La parola caduta

26
Sandri Antonio LA CADUTA DELLA PAROLA SCRITTA

description

dai libri della mi abiboioteca sono cadute tutte le paole,. Come recuperarle'

Transcript of La parola caduta

Page 1: La parola caduta

Sandri Antonio

LA CADUTA DELLA PAROLA SCRITTA

Page 2: La parola caduta

Prescritto esplicativo

È un racconto in modalità patafisica.

La patafisica è la scienza che studia il particolare e l’immaginario.

L’illustrazione in copertina è parte integrante del racconto.Nota Bene: Chi volesse sapere qualche cosa di più sulla patafisica, consiglio Internet.

Ottobre 2010 – Dopo aver compiuto ottanta anni

2

Page 3: La parola caduta

La caduta della parola scritta

Erano molti anni che non vi entravo.Non era una gran cosa. Diremo che era dignitosa.Una biblioteca, o meglio un insieme di volumi di mille libri è, per un cittadino comune, una biblioteca accettabile, che denota, o dovrebbe denotare, cultura, amore per lo studio e per il pensiero e, per quanto mi riguarda, anche non rifiuto dei parti della fantasia e dell’immaginazione.I volumi che vi erano raccolti non trattavano un solo argomento, nemmeno due e nemmeno tre. Vi era un po’ di tutto: dalla teologia alla filosofia, dalla poesia al romanzo, dal libro scientifico a quello di fantascienza. Vi erano pure libri di preghiere. Uno anche che avevano regalato a mia mamma quando si era sposata. “Preghiere di una sposa” s’intitola, è rilegato in pelle con bordure delle pagine in oro. Alla cresima a me avevano regalato, oltre al classico orologio da quattro soldi, - poiché secondo loro quella era l’età che una persona doveva cominciare a leggere e valutare il passare del tempo - una Bibbia per giovani, dove dell’Antico e del Nuovo testamento vi erano riportati i racconti edificanti. Anche quella faceva parte della biblioteca.Quando fui adolescente, mi regalarono “Verso l’alto”: un libretto di buoni consigli, specialmente sessuali, vista l’età. Mi è sempre rimasta impressa la copertina. Vi è disegnato un giovane che giunge in cima ad una montagna, vestito alla vecchia foggia degli alpinisti: scarpe chiodate, calzoni di fustagno alla zuava, maglione di lana pesante confezionato dalla mamma o zia o nonna, una pertica per bastone ed uno zaino informe di tela marrone.Avevo conservato anche numerosi libri di scuola che da allora non avevo più aperto e, in un ripiano un po’ nascosto, forse proprio vicino ai libri di scuola, vi erano le pubblicazioni trasgressive. Vi era qualche pubblicazione degna dell’”inferno” delle biblioteche nazionali, dove, un tempo, erano conservati i libri erotici che non potevano essere dati in lettura o consultazione.Tra questi, era finito anche “Il Gobbo di Notre Dame” di Victor Hugo, Edizioni Nerbini. Il motivo era stato una confessione. Avevo detto al sacerdote in confessionale che stavo leggendo questo libro. Mi rispose irato che non mi avrebbe dato l’assoluzione. Dovevo prima andare a casa e bruciare quel libro che era stato messo all’indice dalla chiesa. Così il povero gobbo e la bella Esmeralda finirono tra i

3

Page 4: La parola caduta

libri trasgressivi assieme al Decamerone, anche questo Edizioni Nerbini.I libri erano stati messi uno a fianco all’altro, talvolta uno sopra l’altro, senza un ordine preciso, come veniva veniva.Molte volte ho pensato di sistemarli secondo l’importanza che avevano per me, usando il criterio delle sottolineature. Mi sono reso conto abbastanza in fretta che il criterio delle sottolineature è un criterio piuttosto strano, per non dire balordo. È un criterio a tempo.È abbastanza sensato se adottato al momento in cui si fanno le sottolineature o subito dopo. Non è poi così difficile calcolare il tempo di validità di tale criterio. Normalmente si sottolinea, quando si studia, a scuola, per un esame o una interrogazione. Si sottolinea anche per ricordare meglio un concetto, specie se si desidera citarlo o comunque utilizzarlo, fosse solo per fare sfoggio di cultura.Esaurito il motivo per cui si è sottolineato, si è anche esaurita la sua validità.Infatti, se si riconsiderano quelle sottolineature dopo quel tempo, ci si accorge che non valgono granché. Direi che appaiono terribilmente strumentali e inadeguate.Se si sottolinea per ricordare, quando il ricordo non funziona più, a poco a poco, ma abbastanza in fretta, le parole e le frasi sottolineate, valgono quanto quelle che non lo sono state. Spesso mi succede che, rileggendo una frase sottolineata, mi viene da dire un “Oh! guarda” di incredulità e personale presa in giro.Ho divagato anche per poter in qualche modo metabolizzare quanto mi succedeva.Ho iniziato dicendo che erano molti anni che non entravo. Detta così la frase è equivoca.Non era passato affatto molto tempo dalla mia ultima entrata nelle stanze dove vi erano i miei libri: stanze che chiamo la mia biblioteca. Anzi vi entro ogni giorno per il semplice motivo che sono casa mia. I libri, nella mia abitazione, sono un po’ dappertutto, in tutti gli spazi possibili. Sono nella stanzetta che funziona da studio, nei corridoi, in camera, in cucina ed anche nel bagno.Con quella frase “da molto tempo che non entravo”, volevo dire “che non ero entrato nei miei libri”.I libri avevano continuato a essere al loro posto, nei ripiani loro dedicati, ma io non li “vedevo”, non “entravo dentro di loro”. Non solo non mi dedicavo alla loro lettura, ma nemmeno li sfogliavo.Tutti i libri, prima o poi, sono destinati a divenire ornamento, completamento dell’arredo, contribuendo a determinare il vissuto di una stanza.

