LA PERDONANZA - Movimento Celestiniano · “Sinceramente io credo… che le istituzioni bancarie...

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1LA PERDONANZA

Editoriale

Tasse o estorsioni?? di Quirino Salomone

Oggi l’assillo è il Debito Pubblico, un tragico inganno che sta paralizzando la vita del pianeta. Mi auguro di destarci tutti come fossimo stati coinvolti nel gioco di “scherzi a parte”. Ma si può sapere a CHI lo Stato deve tutti quei miliardi di cui si è indebitato? Alla Banca d’Italia, sì, perché se li fa prestare per la sanità, le opere pubbliche, la scuola, le pensioni, i titoli di stato in scadenza. Qui sta l’inganno. Se la Banca d’Italia è creditore nei confronti dello stato, dove ha preso i soldi che ha prestato?La teoria economica classica ci insegna che le banche prestano i soldi che hanno ricevuto in deposito dai risparmiatori. Ma noi non abbiamo depositato tutti questi soldi. È evidente che “qualcuno” ha creato del denaro. E’ stato creato dal nulla dal sistema finanziario. Non è questione di conio ma di appropriazione di tutta la mole di moneta emessa. La banca presta moneta allo stato, lo indebita e lo stato riconosce e garantisce il debito emettendo i cosiddetti “titoli del tesoro”, BOT, CCT, ecc. che alla scadenza dovranno essere ripagati, interessi compresi, facendo ricorso nuovamente allo strumento del prestito, in una spirale senza fine, della quale non si vede l’uscita (infatti il debito cresce continuamente). Il semplice cittadino, invece, deve garantire il debito che contrae con garanzie reali, ipotecando case, terreni, proprietà, che finiranno nelle mani dei banchieri in caso di insolvenza.Ma se i soldi fossero stampati dallo stato, questi non sarebbe ricattabile da organismi internazionali come la BCE.Ci fu una richiesta di convertire le monete da uno e due euro in cartamoneta anziché metalliche, Duisenberg, rispose ufficialmente a Draghi/Tremonti che per lui non c’era alcun problema, purché fosse “chiaro a Draghi e Tremonti che in questo modo la Banca d’Italia avrebbe perso il reddito da signoraggio derivante dall’emissione delle monete da uno e due euro”, quindi il reddito da signoraggio, è smascherato, visto che è ripartito come competenza fra banca centrale europea e banche nazionali.La moneta non viene emessa dallo stato, per cui sono le banche a governare il paese, e non la politica. I politici sono asserviti ai banchieri. Ciò è confermato dalle leggi che disciplinano le banche, ove è evidente che il governo non ha nessun potere su Banca D’Italia, né di controllo né di nomina degli amministratori. Basti pensare che la BCE è un’istituzione indipendente dalla Comunità Europea, con più poteri addirittura dello stesso parlamento europeo. Gli amministratori della BCE sono svincolati dai governi, non rispondono penalmente e civilmente praticamente a nessuno e godono addirittura di immunità superiori a quelle dei parlamentari europei.In poche parole: la finanza europea dipende dalla BCE. I grandi gruppi bancari avranno in mano non solo beni materiali come oro, diamanti, petrolio, ma anche risorse primarie, come acqua ed energia elettrica. Appena la Magistratura pronuncerà la sentenza di restituire ai cittadini la refurtiva da usura ed estorsioni, è subito Natale.

“INGANNATI fin dai tempi della scuola” (Alberto Medici)“Sinceramente io credo… che le istituzioni bancarie siano più pericolose degli eserciti armati, e che il principio di spendere il denaro preso a prestito e fatto gravare sulle generazioni future non sia altro che un imbroglio su larga scala” (Thomas Jefferson, 1816).“L’attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto” (Maurice Allais, Nobel per l’Economia nel 1988)“...Il patrimonio e le riserve della Banca d’Italia sono il frutto del Signoraggio pagato nel corso degli anni dai cittadini italiani e riscosso dalle autorità monetarie con la creazione di moneta. Appartengono alla collettività, non sono di proprietà delle banche” (Guido Tabellini, Rettore dell’Università Bocconi di Milano, 2008) “E’ bene che la gente del popolo non capisca il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo facessero, credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina”. (Henry Ford) “Le banche posseggono il mondo. Toglietegli tutto, ma lasciategli la possibilità di creare il denaro dal nulla, e con un click del mouse si saranno reimpadronite del mondo”. (Josiah Stamp, direttore della banca d’Inghilterra)

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2 LA PERDONANZA

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Trimestrale di Storia, Spiritualità, AttualitàCHIOSTRO ABBAZIA DI COLLEMAGGIO 67100 L’Aquila

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Direttore: P. Quirino Salomone

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Redazione: Floro Panti, Paolo Giorgi, Alessandra Giorgi, Fabio Iuliano, Marcello Nissi

Collaboratori: Aldo Sacchetti, Cesare Matteotti, Giovanni Frassanito,

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Sommario

Edizioni Celestiniane

LA PERDONANZAAnno XXIII, n.96 - Spedizione in abbonamento postale Filiale L’Aquila 45% (art.2, comma 20/b, legge 662/96)

Editoriale 1di Quirino SalomoneFrancesco da Barberino e San Pietro Celestino V 3 di Florio PantiCristianesimo e Cristianità 7di Giovanni Frassanito

Una Gerusalemme Celestiniana 10 di Floro PantiMadre di anima 12 di Rossana PellegrinoA te bambino 13di Mattia RiocciIl fine giustifica i pezzi 14di Marcello NissiIl pastore ragazzino 16di Nando GiammariniE’ questo il punto 17di Marcello NissiInsieme per la Pace dialogando 18 Profumo di Natale 19di Rossana PellegrinoSan Francesco custode 20del Parco Sirente - Velinodi Pasquale Casale

Natale, la festa del Convivio 22di Fabio Campoli Casa di dissuefazione ‘Le ali’ 24di Fiore ZuccariniGiovani in Centro: un regalo rifiutato 26di Alessandra GiorgiUna scuola senza confini 29di Barbara BraganzaUna città ostile 30di Paolo GiorgiSettimana di solidarietà 32

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In copertina: Natività

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Anno XXIII, n.96 - Spedizione in abbonamento postale Filiale L’Aquila 45% (art.2, comma 20/b, legge 662/96)

Quando nel 1979, come Centro Internazionale Studi Celestiniani ci facemmo promotori della rivitalizzazione della festività della Perdonanza Celestiniana dell’Aquila, fra gli illustri personaggi legati alla figura di S. Pietro Celestino, eremita, papa e Santo, uno in particolare attirò la mia attenzione perché proveniente dal mio paese natale Barberino Val d’Elsa(FI). Si trattava di Francesco da Barberino, del ramo genealogico della Famiglia Barberini, nato nel 1264, notaro del vescovado di Firenze, giureconsulto, scrittore di alcuni poemetti in versi e, come lo definisce l’Herde nel suo “ Celestino V – Il Papa Angelico” il “celebre” e “colto fiorentino”.

Nella primavera del 1275, Pietro del Morrone, futuro Papa Celestino V, di ritorno dal Concilio di Lione, dove si era recato per ottenere da Papa Gregorio X il riconoscimento dell’ordine da lui creato, l’Ordo S. Spiritus de Magella, arriva a Firenze. Erano quelli i tempi in cui la Città del Fiore racchiudeva entro le sue mura un’accolta

di giovani, nobili ingegni, che avrebbero lasciato orme così profonde in ogni campo delle lettere e delle arti. Dante, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, preparavano quella fioritura della poesia che culminerà poi nel mirabile poema dantesco e Giotto rinnoverà la pittura con la sua arte sublime. Era appunto allora riconosciuto Maestro, venerato nell’insegnare come nel sapere e nelle lettere, Brunetto Latini. Egli raccoglieva a se gli intelletti migliori, fra cui Dante stesso e Francesco da Barberino, che onora più di una volta, nei suoi scritti il Latini appunto con il titolo di “maestro”, facendoli esperti in bel parlare e in saper guidare e reggere la repubblica con illuminata azione politica, istruendoli nelle varie discipline. Dante aveva 10 anni essendo nato nel 1265, quando Pietro del Morrone giunge a Firenze e Francesco da Barberino 11, poiché nato l’anno prima; Firenze probabilmente contava allora forse non più di cinquantamila abitanti. Così come affermato dall’abate Spinelli in una “Vita di S. Pietro Celestino V” data alle stampe nel 1664, quando Pietro del Morrone giunge a Firenze : “... corrongli all’incontro in ossequio, il popolo e il senato e vien ricevuto con straordinarie accoglienze…”.La venuta di questo eremita in odore di santità e i successivi atti riguardanti miracolose guarigioni effettuate, devono essere stati, indubbiamente, degli avvenimenti molto importanti per la Città di Firenze, tali comunque da lasciare un segno indelebile nei fiorentini in genere, visto che dopo la sua canonizzazione avvenuta nel 1313, gli verrà costruito e dedicato un “ … sontuoso Monisterio nella via di San Gallo…”, e molti altri festeggiamenti e, soprattutto, non possono essere passati inosservati ai due giovani Dante e Francesco da Barberino, che dopo circa vent’anni, incontreranno ancora la figura di questo eremita durante la sua incoronazione a pontefice all’Aquila, come Celestino V.

Messer Francesco da Barberino(i) Il genealogista dei Barberini (lo Strozzi) indica in Guidotto d’Arrigo, della Parrocchia di Mallianum (oggi Magliano frazione del Comune di Barberino V. d’Elsa) presente al giuramento della pace di Semifonte del 1202, con i fiorentini, il capostipite della famiglia Barberini. E’ in ogni modo accertato che i progenitori dei Barberini ebbero due distinti rami genealogici: quello del giureconsulto e poeta Francesco, e Taddeo di Cecco, che doveva condurre la famiglia a coronare il suo stemma col triregno, quello di Maffeo Barberini, Papa Urbano VIII dal 1623 al 1644. Fino alla generazione cui appartenne il Papa Urbano VIII la famiglia si chiamò sempre “da Barberino”, ma già nella generazione precedente, in alcuni documenti rogati fuori “patria” specialmente ad Ancona e Ravenna, si viene preparando per alcuni membri la successiva forma cognominale con la soppressione della particella “da”. Solo dopo l’avvento di papa Urbano VIII e del Cardinale Carlo Barberino (1630-1704), si può ritenere certo o quasi, che la famiglia cominciasse ad usare italianamente la forma “Barberini”. Nell’anno 1264, quando l’Italia era dolorosamente travagliata da profonde divisioni e da continue e sanguinose lotte tra Guelfi e Ghibellini, nella casa di Neri di Rinuccio da Barberino Val d’Elsa nasce Francesco: Il nonno, Pieri di Rinuccio, era notaro . Francesco seguì le orme del nonno e dopo i primi studi, a Firenze, come abbiamo visto, dal Maestro Brunetto Latini, proseguì gli stessi a Bologna, dove con tutta probabilità, ebbe ancora modo di ritrovarsi

di Florio Panti

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con Dante. Dall’inizio del XII sec., il notaio aveva acquisito il carattere di pubblico ufficiale. Per divenire tali però, occorreva un diploma dell’Imperatore o una concessione, oppure una autorizzazione di grandi Principi. Per giungere a questo, era necessario aver terminato gli studi di arte notarile e essere stato allievo di notari in voga. Francesco conseguì a Bologna il titolo di notaro ed esercitò in parte la sua professione come notaro cancellieresco dipendente dal vescovo Sinibaldo de’ Miliotti, ne è testimonianza un atto rogato in Imola il 23 maggio 1293 (monastero di S. Giovanni in Monte di Bologna, Istrumenti libro XV, n. 29) egli aveva allora 29 anni. E giungiamo al 1294, l’anno che vede l’ascesa al soglio pontificio dell’Eremita del Morrone. In questo periodo è certo che Francesco da Barberino, si recò presso la corte pontificia in quel momento all’Aquila, senza dubbio per ottenere il titolo ufficiale di notaio. Il Prof. Herde nel suo splendido libro su Celestino V, tradotto dal tedesco dal nostro Centro Studi, afferma con certezza la presenza di Francesco da Barberino all’Aquila (pagg 116 –117) , diversamente dal Casti che ne indica invece la presenza a Napoli.Anch’io mi trovo d’accordo con l’Herde sulla presenza all’Aquila di Ser Francesco, stando fra l’altro ad una sua testimonianza autografa.

“ Vidi - afferma il da Barberino “ un pontefice il cui nome ora taccio che era stato elevato alla dignità papale dal basso. Mai egli si era adoprato al servizio di alcuno, ne alcuno verso di lui. C’erano attorno a lui persone che lo servivano contadinescamente vivendo egli alla campagnola. Una volta lo incontrai che passava per una sala sbocconcellando un pezzo di pane, mentre un servo gli porgeva un bariletto di vino per bere. Il che diceva quel papa era il miglior mangiare possibile, come gli aveva insegnato la mamma. Inoltre così affermava lo stesso papa ai suoi se non fosse per voi non vorrei essere pontefice, a chi gli chiedeva il perché rispondeva a tal punto mi infastidisce comandare agli altri da fare tutto da me stesso per avere maggior sollievo.”

Molti scrittori hanno riportato questo passo nelle loro opere, mai però in maniera così completa. Ed è appunto dalla lettura integrale di questa testimonianza che si pongono due domande.

La prima: Perché Francesco da Barberino non cita il nome di Fra Pietro ma dice “ vidi un Pontefice il cui nome ora taccio”?. Forse perché quando scriveva era già notaio accreditato presso il vescovado di Firenze e il Papa all’epoca era Bonifacio VIII, successore di Celestino V dopo la sua rinuncia ?

