La nuova Tribuna 3 gennaio 2015

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Gennaio 2015 - la nuova tribuna - 1 la tribuna EURO 2,00 NUOVA EURO 2,00 N° 1 - Gennaio 2014 - Mensile di opinioni, cultura, arte, storia e attualità di Treviglio e Gera d’Adda Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci Autorizz. Tribunale di Bg. n. 23 dell’8/8/2003 IL BRaND PER L’EXPO IL POLITTICO, UNa GRaNDE OPERa D’aRTE MaL UTILIZZaTa LaDRI a TREvIGLIO COME DIFENDERSI. LE ESPERIENZE POSITIvE DEI GRUPPI DI vICINaTO La crisi cè ma TREVIGLIO REGGE EccELLEnzE dELLa GEra d’adda chE vanno nEL mondo By Enrico Appiani

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Gennaio 2015 - la nuova tribuna - 1

la tribunaEURO 2,00NUOVA EURO 2,00

N° 1 - Gennaio 2014 - Mensile di opinioni, cultura, arte, storia e attualità di Treviglio e Gera d’Adda

Direttore Responsabile Roberto FabbrucciAutorizz. Tribunale di Bg. n. 23 dell’8/8/2003

IL BRaND PER L’EXPO

IL POLITTICO, UNa GRaNDE OPERa D’aRTE MaL UTILIZZaTa

LaDRI a TREvIGLIO

COME DIFENDERSI. LE ESPERIENZE POSITIvE DEI GRUPPI DI vICINaTO

La crisi c’è ma Treviglio regge

EccELLEnzE dELLa GEra d’adda chE vanno nEL mondo

By Enrico Appiani

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Non sarà un ritorno al passato, ma una finestra verso il futuro Quando nacque “la tribuna” il 27 Febbraio del

1975, in Italia i partiti guidavano e gestivano l’Italia, nel bene e nel male. Essendo il giornale

nato da una matrice politica laica e libertaria, assun-se da subito una linea indipendente molto critica e aggressiva, soprattutto verso la Dc e il Pci. Il mondo allora era quello ed ognuno si ritagliava un ruolo poli-tico nel quale si riconosceva, contribuendo al dibattito, all’analisi dei problemi, infine a delle scelte.

Sarebbe sciocco esibire falsa modestia omettendo il ruolo che “la tribuna” ebbe tra il 1975 e il 1983 nella riqualificazione ambientale della Bassa Bergamasca, poi nella critica alla politica urbanistica, nonchè il supporto agli indirizzi culturali, ma sarebbe anche sciocco illudersi di ripercorrere quella strada. Non

perché manchi l’energia e la forza morale, ma perché non esiste più quel mondo, quella politica. Non esisto-no più i partiti e ciò che vediamo è solo un miraggio distorto di qualcosa scomparso tra il 1992 e il 1994.

Infatti, a differenza di allora, oggi la cosa pubblica é gestita fuori dai partiti, quasi sempre da persone perbene e di buona volontà -almeno nel nostro terri-torio- che si ritrovano a decidere della nostra vita ogni giorno. Qualcuno è stato eletto, altri nominati, certo é che sono uomini e donne senza una organizzazione alle spalle. Organizzazioni neppure lontanamente paragonabili a quelle che i partiti politici come Dc, Pci e Psi, mettevano a disposizione delle giunte comunali tra il 1946 e il 1992.

In pratica non esiste più una sezione con iscritti che si trovi più volte alla settimana a discutere su temi specifici. Non c’è più un’assemblea di partito che decida e detti la linea ai rappresentanti in consi-glio o nell’amministrazione comunale. Non esistono più dei giovani che attraverso le strutture del partito si formano e imparano a diventare amministratori pubblici, magari partecipando a delle commissioni specifiche sui vari temi, dalla cultura all’agricoltura, dall’ambiente all’urbanistica.

Oggi ci governano donne e uomini soli, travolti dal quotidiano e impegnati fino all’inverosimile ogni ora della giornata, senza un’attimo di tregua. E non parliamo di questo o quel comune della Gera d’Adda, ma in generale, perché sappiamo che nella nostra terra è così, fatta di gente in gran parte one-sta che si spende tentando di dare il meglio. A volte con successo ed altre no. Perciò il nostro mensile non sarà un ritorno al passato, non farà battaglie d’opposizione o di maggioranza, ma cercherà di diventare un “luogo”. Una piazza, un auditorium, uno strumento che tende ad unire i cittadini sensibi-li, curiosi, interessati, perché ritrovino un modo per esprimere le loro idee, creare una sintesi e interlo-quire con chi ha l’incombenza di decidere e di fare. Supportando quanti riterranno di voler accettare un contributo.

Nessuna pretesa dunque di costruire “cabine di regia”, sostituirci a chi ha il compito di scegliere per tutti noi, tantomeno metterci in concorrenza con la stampa locale. Desideriamo fare altro.

Per essere più chiari, su queste pagine, assieme alla volontà di far conoscere le cose che funziona-no, le eccellenze, e ricostruire alcuni momenti del nostro passato che rischiano di perdersi, l’ambizione è quella di trasferire su “la nuova tribuna” l’espe-rienza di “Città dell’Adda”, il comitato che in que-sti anni ha interloquito con i comuni tra l’Adda e il Serio, segnalando problemi e suggerendo soluzioni.

Spesso problemi legati alle infrastrutture viarie, all’urbanistica, alla cultura o alla necessità di una promozione territoriale per far decollare l’econo-mia locale. Insomma, l’intento é quello di mettere a disposizione una casa aperta a quanti hanno idee, passione e voglia di spendersi per la propria gente. Non solo perchè è un dovere morale di ogni cittadi-no, ma perchè è l’unica cosa da fare per tentare di ricostruire un modo di stare insieme scomparso ma indispensabile.

I soci de “la nuova tribuna”

Dietro questa avventura editoriale c’è una piccola società, la “Tribuna srl”, due soci innamorati

di questo progetto e determinati a costruirlo, ...pos-sibilmente non da soli. Infatti, si tratta di una realtà aperta a coloro che hanno amore per la propria terra, Spirito di Servizio, passione e una visione del futuro non legata alle scadenze della politica. Male che vada potremo dire che ci abbiamo provato.

Roberto Fabbrucci

l’EditorialE

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crazia dello Stato cattolico-liberale di quegli anni e che riportiamo. “Migliaia, milioni di individui lavorano, produ-cono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altret-tanto potente che il guadagno.

Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodiga-no tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamen-te avere con altri impieghi”.

Oggi non è più così, è di gran lunga peggio, eppure “la nuova tribuna” vi farà conoscere ogni mese gente ec-cezionale, donne e uomini incredibili che lavorano meravigliosamente bene, nonostante le prevaricazioni che subi-scono ogni momento della loro giornata lavorativa. Spolpati dalle tasse, da con-trolli infiniti e soffocanti, provocati da ogni angheria, hanno la forza di essere i più bravi, spesso i primi nel mondo.

r. f.

I nostri imprenditori sono il vero miracolo italiano

l’argomEnto di CopErtina

La fotografia di copertina di que-sto primo numero de “la nuova tribuna”, scattata e elaborata dal

bravo Enrico Appiani, è l’immagine simbolica dell’ingegno della nostra gente e della capacità di trasformare un sogno tecnologico in benessere, progresso, libertà. Si tratta del monu-mento ai fratelli Eugenio e Francesco Cassani che riproduce la prima trattri-ce diesel del mondo, quella presentata nel 1927 a Treviglio presso l’Istituto Agrario dai fondatori dell’industria Same. Da questa azienda, sempre un passo avanti rispetto ai concorrenti, sono nate migliaia di figure professio-nali e nuovi imprenditori, molti di loro titolari di aziende di eccellenza nel proprio specifico settore. E’ così che la Same, matrice di questa capacità di far ricerca e produrre qualità, rimane una delle poche industrie metalmecca-niche nazionali che cresce, soprattutto grazie all’esportazione, nonostante il “Sistema Italia” sia ciò che di peggio possa esistere nel mondo occidentale: per i rapporti sindacali unici in Europa (nel senso dell’arretratezza e dell’an-tagonismo fuori misura, avulso dalla situazione tragica dell’economia), poi per il costo del lavoro, per le tasse, per l’alta burocrazia e per le vessazioni che essa sa costruire con ingegno malvagio e costante.

L’Italia attualmente é in una situazio-ne ormai prossima alla deflagrazione, molto lontana da quella che conosceva Luigi Einaudi (primo Presidente della Repubblica - vedi ritratto), che comunque nel 1960 sentì la necessità di stilare sferzanti frasi contro la buro-

la nuova tribunaAutorizz. Tribunale di Bg. n. 23

dell’8/8/2003

Nuova EdizioneAnno 1 - n. 1 - Gennaio 2015

EDITORE“Tribuna srl”

via Roggia Vignola, 9 (Pip 2)24047 Treviglio

Redazione e Amministrazione0363 1970511

Direttore ResponsabileRoberto Fabbrucci

[email protected]

Direttore AmministrativoFiorenzo Erri

[email protected]

RedazioneMichela Colombo, Daniela Invernizzi, Cristina Ronchi, Cristina Signorelli,

Carmen Taborelli, Claudio Bolandrini, Marco Carminati, Ugo Monzio Compa-gnoni, Fabio Erri, Marco Ferri, Paolo Furia, Luciano Pescali, Alessandro

Prada, Stefano Pini, Tienno Pini, Ivan Scelsa, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio

Vailati, Ezio Zanenga

Abbiamo chiesto interventi a: re-dazione del Popolo Cattolico, Laura Crespi (Giornale di Treviglio), Fabio Conti (Eco di Bergamo), Beppe Fac-

chetti (Eco di Bergamo), Pietro Tosca (Corriere della Sera), Andrea Palamara

(Giornale di Treviglio

CollaborazioniEnrico Appiani, Laura Borghi, Tino

Belloli, Laura Crippa, Enrico Bresciani,

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Vivere in provincia oggi pare es-sere diventato attraente. Infatti, contrariamente a quanto accade-va un tempo, è maggiore il nu-

mero di coloro i quali decidono di lasciare la grande città per trasferirsi in piccole cittadine rispetto a chi da fuori si sposta per insediarsi nei grandi centri urbani. Ad indurre a tale, talvolta drastica, decisione concorrono molteplici fattori tra i quali hanno particolare peso quelli economici insieme a quelli ambientali.

Treviglio, vista in quest’ottica, offre ca-ratteristiche naturalmente attrattive per i nuovi potenziali cittadini, in particolare una dimensione medio –piccola che pur si coniuga a una molteplicità di servizi offerti sul territorio.

Inoltre i collegamenti nei trasporti, che costituiscono una centralità importante nel vivere quotidiano di molte persone, sono garantiti da una rete ferroviaria e subur-bana ad alta frequenza, così come la rete stradale, ulteriormente ampliatasi in que-sti anni, assicura una maggior facilità di spostamento.

In tale contesto l’offerta abitativa è ab-bastanza varia e predisposta a soddisfare esigenze diverse. Negli ultimi decenni lo

La crisi é GravE, ma la ciTTà regge benedi Cristina Signorelli

Treviglio offre tutti i vantaggi della comunità a misura d’uomo, con servizi spesso di eccellenza. Grazie a ciò la crisi che ha aggredito il settore immobiliare è stata meno devastante che altrove e il futuro é più rosa

sviluppo urbano ha visto nascere e cresce-re molti nuovi quartieri, dei quali alcuni ormai sono perfettamente strutturati e of-frono possibilità di vivere in contesti pe-riferici a prevalente carattere residenziale.

Anche nelle zone più centrali, così come nel vero e proprio centro storico, diversi interventi edilizi o più semplici ristruttu-razioni hanno determinato nuove soluzioni abitative e commerciali. Una crescita che, come in molti altri luoghi, ha coinciso con il determinarsi di condizioni di mercato e finanziarie decisamente avverse.

La crisi del settore immobiliare che, a livello nazionale, è stato protagonista di una forte contrazione dei prezzi nonché dei volumi di compravendita pare aver col-pito meno la realtà trevigliese, che seppur registra una diminuzione dei prezzi del comparto residenziale nel quinquennio 2008-2013, presenta un calo leggermente inferiore a quello nazionale.

In particolare sembrano tenere meglio i prezzi nominali delle abitazioni con ca-ratteristiche ottime rispetto a quelle defi-nite normali, sia per i tipi di abitazione di fascia medio- alta (- 11,5% contro - 14%, dati Agenzia del Territorio) che per le abi-tazioni economiche, per le quali il prezzo

Il santuario in uno scatto del fotografo Enrico Appiani. Sotto via Sangalli

nominale nella categoria normale è deci-samente crollato (- 30%), contrariamente a quelle con caratteristiche ottime che hanno segnato una débacle meno marcata (- 8%).

La situazione che si delinea nella lettura di questi dati pare corrispondere a una domanda di immobili molto attenta alle soluzioni abitative proposte, e sicuramen-te interessata ad un acquisto immobiliare di buona qualità per il quale è disposta a scontare di poco il prezzo rispetto ai valo-ri raggiunti nel 2008, prima che, in Italia, iniziasse la crisi finanziaria e conseguente-mente immobiliare.

La capacità di Treviglio di dare risposte soddisfacenti in termini di servizi e qualità della vita ai cittadini, per i quali il valo-re intrinseco del luogo dove abitare è dato dalla somma di tante componenti, in sin-tesi, si traduce in un valore aggiunto che il potenziale acquirente attribuisce all’im-mobile, determinandone la scelta.

L’Expo, un trEno da non pErdErE di Roberto Fabbrucci

La fermata del Passante, assieme alla fatto che Treviglio sia una città gradevole da vivere, la rende uno dei luoghi più interessanti per ospitare le delegazioni per il periodo Expo. Ma lo sapevamo?

L’amico Ezio Bordoni nell’oc-casione di un incontro politico-amministrativo dedicato all’Expo e svoltosi a Crema lo scorso au-

tunno, pose un quesito: “...come vedete voi cremonesi e cremaschi Treviglio, ora che si sono quasi completate le infrastrutture viarie?”. La risposta lo meravigliò: “Da Treviglio passa il mondo, ma noi fatichia-mo ad arrivarci.

Infatti è così e sempre più lo sarà, ma si ha la sensazione che non tutti i treviglie-si si siano accorti che la loro città è uno dei nodi strategici su ferro e su gomma dell’Europa meridionale.

Ne è testimonianza proprio l’Expo, evento mondiale che sta arrivando dentro casa senza che si sia costruita una macchi-na organizzativa per sfruttarne i benefici. Eppure Treviglio è uno dei comuni ideali della Lombardia, come luogo di sosta o residenza. Lo spiega “Hospitality Mana-gement”, un progetto dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili della Lombar-dia finalizzato allo “Sviluppo Progettuale Accomodation For Expo 2015”. In paro-le povere, trovare alloggio per 6/10 mesi alle 200 delegazioni estere (dei governi, delle industrie e delle organizzazioni in-

ternazionali) che arriveranno all’Expo. L’intento è di sfruttare i palazzi sfitti e invenduti, in modo da collocare le dele-gazioni, mediamente da venti membri, in appartamenti nello stesso palazzo o nelle vicinanze. Cosa ha di particolare Trevi-

glio lo sappiamo, le linee ferroviarie che convergono dai quattro punti cardinali, il terminale del Passante Ferroviario che for-ma i convogli per le due linee principali che poi finiscono a Novara e Varese, poi due caselli autostradali sulla Brescia Mi-lano. E’ anche l’unica cittadina a ridosso dell’area metropolitana con un bel centro storico, viali alberati, bei negozi, i fiumi a due passi e un attimo da Linate o Orio, op-pure dai laghi, dalle montagne, ma anche da Venezia, Mantova, Pavia. Poi ha tutti i servizi, dall’ospedale alle scuole, dai Cara-binieri alla Finanza, dall’Inps all’Agenzia delle Entrate. Cosa manca? La consapevo-lezza di essere con Novara una residenza ideale per i visitatori dell’Expo. Si parla di trenta milioni di persone che arriveranno da tutto il mondo e che, visto il mancato coinvolgimento e coordinamento dei lom-bardi, in molti finiranno per andare a sog-giornare in Emilia Romagna, in Piemonte e nel Veneto. Sì perché è anche da com-prendere che il mondo non è l’Italia. Al-trove l’unità di misura casa-lavoro è spesso

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giorno e l’at-tenzione che più facilmente si presta agli altri, che co-stituiscono da sempre un trat-to fortemente rappresentati-vo della vita in provincia, oggi in particolare divengono particolarmen-te attrattivi,

tendenze che mitigano i ritmi spesso frenetici ed impersonali della vita quotidiana.

De Filippi, ormai buon conoscitore della realtà trevigliese, sottolinea che, nella sua esperienza, i servizi offerti corrispondono anche alle aspettative, in particolare quelli scolastici, dei quali vi è un’ offerta di buon livello. Certa-mente non poteva mancare un cenno ai collegamenti, ferroviari e stradali, che potenziati nell’ultimo decennio, ridu-cono drasticamente i tempi di sposta-mento e permettono, pur vivendo in una piccola città, di sentirsi parte integrante di altre realtà.

In definitiva Stefano De Filippi, come altri che sperimentano una scelta simile alla sua, dichiarandosi del tutto sod-disfatto delle decisioni prese apprezza appieno la sua nuova vita in quel di Treviglio.

Cristina Signorelli

molto diversa dalla nostra. Basti pensare che le megalopoli con più di 10 milioni di abitanti hanno una popolazione urbana di 6,3 miliardi, dove vivono l’82% della po-polazione mondiale (rapporto diffuso dal WorldWatch Institute).

Questo per specificare che le distanze in chilometri, quindi la percezione di perife-rie, è ben lontana dalla nostra. Bologna, va inteso, non è così lontana da Milano per un cittadino che viene da Nuova Delhi o Pechino.

E se da parte nostra si mancherà in parte l’appuntamento dell’Expo, non dovrà es-sere inteso come un’occasione economica persa a se stante, ovvero di passaggio.

Portare delegazioni e turisti in Gera d’Adda e a Treviglio, significa far cono-scere luoghi, arte e architettura, modo di vivere e di mangiare, lavoro e professioni. Quindi occasione di business per le azien-de del territorio, curiosità e possibilità di insediamenti produttivi nuovi, vendita di alloggi, capannoni, uffici. Costruzio-ne di alberghi per soddisfare le esigenze di quanti, lavorando a Milano e venendo dall’estero, hanno necessità di dormire a prezzi abbordabili e arrivare in città in meno di un’ora.

Sarà comunque un’occasione che per-metterà ai cittadini del territorio di ren-dersi conto delle potenzialità non sfruttate. Una sorta di grande sveglia che lascerà dell’amaro in bocca ma che potrebbe es-sere la svolta per un cambiamento storico.

Per comprendere la posta in gioco, os-serviamo qualche numero. Tra Treviglio, Caravaggio e Cassano, gli appartamenti nuovi non venduti sono circa 2.500, che facendo un calcolo medio di un valore di 150.000 euro cadauno, significano 375 mi-lioni di euro di sofferenza, in gran parte bancaria. A questi si aggiunga l’invenduto del nuovo non residenziale: capannoni, uf-fici, magazzini, ma anche i vecchi immobi-li, residenziali o meno, che sono sfitti o non si riescono a vendere. Diciamo altri 150 milioni? Numeri che dovrebbero terroriz-

zare, ma che per fortuna sono “ammorbi-diti” da un tessuto imprenditoriale forte e da un tiepido interesse che arriva un po’ da tutto il nord Italia. Ne sono conferma prezzi, calati ma non in modo devastante, e la quantità di agenzie immobiliari che no-nostante una crisi economica, mai vista dal dopoguerra, non chiudono bottega.

E si ritorna al problema di sempre: tro-vare la capacità di stare assieme per orga-nizzarsi e trarne un vantaggio generale, per le aziende e per il territorio.

Ovvero, può un patrimonio immobiliz-zato di mezzo miliardo non essere promos-so, considerato anche il fatto che apparta-menti venduti significano, oltre l’apporto di liquidità per la vendita dell’immobile, gli arredi e i servizi, un apporto annuale all’economia locale corrispondente al red-dito di ogni nuova famiglia? Stiamo par-lando di 20.000 euro per 2500 famiglie, cioè cinquanta milioni di euro di liquidità che girerebbero in più tra Treviglio, Cara-vaggio e Cassano d’Adda e che bastereb-bero a superare la crisi che affligge il resto d’Italia. Manca pero la testa e il luogo per organizzarsi e vanno costruiti.

stEfano dE filippi: “pErChè mi sono stabilito qui”

Bella Milano, ma meglio abitare a Treviglio...

sE BErGamo dormE Treviglio se ne va...di Beppe Facchetti

Il collegamento tra Treviglio, la A4 e la Pedemontana, é fondamentale più per Bergamo che per la pianura. Abbiamo chiesto a Beppe Facchetti, editorialista dell’Eco di Bergamo, un suo commento

La futura Bergamo-Treviglio non é solo un’ipotesi di autostrada. É l’idea di una cerniera tra due parti della Provincia di Bergamo, altri-

menti destinate a sganciarsi l’una dall’al-tra. Una specie di deriva dei continenti al contrario. Anziché avvicinarsi, la pianura si allontana dal capoluogo e dalle valli re-trostanti. Ci vuole una cerniera, se debbo-no stare insieme, ammesso che qualcuno lo voglia.

Il nuovo Sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, in verità dimostra da tempo di vo-lerlo, perché comprende che non andrebbe bene neppure alla città perdere la relazione con Treviglio e il suo circondario. Il ca-poluogo vale poco più del 10% dell’intera Provincia e per questo il governo mini-mo di quel territorio deve comprendere la “Grande Bergamo” e forse un po’ di più, arrivando ad almeno 400 mila abitanti. É il minimo, al tempo stesso il massimo della compatibilità economica e di servizio. Ma anche la grande Bergamo resta asfittica se non può relazionarsi in modo efficiente con gli altri 600 mila abitanti.

Il nuovo Presidente della Provincia, Matteo Rossi, a parole é d’accordo su questo disegno, ma poi ci sono le priori-tà. Ridotto al nulla dalla demagogica de-

cisione di “cancellarlo”, come se non ci fosse un territorio di oltre un milione di abitanti, 242 Comuni e mille problemi di-versi da coordinare, l’ente non ha una lira, deve mandar a casa la metà dei dipendenti a parità di competenze, ha un Consiglio e un Presidente delegittimati, cui non si ri-conosce neanche il rimborso del prezzo dell’autobus.

Comprensibile che Rossi, che viene dall’area dell’Isola, e quindi pur sapendo bene, per dna, quanto siano importanti le infrastrutture in un territorio che ha vissu-to decenni di inquinamento e intasamento stradale, deve però scegliere dove impe-gnare le poche risorse che potrà reperire. E in Val Brembana c’é a Zogno una variante rimasta a metà, che condiziona il successo degli investimenti privati fatti a San Pelle-grino, un toccasana per una Valle spopola-ta e deindustrializzata.

Quindi é umano, e forse persino politico (specie se la politica trevigliese non glielo ricorda criticamente) che non veda come priorità la saldatura Bergamo-Treviglio, perché Treviglio ha già il “lusso” di una autostrada tutta per lei, una ferrovia poten-ziata, due aeroporti vicini, uno dei quali -Linate- praticamente nel cortile di casa.

Ma sbaglierebbe a sottovalutare il pro-

Ascoltare un non trevigliese pronunciarsi in modo tanto entusiastico colpisce, eppu-

re Stefano De Filippi, trasferitosi a Treviglio circa 12 anni fa per scelta, si dichiara cittadino soddisfatto di ciò che la nostra piccola città offre. De Filippi ci racconta che dopo una vita trascorsa a Milano, città della quale sfruttava appieno le molteplici opportunità offer-te, giunto il momento di ripensare alla dimora nella quale vivere, più adeguata alle nuove esigenze della sua famiglia, un po’ per caso è capitato a Treviglio e, forse complice la primavera che, come i Trevigliesi ben sanno ammanta di verde i viali cittadini e profuma di tiglio le vie cittadine, ha deciso di stabilirvisi. Il periodo trascorso a cercare la nuova casa gli ha fornito nuovi interessanti spunti che lo rinsaldavano sempre più nel convincimento della scelta che andava a compiere. In particolare l’offerta di abitazioni di buon livello in contesti gradevoli, proposte a prezzi de-cisamente competitivi rispetto a quelli, di uguale natura e caratteristiche situate nella grande città, è divenuto fattore trainante nella decisione di trasferirsi in provincia.

Vivere a Treviglio può costituire, come ci racconta l’entusiasta Stefano, un’alternativa attraente anche per un pubblico vissuto a lungo nella grande città, che sperimenta quotidianamente rapporti interpersonali segnati dall’in-differenza e dal totale disinteresse per gli altri. Al contrario il saluto di ogni

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Giorgio Gori

autostradE bErgamasChE

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Fara Gera d’Adda, Pontirolo, Treviglio e Casirate.

L’Autostrada Bergamo-Treviglio si-gnifica ridurre i tempi di percorso di due terzi, significa entrare immediatamente in A4, piuttosto che nella Pedemontana e scavalcare Milano per raggiungere la Malpensa. Sembre-rebbe un vantaggio tutto dei cittadini della Gera d’Adda, in realtà ne esistono altri ben più vantaggiosi e sono per Bergamo, le valli e per chi transita sulla A4. Di fatto con questa bretella il percorso Bergamo-Milano diventerebbe

molto più rapido, infatti ci si potrebbe collegare in pochi minuti alla A35 (BreBeMi) e raggiungere Linate, Segrate, la tangenzia-le est e quindi la A1. In futuro poi, quando si costruirà il tratto Treviglio-Lodi, il collegamento tra le tre autostrade A4, A35 e A1 diventerà rapidissimo, trasformando questa area in un polo residenziale e produttivo super servito da infrastrutture viarie.

Il nuovo presidente della Provincia Matteo Rossi, a parole favorevole al collegamento ma in realtà più sensibile ai mal di pancia della base del Pd

blema, che é innanzitutto suo, cioè del re-sponsabile della cosiddetta “area vasta”. Treviglio può infatti anche far a meno del collegamento con Bergamo, che vede vita-le e importante solo perché in connessio-ne con la futura Pedemontana, che sarà in tal caso un’autostrada Treviglio-Europa e, soprattutto se l’asse con Bergamo si pro-lungherà fino a Lodi, con accesso veloce all’autostrada del Sole, stando così nel bel mezzo di una coordinata Nord-Sud da af-fiancare ad un formidabile asse Est-Ovest.

Ma se Bergamo non decide, se Roberto Maroni non ne fa, come é, un problema davvero “padano”, cioè sovraregionale, Treviglio non di agiterà per questo.

Il problema della cerniera é dei berga-maschi; i trevigliesi possono arrivare a piazza del Duomo in 45’ e smetteranno del tutto di puntare sul Sentierone, stanchi di farlo in un tempo superiore a quello che impiegano per arrivare all’Arena di Vero-na...

Andrà avanti la già secolare attrazione di Milano, che diventerà presto irreversibi-le proprio a causa dei cambiamenti in atto: la demotivazione della Provincia, il depo-tenziamento della Camera di Commercio, la fine della “ bergamaschitá” del sistema bancario.