4

Page 5: La parola caduta

Il mio professore di psicologia presso l’Università di Trieste, acquistava e riceveva molti libri, destinati alla biblioteca di facoltà. Lasciava che si ammonticchiassero un po’ dappertutto: sulle sedie, sui tavoli, sui davanzali delle finestre. Poiché il suo studio era di limitate dimensioni e vi era solo una sedia per l’eventuale interlocutore. Questi, spesso, doveva prendere i libri e depositarli su pavimento per potersi sedere. A un certo momento, spinto da motivazioni a me non note - probabilmente solo stufo del disordine che sempre più somigliava a un caos – il professore si decideva a chiamare il rilegatore – allora era obbligatorio far rilegare dell’Università - al quale dava disposizioni precise: “Questi dieci libri li voglio rilegati in giallo canarino, questi cinque in arancio, questi quindici volumi in indaco…e così via.”Gli chiesi il perché, la logica di tale scelta di colore. Lui rispose:“Questione d’estetica. Posso comporre nei ripiani una configurazione artistica e gradevole…tra l’altro mutabile…creativa che fa sembrare l’Università un po’ meno ammuffita”.Il libro, come qualsiasi altra pubblicazione, è destinato a divenire ornamento o finire all’oscuro di qualche umido magazzino o archivio. L’alternativa è essere distrutto.Tutto è successo, quando ho tentato di “rientrare" nei miei libri. Loro - forse per dispetto, forse perché la carta si era semplicemente stufata di sostenere le parole o per qualche altra misteriosa presenza o influsso; il perché lo sto ancora cercando – loro, dicevo, cominciarono a cadere giù.Loro sono le parole scritte, contenute nelle pubblicazioni.Me ne accorsi quando ne vidi una sul pavimento, poi notai uno sfarfallio riempire la stanza e vidi le parole scritte scendere dagli scaffali, dai ripiani. Ho tentato di afferrarne qualcuna con le mani.Solo una me n’è rimasta sul palmo: C’era scritto “infingardo”.Poi fui travolto.Le parole uscivano dai libri, dalle pubblicazioni a fiotti sempre più densi e compatti.Mi sommersero.Dovetti allontanarle dal viso con le mani per poter respirare.Finalmente il diluvio delle parole terminò.Vi furono delle ritardatarie. Alcune parole erano rimaste come impigliate tra vecchie pagine scolorite e ruvide e, in più, con i bordi piegati. Il ritardo durò poco, poi anche loro trovarono il modo di liberarsi e raggiunsero le compagne ammonticchiate sul pavimento.Dove vi era anche un solo libro, in qualsiasi stanza fosse, in quella stanza vi furono cumuli di parole scritte cadute.

5

Page 6: La parola caduta

Come ho detto fin dall’inizio la mia non era certo una gran biblioteca, non era quella di Alessandria d’Egitto e tanto meno quella del Congresso degli Stati Uniti d’America.Ho fatto un po’ di conti. Alla buona.

*1.000 volumi circa (è difficile fare il conto esatto, perché di mezzo ci sono pubblicazioni e riviste di varia natura, ma può essere una buona stima.)*150 pagine per volume (è una stima per difetto, quando si pensi che non si stampa un libro che abbia meno di cento pagine per motivi economici)*40 righe per pagina ( può andare)*10 parole per ogni riga (presumibile)

Significa un totale di 60.000.000 (sessanta milioni) di parole. Se poi sono cinquanta o settanta milioni, la cosa cambia poco, sono comunque un bel mucchio di parole, credetemi, se si possono osservare tutte insieme accatastate sul pavimento, come è successo a me.E magari hanno tentato di sommergerti.Nelle stanze piene di parole cadute dai libri, vi era una atmosfera di tristezza. Non un odore di morte, ma di profonda melanconia che tutto pervadeva. Le parole cadute erano grigie, invertebrate che tendevano ad adattarsi alla forma nella quale erano appoggiate.Senza spina dorsale.Mi prese l’angoscia, quella che chiamano esistenziale, perché mina tutta l’esistenza e sopraggiunge quando niente ha più significato. Credevo fosse un’esagerazione quando la leggevo nei libri, in Sartre o in altri. Ora la sperimentavo. Quello che per me aveva avuto senso, o meglio, aveva creato senso nel condurre la mia vita, nel giudicare, nel propormi degli obbiettivi, che mi aveva fatto gioire e piangere, giaceva inerte sul pavimento. Sulle parole scritte e collegate assieme in quei libri, avevo imparato a pensare.La biblioteca personale non si limita ad essere quella delle scaffalature dove ci sono i ripiani con i libri, ma è anche l’immagine di quello che c’è dentro la testa.Passata la paura e la sorpresa, cominciai a ragionare, se vuol dire cominciare a ragionare domandarsi:“Ora, che faccio?”Dovevo fare qualche cosa per non rimanere schiavo di quell’angoscia.Non vi erano molte soluzioni possibili.