La seconda domanda a mio modo di vedere, importante per accertare in modo certo se Francesco da Barberino era presente all’Aquila e ha visto il papa alla Reggia Angioina prima dell’incoronazione, cioè nel periodo 27 luglio – 29 agosto 1294 è l’affermazione : “ se non fosse per voi non vorrei essere pontefice perché a tal punto mi infastidisce comandare da fare tutto da me stesso per avere maggior sollievo” Da questo passo si può leggere forse la non ancora avvenuta incoronazione di Fra Pietro? Se Pietro infatti fosse già stato incoronato Pontefice la dizione più esatta che il “dotto Fiorentino” avrebbe udito e riportato forse doveva essere “non avrei voluto essere pontefice.” Se questa mia supposizione fosse esatta rappresenterebbe senza ombra di dubbio la conferma della presenza di Francesco da Barberino all’Aquila in quell’estate del 1294 e di conseguenza si rafforzerebbe, a mio modo di vedere anche l’ipotesi che insieme a lui in Città sia venuto anche il suo concittadino e amico Dante Alighieri.

Ancora su Francesco da Barberino

Troviamo ancora Francesco da Barberino, nel 1297 notaro del vescovado di Firenze nella diocesi governata da Francesco Monaldeschi. Quest’ultimo per un’altra straordinaria coincidenza era stato fra l’altro, uno dei cinque componenti delegati dai Cardinali riuniti in conclave a Perugia, che l’11 luglio 1294 avevano portato al Morrone, a Fra Pietro, la notizia dell’elezione al Soglio Pontificio e successivamente quando già il futuro Papa era ospite presso la reggia Angioina dell’Aquila, fece la spola fra Perugia e L’Aquila per convincere Fra Pietro a recarsi per l’incoronazione nello Stato Pontificio, a Rieti. Non è pertanto da escludere che Francesco da Barberino abbia avuto modo di conoscere all’Aquila, il Monaldeschi, che quando assume la carica di vescovo di Firenze, lo chiama in curia a svolgere le mansioni di notaio . Il vescovo Monaldeschi s’impose a Firenze per la sua bontà. La documentazione della sua vita permette solo di ricordare che presenziò alla posa della prima pietra del Duomo di Firenze, come risulta da una iscrizione sulla parete laterale esterna di fianco al campanile e soprattutto, per quanto riguarda i monaci seguaci di Celestino, caldeggiò la fondazione nel 1300 della chiesa, monastero di S. Marco affidandola ai monaci Benedettini ( come si legge in una sua scarna biografia) ma che io sono più propenso a pensare ai Celestini, rifacendomi al Bargellini, ( la Splemdida

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Storia di Firenze) quando citando questo monastero ne parla come :“ di un antico monastero già dei monaci Celestini”. Ritornando a Francesco da Barberino, dopo lunghe peregrinazioni in Italia, per importanti incarichi affidatigli che lo videro dal 1305 al 1309 in Padova, nello stesso periodo nel quale Giotto affrescava la Cappella degli Scrovegni, Treviso e Venezia . Francesco, come lui stesso ci comunica, dal 1309 al 1313 fu in Francia per non meglio definiti incarichi presso la Corte Pontificia trasferita ad Avignone. La situazione della chiesa era dolorosa. Clemente V, pur di raggiungere la tiara si era sottomesso al volere di Filippo il Bello ed aveva trasferito la sede Pontificia in Francia. Comincia così il periodo Avignonese dei pontefici che durerà dal 1309 al 1367. Le notizie che Francesco da Barberino ci fornisce sulla curia sono brevi e sconcertanti. Ora sottolinea la loquacità di un prelato, ora l’avarizia di un Porporato. Che fosse ben all’interno della Curia lo si rileva anche dalla trascrizione di alcune dichiarazioni ascoltate dalla viva voce del Cardinale Pietro Colonna, Camerlengo di S. Chiesa, che successivamente, colpito da malattia morì in breve tempo. Ser Francesco fece anche sosta alla Corte di Filippo il Bello, il fiero oppositore di Bonifacio VIII, che viene presentato nei suoi scritti come “affabile con gli umili”, “generoso”, “dismesso nelle vesti” e “terribile con i suoi nemici”. Fu anche a Parigi, dove alla Sorbona ottenne il perfezionamento giuridico. Non si conoscono, purtroppo, i motivi della sua permanenza in Francia, nei suoi scritti Francesco da Barberino cita solo che rappresentava la Repubblica Veneta, pur non avendone avuto l’incarico ufficiale, nella guerra fra Venezia e Ferrara però, per un’altra singolare coincidenza, incontra ancora una volta la figura di Celestino V. Non soltanto quindi è molto probabile che l’abbia visto giovane studente in quel di Firenze nel 1275; lo abbia visto certamente all’Aquila all’incoronazione nel 1294; non è certo ma è probabile che sia stato sentito dalla commissione dei postulatori per il processo di canonizzazione (purtroppo non ci sono testimonianze scritte di questo, ma ritengo che vista la carica rivestita e la testimonianza resa dal Notaio Regio Pietro Grasso per una circostanza molto simile al quella descritta da Ser Francesco e la mancanza di diverse pagine del verbale del processo non ci aiutano a chiarire la circostanza), ma soprattutto il da Barberino è presente ad Avignone nel periodo in cui il processo di canonizzazione ha maggiore impulso. Il 5 maggio 1313, Clemente V emana la Bolla in cui viene canonizzato San Pietro Celestino.Per un’altra coincidenza “particolare”, lo stesso Papa Clemente V, in data 30 aprile 1313 aveva emanato un’ulteriore bolla con la quale concedeva a Ser Francesco da Barberino, un singolare privilegio; la laurea in “ utriusque iuris”, cioè dottore in diritto civile e canonico. Francesco da Barberino, ritorna nella sua Città di Firenze subito dopo la canonizzazione di Pietro del Morrone, con questa Bolla che lo porta ad essere il primo a laurearsi a Firenze, privilegio allora riservato solo a Bologna e Padova.Clemente V insomma, quasi contestualmente alla Bolla di canonizzazione di Pietro del Morrone, provvede a “ ricompensare “ il notaro Ser Francesco da Barberino, per alcuni servigi prestati. Quali ? Purtroppo non è dato sapere, ma devono essere stati molti e piuttosto importanti nei quattro anni e mezzo di permanenza alla Corte Pontificia di Avignone. Da concittadino di questo mio illustre avo e da devoto di S. Pietro Celestino e cultore della sua figura da oltre trenta anni, permettetemi con un po’ di “partigianeria” di pensare che questo riconoscimento gli sia stato riservato perché, fra tutte le altre cose, avesse anche seguito da vicino l’iter della sua canonizzazione.Con il ritorno a Firenze Francesco da Barberino completa le due opere letterarie per cui è ulteriormente conosciuto Documenti d’amore e Reggimento e costumi delle donne, opere che pur non appartenendo alla schiera di quelle importanti della letteratura, meritano un posto non secondario negli studi umanistici. Il gusto di alcune novelle contenute in queste prose, ingenue e saporite sembrano il preludio al Decamerone del Boccaccio.

Molto più importante è invece, per lo studio e la cronologia della Commedia dantesca, il così detto Argomento Barberiniano.Rientrato da Avignone, fra la fine del 1313 e i primi mesi del 1314 Francesco si trova a Mantova e qui parlando di Virgilio, accenna al suo concittadino Dante Alighieri che lo sta emulando col comporre una Commedia nella quale si tratta dell’Inferno. E’ questa una prova sicura che già in quel periodo almeno una cantica era stata completata; è dunque un elemento molto importante, poiché esterno alla Commedia stessa, per la datazione del poema. Per concludere sulla figura di Ser Francesco da Barberino, egli morì nel 1348, all’età di 84 anni durante la terribile peste che il Boccaccio descrive nel proemio del suo Decamerone. Lo si volle terziario francescano: non ci sono però conferme e l’aver scelto S. Croce di Firenze come chiesa per la sua sepoltura, è debole prova. Giovanni Boccaccio ne dettò la lapide funeraria e alcuni anni dopo ebbe modo di scrivere:“Ei fu uomo, per onestà dei costumi e per la vita specchiata lodevole. Quantunque s’intendesse assai più dei sacri canoni che di arte poetica, lasciò tuttavia testimoni non dubbi dello splendido ingegno suo; alcune operette in rima composte in lingua volgare, che ancor oggi si leggono e sono in pregio presso gli italiani”.

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L’Officiolum ritrovato di Francesco da BarberinoIl 5 dicembre 2003 la Casa d’Aste Christie’s Italia a Roma ha messo all’asta una straordinaria scoperta: L’ Officiolum di Francesco da Barberino. Di seguito riporto quanto scritto nel Catalogo dalla Christie’s, che conferma alcune delle circostanze sopra riportate:L’Officiolum di Francesco da Barberino, a lungo ritenuto perduto ed ora ritrovato, un magnifico libro d’ore con ben 70 pagine miniate, realizzato a Padova circa nel 1305-08 secondo l’attribuzione di Kay Sutton (esperta di codici miniati della Cristie’s Londra).Francesco da Barberino, illustre notaio e poeta fiorentino, compose due poemi in italiano uno dei quali i “Documenti d’amore”, è accompagnato da un lungo commentario in latino dove egli trascrive un’ampia serie di figure topiche e allegoriche ricavate da varie fonti, arricchito inoltre di miniature e diagrammi, da lui stesso disegnati, per meglio trasmettere il suo pensiero. La sua fama si lega all’innovativo pensiero allegorico morale contenuto nelle opere da lui composte. Fu contemporaneo di Dante: una sua glossa autografa nei Documenti, databile al 1314 circa, tramanda la più antica menzione della Commedia. Sempre nel commentario ai Documenti vi sono diversi riferimenti agli affreschi giotteschi della Cappella degli Scrovegni a Padova, e anche in questo caso si tratta della prima testimonianza scritta di questo capolavoro trecentesco.Francesco menziona varie volte il suo Officiolum nel commentario, generalmente come fonte per le illustrazioni ivi contenute, ma la critica barberiniana ha sempre lamentato in termini sconsolati la perdita di tale capolavoro, di cui non erano apparentemente rimaste tracce. Straordinario è dunque il presente ritrovamento, non solo per la luce che potrà gettare sull’arte emiliano-veneta degli inizi del Trecento, ma anche per il fatto di configurarsi come il più antico libro d’ore italiano conosciuto: un capolavoro dalla spettacolare invenzione iconografica, comprendente inoltre una sconosciuta opera allegorica di Francesco che riflette perfettamente la sua convinzione circa la complementarietà di testo e immagine.Molte delle miniature - opera di miniatori bolognesi attivi a Padova che seguono fedelmente il disegno tracciato da Francesco – furono il modello di raffigurazioni allegoriche che egli rappresentò in altri contesti: nei Documenti, negli affreschi a Treviso e Firenze, in quelli della tomba di Antonio d’Orso, Arcivescovo di Firenze, seppellito nella Cattedrale. L’epitaffio di Francesco- che morì durante l’epidemia di peste del 1348 – è opera dello stesso Boccaccio che anche in altri contesti (vd. la Genealogia deorum) si riferì a lui come un indiscusso maestro.Intorno al 1305, Francesco si trasferì a Padova, dove questo codice venne realizzato intorno al 1305 – 1308; successivamente andò in Francia dove fu alla corte papale di Avignone e a quella di Filippo il Bello a Parigi. Charles Sterling suggerì una sua diretta influenza, forse proprio attraverso il presente libro d’ore, su Jean Pulcelle quando realizzò il libro d’ore di Jeanne d’Evreux. Dopo il suo ritorno a Firenze, Francesco svolse un importante ruolo nella vita civile fiorentina e la sua fama si protrasse per tutto il secolo XIV. Tra gli scrittori fiorentini che ne tessero le lodi, si segnalano Giovanni Boccaccio e Francesco Villani.La presenza di Dante e la conoscenza della Commedia sottende probabilmente all’ispirazione di alcune delle raffigurazioni del codice: l’immagine del limbo e quella dell’Inferno sembrano infatti in stretta relazione con le plastiche e vivaci raffigurazioni dantesche, forse mediate dalla presenza del Giotto degli Scrovegni.

Per la cronaca la base d’asta era fissata in 800.000 Euro. Il prezioso libro è stato aggiudicato ad un privato per 900.000 Euro.