Quando ci sono stati problemi a Trevi-glio, non é certo Bergamo che ha aiutato a risolvere i rischi di chiusura dei presidi di sicurezza (commissariato, polizia stra-dale ecc.), lo stop al Tribunale, l’incertez-za dell’ufficio dei Giudici di pace, la fuga dell’Universitá. Meglio guardare a Milano, alla nuova area metropolitana che li si for-

gnano, il nuovo assessore regionale ai tra-sporti, Sorte. Ma é soprattutto il Pd che deve battere un colpo.

Il problema, se mai, non é tanto quello del rapporto di Treviglio con Bergamo, già molto fragile, quanto la capacità di Trevi-glio di diventare capitale della Bassa.

I Comuni della pianura non la sentono ancora come un punto di riferimento, una necessità. Ognuno continua ad andare per conto proprio, mancando alcune calamite che renderebbero Treviglio davvero attrat-tiva: un Teatro, uno Stadio (con relativa squadra, vedi Sassuolo e Carpi), persino un Centro Commerciale. Su un tema chia-ve come quello dell’interporto é Caravag-gio che conduce la danza.

Questo del rapporto tra Treviglio e il suo circondario (che peraltro esisteva già, molto meglio risolto, al tempo degli austriaci nel Lombardo Veneto) dovrebbe essere anche al centro dell’attenzione del-le vicine elezioni comunali di Treviglio e Caravaggio.

Ma probabilmente dovremo aspettare gli esiti della spaccatura esistente nel centro-destra e della faticosa ricomposizione del centrosinistra, prima di vedere dei pro-grammi lungimiranti e sostanziosi.

Nel frattempo, siamo nelle mani di Matteo Rossi e di Roberto Maroni, senza nessun trevigliese che gli soffi sul collo. Speriamo che facciano almeno una cosa in realtà molto semplice: dare un’occhiata sulla carta geografica. Parla da sola.

infrastrutturE/autostradE bErgamasChE

il lavoro arriva se c’è La Banda LarGa a cura di Fabio Erri

Per rendere più attrattiva la città alle professioni, al terziario avanzato . Per avere più servizi avanzati, è indispensabile aggiungere un’infrastruttura che ora arriva a pochi utenti: la connessione ad alta velocità

E’ già stato accennato alla posizio-ne strategica di Treviglio, una città dalla quale, grazie all’autostrada e al passante ferroviario, si possono

raggiungere l’aeroporto di Linate in venti minuti, quello di Malpensa in novanta, la stazione Centrale di Milano in mezz’ora e la fiera di Rho in un’ora. Probabilmen-te solo Pioltello ha la qualità in termini di connessioni infrastrutturali di questa città, ma dubito che qualcuno dei lettori possa desiderare di scambiare il proprio appar-tamento con uno in quel di Pioltello, o la propria villetta a schiera della Geromina con una a Limito.

E a un abitante di Milano che desidera allargare la propria famiglia, o quantome-no il numero dei vani, dovremmo far sa-pere che Segrate, Vimodrone e Sesto San Giovanni non sono le uniche alternative per continuare a raggiungere l’ufficio in pochi minuti. Treviglio può dire la sua an-che in questo.

Facilità di spostamento e servizi messi a disposizione dalla città oggi costituiscono i gradini più alti delle nuove priorità nella scelta delle abitazioni. Certo, l’obiezione che arriverà è già conosciuta: “Dobbiamo evitare che Treviglio diventi il dormitorio

di Milano”, come se fosse davvero proba-bile che qualcuno possa acquistare o af-fittare una casa a Treviglio senza usarne i servizi, gli esercizi commerciali e i risto-ranti, iscrivere i figli alle scuole e alle so-cietà sportive, e via di questo passo

Anche le aziende scelgono dove stabilir-si o dove espandersi, in funzione dei ser-vizi del territorio. Per fare un esempio, la zona industriale di Calvenzano è stata per anni penalizzata dall’assenza di connes-sioni a banda larga, arrivata solo nel 2011 dopo che nella nostra città utilizzavamo l’ADSL fin dall’anno 1999.

La banda larga, o ultra larga come viene chiamato l’ultimo step tecnologico in fibra ottica, è oramai una necessità di qualsiasi azienda. Forse chi oggi né può fare a meno è solo la categoria dei piccoli artigiani, pe-raltro una classe di aziende in rapida estin-zione nella nostra provincia.

I vantaggi nell’avere una connessione a banda ultra larga in ambito business sono molto più quotidiani di quanto si possa immaginare. Rapidamente stiamo andan-do verso l’”Everything as a service” cioè “tutto come un servizio (di rete)”. Facendo un’analogia è la stessa differenza che esi-ste, quando ho bisogno di un’automobile,

tra acquistarla e noleggiarla, ovvero paga-re per diventarne proprietario e pagare per poterla utilizzare solo quando mi serve.

Allo stesso modo i software che regolano la contabilità, i server che ospitano i data-base aziendali, gli impianti telefonici, i si-stemi di video sorveglianza possono essere utilizzati nel “cloud” pagandone l’utilizzo attraverso un canone mensile. Non sono più obbligatori importanti investimenti per l’acquisto dell’hardware necessario, per l’alimentazione elettrica e per la manuten-zione. Il cloud offre agli imprenditori la certezza di rispettare i business plan poi-ché non contempla, per definizione, impre-visti: chi gestisce un CED conosce bene il problema della perdita dei dati, del furto di credenziali, della guastabilità dell’hardwa-re, del turnover del personale delle aziende manutentrici, eccetera.

Cosa c’entra il cloud con la banda lar-ga? Per sfruttare la nuvola è essenziale non avere il collo di bottiglia della connettivi-tà: serve avere molta banda, meglio se sim-metrica, per utilizzare i servizi sulla Rete Internet con la stessa velocità di quelli in locale. Se la connessione non è affidabile, meglio lasciar perdere.

La connessione veloce è fondamentale anche per sfruttare la video conferenza. Anche in aziende con una forte attitudine tecnologica come quelle in cui ho lavora-to, gli spostamenti per visitare i clienti o i fornitori hanno sempre rappresentato una fetta significativa della giornata lavorativa. Eppure l’alternativa esiste già e si chiama video conferenza. Se anche solo il 50% degli spostamenti fosse evitato con questo sistema, i vantaggi per la produzione (e per l’ambiente) sarebbero evidentissimi. Non possiamo però chiedere ad un dirigente di fare un meeting con un cliente importante via Skype con un video pessimo e la voce saltellante: se vogliamo cambiare l’abitu-dine ormai consolidata di prendere l’auto dobbiamo mettergli a disposizione una vi-deoconferenza in HD e quindi una connes-sione in fibra ottica.

merà e che già arriva a cinque chilometri di distanza, senza contare delle poten-zialità di nuove relazioni con Lodi e con Crema, che davvero sono tutte da esplora-re, con Crema da sempre in conflitto con Cremona e con Lodi ripudiata da Milano!

I problemi infrastrutturali si risolveran-no magari con lentezza ma si risolveranno, perché é la posizione geografica di Trevi-glio a imporre certe logiche.

Se ci fosse una classe politica coraggiosa e decisa, la svolta verso Milano potrebbe diventare anche istituzionale. Ma ci vuo-le visione e ci vogliono leader territoriali veri. Per ora ne é emerso solo uno, a Bri-

da trEviglio a bErgamo in un attimo

Ora è si arriva prima a MilanoQuesta nuova autostrada collegherà tra loro Brebemi e

Pedemontana, mettendo così in comunicazione la Bassa Bergamasca.

Sarà un’autostrada a quattro corsie che partendo da BrBeMi nei pressi di Treviglio, si innesterá in A4 nel territorio Osio Sotto-Brembate e nella Pedemontana.

Inizialmente denominata “IPB” (Interconnessione Pede-montana Brebemi) è oggi meglio identificata con l’appellativo “Autostrada Bergamo-Treviglio” anche in forza del fatto che oltre ad unire BreBeMi e Pedemontana avrà un secondo ramo che, in zona Osio Sotto, si prolungherà in direzione nord e si collegherà alla Tangenziale Sud in territorio di Stezzano

Il punto di innesto sarà sulla rotatoria della Tangenziale Sud nei pressi del centro “Le Due Torri”. Questa infrastruttura, essendo stata prevista da diversi anni, è stata assunta a livello grafico sul PGT della Provincia vigente.

Il costo dell’opera è di circa 250 milioni di euro, si sviluppa per circa 19 km (dei quali per il 78% in trincea e 6% in galle-ria) e interesserà i comuni di Stezzano, Levate, Dalmine, Osio Sopra, Osio Sotto, Brembate, Verdellino, Boltiere, Ciserano,

infrastrutturE/pEr lE nuovE profEssioni

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Entrando nella Basilica di San Marti-no, oppure nel Santuario, quello che colpisce uno “straniero” è la luce, che non c’è. Eppure appese appe-

na sotto queste grandi volte, lassù in alto, si intravedono opere pittoriche gigantesche di grandi artisti, ma il buio e forse la necessità di una pulizia ai dipinti, non le rendono evi-denti. Persino il Polittico, che pure ha una sua illuminazione a pagamento e a tempo, pochi possono immaginare che un tempo spiccava in mezzo all’altare, illuminando con la sua bellezza tutta la chiesa.

Certo un passante casuale, ignaro del-le opere straordinarie contenute in queste chiese, deve andarle a cercare, non sono evidenti. Così si perde l’occasione di gu-stare il Polittico,. una delle opere pittoriche più importanti d’Italia, ovvero “un esempio mirabile del passaggio dal Medio Evo al Rinascimento” dicono gli esperti.

Ma non c’è solo questo e non ci sono dub-bi che Treviglio sia una città d’arte, ne sono testimonianza proprio le opere pittoriche

presenti nelle chiese cit-tadine e nel museo civico.

“La Basilica di Trevi-glio è anche un museo che custodisce opere di grandi artisti, ma mi sof-fermerei sulle opere della famiglia dei “Montalto”, nella quale emerge Gio-vanni Stefano”.

Così Paolo Furia, esperto e appassionato d’arte, ci spiega. “Un ciclo importante di suoi capo-lavori è esposto in Basili-ca, mentre nel Santuario della Madonna delle La-crime, in via Galliari, è in bella evidenza il ciclo della vita di Maria. Altre opere sono conservate nel Museo civico e nella sede della Cassa Rurale”.

In Basilica però, prima

di ogni altra cosa, è da vedere il Polittico di San Martino, un dipinto di Bernardo Zenale e Bernardino Butinone, commis-sionato dal parroco nel 1485 per la somma, esorbitante per l’epoca, di mille lire impe-riali. Un progetto tanto complesso che gli artisti impiegheranno vent’anni per com-pletarlo. L’opera fu realizzata con l’aiuto di Ambrogio de’ Donati per la cornice lignea dorata di tipo bramantesco. Paolo Furia aggiunge: “Il Polittico è una della più importanti opere del Rinasci-mento lombardo. Bernard Berenson scrisse: «… ed insieme dipinsero un

polittico che ancora illumina del suo splendore la prosai-ca Treviglio…».

Butinone ha espresso il suo va-lore in alcune ta-vole in cui è evi-dente l’influenza padovano-ferrarese, del Mantegna e de-gli squarcioneschi. Allo Zenale si possono attribuire i pannelli più ‘raffi-nati’ dove è evidente la scuola leonarde-sca e bramantesca. Il complesso monu-mentale, un’inven-zione dello Zenale, è un grande edificio dal quale si affac-ciano i Santi. Ber-nardo Zenale fu, fra

QuEsto é iL “Brand” nascosTo di Trevigliodi Roberto Fabbrucci

Le nostre chiese sono depositi di tesori, eppure potrebbero essere una risorsa culturale, religiosa ed economica di grande valore. Il Polittico di Zenale e Butinone, per esempio...

l’altro, architetto del Duomo di Milano e (canepario dell’Accademia di San Luca) era già celebre in vita”.

Paolo Furia prosegue sottolineando la prospettiva centrale, che ha il suo punto focale sul ginocchio di San Martino. Il piano terreno dell’edificio è un porticato passante, occupato da Santi, oltre il quale s’intravedono le mura di Treviglio con il suo superbo campanile. Al primo piano si affacciano alle roste di ferro battuto, altre Sante e Santi venerati a Treviglio, tutti già citati negli Statuti Comunali del 1392.

“Alla base, una predella con la Natività, la Crocifissione e la Resurrezione inter-vallati da quattro Dottori della Chiesa: Gerolamo, Gregorio, Ambrogio, Agostino. Nel timpano si affaccia nel tondo il Cristo in Pietà. Sotto le colonne binate del piano terra, in graffito oro, si leggono i Santi: Antonio, Benedetto, Nicola e Bernardino”.

Il capolavoro trevigliese è anche una le-zione di moda, oggetto di studi e conferen-ze. Difatti le Sante effigiate sfoggiano abiti rinascimentali damascati e ricamati delle dame dell’epoca.

Conclude il prof. Furia: “Un’altra le-zione dello Zenale ci viene dal cavallo di San Martino, interamente, disegnato di tre quarti, sta nella stretta tavola centrale in-feriore”.

E’ un’opera che meriterebbe una mag-giore valorizzazione, “...per esempio po-nendola nella cappella coeva della basi-lica trevigliese, dove operò nelle volte a vela Bernardino Butinone e le cui pareti furono in seguito affrescate dal caravag-gino Nicola Mojeta, aiutante dei due ma-estri trevigliesi nella decorazione della Cappella Grifi in San Pietro in Gessate a Milano”.

La basilica ha ancora segreti da svelare, altre opere “a fresco” da scoprire, restaura-re e valorizzare, ma le risorse sono sempre poche e l’arte, in Italia, non è tra le priorità.

Mentre la Pala del Giorgione...La città di Castelfranco Veneto, ricca di monumenti, ha scelto la Pala del Giorgione per rappresentare la città. Ovvero il suo marchio

Castelfranco Veneto é un comune di 32.880 abitanti in provincia di Treviso, una città turisticamente

importante perché ha un castello medio-evale che racchiude il centro storico di-feso da mura molto alte, di mattoni rossi, che comprende sei importanti torri.

Eppure, una città con un centro storico con un castello e delle torri, ha deciso di farsi chiamare la Città della Pala del Giorgione, così lo scrive nei cartelli d’ingresso alla città e sull’autostrada. In-fatti, nella cappella del Duomo conserva l’importante dipinto di un suo importan-te figlio, il Giorgione.

A Castelfranco si sono accorti che chiamarla “Città della Pala del Giorgio-ne”, é un modo facile per identificare un’opera di interesse posseduta dalla cit-

tà. Così quella bella pala è diventata il brand, il suo marchio.

Perché questa intro-duzione, per significare che se pure l’opera del Giorgione è straordi-naria, non lo è più del Polittico dello Zenale e Butinone di Treviglio.

Questo per sollecitare chi di dovere ad atti-varsi per pensare come trasformare un’opera d’arte sconosciuta in una risorsa importante per Treviglio e il suo territorio.

Certamente per trasformare il Polittico in brand non bastano le brave guide, che pure ci sono, né le associazioni e i volontari, occorre che le due autorità loca-li, quella amministrativa e quella religiosa, si convincano di questo.

Infatti, non è suffi-ciente dichiararlo sulla stampa e in tv, come spesso é stato fatto da molti di noi, ma fare un’analisi e dare delle risposte.

L’analisi è presto fatta. Abbiamo già scritto che la Basilica non é illuminati a sufficienza e basta visitare il Santuario di Caravaggio, o le chiese di Romano di Lombardia, per capire che significa illu-minare una chiesa. Non è illuminato al modo giusto il Polittico, non solo perché le nuove tecnologie permetterlo di farlo meglio oggi rispetto a vent’anni fa, ma perché quell’opera deve essere illumi-nata costantemente, senza la necessità dei 50 centesimi per una manciata di minuti.

Gli orari d’ingresso debbono essere ampliati e pubblicizzati, una audio guida deve essere posta nei pressi del Polittico, così come dei pannelli di gradi dimen-sioni devono essere posti fuori dalla Basilica, mentre all’ingresso della città va messa un’apposita segnaletica e delle indicazioni accattivanti. Poi va fatta della pubblicità.

Insomma, é necessario costruire un’organizzazione che coordini l’attività attorno al Polittico e alle opere artistiche presenti a Treviglio, e che possa fare da traino al turismo di breve raggio.

Cambierà l’economia questo piccolo turismo? Certamente. Infatti, al di la della piccola economia che si costrui-sce attraverso la presenza di visitatori, c’è molto di più: l’attrattiva di una città vivibile, dove si può venire ad abitare e lavorare.

(r. f.)

artE/trEviglio E lE suE potEnzialità

Sopra il Polittico di Zenale e Butinone costudito nella Basilica di Treviglio, accanto a sinistra e sotto dei particolari

markEting/EsEmpi intElligEnti

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trEviglio/artE E Curiosità

E LautrEc paGò QuEL conto a ButinonE di Paolo Furia

Guardare le grandi opere di casa nostra con un occhio ai dettagli storici, gli aneddoti gustosi e popolari, può essere un aggancio per un approfondimento artistico appassionante

Mi piacciono, adoro le trasmis-sioni di Philip Daverio. Mi piacciono perché sono alla portata di tutti, uniscono la

nozione artistica agli aneddoti sugli artisti e i personaggi che ruotano intorno. Le sue sono trasmissioni alla portata di tutti, non-ne e bimbi compresi.

Anche in merito alle nostre opere d’arte si può tentare di fare altrettanto. Prendia-mo ad esempio alcuni capolavori treviglie-si.

Il Polittico di Bernardino Butinone e Bernardo Zenale

Suggestiva opera realizzata dai due più grandi artisti trevigliesi, un capolavoro

del Rinascimento lombardo.Questa Casa dei Santi, nel suo impianto

architettonico, è il frutto dell’ingegno dello Zenale che divenne architetto del Duomo di Milano dopo la morte dell’Amadeo. Per certo Bernardo scrisse un trattato di pro-spettiva che donò al figlio prematuramente morto di peste nel 1520. Sia lo Zenale che il Butinone erano benestanti e possedeva-no varie proprietà e appezzamenti di ter-

gi c’è molto da dire, ma gli spazi a nostra disposizione sono limitati quindi ci limite-remo a citare alcune chicche sconosciute ai più. Ad esempio, Il Butinone fu pagato dal Lautrec (quando questo era Governatore del milanese) per la realizzazione di gual-drappe di parata dei suoi cavalli. È tanto certa la conoscenza dei Nostri col gene-rale francese che nella Cappella Grifi in San Pietro in Gessate i due raffigurarono un nobile appeso per le braccia, condanna usata da Thomas de Foix, fratello di Odet, passato alla storia milanese per le sue cru-deltà perpetrate in Milano.

Curiosità: il trittico della storia del mi-racolo, attualmente posizionato sul presbi-terio del Santuario fu allogato al Butino-ne da un prete trevigliese del XIX secolo. Notizia falsa poiché il trittico raffigura la storia del miracolo avvenuto nel 1522 e il Butinone morì nel 1511. Quindi l’opera si può allogare ad un seguace del Butinone, ad esempio a Nicola Mojeta di Caravag-gio che fu aiuto dei due trevigliesi nell’af-frescare la Cappella Grifi in Milano.

La facciata dell’architetto Giovanni Ruggeri

Il Ruggeri, di origine romana, operò at-tivamente in Milano e nel milanese. Per

le sue sculture si avvalse della collabora-zione di Antonio Maria Pirovano sculto-re bergamasco in voga nel XVIII secolo. Bello conoscere tutte le vicissitudini dei trasportatori di meteriale lapideo da Brem-bate a Treviglio con le tappe di sosta nelle osterie dislocate sulla strada dove si fer-mavano a pranzare a base di polenta e “lu-ganighe”. Altrettanto curiosa l’operazione della posa delle grosse colonne di faccia-ta. Per tale operazione serviva una grossa burbera (argano), poi trovata nel Castello

di Brignano dove era impegnato lo stesso Ruggeri. Posizionata la burbera nella parte alta dell’impalcatura si avvolse il canapo. Ad una estremità si legò il collarino del-la colonna e l’altra estremità a una lunga serie di buoi che dovettero tirare lungo la piazza. Era questa un’operazione delicata e rischiosa che causò pure la rottura del ca-napo talché la colonna cadde in più pezzi. Si dovette procedere alla realizzazione di una nuova colonna. Curiosità, a Brembate, nella chiesa di San Vittore, su un affresco c’è la firma a graffito di un certo Zanda di Treviglio a quel tempo impegnato per la facciata della Basilica.

L’organo della Basilica

Non tutti sanno che il parapetto dell’or-gano è lo sviluppo delle tre pareti

dell’antico organo (1608-1620) che si tro-vava nella campata di destra della Basilica

dove oggi c’è il Polittico. Quando i fratelli Galliari decisero di posizionare l’organo in controfacciata ricostruirono il parapetto nella nuova sede.

Poiché la nuova misura era maggiore della precedente diedero incarico al pittore Federico Ferrario, collaboratore dei Gal-liari, di realizzare la tela mancante (David suona l’arpa per incitare i soldati alla battaglia) da affiancare alle tre di Fran-cesco Cavagna detto Cavagnolo, figlio del famoso Paolo.

I quadroni della vita di San Martino dei Montalto

Non tutti sanno che il pagamento al Montalto dei quadroni della vita di

San Martino fu effettuato usando le laute elemosine lasciate al cimitero degli ap-pestati accanto alla chiesa campestre di Sant’Eutropio (a sud di Treviglio, nell’o-

monima via, ma scomparsa), nonché le elemosine del “miracolo” del revellino. Sia le elemosine del cimitero degli appe-stati che quelle del presunto Miracolo del revellino furono motivo di discussione fra la chiesa locale e l’amministrazione comu-nale. Si trattava di grosse cifre.

La diatriba durò a lungo tanto che i due contendenti decisero di nominare un arbi-tro “imparziale” individuato nell’Arcive-scovo di Milano che, sentite le parti, dette ovviamente ragione ai preti. Una decisione scontata.

Sopra a sinistra la facciata della Basilica di San Martino dell’architetto Giovanni Ruggeri. Sopra il dipinto di Giovanni Stefano Montalto: San Martino aggredito dai briganti (particolare). Sotto il parapetto dell’organo della Basilica e il critico d’arte Philippe D’Averio.

Due scatti del Polittico del fotografo Tino Belloli. Sotto “L’appeso” della Cappella Grifi in San Pietro in Gessate, MIlano

reno in Treviglio. Lo Zenale risiedeva nel quartiere Zeduro e il Butinone nel quartie-re di Porta Nuova. Di questi due personag-

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Caravaggio: a chi la la medaglia, a chi il medagliere di Angelo Sghirlanzoni

Caravaggio/opinioni & CommEnti

A sinistra il volontario Pino Leprieri fa ascoltare il vuoto dietro l’affresco (Foto Corriere della Sera). Sopra la conferenza stampa di “Città dell’Adda” del settembre 2013 (foto Renato De Pascale). A destra le voragini del tetto del vecchio ospedale

Finalmente l’allarme per la chieset-ta di San Bernardino sembra possa rientrare. Questo ci rincuora per-ché l’acqua che cadeva dal tetto,

tra i tanti danni, aveva iniziato a sollevare l’intonaco del grande affresco di Fermo Stella e vi scorreva dietro. Una catastrofe. Ora, magicamente, l’acqua che cadeva dal-la colma del tetto e proprio sopra il croce-fisso, non scende più; qualcuno racconta di uno gnomo che, ignorando le rigide leggi della soprintendenza alle belle arti e quelle sulla sicurezza, abbia risolto il problema salendo sul tetto e sostituendo una decina di coppi.

Non si poteva fare ufficialmente nel set-tembre del 2013, ci domandiamo, quando lo chiese il Comitato “Città dell’Adda” (nucleo dal quale è partita la redazione de “la nuova tribuna”), durante la conferenza stampa che organizzò e produsse il grido di allarme che fece partire la macchina per salvare la chiesa? Evidentemente quando si legifera troppo si perde il buon senso.

L’importante é che i soldi ora siano ar-rivati, così come la delibera della Giunta Comunale n. 83 del 21 ottobre 2014 che stabilisce il rifacimento del tetto, delle strutture lignee e il consolidamento del

soffitto cassonettato.E’ stato un lavoro di comunicazione e

organizzazione del consenso intenso, par-tito nell’agosto del 2013 su segnalazione dei volontari di San Bernardino, collabo-ratori di don Franco Perdomini che or-

ganizzano e tengono in vita una delle più belle chiese lombarde.

A dire il vero cinque anni prima, nel 2008, c’era stato un tentativo struttura-to per salvare la chiesa, questo ad opera della Fondazione “Don Pidrì e Don Pie-rino”, che incaricò la redazione del pro-getto all’architetto GianMaria Labaa di Bergamo, ma tutto si arenò per il Patto di stabilità. Ovvero l’impossibilità dei comu-ni di spendere di più dell’anno precedente, anche se ci sono soldi in cassa.

Con questa restrizione ai sindaci non rimane che decidere delle priorità da dare alla opere: salvare una chiesa del quattro-cento come San Bernardino, che rischiava di crollare, o mettere a posto l’illumina-zione sul viale del cimitero, così le visite notturne ai propri cari potranno essere più sicure? Sono state sistemate le luci!

Tuttavia è stato un anno in cui i promoto-

Mi diceva il dottor Luigi Me-neguzzo, principale artefice dell’Ospedale Consorziale

Treviglio-Caravaggio e suo splendido presidente fino al 1984: …“vedi, la gran parte degli amministratori ritiene di fare il proprio dovere se assume una persona invece di quell’altra, magari più raccomandata. Oppure, se man-tiene in ordine i corridoi e i reparti dell’ospedale. Questo è già molto, perché la cosiddetta ’ordinaria am-ministrazione’ è molto importante. In verità, l’Amministratore è serio, merita la A maiuscola, se ha un progetto da realizzare, se sa programmare la sua azione almeno per 10 anni successivi. Perché il Comune, l’Ospedale, la Casa di Riposo che amministri, ci sopravvi-vono di decenni, non di mesi”.

Se questo è il metro di giudizio, la valutazione degli Amministratori del Comune di Caravaggio nel dopoguerra, non può certo essere positiva. E basta andare in giro per la città per averne la prova.

C’è un continuo consumo di terri-torio per costruire case che ormai più nessuno compera, mentre il centro sto-rico è pieno di stabili abbandonati: si è svuotato di negozi e di abitanti, non ha un’isola pedonale. Il traffico è incana-glito da una serie di sensi unici che ne hanno moltiplicano gli effetti negativi.

Gli edifici storici sono in rovina: il vecchio asilo di via Vittorio Caldara, ora sede di alcune associazioni di vo-lontari, è in degrado; ancora più grave è la situazione del vecchio orfanotrofio femminile, a fianco dell’asilo, che è vuoto da circa quarant’anni. Basta

guardarlo per vedere che le finestre, senza protezione, sono tutte aperte e nessuno trova lo “scatto” per metterci almeno una rete anti-piccioni.

Il vecchio comune, già sede della cosiddetta “Scuola del Legno/Mastri Caravaggini” è transennato in attesa del … “che cosa ne faremo…”.