6

Page 7: La parola caduta

Prima soluzione: prendo una scopa e spazzo via tutto. L’avrei adottata se, con le parole scopate via, vi fosse stata anche l’angoscia. Propendevo per il no. Non ci sarebbe stata.Seconda soluzione: le lascio dove sono ed una volta che entro in una di quelle stanze, le calpesto. Confesso che per alcuni giorni l’ho adottata, ma non funziona. Le parole rimanevano e con loro il non significato e l’angoscia che lo accompagnava.Terza soluzione: le ordino, ricompongo gli scritti a cui erano legate prima di cadere e le rimetto nei libri, al loro posto.Vi era una quarta soluzione che mi è passata per la mente, ma ho scartato subito perché un po’ troppo radicale. È la soluzione di Kien il protagonista di “Auto da fè” che per non essere separato dai suoi libri, da fuoco alla biblioteca e a se stesso.I libri! Me ne ero dimenticato.Guardai. Erano tutti al loro posto.Tutti assolutamente senza parole e tutti dove erano stati collocati. Non si erano mossi.Le copertine facevano bella mostra di sé. I loro dorsi multicolori, alcuni addirittura dorati, erano esteticamente belli, visti lì dritti, impalati come tanti soldati. Vicini gli uni agli altri, indifferenti delle sorte delle parole che fino allora avevano contenuto e che erano state la giustificazione della loro esistenza e della loro relativa importanza. Erano quello che io ero divenuto dentro di me: un succedersi di libri vuoti, ma esteticamente accettabile.Ero divenuto un libro senza più parole né per dire né per ascoltare. Questa è l’angoscia.Osservando quei dorsi colorati e guardando le parole ammonticchiate, mi resi conto che vi era in esse delle sfumature di grigio e residui di colori. Anche le fotografie, i disegni, le immagini avevano lasciato i libri ed erano divenuti linee o macchie colorate.A poco a poco avvertii anche la presenza, in quei mucchi, di altre realtà, in modo particolare dei numeri. Questi non erano caduti dai libri come le parole, sfarfallando nell’aria, ma come gocce di pioggia. Avevano ticchettato sulle parole e si erano inseriti in ogni più piccolo spazio tra le parole stesse.Queste nuove osservazioni non ampliavano le soluzioni possibili, complicavano solamente la realizzazione della terza. Quando un problema è troppo complicato, risulta inutile volerlo ad ogni costo risolverlo tutto in un solo colpo. Il più delle volte risulta impossibile.Faccio un esempio non inventato da me.

7

Page 8: La parola caduta

Prendete un mazzo nuovo di cinquantadue carte, sparigliatelo come se doveste iniziare a giocare, mettiamo, a scala quaranta. Se volete, distribuite pure le carte tra i giocatori, anche se per il nostro ragionamento non sarebbe necessario. Giocate, se proprio ci tenete, una mano. Poi sparigliate le carte per un’altra mano. Quante probabilità vi sono perché le carte si dispongano nello stesso ordine che avevano, quando avete aperto il mazzo e cioè suddivise per seme ed in ordine crescente?Non è impossibile, è solo altamente improbabile, talmente improbabile che si può anche affermare che di fatto è una situazione che non si realizzerà, da non prendere nemmeno in considerazione. Non è facile rimediare al disordine. E poi il disordine non è che un ordine senza regole.Adesso soffermiamoci sulle parole sparse sul pavimento in un ordine affatto diverso da quello che avevano, quando erano nei libri e componevano frasi aventi un significato. Cadendo si sono sparigliate. Sono sessantamilioni e non cinquantadue come le carte. Pensate sia possibile risolvere il problema sparigliandole ancora o gettandole per aria sperando che si posino nello stesso ordine, libro per libro, pubblicazione per pubblicazione, nello stesso ordine che avevano in ciascun libro o pubblicazione? E che i colori ritornino ad essere figure, fotografie o disegni ed i numeri ad essere formule?Impossibile? Ancora una volta no. Altamente, altamente, altamente( continuate a scrivere altamente finché avete finito tutta la carta che c’è al mondo) improbabile.Risolvere con una smazzata casuale un problema complesso non appare una soluzione praticabile.Bisognava escogitare un’altra soluzione.Ho cominciato con il dirmi: “Facciamo un po’ d’ordine”.La prima cosa che feci fu quella di separare i nomi, dagli articoli, dalle preposizione semplici e da quelle articolate, dai verbi e dagli aggettivi.Queste due ultime suddivisioni si sono rivelate piuttosto ostiche ed equivoche. Per esempio quando o trovato “amare” si trattava di un verbo o di un sostantivo? Quando ho trovato “misero” è un sostantivo o un aggettivo?Più facile, ma non sempre, separare le parole che appartenevano ad una lingua diversa.