Miniature dall’Offiziolo di Francesco da Barberino

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Il Cristianesimo è nato in Palestina – a Gerusalemme- derivando dal <<messianismo ebraico>>: questo movimento – attraverso Abramo, Mosè, Davide e gli Esseni d’ Qumran- percorre tutto il filone dei profeti d’Israele ( Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele) e giunge fino al ‘precursore’ Giovanni Battista che introduce Gesù di Nazareth: l’atteso Figlio di Dio che annuncia quindi la Buona Notizia. L’avvento del <<Regno>>, garantito dalla sua Resurrezione: il disegno del Padre per la restaurazione dell’uomo.Questo Regno, tuttavia, ‘non è di questo mondo’. Ma processo escatologico degli ‘ultimi tempi’ che si concluderà con il Giudizio Universale.Nel frattempo – lungo questo processo storico - nasce il problema dell’inculturazione del cristianesimo nel contesto delle civiltà pagane dell’epoca: il che si risolve, soprattutto, con la missione evangelizzatrice di Paolo, che media il rapporto tra la fede religiosa di Gerusalemme e la cultura dei ‘gentili’ mediante i suoi viaggi verso Occidente. Soprattutto verso Atene e verso Roma: l’una –capitale culturale; e l’altra –capitale politica dell’Impero di quei tempi.Vale a dire: nasce così –dal seno del <<cristianesimo>> dei Vangeli - la prima <<cristianità>> come comunità storica che – dopo due secoli di feroci persecuzioni (da Nerone a Diocleziano) – trova nella miracolosa visione dell’imperatore Costantino (‘in hoc signo vinces!’ alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio) le condizioni per la svolta, in favore della sua libertà, che avverrà l’anno dopo con l’Editto di Milano (313 d.C.).Questo tipo di <<cristianità>> di Occidente e di Oriente –di Roma e di Costantinopoli- fonda la cosiddetta Chiesa ‘costantiniana’, e si protrae sino alle soglie dell’Età Moderna, mediante l’accordo con il Sacro Romano Impero: a partire da Carlo Magno (800 d.C.)sino ai tempi del Risorgimento Italiano (1870), che segnò la fine del potere temporale dei Papi. La fine della Chiesa ‘costantiniana’.A questo punto, la Chiesa dovrà trovare un altro tipo di rapporto con gli Stati nazionali, per assicurare la propria indipendenza da essi e garantirsi la libertà. Ma dovrà anche configurare una nuova <<cristianità moderna>>. Per definirsi a livello culturale, piuttosto che politico. Dovrà passare –cioè- dalla Chiesa ‘costantiniana’ del Medioevo alla Chiesa <<celestiniana>>della

Modernità.* * *Negli ultimi due secoli (XIX e XX) la polemica sul ‘modernismo’ ha coinvolto perciò la cultura cattolica, e ha riguardato - più in generale - il conflitto tra religione e movimenti liberali. Fra verità e libertà. Perché il modernismo segnava l’avvio del cosiddetto processo di ‘secolarizzazione’ della società segnato dalla Scienza, che andava a sostituirsi a Dio. Cosicché- alla fine di questa orgia ubriaca- Lenin dichiarerà la guerra del suo socialismo, anch’esso ‘scientifico’: ‘Dio è il mio nemico personale’.Esplose perciò quel conflitto, che ebbe già nel ‘Sillabo’ di Pio IX la sua espressione più acuta, e che maturò - per di più - nel contesto della ‘questione romana’. Nel clima infuocato del Risorgimento italiano. Quel conflitto che continuò con l’intransigente ‘non expedit’ (divieto per i cattolici di partecipare in Italia alla vita politica: ‘né elettori né eletti’) per via dell’Opera dei Congressi, e che si andò attenuando, gradualmente, soltanto per influsso del movimento cattolico-liberale. Vale a dire: di Gioberti, Rosmini, Manzoni e Romolo Murri. Ma che dovette attendere il Partito Popolare di Sturzo e poi la Democrazia Cristiana di De Gasperi, per trovare un nuovo clima di soluzione definitiva. Anche teorica. Non solo politica e concordataria (com’era già avvenuto nel ‘29 con la conclusione dei Patti Lateranensi).Quella soluzione che fu, poi, consacrata nel 1965 dalla Dichiarazione conciliare sulla ‘libertà religiosa’. Dalla Dignitatis Humanae : proprio quella che - non a caso – il vescovo Lefèvre (tradizionalista e scismatico) si rifiutò di accettare. Perché il Concilio proclamava che ‘la verità non si impone che in forza della stessa verità’, senza intervento dell’autorità statale. Vale a dire: proclamava che la verità (non solo quella naturale, ma anche quella rivelata) implica la ragione (l’una sotto il profilo della ‘dimostrabilità’, e l’altra sotto quello della ‘credibilità’), e si radica perciò nella ‘coscienza’. Nella responsabilità. E che soltanto questa Coscienza responsabile va riconosciuta come ‘forza’.Sì, quel conflitto che trovava nel partito ‘aconfessionale’ della Democrazia Cristiana - fatto cioè da cittadini laici, non già dal clero- soluzione anche teorica di ‘sana laicità’. E riguardava il rapporto generale fra cristianesimo e democrazia. Fra Chiesa e

CristianitàCristianesimo

e

di Giovanni Frassanito

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8 LA PERDONANZA

modernità. Fra verità e libertà. Dopo l’ assolutismo dell’ Ancien regime, caratterizzato dalla ‘Chiesa di Stato’: dall’alleanza fra ‘trono ed altare’ dei tempi di Costantino.Cosicché fu l’unità politica del laicato cattolico attorno alla DC a chiudere l’epoca del Risorgimento, e a risolvere questo difficile problema culturale, definitivamente. Perché se è vero - com’è vero - che la Verità è ‘una’, essa- a prima vista- appariva incompatibile con la libertà che reclamava possibilità di scelta fra ‘più’ verità. Come dire, perché questa libertà sembrava tradursi in ‘relativismo’, in cui una verità vale l’altra. A seconda di maggioranze occasionali. In sostanza: sembrava dire che la verità non esiste, e che- perciò- poteva essere messa ai voti. Ridotta e scaduta- di volta in volta – a macchina di conteggio. Fra maggioranza e minoranza: a mera ‘procedura’. Perché la verità, a questo punto, non era più Legge- universale ed eterna- della Natura umana.E si minacciava così il vuoto culturale: il calcolo e l’arbitrio. L’opportunismo e il nichilismo. La corsa verso il nulla. In libera discesa. A fari spenti nella notte, e senza freni. L’impotenza del pensiero di distinguere fra giusto e ingiusto. Fra bene e male. Fra vero e falso. Il suicidio dello spirito. Mentre, per altro verso, l’idea di verità poteva comportare il pericolo opposto: il dogmatismo. L’intolleranza. La violenza. Era qui la difficoltà teorica di coniugare insieme verità e libertà.Già. Verità e libertà: ecco il problema della <<cristianità moderna>>. Rispetto ai tempi di Costantino.L’illuminismo e i movimenti liberali - affermatisi con le Rivoluzioni moderne (inglese, americana e francese) e radicalizzatisi in senso laicista con la ‘massoneria’ - avevano posto, quindi, questo dilemma alla Chiesa cattolica. E non si trattava di poco conto. Perché si trattava di passare dalla religione del Medioevo a quella dell’Età Moderna. Con gli stessi traumi di ‘fondamentalismo’ (inauguratisi con i processi dell’Inquisizione contro Giordano Bruno e contro Galileo) - gli stessi che, oggi, sconvolgono l’Islam. In forme simili a quelle che arrivano adesso fino al terrorismo islamico. E al cosiddetto ‘scontro di civiltà’. Con una differenza di circa 500 anni, in termini di ritardo per l’lslam. Tuttavia il cristianesimo riuscì a risolvere - da solo quel problema teorico.Perché la Verità - pur restando ‘unica’ e senza scadere nel relativismo delle opinioni (il che significa - per un verso - poter condannare oggi, in suo Nome, la violazione dei diritti umani) - è destinata alla coscienza dell’Uomo. Alla dignità della sua ‘persona’. Passa per questa coscienza, che la recepisce liberamente. Responsabilmente. Nella ‘Libertà’. Ecco: è la coscienza il ‘trait d’union’ che congiunge verità e libertà. La ragione obbiettiva (reale) ed il sentire soggettivo (personale). Il che significa, per altro verso, che la stessa verità - quando viene imposta con la violenza -viene vissuta dalla coscienza come menzogna. Non più sentita come verità. Insomma, vuol dire che Verità e Libertà coincidono nella coscienza personale dell’uomo.Infatti - è proprio questo riconoscersi in un fatto di coscienza ciò che fonda l’idea ‘moderna’ di Religione, rispetto a quella ‘antica’; è tutta qui la differenza, fra l’una e l’altra. Intorno a questa idea di ‘coscienza’ - l’Occidente cristiano ha sanato il conflitto fra fede e ragione. Ha cercato la complementarietà fra l’una e l’altra, e l’ha trovata (cosa che di per sé sembrava difficile) conciliando insieme verità e libertà. Conciliando la fede (che assolutizza) con la libertà (che relativizza): e scartando sia la dittatura del relativismo assoluto(ossia il dogma laicista che rifiuta la fede) sia la verità che ignora la coscienza (ossia il fondamentalismo teocratico che rifiuta la ragione). Secondo il senso di una cultura ‘cattolico-liberale’, che è - per sua essenza - radicalmente cristiana. Perché il genio del Cristianesimo è notoriamente nel paradosso.

Basti pensare al messaggio degli ‘ultimi che saranno i primi’; di ‘chi perde la sua vita si salverà’; della ‘pietra scartata che diventa testata d’angolo’; del Dio trascendente che - Incarnandosi - si fa immanente; del Crocefisso che risorge. Dello sconfitto che trionfa. Del delinquente che – invece – è Dio. Insomma, quel paradosso che significa - essenzialmente - ’ congiunzione degli opposti’. Vale a dire, unità di idee contrarie che, nella specie, congiunge anche ‘verità e libertà’: valori apparentemente opposti. Anche per noi fino a ieri. E che sembrano tali oggi, per i musulmani.Per convincersi, basta pensare alla cosiddetta ‘conversione’ dell’ imperatore Costantino. Avvenuta alla vigilia della battaglia di ponte Milvio - nell’anno 312 d.C. di fronte alla visione del cristogramma (le prime due lettere del nome Cristo: il X e la P greche, intrecciate insieme) e alla voce che presagiva: ‘In hoc signo vinces! ‘. Cosicché, Costantino decise di segnare gli elmi e gli scudi marchiati di questo simbolo - inalberandolo in battaglia. E con questo simbolo sfilò vittorioso - l’indomani - per la via Lata (l’attuale via del Corso) in Roma. Di qui, lo stupore di tutto l’esercito che lo seguiva in marcia, e che fu spettatore di tale miracolo: quel miracolo che cambiò il corso della storia.Ma, in quel caso, la conversione non riguardava la ‘coscienza’ di Costantino rispetto alla ‘Verità’ del cristianesimo: consisteva, invece, nel sottomettersi al dio Onnipotente. Al ‘Dio della Forza’. Al Dio degli Eserciti (secondo l’espressione ricorrente nel Vecchio Testamento), la cui protezione gli prometteva di vincere in battaglia. Che è - poi - il modello primordiale dell’idea che l’uomo ha di Dio. Il Dio-potenza. Non già il Dio-ragione.Si trattava, cioè, di un’ ‘alleanza’ con quel Dio della croce che - seppure straniero e sconosciuto – comportava un vantaggio per Costantino stesso. E per la prosperità di Roma. Un vantaggio superiore - alla prova dei fatti - rispetto a quello che l’imperatore avrebbe ottenuto dal favore delle antiche divinità pagane. Ma - pur sempre - un ‘do ut des’, che generava un intreccio di interessi particolari: potere, successo, fortuna. Perciò Costantino - dopo la vittoria contro Massenzio - si volle mantenere fedele al nuovo patto, e si rifiutò di venerare la statua di Giove Capitolino. Com’era tradizione di culto pubblico sul Campidoglio. Nella Roma di quei tempi.Di più: Costantino si rifiutò di ‘sacrificare’. E fu questo il significato più profondo della svolta: l’orrore del ‘sangue’ offerto ai demoni come magia nera - a partire da quel giorno - divenne insopportabile. Fu allora che la nuova fede pose fine ai sacrifici rituali. In memoria dell’unico sacrificio, che li sostituiva tutti. Quello della Croce di Gesù Cristo. Di Dio stesso.Cosicché - da quel tempo - la storia dell’Occidente voltò pagina: dal paganesimo al cristianesimo. Ma non era ancora l’omaggio della Coscienza umana al Dio di ‘Verità’. Al ‘disinteresse’ dello spirito. Né riguardava, quindi, il rapporto verità-libertà. Quella ‘conversione’ di Costantino era soltanto la conclusione di un ‘accordo’ fra due poteri. Fra il culto tributato dall’Impero e la protezione promessa da un Dio. 1n termini di ‘rapporti di forza’, secondo la logica della pietas romana. Che si esauriva nella sacralità della liturgia cerimoniale. Dei ‘riti’ ufficiali, riconducibili alle figure di patronus e di cliens : fu questa la ‘pedagogia’ usata dalla Provvidenza per poter poi passare - attraverso i secoli a venire - dal Dio-potere al Dio - verità. Dalla Vecchia alla Nuova alleanza. Dimodoché - dopo Costantino - di tutte le cerimonie pagane resistette soltanto l’antico culto di Vesta.Delle cd. ‘vestali’: vergini sacerdotesse, custodi del fuoco domestico. Nella civiltà della Roma imperiale.Perché le cose potessero cominciare a cambiare, occorreva attendere un altro millennio. La cultura dell’Occidente cristiano ha cominciato ad avvertire questo problema del rapporto fra verità e libertà, a partire dal XII secolo. Ai tempi del monaco Gioacchino