Ed è transennato perché in pericolo di collasso anche il vecchio ospedale di via Roma, nella parte che dà sul parcheggio. Il suo tetto è pieno di voragini: sistemarlo dopo un eterno abbandono costerà 350.000 Euro. Ora si è trovato un finanziamento che ser-virà a chiudere i buchi. Ma questo è un intervento che richiederebbe veramente un meditato progetto di recupero. Se manca, non si sa che cosa succederà una volta sistemato il tetto. Si rischia di spendere € 350.000 per quello che può veramente diventare un impegno “a fondo perduto”.

Per non parlare di San Bernardino, stupenda chiesa del 1.472, per anni lasciata senza una qualsiasi manuten-zione. Ora la popolazione ha raccolto 17.000 firme (sì, proprio diciassettemi-la) per sollecitare l’Amministrazione Comunale ad affrontare, se non risolve-re, il problema. E in questi giorni sono iniziati i primi lavori di sistemazione del tetto per un ammontare di circa € 500.000.

Si potrebbe continuare con l’elenco. Ma per ora lanciamo la ricerca di am-ministratori che non si accontentino di medagliette da appuntarsi alla giacca. Oddio, un po’ di ambizione e di vanità non ci scandalizza.

Ma che non sia finita lì!

san bernardino adesso si salveràdi Roberto Fabbrucci

Un anno di lavoro intenso, grazie al coinvolgimento di cittadini e amministratori, ha portato all’imminente salvataggio della chiesa. Dalla conferenza stampa di “Città dell’Adda” del 2013, alle polemiche del sindaco

ri della campagna per salvare San Bernar-dino hanno evitato polemiche e critiche, anzi, hanno supportato l’Amministrazione in ogni passo, addirittura contribuendo a organizzare incontri, approfondimenti, ricerche. Persino organizzando un ag-gregazione (in accordo con Giunta, Bcc, Fondazione e comitati), che portasse alla costituzione di un’Onlus di supporto per la raccolta fondi e gli interventi parziali di ristrutturazione.

Non solo, hanno coinvolto altre associa-zioni e cittadini caravaggini, tanto che si è formato anch un comitato capeggiato dal presidente dell’Avis Marco Bettani, che ha organizzato la raccolta di firme per “i Luoghi del Cuore” del Fai. Questo per ottenere il finanziamento a fondo perduto messo a disposizione dell’opera che riesce a raccogliere più firme. Per San Bernardi-no sono state raccolte 17.000 adesioni, un risultato straordinario, che ha coinvolto la Gera d’Adda e non solo.

Per ultimo, grazie a tutto ciò, alla fine si ricaveranno anche i soldi per impianta-re l’ascensore che permetterà di salire dal chiostro di San Bernardino alla Biblioteca Civica.

Un successo clamoroso, che basterebbe a giustificare l’intera esistenza di un citta-dino che ama la sua città, anche perché la ristrutturazione della chiesa di San Ber-nardino è storia antica. Esiste persino un filmato degli anni ‘60 in Super8, realizzato dal gruppo del maestro Riccardo Giberti, che descrive sconsolatamente la situazione degli affreschi e in generale della chiesa in abbandono. Un successo che nessuno ha mai pensato di voler rubare al sindaco, Giuseppe Prevedini, titolare dell’esecu-zione delle opere, ma nessuna si sarebbe mai atteso frasi sferzanti contro i volontari che hanno lavorato gratuitamente (senza ambizioni di sorta) per salvare un bene di tutti. “Tante parole pochi fatti”, ha detto il sindaco quando ha saputo che i soldi era-no arrivati. “Alla fine ci ho dovuto pensare ancora io”. E chi sennò?

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Il mulino Fanzaga era fuori “Porta Zeduro”

Nella primavera del 2014 sull’Eco di Bergamo apparve un articolo che illustrava i motivi per cui era stato attribuito un premio inter-

nazionale all’intervento di recupero dello storico mulino di Baresi, in Val Brembana. Fatto che ha colpito il dott. Marco Azzola, medico dentista trevigliese. «…subito mi è venuto alla mente l’antico mulino Fanza-ga di Treviglio, di cui spesso me ne parla-va con entusiasmo la zia Luciana Biondi, che da insegnante, come tanti altri colle-ghi, accompagnava la sua scolaresca».

Essendo in quei mesi da poco nata la pa-gina Facebook “Sei di Treviglio se ricordi …”. Azzola racconta che gli venne in men-te di scrivere un “post” in cui segnalavo la cosa, proponendo un recupero di questa importante testimonianza storico culturale della città.

«Il consenso è stato immediato e molto vasto con tanti “mi piace”, suggerimenti e commenti entusiastici. Qualche sera dopo a cena da un mio amico di Bergamo, l’ar-chitetto Gianni Remuzzi, ho raccontato di questa mia idea a cui lui subito ha aderito tanto che un paio di giorni dopo ho rice-vuto una sua e-mail con la scaletta delle cose da mettere in atto perché l’idea po-

un comitato pEr saLvarE iL muLinoa cura di Giorgio Vailati

Ne parliamo con il dott. Marco Azzola, promotore dell’iniziativa che ha ottenuto largo consenso, certificato da quasi 10 mila firme per il Fai: “Non è un’operazione nostalgia, ne faremo un museo”

tesse tradursi in una concreta iniziativa».«In seguito siamo entrati in contatto

con la Antonella Bacchetta, referente del Fai di Treviglio e Gera d’Adda, che ha mostrato da subito grande interesse,

così abbiamo iscritto il Mulino Fanzaga al censimento “Luoghi del cuore”, evento che il Fondo Ambiente Italiano organizza ogni due anni.

L’iniziativa è rivolta a tutti i cittadini, chiamati a votare per un bene artistico, culturale o ambientale che ritengono deb-ba essere salvaguardato».

Oltretutto quest’anno, in occasione dell’Expo, oltre alla consueta classifica ge-nerale il FAI ha inserito una classifica spe-ciale dedicata al tema: “nutrire il pianeta, energia per la vita”, tema che sembra fatto su misura per il nostro mulino. Infatti, la raccolta delle firme in questo censimento permette di ottenere, se primi classificati, un finanziamento per il recupero del bene, ma anche tanta visibilità su media nazio-nali e regionali, permettendo di sensibiliz-zare al recupero del bene persone ed enti, pubblici o privati.

«Abbiamo cominciato la raccolta nelle giornate di “Treviglio vintage”, svoltesi nel mese di giugno, ed è stato subito un grande successo. Siamo poi stati presenti in tante manifestazioni con il nostro ban-chetto, i volontari e materiale da distri-buire, abbiamo così coinvolto esercenti e privati che in modo autonomo hanno rac-colto adesioni. Lavoro che è costato tanta fatica, ma ci ha regalato tanta soddisfa-zione, soprattutto nel constatare quanto la gente fosse legata a quel luogo e tenesse al suo recupero».

Il censimento si è chiuso il 30 novembre e i voti inviati al FAI per Mulino Fanzaga sono stati quasi 10.000, le classifiche finali verranno rese pubbliche nei primi mesi del 2015 in una conferenza stampa nazionale.

Intanto il Comitato Mulino Fanzaga, con l’aiuto di un notaio, sta costituendo un co-mitato che possa permettere di raccogliere fondi per l’acquisizione dell’edificio e del suo contenuto (arredi e antichi macchina-ri). Oltre a ciò, l’arch. Remuzzi ha messo a punto un progetto preliminare di recupero, inserito in una brochure, questo assieme ad una sintetica storia di Treviglio, delle

sue rogge e un’ipotesi di Museo storico-didattico. Conclude Azzola: «La nostra intenzione è quella di fare del il mulino Fanzaga un museo storico-didattico valo-rizzandone il contenuto, illustrando il fun-zionamento delle complesse macchine in ferro e legno, sviluppando poi, anche con strumenti audio visivi, gli argomenti che alla storia e alla tecnologia del mulino si possono connettere. Alcuni esempi: colti-vazione dei cereali, alimentazione, fisica e meccanica connessa alla tecnologia dei mulini, economia agricola artigianale ed industriale nella realtà trevigliese, storia locale, la rete di rogge e canali, energia ed ecologia, etc. etc.

Si può ben capire pertanto che il nostro intendimento non è di fare una semplice “operazione nostalgia”, bensì valorizzare una struttura dalla considerevole poten-zialità e farne un qualcosa che possa di-ventare per la Città di Treviglio elemento identitario, distintivo e di attrazione per un turismo culturale».

trEviglio/rECupEro monumEnti

Il Mulino Fanzaga è posto all’ango-lo di viale del Partigiano con via Cavallotti, sul percorso della roggia

dei mulini, un edificio che si divide tra le rogge Murena e Castolda. Rispetto al mulino di Baresi, piccolo e suggestivo mulino di montagna, quello di Trevi-glio con i suoi 600 mq distribuiti su tre piani, è in tutto e per tutto un mulino industriale, chiuso alla fine degli anni ’90, attualmente é di proprietà di una società che l’ha posto in vendita. Dopo l’abbattimento del secolare mulino del Ferrandino in via Calvenzano (causa il passaggio della nuova autostrada Brebemi), il mulino Fanzaga è l’ultimo dei tanti presenti un tempo a Treviglio rimasto

Per ben sette secoli in quel sito si è macinato farina e la popolazione del territorio si riforniva, sappiamo infatti dagli statuti del “Castello di Trevi-glio”, che già alla fine del 14° secolo il mulino era presente esattamente dove è ora: “il molino fuori porta Zeduro”. La porta Zeduro era posta alla fine della attuale via Roma ed era uno dei quattro accessi al borgo, allora circondato da fossati e successivamente da mura. Di-versi erano i mulini operanti nella città ed ancora più numerosi quelli lungo il percorso della rete di canali e rogge che fitta si disegnava nella campagna.

Infatti, va ricordato che la forza idraulica, fino all’avvento dell’elet-tricità, era l’unica forma di energia a disposizione, per il resto era necessario usare quella animale o dell’uomo.

Il mulino di porta Zeduro, appunto il nostro, fino al 18° secolo era di proprie-tà della comunità e parte di un sistema

produttivo integrato agricolo-industria-le, che comprendeva anche il maglio del ferro e dei bottoni, ma non solo.

Dopo la cessazione dell’attività per la prematura scomparsa di Cesare Fan-zaga, ultimo mugnaio, tutti i complessi macchinari vennero fermati e il mulino chiuso. Il tempo così si è fermato all’in-terno di quel palazzo, così entrando in quegli ambienti si rimane assolutamen-te stupiti ed affascinati. Tutto è ancora al suo posto e sembra che cinghie ruote ed albero motore, possano rimettersi magicamente in moto da un momento all’altro, anche se le farine e le grana-glie hanno lasciato il posto a polvere e al silenzio.

Giuseppe FanzagaCesare Fanzaga

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poEsia aLL’omBra dEL campaniLEa cura di Stefano Pini

Sottovoce, Treviglio è diventato un punto di riferimento tra i festival letterari italiani dedicati allo scrivere in versi. Grazie a Trevigliopoesia, che dal 2007 anima la città.

Treviglio, patria della poesia: lo direbbero in pochi, tra i passanti che consumano tacchi nella cen-tralissima via Roma; lo pensano

in molti al di fuori dei confini cittadini, in tutta Italia. Dal 2007, Treviglio ospita ogni primavera Trevigliopoesia, festival di poesia e videopoesia che negli anni ha conquistato attenzioni su scala nazionale e internazionale, con un concorso per video-artisti che ha ricevuto iscrizioni da cinque continenti.

Tutto è cominciato nell’autunno del 2006, quando il terzo millennio era in fase di carburazione, dopo gli inciampi degli esordi, e Treviglio in bilico tra vec-chio e nuovo. Due amici d’infanzia discu-tono di lettere, delle passioni comuni per la scrittura e il cinema, in un bar del cen-tro: l’entusiasmo della conversazione porta alla nascita di un festival, un rendez vous di artisti, letterati, semplici appassionati di poesia e video. Comincia così Trevi-gliopoesia, dalle chiacchiere di Cristiano Poletti, ammorbidite dal whiskey d’impor-tazione, ed Emanuele Rozzoni, astemio rigoroso. Due poco meno che trentenni che si prendono la briga di inventare da zero una manifestazione letteraria. Una scom-

messa sulla qualità culturale, in un borgo di 30mila abitanti poco avvezzo alla poe-sia: quasi ingenuo, a pensarci. Eppure, con l’aiuto di Gianni Barcella, ombra buona e irsuta dell’Associazione Nuvole in Viaggio (dice niente il cinema all’aperto che ogni estate compare nel cortile delle Scuole Cameroni? Ecco, quello è il fratello mag-giore di Trevigliopoesia, organizzato dalla medesima associazione), le idee diventano concrete. L’inizio di maggio 2007 vede

poeti del calibro di Franco Loi, Silvio Ramat e Mariangela Gualtieri calare a Treviglio da tutta Italia, per quattro gior-ni di incontri, spettacoli, presentazioni di libri. La serata inaugurale riluccica nelle volte della piccola chiesa della Cassa Ru-rale, in via Carcano, mentre quella succes-siva il Teatro Filodrammatici ospita due-cento persone per l’acceso duetto tra Loi e Ramat, con scambi memorabili in diversi dialetti del Nord. A vegliare su tutti quan-ti, i materiali d’archivio scovati nelle Te-che Rai, con Giuseppe Ungaretti ripreso mentre legge roboante le sue poesie, sedu-to su una panchina, ed Eugenio Montale austero, nel suo studio d’inizio Novecento. Immagini rare e per lo più mai viste.

Da lì in avanti, il festival ha preso corpo e velocità. Dal 2008, all’ombra del campa-nile hanno discusso di poesia, loro e altrui: Maurizio Cucchi, Viviane Lamarque, Lella Costa, Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Tony Harrison, Paolo Nori, Gianpiero Neri, il filosofo Carlo Sini, Mario Benedetti, Fabio Pusterla e altri ancora.

L’elenco è lungo, sincopato, ma una ricer-ca su Google e una sbirciata su Wikipedia aiutano a comprendere lo spessore lettera-rio e umano transitato da Piazza Manara

e dintorni in otto edi-zioni. Trevigliopoesia è stata anche l’occasione per (ri)scoprire la città: corti storiche, angoli di vie, bar, piazze e negozi hanno fatto da sfondo a spettacoli e incontri; su decine di vetrine sono apparsi distici illumi-nanti, disegnati a mano dai volontari del festi-val, in uno strano ac-costamento con merci di ogni genere. Un en-decasillabo a introdur-re un bikini pre-estivo: niente male

Di acqua nei fossi ne è scorsa parecchia. Anno domini 2015: i mercati internaziona-li dettano l’umore e l’agenda più delle nuo-ve uscite in libreria e anzi, il libro sembra in via d’estinzione.

Sono cambiate le amministrazioni co-munali, il campanile ha aperto le porte al pubblico e superati i mille anni di vita. Trevigliopoesia ha avuto rimpasti, cam-bi d’organico, rielaborazioni: ha ospitato una fiera del libro indipendente, incursioni teatral-letterarie nelle sue vie più affollate, proiezioni in piccoli cortili d’epoca, mo-stre fotografiche. Ha coinvolto le scuole, con incontri tra poeti e studenti. Ha pen-sato più volte di autosospendersi, per evi-tare la ripetizione e l’autoreferenzialità (come direbbero i suoi ideatori). Sin qui, il festival è sopravvissuto a se stesso, man-tenendo fede al proposito iniziale: aprire Treviglio alla poesia, con piccole dosi ad alta concentrazione di qualità.

Il pubblico non ha mai superato i numeri di quella sera del maggio 2007 al Teatro Filodrammatici, ma si è affezionato alla manifestazione e si ritrova alla chetichella ad ogni occasione.

Mentre internet, le riviste di settore e gli accrocchi di poeti (più o meno celebri) ri-conoscono Treviglio come una delle piazze vive della poesia italiana contemporanea, nella Bassa si comincia una nuova storia: il festival cambia, proponendo incontri con gli autori lungo tutto il corso dell’an-no, non più solo in primavera, progettando la produzione di una serie di documentari sui poeti viventi e l’apertura di un archivio web.

Oggi, la frontiera non può che essere di-gitale, senza dimenticarsi delle origini: la sala lettura della Biblioteca Civica, stipata per la presentazione di Franco Buffoni lo scorso 6 dicembre, fa ben sperare. Le radici sono solide, Treviglio, quasi senza accorgersene, è uscita da sé, esportando il suo meglio senza fare un passo al di fuori della circonvallazione interna. È bastato un pugno di versi.

trEviglio/EvEnti lEttErari

Valerio Magrelli

Incontro con Fabio Pusteria presso ZeroGallery

Perchè é così difficile promuovere il belloTra gli argomenti che dovremo

trattare sui prossimi numeri de “la nuova tribuna”, quello che riguarda la qualità delle manifestazioni trevi-gliesi e la frequente incapacità di pro-muoverli e coordinarli, è davvero di rilievo. In città si organizzano troppe manifestazioni contemporaneamente, ma diremmo troppe in generale. Molte potrebbero essere accorpate perchè simili, o comunque pensate e organiz-zate unendo associazioni con gli stessi interessi e lo stesso pubblico. Dunque ben volentieri pubblichiamo questo intervento che Luciano Pescali, auto-nomamente, ci ha voluto inviare.

Ma cos'è Treviglio? Il capoluogo della Bassa come piace definirla

qualcuno o un paesotto (più o meno bello) chiuso tra le sue mura (virtuali)? Difficile che sappia coinvolgere. Tante iniziative, non sempre valoriz-zate, dispersive, spesso elitarie. Manca una cabina di regia: troppi particolarismi ed egoismi fan si che ognuno coltivi il suo orticello e non pensi ad altro.

La cultuta non incide in città più di tanto. Esiste un museo a Treviglio? Si, pare di si! Ma quanti trevigliesi o del circondatrio lo conoscono? Pochi, magari sapranno tutto dell'Eremitage o dei Musei Vaticani o di Poggio imperiale ...ma del nostro, poco o nulla. Durante i mesi estivi il nostro museo ha ospita-to due quadri prestati dall'Accademia Carrara, che con altre sedi provinciali ha esposto da giugno a settembre quadri di autori famosi. Pensate che siano accorsi a frotte a vederli? Due articoletti sui settimanali locali e via andare. Nessuna locandina in giro per la città. E pensare che per i tre mesi estivi un gruppo di volontari ha assi-curato l'apertura del museo al sabato pomeriggio. Volete sapere quanti sono venuti il giorno dell'inaugurzione? Due persone: io e mia moglie. Il che la dice lunga...

Volendo parlare del museo c'è da dire che é affollato, troppe cose esposte, lo spazio in effetti è risicato e non c'è possibilità di altre aggiunte. La sezione archeologica, sempre lì per essere inau-gurata, langue nell'abbandono e viene utilizzata per altre cose non per sede espositiva. Ci sarà forse un nesso che i reperti scoperti durante la costruzione della Bre.Be.Mi sono stati dirottati e saranno esposti al Castello di Pagaz-zano? E pensare che noi abbiamo la ex Chiesa dei Capuccini in zona nord o San Maurizio che potrebbero essere va-lorizzate per ospitare simili eventi. Però ci vuole la volontà (con la V maiuscola) oltre che i soldi ben inteso.

D'altronde cosa ci vuole per dotarsi di un punto d'info sulle iniziative in essere? Perché alla stazione ferroviaria non c'è una locandina indicante quello che di interessante c’é in città? Perché

opinioni & CommEnti

nessuna segnalazione all'entrata da Treviglio sul Polittico o sul Santuario. Vero che spesso trovi segnalazioni di Caravaggio e non di Treviglio, vero che poi uno arriva in centro e trova chiuso la Basilica (con tutte le asso-ciazioni volontarie presenti in città, possibile che non si possa chiedere di garantire l'apertura pomeridiana un paio di giorni alla settimana?) Op-pure cammini per le vie del centro e nulla che indichi l'esistenza del Centro culturale e del Museo? Magari trovi scritte di deficienti più o meno recen-ti sui muri dei palazzi e che nessuno provvede a rimuovere... Già, Forse si chiede troppo?

Luciano Pescali

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Documentari, sviluppo applica-zioni per smartphone, un libro sulla piattaforma di “crowdfun-ding Kickstarter” sono alcune

delle attività seguite dal giovane trevi-gliese Paolo Aralla da poco rientrato dal Sudafrica dove ha curato le riprese per la trasmissione “Wild - Oltrenatura” in onda su Italia 1.

Iniziamo dalla Bapufilm (www.bapu-film.com) una comunity di professionisti accomunati dalla passione per il cinema, una casa di produzione giovane e dinami-ca, molto attenta alle nuove tecnologie.

Tra le produzioni ci sono serie tv, web series, reportage, biografie e documentari come quello in onda da dicembre sul cana-le Nat Geo (National Geographic Italia) “Il viaggio di Sammy”, prodotto da “STAND BY ME” per National Geographic, che racconta l’esperienza attraverso l’America insieme a Sammy Basso, un adolescente che soffre di una malattia rara chiamata progeria che causa l’invecchiamento pre-coce del corpo ma non della mente.

“Un’esperienza incredibile non solo dal punto di vista professionale” - racconta Paolo cameraman e direttore della fotogra-fia - “sono circa 100 i casi nel mondo e per

questo è un malattia poco studiata, Sam-my insieme ai genitori Amerigo e Laura hanno dato vita ad un’associazione (www.progeriaitalia.org) che raccoglie fondi per lo studio e per la ricerca e lo scorso anno hanno organizzato un evento europeo in cui si sono riuniti tutti i bambini affetti da questa malattia”.

L’idea del viaggio in America, che è alla base dei quattro documentari, nasce da due delle passioni di Sammy, quella per gli in-

diani e quella per il film di James Came-ron “Avatar” ed inizia con il giorno della sua maturità (attualmente è iscritto alla facoltà di fisica).

“E’ il viaggio di una grande famiglia di cui sia io, che lo conosco da tre anni - prosegue Paolo - sia gli altri ragazzi della troupe ci siamo sentiti subito parte”.

La creatività e la voglia di emozionare lo spettatore sono alla base dei progetti svi-luppati da Paolo e dai ragazzi della Bapu-film come si può riscontrare nella serie di documentari dedicati alla passione per lo sci e per il viaggio “I diari del Brac” in cui il protagonista Massimo Braconi, mae-stro di sci, freerider, alpinista d’alta quota, accompagnato da due giovani sciatori, và alla ricerca di luoghi remoti che hanno un solo comune denominatore: la neve.

Un progetto che si propone di mostrare l’importanza del viaggiare facendo sport senza trascurare il racconto delle culture e degli scenari naturalistici che avvolgono ogni missione. I tre protagonisti infatti en-trano in contatto con la gente del posto, co-noscono la loro tradizione ed il loro modo di vivere in luoghi tra cui Alaska, Patago-nia, Polo Nord, Norvegia, Canada. “Oltre a particolari tecniche di ripresa - racconta Paolo - ed una troupe allenata ed adde-strata a lavorare in situazioni estreme, spesso a temperature sotto zero, anche la musica ha un ruolo fondamentale nella costruzione del crescendo e del cambio di ritmo durante i video. Musica che ac-compagna le immagini creando emozioni mixata dinamicamente con i suoni in pre-sa diretta degli ambienti (neve, vento etc.) e delle azioni dei personaggi, amplificati e lavorati in modo da dare un maggior spessore alle immagini ed enfatizzare i momenti salienti dell’azione”.

E sempre la passione per lo sci è prota-gonista del progetto editoriale “Sarò fre-

erider - consigli per l’approccio allo sci fuoripista” approdato in questi giorni sulla piattaforma americana (non avendo trova-to disponibilità da parte di editori italia-ni) di “crowdfunding Kickstarter”. Ancora una volta non è l’esperienza di un singolo ma il lavoro di un gruppo di persone tra cui Donato Grassi, autore del libro, il tre-vigliese Alessandro Pasini.

Il libro che sarà edito in italiano ed in in-glese, è il risultato di migliaia di ore sulle neve in montagna. Non è un manuale ma piuttosto una semplice guida che raccoglie buone indicazioni, suggerimenti, su come affrontare la montagna e la discesa con gli sci in fuori pista, oltre a piccole storie nate dall’esperienza e da episodi che sono real-mente accaduti.

“Un libro - spiega Paolo - adatto a chi vuole iniziare il freeride per la prima vol-ta, ma ancor di più per chi già lo pratica e grazie a questa filosofia vuole divertirsi leggendo una guida illustrata che riassu-me le parti e i momenti più divertenti del freeride”.

Insieme ad Alberto Soliveri di Cara-vaggio, invece, da quattro anni è attivo il progetto made in Italy “Disaster Tour” (www.disastertour.com) dedicato alla re-alizzazione di calze tecniche per lo sport outdoor. Prodotti dall’anima ribelle, curati nel design, ispirati da un life style anticon-formista e realizzati in fibra in carbonio, in

nylon, sintetiche o naturali per proteggere la pelle da batteri e polveri inquinanti, eli-minando il rischio di fastidiose allergie.

“Anche in questo caso -spiega Paolo Aralla- si tratta di una lavoro di gruppo, di passione e di amicizia che ha permesso di creare della calze con un effetto fasciante che permette di diminuire la concentra-zione di acido lattico, migliora la circo-lazione sanguigna e l’ossigenazione delle cellule durante l’attività fisica consenten-do quindi la massima performance.Inoltre speciali rinforzi nelle parti più soggette a usura consentono un giusto equilibrio alla pressione plantare e grazie al loro spesso-

re ottimale proteggono dallo sfregamento con le calzature o con lo scarpone evitan-do le comparsa di vesciche”.

Ultima ma non meno importante inve-ce l’applicazione “Redemption Choppers” per smarphone e tablets creata dai ragazzi della Bapufilm e disponibile gratuitamente su iTunes. L’applicazione vi permette di sfruttare le tecniche di realtà aumentata, trasformando il device (telefono o tablet) in uno scanner di immagini. Grazie a que-sto sistema si possono visualizzare con-tenuti video semplicemente scansionando un qualsiasi oggetto, fotografia, cartellone pubblicitario o logo. Inoltre si possono vi-sualizzare contenuti audio, pdf o anima-zioni grafiche con semplice click.