8

Page 9: La parola caduta

Con i numeri è stato un lavoro facile, come con i colori, anche se per ogni tinta fondamentale, sono stato costretto a fare diversi mucchietti. Vi è sì il giallo, ma può essere quello canarino, quello oro, così come il verde può essere pisello o mare e così via Ho lavorato molto ed intensamente. Mi sono fatto anche aiutare.Tutto filò liscio, finché la ragazza, che mi dava una mano, non mi disse: “Che strano vocabolario sta venendo fuori!”Lì per lì non ci feci caso, ma quella espressione “vocabolario” mi rimase dentro. Spesso dico che una parola, una frase, un’impressione, rimane dentro di me a “ruminare”, continua a rimanere nel sottofondo, perché non è stata ancora digerita completamente. Nel “rumine” appunto.Solamente dopo tre giorni capii (verbo sbagliato), intuii l’implicazione.Implicazione terribile, devastante, senza appello.Angosciosa. In un vocabolario non esistono parole ma solamente nomi.Quando faccio un unico mucchio di tutte le parole “amore” che trovo, queste si tramutano in nomi.I nomi sono parole senza anima, senza passioni, termini neutri, sono cellule staminali che possono divenire molte cose, ma non sono diventate ancora qualche cosa.“Amore” è un nome, un insieme di sillabe, che diviene parola. Se dico “l’amore”, oppure “un amore”, diviene sempre più parola che significa qualche cosa. Se, per esempio, vi aggiungo un aggettivo: “un amore disperato” ed ancora di più se trovo il nome nella frase “l’amore disperato di Ginevra e Lancillotto”. Quello che era caduto dai libri non erano nomi, ma parole perché, in un contesto, messe vicine ad altre parole, legate assieme in modo da formare un pensiero.Raccogliere parole e farne tanti mucchietti, si costringevano a divenire nomi, solo nomi, senza anima, senza respiro, espressioni che potevano divenire e significare un numero infinito di cose e di idee. O niente. Quando tutto è possibile, come i nomi nel vocabolario, non verranno a significare mai niente. Lo stesso per i colori. Il giallo usato da Van Gogh è il giallo di Van Gogh, non può essere ammucchiato con altri gialli. Solo in un dipinto di Van Gogh prende vita e quel giallo ha un senso. “Amore” insieme alle parole dei versi di una poesia è ben diverso dell’ ”amore” in un testo di psicanalisi o di uno di neurologia in cui null’altro è che uno scambio tra sinapsi eccitate.

9

Page 10: La parola caduta

Sto parlando di parole scritte e mi mantengo in questo ambito, perché sono state loro a cadermi addosso. La parola parlata, declamata o proclamata ad alta voce ha come compagni di viaggio anche il tono della voce, l’espressione del viso e del corpo e il luogo e il tempo in cui è pronunciata.Conclusione: le parole hanno bisogno di compagnia per significare. In caso contrario rimangono nomi, adatti a far parte di un vocabolario. Anche gli uomini hanno bisogno di compagnia per essere qualche cosa.Ho avuto una reazione illogica e istintiva: ho preso a calci i mucchi di nomi che giacevano ordinati in pile sul pavimento. Era come prendere a calci ciò che un tempo era stato parte di me, se non addirittura me stesso, e che ora non era più niente. Talmente niente che nemmeno i calci suscitarono reazioni. Non vi era nemmeno la soddisfazione di prenderle a calci.A quel punto la scelta era: il caos o un cosmo ordinato che non significava niente, ma prometteva tutto, com’è un vocabolario.Per alcuni giorni mi sono rifiutato di entrare nella sala, dove aveva confinato alla rinfusa le parole scritte. Stessero là.Come rivalsa, avrei contemplato i dorsi multicolori dei libri, stipati di pagine vuote.Come spesso succede, l’idea mi venne per caso, da un discorso captato accidentalmente. Proveniva da un ragazzo che aveva comprato il suo primo vocabolario d’italiano e confidava con aria sapiente ad una ragazza della sua età:- Pensa! Con le parole che sono in questo vocabolario, sono stati

scritti tutti i libri che ci sono al mondo…ci sono anche le parole dei libri che si scriveranno…Anche dei miei.

Aveva esagerato. Oltre al vocabolario di italiano, vi erano anche molti altri vocabolari. Quello di inglese, di francese, di spagnolo, di arabo, di cinese. Mi pare che siano più di centotrenta le lingue parlate e scritte, oltre a non so quante centinaia di dialetti.Ruminai.Aveva esagerato, ma quel ragazzo aveva ragione.“Perché non compongo i libri utilizzando le parole cadute, cercando per ognuna di loro compagni adatti, soddisfacenti e che diano significato?”Non riavrei avuto i libri che avevano lasciato cadere le parole. Né le parole avrebbero avuto gli stessi compagni. Colpa loro (dei libri) che se le erano lasciate scappare ed ora erano solo pagine bianche ed inutili.

