiarata anche dal raro avverbio minutatim: non attestato altrove nella poesia classica (gli avverbi in -im sono un tratto ar-caico tipico dello stile lucreziano), deriva da Lucrezio (6, v. 1191), come pure al v. 556 ca-tervatim (da Lucrezio, 6, v. 1144).La vittima sacrificata, come l’Ifigenia lucre-ziana La sezione sul fallimento del sacrificio (vv. 486-493) ha una sceneggiatura tragica: la vittima cade prima che il colpo possa essere sferrato, nel pieno dei rituali preparatori; l’esi-tazione degli officianti sottolinea il prodigio. Anche qui Virgilio imita il brano lucreziano sul sacrificio di Ifigenia: il particolare dell’in-fula rituale (v. 487) richiama i preparativi della ragazza, cui simul infula virgineos circumdata comptus («alla quale, non appena la benda avvolta attorno alle virginali chiome adorne», De rerum natura, 1, v. 87); lucreziane sono le clausole ad aram e ministros (De rerum natura, 1, v. 95 e 1, v. 90); infine, l’uso di moribunda (gli aggettivi in -bundus sono in genere evitati nella poesia classica) riecheggia tremibunda (nella stessa sede metrica in 1, v. 95).La sintomatologia del cavallo Al cavallo mo-rente (vv. 498-514) è attribuita la sintomato-logia umana descritta nella «peste d’Atene»

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lucreziana: sudore (sudorisque madens per collum, «grondante di sudore sul collo», De rerum natura, 6, v. 1187); pelle riarsa (frigida pellis / duraque, 6, v. 1194); occhi in fiamme (ardentia morbis / lumina, 6, vv. 1180-1181); respiro irregolare (creber spiritus aut ingens raroque coortus, «il respiro affannoso o lento e profondo», 6, v. 1186); rantolo della mor-te (singultusque frequens…/ corripere adsidue nervos et membra coactans, «un rantolo fitto che costringe a contrarre incessantemente muscoli e membra», 6, v. 1160 s.); epistassi (corruptus sanguis expletis naribus ibat, «san-gue corrotto scorreva dalle narici ostruite», 6, v. 1203); soffocamento (ulceribus vocis via sa-epta coibat, «ostruita dalle piaghe la via della voce [= la gola] si chiudeva», 6, 1148 + aspera … lingua, 6, 1150). La «peste di Atene», pre-sente come in filigrana nel testo virgiliano, permette di descrivere senza reticenze gli ef-fetti devastanti del male, suggerendo anche l’idea della reciprocità tra animali e uomini, esclusi di fatto dal contagio fino al quadro fi-nale (vv. 563-566), eppure coinvolti in tutta la descrizione precedente.Il bue morente come la mucca abulica An-che nella morte del bue sono presenti echi di Lucrezio: un elegante tricolon scandito dall’anafora di non (vv. 520-522) rielabora il

passo lucreziano che descrive la mucca abuli-ca dopo la perdita del piccolo («né i teneri sa-lici e l’erba ravvivata dalla rugiada e i noti cor-si d’acqua che scorrono pari alle loro sponde possono darle sollievo», De rerum natura, 2, vv. 361-363). L’immagine della Paura Per finire, l’imma-gine della Paura che risorge dall’Ade, dei vv. 548-566, è di ascendenza omerica (applicata a Eris, la Contesa, in Iliade, 4, vv. 442-443). Il particolare della divinità infernale che caput altius effert evoca per contrasto la metafora lucreziana della vittoria sul metus Acheruntis, «messo sotto i piedi» dalla scienza di Epicuro, che Virgilio ha ripreso in Georgiche, 2, vv. 490-492: Felix qui […] / metus omnis […] / subiecit pedibus strepitumque Acherontis avari, «Felice chi mise sotto i piedi tutte le paure e lo strepi-to dell’avido Acheronte». La descrizione dello sterminio è desunta da Lucrezio: la «strage a mucchi», catervatim dat stragem (v. 556), ri-prende catervatim morbo mortique dabantur in De rerum natura, 6, v. 1144; l’«ammasso dei cadaveri» varia con l’espressività di un verbo denominativo, aggero (da agger, «terrapie-no», e quindi «catasta»), attestato qui per la prima volta, il lucreziano confertos ita acer-vatim mors accumulabat («così ammassati la morte a mucchi li accatastava», 6, v. 1263).