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9LA PERDONANZA

da Fiore. Questi – infatti - aveva disegnato un percorso ‘trinitario’ della Storia universale dell’umanità. Aveva formulato, cioè, una ‘ teologia della Storia’, profetizzando l’avvento della terza età dello Spirito (dopo l’età del Padre e quella del Figlio): perché questa persona trinitaria è quella più intimamente legata all’idea di ‘coscienza’. Perché è lo Spirito Santo a guidare la coscienza a riconoscere la Verità. Ad ‘ illuminarla’, rispettandone la libertà.E si passava, perciò, da una religione concepita staticamente come ‘Alleanza Pattizia’ in quella di un ‘Messia salvatore’, che irrompeva - di continuo - nella storia. Dinamicamente, e d’improvviso. Fino alla Resurrezione. Fino alla Pentecoste. Fino all’età dello Spirito. Fino alla ‘Parusia’. Al ritorno di Cristo stesso sulla terra. Alla Nuova Gerusalemme. Fino a ‘nuovi cieli e nuove terre’.In altre parole: Gioacchino andava alla ricerca dell’intervento di Dio nel ripetersi dei miracoli, che riuscivano a trasformare il corso della storia in ‘Storia della Salvezza’. Lungo quella lettura biblica - vetero e neotestamentaria- che conosceva due protagonisti: Israele e la Chiesa. Il ’vecchio’ e il ‘nuovo’ popolo d’Israele. Viventi e pulsanti - entrambi - nella storia dei miracoli di ogni giorno. E dei suoi stessi personaggi, che comparivano - di volta in volta - in carne ed ossa. Con tanto di nome e cognome, precisi e irripetibili. Secondo il piano salvifico di Dio. Passando - oggi possiamo capirlo- per il miracolo stesso di papa Wojtyla, che ha cambiato la storia dei nostri tempi. Passando - cioè - per il miracolo dell’89. Avverando la profezia che la Madonna aveva fatto a Fatima.Perciò, questa ‘teologia della Storia’ di Gioacchino introdurrà sulla scena - alcuni anni dopo - un personaggio messianico del tutto originale, creando il caso di ‘Celestino V’. Un papa santo della Chiesa di Roma. Un protagonista della storia di quei tempi (1294): e avrà inizio - per l’appunto - di lì la terza ‘Età dello Spirito Santo’. Da questo Celestino eremita ed uomo di rottura - che si dimetterà da papa, in nome della Coscienza, e che finirà imprigionato dal suo successore (Bonifacio VIII). Celebrando la religione della Verità - intesa come rifiuto del potere temporale dei papi. Come cultura del ‘disinteresse’: perché egli pagò a caro prezzo quella scelta eremitica, che anticipava la Chiesa post-risorgimentale. Che anticipava la Chiesa spirituale di oggi: senza più il fardello” del potere temporale.Cosicché, la vicenda esistenziale di Celestino introduce nell’istituzione della Chiesa il soffio imprevisto dello Spirito. Introduce il conflitto tra Potere e Coscienza. Introduce nel tema statico della ‘Verità’ la mediazione dialettica della Coscienza, che conduce alla ‘Libertà’. Si innesta, cioè, quel processo sconvolgente che esploderà, poi, con la successiva riforma di Lutero. E con l’istanza centrale del ‘libero esame’ delle Scritture: la faccia religiosa delle Libertà. E si concluderà -attraverso il Risorgimento e Porta Pia ( 1870) - con i Patti Lateranensi ( 1929) e, quindi, con il Partito Popolare di Sturzo: lungo il rapporto fra cristianesimo e liberalismo. Fra verità e libertà.Vale a dire: fra verità e coscienza - mediate dallo Spirito Santo. Secondo la famosa frase del cardinale Newman che esaltava il primato della coscienza: ‘lo brinderei per il Papa. Ma prima per la mia coscienza, e poi per il Papa. Al pari di Kant: ‘La legge morale dentro di me (ossia <<libertà di coscienza>>) e il cielo stellato sopra di me’ (ossia <<il Re di Verità>>).Quel processo che - per davvero - partiva da lontano. Fin dai tempi di Sant’Agostino (quinto secolo) che aveva già sentenziato: ‘In interiore homine habitat veritas’. Vale a dire: la verità germoglia e vive nella coscienza. Non può essere una pretesa del potere temporale: né retaggio colonialista, né imperialista. Di più: quel processo che risaliva alla contrapposizione di Cristo stesso rispetto a Pilato: ‘Io sono re, per testimoniare la verità’. Vale a dire: verrò come Giudice universale di verità, nella storia finale

degli uomini. Come Re di Verità. Non già di Potere. Come Re di un ‘regno che non è di questo mondo’ (Gv. 18,36). Davanti a Pilato, che restava perciò smarrito: ‘Cos’è mai la verità?’.A questo punto, la ‘dignità della persona umana’ e la ‘libertà di coscienza’ diventavano anch’esse - al pari della stessa Verità - principi assoluti: e da ciò derivava la convinzione che l’idea dello ‘Stato di Diritto’ e di ‘Democrazia’ erano - i n fin dei conti - figlie del cristianesimo. Figlie di quel Crocefisso - che è la Vittima predestinata dell’istinto di ‘persecuzione’ contro la coscienza: così come ha poi dimostrato, definitivamente, l’antropologia di Renè Girard. A conferma della storia.Perciò ‘i diritti fondamentali dell’uomo non vengono creati dal beneplacito dello Stato, ma sono iscritti nella natura stessa della persona umana, e sono rinviabili ultimamente alla mano del Creatore’ - come scrive oggi Benedetto XVI. Essi non dipendono dalla volontà umana, né dall’andirivieni delle maggioranze parlamentari. Lo Stato non ‘crea’ i diritti naturali, ma li deve ‘riconoscere’ come precedenti a se stesso (la Costituzione italiana usò infatti questa espressione, per influenza dei deputati democristiani all’Assemblea costituente). È questa la grandiosa Tradizione del giusnaturalismo cristiano. La dottrina sociale della Chiesa: l’ancoraggio del Diritto alla verità divina, per non cadere nel ‘relativismo’ dei variopinti costumi popolari. Del folklore e dell’effimero.Cosicché - ai tempi di Costantino - non si avvertiva ancora questo rapporto culturale: Dio = verità = ragione = coscienza = libertà. Si dovrà attendere un altro millennio. Si dovrà attendere l’inizio della <<cristianità moderna>>, per poter capire il senso di un’età dello ‘Spirito Santo’. Ma è pur vero che proprio a questo punto - dopo questo passaggio, cioè, dal ‘Dio-potere’ di Costantino al ‘Dio-verità’ di Celestino – il problema della Fede – aimè - si complica. Anziché risolversi. Perché, con l’età Moderna, ‘potere è sapere’ (Bacone). Potere non è più ‘vincere in battaglia’. È ‘Sapere’. Vale a dire, nasce la Scienza. Che complica - in un certo senso - le cose.Perché ‘La scienza rinnegherà Dio’ - secondo le parole della Madonna apparsa a Roma, alle Tre Fontane, nel 1947. Ed esploderà l’ateismo di quel << peccato originale>>che restò - pur sempre - nel cuore dell’uomo.Infatti, la scienza farà cose meravigliose. E l’uomo, perciò, tenderà a ‘secolarizzarsi’. Non più a ‘consacrarsi’. Vale a dire: preferirà credere al cosiddetto ‘progresso scientifico’, non più ai miracoli che sono le ‘meraviglie di Dio’. Preferirà credere alla dea-Ragione. Secondo la tentazione del Serpente biblico: ‘Se mangerete il frutto della conoscenza si apriranno i vostri occhi e sarete come Dei’ (Gen. 3,5). È tutto qui il peccato: in questa presunzione dell’uomo di destituire Dio, per via della Conoscenza. E –anziché riconoscere nella scienza un ‘dono dello Spirito Santo’ – l’uomo diviene, per orgoglio, ubriaco di scienza: questo è il percorso – dalle origini del mondo, fino alla Modernità. Dal Genesi fino all’Apocalisse: il rifiuto del ‘dono’ di Dio. Il rifiuto del suo Amore. Per peccato di “orgoglio”.Secondo la lettura integrale della Bibbia. Percorso fatale di rovina: se Dio – alla fine - non ci salvasse. Se non avvenisse l’ultimo ‘miracolo’: l’avvento del <<Regno>>, preparato -storicamente- dalle Apparizioni Mariane dell’Età moderna: Guadalupe (e la scoperta dell’America); Lourdes ( e la teoria di Darwin); Fatima ( e il comunismo); Medjugorje ( e il fondamentalismo islamico di oggi, come ho sviluppato in Mariologia della Storia, Secop Edizioni, 2010).* * *In questa <<cristianità>> dell’età moderna: quella che ha inizio – a ben ragione – con il conflitto fra Bonifacio VIII e Celestino V. Fra Chiesa ‘costantiniana’ e Chiesa ‘celestiniana’.

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10 LA PERDONANZA

La Basilica di Santo Stefano a Bologna

Una Gerusalemme Celestiniana

Tutti i maggiori organi di stampa hanno recentemente dato ampio risalto alla notizia che dopo un lungo e difficoltoso restauro è stata riportata alll’antico splendore , la Basilica di Santo Stefano di Bologna.Questo straordinario luogo, situato in pieno centro di Bologna, è l’insieme di un complesso di edifici sacri conosciuto anche come le “Sette Chiese”.Una di queste Chiese, la più importante, detta anche del Santo Sepolcro, risalente al V sec. e ristrutturata nel XII sec., risulta essere stata, a partire dal XV sec. e fino alla fine del XVIII sec., quando la riforma Bonapartiana cancellò l’ordine di S. Pietro CelestinoV, Abbazia dello stesso ordine. L’importanza e la genesi di questo straordinario luogo santo è stato messo in risalto dal medievalista Prof. Franco Cardini durante un convegno tenutosi a margine della cerimonia di riapertura della basilica, durante il quale l’illustre professore ha presentato anche l’ultima sua opera “Gerusalemme. Una storia” Cardini ha spiegato come dopo le distruzioni romane del II Sec. dopo Cristo, che avevano costruito sui luoghi santi una città diversa, Elia capitolina, fu soltanto dal IV sec., grazie a Sant’Elena, madre dell’Imperatore Costantino, che fu possibile ritrovare e ricostruire la pianta dei luoghi cristiani facendo si, attraverso un’operazione devozionale e propagandistica del cristianesimo, che numerosi fedele cominciassero a desiderare di visitare i luoghi della Passione di Gesù.Dall’VIII sec. e soprattutto durante il X sec. una Gerusalemme ormai conquistata dai Mussulmani, vide però un drastico diradamento dei pellegrinaggi, per questo motivo furono edificate costruzioni a imitazione della Cupola dell’Anastasis o del Santo Sepolcro, in modo da dare ai pellegrini una possibile meta sostitutiva .Questo è avvenuto appunto anche a Bologna, con il complesso religioso conosciuto come la Basilica di Santo Stefano.La tradizione vuole che sia stato San Petronio, vescovo di Bologna tra il 431 e il 450 e Patrono della Città, a volerne la costruzione a imitazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme.Tutto il complesso reinventava in chiave Italiana la perfezione numerologica e mistica delle sette Chiese Gerosolimitane. Nasce da questo l’appellativo “Santo Stefano detto Gerusalemme” o “Sancto Hierusalem” che si trova riportato nella dicitura di numerosi atti notarili della Città fin da quelli antecedenti l’anno mille.Per questo ha affermato ancora Cardini: “Santo Stefano non è una normale “copia” delle Chiese di Gerusalemme come ce ne sono da tante parti, ma tutto il “corpus” della Basilica, e il sistema di Chiese collegate, è la copia di luoghi santi come il Sepolcro, costruito proprio sulle antiche mappe della Città Santa.”L’interno della Basilica è una copia, in piccolo, della cupola dell’Anastasis di Gerusalemme; retta da dodici colonne di marmo e laterizio, ha al centro l’edicola del Santo Sepolcro che custodiva le reliquie di S. Petronio qui rinvenute nel 1141.Oggi il corpo del Santo non si trova più nella Basilica dopo che nel 2000 il Cardinale Biffi, Arcivescovo di Bologna, l’ha fatto traslare nell’omonima Basilica cittadina .

di Floro Panti

E’ stata una Abbazia Celestiniana la vera copia del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

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Una colonna di marmo cipollino nero, di origine africana e di epoca romana, situata sempre all’interno, simboleggia la colonna ove Gesù venne flagellato, e come si leggeva in un antico cartiglio, garantiva 200 anni di indulgenza a ciascuno ogni volta che si visitava questo luogo.Anche a Gerusalemme, all’interno della Basilica del Santo Sepolcro, nella Cappella dell’Apparizione, dove i Frati Francescani celebrano giorno e notte i loro uffici, è custodita, come ho avuto modo di vedere personalmente nel mio pellegrinaggio in Terra Santa del 2011, su una parete a fianco dell’altare, il tronco di una colonna di porfido nero, alta mt. 0,75, venerata da secoli come quella della flagellazione di Gesù.La volta e le pareti della Chiesa erano originariamente affrescate da Berlinghiero da Lucca (sec.XII) con scene bibliche. Quasi tutto questo ciclo pittorico è stato eliminato da discutibili e invasivi restauri operati verso la fine dell’ottocento; ciò che è rimasto, una scena che rappresenta il martirio dei Santi Innocenti, oggi è visibile nel Museo della Basilica.Uscendo dalla Chiesa del Sepolcro si accede al Cortile di Pilato, così chiamato in ricordo del lithostrotos, il luogo dove fu condannato Gesù. Il cortile che è delimitato a nord e sud da due porticati in stile romanico con colonne cruciformi in mattone, reca al centro una vasca in pietra calcarea poggiata su un piedistallo (risalente al XVI sec.) chiamato il “Catino di Pilato”: il catino è un’opera longobarda risalente al 740 e reca sotto il bordo una iscrizione latina. Sotto il porticato, su una colonna c’è un gallo in pietra databile al XIV sec., che ricorda l’episodio evangelico del rinnegamento di Gesù dell’Apostolo S. Pietro.Molto significativo, fra l’altro, per tutta la simbologia della passione di Cristo è che la distanza tra questo cortile e la vicina, collegata chiesa di S. Giovanni in Monte o del Santo Crocefisso (così è chiamata perché sorge su un’unica protuberanza naturale nel centro assolutamente piatto di Bologna ) sarebbe la stessa che esiste a Gerusalemme tra il Sepolcro ed il Calvario.Questa Chiesa fu Abbazia Celestiniana.Come abbiamo detto in precedenza, questo importante complesso chiesastico fu sede Abbaziale dell’Ordine dei Monaci Celestini, la congregazione fondata dall’eremita Pietro del Morrone, poi eletto papa con il nome di Celestino V e canonizzato il 5 maggio 1313.La Basilica di Santo Stefano, con il suo complesso di chiese, fu il secondo insediamento dei monaci Celestini in Bologna . Il primo, è risalente al 1368, quando un nobile cittadino Antonio Galluzzi, fece costruire per loro una chiesa e un monastero nel luogo dove ancor oggi insistono; S. Giovanni Battista dei Celestini.Stabilitasi in Bologna grazie alla munificenza del Galluzzi la comunità dei monaci Celestini, andò via via progressivamente sviluppandosi, fino a prendere possesso, nel 1493, dell’antichissima Basilica di Santo Stefano e dell’annesso convento, possesso che proseguirà ininterrottamente, come per il primo insediamento di S. Giovanni Battista, fino al 1797.All’inizio del 1600, le nuove Costituzioni Celestine approvate da Urbano VIII stabiliscono una nuova suddivisione in “Quartieri” delle abbazie e priorati, in sostituzione di quella prevista nel secolo precedente che prevedeva le Provincie.Santo Stefano viene assegnato al Quarto Quartiere, (ex Provincia Lombarda) che era costituito complessivamente da nove abbazie (di cui appunto due presenti in Bologna). Tale suddivisione rimarrà in essere fino al 1789 quando le leggi contro gli ordini religiosi, evolute nell’ambito del riformismo illuminato dei governi assolutisti dell’epoca,provocano la soppressione di numerosi monasteri. Per i restanti otto anni (1797) Santo Stefano e San Giovanni Battista di Bologna saranno inquadrati in quelli facenti parte dello Stato Pontificio. In questa importante Abbazia, si sono avvicendati importanti monaci celestini che hanno arricchito con le loro opere la bibliografia di questa celebre chiesa. Francesco Patricelli (1575), Antonio Casale (1637), Celestino Petracchi (1747). Fra tutti però è doveroso rendere omaggio a Donato Polieni (1600) da Siderno.Monaco illustre, dotato di profonda intelligenza ed eccellente studioso. Nato a Motta Sideroni- Siderno tra il 1570 e il 1575, entrò da giovane nell’ordine dei Celestini nel monastero di Santo Stefano di Bologna, dove oltre alla preghiera e alla meditazione approfondì i suoi studi teologici, filosofici e matematici e soprattutto quelli astrologici e storici per i quali nutriva una vera passione. In Bologna insegnò diritto canonico e lettere (dal 23 settembre 1377 lo studio dei Celestini era stato incorporato nella Facoltà di Teologia dell’università di Bologna).Nel 1598 diede alle stampe la sua prima opera dal titolo “Tractatus de intelligenti”. Scrisse inoltre un volume proprio sulla chiesa di Santo Stefano dal titolo “Relatione Historica overo Cronica della misteriosa Chiesa di Santo Stefano di Bologna detta Gerusalemme” pubblicato nel 1660 in lingua italiana.