10

Page 11: La parola caduta

Avrei avuto altri libri (magari uno solo diviso in tanti capitoli, come è fondamentalmente una biblioteca per quante possano essere le pubblicazioni contenute), libri diversi, ma che avrebbero usato le stesse parole in contesti differenti, dove le parole avrebbero avuto nuova vita e nuovi significati. Uguali sarebbero rimaste solo le copertine; le scatole vuote che essi erano diventati, sarebbero state riempite anche se di oggetti differenti.Operazione possibile, anche se lunga è difficile. Operazione che aveva il pregio di mettere in un cantuccio della mia anima l’angoscia: vi era ancora la possibilità di creare qualche cosa che avrebbe avuto senso.Mi feci aiutare da specialisti.Se un filosofo voleva scrivere un libro di teodicea, bene. Unico limite quello che doveva usare le parole ammonticchiate nella mia stanza. In altri termini le mie vecchie parole cadute. Non mi interessava ricostruire la vecchia biblioteca, ma averne una non composta da libri dalle pagine bianche.Così se un fisico avesse voluto scrivere un libro, un trattato o un articolo scientifico sulle particelle subatomiche, facesse pure. Anche lui doveva utilizzare le parole cadute dai libri.Così colui che voleva dipingere doveva usare i colori che trovava.Era come riciclare me stesso. Io, personalmente, che mi occupavo di sociologia, incontrai un altro ostacolo. A prima vista mi sembrò di relativa importanza, ma a mano che procedevo, risultò sempre più fastidioso. Il problema era costituito dalle parole logore, parole che per il continuo uso, avevano finito per essere inutilizzabili per significare qualche cosa di preciso. In altri termini, le vocali e le consonanti si rifiutavano di stare assieme per formare quelle parole e non vi erano altre parole che accettavano di unirsi a loro.Esempi di parole che ho trovato logore: valore, valori comuni, fedeltà, democrazia, alleanze, amicizia, bene comune e così via. Qualunque espediente usavo con loro, queste rimanevano nomi e soltanto nomi.Se erano nomi usati da politici o in ambito politico, la situazione non si rivelava solo fastidiosa ma catastrofica.Passò molto tempo. Anni e una biblioteca di mille volumi circa prese corpo e le parole ricomposte in frasi significanti ripresero vita. Convinsi le copertine ed i fogli bianchi a ricevere i nuovi scritti. Accettarono.Per un estraneo la biblioteca poteva sembrare essere la stessa. Stessi dorsi, stesse copertine, stessi fregi, ma il contenuto era cambiato.

11

Page 12: La parola caduta

Era un’altra cosa. Era una biblioteca che diceva altre cose, dava altri significati, indicava altre strade da percorrere. Erano occhi diversi per guardare la realtà.Rimasi soddisfatto. Avevo in qualche modo risolto il problema.Avevo ricostituito me stesso, riavevo la testa piena di libri che contenevano significati. Ero un uomo nuovo.Ne parlai con un amico. Rimase sbalordito e mi disse:- Ma, quello che c’è scritto nei libri della nuova biblioteca, vale

quello che si trovava scritto nella vecchia?Non ci aveva pensato.Non avevo pensato di fare un paragone. Con le stesse parole, inserite in un diverso contesto, avevo creato qualche cosa che valeva di più, meno o uguale?Dovevo rimpiangere le parole accompagnate dai vecchi compagni o congratularmi con le nuove amicizie che esse avevano fatto? L’uomo nuovo era migliore dell’uomo vecchio?Non sapevo cosa rispondere, non ne avevo la minima idea, né sapevo dove cominciare a cercare una risposta.Non avevo ricordi dei contenuti dei vecchi libri che mi potessero aiutare. Erano ricordi frammentari, slegati tra loro.Trovavo espressioni e frasi nei nuovi scritti, che erano appartenute anche ai vecchi, ma non ne ricavavo un ricordo utile per un paragone.Ne parlai agli specialisti che mi avevano aiutato. Mi guardarono giustamente stupiti; credevano al fenomeno dell’avvenuta caduta delle parole solamente perché le avevano viste accatastate sul pavimento, ma quello che prima costituivano ed erano dentro i libri, per loro era impossibile non solo saperlo, ma anche immaginarlo.Riflettei a lungo, anche se non riuscivo a darmi una risposta soddisfacente.Ero però convinto che parlarne con altri mi avrebbe aiutato a raggiungere una conclusione. Mi dissero, con aria di sufficienza, che per eseguire una comparazione è necessario avere un qualche cosa con cui operare un confronto. Un modello. Per misurare le lunghezze e paragonarle, avevano inventato il metro il cui campione si conserva a Parigi. Un modello come metro di misura mi era necessario, ma non lo possedevo.Ho trovato, senza molto cercare alcune frasi, che non risolvono il problema, ma aiutano a relativizzarlo.David Hume, eccelso filosofo, scrive che si passa da un’idea ad un'altra per rassomiglianza, contiguità nel tempo e nello spazio, causa ed effetto.