Tanti progetti, collaborazioni e grandi riconoscimenti professionali per giovani che si sanno mettere in gioco con umiltà e determinazione nonostante un sistema pa-ese non certo benevolo con alcune genera-zioni. “Un giovane – conclude Paolo - non può non rimanere deluso dalla situazione italiana, troppa burocrazia, una politica autoreferenziale e troppi ostacoli per chi vuol fare impresa, è logico quindi che chi ha voglia di fare guardi all’estero”.

iL fantastico mondo dEL tEam di araLLa a cura di Marco Ferri

Viaggi strabilianti, produzioni video internazionali e progetti innovativi nel percorso del giovane trevigliese, Paolo Aralla, che hanno coinvolto giovani della Gera d’Adda in un’attività incredibilmente affascinante

BapufilmPaolo Aralla: direttore della fotografia e produttore esecutivo (Treviglio); Massimiliano Sbrolla: regista e ope-ratore (Roma);Beatrice Quadri: montatrice e opera-tore (Treviglio);Giorgio Riganti: riprese aeree Drone e operatore (Treviglio);Nicola Gualandris: sound designer-fonico (Fara Olivana);Clara Del Monaco: producer (Milano);KJ team: programmatore (Treviglio)

gEra d’adda/giovani di suCCEsso

A sinistra: Fiammetta Cicogna, Roberto Lorenzani, Paolo Aralla. Sopra: Massimiliano Sbrolla, Nicola Gualandris, Paolo Aralla. A destra: Laura Lucchin, Sammy Basso, Amerigo Basso (Viaggio di Sammy)

Sopra: Lorenzo Sebastianelli, Marco Tomasello, Paolo Aralla, Massimo Braconi (Brac), Elena Spalenza: Sotto: la troupe di Wild Oltre Natura con Guardia Forestale

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L’Italia é leader mondiale nel cam-po dell’alimentazione, in questo settore spicca l’industria casearia che trova gli elementi migliori

proprio qui nelle nostre terre. A consoli-dare l’immagine di questa forte tradizione legata alla lavorazione dei latticini ha con-tribuito anche in quest’occasione l’azienda Arrigoni Battista di Pagazzano, che per fe-steggiare nel migliore dei modi il centena-rio dell’industria, si è aggiudicata il premio più ambito, portando a casa il Super Gold al World Cheese Academy di Londra per il Gorgonzola DOP Dolce, che, di fatto, cer-tifica di essere il più buono al mondo.

Per capire le ragioni di questo grandis-simo successo abbiamo incontrato Marco Arrigoni, attuale presidente dell’azienda e discendente del fondatore Battista, parten-do proprio da quest’ultimo.

“Sul finire dell’800 il mio bisnonno, così come tantissimi altri italiani in quel periodo, decise di lasciare la sua Val Ta-leggio per trasferirsi negli Stati Uniti, più precisamente in Texas. Poi, nel 1914, fu costretto a rientrare in patria per via della Prima Guerra Mondiale che stava per aver inizio di li a poco. A quel punto si

stabilì a Pagazzano, dove fondò l’azienda, la quale era inizialmente di carattere agri-colo e successivamente si sviluppò anche nel campo caseario.

Il taleggio era ed è il formaggio sul quale abbiamo sempre puntato, ed è stato anche il primo ad esser prodotto da noi.

Man mano che trascorrevano gli anni ci siamo poi concentrati anche su altri prodotti, dal gorgonzola al quartirolo, fino alla crescenza o stracchino solo per citarne alcuni. Vent’anni fa poi abbiamo affrontato la grande sfida di non produrre più per i grandi marchi che si trovano nei supermercati, cominciando ad entrare nel mercato con il nostro nome”.

Ma arriviamo a questo traguardo con il riconoscimento di miglior gorgonzola al mondo: ve l’aspettavate?

“Sapevamo che i nostri prodotti sono sempre stati apprezzati. Al World Cheese Award avevamo già ottenuto dei succes-si in passato, come quando nel 2010 riu-scimmo a portare a casa un altro Super Gold, in quel caso riservato al miglior Rossini, un formaggio blu simile al gor-gonzola. Per noi il Super Gold è motivo di grande soddisfazione, perchè è un premio superiore a tutti gli altri. La giuria giudi-ca i formaggi e assegna loro un punteggio. I primi tre ottengono le classiche meda-glie di bronzo, argento e oro, ma i for-maggi che riscontrano alcune eccellenze vengono premiati con una medaglia extra, che è appunto il Super Gold. Quest’anno a Londra ci è capitato con il Gorgonzo-la DOP Dolce, al quale si aggiunge poi la medaglia di bronzo per il Gorgonzola DOP Piccante”.

Non vi sentite gli ambasciatori del buon formaggio italiano nel mondo?

“Mi piacerebbe chiarire un fatto: noi partecipiamo a queste competizioni, ma i nostri obiettivi primari non sono quelli di aggiudicarsi per forza un titolo, piuttosto quello di soddisfare sempre i nostri con-sumatori, garantendo la massima qualità nell’alimento. E’ ovvio che poi queste vit-torie ci rendono orgogliosi, e confermano quanto l’Italia sia leader nel campo dei formaggi DOP, ancor più della Francia. Non ci sentiamo dei veri e proprio am-

basciatori, ma questo successo rende la nostra immagine ancor più apprezzata all’estero”.

Ecco, rimanendo nell’ambito del mer-cato estero, nel quale siete attivi, in qua-li paesi riscuotete maggiori consensi? E con quali prodotti?

“Per quanto riguarda i nostri prodotti, i più apprezzati sono senza dubbio il gor-gonzola e il taleggio, anche perchè sono formaggi che si conservano per un perio-do di tempo maggiore rispetto a quello che può essere ad esempio un formaggio fresco come la crescenza. Analizzando i paesi direi invece che i riscontri migliori li abbiamo in due nazioni dove è fonda-mentale la buona riuscita del nostro lavo-ro, ovvero Stati Uniti e Gran Bretagna”.

La vittoria di questo Super Gold è an-che un’occasione per affrontare meglio la crisi?

“Senza dubbio. La crisi ha colpito an-che il nostro settore alimentare, ma es-sendo comunque un bene di primissima necessità il colpo subito non è stato così forte come in altri campi. Ad ogni modo questa vittoria ci da l’opportunità di pro-seguire al meglio il nostro grande obietti-vo, ovvero quello di continuare a crescere. Siamo una delle poche aziende a lavora-re il prodotto dall’inizio alla fine, e inol-tre produciamo vari tipi di formaggi tutti all’interno dello stesso caseificio, costrui-to di recente e dotato di impianti avanzati che consentono di rispettare l’impiego di chi ci lavora e tutte le norme igienico-sa-nitarie che vengono giustamente imposte”.

Per finire, avete pensato alle sfide per il futuro?

“Siamo soddisfatti di quello che stia-mo realizzando. Come ho già detto pro-duciamo già parecchio, per cui, almeno per il momento, non abbiamo intenzione di allagarci ulteriormente. Il nostro uni-co obiettivo, che affrontiamo con serietà e dedizione, è solo quello di continuare nel-la nostra crescita, con un preciso occhio di riguardo verso la clientela estera”.

iL GorGonzoLa più Buono dEL mondoa cura di Alessandro Prada

L’industria casearia di Pagazzano si aggiudica due premi nello stesso concorso: il Super Gold Dop per il Gorgonzola dolce e la medaglia di bronzo per quello piccante. Ne parliamo con Marco Arrigoni

gEra d’adda/aziEndE d’ECCEllEnza

Sopra Marco Arrigoni, presidente dell’azienda fondata dal nonno Battista Arrigoni nella foto in basso la nave dei sogni

sbarca in cinaa cura di Giorgio Vailati

Un’azienda cooperativa costituita da giovani del nostro territorio, ha realizzato una pedaliera digitale utile ai musicisti, ne parliamo con Daria Locatelli, vice presidente della società

Spesso i media si dimenticano di dare spazio alle aziende o ai profes-sionisti che hanno saputo osservare più lontano, innovando e facendosi

conoscere fuori dai confini. La “Nave dei sogni”, per esempio, ha realizzato un ar-ticolo innovativo dedicato al mondo del-la musica, in particolare ai chitarristi. Si tratta di un pedale digitale, con schermo a led, che funziona sia come accordatore, sia come batteria elettronica per esercitarsi in autonomia.

Start-up trevigliese porta il Made in Italy in Cina

Passione, analisi dei fabbisogni e delle tendenze del mercato musicale, ha por-tato i soci della cooperativa trevigliese a intraprendere all’inizio 2014 un percorso imprenditoriale che vede la miscela di ma-nifattura, informatica, produzione e com-mercializzazione di articoli per musicisti.

Dopo la creazione del marchio NDS music, il primo passo, lo scorso febbra-io, è consistito nella partecipazione a Guangzhou (Cina) alla fiera internazionale “Prolight +Sound” dedicata alla musica e all’audio. In questa occasione, spiega Da-ria Locatelli vice-presidente della coope-

rativa, “Oltre ad avere una panoramica del mercato musicale mondiale, abbiamo po-sto le basi per collaborazioni importanti con aziende estere presenti all’evento. Tra queste, in particolare, si è avuto modo di intessere e rendere solida la partnership con l’impresa taiwanese Xavier Guitars produttrice di strumenti musicali”. NDS Music, infatti, ha oggi l’esclusiva di vendita dei prodotti di questa azienda per il mercato europeo.

A settembre si inau-gurato il sito e-com-merce www.ndsmu-sic.com, un negozio virtuale dedicato alla vendita online di stru-menti musicali (chitarre elettriche, acusti-che e bassi) e di effetti per chitarristi (pe-dali) provenienti sia dall’importazione che dalla produzione diretta da parte di una rete d’imprese italiane.

La cooperativa, infatti, è riuscita crea-

Sopra Marco Ferri e Daria Locatelli ed i partners taiwanesi della Xavier Guitars al Music Cina

gEra d’adda/start-up ChE dECollano

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re partnership con altre aziende italiane, creando un team di skills differenti acco-munate dal progetto comune di ideazione, progettazione e produzione di prodotti tra cui pedali effetti di alta qualità per chitar-risti.

Un progetto dedicato all’export del Made in Italy che NDS Music ha portato ad ottobre al “Music China 2014”, fiera internazionale di Shanghai in cui ha espo-sto insieme al team dell’azienda taiwanese Xavier Guitars e a Conast, società coope-rativa bresciana divenuta partner di Nave dei sogni.

La partecipazione alla fiera è stata anche l’occasione per portare la musica italiana sulla scena internazionale di Shanghai. Il 9 otto-bre, infatti, il cantante Bruco (Marco Fer-ri), leader degli S.O.S. Save Our Souls si è esi-bito sui palchi del Mu-sic China con il proprio repertorio originale di “Rock made in Italy”. ht tp://navedeisogni.com/go/china

“Vogliamo dimo-strare che anche con la cultura si può fare impresa”, spiega Daria

Locatelli “anche per questo a dicembre abbiamo promosso alcuni eventi in siner-gia con commercianti di altri settori. Un esempio è la sfilata di moda organizzata presso la boutique “Le Fate” a Bergamo in cui i nostri strumenti facevano da co-reografia e due nostri endorsers musicisti accompagnavano l’evento.”

“Nel 2015”, conclude Daria “ci aspet-ta una sfida importante con il confronto con il mercato europeo in occasione della fiera “Musik Messe” di Francoforte, ad aprile, in cui presenteremo alcuni modelli di chitarra, di basso e di effetti a peda-

le disegnati e progettati da noi in base ai suggerimenti non solo dei nostri collabo-ratori ma anche dai nostri clienti grazie all’intensa attività sui social network qua-li Facebook, Twitter e YouTube. Nel corso dell’anno intensificheremo la presenza nei negozi tradizionali di strumenti musicali come il negozio Due Note a Caravaggio e l’organizzazione di eventi, in particolare per i giovani perché si avvicino al mondo della musica suonata, sulla quale troppo poco viene investito negli ultimi anni da parte delle istituzioni”.

la navE dEi sogni

Con un po’ di grinta e buone idee, funziona!

La Nave dei sogni è una società cooperativa fondata a Treviglio nel 2012 da giovani professionisti, che organizza eventi, realizza, produce e diffonde contenuti

audio-video di alta qualità ( format tv, video promozionali, advertising, videoclip), applicazioni per smartphone (iPhone, android e tablet), con l’obiettivo di rispondere alle dinamiche e alle esigenze del nuovo panorama della comunicazione 2.0.

Sono numerosi i campi in cui la cooperativa ha potuto applicare la propria professionalità nell’arco di due anni. Un esempio è la realizzazione e la diffusione del format TV «La-toB» (14 puntate trasmesse in diretta e on-demand da web tv nel 2012 e 2013), un programma di cultura e intrattenimento, che esplora il «dietro le quinte» di musica e dintorni, dando risalto attraverso varie interviste a diversi personaggi della cultura «made in Italy», il tutto arricchito dall’interattività con gli spettatori. Svariati sono anche i contenuti trasmessi sul portale YouTube, canale in cui la cooperativa non solo rende partecipi gli utenti di ciò che accade in diretta durante un de-terminato evento (backstage di concerti, conferenze stampa, concorsi musicali) ma dà anche la possibilità di poterli rive-dere in ogni momento e di condividerli nelle altre piattaforme tecnologiche.

Gli spettatori sono protagonisti nell’interazione mediante i principali social networks: Facebook, Twitter e Skype.

Sul portale sono stati trasmessi vari avvenimenti, tra i quali: la diretta della conferenza stampa di presentazione del

«Power of 3 Tour» di Stef Burns e Billy Sheehan, la diretta del primo concerto solista di Danilo Sacco nel maggio 2012, e nel 2013 la diretta della presentazione de «Libro Bianco» dei Beatles di Franco Zanetti.

Nave dei sogni si occupa anche di contenuti istituzionali, come la diretta del convegno del 22 ottobre presso Regione Lombardia in occasione degli eventi per l’Anno Internazionale delle Cooperative. Ha ideato e realizzato il format «Cooperare per un mondo migliore», andato in onda su Bergamo TV, che in 6 puntate incentrate sulle diverse tematiche, presentava la realtà

cooperativa bergama-sca.

Il contatto con il ter-ritorio è un’altra prero-gativa e la cooperativa ha organizzato nume-rosi eventi, come il «Gerundium Fest Live Contest 2012» (con-corso musicale ripreso in diretta sul proprio canale youtube) e il concerto-evento dedi-cato a Frank Sinatra,

tenutosi a Milano nel 2013. Tutti gli eventi organizzati sono creati nell’ottica di apportare la comunicazione 2.0, ovvero mediante la trasmissione sul web e l’interazione in diretta e on demand da parte degli utenti.

A partire da quest’anno Nave dei sogni, con la propria di-visione NDS Music, ha abbracciato un nuovo orizzonte im-prenditoriale dedicato al mondo della musica a 360°, mediante l’import export, la produzione e la vendita online di strumenti ed accessori musicali. NDS Music: all you need to enjoy your music.

gEra d’adda/start-up ChE dECollano

I gesti che IronMan compie con ogget-ti olografici, ora sono possibili grazie ad un progetto realizzato da un’azien-da locale selezionata da una big-com-

pany californiana perché ritenuti pionieriQuando si acquista un appartamento e lo

si visita vuoto, non è facile pensare come utilizzarlo, gli spazi sembrano enormi, oppure minimi. Ipotizzate ora di osser-vare un’edificio e immaginarlo abbattuto e ricostruito, concorderete sul fatto che sia un’operazione di fantasia complicata. Qualcuno ci ha pensato, utilizzando la nuova tecnologia della “realtà aumentata’, sfruttando dei visori speciali. Il dispositi-vo, connesso ad un computer, elabora le informazioni acquisite e proietta una ver-sione olografica dell’ambiente, interattiva e responsiva (che serve a rispondere).

Questo è lo scopo di ARkitek: un sof-tware realizzato da Magnetica Deve-lopment, l’azienda trevigliese fondata nel 1997 da Gusmini Emiliano e recentemen-te sbarcata negli Usa a Silicon Valley, su invito di Meta View. Questo perché la so-cietà californiana ha sviluppato un nuovo visore molto avanzato che vanta fra le sue fila, sia l’inventore dei dispositivi indossa-bili Steve Mann, che il designer che realiz-za le interfacce usate dal personaggio cine-matografico IronMan nei film della saga.

Ma cosa é successo nel soggiorno di Palo Alto lo chiediamo direttamente ad

Emiliano Gusmini. “E’ stata dura. A Silicon Valley hanno

selezionato 20 progetti tra diverse deci-ne, e i quattro più interessanti sono stati utilizzati durante il party privato di pre-apertura della fiera internazionale di San-ta Clara organizzato per il lancio ufficiale del loro dispositivo, al quale hanno par-tecipato gli investitori, la stampa, tutte le personalità di spicco del mondo della realtà aumentata e quelle di Silicon Val-

Gusmini trasforma iron man in rEaLtàLe manovre che l’eroe del film svolge con oggetti olografici, ora possibili grazie a un trevigliese chiamato dai partner del designer di Iron Man

ley. Un evento importante che è servito a lanciare ufficialmente i loro Space Glas-ses (occhiali con visore) sul mercato ma che ha dato anche a noi una opportunità incredibile”.

Ora vediamo meglio cosa è la realtà au-mentata: la tecnologia sfrutta una videoca-mera posta su un visore e collegata a un computer. In questo modo il visore diven-ta uno strumento in grado di riconoscere un’immagine, o un simbolo qualsiasi, che da modo di proiettare un oggetto tridimen-sionale sul visore trasparente e di poterci interagire. La realtà viene appunto aumen-tata con del contenuto digitale.

Chi lo indossa è quindi in grado di ma-nipolare l’oggetto visualizzato, come se fosse materialmente presente nella realtà di fronte a sé. L’interfaccia olografica del software di Magnetica Development, é disegnata per la selezione delle varie op-zioni, dai materiali alle finiture dei singoli elementi, che vengono attinti da librerie molto ben fornite e che permette di sele-zionare diverse modalità di visualizzazio-ne. Questo sistema permetterà in futuro a tutti i dispositivi, con le stesse caratteristi-che, di apportare modifiche in tempo reale ai modelli visualizzati e quindi di ottimiz-zare tutte le fasi decisionali e progettuali, abbattendo di conseguenza tempi e costi. Il tutto in modalità condivisa anche da posta-zioni remote.

E’ facile immaginare un’infinità di pos-sibili applicazioni, sia in ambito impren-ditoriale che privato, che a noi comuni mortali sarebbe impossibile comprendere se il cinema non avesse precorso i tempi e aiutato anche la nostra fantasia.

Questo in sintesi, ma visto che altre sor-prese sono in vista, ci ripromettiamo di riparlare a breve di questa azienda innova-tiva. Un’altra, come quelle in queste pagine che danno speranza.

gEra d’adda/aziEndE oltrE la fantasCiEnza

Sopra l’attore Robert Downey Jr, interprete di Iron Man. A sinistra Emiliano Gusmini in posa in uno scatto del “Corriere della Sera”, sotto davanti al Ponte di Brooklyn.

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Già all’ingresso di questa bella struttura, tutta vetri e colore, l’impressione che si ricava è di trovarsi in un laboratorio dove le

idee si fondono con la conoscenza e la co-noscenza diventa sapere. Così ci accoglie il Museo Scientifico ExplorAzione, che ormai giunto al suo sesto anno di attività costituisce un riferimento importante nella vita culturale cittadina.

“Nel 2006 –dice Beppe Facchetti, Pre-sidente di Matexplora- la sezione trevi-

gliese dell’Associazione Mathesis, Asso-ciazione Italiana di Scienze Matematiche e Fisiche, a seguito di una donazione ri-cevuta, propose alla Amministrazione Co-munale la realizzazione di un laboratorio scientifico didattico interattivo da desti-nare prevalentemente ai bambini e ai gio-vani della città. Tale laboratorio sarebbe stato a disposizione anche delle scuole del territorio che, per la cronica carenza di fi-nanziamenti, non erano in grado di offrire ai propri alunni significative esperienze

didattiche in ambito scientifico. La Am-ministrazione mise a disposizione il padi-glione di Piazza Mercato e la Mathesis si fece carico dell’allestimento dello spazio museale. Il 15 dicembre 2007 nacque così il Museo Scientifico ExplorAzione”.

“Dato il successo dell’iniziativa e l’im-portanza sempre crescente del Museo Scientifico -spiega il Presidente Facchet-ti– e le attività sempre più numerose che lo animano, al fine di valorizzarlo e farlo crescere, il 14 maggio 2012 è stata fondata MatExplora, Associazione con una strut-tura particolarmente adatta a gestire una realtà in continua crescita quale è Explo-rAzione e che rappresenta la naturale evo-luzione di Mathesis, dedicandosi anche a molte altre attività legate alla passione per la scienza”.

Avvicinare i bambini ed i ragazzi alle scienze può rivelarsi compito assai arduo, così quando vengono loro presentate le for-mule e le leggi, che regolano il tempo e lo spazio che ci circonda, alle giovani menti queste possono sembrare assai vuote ed astruse. Altro discorso se i piccoli vengo-no coinvolti da protagonisti nel dispiegarsi dei meccanismi e meccanicismi della re-altà circostante. Il Museo ExplorAzione si rivolge principalmente alle scuole, con un grande successo di pubblico come te-

stimoniano i grafici forniti dall’associa-zione MatExplora, oltre diecimila alunni che l’hanno visitato nell’anno accademi-co 2013/14, circa 400 laboratori attivati, un’affluenza garantita principalmente da Treviglio e provincia, seppur con presenze significative dell’intera regione che testi-moniano la validità della formula adottata. Infatti ExplorAzione è un laboratorio in-terattivo che offre ai suoi piccoli e gran-di ospiti l’opportunità di capire attraverso l’esperienza personale, sviluppata anche in modalità di gioco, le materie scientifiche apprese sui banchi di scuola. In tale con-testo il Progetto Scuole, ormai attivo dal 2010, è finalizzato a fornire ai docenti in-teressati un valido strumento di sostegno alle loro esigenze didattiche, attivando atti-vità di laboratorio specifiche con il suppor-to di collaboratori altamente qualificati. L’apertura domenicale dedicata ad adulti e piccini diventa un’occasione per tutti di stimolante viaggio nel sapere scientifico.

Complementari all’attività museale e fi-nalizzate ad un pubblico più adulto sono le molte conferenze che l’Associazione Ma-tExplora organizza nel corso dell’anno al fine di diffondere e valorizzare la cultura scientifica, in particolare un evento che ha normalmente luogo il sabato pomeriggio, l’Aperitivo con la Scienza, è costituito da

bEppE faCChEtti

Il presidente di MatexploraBeppe Facchetti, omonimo

dell’editorialista trevigliese, é l’attuale Presidente dell’As-

sociazione Matexplora, da sempre appassionato matematico. Laureatosi in Informatica a pieni voti, ricopre oggi un’importante incarico in una società americana di software, leader nel settore.

I professori Fassi ed Erbetta, inse-gnanti di matematica che lo avevano

conosciuto in qualità di studente durante gli anni delle scuole superiori, apprezzata la sua propensione alla materia, e a seguito dell’acquisto del primo computer da parte della scuola avvenuto mentre Beppe frequentava l’Università, a lui affidarono l’incarico di tenere un corso di prima alfabe-tizzazione dell’uso

dei computer, che nei lontani anni Ottanta era un oggetto dalla natura quasi misteriosa. La collaborazione avviata allora tra il giovane Beppe e i matematici si rinsaldò con la parte-cipazione attiva alla creazione della sezione di Treviglio dell’Associazione Mathesis, dalla quale si è in seguito originata l’Associazione Matexplora.

Beppe Facchetti, fin dall’inizio della sua Presidenza, ha lavorato principalmente ad intensificare i cicli di conferenze organizzate da Matex-plora, con il preciso intento di avvici-nare attraverso questi incontri, che si tengono quasi mensilmente, i cittadini alla conoscenza delle materie scienti-fiche che, nell’esplicare le loro proprie regole, governano anche il più banale gesto della vita quotidiana.

un incontro su temi scientifici di attuali-tà seguito da un aperitivo da sorseggiare mentre ci si scambia opinioni e idee come tra amici.

Nelle parole di un membro del Consi-glio Direttivo di MatExplora, la profes-soressa Anna Manenti, “ExplorAzione è un bellissimo luogo, uno spazio luminoso dove la scienza è di casa: vi si ragiona di matematica, fisica, biologia, chimica, astronomia, ma fanno capolino anche arte, musica e poesia, in armonia con la convinzione, che da sempre ci accompagna, della profonda unità della cultura”, si respira lo spirito che anima il gruppo di persone che con impegno e professionalità danno vita ad un luogo di incontro della cultura, nel quale le idee si confrontano consentendo a tutti coloro i qua-li lo desiderano di condividere l’esperienza della conoscenza.

In particolare oggi, dove la realtà virtuale pare talvolta prendere il sopravvento, è fon-damentale salvaguardare e po-tenziare i luoghi dove incontrar-si di persona e ragionare di cose e futuro senza timore che un semplice click cancel-li l’immagine e annerisca lo schermo.

ExpLorazionE, dovE la scienza é di casa a cura di Cristina Signorelli

A sei anni dalla sua apertura, Explorazione , il museo Scientifico interattivo, è diventato un punto di riferimento culturale che ha un successo crescente. Un modo piacevole per avvicinare i ragazzi alla scienza

trEviglio/musEo didattiCo

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Quando mi è stato chiesto di inter-vistare persone e personaggi per la nuova edizione de “la tribuna”, mi è venuta in mente subito lei.

L’avevo appena vista alla presentazione del suo libro e mi aveva molto colpito. Stregata non solo dalle sue capacità comunicative, ma dall’amore e l’entusiasmo che lasciava traspa-rire mentre parlava dei suoi ragazzi, di lette-ratura, di storie, di vita.

Miriam D’Ambrosio è un’insegnante di lingua e letteratura italiana. Lo fa da oltre otto anni in una scuola professio-nale di Treviglio, l’Enfapi, dove giovani uomini, provenienti da diverse parti del mondo, imparano il mestiere di metal-meccanico.

Non proprio una scuola “facile”, per una giovane professoressa, sia per i problemi legati alle storie personali dei ragazzi, spesso drammatiche, sia per il fatto che si tratta di una scuola profes-sionale tutta al maschile, dove il rappor-to con la figura femminile è vissuto da alcuni degli studenti in maniera conflit-tuale.

Miriam è nata in un piccolo paese del Lazio, Sora, “Lo stesso di Vittorio De Sica”, sottolinea lei; è cresciuta a Napoli, poi Pescara, Roma, Milano.

La incontro per un caffè in un bar del centro di Treviglio, da molti anni ormai sua città adottiva.- Come sei finita da queste parti?

Quando ho cominciato a fare l’insegnan-te. Un’amica è riuscita a farmi entrare in questa scuola, ho seguito i tre anni di tiroci-nio per l’abilitazione professionale e adesso sono già otto anni e mezzo che insegno”-Sono stupita. Non volevi fare l’insegnan-te?

“Niente affatto. Il mio grande amore è il teatro. Dopo la maturità classica mi sono iscritta a Lettere Moderne, Disciplina dello spettacolo”-Volevi recitare?

“Diciamo che c’è stata una persona che ha avuto su di me una certa influenza, un’attrice di teatro, siciliana, che mi ha trasmesso la passione: anche se già a casa sono cresciuta a pane e De Filippo. La scel-ta del corso universitario è stata la cosa più

ovvia: volevo diventare critico teatrale. E per un po’ ci sono anche riuscita. Ho scritto per alcune testate nazionali, come “Il Gior-nale” e “Il Foglio”. Quasi otto anni in cui il sogno si è realizzato. Poi sono arrivati i tagli e la figura del critico teatrale è prati-camente scomparsa. Allora, per necessità, sono diventata insegnante, anche se all’e-poca vedevo l’insegnamento come qualcosa di freddo, di istituzionale.-Eppure parli di questa scuola con gran-de entusiasmo.