di Floro Panti

E’ stata una Abbazia Celestiniana la vera copia del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

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12 LA PERDONANZA

La lettura delle opere dell’autrice aquilana Laudomia Bonanni apre lo sguardo del lettore verso la più delicata e sentita delle funzioni dell’essere umano: la procreazione. La scrittrice, grande conoscitrice dell’animo femminile, accentra la sua attenzione in particolare sulla figura delle madri e tratteggia, in tutti i suoi romanzi, figure femminili indimenticabili che incarnano il sentimento materno nei diversi aspetti in base alle situazioni personali e sociali. Emergono le immagini di donne protese verso la prole nella difesa dei figli durante l’infanzia, spesso misera, e nella continua ansia nei confronti degli stessi divenuti uomini che si trovano ad affrontare le avversità della vita. La donna, sempre protagonista, esprime la propria forza nella maternità, ne trae l’energia e la utilizza con fierezza e coraggio. Ma la maternità, dono stupendo ma gravoso, a volte turba l’animo femminile dibattuto tra la gioia e la paura. Quando quest’ultima prevale, la donna può preferire di non vivere l’esperienza, pure esaltante, del divenire madre e negare a sé stessa il ruolo che la vita le potrebbe proporre. Molto più spesso è la natura a scegliere e la frustrazione per la mancanza di tale esperienza, provoca una sofferenza tanto profonda da causare gravi problemi psichici. Nei romanzi di Laudomia Bonanni sono presenti alcune figure di donne che non hanno avuto o non hanno voluto cogliere l’opportunità di divenire madri ma che hanno creato un rapporto tanto profondo con un “figlio di anima” che ha permesso loro di superare l’aspetto fisico della maternità. Tanti sono gli esempi di madri putative e fin dalle sue prime opere l’autrice delinea ritratti di donne che sublimano il senso materno in una maternità di elezione. Tale aspetto trova la realizzazione nelle figure di Sandra nel romanzo “Il bambino di pietra” e di Giulia, nell’ ultimo romanzo pubblicato in vita: “Le droghe”. Entrambe sono donne che realizzano un sentimento materno nel rapporto di profondo amore con figli che, pur non avendo generato, comprendono in una vicinanza di anime che prescinde dalla fisicità. La maternità assume, nelle descrizioni di questi personaggi, un valore profondo ed intellettualmente più pregnante di quanto non sia, a volte, il sentimento che “naturalmente” si instaura tra madre e figlio. Lo scegliersi, il creare dal nulla un’ affettuosa complicità sono la porta per la comprensione ed il rispetto dell’altro per le scelte, i cambiamenti e le inaspettate sorprese che un figlio offre ad un genitore. Madri “di anima”, quindi, a volte adottive, o affettuose compartecipi della vita, anche senza un ruolo definibile, ma ugualmente pregnante e riconosciuto.La sensibilità di un’autrice attenta alle sfaccettature dell’animo, in particolar modo quello femminile, consente al lettore di riflettere su di un sentimento troppe volte scontato di amore materno. Madri si può essere anche senza aver partorito perché l’amore trae la sua forza in tutte le espressioni dell’animo come la comprensione e la paziente attenzione verso l’altro, in particolar modo quando l’altro impersona quel figlio tanto desiderato.Infine colgo l’occasione per rivolgere un invito a chi non conosce l’opera letteraria di Laudomia Bonanni ad accostarsi alla lettura dei suoi romanzi, dove si potranno trovare spunti di riflessione su molti temi oltre a rivivere, con il ricordo, le atmosfere cittadine in cui l’autrice ha spesso ambientato i suoi racconti.

Madre di anima

Laudomia Bonanni – L’Aquila, 1907 – Roma 2002 . Ha vissuto a L’Aquila , ha conosciuto la realtà aquilana post sisma del 1915; ha insegnato nei più sperduti paesi d’Abruzzo venendo a contatto con realtà sociali misere, ha ricoperto, per oltre venti anni, il ruolo di giudice esterno presso il Tribunale per i Minorenni a L’Aquila. Profonda conoscitrice delle problematiche giovanili, ha pubblicato molte opere alcune delle quali hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti. A lei è intitolato il premio di poesia “Città di L’Aquila”.

di Rossana Pellegrino

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13LA PERDONANZA

La convinzione che il sogno si fa già storia, un ragazzo di scuola media superiore lo racconta

A te bambino C’era una volta un castello. Anzi, un bellissimo castello. Mura possenti circondavano l’edificio, intervallate da alte torri con stendardi e bandiere che giocavano con il vento. Si trovava su un’alta collina, cosicché, se fossero stati invasi dai nemici,subito le guardie sarebbero corse ad avvertire il re che avrebbe preparato la difesa. Ma ciò non avvenne mai, era un paese felice, il cibo era abbondante e l’acqua era freschissima. Il paesaggio era incontaminato, l’uomo conviveva serenamente con la natura. Il paese si trovava su un’altura che era circondata da una piana interamente coltivata, i ruscelli erano deviati nei canali che attraversavano la piana. Qui si coltivava un prodotto unico, che i mercanti di tutto il mondo si contendevano: lo zafferano. Numerose greggi pascolavano sui verdi prati, la lana era fondamentale per la sopravvivenza. Il paesaggio era dominato da un alto monte, c’era addirittura chi affermava che fosse il monte più alto dell’Appennino italiano, lo chiamavano il Gran Sasso. Era un piccolo angolo di paradiso, come state capendo dal mio racconto, che non era però immune all’ingiuria del tempo. Fin qui tutte queste parole lasciano intendere che mi accingo a raccontare una favola, e già immagino i piccoli occhi stanchi dei bambini, a cui, quando stanno per addormentarsi, potrebbe essere raccontata. Ma, a differenza delle favole, questa è una storia vera. Per molti anni la vita proseguì felice, i secoli si succedettero rapidamente, e, lentamente, cominciò a delinearsi la società in cui viviamo oggi. Numerose invenzioni segnarono il definitivo allontanamento da quegli anni puri e felici: inizialmente fu inventata la polvere da sparo, poi il primo telescopio, l’elettricità e l’energia a vapore. Iniziarono successivamente a comparire le macchine, i treni e le barche senza remi. Fino ad arrivare agli anni in cui viviamo noi oggi: play station, game boy e tv. In tutto quest’arco di tempo il meraviglioso castello fu abbandonato, ormai non serviva più a nessuno. Le alte torri andarono in rovina, lo stesso accadde alle possenti mura e alle belle case. Era ormai disabitato quando, in una fredda notte d’Aprile, un terremoto fece tremare la terra, seminando morte e distruzione, e il castello, come tutto il circondario, fu distrutto. I bellissimi edifici crollarono, tanta gente rimase senza casa e la discordia si impadronì degli animi delle persone, quelle stesse persone i cui avi abitavano, molti secoli prima, quelle fertili terre. A te, bambino, proprio a te che sei steso sul letto e che hai i piccoli occhi stanchi per il sonno, chiedo di prendere in mano il tuo futuro : ama, divertiti, fai esperienze, studia ! E, quando sarai grande, se ti ricorderai di questa favola, vieni qui e aiutaci. Perché qui, bambino, abbiamo bisogno di persone come quella che io sogno che un giorno tu potrai diventare. Fai tesoro delle esperienze che ti donerà la vita, scegli accuratamente le amicizie, saranno quelle che ti accompagneranno per sempre. Studia e sii consapevole, ci sarà sempre colui che cercherà di farti del male, lotta per la tua libertà e non permettere mai a nessuno di calpestarla. Diventa padrone del tuo destino; sii onesto, leale, rispettoso, sarà per queste virtù che la gente ti ricorderà. Cresci e diventa forte. Il magnifico paese, di cui prima ti ho narrato, è qui ad aspettarti.

di Mattia Riocci

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14 LA PERDONANZA

…allora il mondo sta male per colpa delle farfalle!! Che dire del battito d’ali di una farfalla che può causare un uragano dall’altra parte del mondo? E’ vero! Non riesco a trovare scuse per attribuire ad altri e non all’uomo le responsabilità di tanti disastri.Gli esperti dicono che gli animali d’allevamento fanno troppe puzze ed ecco chiarita una parte di colpa per l’inquinamento che ha mutato il clima del pianeta.Non vogliamo riconoscere a noi stessi che la terza rivoluzione industriale ci fa vivere comodamente da settant’anni e che adesso ci risulta banale rinunciare a tanto lusso per un po’ di schifezze che prima di bucare l’ozono avevano già avvelenato la terra e il mare.Il mondo è febbricitante ma che possiamo farci? Questo progresso-regresso lo si potrebbe interrompere o rallentare solamente se decidessero di farlo anche tutti gli altri stati del mondo: prendere l’iniziativa da soli significherebbe, in poco tempo, soccombere allo strapotere altrui.I grandi uomini che rispettano l’habitat in cui vivono si stanno estinguendo; in prevalenza, il mondo è popolato dal moderno bipede sapiens che dal dopoguerra ad oggi ha trasformato il mondo da paradiso terrestre a mondezzaio. Altro che inquinamento causato dagli animali d’allevamento! Nessuno dimenticherà mai le volte in cui hanno battuto le ali gli impianti nucleari di Fukuschima e Chernobyl.In quei mesi, per lo sgomento, i popoli di tutto il mondo hanno trattenuto il fiato, ma dopo il panico iniziale hanno deciso di proseguire lo stesso cammino prestando più attenzione all’utilizzo di tutte le risorse. Il petrolio, la chimica e il nucleare continueranno ad essere le straordinarie novità anche di questo secolo. Siamo gli artefici del nostro destino, o come dicevano gli indiani d’america “Ognuno di noi fa la punta alla freccia che lo ucciderà”.A Kioto, dove si prendono le decisioni importanti sulla salvaguardia dell’ambiente, hanno deciso di curare la febbre del pianeta con la camomilla. La verità è che il mondo si è ammalato gravemente così come un uomo se venisse maltrattato e malnutrito. Se solamente si capisse che tutte le creature e le cose dell’universo sono state create, magnificamente, adoperando un solo impasto…. Gli elementi che compongono l’uomo sono gli stessi di tutta la natura che lo circonda; nell’organismo

di Marcello Nissi

IL FINE GIUSTIFICA I PEZZI

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15LA PERDONANZA

umano c’è anche un’infinitesima particella d’oro e chissà se un giorno riusciremo ad estrarre pure quella per poterla spendere.Abbiamo una buona cura personale e ci garantiamo salute e benessere, senza pensare che ci viene sete o fame, caldo o freddo, esattamente come capita agli alberi, ai somari o al mondo intero.Tutto fa parte di un unico organismo e noi nell’insieme siamo cellule che interagiscono con altre cellule. Oramai c’è solamente una soluzione per salvare il mondo. Dobbiamo cercare di capire in cosa abbiamo sbagliato e poi, con umiltà, farci aiutare dai bambini delle scuole: in futuro, saranno loro a tirarci fuori dal guaio che abbiamo combinato. L’altro giorno, in montagna, mi sono seduto per un po’; i boschi mi sembrava che riposassero, o forse stavo riposando io… …non so… …mi piace l’idea che stavamo riposando entrambi.Bene! Ho capito che ciò che mi arrivava da quel paesaggio erano solamente promesse rassicuranti che vengono mantenute ogni giorno. Anch’io vorrei trasmettere lo stesso amore alla natura, per farlo credo sia sufficiente non dimenticarmi mai di essere parte integrante di essa. Mi dispiace per chi la pensa come Cecco Angiolieri ma, francamente, se io fossi fuoco non arderei il mondo; se fossi vento, non lo tempesterei; s’io fossi acqua, non l’annegherei… …lo lascerei vivere in santa pace. A me piace così! Per come si veste ogni stagione e per quello che mi offre e mi racconta! Mi piace tantissimo!Mi piace un mondo!