12

Page 13: La parola caduta

Può anche darsi che abbia connesso le idee tra loro cambiando e mischiando in altra maniera le stesse idee, espresse nelle parole.Un altro filosofo, Blaise Pascal, afferma, molto più semplicemente, che si diventa vecchi. Divenire vecchi significa cambiare, non rimanere gli stessi. La caduta delle parole scritte non sarebbe stata altro che, nel linguaggio dei libri, dirmi che il significato che avevo dato alle parole e alle frasi anni prima, per me, cambiato perché divenuto vecchio, non era più lo stesso. Anche le parole invecchiano, ma ad un ritmo molto più lento. Man mano che il tempo passa, il divorzio tra il mio invecchiamento e quello delle parole si fa più ampio. Impercettibilmente ma sempre più ampio. Non sempre, o meglio, quasi mai, si avverte questa divaricazione e allora le parole ti cadono addosso.Le parole erano divenute vecchie e per rendersi di nuovo a me comprensibili dovevano cambiare come io ero cambiato.Può anche darsi.Può anche darsi si siano realizzate altre situazioni.Può darsi.Feyerabend aveva escogitato uno strano comportamento contro l’invecchiamento delle parole e il cambiamento del loro significato. Uomo geniale ma irrequieto, di sterminata cultura e letture, cambiava spesso Università come docente. Quando lasciava una Università, lasciava in questa tutti i suoi libri ed i suoi appunti. Ricominciava sempre daccapo con gli uni e gli altri. Certamente a lui non sarebbe mai successo di veder cadere le parole dai libri, perché esauste.La risposta più probabile al mio quesito, non possedendo nessun modello di confronto tra il vecchio ed il nuovo risiedeva in una sostanziale equivalenza di valori in tutti i campi: filosofico, scientifico, storico, artistico e così via, non accettando che il nuovo fosse migliore del vecchio perché nuovo.Comunque nessuna parola era andata perduta, se non qualche rimasuglio poco significativo. Inevitabile quando si ha a che fare con sessantamilioni di pezzi.A far parte di questi rimasugli anche qualche sostantivo o aggettivo che non avevano voluto trovare collocazione, preferendo rimanere nomi in attesa di altri utilizzi.In buona sostanza, la situazione si rivelò la seguente.Utilizzerò l’esempio iniziale delle cinquantadue carte.È come se, vista e costatata, l’impossibilità di ritornare all’ordine iniziale delle carte nel mazzo pur continuando a smazzarle, avessi deciso di cambiare i nomi dei semi, per dare, comunque, loro un

13

Page 14: La parola caduta

ordine. Non più cuori, fiori, quadri e picche, ma acqua, vento, terra, cielo e fuoco.Perché cinque semi invece di quattro? Perché quei cinque invece di altri? Nessun motivo particolare. Mi andava comodo così e, d’altra parte, il risultato non sarebbe comunque cambiato, anche se avessi adottato altre soluzioni. Ho anche cambiato i numeri e le quantità delle carte per ciascun seme. Cosa inevitabile avendo cambiato il numero dei semi.Ho scelto di adottare la sequenza Bonacci:1,2,3,5,8,13,21, cane, gatto, pavone (al posto di fante, donna e re)In questo caso il nostro mazzo sarà formato da tre semi di dieci carte (acqua, vento e terra), da due semi di undici carte (cielo e fuoco), perché vi ho aggiunto il topo per fare cinquantadue.Conseguenza: non si possono più giocare i giochi di prima, ma se ne possono inventare altri.Le carte poi non sono nuove, sono le solite cinquantadue carte chiamate e ordinate in modo diverso.Un gran teologo, Karl Rahner, che ha pubblicato negli ottanta anni della sua vita, più di 4.000 opere, ha detto che non ha scritto niente che non fosse già stato esposto da precedenti suoi colleghi: le aveva solo esposte le stesse considerazioni in maniera nuova. Può darsi sia il mio caso: ho ricomposto con le stesse parole ordinate in maniera nuova il contenuto degli stessi libri dai quali le parole erano cadute.Il risultato, comunque sono stati libri diversi.È avvenuta una metamorfosi, una conversione che testimonia come siano possibili metamorfosi e conversioni. È come si fosse riusciti a comporre due puzzle diversi utilizzando gli stessi pezzi. Maniere diverse di guardare il mondo e dargli un significato.Tornano e si fanno ancor più importanti i due quesiti: come si può misurare il valore di queste metamorfosi o conversioni? È giusto ritenere che le parole (o le carte o i pezzi del puzzle) siano veramente quelle di prima?Se le parole si riferiscono a realtà concrete, esempio “Pera”, e con la parola si indica quel tipo di frutta, come con la parola “Mela” ci si riferisce ad un altro tipo di frutta, il problema sembra facile a risolvere. Ricordo la mia maestra che con il dito puntato contro di noi, diceva a voce alta: “State attenti a non sommare pere con mele. Non si può! Due pere e tre mele rimangono due pere e tre mele. Dire che sono cinque frutti appartiene alla matematica dell’uomo e non delle cose.”Il legame parola con un oggetto è un legame forte e tende a rimanere. I mutamenti non avvengono tra cose, ma tra idee, perché