(Ride) Questa è una cosa che mi vie-ne rimproverata spesso. All’Università la docente di Storia del Teatro mi diede due volte ventinove, e non trenta, perché: “Lei è troppo entusiasta. Troppo…” (Miriam imita la docente che le parla, infastidita, forse anche un po’ schifata). Nonostante il suo “consiglio”, l’entusiasmo mi è rimasto. Questa è una scuola tutta al maschile, da subito ho capito che sarebbe stata una bel-la sfida. Poi ho scoperto che c’erano delle belle testoline interessanti, da coltivare. Così mi sono lanciata senza paura e sono venute fuori cose bellissime, che racconto nel libro. I ragazzi hanno capito che la lette-ratura non è astrazione, ma vita. E’ corpo, sentimento. Così ho proposto loro i classici, senza timore. Anche i più ostici. Quest’an-no, figurati, mi gira di fare Dostoevsky.-E come l’hanno presa?

Subiscono. (ride)-Questo tuo modo di insegnare, che evi-dentemente funziona, visti i risultati, è più il frutto della tua preparazione o…

Della follia. Il teatro c’entra molto, mi ha aiutato parecchio. Come mi disse il diretto-re della scuola: “Io ti ho buttato a mare e tu hai nuotato “. C’è anche da dire che sono molto libera: di scegliere gli argomenti, di adattarmi ai ragazzi. Perché siamo noi che ci dobbiamo adattare a loro, non viceversa. Dobbiamo respirarli, capirli.-Questa cosa non è proprio da tutti i prof.

Ma perché non sono liberi. Devono atte-nersi al programma, il Famoso Program-ma. Non possono scegliere.-Cos’è per te oggi insegnare?

Riuscire a far capire ai tuoi studenti che sono innanzitutto persone e le persone non si esauriscono nel mestiere che fanno. Noi

non siamo solo una cosa, siamo tante cose. Un meccanico può essere anche un ottimo musicista. Poi non tutti amano la letteratu-ra. Va bene. Ma bisogna farla. Anch’io ho dovuto studiare la matematica.-Com’eri da studente?

Studiavo solo quello che mi piaceva. Una ribelle. Seguivo le mie passioni, che mi por-tavano, a seconda del momento, in una di-rezione e poi in un’altra. Insomma, non ero la classica secchiona.

Certe cose le sto scoprendo solo ora, con la maturità. Alcuni classici, per esempio. Del mio passato fanno parte Victor Hugo, Dumas figlio, Ibsen, Cechov. Shakespea-re solo in un secondo momento, perché mi metteva soggezione. E invece, è così concre-to…

voro semplice, ci arrivano col tempo. Non è facile per nessuno, parlare di se stessi.-E sono scritti anche piuttosto bene.

Solo uno è stato riscritto da me, perché avevo perso il testo originale. Gli altri sono assolutamente farina del loro sacco.- Lo scritto di Nedal, uno dei protagonisti del libro, è una preghiera.

Nedal è straordinario, è un poeta. Si esprime in italiano come se fosse la sua lingua madre. Anche in inglese è così. Lui ha una volontà ferrea, nonostante tutte le difficoltà che la vita gli ha posto davanti. E’ stato un grande amore.- E’ proprio l’amore, quello che ho visto nei tuoi occhi, mentre parlavi di loro, e con loro, alla serata di presentazione del libro.

Forse compenso così la mancanza di figli miei.- Com’è insegnare a una classe di soli ma-schi?

Bisogna farsi rispettare, mantenere sem-pre la distanza giusta. Detto questo, devo confessarti che sto imparando ad apprezza-re la cosiddetta “semplicità” maschile. Io che non avrei mai voluto insegnare, tanto-meno ai maschi, che ho sempre desiderato una figlia femmina... ora apprezzo la basi-cità degli uomini, il non essere mai contorti.

Gli uomini hanno quasi sempre uno sguardo più benevolo. Anche nei momenti brutti (che ci sono stati, perché alcuni stu-denti hanno qualche problemino con la fi-gura femminile), anche quando insultano, sono lineari, non labirintici.-Hai mai pensato di mollare, in quei mo-menti?

Una volta, poi invece... Magari mi ferme-rò per fare qualcos’altro.-Appunto, cosa vuoi fare da grande?

Ho cominciato un altro libro, ma non vo-glio anticipare nulla. Dico solo che il prota-gonista è un ragazzo. Ma non è ambientato ai giorni nostri, quindi sto facendo anche un lavoro di ricerca.-Un consiglio a tutti gli studenti.

Seguite i vostri desideri, i vostri interessi. Di gente frustrata in giro ce n’è già troppa.

un LiBro sui raGazzi spEciaLi dELL’Enfapia cura di Daniela Invernizzi

Insegnante, per caso più che per vocazione, si appassiona e innamora del suo lavoro e dei suoi ragazzi difficili. Così in un momento di sconforto scrive un libro speciale

il libro

La vita “Fuori non é così”Fuori non è così, edizioni Barbera,

racconta l’anno scolastico, l’ultimo, di una terza, in una scuola profes-

sionale di Treviglio. I protagonisti sono Nedal, Jonathan, Aldo, Luca e altri. Futuri metalmeccanici, con storie familiari molto diverse alle spalle, alcuni di loro vengono da lontano, da paesi in guerra o alla fame. Sono qui per imparare un mestiere, ma grazie alla letteratura e alla “profe” che li segue, ci regalano mirabili pagine in cui parlano di se stessi, di Dio, dialogano con Leopardi e si arrabbiano con Shakespeare. Pur sapendo che “fuori non è così”, e che la vita riserva anche amare sorprese, ci sorprendono, andando a cercare il lieto fine proprio nei romanzi che leggono in classe, e trovando in essi quel conforto che la realtà non sempre regala. Sono giovani, e hanno voglia di cose belle, storie liete.

Sono ragazzi che, grazie a questa scuola, hanno imparato a tirar fuori il meglio di sé. A lottare per quello in cui credono. A ragionare con la loro testa. Sono la dimo-strazione che non esistono cattivi studenti, ma soltanto cattivi maestri. (d. i.)

Editoria/sCrittriCE all’improvviso

-Che mi dici dei contemporanei?Guarda, vado contro me stessa perché

ci sono dentro anch’io, però è vero che c’è troppa gente che scrive e troppo poca che legge.-Perché hai scritto questo libro?

Per disperazione. L’ho scritto in un mo-mento in cui, finito l’anno scolastico, ho riflettuto sulla mia condizione di precaria della scuola. L’ho scritto proprio nel mo-mento in cui non credevo più a niente. Ne-anche nel libro. Infatti l’ho dedicato al mio ex marito, Vittorio: è stato lui a spronarmi a finirlo, perché lui ci credeva veramente. E poi volevo raccontare i miei ragazzi.-Già, i ragazzi. I loro scritti sono toccanti.

Esprimono le loro emozioni. Pensano con la loro testa, con il cuore. Non è un la-

silvio boldoni

Un fantastico autodidattaLa famiglia ha raccolto materiale che aveva scritto per sé e ne ha fatto un libro

A Silvio Boldoni, scomparso prematuramente lo scorso anno, la moglie Elena e i figli

Clara e Michele, hanno voluto dedicare un libro, questo mettendo assieme il materiale ritrovato nei cassetti, negli scaffali e nelle cartelle del Pc che usava nel tempo libero.

Nell’attesa di poter parlarne più diffusamente, possibilmente già dal prossimo numero, riportiamo il testo che ha fatto da introduzione del volu-me sulla locandina di presentazione.

“Per chi ha conosciuto Silvio può immaginare lo stile dei suoi racconti che sono lo specchio del la sua vita: allegro, ironico, spiritoso, amaro, dub-bioso, profondo, ecc. Un autodidatta di tutto quello che lo appassionava e che realizzava con meticolosa preci-sione. I suoi interessi spaziavano dalla musica alla scrittura, dal disegno alla cucina, dalla meccanica alla scien-za, dall’elettronica e a tanto altro. Probabilmente non avrebbe immagi-nato che un giorno i suoi racconti e i suoi disegni, che scriveva e realizzava per sé, sarebbero poi diventati un libro, ma gli avrebbe fatto certamente piacere sapere, che la sua famiglia ha deciso di devolvere il ricavato dalla diffusione di questo libro, all’Airc (As-sociazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) e a Medici Senza Frontiere)”.

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trEviGLio patriottica E GEntiLE pEr natura di Giorgio Vailati

La nostra storica redattrice Carmen Taborelli, ha inteso celebrare il centenario della Grande Guerra pubblicando un volume nel quale ha raccolto i frutti di una sua lunga e approfondita ricerca

Nell’ambito delle celebrazioni per il Centenario della Grande Guerra, l’Assessorato alla Cultura di Tre-viglio ha di recente pubblicato il

libro “La solidarietà dei trevigliesi durante la Prima Guerra Mondiale” di Carmen Tabo-relli. Tale volume può essere considera-to la continuazione di quello uscito nel 2009 a cura della locale Cassa Rurale, scritto dalla stessa autrice. Entrambi aprono una finestra sulla Prima guer-ra mondiale; si collocano quindi nello stesso spazio temporale. Mentre nel li-bro del 2009 (“Le lettere della lontanan-za”) riecheggia la voce, e quindi anche l’agire dei trevigliesi combattenti, che scrivono dal fronte, dalle trincee, dalla prigionia, dagli ospedali, in questo c’è, invece, l’agire dei tanti volontari trevi-gliesi rimasti in città a prendersi cura e a rispondere alle necessità dei soldati e delle loro famiglie, nella consapevo-lezza che, quando la Patria chiama, nes-suno deve mancare all’appello. Tutta la popolazione è in armi, non soltanto l’esercito in campo. Ai soldati la Patria domandò tantissimi sacrifici, persino quello della vita. Ai cittadini non com-

battenti chiese di dare e di fare tutto ciò che pote-vano. Senza indossare la divisa grigio-verde, tanti civili trevigliesi fecero quindi parte di quei Corpi d’Armata non scritti sulle Carte dello Stato Maggio-re.

Treviglio (che allora contava circa 18mila abi-tanti) dimostrò di avere un grande cuore, una ge-nerosità senza limiti; sep-pe organizzare, finanzia-re e gestire opere civiche di soccorso: dei veri e propri comitati di solidarietà, come il Guardaroba del soldato, l’Ufficio Notizie, il Comitato di Mobilitazione Civile, l’Accoglienza dei Feriti, la Casa del soldato, i sei ospedali militari di riserva, il Patronato Orfani, il gruppo Madrine e altre realtà di soc-corso a favore dei soldati trevigliesi, di quelli non trevigliesi, degli orfani, delle famiglie e dei profughi veneti giunti da noi dopo la disfatta di Caporetto.

Dei tanti volontari che operarono du-

rante il conflitto, vanno in particolare ricordati quelli del “Circolo Maschile Cultura e Azione”, dell’Unione “Mario Chiri” e degli “Esploratori”: tutti giova-ni che si inserirono nell’azione solidale della città, prodigandosi con esemplare altruismo.

I giovani ma anche le donne, solerti protagoniste di un momento storico che le ha gravate di maggior responsabilità nella conduzione familiare; le ha impe-gnate in attività extradomestiche per provvedere al mantenimento dei figli; le ha costrette a interrompere percorsi di studio o progetti di lavoro. Malgrado ciò esse trovarono tempo, energia, mo-tivazione per mettersi al servizio della città e dei trevigliesi in armi.

Due sono gli obiettivi di questo libro.Innanzitutto dare risal-

to alla rete di solidarietà costruita dai trevigliesi per rendere meno profon-di gli strappi, le lacerazio-ni e i drammi che ogni guerra purtroppo porta con sé. E, a distanza di tempo, conoscere e tocca-re con mano la tessitura di questa catena solidale fraterna.

Un intreccio intenso di azioni messo a punto per offrire spontaneamente ciò che non si premia con

medaglie o col plauso del mondo, ma che è suggerito dal cuore.

Una sorta di storia “dal basso”, paral-lela e nobile quanto quella dei grandi eventi. Il secondo obiettivo di questo libro è quello di sottrarre al fluire del tempo, nel tentativo quasi di dominar-lo, briciole e frammenti della nostra sto-ria e farne memoria. Non una memoria malinconica e nostalgica, ma attiva, efficace. Una memoria che educa, che insegna.

libri/ la grandE guErra il CollEgio “santa maria dEgli angEli”

Un’avventura educativa dal lontano 1838di Carmen Taborelli

Dal 1838 al 2015: un’avventura educativa durata centosettantaset-te anni quella del Collegio “Santa

Maria degli Angeli”. Un’efficace azione formativa e una lunga tradizione peda-gogica giunte ormai a compimento. È stata una presenza importante, che resterà nella storia della nostra città alla quale il Collegio ha efficacemente concorso a dare lustro. Lo sviluppo integrale, umano e cristiano, di tante fanciulle è stata la missione delle suore, ma anche dei do-centi laici che vi hanno prestato servizio in questi ultimi anni.

“Qui ebbero la loro educazione molte giovinette della bassa, della media e dell’alta Italia, che poi formarono fami-glie che fanno onore alla Chiesa e alla Patria”: sono parole che ben sintetizzato l’opera delle suore di Carità. A pro-nunciarle, nel 1938, fu il canonico don Giuseppe Rossi, Assistente Spirituale del Collegio stesso a partire dal 1901.

Non intendo, in questo spazio, fare una ricostruzione sistematica della storia del prestigioso istituto scolastico, storia peraltro già scritta e anche abbastanza conosciuta; preferisco che a raccontarla siano, invece, le immagini. Sono testimo-nianze efficaci ed eloquenti forse più del-le parole. Ricordano spazi vissuti, luoghi d’incontro, di accoglienza, di gioco, di obbedienza, di ascolto, di condivisione, di studio, di preghiera.

Spazi intrisi di proposta cristiana e di amore per la conoscenza. Spazi in cui riecheggia il silenzio. Un silenzio grande, popolato di pensieri, di sensibilità, di amore e di speranza. Oggi, a rompere quel silenzio, si leva alta una voce: è il grazie riconoscente della città.

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tEstimonianzE/dopo una mammografia

Sono inciampata nella mia patologia per caso. Forte della mia invulne-rabilità al termine di una bella esta-te fatta di famiglia e di amici. Forte

pure della mia forma fisica. Inconsapevole, nella mia stolta ma umanissima presunzione di invulnerabilità, che dentro di me cresceva e molto rapidamente qualcosa che mi stava mettendo in pericolo di vita. Sono inciampa-ta nella mia patologia solo grazie all’insisten-za di mia madre che mi ha donato così la vita una seconda volta. Il mio screening sarebbe caduto nell’inverno seguente e gli effetti sa-rebbero stati terrificanti. Così, nell’ambito di una visita per un problema della mamma, prendo anche il mio appuntamento e per una serie di circostanze fortuite, riesco ad avere la data per la mammografia piuttosto rapida-mente. Volgeva al termine l’estate aprendo ad un autunno che sarebbe stato per me in-tenso e stravolgente.

Venne il giorno della prima visita

La mammografia seguita dall’ecografia evidenziò due noduli. Il terzo sarebbe sta-to scoperto solo con la risonanza magne-tica a Milano. Quel giorno ero entrata in ospedale con la mente distratta dai giorna-

li della sala d’attesa e scrivendo qualcosa sull’iPad. Ero serena di quella serenità bel-la piena e solida dovuta a una certa soddi-sfazione nell’osservare se stessi, la propria vita, la crescita dei figli, gli avvenimenti dell’ultimo anno, i progetti. Ero, inoltre, con la coscienza a posto: avrei perso un’o-ra e mezza per questa visita ma almeno la mia mamma sarebbe stata più tranquilla visto la sua insistenza nel farmi visitare “…perchè tanto non si sa mai ed è meglio un controllo in più”.

Mentre attendo che mi chiami la senolo-ga, il tecnico che aveva svolto l’esame pas-sa dinanzi alla sala d’attesa. E’ un attimo. Involontario. Mi cerca con lo sguardo. In quei frammenti di tempo realizzai imme-diatamente che lui aveva visto qualcosa come poi mi spiegò per bene la senologa…

Esco dall’ospedale e nell’ordine faccio tre telefonate. 1) A mio marito: per dare il primo senso alla vicenda, era necessario per me affrontare subito realisticamente la questione, e lui è estremamente razionale e positivo. 2) I miei genitori: dovevo dire loro, e al contempo rincuorarli, che pas-so passo avremmo risolto tutto. 3) La mia amica: ero così attonita che a qualcuno dovevo pur confessarlo. Incredula, avrei, infatti, passato quella prima notte con ri-petuti risvegli, immaginando fosse solo un sogno.

Arrivata a casa, cominciai a percepire l’aria intrisa di disperazione. Feci subito un discorso lucido sia ai miei, che ai suoceri. Avevo bisogno di calma, di lucidità. Do-vevo pensare e capire e muovermi rapida-mente e non potevo avere il crollo emotivo della mia famiglia. Non lo potevo avere io e non lo potevano avere loro. Non in quel momento, almeno. Il percorso era appena iniziato.

Telefonai ad un’amica che aveva vissu-to la medesima vicenda lo scorso anno e a mia cugina che era anche lei da un paio di mesi entrata in quella nuova dimensione. Grazie a loro, stesi la mia road map che contemplava tutte le fasi per definire la mia situazione, dare uno svolgimento ed una prospettiva alla mia guarigione. La mia mente mi aveva già portato a quel piano di consapevolezza. Ero pronta. Era stato un anno straordinario sotto tanti profili ed anche questo evento si incastonava perfet-tamente in uno degli anni che rimane tra i

più belli e significativi della mia vita.

Venne il giorno della prima diagnosi

Qualche giorno dopo venni sottoposta a biopsia. Ricordo un senso di eccitazione dovuta alla curiosità scientifica di ricerca-re e capire che cosa avesse prodotto il mio seno. Entrai nell’ambulatorio forte del mio nuovo rossetto rosso che spavaldamente avevo comprato per rendere ancora più accesa la mia voglia di vivere e di anda-re avanti qualunque cosa fosse accaduta. Il medico che mi svolse l’ago aspirato era un amico d’infanzia. L’ambiente era fami-liare, confortevole e mi sentivo al sicuro. Con grande interesse seguivo le operazio-ni che svolgeva attraverso il monitor e le infermiere affabili mi coccolavano. Mario mi liquidò avvisandomi che appena pronti gli esiti mi avrebbe chiamata e di toglier-mi dalla testa che mi avrebbe anticipato qualcosa per telefono. Non avevo né paura né inquietudine. Avrei rispettato ogni tap-pa. Quello che doveva accadere tanto era già deciso e qualunque mia reazione non avrebbe mutato il risultato finale. E se fos-se stata “quella roba lì” occorreva reagi-re al meglio ed incanalare tutta la propria energia vitale verso un percorso di vita e di guarigione. Volevo esserne all’altezza. Dovevo esserne all’altezza.

Venne il giorno della presa di coscienza e l’inizio della battaglia

Non ci fu un giorno preciso. Questa fac-cenda, come accade nelle altre della vita, è un percorso. Sicuramente, volevo dare da subito il mio taglio a tutta la storia. La mia impostazione. La mia visione. Questo nuo-vo capitolo lo avrei scritto io e come avrei voluto io. Il punto di partenza fu: io non sono malata ma ho una malattia da gestire, una patologia. E la cosa si gestisce come tutti gli altri aspetti della nostra esistenza. Un anno da militare, ventre a terra e tirare dritto. Fu così che presi la macchinetta e

dopo aver visto il video di Soldato Jane, mi rasai da sola la testa a zero.

Venne il giorno del dubbio e della paura

Non vorrei apparire presuntuosa ma con determinazione mi sono adeguata a quanto stavo per affrontare con grande fiducia. La paura è umana ma non ha mai sfociato in disperazione. Ha semplicemente permesso di mantenere quel livello di adrenalina ne-cessaria per affrontare tutti i mesi a venire e con grande energia. Più entravo nel pieno della vicenda e più mi attaccavo con ener-gia alla vita: con tre figli da crescere non potevo permettermi altro per cui ho messo

in cantiere nuovi progetti, nuove idee, nuo-vi sogni.

Venne il giorno dell’alternanza serenità-paura

Gli affetti familiari e gli amici hanno permesso di puntellare il mio stato emo-tivo. La mente doveva rimanere salda per-ché solo così avrei stimolato la mia biochi-mica. L’amore attorno era il più efficace medicamento alla malattia.

Rovesciando la situazione prima che mi asfaltasse l’anima ho cominciato a ra-gionare in termini di opportunità. Quan-to mi accadeva rappresentava una grande sfida ed una grande opportunità. Quando

si rischia la vita tutto cambia. Per me è cam-biato in meglio. Da un momento all’altro puoi trovare più chiarezza in te stesso, una forza inau-dita, un gusto per le cose prima più sopito.

Entrare in questa nuo-va dimensione mi stava permettendo di entrare in contatto con persone straordinarie e di sco-prire una incredibile au-toironia.

Il 23 ottobre, giorno del mio intervento, scri-vevo questo nella mia pagina Facebook “Con il mio sorriso di sempre. Dalla parte della vita. Sono certa che coloro che mi vogliono bene è così che sapranno pen-sarmi oggi”.

Il 14 marzo 2014 a proposito dei volonta-ri “Non so cosa faccia nella vita Guido, come la pensi su tante cose, ma tutti i venerdì con il suo sorriso ci accoglie

iL Giorno dEL duBBio E dELLa paura...di Cristina Ronchi

Come affrontare un percorso che ognuno di noi teme sia costretto a fare nella vita? La nostra redattrice Cristina Ronchi, donna di grande forza e coraggio, lo racconta in queste pagine

Cristina Ronchi in alcuni scatti dell’ultimo anno, a destra con il segretario del Pd Erik Molteni e il sindaco Beppe Pezzoni. Sotto a destra con la famiglia

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in reparto. Con amore mi prepara un vas-soio rosso con il té ed i frollini. Mi apre la busta, la immerge nella tazza e mi chiede quanto lo gradisco intenso. Mi sorride. Ha parole buone con tutti. La battuta sim-patica. Io non so chi sia Guido, ma nella semplicità dei suoi gesti c’è un mondo: il meraviglioso mondo dei volontari”.

Il 25 marzo - Appunti dall’Istituto. “Mi ha fermata. Due occhi spaventati che chiedevano di me. A bruciapelo. Mi ave-va scorta passare mentre lei attendeva nel corridoio. Attendeva il suo istologico. Col-pita dal mio abbigliamento e dal mio sor-riso, voleva sapere. Istintivamente. Due sconosciute inciampate di corsa, una con l’altra, in un corridoio di un istituto spe-ciale. Le parole e lo sguardo e l’abbrac-cio. Non con la bocca. Non con gli occhi. Non con le braccia. Solo con il cuore. Due donne che sono riuscite in pochi secondi a condividere il tutto, a sentirsi, a trasmet-tersi per poi gettarsi ognuna nella propria sorte. ‘Ma come ti chiami?’, ho esclamato mentre già ci stavamo lasciando. ‘…Sil-via!’. Il mio pensiero oggi è con Silvia che non rivedrò mai più e che rimarrà inca-stonata nella mia mente assieme a tutti gli altri stupendi protagonisti di questa stra-ordinaria esperienza umana”.

Il 29 aprile - “Oggi. Mi doveva porgere la busta con il prosciutto. Ho allungato la mano e la commessa nel passarmi l’af-fettato, ha posto un suo bacio sulla mia mano. #piùchelamedicinapotèlasolidarie-tà”.

Il 2 maggio - “Gabriella è la caposala. Il primo step è presso di Lei. Con com-petenza e grazia trova a tutti noi la vena anche quando, settimana dopo settimana, queste cominciano pian piano a chiudersi. Ma Lei la trova, la scova. Gabriella com-pie questa operazione con una manualità rituale accompagnata dalla delicatezza della voce. Così tranquillizzante ma deci-sa. E con la medesima naturalezza intavo-la un discorso, un argomento anche ame-no mentre ti prepara. Normalizza così una situazione, una condizione, agevolando il percorso di noi tutti. ‘Cristina, va bene se le metto l’ago sul dorso della mano?’ chiede dolcemente come se attendesse il mio permesso. ‘Ma certo!’ rispondo. ‘Che donne straordinarie passano di qui…’ conclude. Avrei voluto dirle che le prime donne straordinarie sono tutte le infer-

miere che ci accudiscono, ma il pudore di una emozione e l’immediatezza mi han fatto perdere il momento. Mi rifarò. Mi ri-farò sicuramente”.

Il 25 giugno - “Sono ricci. Sono ricci! Alla faccia di tutti quegli anni con perma-nenti che non riuscivano ad avere il so-pravvento sui capelli più lisci ed inelastici che la storia del coiffage ricordi. Qui ci sarà veramente da divertirsi!”

27 giugno - “Uscendo di corsa ho di-menticato le sopracciglia a casa. Diver-tita, ricordo un incrocio fra Mina anni settanta e David Bowie. Per fortuna, l’ap-puntamento di stamane è con un cavallo”.Vennero i giorni del pensiero che resiste e batte forte nella mente anche quando sorridi

Il 17 giugno – “Nella mia pagina FB ho scritto: ‘Non è per la tua patologia ma per il tuo sorriso. A chi sorride così non si può non voler bene. Chi sorride così ed è piena di colori, vince!” Una semisconosciuta in reparto. #piuchelamedicinapotélaforza-deisentimenti’.

Io non penso alla malattia, ai dolo-ri, alla sofferenza ma cerco di tenere lo sguardo perennemente rivolto verso la vita. Ho cercato di mettere in sicurezza la mia anima in modo da non farla scalfire irrimediabilmente ed ho continuato a cre-dere che questa vita sia meravigliosa. E che sono fortunata. Molto”.

tEstimonianzE/dopo una mammografia

Gli Amici di GabrySensibilizzano, informano, educano e sostengono psicologicamente le donne affette da neoplasia alla mammella

L’Associazione Amici di Gabry è nata a Fara Gera d’Adda il 23 Settembre 1998 dall’esperienza

di una donna che ha lottato contro il cancro al seno. Si è così posta sul terri-torio con due fondamentali obiettivi: la sensibilizzazione, l’informazione e l’e-ducazione alla salute riguardo al tema “cancro”, in particolare il tumore alla mammella, poi l’attenzione al recupero psico-sociale delle persone affette da neoplasia della mammella.

L’Associazione ha lo scopo di sensi-bilizzare la donna perchè faccia della prevenzione l’arma vincente contro il tumore al seno, un lavoro che si svolge organizzando gruppi di incontro affinchè la donna possa apprendere i principi della prevenzione, possa comprendere le necessità di un’inda-gine mammografica anche in assenza di sintomi. “Il tumore va cercato”: per questo organizziamo lo screening mammografico estendendo l’indagine radiologica al seno, a tutta la popola-zione femminile interessata.

“Amici di Gabry” si rivolge a tutte le donne che intendono diventare protagoniste della propria salute. Alle donne che vivono o che hanno vissuto il percorso della malattia tumorale, perchè la donna oggi non è più sola di fronte al cancro al seno.

mEno ospEdaLE più casa Tecnologica di Roberto Fabbrucci

Il cambiamento epocale della sanità taglierà posti letto, ma verrà in soccorso la domotica. Gli studi dell’ing. Leonardo Maccapanni in collaborazione con colleghi e studenti dell’Itis di Treviglio, aiutano a capire

Leonardo Maccapanni

In Regione Lombardia è in corso un vivace confronto sulla Riforma della Sanità, che prospetta un cambiamen-to radicale, e questo avverrà in tutta

Italia, senza che cittadini, operatori della sanità, medici di famiglia compresi, sap-piano minimamente ciò che li aspetta.