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16 LA PERDONANZA

Una poesia per essere vicino e solidale ai tanti giovani e meno giovani che per un pezzo di pane lasciano i loro paesi, le loro case, i loro cari e si avventurano all’estero in cerca di lavoro adattandosi a fare anche quelli più umili. Da persone, degne di essere definite tali, dobbiamo rispettare e, per quanto possibile, aiutare questi nostri fratelli accordando loro tutto il nostro sostegno per una vera e reale integrazione. Tutto ciò anche alla luce del Natale che ci deve indurre ad essere più buoni e, soprattutto, più disponibili nei confronti di coloro che non hanno nulla ed ai quali, talvolta, si nega anche la tranquillità del nulla avere. Buon Natale.

Ti ho visto giovinetto spaesatosui monti austeri di Cabbiadomenica mattina ti ho incontratoun sorriso bonario un ciao e viatra mille speranze il tuo paese hai lasciatoper approdare in questa terra pia che ti accetta ti stima e ti apprezzacon affetto amore e tenerezza.

Ti accoglie con il suo sguardo pieno di dolcezza come persona, un essere vivente è una mamma che ti culla e ti accarezzacon animo sincero e compiacenteesalta la tua innocente purezzasei una stella solitaria e rilucente è pronta a stringerti al suo grembo amenocome un figlio ti alimenta con il proprio seno.

Cerca di rendere il tuo soggiorno serenoanche sé sarà duro e faticosoil suo sostegno non verrà mai menoaffinché il futuro sia meno tedioso in questo paese rispettoso e arcanola tua permanenza, un lume radiosonella stagione brutta e in quella bellati farà compagnia il belato di un’agnella.

Dura esperienza dell’età novellaquella di un pastore ragazzinocui tanta solitudine mozza la favellaanche se sostenuto dal Divinosimili ricordi nessuno mai cancella dalla mente di quel giovincello, un bambinoche tra lampi e tuoni nella notte scurasi fa coraggio con la sua paura.

Dall’alto ammiri la vicina pianura ti si accendono subito mille raggiere sembra che il cielo si misura con le tue poche vissute primavere mentre ti avvii tremante alla ventura guidato dal bisogno e dal dovere in cuor tuo pensi al magico giornoin cui a casa tua, felice, farai ritorno.

Il pastore ragazzino

di Nando Giammarini

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17LA PERDONANZA

E’ questo il puntoDesidero fare il “punto” sulla vita magari utilizzando i “punti”

Dopo un “punto e virgola”, in segno di pausa al termine di un lungo periodo, tutto è iniziato con alcuni “punti di sospensione” e un bel “punto esclamativo” seguito subito da un personale “punto interrogativo”

Da quel momento la vita è andata avanti con alcuni “punti di ripresa” e “punti di arresto” intervallati da qualche “puntiglio” durante i quali non ho fatto altro che mettere con chiunque i “puntini” sulle i

Ad un certo “punto” è arrivato il “punto di svolta”

Dopo alcuni “punti di vista” e tanti “punti di riflessione” sono stato “punto” da una straordinaria intuizione

è stato allora che finalmente ho messo “due punti” per iniziare un bel periodo

Non so quanti come me sono arrivati alla stessa conclusione, ad un “punto fermo” con la consapevolezza del “punto a croce”

Accade che il “punto di non ritorno” non spaventa più e si affronta la vita senza cercare “punti di fuga”

Accade di “puntare” su prospettive più radiose e il mondo non ti appare solamente come un piccolo “punto” nell’universo

Non sarà un “punto” a mettere fine a tutto questo

il periodo proseguirà dopo un “punto e virgola”, alcuni “punti di sospensione” e uno straordinario “punto esclamativo”

E’ questo il punto

di Marcello Nissi

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18 LA PERDONANZA

PER UNA NUOVA PROPOSTA ETICA

INSIEME per la PACE dialogando

Mustapha Toumi, Vice-Presidente del Centro di Cultura e di Studi Islamici della Romagna con sede a Ravenna, ha ideato e coordinato un importante ciclo di Conferenze sui temi del dialogo interculturale e interreligioso: Insieme per la Pace : Dialogando. Sono intervenute tante personalità, dal mondo accademico a quello politico, dai letterati ai filosofi, Islamologi, giornalisti, medici, scienziati, esperti di finanza, di teologia, di bioetica, la Caritas Diocesana, il movimento dei Focolarini ecc. Tra questi è stato invitato anche il frate francescano di L’Aquila, il giorno 23 novembre scorso con il tema : “Gli esseri nell’armonia dell’Essere”. Il secondo relatore della serata era il prof. Kamel Layachi, Imam della Cominità Islamica del Veneto, Responsabile del dipartimento Dialogo iterreligioso e Formazione, del Consiglio Relazioni Islamiche Italiane.

Il Dott.Mustapha nel presentare il relatore francescano dava proprio la netta sensazione di conoscere bene il frate che a L’Aquila accoglie anche i fratelli musulmani con amore fraterno incondizionato. Gli hanno mostrato tanta stima e gratitudine, quella che hanno sempre fedelmente accordata a San Francesco d’Assisi e ai suoi discepoli. Il motivo più recente è stato quello di ricordare ai presenti che frate Quirino Salomone, l’anno scorso concesse un spazio accanto alla chiesa cristiana dove i fratelli della comunità islamica di L’Aquila oltre a frequentare la mensa dei poveri, poterono impiantare una tenda per celebrare il Ramadam. A questo punto un profondo, rispettoso silenzio. Mustapha, il moderatore, guarda emozionato il frate e lo ringrazia per aver rinunciato, in questa circostanza, ad ogni tipo di compenso, neppure il rimborso della benzina, come piccolo dono in favore della costruenda Moschea in Ravenna.

Auguri per la nuova Moschea

Ashraf Abdelkader, Imam di Ravenna,

Kamel, Mustapha, Padre Quirino

Visita alla nuova Moschea

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19LA PERDONANZA

Profumo di Nataledi Rossana Pellegrino

messa. Qualcuno era riluttante ad uscire con quel freddo, ma “Sei sicura di voler uscire? Non possiamo andare domani?” I giovani erano già pronti ed io non volevo rinunciare alla Messa di Natale. Non si poteva tardare, sarebbe stato difficile trovare il parcheggio vicino a San Bernardino. Nel salire la scalinata facendo attenzione ad appoggiare i piedi nei gradini oltre il cordolo per evitare il ghiaccio, già sentivo che arrivava il “mio” Natale. Quello dell’anima, che poco ha in comune con i regali, le cene, i panettoni e che mi dava il senso della vita che si rinnova, del sovrumano che si accosta a noi. C’era già tanta gente. I banchi erano quasi tutti occupati e c’erano ancora tante persone che entravano nella grande Basilica. La notte di Natale le chiese si riempiono della gioia di un sorriso, di un augurio.Durante la celebrazione le voci dei coristi, celati dietro il coro ligneo, donavano alla funzione una magica atmosfera. Padre Quirino poneva il bambino nella mangiatoia. Era Natale. Ci scambiavamo abbracci ed auguri. All’uscita nel freddo pungente eravamo ancora avvolti dal calore dell’atmosfera che si era creata intorno a noi. Per il corso, insolitamente popoloso per l’ora, gocciolavano le luci degli addobbi. Tra poco saremmo stati al caldo nelle nostre case dove ancora aleggiavano gli aromi delle pietanze consumate, il profumo dell’albero di Natale, dei dolci. Nel salotto le carte dei regali aperti frettolosamente erano ancora per terra. Ero stanca. Ma c’era ancora una cosa da fare. Nel piccolo presepe potevo mettere il protagonista. Il mio bambinello nasceva in casa mia, tra le cose che amo, per me, per i miei cari. Anche quest’anno, bambino, tutto questo non ci sarà, ma tu, ritrova la strada dei nostri cuori, asciuga le lacrime, dacci la forza di tornare ad essere quelli di qualche anno fa. Buon Natale.

La mattinata era passata velocemente, l’uscita frettolosa dall’ufficio, lo scambio degli auguri poi di corsa per le ultime compere, i dettagli per la cena. Il pranzo sarebbe stato uno spuntino veloce tanto la sera ci saremmo rifatti con il tradizionale cenone natalizio. Nel pomeriggio, tra una telefonata e qualche breve saluto con i vicini, preparavo la tavola della festa. E poi tutti a cena tra la tradizione e qualche novità; l’attesa dei regali. Non c’erano più bambini, tutti erano grandi ed i vecchi avevano lasciato il testimone a noi. Poi mi preparavo per la

Tutti noi del Centro Internazionale Studi Celestiniani auguriamo a tutti i nostri lettori di La Perdonanza

Buon Natale e Felice Anno Nuovo

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20 LA PERDONANZA

San Francesco custode del

Parco Sirente-Velinodi Pasquale Casale

Ricordate? Nel 2008 a Castelvecchio Subequo, con una solenne cerimonia, fu proclamato “San Francesco custode del Parco Regionale Sirente-Velino”.Da allora, coinvolgendo le scuole del parco, molte attività sono state portate a termine con lo scopo di sensibilizzare, attraverso il messaggio di San Francesco, sia gli studenti che gli insegnanti al rispetto della natura e del creato.Con l’intervento di docenti universitari ed esperti del Corpo Forestale, si sono appassionati al progetto più di 1000 alunni con i loro insegnanti ed hanno eseguito brillantemente attività didattiche e di ricerca, tutte nel rispetto del bene natura.Durante un incontro formale, avvenuto lo scorso 8 novembre tra la Regione Abruzzo rappresentata da me in qualità di responsabile dell’Ufficio Conservazione della Natura e da Nissi Marcello quale amministratore della Fondazione Centro Studi Celestiniani per la Pace si è imbastito un programma di avvenimenti educativi e culturali per l’anno 2013. Come già è avvenuto precedentemente, tenderemo, assieme al Direttore del Parco Sirente-Velino, al coinvolgimento di molte scuole in 8 Regioni tra cui l’Abruzzo con l’obiettivo di trasmettere agli studenti, così come previsto dalle direttive comunitarie, la conoscenza della biodiversità, della sua importanza e della necessità di tutelarla.Ospiti dell’incontro, l’ideatore del progetto Pradre Quirino Salomone ed il Direttore del Parco dei Monti Simbruini Dott. Alberto Foppoli.Il Dott. Foppoli ha voluto conoscere nei dettagli tutto il progetto, soprattutto per quanto riguarda il coinvolgimento delle scuole alle tematiche ambientali.

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21LA PERDONANZA

Il Parco dei Monti Simbruini si trova nel territorio della regione Lazio a cavallo delle province di Roma e Frosinone ed è ricompreso nei territori dei Comuni di Camerata Nuova, Cervara di Roma, Filettino, Jenne, Subiaco, Trevi nel Lazio e Vallepietra.La Regione Abruzzo partecipa al progetto LIFE denominato FARENAIT (Fare rete natura 2000 in Italia), finanziato con fondi Europei. La rete natura 2000 riguarda tutte le aree protette e non, a livello europeo dove esiste biodiversità da tutelare.Il Progetto FARENAIT riguarda anche la Regione Lazio e pertanto sul versante Laziale esiste il Parco dei Monti Simbruini, mentre sul versante abruzzese, tutta la parte della Valle Roveto è ricompresa in una ZPS (Zona di protezione Speciale) riconosciuta dell’Unione Europea, dal Ministero dell’Ambiente e dalla Regione Abruzzo.Pertanto, partendo dal mondo scolastico, si comincia a formare i ragazzi alla conoscenza della biodiversità, della sua importanza e della necessità della sua tutela.Proprio San Francesco, con il suo “CANTICO DELLE CREATURE”, propone una nuova visione e una relazione nuova con tutto il Creato.Durante l’incontro che ha assunto significati più profondi, abbiamo cercato di capire come estendere il progetto di educazione ambientale anche ad altre realtà. Il coinvolgimento del Parco dei Monti Simbruini, con quello del Sirente-Velino può diventare un esempio di buone pratiche e concrete sinergie. Con fiducia, abbiamo iniziato ad affidare alle nuove generazioni il futuro della biodiversità di questo pianeta, così maltrattato e ferito dall’uomo.

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22 LA PERDONANZA

Il Natale è la festa dell’incontro, festa della famiglia per eccellenza, del convivio e anche della cucina. Il Natale è per tutti noi un momento magico e per chi come me nutre questa grande passione il Natale si traduce in un’atmosfera, ricca di calore e di sapori tradizionali che si tramandano in famiglia nel tempo.In questi giorni dell’anno, la tavola e la cucina sono i due luoghi emblematici, che meglio rappresentano la “riunione” familiare, il ritrovo. Luoghi dove raccontarsi, preparare con attenzione e vivere un momento di convivialità, lontano dalla frenesia e dai soliti ritmi quotidiani. Già immagino mamme e nonne pronte ai fornelli per preparare i piatti tipici, quelle ricette che sono d’obbligo in ogni menu delle feste e che danno al Natale il giusto sapore. Da chef posso confermare che è proprio attraverso la cucina che esprimiamo anche la voglia di stare insieme ai parenti e agli amici, che regaliamo il nostro tempo e la nostra attenzione agli altri. In fondo è proprio questo il potere dei fornelli, non solo saper creare gustosi sapori, ma momenti di condivisione che nascono attorno alle tante e diverse tradizioni che si vivono da nord a sud del nostro paese. Quando penso al mio lavoro penso a una persona che ha il potere di far star bene la gente. E questo mi riempie di gioia. Si prova sempre un grande piacere quando si decide di cucinare qualcosa di buono per un marito o un caro amico, un piatto nuovo, gustoso, da condividere. Durante le feste questo piacere interiore che ci fa sorridere la mente e il cuore si amplifica. L’impegno della cucina che ogni buona padrona di casa ha, diventa uno stupendo regalo per i propri ospiti. Il tempo che si trascorre a preparare le ricette scelte, a selezionare con cura gli ingredienti, ad addobbare la casa e la tavola sono tutti momenti di cura verso gli altri, in cui ci dedichiamo con voglia e passione, in cui cerchiamo gli altri e la condivisione. Tutto inizia dalla cucina per poi passare dalla tavola, ma è durante la preparazione che si condivide il senso della festa, della preparazione, del lavoro fatto sorridendo insieme agli altri, tra mille chiacchiere che riempiono la casa.