14

Page 15: La parola caduta

è lì che si mettono insieme e si mischiano le sensazioni. Nemmeno la “pera” è una cosa reale, poiché vi sono numerosi tipi di pere ed un ancora più grande numero di singole pere. Non una eguale all’altra.Il vescovo e filosofo Berkeley sosteneva che le idee generali non solo altro che idee particolari congiunte a una certa parola che da loro un significato più esteso e, occorrendo, fa sì che ne richiamino altre individuali simili a loro. Ed anche pera è una idea generale.Solo la singola pera esiste realmente. Finché non la mangi. Tutto il resto è solo invenzione dell’uomo.Anche l’espressione “uomo” è una invenzione dell’uomo. Esistono Antonio, Teresa, Andrea, Daniela Arianna e così via.Quanti errori ha compiuto l’uomo nel volere (non ne può fare a meno) di classificare le cose!Questa cosa è un vegetale, questa un animale, questo appartiene alla razza umana. Ricordo che un tempo, le donne non erano considerate appartenenti alla stessa categoria degli uomini: erano esseri inferiori, così come i nativi americani. A loro si poteva rubare la terra, poiché non essendo uomini, non potevano, per legge, possedere. Oggi siamo bianchi, neri, camusi e meticci.Il problema si complica enormemente, poiché esistono parole che non fanno riferimento ad un esistente oggetto reale.Qual è l’oggetto che esiste nella realtà della parola“verità”, “giustizia”, “democrazia” e così via?Non esiste un consenso unanime e preciso su che cosa indicano e significano. Allora, nella metamorfosi-conversione delle parole passando da un contesto ad un altro rimangono le stesse? Significano le stesse cose?Molte volte poi si combinano insieme parole che hanno un oggetto reale e parole che non ne hanno. “l’organizzazione dittatoriale di un formicaio”.Sto rendendomi conto quanto avesse ragione la mia maestra: “Ricordati di non sommare pere con mele”.Temo proprio che nell’ordinare in maniera diversa le parole per rifare la mia biblioteca, tranne forse poche, quasi tutte abbiano cambiato significato o, se preferiamo, indicano oggetti diversi.Un gran brutto pasticcio!L’unica ancora di salvezza in questa enorme confusione, sono convinto risieda nel trovare un modello a cui riferirsi, un metro con cui misurare quello che si è ottenuto, per superare l’inconsistenza dei punti di vista, che ogni rimescolamento di parole comporta.

15

Page 16: La parola caduta

Modelli ne sono stati proposti una infinità. Tutti molto ragionevoli, ma che un punto di vista diverso (una nuova smazzata delle parole cadute dai libri) né mostrava i limiti.La situazione sarebbe anche interessante. Un gioco di punti di vista, una sfida a chi ne trova di più originali, non fosse che in base a quei punti di vista, io debbo agire, comportarmi, pensare e per fare questo debbo riferirmi ad un modello che mi dia, se non certezza, almeno stabilità. Oppure è un punto di vista anche questo?In genere non ci pensiamo. Ci limitiamo ad utilizzare quello che abbiamo trovato nella nostra famiglia, o nel nostro clan, o nella nostra nazione o nella società o negli amici.In questa maniera generalmente si vive bene, poiché si hanno l’approvazione del proprio comportamento e un’indicazione per i propri giudizi.Chi si accontenta, gode.Ho provato, cercato, portato avanti la mia ricerca di un modello da adottare.Quello che avevo prima era andato in frantumi con le parole che erano cadute dai libri, poiché quei libri, con quel contenuto, mi avevano indirizzato ad averne uno e ritenerlo giustificato.Forse ora è chiara e comprensibile l’angoscia che mi ha preso quando ho visto tutte quelle parole, accumulate senza vita nel pavimento. “Qualunque termine a cui pensiamo di legarci e di fermarci, oscilla e ci abbandona: e se lo seguitiamo, sfugge alla nostra presa, ci scivola via e fugge di una eterna fuga. Nulla si ferma per noi. È la nostra condizione naturale, e tuttavia è la cosa più contraria alla nostra inclinazione; noi bruciamo dal desiderio di trovare un asseto stabile e un’ultima base solida per edificarvi una torre che si innalzi all’infinito: ma ogni nostro fondamento scricchiola e la terra si apre sino agli abissi”. (Pascal)Nel mettere insieme quelle parole cadute per ricavarne uno schema diverso, come fosse un altro gioco di carte smazzate, di modelli da approfondire me ne sono rimasti due.Uno è molto concreto e il più concreto che io conosca e va sotto il nome di evoluzione, evoluzione della specie. Siamo tutto e tutti sotto il segno del cambiamento, dell’evoluzione. La realtà evolve, muta e va dal semplice al complesso ed ogni specie vivente cerca un suo spazio per poter vivere divenendo sempre più forte e resistente: inevitabilmente diverso. Occupare più spazio-nutrimento per sé e le generazioni future: questo è l’imperativo che la natura ci impone.