Per esempio che gli ospedali sono desti-nati a vedersi ridotta la degenza ospedalie-ra al minimo, poiché la convalescenza il paziente la farà nella propria casa, con una forma assistenziale innovativa.

Mentre i malati cronici, i disabili gravi e gli anziani assolutamente non autosuffi-cienti, saranno assistiti in strutture socio-

sanitarie specifiche.La divisione tra allettati gravi e conva-

lescenti, renderà necessarie figure profes-sionali specializzate e questo è l’ altro ele-mento di novità. Il personale dovrà essere in grado di utilizzare gli strumenti che la nuova tecnologia mette a disposizione. Ov-vero la robotica al servizio della persona, la tele-medicina e la tele-assistenza, quindi tutto ciò che attiene le connessioni in reti per lo scambio dei dati e delle informazio-ni, ovvero la Domotica.

Questo perché il paziente dovrà essere collegato sempre di più al medico, all’in-fermiere, al reparto dell’ospedale che lo sta seguendo.

Quindi con tutto quanto rende utile e facile interloquire con il malato nella sua abitazione o nel suo letto del reparto ospedaliero. Fantascienza? Niente affatto. In Italia vi sono importanti esperienze al riguardo. La più importante è Italia Lon-geva, che fa riferimento al Ministero della Sanità, ma di tutto ciò l‘opinione pubblica all’oscuro.

Per saperne di più basta curiosare nel nostro territorio, per esempio al Polo Tec-nico Industriale e Professionale di Trevi-glio, dove esiste un modello di casa do-motica progettata per la disabilità, in cui è

previsto l’ utilizzo della robotica a servizio alla persona.

La casa domotica ha visto come prota-gonista l’ing. Leonardo Maccapanni con il concorso di importanti aziende partner e lo stesso Polo Tecnico, che eccelle nel-la robotica dal 2005, a conferma premi e riconoscimenti di prestigio in italia e in Europa.

Dal prossimo numero de “la nuova tri-buna”, l’ing. Leonardo Maccapanni sarà chiamato a redigere per i nostri lettori approfondimenti tecnici più specifici, sul contributo tecnologico che il nostro terri-torio sta offrendo ai progetti nazionali.

Per concludere queste note, la descri-zione del significato delle fotografie della casa tecnologica che si sta sperimentando all’Itis: il quadro di comando e l’esempio di captatore diffusore di luce solare che, installati unitamente a molte altre tecnolo-gie, permetteranno a casa d’essere testata.

Questo introducendo un robot specializ-zato nell’assistenza alla broncopneumopa-tia cronica ostruttiva, patologia che si sta sempre più diffondendo nelle persone an-ziane.

Il Robot sarà inserito nella “casa” per valutare un ipotesi di collaborazione con i ricercatori dell’Istituto Moella del Politec-nico di Torino, che stanno collaborando ad un progetto internazionale sull’uso della robotica all’ interno della casa Domotica.

sCuola/la sanità E la robotiCa

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La rete, in particolare i network come Facebook, hanno reagito con tempestività, per esempio è nato il gruppo “Ladri a Treviglio”

che in tempo reale segnala quanto i mem-bri del gruppo osservano nel loro quartiere o condominio. Movimenti di elementi so-spetti, auto di sconosciuti che sostano con gente a bordo per lungo tempo di fronte a negozi o edifici, descrizione di furti avve-nuti, scippi o rapine.

Il gruppo ha tentato, almeno all’inizio, di organizzare i propri iscritti con incontri, quindi proposte di aiuto di vicinato: scam-biarsi le informazioni via WhatsApp con i soci per tenersi in contatto diretto senza “mettere in piazza” informazioni su eventi che si stanno svolgendo, passeggiate orga-nizzate per animare i quartieri nelle ore più delicate, dall’imbrunire in poi. Qualcu-no ha anche proposto acquisti e installa-zione di dispositivi in comune, come ser-rature, antifurti, porte blindate e così via, un’aspirazione caduta nel vuoto a causa la generale inesperienza dei protagonisti a gestire gruppi di persone in un network, ma in generale per mancanza di esperienza associativa: chi comanda e chi fa cosa.

Comunque molte informazioni preziose vengono scambiate e gli iscritti al gruppo stanno osservando ciò che accade attorno

con occhio più attento, anche perchè si è compreso che le tipologie dei ladri sono di-verse, quelli che tradizionalmente truffano le famiglie, specie gli anziani, presentan-dosi al citofono come consulenti Enel, Gas, polizia in borghese, ecc.

Ci sono i giovanissimi che aprono “sbre-chi” nelle saracinesche dei box come fos-sero scatole di lamierino, questo per ten-tare di aprire lo sblocco della serratura, entrare e arraffare quel che possono. Poi i topi di appartamento che studiano il con-dominio, quindi l’alloggio e vi entrano con varie metodologia: rompendo la tapparel-la e il vetro della finestra, scassinando gli infissi con piedi di porco, usando chiavi speciali per aprire qualsiasi porta, anche quelle blindate.

Questi tipi di furti sono fatti prevalente-mente da giovanissimi (spesso minorenni, quindi impunibili), soprattutto albanesi e rumeni residenti in zona, ma non solo. Sono gruppi organizzati tra le quattro e sei persone, durante il giorno fanno sopral-luoghi nelle zone che vogliono colpire, poi verso l’imbrunire, fino alle prime ore dopo cena, si scatenano. Prediligono villette, ap-partamenti al piano terreno e al primo pia-no raggiungibili aggrappandosi ai balconi. Occasionalmente arrivano bande, sempre dell’est europeo, di ladri acrobati che non si fanno problemi ad arrampicarsi sui tubi delle grondaie o del gas.

Non sono mai soli, quando entrano negli appartamenti c’è un’auto d’appoggio con un complice che fa da palo all’arrivo della polizia o dei carabinieri.

Poi esistono le bande specializzate nei furti professionali degli appartamenti del ceto medio e medio alto, queste agiscono avvalendosi di una organizzazione e di idonei equipaggiamenti: trapani, flessibili per tagliare lamiere e persino cassaforte, chiavi speciali, ecc. Spesso provengono da altre regioni e si appoggiano a basisti resi-denti sulla piazza in cui operano.

Studiano con anticipo i colpi da realiz-zare, individuando gli obiettivi, gli orari, le abitudini di vita delle vittime, predispo-nendo mezzi adeguati ed eseguendo so-pralluoghi. Preferiscono colpire abitazioni signorili, sono attrezzati per aprire porte blindate, disattivare impianti di allarme, smurare e aprire casseforti. A seconda dei casi, studiano la strategia di volta in volta più conveniente per introdursi nelle abita-zioni delle vittime.

Vivere in una casa “tranquilla” rap-presenta il desiderio di tutti ed alcuni semplici accorgimenti possono renderla maggiormente sicura, per questo abbiamo preparato un vademecum nelle pagine suc-cessive. Comunque va sottolineato che é necessario tener presente che i ladri, in ge-nere, agiscono ove ritengono vi siano meno rischi di essere scoperti, come l’alloggio momentaneamente disabitato.

Quindi un ruolo fondamentale per preve-nire i furti é la collaborazione tra i vicini di casa, questo in modo che vi sia sempre qualcuno in grado di tener d’occhio le vo-stre abitazioni. In qualunque caso ricorda-te che i numeri di pronto intervento sono: 112 (Carabinieri), 113 (Polizia di Stato) e 117 (Guardia di Finanza).

Fondamentale ricordare di chiudere il portone d’accesso al palazzo. Non aprite il portone o il cancello automatico se non sapete chi ha suonato, installare dei dispo-sitivi antifurto, collegati possibilmente con i numeri di emergenza. Non informate nes-suno del tipo di apparecchiature di cui vi siete dotati né della disponibilità di even-tuali casseforti. Conservate i documenti personali nella cassaforte, meglio però una cassetta di sicurezza.

Fatevi installare una porta blindata con spioncino e serratura di sicurezza. Aumen-tate, se possibile, le difese passive e di si-curezza con l’installazione di videocitofoni e telecamere a circuito chiuso. Soprattutto accertatevi che la vostra chiave di casa non sia facilmente duplicabile.

La GEra d’adda E La maLavita orGanizzata di Roberto Fabbrucci

Dallo scorso autunno i furti negli appartamenti e nei box sembrano essere decuplicati, gli autori sono professionisti super organizzati, ma anche bande di minorenni, spesso di paesi balcanici

trEviglio furti/ChE suCCEdE E ComE difEndErsi

Dall’osservatorio privilegiato di giornalista locale cosa si rileva riguardo quella che ai semplici cittadini appare come un’esplosione esponenziale della criminalità dell’ultimo semestre? Ovvero, ha riguardato solo i furti nei box e negli appartamenti, oppure è generalizzata anche riguardo le rapine, gli scippi, le estorsioni, ecc? Quale il caso rilevato negli ultimi mesi che ha più colpito e nel dettaglio cosa?

Fabio Conti: “La criminalità si é radicata anche qui”Redattore “Eco di Bergamo” provincia

Rispetto ad altre zone d’Italia, la Gera d’Adda è stata senza dubbio considerata un po’ un’isola felice, come del resto tutta la Bergamasca, sotto il profilo della sicurez-za. Eppure, periodicamente –e proprio in questi anni questa congiuntura negativa sembra essersi ripresentata in tutta la sua serietà– appare chiaro come anche Trevi-glio e dintorni siano tutt’altro che esenti da problematiche legate alla sicurezza. Da quella cosiddetta ‘percepita’, vale a dire l’impatto che ciascun abitante ha con la propria realtà ‘di casa’, quando i ladri en-trano nel proprio appartamento e mettono a soqquadro la casa e, così facendo, il pro-

prio privato, fino alle infiltrazioni –anzi, ormai molti parlano addirittura di radi-camento– della criminalità organizzata. Fatti, i primi e i secondi, che non devono certo essere sottovalutati, né dallo Stato né dalle realtà amministrative locali: lo scari-cabarile, sul tema sicurezza, non è mai pia-cevole, perché la sensazione, anche nella ‘felice’ Gera d’Adda, è che i cittadini siano in qualche modo abbandonati a sé stessi.

E forse proprio il fatto di non essere mai stati, in passato, una realtà ‘a rischio’ sot-to il profilo della sicurezza, ha avuto come ripercussione una certa difficoltà ad am-mettere come i tempi siano cambiati anche nella nostra zona, non più dunque ‘isola felice’, ma area geografica sulla quale de-vono necessariamente posarsi le attenzioni delle istituzioni, per evitare che la popola-zione non si rassegni a convivere con certe realtà.

Per questo la politica si deve dare una mossa in tal senso e deve farlo a livello bipartisan, come è accaduto per la campa-gna di mantenimento del commissariato di polizia di Treviglio: l’unione, in quel caso, ha fatto la forza e ha dimostrato che il met-tere da parte le bandiere di partito (anche se non sono mancati i soliti personalismi, per fortuna tenuti ‘sotto controllo’) è ser-vito a far cambiare idea nientemeno che al

chE nE pEnsano i giornalisTi localiAbbiamo chiesto un’opinione ai giornalisti più attenti alla cronaca legata alla piccola criminalità: Fabio Conti, Pietro Tosca, Laura Crespi, Andrea Palamara e la redazione del Popolo Cattolico

i CommEnti dEi Cronisti

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ministro dell’Interno. La linea da seguire è, dunque, questa. Perché la cronaca non registri più i ‘soliti’ episodi di furti, rapine e, di recente, anche episodi riconducibili alla criminalità organizzata.

Pietro Tosca: “Furti in costante crescita da anni”Giornalista “Corriere della Sera”

L’economia del furto sembra essere l’u-nico settore in crescita costante nella crisi che da sette anni bersaglia soprattutto il Nord Italia, Treviglio e la Bergamasca non fanno eccezione. Chi lavora come giorna-lista in questo territorio ormai è subissato dalle storie di appartamenti svuotati, ne-gozi presi d’assalto, bar scassinati, truffe di ogni tipo e capannoni saccheggiati. Po-tremmo definirli “crimini di prossimità”. Predoni di provincia che non puntano a colpi eclatanti, ma a bottini sicuri, talvolta anche di pochi euro. Basta prendere tutto il possibile. Penso ai certi furti di rame, in cui per pochi metri di cavo si provocano danni molto più ingenti. O ai tombini sottratti di notte che mettono a rischio auto e pedoni. Il paradosso è che sono più sicure le strade

che le abitazioni. A Treviglio si può girare il centro storico in piena notte rimanendo tranquilli mentre le case sono prese d’as-salto. Furti questi da cui nessuno è al ripa-ro. Dal professionista con villa e cassaforte al pensionato nelle case popolari. E’ raro che ci sia violenza. L’Italia è morbida verso questo tipo di crimini e chi ruba sa che fin-ché non tocca le persone non rischia molto. Non a caso l’orario preferito dai ladri è il tardo pomeriggio quando la gente non è a casa. Per questo l’episodio che sicuramen-te colpisce di più è l’aggressione in ditta a Giovanni e Adriano Balestra, i due im-prenditori di Cividate al Piano massacrati a inizio dicembre da tre ladri che stavano rubando delle sbarre di metallo. Anche in questo caso il bottino era di poche centi-naia di euro. Un’eccezione si spera e non piuttosto un campanello d’allarme di un salto di livello della criminalità. Un ultimo dato. Secondo le statistiche ufficiali fornite dalla prefettura che qualche amministrato-re sbandiera spesso invitando alla calma, il numero dei furti sarebbe in calo. Il timore è però che il dato sia frutto solo della disil-lusione dei derubati che non fanno neanche più denuncia.

Dalla Redazione del Popolo Cattolico

Di certo il problema dei furti negli ap-partamenti rappresenta un motivo di for-te preoccupazione nei cittadini, poichè la recrudescenza ripropone la questione si-curezza nella versione più diretta e coin-volgente: ritrovarsi i ladri in casa o sco-prire che sono appena passati, rovistando, gettando tutto all’aria e rubando oggetti e denaro, significa per le vittime dei furti vivere nell’ansia e perpetuare la paura di ulteriori possibili incontri pericolosi. E’ il tipo di reato che forse lascia più pesanti tracce nella sensibilità dei cittadini, alme-no quanto l’angoscia che afferra dopo uno scippo, con strascichi dannosi al senso di tranquillità che ciascuno vorrebbe man-tenere e che resta invece profondamente scosso dall’azione degli scippatori.

Ecco perchè è molto importante che sia potenziato il Commissariato di Polizia,che non solo deve continuare a restare operati-vo a Treviglio per il presidio del territorio -e questo sembra fortunatamente ormai certo- ma dovrebbe rafforzato con nuovo personale e mezzi, per meglio combattere la micro-criminalità.

Occorre sottolineare che Polizia e Cara-binieri (ed anche la Polizia Locale) stanno lavorando al massimo per fermare i furti: sono frequenti i positivi risultati dei loro interventi, che assicurano alla giustizia i responsabili di furti commessi nelle più svariate modalità(box,garage,bar,ecc. E’ però importante anche che i cittadini se-gnalino la presenza nei quartieri di perso-ne sospette,in modo che le forze dell’ordi-ne possano intervenire subito ed accertare eventuali responsabilità,ripristinando la serenità dei cittadini.

Laura Crespi: “Più che furti é meglio parlare di razzie”Capo Redattore “il Giornale di Treviglio”

Più che di furti in questi ultimi anni è meglio parlare di razzie, più che di ladri di predoni. Bande organizzate e spietate, spesso provenienti dall’Est Europa, come dimostrano anche i recenti arresti nella Bassa, che passano al setaccio paese dopo paese violando case e violentando l’intimi-tà delle vittime.

Un flagello stagionale e inarrestabile, che sparisce improvvisamente così come improvvisamente si manifesta, anno dopo anno trovando puntualmente i territori sguarniti e i cittadini inermi. Se sempre più spesso la sfiducia nella capacità di per-seguire i responsabili da parte delle forze dell’ordine induce le stesse vittime a non denunciare, dando così ragione alle stati-stiche che registrano “un significativo calo di episodi criminali”, cresce invece la vo-glia di reagire.

Chi propone le ronde, chi ha attivato gruppi Facebook di sentinelle on-line, chi, putroppo si è fatto giustizia da sé ed è fi-nito in carcere. O, se anche l’ha scampa-

to, ha rovinato la propria vita e il proprio patrimonio. Di certo, ancora una volta lo scollamento fra cittadino e Stato è forte. Sfiducia nella giustizia, nella seria appli-cazione delle politiche dell’immigrazione, nel controllo delle frontiere e nei decreti svuota-carceri. Si dice che un carcerato costa in media 400 euro al giorno. Di sicu-ro costerebbe meno pagare i Paesi d’origi-ne affinché lì tornino a scontare la pena i delinquenti catturati in Italia. Forse questo per loro farebbe da deterrente.

Andrea Palamara: “La sfiducia nella Giustizia ormai prevale”Redattore “Giornale di Treviglio” area Caravaggio e zona

In Italia c’è troppa impunità. A mio pa-rere, uno dei motivi di questa esplosione della cosiddetta micro-criminalità (che di micro ormai ha ben poco), è la mancanza della certezza della pena. C’è una tendenza a considerare minori determinati reati. Chi li commette lo sa e continua imperterrito a commettere furti, scippi, rapine e chi più ne ha più ne metta.

Credo che sia necessario mettere un fre-no a questa situazione, prima che si arrivi a un punto di non ritorno. Sempre che non sia già stato superato. Le forze dell’ordine fanno quello che possono nel tentativo di arginare l’ondata, ma spesso devono sop-portare la frustrazione di incontrare per le strade le stesse persone che hanno arresta-to magari il giorno prima. E’ anche vero che i giudici condannano. Ma chi delinque, chi commette i “micro” crimini (che sono anche i più odiosi), in carcere non ci fini-sce (quasi) mai. Forse è tempo che in Italia cambi la musica. Ti condanno a 3 mesi? Stai tre mesi in cella. Ti danno venti anni? Te ne fai venti. Tutti. Altrimenti continue-rà a passare il messaggio che il “crimine non paga”. Ma nel vero senso della parola, non come intendeva il titolo di quel famoso film francese degli anni Sessanta

Fabio Conti Laura Crespi Andrea Palamara

Pietro ToscaAmanzio Possenti

Direttore Popolo Cattolico

Scippi e rapine: consigli utiliGli studi di analisi del fenomeno dei “reati predatori” hanno messo in luce la parziale prevedibilità ed alcune circostanze facilitanti che, se note, possono essere evitate. Ecco alcuni suggerimenti.

In generale1) essere d’aiuto per limitare la possibilità di essere vittima di questi reati.2) evitare di camminare su strade isolate e poco illuminate, privilegiare i marciapiedi più affollati;3) cercare di evitare, se soli, di attraversare parchi e giardini nelle ore notturne;4) evitare di sostare di notte in luoghi appartati, sia soli sia in compagnia;se si rincasa tardi, cercare di farsi accompagnare da un conoscente;non salire in ascensore da soli con estranei;5) essere cauti nell’offrire o nel richiedere passaggi in auto a sconosciuti, soprattutto se soli o di notte o in luoghi isolati;6) in caso di aggressione gridare il più possibile e difendersi cercando di colpire le parti più vulnerabili;ricordare che prima di passare all’azione l’aggressore seleziona le vittime sulla base dell’abbigliamento, se indossa gioielli e se eccessivamente elegante o vistoso;7) rammentare che spesso le aggressioni avvengono nei sottopassaggi, soprattutto in orari di scarsa circolazione pedonale e nei luoghi limitrofi alle stazioni ferroviarie.

Inoltre1) camminare sul marciapiedi opposto rispetto al senso di marcia dei veicoli, così da poter controllare chi eventualmente si avvicina in auto o in moto, mantenendosi il più possibile lontano dal margine;2) se si è a piedi, all’incrocio, aspettando il verde del semaforo, sostare sul marciapiedi vicino al muro (se esiste) e non in prossimità del passaggio dei veicoli;3) tenere la borsa dal lato opposto a quello di scorrimento del traffico, ma lasciarla immediatamente nel caso in cui venga agganciata da uno scippatore;

le statistiche hanno evidenziato che le borse portate a tracolla costituiscono un facile bersaglio per gli scippatori;4) per limitare i danni sarebbe meglio tenere documenti e denaro in tasche separate dei vestiti e non portare dietro molto denaro ed oggetti di valore;dopo aver prelevato molto denaro in banca, al bancomat o all’ufficio postale, dividere il denaro in più tasche;5) osservate se all’esterno della banca o dell’ufficio postale sono presenti persone sospette, in tal caso non uscire da soli ma attendere che qualcun altro abbia finito ed uscire insieme;se in bici, evitare di riporre borsa o zaino nel cestino davanti a voi;6) se in un posto affollato, o sui mezzi pubblici, mantenere la borsa, lo zaino o la valigetta in modo da poterla proteggere da eventuali borseggiatori;tenere presente che, se si è con un passeggino o con una carrozzina, c’è una ridotta capacità di reazione e quindi è maggiore la possibilità di essere una “preda” più facile per un eventuale scippatore o malintenzionato.

Se vi sentite seguiti1) dirigersi verso la caserma più vicina oppure, se nella zona è presente, avvicinarsi ad un agente della forza pubblica;

2) entrare nel primo negozio in cui siano presenti altre persone (bar, ristorante, etc.) e chiedere aiuto facendo chiamare un numero di emergenza, se in un luogo isolato, chiamare un numero di pronto intervento (il 112 o il 113) dal vostro cellulare;3) tenere presente che anche senza un cellulare, il fatto di portare all’orecchio un qualsiasi oggetto di piccole dimensioni può essere scambiato da lontano per un telefonino e mettere in fuga un eventuale aggressore;4) rientrare a casa soltanto quando siete sicuri di non essere più seguiti (un soggetto malintenzionato, una volta a conoscenza del vostro indirizzo, potrebbe aspettare il momento più opportuno per passare all’attacco);5) farsi accompagnare da qualcuno nelle ore tarde, i luoghi più insidiosi per un agguato sono quelli chiusi o appartati, come i garage e gli androni dei portoni.

trEviglio furti/i CommEnti dEi giornalisti i rEati prEdatori

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Dagli infissi al contatore elettrico

L’ideale è una porta blindata dotata di serratura con ci-

lindro anti forzatura e spionci-no; un sistema di antifurto elet-tronico, se necessario anche vetri antisfondamento. È sem-pre valido il ricorso alle grate metalliche, soprattutto nei pia-ni bassi, purché siano robuste e lo spazio tra le sbarre non supe-ri i 12 cm. Quando si è in casa non lasciare mai la chiave nella toppa: i ladri potrebbero farla ruotare dall’esterno.

Utilizzare i sistemi di bloc-

caggio di tapparelle e persia-ne. Spesso, infatti, i ladri si arrampicano sulle condotte dell’acqua per entrare negli ap-partamenti e questi sistemi di bloccaggio ostacolano o impe-discono l’effrazione.

Proteggere il contatore della luce, se all’esterno, chiuden-do a chiave il vano contatori o con una cassetta metallica per impedire che qualcuno possa staccare la corrente.

Se si è soli in casa e l’abita-zione è grande, tenere accesa la luce in due o più stanze per simulare la presenza di più per-sone e tenere la porta protetta con il paletto o la catena di si-curezza.

La posta, i citofoni, i segni in codice

Evitare l’accumularsi di posta nella cassetta delle

lettere chiedendo a un vicino di ritirarla; può essere utile la-sciare le chiavi di casa a una persona di fiducia che effet-

tui visite regolari all’interno dell’abitazione.

Prestate attenzione alle con-dizioni del citofono esterno o delle vostre cassette delle lette-re: se in qualche angolo doveste riscontrare la presenza di strani simboli (a forma di x, di cer-chi, di rombo e via dicendo), trovate il modo di cancellarli e avvertite con un cartello all’in-gresso del condominio che ave-te rilevato tali segni, così met-tete in allarme i vicini. Infatti, potrebbero essere dei segni in codice lasciati dai ladri: se le abitazioni sono protette da un allarme, piuttosto che abitate

da persone anziane e sole, op-pure libere per la maggior par-te della giornata, ecc.

Se rientrando in casa vi ren-dete conto che l’appartamen-to è stato violato, non toccare alcunché per non inquinare le prove e avvertire subito le For-ze dell’Ordine.

Scambiarsi il numero di cel-lulare tra vicini. Questo facilita il contatto tra vicini in caso di emergenza.

Avere un’assicurazione sui danni alla casa provocati da intrusioni sgradite, è essere una soluzione per limitare i danni e le perdite.

I vostri oggetti di valore e i contanti

Non lasciare mai in casa og-getti di valore come oro,

gioielli e molto denaro contan-te. Qualora la quantità di pre-ziosi fosse ingente, si consiglia

il noleggio di una cassetta di sicurezza in banca. Alternativa potrebbe essere installare una cassaforte, ma poco sicura, i malfattori hanno attrezzi adatti per aprirla facilmente. Un utile suggerimento è di tenere sem-pre, in luogo sicuro, un inven-tario aggiornato dei documenti importanti e dei beni di valore, con descrizione degli oggetti preziosi o comunque appetibili per i ladri. Per gioielli e quadri di particolare pregio è consi-gliabile conservare una foto-grafia, al fine di un’eventuale ricerca e auspicabile recupero della refurtiva.

Durante le vostre assenze da casa

Per brevi periodi - Chiudere sempre la porta a chiave e

non lasciarle mai sotto lo zer-bino, dentro un vaso o in altri luoghi alla portata di tutti; ri-cordarsi poi che i messaggi sulla porta dimostrano che in casa non c’è nessuno. Sensibi-lizzare i vicini affinché vi sia reciproca attenzione ai rumori sospetti provenienti dalla casa o dall’appartamento. Conviene lasciare qualche luce accesa, la radio o il televisore in funzio-ne, simulando così la presenza di qualcuno in casa.

Per lunghi periodi - Non far sapere a estranei i programmi dei viaggi o delle vacanze, poi simulare la vostra presenza in casa accendendo luci o fonti sonore come radio o tv. Esisto-no in commercio prese elettri-

che temporizzate, poco costose (dai 10 ai 25 euro), che possono essere collegate a una lampade, radio o tv, quindi accendersi e spegnersi quotidianamente come da voi programmato.

Attenzione ai telecomandi: garage e cancelli che si apro-no con telecomandi possono essere facilmente aperti con strumenti che intercettano il segnale o che semplicemente provano tutte le frequenze di-sponibili. Se ci allontaniamo per più giorni da casa, optiamo per blocchi aggiuntivi manuali (serrature, spranghe, ecc.).

Non divulgare la data del

Ecco come difendersi

za da casa. Assicurarsi sempre che i propri famigliari non di-vulghino tale informazione at-traverso chat e social network.

Non postare gli orari e i gior-ni in cui andate in palestra, pi-scina, corsi di ballo ecc.

Non postare foto che ripro-ducano l’interno della tua abi-tazione e particolari (quadri, oggetti di valore) che la renda-no un obiettivo appetibile per i malfattori.

Non aprite la porta agli sconosciuti

Non aprire la porta a scono-sciuti anche se dichiarano

di essere dipendenti di aziende di pubblica utilità (Enel, Tele-com, Vodafone, Gas, Comune, Banche ecc.).