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23LA PERDONANZA

Ed è proprio il senso della condivisione che si accentua. Il Natale diventa condivisione di un sorriso, di serenità, di sostegno, di parole e di sentimenti tra amici cari, parenti che si cercano e si ritrovano insieme per riconoscere in questo momento, l’importanza dello stare insieme. Un senso alto nella nostra vita, che non può essere trascurato, ma che va alimentato durante tutto l’anno, anche se siamo sempre di corsa, presi dal lavoro.E’ bello raccogliersi intorno alla tavola e regalare al palato, allo stomaco e al cuore piacere, gusto e serenità.Dovrebbe essere questa la vera ricetta per questo Natale, che arriva dopo un anno difficile per molti, ma che non deve trovarci sconfitti, ma sempre pieni di speranza e ottimisti nel nuovo che arriverà.

Buone feste a tutti!

Fabio Campoli

Fabio Campoli propone per queste feste Il Pasticcio di crespelle a più elementi di sapore

Ingredienti per 6 personeSfoglie da crespelle, 6Pasta sfoglia, g150Salsa besciamella, lt1/2Parmigiano grattugiato, g60Mozzarella, g150Funghi champignons trifolati, g300Uova sode, n°2Prosciutto cotto, g150Olive nere di qualità, g70Noci sgusciate, g70Prezzemolo tritato, g5Olio extra vergine, cucchiai 2Cipolla, g20Salsa di pomodoro

EsecuzioneIn una casseruola preparo un fondo con l’olio e la cipolla tritata, lo lascio cuocere lentamente fin quando non risulterà dorato.

Aggiungo al fondo le olive denocciolate e tagliate a pezzi, il prosciutto cotto tritato e lascio insaporire per 5 minuti, tolgo dal fuoco e aggiungo ancora le uova sode tagliate a dadini, i funghi champignon trifolati e il prezzemolo tritato.Stendo la sfoglia ad uno spessore di mm5, ci fodero uno stampo alto cm 5.Inizio a comporre all’interno dello stampo procedendo in questo modo:sul fondo metto il composto di prosciutto cotto e funghi, una spolverata di parmigiano e poco prezzemolo tritato, copro con una sfoglia da crespella.Passo ora al secondo strato che dovrà essere composto soltanto da besciamella e mozzarella tritata, copro con la sfoglia di crespelle e farcisco di nuovo con il composto di funghi, poi la sfoglia di crespella e ancora la besciamella e mozzarella tritata, proseguo fino ad arrivare al bordo dello stampo.Conservo in frigorifero.Un’ora prima di servirlo inforno a forno preriscaldato a 180°C per almeno quaranta minuti, dopo la cottura lo lascio riposare per altri 20 minuti circa.Taglio a fette e servo accompagnato da salsa al pomodoro alla menta romana.Ovvero una normale salsa al pomodoro aromatizzata con la menta al posto del basilico.

Natale, la festa del convivio

di fabio campoli

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24 LA PERDONANZA

Alla fine degli anni ottanta e inizio anni novanta, a Sant’Egidio alla Vibrata la piaga della tossicodipendenza era ad un livello critico. C’erano state delle morti per overdose, le famiglie coinvolte, per vergogna negavano l’evidenza dei fatti e di conseguenza non chiedevano aiuto. Lo racconta Gianna Raschiatore, appassionato direttore della Casa di Disassuefazione “Le Ali, davanti ad una platea di amici dell’Associazione Progetto convenuti per una cena di Beneficenza a sostegno dell’Associazione, nella splendida cornice della mensa del Maglificio Gran Sasso. All’incontro erano presenti: Attilio di Feliciantonio, Presidente della Sezione Val Vibrata del Centro Internazionale Studi Celestiniani, padre Quirino dall’Aquila e alcuni suoi stretti collaboratori, Marcello Nissi e Manuela Di Cuollo, da sempre vicini all’iniziativa. A Sant’Egidio, l’impegno di occuparsi di prevenzione del disagio e di recupero dalla tossicodipendenza mette “le Ali”. L’arrivo di Suor Lea, una straordinaria suora Concezionista esperta nel campo, sconfigge l’omertà nei confronti di questo grave problema umano e convince genitori, famiglie e volontari a mettersi insieme per una sfida straordinaria con lo stile di Don Mario Picchi e l’appoggio del Centro di Solidarietà di Pescara presieduto da Anna Durante.Viene sensibilizzata l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Biagio Ciampini, collaborano le aziende locali, professionisti, semplici cittadini. Oltre il lavoro di sensibilizzazione aumenta la richiesta fino a doversi prendere in carico quei ragazzi che non riuscivano a superare l’astinenza in casa prima di essere inseriti nella comunità di Accoglienza al Ce.I.S. di Pescara. Arriva il sostegno dell’allora sindaco Filippo Bellucci, la collaborazione di Giuseppe Di Giminani e Gabriele Di Francesco, rispettivamente direttore e sociologo del Ser.T di Nereto, che proposero di istituzionalizzare il servizio che fu quindi avviato sotto la supervisione del Ce.I.S. di Pescara. Don Elvezio Di Matteo in accordo con il Vescovo di San Benedetto, monsignor Gervasio Gestori, offre la casa parrocchiale di Faraone, in comodato gratuito. Il Comune, la Regione, la Provincia e la Tercas appoggiano l’iniziativa, che ormai è cresciuta, “Le Ali” sono dispiegate, grande professionalità, cuore e mente, stima immensa e collaborazione di tutta la comunità della Val Vibrata. Arriva il riconoscimento “Premio Volontariato Teramo” e l’affido di nuovi progetti ministeriali. Che bel segnale di speranza! Grazie a “Le Ali”.

A Sant’Egidio alla Vibrata (TE) il racconto di una straordinaria esperienza umana e spirituale per fronteggiare il problema “droga”.

Casa di Disassuefazione “Le Ali” di Fiore Zuccarini

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Giovani in centro: un regalo rifiutatoA circa tre anni dall’inizio della vicenda relativa ad un progetto per la realizzazione di un villaggio per giovani volontari a L’Aquila, promosso dalla Fraterna Tau – Onlus, ci vediamo costretti a ricorrere alla stampa per denunciare l’inspiegabile e a dir poco scorretto comportamento del Comune di L’Aquila.Nelle poche righe che seguono vogliamo offrire dei riferimenti cronologici e dati precisi, con i nomi di coloro che, gestori (non padroni!) della “cosa pubblica”, dovrebbero dare risposte ai cittadini aquilani, soprattutto a quelli che hanno deciso di scommettere ancora sul futuro di questa città, promuovendo attività, erogando servizi, impegnandosi ogni giorno con fatica per offrire una possibilità di riscatto per tutti. Vogliamo riflettere sul tema del potere come servizio e non quale mero opportunismo.Iniziamo ad avere coscienza che il nostro progetto per i giovani, cosi’ come fu (e per certi versi continua ad esserlo) per la realizzazione del Complesso in Piazza d’Armi, incontri le antipatie del Comune. Ma perche’? Perché a nessuno interessa dell’emergenza sociale della città? Nessuno si chiede dove dimorino gli stranieri giunti in città attirati dalla falsa chimera di un posto di lavoro nei cantieri della ricostruzione? Dove bussino i padri di famiglia che fanno fatica a mettere un piatto sulla tavola o a pagare la bolletta del gas...? Qualcuno ha mai pensato di potersi calare nella disperazione di una ragazza madre che abbia da offrire al proprio figlio il solo latte materno? All’indomani della costruzione di Piazza d’Armi, molti hanno detto a cosa servisse “un’altra chiesa di S. Bernardino” ma a nessuno è stata mai negata la possibilità di entrare in chiesa a pregare. Forse è proprio questo il punto di tutta la vicenda: apprezziamo qualcosa solo in virtu’ della sua assenza. Da un lato c’è chi si riempie la bocca di programmi per l’immigrazione, di politiche per la famiglia, di piani strategici di ricostruzione ma nessuno conosce Adrian, Adila, il piccolo Iacob, che

quest’anno ha iniziato la scuola o la neonata Olena che guarda fiduciosa al futuro con i suoi occhi azzurri. In pochi sanno quanto siano diventati allegri i pomeriggi di Manuela da quando ha iniziato il Servizio Civile alla Mensa di Celestino e quanti nuovi amici abbia incontrato. Ma tutto questo non serve alla città……Alcuni ci hanno detto che con i soldi spesi per il complesso di Piazza d’Armi, potevamo ricostruire lo stabile di Via dei Giardini. E noi rispondiamo che gli aquilani dovrebbero invece esprimere il loro grazie alla Protezione Civile perché se in questi tre anni abbiamo riattivato il servizio alla Mensa dei Poveri e creato un Centro di Accoglienza, tenuta aperta la chiesa per una meditazione è solo grazie alla nostra attuale sede, diventata una bella impresa sociale a servizio della città, proprio come nelle originarie intenzioni. Mi chiedo quanti anni occorrano ancora per ricostruire un palazzo vincolato in pieno centro storico….Vogliamo lasciarvi con questi elementi di riflessione, per dare ad ognuno la possibilità di farsi la propria idea sulla vicenda e ribadire a tutti quale sapore abbia lo spirito che guida tutto l’operato del nostro Movimento Celestiniano, un impegno libero da mire personalistiche, nutrito di fatti e non di parole, di contatto quotidiano con il bisogno, la disperazione, l’emergenza. Rivendichiamo in Comune questo tipo di impegno, questa voglia di esserci, di non consegnare all’abitudine di strade deserte e case dirute i nostri progetti dell’Aquila che sarà.

IL PROGETTO IN CIFRE…..

1. Il progetto edilizio è a totale carico economico della Committente Associazione Fraterna Tau – Onlus, che si è impegnata con Protocollo d’Intesa dell’08 aprile 2010 a raccogliere liberalità e donazioni per un totale di euro 250.000,00 provenienti da: Associazione Massimo Oddo – Onlus, Club Rotary di Roma Sud-Ovest e

di Alessandra Giorgi

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Pomezia Lavinium, l’Ipab di L’Aquila, oltre a risorse personali dell’associazione e a quelle dell’Atletica L’Aquila.

2. Come indicato nella citata delibera di Giunta Comunale relativa all’ assegnazione dell’Area, al termine dei lavori, l’intero complesso verrà acquisito in proprietà del Comune di L’Aquila a titolo gratuito

3. Il progetto edilizio attuale è stato modificato seguendo alla lettera tutte le indicazioni del settore Pianificazione e Ripianificazione del Comune di L’Aquila

4. Sul Progetto insiste da quasi tre anni un finanziamento di euro 200.000,00 per la realizzazione di attività aggregative a favore dei giovani ottenuto nell’ambito della Progettazione Straordinaria Emergenza Abruzzo , che dovevamo realizzare nel famoso villaggio e che rischiamo di perdere avendo già chiesto una proroga

5. Le associazioni che, all’indomani del terremoto si sono volute impegnare con un personale contributo a favore della ricostruzione, sono stanche di ascoltare scuse e rinvii inutili e pretendono delucidazioni in merito alla vicenda.

INIZIANDO DAL PRINCIPIO…..