16

Page 17: La parola caduta

L’occupare più spazio-nutrimento genera la catena alimentare che è la base portante dell’evoluzione. Catena alimentare che significa mangiare e non essere mangiati.Una storiella africana dice presso poco così:“Nell’immensa savana si alza il sole e comincia la sua corsa nel cielo. Il leopardo si sveglia e comincia a correre per catturare la gazzella, suo cibo. La gazzella, appena svegliata, comincia a correre per non essere mangiata. Quando ti svegli, tu non sai il perché, ma è meglio che cominci a correre.”.L’evoluzione è un correre per mangiare e non essere mangiati. L’unica cosa buona è imparare a correre per sé e per le nuove generazioni.Il più bravo in questa corsa sembra sia l’uomo. Antonio è più bravo di Francesco e Anna di Maria. Vi è un’altra storiella africana che dice che vi erano solo dieci uomini nell’immensa e selvaggia savana dove vivevano cento ferocissimi leoni. Ora nella stessa savana vi sono cento uomini e solo dieci leoni. Quanto sono feroci i leoni!L’unica virtù che si deve perseguire è quella che fa vincere te e la tua specie.Attuali studi scientifici pronosticano che due sole specie rimarranno a contendersi la terra e tra queste non vi è la razza umana. Saranno le formiche e i robot.La cosa più esilarante è che ai robot ed alle formiche non interessa nulla di avere vinto la lotta per la sopravvivenza ed avere conquistato la terra. La situazione potrebbe interessare l’uomo. Ma questi non c’è più.L’altro è un modello particolare, speciale: l’esistenza di qualcuno che riesca ad indirizzare l’evoluzione in modo che diventi storia voluta, ricercata e non semplice evoluzione.Questi non può essere qualcuno, un superuomo, per esempio, nato dall’evoluzione, perché sarebbe inevitabilmente travolto dalla evoluzione stessa, ma qualcuno fuori con la capacità di intervenire.Bruna Cortese delle Carbonare, poetessa vicentina, ha scritto (sono mie le parti in corsivo):

CIAPASCONDERE DE CRISTO SIGNORE

Te gaveo perso, Cristo,e te sercavoin cese inluminàsora altari ornà

17

Page 18: La parola caduta

de otoni slusenti,de tovaje ricamàsnusando profumi de fiori e incensi.

Ma no te go trovà!

Te go sercàanca in cese picole,abandonà,su altari puareti de fiori, de ori, de lumisnasando odori de mufede tempi pasà

Ma no te go trovà!

Parole vecie e novescrite come testamento, lete e rilete,studià e pregà.Le parla de Dio paree de Cristo so fiolo.Le trovo storie lontane de lote, de cativerie,de fati boni e cativide miracoli fati e non fati,de preghiere esaudie e altre noe de disperasion.Ma dopo tanti ani ancora mi no le capiso.No le go mai capie.Le resta tiritereche fa anca piaxer ascoltar

Ma no go trovà nisuni!

Un cameron de un ospissioscuro, adobà de tristessa.In un leto de fero un muceto de ossi infagotàdo oci persi in zolo de ricordina vosse, quasi un sangioto:- Mama, situ qua?-Go bagnà do lavri sechi

18

Page 19: La parola caduta

go caressà un viso intrapolàcaveji sudà color del lissiasso...- Sì, son qua con ti!-Co na man de cera ne la miala se gà contenta indormensà.Ancora son tornà e ancora e ancora...

Finalmente, Cristo, te gavea trovà

Dopo son pasà per un ospedalelindo, belofato novo.Son andà a trovare ‘na mama,zovane de trenta ani,con do fioi,che moriva de cancro.Oci pieni de disperasion,man che tremava, voesse rota che ciamava i putei

Ma che Cristo xelo quel che gaveo trovà?

Lo trovo, lo perdonei omeni, nele donenei oci sinceri, in quei mensogneri.El xuga a nascondersetra i vivi e i morti,tra i san e i malàtra i me sbrodeghi e quei dei altri.Andando vanti in sta manieraxe come gnanca el ghe fuse,ameso che el che sia mai stà.Me mama te ga trovàe anca me mujere, mi son stufo de xugar a ciapascondere con tiNo go più l’età.

Cristo, dai, vien fora!no te par che saria ora?Cristo!

Le favole che un tempo mi raccontavano, terminavano quasi sempre con:

19

Page 20: La parola caduta

“Dite la vostra che mi go dito la mia:”

Postfazione: Come ho scritto, questa è una storia in stile patafisico. Strana scienza la patafisica, scienza delle parole cadute e riproposte. Niente si distrugge, tutto cambia.

20