Verificare sempre con una te-lefonata da quale servizio sono stati inviati gli operatori che bussano alla porta e per quali motivi. Se non si ricevono rassi-curazioni non aprire. Ricordare che nessun ente manda perso-nale a casa per il pagamento delle bollette, per rimborsi, per sostituire banconote false date erroneamente o per controllare se l’acqua che abbiamo in casa sia potabile o meno.

Non fidarsi di chi afferma di rappresentare forze dell’ordine se sono borghese, solitamente sono imbroglioni che chiedono di verificare se non vi è stato rubato qualcosa, questo con la scusa che nel condominio è av-venuto un furto.

Poi con un espediente vi di-straggono e asportano quanto avete prima mostrato. Atten-zione a chi dice di essere un amico di famiglia, appena arriva sull’argomento denaro promesso o dovuto da un vo-stro parente, chiamate le forze dell’ordine.

Memorizzare, segnalare

La segnalazione del malvi-vente deve essere più com-

pleta possibile. Età presunta, corporatura, capelli, vestiti, aspetto in generale della perso-na. Per le auto, annotare il nu-mero di targa è fondamentale. In assenza di tale informazione sono utili anche il modello e il colore.

rientro, poi sulla segreteria te-lefonica non lasciare informa-zioni specifiche sull’assenza. Un vecchio espediente utiliz-zato dai topi d’appartamento è quello di telefonare al numero fisso dell’abitazione presa di mira e verificare la risposta, quindi, mai lasciare messaggi registrati sulla segreteria tele-fonica fornendo informazioni sul periodo di assenza.

Lasciare da un proprio pa-rente o da una persona di fi-ducia che possiede una cassa-forte, i propri oggetti di valore. Meglio però una cassetta di sicurezza della banca.

Occhio alle foto sui social network

I Social Network (Facebook, Twitter, ecc.) possono essere

un’arma a doppio taglio e spar-gere ai quattro venti la notizia della villeggiatura o delle pro-prie abitudini potrebbe avere brutti risvolti: mai comunicare a estranei il periodo di assen-

L’aiuto arriva dalle app degli smartphone e dai Comitati

nano spontanei che stanno nascendo- Anche Romano di Lombardia l’inizio di Gennaio ha convocato un’assemblea per organizzare con i cittadini questo servizio, che da quanto si è visto, se ben fatto, risolve il problema. Sono, infatti, organizzazioni che con l’aiuto della Polizia Locale potranno acquisire esperienze

Quali le soluzioni da adottare per consentire alla comunità di supportare le forze dell’ordine, senza rischiare

di debordare oltre il consentito? Una solu-zione sono i Gruppo di Vicinato, nati negli Stati Uniti tra gli anni ’60 e ’70, arrivati in Inghilterra ed ora sbarcati in Italia. Gruppi, va sottolineato, che tra America del Nord, Europa, Australia e Nuova Zelanda contano dieci milioni di aderenti.

Così anche in Italia, grazie al contributo di alcuni cittadini e al supporto dell’Assessorato alla Polizia Locale, da qualche anno è attivo in alcune città il Controllo del Vicinato. Il programma prevede l’auto-organizzazione tra vicini per controllare l’area intorno alla propria abitazione. Questa attività è segnalata tramite la collocazione di appositi cartelli. Lo scopo è quello di comunicare a chiunque passi nell’area interessata al controllo, che la sua presenza non passerà inosservata e che il vicinato è attento e consapevole di ciò che av-viene all’interno dell’area stessa. Un insieme di piccole attenzioni fa sì che i molti occhi di chi abita il quartiere rappresentino un deter-rente per chi volesse compiere furti o altro genere di illeciti “da strada” come graffiti, scippi, truffe, vandalismi ecc.

Gruppi di Vicinato funzionano

La collaborazione tra vicini è fondamentale perché si instauri un clima di sicurezza che verrà percepito da tutti i residenti e partico-larmente dalle fasce più deboli come anziani e bambini.

Esistono esperienze diverse, alcune sponta-nee, altre più organizzate, dalle quali abbia-mo desunto alcuni consigli che qui cerchiamo di sintetizzare, e che indirizziamo in primis ai Comitati di Quartiere e ai Gruppi di Vici-

e informazioni, iniziando ad usare una serie di strumenti tecnici e strategie.

Per esempio quando usare gli Sms o WhatsApp, a chi inviarli, come usare i social network come Facebook o Twitter, come predisporre e mettere in rete una mappa in-terattiva del quartiere che segnali dove sono avvenuti furti, vandalismi, sono in opera i writers, ecc.

Creare un archivio di dati condiviso tra i coordinatori dei Comitati di Vicinanza, sug-gerire l’installazione di mappe, fare acquisti in comune di antifurto, installazione, serratu-re di ultima generazione, grate, cancelli.

r. f.

trEviglio furti/ComE difEndErsi la “novità” dEi gruppi di viCinato

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Dovendo intervistare il sindaco di Casirate Mauro Faccà, è d’ob-bligo ricordare il suo percorso formativo, che ha avuto un forte

legame con la redazione de “la tribuna”.“Sono nato a Treviglio nel 1970, ho una

formazione tecnica in campo meccanico, successivamente ho svolto il servizio civile presso la Cooperativa Editoriale Berga-masca, allora editrice del mensile ‘la tri-buna’ diretto da Roberto Fabbrucci. Tra le varie esperienze ho maturato quella di grafico, con ciò sono stato assunto dalla stessa cooperativa e successivamente, nel 1993, terminato l’apprendistato, lo stes-so direttore de “la tribuna” mi indirizzò al settimanale ‘Il Popolo Cattolico’, che aveva necessità di una figura professiona-le come la mia, infatti fui assunto.

Già allora il direttore del Popolo Catto-lico era Amanzio Possenti, mentre ammi-nistratore era Pierino Ferrari, e fu questi che mi chiese di diventare giornalista pub-blicista. Cosa che avvenne nel 1995”.Come vive l’esperienza di essere sindaco e su cosa pone maggiormente attenzione in questa prima fase del mandato?

“In precedenza sono stato assessore e capogruppo di opposizione, e per ben ope-rare, come ho potuto sperimentare, occor-re avere un requisito che reputo indispen-sabile: la squadra di governo.

Credo che non si possa essere dapper-tutto, ma occorre essere a conoscenza di tutto per poter dare una prima risposta in qualsiasi momento. Punto primo la si-curezza dei cittadini: l’ultimo periodo ha visto parecchie effrazioni in abitazioni ma anche furti con scasso in attività com-merciali. Un grosso problema diffuso sul territorio e che ha un grande limite di in-tervento da parte delle forze dell’ordine è la certezza della pena.

Servirebbe una maggiore presenza di uo-mini in divisa sul territorio, sebbene dallo Stato centrale si parli di chiusura di pre-sidi sul territorio quando lo stesso chiede più unità operative. Da qui il sentore co-mune di legittimare le cosiddette ‘ronde’: anche a Casirate c’è stata una raccolta di firme per istituire questa nuova figura di ‘controllore’ ma, come amministrazione, ci siamo sentiti in dovere di interloquire

per valutare il da farsi. In accordo con la Polizia Locale e la Protezione civile, ab-biamo istituito nel mese di dicembre una serie di servizi aggiuntivi di controllo: per esempio negli orari serali dalle ore 20 alle ore 23, poi il prolungamento dell’orario pomeridiano fino alle ore 19.

A chi voleva organizzare le ronde, legal-mente non possibili, non ho potuto vietare di girare per il paese, ma come libero cit-tadino, consigliando di munirsi di numero di telefono della Polizia locale e delle for-ze dell’Ordine in caso di bisogno”.Altri punti cui avete posto attenzione lei e la sua amministrazione?

“Senz’altro il rilancio del Centro Spor-tivo Ricreativo, mettendo anzitutto mano al rifacimento della pavimentazione del campo da gioco, 1000 mq, sostituendo il malconcio parquet con un fondo in pvc di ultima generazione.

Diciamo subito che la rimozione in toto del parquet non è costata nulla ai cittadini casiratesi, grazie all’impegno volontari-stico di assessori, consiglieri e concittadi-ni. In contemporanea, abbiamo bandito la gestione del bar e dell’intera struttura as-segnando, dopo l’espletamento della gara, la gestione del bar e della palestra. L’one-

re delle spese di gestione e delle utenze, ora è a totale carico del gestore del Cen-tro Sportivo: un risparmio per il comune di alcune decine di migliaia di euro annue. Anche l’area verde circostante il centro è stata oggetto di manutenzione e ripulitura, ci auguriamo che questi interventi stimo-lino i concittadini a frequentare il Centro e l’area verde come nei decenni passati”.Quali i primi obiettivi della sua ammini-strazione comunale e della sua squadra?

“Stiamo intervenendo sulla questione di via Donati, risistemando l’illuminazio-ne pubblica. Abbiamo asfaltato il tratto di strada pesantemente rovinato, ora stiamo cercando di risolvere il problema marcia-piede e illuminazione del piano Integrato di Intervento, che da anni attende la chiu-sura dei lavori e la cessione delle aree alla pubblica amministrazione.

Ci sono ancora tempi tecnici da atten-dere, ma cerchiamo di essere al fianco di chi ha voluto abitare a Casirate, investen-do una spesa di non poco conto quale l’ac-quisto di una casa.

Inoltre, stiamo istituendo dei buoni la-voro col sistema dei voucher, questo per dare assistenza ai bisognosi. A fronte di un piccolo lavoro o servizio che l’utente svolge per il comune, viene corrisposto un voucher orario di 10 euro che, al netto delle trattenute Inps e assicurative, si con-cretizza in 7,50 euro.

Dunque chi presta l’opera non la con-sidera una forma di carità, bensì il paga-mento di un lavoro eseguito: quindi l’in-tento è anche quello di ridare dignità a chi si trova in temporanea difficoltà.

Stiamo istituendo il bando per la forma-zione di una banca dati -persone-lavoro e il conseguente regolamento per l’assegna-zione dei voucher: confidiamo che per la prima mensilità del 2015 si possa avere un quadro ben chiaro della situazione. In ambito sanitario ci siamo posti a fianco degli assistiti del dott. Alberto Venezia

per il cambio del medico di base, è sta-to istituito presso gli uffici comunali uno sportello dedicato alla scelta del cambio del medico, un servizio importante per i casiratesi che diversamente avrebbero do-vuto recarsi a Treviglio.

Ringrazio la signora Gisella Tibaldini che ha messo a disposizione il proprio tempo gratuitamente per questo lavoro ed il dottor Venezia, giunto all’età pensioni-stica, che ha seguito la salute dei cittadini casiratesi con dedizione e professionali-tà”.E per il nuovo anno, il 2015, quali pro-getti desiderate realizzare?

“Il 2015 non appare ben definito sotto l’aspetto amministrativo: patto di stabilità su tutto e su tutti, ma anche le imposte do-vrebbero nuovamente cambiare. Nel 2014 si è dovuto istituire la Iuc (Tari, Tasi e Imu) stravolgendo l’intero mondo dell’im-posizione fiscale sui servizi: ora si profila

intErvistE/il sindaCo di CasiratE d’adda

Gisella Tibaldinidott. Alberto Venezia

un sElfiE pEr l’artE

L’autoscatto pEr iL musEoIl museo civico “Ernesto e Teresa Della

Torre” di Treviglio custodisce opere pittoriche, sculture, disegni, oggetti di

valore artistico straordinario, eppure con grande difficoltà si riesce a trainare del pubblico a visitarlo.

Così i responsabili del museo hanno lan-ciato un concorso a tema che consiste nel farsi un selfie (autoscatto) davanti all’opera preferita. “L’obiettivo è quello di spingere le persone a osservare con più attenzione il patrimonio custodito nelle nostre sale per scoprire quale potrebbe essere l’ope-ra adatta alla realizzazione del selfie più originale che sbaraglierà la concorrenza” spiega Riccardo Riganti, direttore del museo. L’iniziativa ha colpito la giornali-sta de “la Repubblica” Lucia Landoni che ne ha preso spunto per postare sul sito del quotidiano le foto più interessanti cattura-te sull’web e commentando. “Finora l’ini-ziativa sta riscuotendo un certo successo, almeno a giudicare dalla pagina Facebo-ok del museo ‘Della Torre’: c’è chi si esibi-sce in smorfie buffe accanto al proprio di-pinto preferito, chi lo contempla sognante forse desiderando di entrare a farne parte e qualcuno mima addirittura uno scambio di baci con una scultura”.

la Local Tax che dovrebbe riunificare tut-te le imposte e dunque confondere nuova-mente il tutto.

Nel 2015 ci sarà la ricorrenza dei 100 anni della Grande Guerra e, grazie al pre-zioso lavoro del nostro consigliere dele-gato all’ambiente Gabriele Riva, in colla-borazione con la commissione biblioteca, abbiamo messo in programma una gita ai luoghi della guerra, presumibilmente per maggio. Per quanto concerne la cultura, abbiamo nominato la nuova Commissione Biblioteca, che si è messa subito al lavoro con alcune uscite culturali sul territorio e organizzando iniziative natalizie con i bambini.

Per la Sagra quest’anno abbiamo rice-vuto il lascito di preziosi libri e manoscrit-ti su Alessandro Manzoni e Enrichetta Blondel da parte di Mons. Daniele Rota, professore e studioso manzoniano. Abbia-mo istituito all’interno del Palazzo Comu-nale il Fondo Manzoniano, utilizzabile da parte degli utenti dei cinque Sistemi Bi-bliotecari Bergamaschi solo per consulta-zione, vista la rarità dei testi e documenti contenuti: con questo lascito, ora Casirate possiede un patrimonio librario che nes-suna Biblioteca della provincia può van-tare.

Abbiamo patrocinato l’Associazione Oltre-onlus, che si occupa di bambini e ragazzi con problemi di DSA/BES, distur-bi specifici dell’apprendimento, mettendo a disposizione l’ex sala consigliare, con-sentendo alle famiglie casiratesi di usu-fruire di un comodo doposcuola, specifico per le esigenze dei loro ragazzi. Attivere-mo nel 2015 anche lo spazio compiti in collaborazione con l’oratorio e la scuola media. L’iniziativa Ragazzi di Strada ha portato gli educatori nei luoghi frequen-tati dai ragazzi tra i 13 e i 18 anni per in-vitarli a partecipare alla realizzazione di murales e mettersi in gioco, proposta che continuerà in primavera”.

faccà: La sicurEzza è iL primo proBLEmaa cura di Michela Colombo

Mauro Faccà, eletto la scorsa primavera sindaco di Casirate d’Adda, iniziò ad avvicinarsi ai temi della pubblica amministrazione come giovanissimo collaboratore de “la tribuna”

Mauro Faccà

trEviglio

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antiChE bottEghE/stEfanoni

Antonio Pacinotti inventa nel 1860 la dinamo, dopo dieci anni nascono motori elettrici che sfruttano le dinamo. Gli arrotini

furono tra i primi a sfruttare questa ener-gia per far ruotare le mole e arrotare coltel-li, forbici, strumenti chirurgici, falci, ecc. Treviglio, al centro della Lombardia, trovò pronto interprete della modernità in Ales-sio Stefanoni. Nella sua bottega, infatti, tra il 1893 e 1894 sostituì la pedaliera (vedi foto) con un motore elettrico e la novità fu evidenziata a grandi lettere sull’ingresso del negozio di via San Martino, dove aveva una bottega di coltelli, forbici, tritacarne in ghisa, affilatori speciali e attrezzi ospeda-lieri. Nel 1907 Alessio, visto che gli spazi iniziano a essere stretti, decide di trasfe-rirsi in via Roma, all’angolo con via Mu-nicipio, nel palazzo che poi sarà di Anto-nio Semenza, conosce Felicita Colombo, s’innamora, mette su famiglia e nascono quattro figli: Giuseppe, Angelo, Francesca ed Ernestina (Dina).

Nel 1926 il figlio Angelo, appena gran-

dicello, è mandato a Monza a lavorare per imparare il mestiere, ci va in bicicletta. L’esercizio diventa una passione che lo porterà a partecipare a corse ciclistiche per dilettanti, tra cui la Milano-Sanremo. Inizierà a lavorare nel negozio del papà appena fattosi le ossa, proprio nel periodo in cui trasferiscono l’abitazione sopra il ne-gozio di via Roma. L’attività si evolve, così aumentano i prodotti in vendita e si ag-

giungono casalinghi, giocattoli e occhiali da vista.

L’8 Giugno del 1936 Angelo si sposa con Elsa Maridati, appena in tempo per avere la benedizione del papà Alessio che muore a fine anno. Elsa entra subito in sintonia con l’attività del marito e altre nuove mer-ci si aggiungono in vetrina: rasoi a mano libera e con lametta con marchio “Stefano-ni”; saponi da barba, dopo barba e alcuni profumi di grande qualità che fanno arri-vare appositamente dalla Germania. Così gli anni successivi altri prodotti vengono richiesti dal mercato, come stufe a legna, ghiacciaie, pentolame, ma é anche la fa-miglia che cresce: nel 1936 nasce Alessio e nel 1940 Rodolfo. Tra la nascita di un figlio e l’altro si indebitano e comprano locali accanto al negozio , appena qualche mese dopo però è richiamato a rafforzare

le truppe italiane e tedesche in Jugoslavia. Solo dopo cinque anni, finita la guerra e mille traversie e inenarrabili tragedie, ri-compare a casa, é il settembre del 1945. Pesa 38 kg per un’altezza di un metro e no-vanta, ci vorrà un anno per ritrovare un po’ di forza e salute.

Elisa e nonna Felicita, sole con i due bimbi da accudire, in quei cinque anni di lontananza di Angelo si erano dovute attrezzare e trasformarsi in imprenditrici, così dovettero prendere in mano le redini della bottega. Impresa ciclopica in tempo di guerra, soprattutto era problematico procurarsi le merci e poi non farsele requi-sire dai fascisti e dai tedeschi. L’intrapren-denza delle donne, la grinta (chi scrive la ricorda), faranno la fortuna della famiglia, tanto che ripianano i debiti fatti per l’ac-quisto del negozio nel 1938, accantonando

affiLarE LE LamE con iL motorE ELEttrico...di Roberto Fabbrucci

A fine ‘800 Stefanoni collegò il motore elettrico alla cinghia della mola, un primo passo da cui, in via San Martino, partì l’avventura che lo avrebbe portato ad aprire il più grande negozio di Treviglio

anche un po’ di liquidità.Ripresosi fisicamente Angelo, l’azienda

riparte nel 1946 con due uomini in più, il babbo e primogenito Alessio che inizia a collaborare in negozio, così la famiglia de-cide di allargare il commercio, aggiungen-do altri generi come gli articoli sportivi e la chincaglieria.

Altri grandi cambiamenti continuano fino 1957: la vendita del gas liquido in bombole con servizio a domicilio, le prime lavatrici inglesi Hoover, poi i frigoriferi, le

A sinistra (e nell’ovale) Alessio Stefanoni aziona la pedaliera della mola, sopra l’insegna che l’attività si avvale del motore elettrico. Sotto a sinistra il negozio di parrucchiere Maridati (Suocero di Angelo Stefanoni) in via Roma, dal 1931 gestito da Battista Corna. Successivamente diverrà “Stefanoni Sport”- Sotto l’ingresso di via Roma negli anni ‘70: Alessio è con la mamma Elsa e un commesso

A sinistra Elsa Maridati e Paolo Stefanoni, poi piazza Manara a fine l’800. Sotto a sinistra Rodolfo Stefanoni sedicenne (con il berretto) sulla Giardinetta guidata dal padre Paolo. Accanto uno momento di una premiazione sportiva: al microfono Rodolfo Stefanoni e a sinistra della ragazza Alessio. Si notano a sinistra tre personaggi noti: Agostino Melli, Ermanno Riganti e il prof. Gatti (educazione fisica)

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“cucine americane” in metallo, con ciò la necessità di avere automezzi per il traspor-to. Così il primo acquisto e una Balilla, poi la Topolino Familiare Legno e quella in Metallo, ma anche una berlina, la Fiat 1100.

Treviglio, dimenticata la guerra, pensa al suo futuro, nasce così nel 1957 una prima Fiera Campionaria alla quale la ditta Stefa-noni partecipa con uno stand, altre fiere se-guiranno saltuariamente fino agli anni ‘80. Intanto finisce quasi del tutto l’esigenza di arrotare lame e l’attività originaria dell’a-zienda viene dismessa, è anche l’anno in cui Angelo Stefanoni ha un primo infarto, ne seguiranno altri che lo porteranno alla morte il 5 Settembre 1958, a soli 48 anni.

La ditta cambia denominazione, trasfor-mandosi in Stefanoni Alessio S.d.f. di Maridati Elisa & figli. Alessio inizia a collaborare a tempo pieno, mentre Rodolfo entra in bottega l’anno successivo, appena terminato gli studi di ragioneria.

Gli anni tra 1958 e il 1959 sono compli-cati. Le tasse di successione pagate sono enormi, quindi la liquidità ne risente, tanto da dover pensare anche a un cambiamento dei sistemi di pagamento, fino allora basati sulla fiducia tra commerciante e cliente (si

segnava sul libretto e si passava a pagare o dare l’acconto, ogni tanto). Un cambio di mentalità e l’inizio di una gestione conta-bile formale e complessa, così altro impe-gno di tempo, come tutti inizieranno a fare in quegli anni.

Il 1958 e 1959 sono anni di assestamen-to, mentre nel Febbraio del 1962 gli Stefa-noni ottengono si liberi il negozio di mac-chine per cucire Singer ed elettrodomestici e la bottega si allarga ancora, ristrutturata dall’impresa Carlo Invernizzi, con la di-rezione lavori all’ing. Angelo Bedolini, professionista molto rinomato a Treviglio.

Quando i lavori stanno finendo, Rodol-fo torna da militare, giusto in tempo per impegnarsi nell’ampliamento dei settori merceologici e si aggiungono porcellane e cristallerie, articoli regalo in peltro, silver e ceramiche. Gli Stefanoni non dimenti-cano la pubblicità, sempre sapientemente usata dal dopoguerra, così nel 1965 orga-nizzano un campionato italiano di “Auto filo comandate su piste di plastica” presso il Bar Galliari, da Chicco Pavan, una mo-dernità d’avanguardia per quei tempi. Poi partecipano alla selezione del campiona-to italiano “Costruzioni in Lego”, e nelle competizioni non manca la mega racchet-

ta “Stefanoni” issata sopra una berlina, questo per seguire le gare ciclistiche. Per il reparto “Stefanoni Sport” si fa anche di più, si sponsorizza la squadra maschile di basket e negli anni successivi anche quella femminile.

Nel 1985, approfittando del pensiona-mento di Antonio Semenza, titolare dei Magazzini omonimi, chiedono e otten-gono di acquistare una parte del negozio confinante. E’ così che lo spazio vendita degli Stefanoni diventa di 350 metri e i magazzini di 296. Il più grande negozio di Treviglio. Intanto le famiglie si sono formate, Alessio ha due figli, Francesco e Alessandro, mentre Rodolfo ne ha tre: An-gelo, Isabella e Paola.

Tutto sembra andare per il meglio ma nonna Elsa nel 1986 ha un primo edema polmonare, altri ne seguiranno, senza che decida di rinunciare al suo lavoro, alla sua vita. Scompare il 20 Agosto 1988, e lo fa come aveva sempre sognato avvenisse, o forse come avesse deciso fosse: sistema le cose in negozio, sale in casa, cena e alle 21,30 se ne va. In silenzio, senza disturbare nessuno.

L’ultimo decennio del secolo è tra i più complicati, un po’ per tutti i commercian-ti, ma per Rodolfo l’inizio del millennio diventa più complicato: Alessio decide di chiudere immediatamente il negozio sportivo perché vuole pensionarsi, così nel settembre del 2001 la Stefanoni Sport scompare, si svende la merce, si regala o demolisce l’attrezzatura, si dividono gli spazi tra fratelli, così la vecchia bottega di parrucchiere del nonno materno, che ospi-tò anche il parrucchiere Battista Corna, da Stefanoni Sport diviene uno spazio da affittare al miglior offerente: Pozzi Uomo.

Rodolfo, coadiuvato dalla moglie e dalla figlia Paola prosegue con maggior energia l’attività, fino a convincersi che la figlia è pronta per il passaggio delle consegne. Così il 2 Luglio 2007 sulla vetrina appare il nuovo marchio: “Stefanoni 1907 di Pao-la Steffanoni”. Si Steffanoni, per un errore di un impiegato dell’anagrafe negli anni ‘60. Comunque, se pur l’attività del bisnon-no Alessio iniziò nel 1893, la data del 1907 viene scelta perché è l’anno del cambia-mento, quando l’attività si trasferì da via San Martino in via Roma, ampliandosi. Paola all’alba del 2015 continua brillante-mente l’attività, sempre con il sostegno e la vicinanza dei genitori che con lei, in que-sti primi anni del millennio, hanno dovuto affrontare il mondo che è cambiato, anche nel loro settore. Molti chiudono l’attività altri cambiano genere, nuovi negozi apro-no, ma l’antico negozio degli Stefanoni si evolve e va avanti, la ragazza è giovane e c’é una vita davanti.

antiChE bottEghE/stEfanoniDue scatti di altrettante delle molte squadre sponsorizzate, con il cappello Alessio Stefanoni e volti che diventeranno noti, come Mario Onnis (primo in divisa in piedi a sinistra), piuttosto che il compiento Gianpiero Colombo, il secondo da sinistra accasciato. Sotto la squadra femminile con il pittore Battista Mombrini a sinistra e a destra il rag. Franco Zucca.

Non sempre le storie più belle e singolari nascono per caso. Quella di Giuseppe Cesni è una di quelle. E’ la storia di un’atti-

vità commerciale apparentemente slegata dal mondo delle automobili ma ad essa si lega imprescindibilmente grazie al proprio mezzo di lavoro, reso unico per una grande intuizione.

E’ la storia che ci viene ricordata oggi dai figli Franco e Luca che, con la stessa passione del padre, proseguono l’attività nell’attuale piazza Setti di Treviglio. Una storia particolare quella dell’allora “Foto Attualità di Cesni & Leoni”, apparente-mente slegata dal mondo dei motori e che nel ricordo dei trevigliesi è abbinata alla sola fotografia.

Erano i primissimi Anni Sessanta e, nel-la bassa bergamasca, Giuseppe Cesni (al-lora cotitolare di ‘Foto Attualità di Leoni & Cesni’) ebbe un’intuizione davvero in-novativa. Fino a quel momento le persone che necessitavano di servizi fotografici o di acquistare del materiale, dovevano recarsi in uno studio o in un negozio di settore per prendere visione delle novità del mercato o, più semplicemente, per poter scattare una semplice foto da apporre sui propri documenti. Così facevano nel loro studio Leoni e Cesni, che sorgeva tra l’altro pro-prio di fronte all’attuale parcheggio confi-nante con viale del Partigiano e di fronte al quale all’epoca c’erano, al posto dell’attua-le piazzale con i parcheggi, la caserma dei Carabinieri di Treviglio e le carceri.