• AGOSTO 2009 primi approcci con il Comune, nella persona del dirigente SUAP Ing. Lucio Nardis, per individuare un’area per la rilocalizzazione

• OTTOBRE 2009 richiesta di rilocalizzazione presso un terreno demaniale situato in Via Amiternum, la cui disponibilità, individuata ed assicurata in un primo momento dal settore Ambiente dello stesso Comune di L’Aquila, viene negata da parte del Nardis perché trattasi di terreno demaniale (Doc. A) ( Come dire la destra non sa quello che fa la sinistra )

• FEBBRAIO 2010 Individuazione di un nuovo terreno di fronte alla Scuola Allievi della Guardia di Finanza, per il quale stipuliamo un regolare contratto di fitto che poi dobbiamo svincolare perche’ ci viene comunicato ( a voce !!!! perché nessun dirigente si incarica di mettere per iscritto le proprie ” sensazioni “ amministrative ) che il terreno è a rischio di esondazione idrogeologica. A quanto pare questo rischio sussiste solo per noi, viste le recenti costruzioni del Gallucci che ivi sorgono. Questa operazione ci viene a costare euro 1.000,00 quale anticipo cauzionale per il contratto di fitto del terreno (Doc. B)

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• MAGGIO 2010 Individuazione di un nuovo terreno privato in loc. S. Giuliano. La nostra domanda viene presentata insieme all’Ass. Cardinale Antonio Innocenti – Onlus di L’Aquila. Caso strano la richiesta viene accordata a loro e a noi no. Loro costruiscono. (Successivamente l’autorizzazione viene negata anche a loro e tuttora esiste un’indagine per definire il destino degli immobili costruiti). Con Prot. 41468 del 29.08.2011 il Comune, sempre nella persona del Nardis, ci comunica il diniego alla disponibilità di questo terreno di S. Giuliano dicendo che l’area da noi richiesta era già stata richiesta e valutata “in via esclusiva in precedente conferenza di servizi” dall’Associazione Cardinale Innocenti. Ma se la domanda presentata era un unico documento, come è possibile che sia stata valutata distintamente? E che noi ne siamo esclusi. La seconda causa di diniego risiede nel fatto che l’area “è interessata da due comunicazioni avanzate ai sensi della delibera di Consiglio Comunale n. 58/09”. Come è possibile pertanto che la valutazione sia stata esclusiva a favore della Cardinale Innocenti?Il nostro avvocato Isidori ha presentato sulla base di queste osservazioni regolare ricorso, al quale ancora oggi non abbiamo avuto risposta, essendo tra l’altro trascorso abbondantemente il termine massimo dei 120 gg. L’operazione ci è costata euro 3.000,00 quale anticipo cauzionale per il contratto di fitto del terreno e € 500,00/mese per 1 anno (Doc. C)

• MAGGIO/GIUGNO 2010 Insieme all’associazione Il Cenacolo degli Angeli Onlus individuiamo una nuova porzione di terreno sulla SS.80 e per la quale viene erogato regolare fitto al proprietario Di Donato. Anche qui dopo lungo periodo ci viene comunicato che l’area è a rischio esondazione idrogeologica. Il divieto vale solo per noi vista la bella e grande costruzione sorta da qualche giorno di proprietà dello stesso Di Donato. Questa operazione è costata circa euro 100.000,00 per lo sbancamento e lavori di riempimento. (Doc. D)

• MARZO 2012 Dopo varie richieste di assegnazione dell’area, otteniamo con delibera comunale di giunta n. 172 del 13.04.2012 l’assegnazione dell’area all’interno del progetto case di Coppito 2.

• AGOSTO 2012 DEPOSITIAMO IL PROGETTO CON Prot. 0051343 del 02.08.2012 e con Prot. 0052516 del 08.08.2012 ci viene comunicato il responsabile del procedimento, tale Geom. Fabio Vallese.

• Vengono pertanto presentate tutte le integrazioni e/o modifiche richieste dai tecnici incaricati, rendendo il progetto impeccabile dal punto di vista tecnico/amministrativo.

Comune di L'AquilaProvincia di L'Aquila

PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE DIMANUFATTI ADIBITI AD USO SOCIALE E

SERVIZI

Centro OperativoERRECUBOVia Sant'Antonio n.18Serra dei Conti (AN)

Responsabile TecnicoGeom. Pietro Tassi335 6103475

Committente:Giorgi PaoloAntonella di Gregorio

ISTITUTO PUBBLICOASSISTENZA E BENEFICENZA I.P.A.B.

FRATERNA TAUIL CENACOLO DEGLI ANGELI

Comune di L'Aquila

TAV_1inquadramento generale

LIVELLO 1 sistemazione esterna

ProgettistaArch. Claudia Pierantonio347 8343340

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Un anno scolastico davvero ricco di percorsi didattici interessanti quello che la Direzione Didattica di Celano, guidata dal Dirigente Scolastico Dott. Abramo Frigioni, ha inaugurato con una significativa benedizione di Papa Ratzinger il 12 novembre 2012 in Piazza San Pietro a Roma.Tante le iniziative promosse ed i Progetti che verranno realizzati allo scopo di raggiungere i numerosi ed ambiziosi obiettivi a cui il Piano dell’offerta formativa dell’Istituto celanese intende giungere.A fare da sfondo al percorso didattico intrapreso una tematica di grande attualità e di innegabile valore educativo: l’interazione razziale a cui non si può giungere senza porre la basi, a scuola innanzitutto, dei concetti di multiculturalità e di interculturalità.Il 16 Ottobre, nell’auditorium della cittadina, si è svolta una manifestazione dal titolo “Noi con voi..voi con noi” che ha visto coinvolti tutti gli alunni e le famiglie appartenenti alle 12 nazionalità presenti nella scuola. Con canti, filmati, testimonianze e bandiere di ogni nazione gli alunni hanno voluto dare un messaggio di pace, amore, solidarietà ma soprattutto di “apertura”, di “rispetto” e di “accoglienza” nei confronti di quanti vivono la presenza dei numerosi immigrati nel territorio italiano come un disagio. La Direzione Didattica di Celano si è inoltre inserita, come scuola capofila, in un Progetto Plurilingue in rete, indetto dal Ministero

della Pubblica Istruzione, finalizzato alla sperimentazione del curricolo plurilingue e interculturale nel primo ciclo di istruzione attraverso la messa in atto di nuove metodologie didattiche per l’insegnamento integrato delle lingue di scolarizzazione. Per la ricorrenza del Santo Natale, il Dirigente Scolastico ha scelto di festeggiare insieme ad alunni, docenti e famiglie, dando un tono multietnico ad Alberi e Presepi, coinvolgendo, attraverso il canto, tutte le etnie presenti nel territorio..a dimostrazione del fatto che “non esistono barriere di nessun genere quando lo spirito di condivisione è fraterno e quando ad unire è l’amore ed il rispetto reciproco”. Subito dopo le feste partiranno i percorsi didattici inerenti i temi delle droghe, della sicurezza, della cittadinanza attiva, della legalità, dell’ambiente, della poesia ecc, tutti finalizzati a fornire quei presupposti per il diritto di essere cittadino dotato di senso critico e di consapevolezza.

di Barbara Braganza

DALLA DIREZIONE DIDATTICA STATALE DI CELANO, che con tanto entusiasmo ed impegno collabora con il nostro progetto “San Francesco Custode del Parco Regionale Sirente-Velino”, riceviamo il seguente comunicato:

UNA SCUOLA SENZA CONFINI

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Come sarebbe stato bello se a seguito di un evento così devastante che ci ha colpito, il Comune avesse posto in essere tutte le iniziative utili per consentire a tutti di “ricominciare”, magari in altro luogo.Penso a tanti piccoli commercianti che giornalmente incontro alla Mensa di Celestino, costretti a venire con la mano tesa, perché hanno perso tutto; non hanno maturato i requisiti per la pensione e, per giunta, il Comune non concede loro la possibilità di rilocalizzare le attività.La prima cosa che un padre di famiglia farebbe in caso di bisogno dei propri figli, darebbe tutto senza indugio: terreno, casa, lavoro…Invece c’è il dirigente di turno che ti frappone la burocrazia, la norma, l’interpretazione delle circolari ecc. in un turbinìo amministrativo cafchiano dal quale è impossibile districarsi. Poi vai a scoprire le “marachelle” i favori, le convenienze: vedi che dove ti hanno detto che non puoi costruire, subito dopo nasce una costruzione il doppio di quella che ti serviva. La differenza sta nel fatto che quella è privata e quella che volevi costruire tu era per attività sociali. Figurati a chi interessa in questo momento il bisogno degli altri!Se vai nei luoghi del potere incontri gli guardi e le facce dei soliti conosciuti, tristi, agitati e indaffarati ad occuparsi della ricostruzione. Non hanno tempo neanche per salutarti, Ti abbozzano un incerto sorriso di maniera e ti sfiorano la mano con la loro, per lo più molle e unta (non avvezza la lavoro ).Ti chiedi come mai sia possibile che con tutto questo fare

tante provvidenze destinate alla città, ma solo quelle finalizzate per il sociale, non vengono utilizzate e quindi mandate indietro. Parlo dei fondi raccolti per il villaggio dei giovani dalla Fraterna Tau, dei fondi che i dipendenti dell’INPS hanno raccolto, delle provvidenze per il centro di antiviolenza per donne e così via: una montagna di provvidenze che gridano vendetta contro chi si permette di considerare di secondaria importanza o ininfluente per la ricostruzione gli interventi di tipo sociale.Ricordo il periodo del post sisma, i primi mesi, quando eravamo nelle tende. Era duro, ma il rapporto tra la gente sembrava essere finalmente diventato umano, fraterno. Quando poi è cominciata la ricostruzione, con i progetti, gli interessi di famiglie, di condomini, di quartieri ecc. tutto è cambiato: c’è una sorta di regola stabilita che la ditta che ti ripara la casa, “deve” fare con gli stessi soldi della ricostruzione i lavori che tu per quaranta anni ti sei guardato bene dal fare . Ed è così diffusa questa pratica che non c’è più bisogno di insistere tanto. La stessa Magistratura evita di intervenire perché altrimenti i tribunali sarebbero invasi da pratiche di questo genere.Nella ricostruzione, anziché rimboccarsi le maniche per fare squadra, al di là dei colori ed appartenenze politiche, si è preferito, da subito, cavalcare lo spirito della rivendicazione, dello scontro… rendendo antipatica ed ostile il vivere in città, perché chi semina vento sappiamo cosa raccoglie.Abbiamo visitato diverse Regioni italiane perché invitati dalla rete di solidarietà a noi tanto cara e possiamo testimoniare che il giudizio di abruzzesità forte e gentile

Una città ostileUna città ostiledi Paolo Giorgi

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che ci fu attribuito subito dopo il sisma, ora è cambiato. Adesso siamo egoisti, irriconoscenti e fannulloni.E intanto le richieste di intervento che ci vengono rivolte sono sempre più numerose. Adesso non ci sono più alibi di chi non vuole riconoscere che la priorità della città è anche quella del sistema sociale da ricostruire, perché gli ultimi a chiedere assistenza sono i nostri concittadini: quelli che hanno finito di essere assistiti con le provvidenze governative e non possono contare più su alcun sussidio. I senza lavoro, gli anziani con il minimo di pensione, le donne lasciate sole con i figli e maltrattate.Sono loro a raccontarmi delle umiliazioni subite ogni volta si recano agli uffici per le pratiche. Mi raccontano come i dipendenti, forti del lavoro sicuro e dei potentati, considerano i servizi come “cosa loro”, che possono concedere a piacimento oppure no, a secondo le personali convenienze. Eppure la città è stata messa in ginocchio dal cosiddetto “concorsone”, una farsa messa in piedi per regolarizzare i tanti precari che furono chiamati a lavorare in maniera del tutto personalistica ed individuale, perche conosciuti, figli della classe potente, senza alcun titolo di merito.E i figli dei poveri, magari con più meriti e più qualificati non hanno alcuna possibilità di accesso!!!Dovremmo fare un monumento in città, magari al centro di piazza duomo, intitolato alla pazienza del povero. Mi chiedo come mai essi ancora non prendono il coraggio di ribellarsi a tanta sopraffazione, a tanto inganno, a tanto ladrocinio, a tanta cattiveria. Sarebbe una bella e sacrosanta rivoluzione cui parteciperei volentieri. In effetti tutte le rivoluzioni, giudicate sempre per le loro conseguenze di morte e sofferenze, hanno messo sempre la palla al centro. L’invidia, la delazione la maldicenza serpeggia in città. Anzi le congreghe di S. Agnese imperano e diventano sempre più numerose. La “maldecenza” cioè il dire-male, il maledire è tornato ad essere il DNA della cultura

imperante in città. Anche prima del sisma era così e in molti si auspicava un tempo migliore, una sorta di “rivoluzione” contro.E’ quello che vogliamo fare. Vogliamo costringere alle corde questi potenti (politici e funzionari), Costoro che non hanno mai avuto il senso del servizio per la cittadinanza, sono i rami secchi di cui il Vangelo parla e che destina al fuoco, sono le mele marce che contagiano tutti i frutti buoni.Dobbiamo rispondere con un forte impegno di cittadinanza attiva e partecipativa, improntata alla lealtà dei rapporti, alla moralità delle azioni, alla solidarietà fra le classi sociali.Come sarebbe stato bello se, per esempio, ci fosse stato una sorta di accordo pubblico, un protocollo d’intesa, tra le associazioni dei costruttori, il comune, le parti sociali con il quale ci si impegnava a destinare una percentuale delle economie sui lavori di ricostruzione ad opere di pubblica utilità sociale. ( sottraendo quindi parte dei fondi destinati alla corruttela ). Certo che l’accordo non poteva essere vincolante, ma avrebbe avuto sicuramente un impatto fortissimo sulla città, avrebbe, insomma dato il segno che la ricostruzione, al di là del lecito ed illecito arricchimento dei soliti potenti, poteva offriva un segno di “perdono” tra classi deboli e forti.Porremo in essere iniziative di buon senso, di forte impatto mediatico, che possano contrastare la deriva morale della città. Iniziative che contrastino la corsa all’egocentrismo, all’accaparramento delle risorse avulse dal contesto territoriale. Questa città che deve riconquistare il ruolo di città territorio, di città simbolo, esempio di convivenza fraterna e civilmente improntata alla solidarietà.

HELP L’Aquila

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AGENZIA GENERALEdi

Maria Lucia ZOCCANOL’Aquila - Via Pescara 2/ATel e Fax 0862 - [email protected]

Settimana di Solidarietà - L’Aquila Presso i locali della Chiesa di San Bernardino in Piazza d’Armi dal 10 al 15 dicembre

2012, medici volontari hanno offerto prestazioni sanitarie specialistiche in otorino-laringoiatria, eco diagnostica, cardiologia, ginecologia, oculistica, endocrinologia, pediatria, ortopedia, dermatologia, gastroenterologia, angiologia e chirurgia vasco-lare con esame eco doppler, urologia e nefrologia, consulenze dietologiche, consu-lenze di fisioterapia ed osteopatia. Il ricavato delle libere offerte dei pazienti è stato devoluto a sostegno della Mensa di Celestino e per i ragazzi della missione in Guinea Bissau. La sera del 16 Dicembre, presso la Parrocchia di San Pio X, un grande con-certo in favore dell’Associazione dei Disabili “XXIV Luglio” chiudeva la settimana di Solidarietà. GRAZIE A TUTTI I MEDICI.

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