La carrozzeria della MultiplaNon è noto quale sia la carrozze-

ria che ha eseguito i lavori di adattamento a studio fotogra-

fico mobile della Fiat 600 Multipla in uso a Pino Cesni e Mario Leoni. Di fatto dobbiamo dare atto all’im-portante lavoro di modifica delle caratteristiche tecnico costruttive apportate al mezzo.

Dotata di un motore 4 cilindri in linea, motore e trazione posteriori e cambio a 4 marce, questa 600 Multi-pla venne interamente ridisegnata e resa funzionale nella carrozzeria se-condo le specifiche esigenze indica-te, con la creazione di un alloggiamento nel vano posteriore (poco sopra il vano motore) che divenne una “vetrinetta” per le novità di settore.

La parte più centrale del veicolo, inve-

cEsni E Lo studio fotoGrafico moBiLEdi Ivan Scelsa (*)

Quell’intuizione, che all’epoca sembrava quasi un azzardo per la giovane e ancora agreste realtà dove veniva partorita, si ri-velò invece vincente.

Acquistata una Fiat 600 Multipla, Cesni e Leoni si preoccuparono di portare l’auto in una carrozzeria specializzata negli al-lestimenti per i veicoli commerciali dove venne appositamente modificata all’uso. Dotata di altoparlanti esterni posizionati sul tetto, dava la possibilità di richiamare l’attenzione dei passanti, degli avventori del mercato, o più semplicemente di chi, durante il transito del singolare veicolo nelle vie cittadine, usciva rapidamente di casa per usufruirne del servizio.

La piccola ma capiente Fiat Multipla custodiva nel retro tutto il necessario per poter effettuare dei veri e propri servi-zi fotografici all’esterno dello studio. Tra le attrezzature c’era anche un particolare cavalletto, facilmente trasportabile anche perché diverso, più piccolo di quelli fissi e presenti nella maggior parte dei negozi di settore di quegli anni.

L’allestimento, inoltre, prevedeva delle vetrinette nella parte posteriore del veicolo dove venivano alloggiate macchine foto-grafiche ed accessori destinati alla vendita.

La colorazione scelta da Leoni e Cesni per l’innovativo studio fotografico mobi-le fu il bicolore blu e rosso: sulle fiancate spiccavano le scritte in bianco e il numero di telefono dello studio, un oggi improba-bile ‘2740’.

A questa Fiat 600 Multipla ne seguì, al-cuni anni dopo, una seconda di colore az-zurra ma della quale, paradossalmente non è stata tramandata alcuna testimonianza fotografica.

(* ) Autore con Fabio Conti del libro “Uomini & Motori” da cui si è tratto spunto per questo articolo

L’idea di Cesni invertiva ciò che fino a quel momento era stata una consuetudine: raggiungere la clientela al proprio domici-lio. Questo divenne possibile acquistando un veicolo capace di portare il fotografo nelle piazze, per le strade della bassa ber-gamasca e ai mercati, rendendo il servi-zio più efficace e vicino alla cittadinanza.

ce, subisce la modifica atta ad accogliere l’attrezzatura dello studio fotografico mobile, anch’esso in bella mostra grazie a specifici oblò creati lungo la fiancata.

Le modifiche inerenti l’impianto di altoparlanti per la filodiffusione pubbli-citaria sono rese più armoniose grazie

all’adozione di un allestimento esterno di carrozzeria che rialzava la forma del tetto rendendolo più aerodinamico ed armonioso.

(i. s.)

libri/da “uomini & motori”

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a volTe sbocciano d’autunno, così L’icata cura di Tienno Pini

Una storia gloriosa che parte in punta di piedi nel 1976 da un gruppo di amici che amano le canzoni alpine. Inizia così la storia della corale che nel 2017 festeggerà i suoi 50 anni

una storia trEvigliEsE/la CoralE iCat

Nel novembre del 1967 viene co-stituito l’ICAT: in punta di piedi nasce un coro di sole voci ma-schili che avrebbe attraversato,

ad oggi, poco meno di mezzo secolo di storia trevigliese, divenendo realtà attiva e peculiare della nostra città, portavoce ap-prezzato in giro per l’Italia e l’Europa.

Nato come corale alpina, l’ICAT di-schiude ben presto il proprio repertorio a pagine di origine diverse, rendendosi rico-noscibile per timbrica e repertorio.

Paolo Bittante è il primo vero direttore e con lui ha luogo il battesimo ufficiale il 17 aprile 1969 e subito si concretizzano i pri-mi segni di gradimento di critica e di pub-blico. Il Coro attinge non solo alla cultura popolare ma anche alla polifonia classica, mentre si susseguono importanti afferma-zioni a concorsi nazionali (Roma, Cesano Maderno, Tradate, Brunate, Toano, Ra-venna) e ad importanti rassegne.

Nel 1976 Paolo lascia Treviglio per lavo-ro e dopo un anno di Direzione “pendola-re” è costretto a dire basta.

L’ICAT apre quindi le braccia a Toni Ga-luppo che, in compagnia dell’amata Lilla (splendida voce) e di tre instancabili cori-sti, per due /tre volte a settimana “scende”

a Treviglio dalla sua residenza nel varesot-to. Inizia un periodo di studio severissimo “in cantina” (la sede), in cui il Coro viene riplasmato, per poi tornare nuovamente nel “giro” che conta con lusinghiere esibizioni a Volterra, Gavardo, Cremona, Seregno.

Ma le decine di migliaia di chilometri percorse e la stanchezza logorano il rap-porto corale, non quello di amicizia, e nel 1981 il Coro è nuovamente senza Direttore.

Tocca quindi ad un ventitreenne enfant prodige trevigliese, Franco Forloni far-si carico delle sorti icatine dal settembre 1981. Si definisce “coordinatore musicale”, prende in mano le sorti del Coro, dando una sua impronta: ecco quindi la vittoria nel primo Trofeo Valle d’Aosta, i successi agli XI Rencontres International de Chant Choral di Tours ed a varie rassegne, cui seguono le affermazioni a Varna, sul Mar Nero, unico coro invitato del mondo occi-dentale ed altre ancora.

Sotto la spinta del Direttore inoltre il Coro intraprende un nuovo e decisivo pas-so, trasformandosi a voci miste, scelta quanto mai importante e definitiva.

Franco porta quindi al debutto la nuo-va formazione a Lugano nell’aprile 1985 e, laureatosi in medicina e pressato dalla

nuova vita lavorativa, è costretto a lasciare il Gruppo.

Ormai l’ICAT è aduso ai cambi di dire-zione: il Gruppo opta per un giovanissimo pupillo della “bassa” di Mino Bordignon: Marco Ghilardi. Con Ghilardi il Coro è protagonista di una nuova rifondazione musicale, in cui tutti si sentono interpreti di un’avventura irripetibile e unica.

Il Coro intraprende un discorso d’avan-guardia in ambito corale italiano e nel contempo, con una preparazione serrata e puntigliosa, raggiunge importantissimi successi a Vittorio Veneto, Montreux, Bra-tislava, Praga. Nel 1992, causa anche mo-tivi di salute, e quasi a compimento di una parabola impensabile, Marco lascia.

Gli subentra Giuseppe Costi, cremasco, che, anche in funzione della sua specifi-ca formazione professionale, sviluppa un nuovo progetto volto ad un preciso percor-so di apprendimento vocale e, nel contem-po, appronta un repertorio completamente nuovo.

Così riprendono le esibizioni e viene data continuità alla rassegna trevigliese.

Anche lui però, dopo circa un quinquen-nio, cade vittima di quella continua e sem-piterna volontà, di discutere tutto e tutti, che sempre ha contraddistinto il Coro in ogni sua epoca.

Nel 1997 si svolge l’ultimo cambio di di-rezione con la “promozione” di Gian Luca Sanna. Chi avrebbe mai pensato che il piccolo Gian Luca, presentatosi ragazzino con i pantaloni corti nei primi anni ottanta, sarebbe poi tornato in qualità di Direttore!

Il cambiamento porta con sé un’evolu-zione del repertorio, l’inserimento di stru-menti musicali e l’esecuzione di opere di assoluto prestigio.

I coristi “vecchi” e “nuovi” affrontano quindi con entusiasmo ed impegno i Gran-di Autori: da Vivaldi a Bach, da Händel a Mozart, da Beethoven a Rossini, da Schu-bert a Gounod,da Fauré a Puccini, da Orff a Britten. Dall’arrivo di Sanna, inoltre, il Coro collabora con l’Orchestra della Ge-

radadda “Harmonia Mundi”ed il Corpo Musicale Città di Treviglio.

La crescita musicale del gruppo è te-stimoniata anche da importanti concerti eseguiti in molte località, tra cui Milano, Bergamo, Brescia, Castelnuovo di Gar-fagnana e, ultimo in ordine di tempo, la partecipazione al programma europeo Sol Gruntvig Project.

Complessivamente circa duecento cori-sti si sono avvicendati nel corso degli anni, sei i Presidenti, come i Direttori, numerosi i diversi collaboratori a vario titolo, tutti accomunati dalla passione per il canto e da una amicizia sincera quanto sempre desi-derosa di confrontarsi, di discutere tutto e tutti, che sempre ha contraddistinto il Coro in ogni sua epoca e che (forse) ha costituito

uno dei motivi salienti della sua evoluzione continua e del suo naturale incedere negli anni.

Numerosi infine i personaggi di spicco anche internazionale che hanno gratificato il Coro della loro amicizia e della loro pre-senza a Treviglio: da Goffredo Petrassi a Gianandrea Gavazzeni, da Mino Bordi-gnon a Roberto Goitre, tanto per citarne alcuni.

Voci e ricordi: 45 anni dell’Icat a bocca aperta

E’ così che grazie a un gruppo di amici, in passato appartenenti al Coro, alla con-divisione del Coro e all’appoggio incondi-zionato e decisivo dell’attuale Presidente (produttore dell’opera), è stata editata (per i soli coristi ed i loro famigliari, in serie centesimata) una raccolta di materiale so-noro, fotografico e documentaristico , in un cofanetto.

La raccolta ripropone personaggi, docu-menti e testimonianze volte a fare memo-

ria di quarantacinque anni di vita corale, dello spirito del Coro e di cosa e quanto significhi e comporti la vita corale: una pa-gina significativa di una importante realtà socio/culturale trevigliese.

Complessivamente l’opera racchiude, per un periodo che va dalla fondazione al 2012: qualche centinaio di fotogra-fie, diverse ore di registrazioni vocali (la maggior parte dal vivo) ed alcune ore di filmati. Tutto ciò oltre agli imprescindibili cenni storici ed alla presentazione dei sei Direttori sinora succedutisi e dei relativi periodi storici.

Domenica 19 ottobre 2014Per la prima volta nella storia del Coro,

dopo quasi quarantasette anni di vita co-rale, vecchi e nuovi coristi, accompagnati anche dai rispettivi famigliari, si sono in-contrati, alcuni dopo essersi persi di vista da decine d’anni. Gioia, ricordi, emozioni, commozione, canto ...tutto questo è stato racchiuso in abbracci, baci , calorose stret-te di mano, sorrisi, persino qualche lacri-ma e quant’altro possibile in un magnifico caleidoscopico equilibrio. Tutto ciò sin dai primi momenti di una giornata intensa quanto eccezionale.

Alle ore 9.15 S. Messa a ricordo dei Co-risti e degli Amici scomparsi, resa ancora più solenne dai brani sacri interpretati dal Gruppo Corale ICAT – Città di Treviglio (questa l’odierna corretta dicitura del Coro) diretto da Gianluca Sanna. Succes-sivamente, sempre presso il Centro Sale-siano, primo incontro ufficiale con tutti coristi, ex coristi, amici e famigliari (per un totale di oltre 150 persone), saluti e benvenuti vari, tra cui anche quello molto gradito del Sindaco, presentazione e di-stribuzione del cofanetto commemorativo

Sopra e a sinistra, scatti del coro Icat fine anni ‘70, sotto la corale a Milano prima dell’esecuzione di Carmine Burana, riconoscibile dalla barba l’attuale direttore artistico Gian Luca Sanna

Sopra a foto di gruppo a termine de pranzo sociale svoltosi al Ristorante “la terrazza” di Vaprio d’Adda. Prima e storica rimpatriata della corale. Seduto al centro Roberto Fabbrucci, presidente Icat dall’autunno del 2013

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dei primi 45 anni di vita del Coro ed una grande sorpresa: uno dei sei ex Direttori, Franco Forloni, senza alcun preavviso ha radunato tutti i coristi presenti per l’ese-cuzione di “Signore delle cime”, canto co-rale per antonomasia, strappando applausi scroscianti a tutti e più di una lacrima.

La giornata si è quindi conclusa in gloria presso il rinomato Ristorante Belvedere di Vaprio d’Adda dove ben cento tra coristi e famigliari hanno continuato a ricordare le tante avventure trascorse, tra buoni piat-ti intervallati dall’esecuzione di più di un canto, fino al tardo pomeriggio, al momen-to del commiato e di un imprescindibile arrivederci.

Da notare che tra i presenti vi erano an-che i quattro figli del primo Direttore, Pa-olo Bittante scomparso ormai da diversi anni, provenienti da Belluno e la moglie del secondo Direttore, Toni Galuppo anch’egli mancato, proveniente da Varese.

l’iCat

c’Ero anch’io... diEtro LE QuintE di Luciano Pescali

Carletto Pescali, attore comico trevigliese, iniziò a sperimentare la sua verve comica all’Oratorio Sant’Agostino con don Ernesto Castiglioni, per finire ai Salesiani con la Compagnia Zanovello

Dire teatro a Treviglio per me vuol significa andare con la me-moria e rivivere stagioni ricche di successi e soddisfazioni, se

pur non le ho vissute da protagonista.Il teatro era (ed è ancora, seppure in

misura minore) amato dal grande pubbli-co trevigliese. Il teatro dialettale, e non solo, ha visto fiorire negli anni gruppi di appassionati che continuano a coltivare un genere recitativo molto amato. Come non ricordare la compagnia stabile di prosa “Città di Treviglio” del compianto Gino Gaigher, la dialettale Tommaso Grossi o il gruppo salesiano del maestro Zanovel-lo (lui in primis interprete). Poi la com-pagnia Carlo Bonfanti, tanto per citare le maggiori, le più conosciute che si sono succedute o che sono nate dal dopoguerra ad oggi? Compagnie che hanno calcato i palcoscenici non solo trevigliesi ma che hanno avuto risonanza e premi anche fuori dai confini della nostra provincia.

Recentemente ci ha lasciato Aldo Fan-zaga che con Ettorina Gorreri, Carlet-to Pescali, Carlo Bonfanti, ... Assanelli, Gianfranco Ferrari, ecc, ha per lungo tempo fatto parte della compagnia dialet-tale. Così non posso dimenticare fra gli al-tri, oltre a Gino Gaigher, Rodente, Stucchi Tino, Ennio Gioielli, Amanzio Possenti, quest’ultimo fondatore e organizzatore

della prima compagnia teatrale. Insomma un vero esercito di appassionati e volonte-rosi il cui elenco non mi è facile ripescare dalla memoria, ma che fecero cose egregie con pochi mezzi ma tanta, tanta passione.

C’ero anch’io nel teatro di quegli anni. Beninteso, non come attore ma come spet-tatore coinvolto emotivamente in quanto figlio di un poliedrico personaggio: Car-lo Giuseppe Pescali, conosciuto da tutti come Carletto. Papà sapeva spaziare da ruoli drammatici o seriosi a ruoli comi-

ci che erano indubbiamente il suo forte. Spesso gli veniva richiesto, tra un interval-lo e l’altro dello spettacolo, di intrattenere il pubblico con macchiette o barzellette e la sua vis comica coinvolgeva tutti. E pen-sare che a casa era una persona serissima, ma in mezzo alla gente si scatenava. Così quando la Rai a Treviglio trasmise una puntata di Campanile Sera, condotta in studio da Enzo Tortora e in due comuni d’Itala da Enza Sampò e Fabio Conti.

Qualche volta lo seguivo alle prove (per la verità era mia mamma che mi manda-va al seguito non per controllarlo ma per sperare che tornasse non troppo tardi....) Nottate ad aspettare e rimbrotti erano il pane quotidiano in casa mia...! Mi è però

rimasto di quei “dietro le quinte”, che non é la presunzione di voler recitare, ma di ri-uscire a cogliere al volo se un attore vive e si immedesima nel personaggio, oppure se recita e basta. Tra i tanti ricordi rivedo an-che la valigetta del trucco che usava papà, per se ma anche per gli altri attori. Una volta, ricordo era di sera, si presentò a casa talmente modificato nel viso con baffi, bar-ba finta e rughe, che io e mio fratello non lo riconoscemmo, ci spaventammo e co-minciammo a piangere. Mia madre, al pari nostro, pesando che alla porta ci fosse un barbone, non voleva aprire la porta e stava cacciandolo. Vista la mal parata papà disse qualcosa e si fece riconoscere.

La stagione d’oro, così almeno ricordo, fu quando papà recitava nella compagnia diretta da Gino Gaigher, esperienza che trasferì quando si unì alla compagnia dei Salesiani con il maestro Zanovello.

Quella del teatro e dell’umorismo, in-somma la passione di fare l’attore, Carlet-to se la coltivava dai tempi dell’oratorio Sant’Agostino, prima della guerra, quando l’assistente era Don Ernesto Castiglioni. Già allora si cimentava in gags e scenette comiche o per la festa di San Luigi. Ricor-di che riusciamo a vivere meglio grazie alle antiche foto che ora possiamo propor-re sulle pagine de “la nuova tribuna”.

Sotto siamo negli anni precedenti la guerra con don Ernesto Castiglioni e il Gruppo Universitario. Carlo Pescali è il terzo da destra. Riconoscibile il dott. Michele Motta, secondo da sinistra con il libricino tra le mani. Fito a destra: Pescali con un collega attore

Sopra la commedia “Non ti pago”: da sinistra Gino Gaigher, Rodente, Piantoni, Tollini, a capotavola Liliana Pagin. Gli altri da sinistra: Invernizzi, Vandai, Carletto Pescali e Mazza. A sinistra “Campanile Sera” a Treviglio: a destra Pescali che applaude, a sinistra il presentatore Febo Conti e Nadia Marantonio

pErsonaggi

l’uomo di via sangalli

Sono 50 anni d’attività, ma non di sola pitturaBattista Mombrini, classe

1944, ha festeggiato il suo cinquantesimo anno di attività

di pittore. Il 1964, infatti, corrisponde all’anno di fondazione del “Circo-lo Artistico Trevigliese” ad opera del capo scout Damiano Bussini. Battista divenne subito il segretario e lo rimase per qualche anno. L’attività primaria riguardava l’esposizione del-le opere dei giovani soci, ma presto il circolo iniziò a organizzare visite a mostre fuori città o regione. Nacque il “Teatro Pullman”, ovvero l’orga-nizzazione della prenotazione e del trasporto presso i più importanti tea-tri di Milano per assistere a concerti, commedie, drammi.

In quell’ambito Battista Mombrini acquisì quegli elementi che poi, assie-me a mille altre attività associative, gli permisero di diventare un bravo organizzatore di eventi e promozioni. Via Sangalli é l’esempio più noto.

pErsonaggi

Sopra l’attuale direttore artistico Gian Luca Sanna, sotto Paolo Bittante, il maestro che unì ai canti alpini quelli popolari internazionali, da cui la fondazione dell’Icat

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Le due ruote, umili e silenziose, da quasi due secoli sono protagoniste e testimoni della storia stessa dell’uo-mo e accompagnano la vita di tutti, anche a Treviglio. Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo: la prima puntata è dedicata agli albori della bicicletta.

Per il viaggiatore e scrittore Alfre-do Oriani la bicicletta è ‘la prima grande misericordia della mecca-nica verso il genere umano’ (1897).

Per Roland Barthes, scrittore e saggista francese “la bicicletta mette le ali agli uo-mini e costituisce con il vapore e l’elettricità la triade gloriosa del XIX secolo”. E anco-ra, per Marc Augé, etnologo e antropologo francese “la bicicletta è mitica, epica e uto-pica”.

Il disegno leonardesco della biciclet-ta, ritrovato nel 1970 sul retro di una pagina del Codice Atlantico del 1493, è considerato dagli studiosi un falso, ma l’ipotesi è talmente suggestiva che è sposata da alcuni scrittori. Fu invece un certo Sivrac che, a Parigi nel 1791, unendo due ruote con una trave, creò il ‘celerifero’. Poi nel 1818 si aggiunse il manubrio, e si chiamò ‘draisina’; nel 1861 i pedali alla ruota anteriore, ed ecco la ‘michaudine’. L’immagine più ricorrente di quegli anni è quella del ‘biciclo’ con la grande ruota anteriore chiamato ‘Gran Bi’. Non era un mezzo sportivo, tanto meno di trasporto, rappresentava solo uno ‘status symbol’, un pretesto di esi-bizionismo per aristocratici e benestan-ti perlopiù nei parchi pubblici. Nella nostra città non pensiamo siano giunti bicicli, almeno sino al 1879 quando an-che in Italia incominciò la commercia-lizzazione del ‘bicicletto’ con la trasmis-sione a catena ed a Milano fu fondata la ‘Bianchi’ (1885). A Treviglio c’è però una bell’esemplare di modello ‘michau-dine’, databile intorno ai primi anni settanta dell’800, recentemente esposta alla Mostra “Imago Urbis” al Centro Civico, già appartenente ad una fami-glia trevigliese ed ora presso l’archivio storico della Cassa Rurale.

E’ la prima bicicletta apparsa a Trevi-glio? Può essere.

Alcuni storici fanno risalire il termi-ne ‘bicicletta’ (ricordiamo che in princi-pio fu ‘bicicletto’) al trevigliese Andrea Verga (1811/1895), Senatore del Regno ed insigne psichiatra, autore di un so-netto in dialetto milanese intitolato ‘Bicicletta’ pubblicato per la prima volta sulla ‘Cronaca trevigliese’ il 9 settebre 1893 e poi ripresa da molti giornali na-zionali.

L’autore non era per niente entusiasta della bicicletta e dei ciclisti, infatti…

“Che gust mo’ caven da la biciclettasti giovanotti per fa tant burdèll?Dal mezz in giò, col sgambettà pa-ren molèta in truscia,dal mezz in su paren gobitt dannaache tachen lit”

Il termine ‘molèta in truscia’ (arrotini impazziti) fu per molti anni erronea-mente attribuito a Giosuè Carducci. Il successo della bicicletta fu inarresta-bile, sinonimo di progresso, velocità, mobilità individuale, anche se derisa da una parte del mondo intellettua-le, osteggiata dalle autorità pubbliche (molte città ne vietarono la circolazione nei centri storici), tassata dallo Stato con ap-posita legge, (a Treviglio furono notificate e tassate 53 nel 1898, salite a 124 nel 1901), ignorata dalla Chiesa che ne sconsigliò l’uso ai sacerdoti e alle donne, sottova-lutata dalla stampa, se non quella esclu-sivamente sportiva.

Un ruolo importante nella promozio-ne popolare e culturale è senz’altro da attribuire al ‘Touring Club Ciclistico Italiano’, fondato nel 1894 (dopo sei anni il TCCI perse una ‘C’ diventando TCI). Le cronache del tempo riportano i nomi di tre trevigliesi, Alfredo Mo-retti, Ettore Redaelli, Ernesto Costa, tra i partecipanti alle gare inaugurali del Ciclodromo di Bergamo nel 1893 ed alle Gran Fondo nazionali, prove di re-sistenza ai limiti umani.

‘Il Campanile’ del 17.7.1897, n. 111 – ri-porta la notizia di ‘una corsa fra i dilettan-

ti ciclisti’ in programma il 18 luglio 1897 a Treviglio con partenza dal passaggio a livello di via Casirate, indi Lodi, Cre-ma, Mozzanica ed arrivo al cascinetto ‘Eden’ in via Caravaggio, per un totale di 66 km.

E’ databile primi anni novanta (sem-pre dell’800) la presenza nella nostra città di due apprezzati venditori di bi-ciclette: Guglielmo Ciocca e Carlo e Andrea Setti. Il Ciocca, con bottega in vicolo Municipio, fu premiato con me-daglia d’oro a Venezia in occasione di una esposizione. I Setti avevano un ne-

pEdalando nEl tEmpo

E iL “BicicLEtto” passò da trEviGLioa cura di Ezio Zanenga

Questa rubrica si ripromette, attraverso la presentazione di personaggi ed eventi, di raccontare la ‘storia’ della bicicletta e del ciclismo a Treviglio.

gozio a Chiari ed uno a Treviglio in via Torre 14 (oggi via Galliari). Questi ultimi oltre alle biciclette vendevano anche macchine da cucire.

Particolarmente attiva l’Unione Sportiva Trevigliese (riuniva diverse di-scipline sportive) che il 14 settembre 1902, sotto gli auspici del Touring Club Italia-no organizzò un Convegno Ciclistico Nazionale in occasione della Mostra Agricola e Industriale. Pur con il tempo inclemente vi parteciparono un centi-naio di ciclisti, furono coinvolte istitu-zioni, associazioni e vide la presenza

del Presidente Nazionale, fondatore, del Touring Club Federico Johnson, ospite al pranzo d’onore presso l’Albergo ‘Tre Re’. Per l’occasione fu fondata una se-zione trevigliese dell’Audax, una As-sociazione Europea dove la condizione necessaria per potervi appartenere era quella di percorrere 200 km in 12 ore e ci si poteva fregiare di ciclobrevetti sui 400 e 600 km. Un originale gagliardet-to d’epoca dell’Audax trevigliese era visibile sino agli anni settanta del no-vecento presso l’Albergo Belvedere (ora in una casa privata?). Dopo la sfilata dei

partecipanti, gran finale al Teatro Sociale per la serata di gala con la ‘Boheme’ di Giacomo Puccini.

L’intensa giornata vide anche la consegna di una medaglia d’oro al trevigliese Ernesto Costa, geniale inventore di modelli di bicicletta e ‘gran routier’ di fine ottocento. Ma questa sarà un’altra storia, tutta dedicata a lui, in una delle prossi-me puntate.

LE FOTOGRAFIE1) Bicicletta modello ‘Mi-chaudine’, 1870 circa, con-servata presso l’Archivio Storico Cassa Rurale; 2) Negozio Cicli Ciocca in vicolo Municipio, 1900; 3) Busto di Andrea Verga, se-natore e psichiatra, autore del sonetto ‘Bicicletta’ nel 1893; 4) Federico John-son, presidente T.C.I., a Treviglio nel 1902.

L’amico Ferrari, artista e galleristaCon il 2014 ci ha lasciato Mar-

cello Ferrari, non prima di aver regalato un acquarello da egli

stesso dipinto, all’edizione Natalizia de “il Popolo Cattolico”. Novantuno anni, fratello di Giordano e con questi cogna-to di Trento Longaretti, ebbe un ruolo significativo nella vita del pittore, ospite fisso nella sua galleria di via Matteotti, aperta nel lontano 1965.

Intellettuale eclettico, dalla personalità aperta, ha accolto gran parte dei migliori pittori bergamaschi, facendoli conoscere e apprezzare al pubblico della pianura berga-masca.

In gioventù fu appas-sionato scalatore e amico di Walter Bonatti. Tra gli intellettuali locali, fu grande amico dello scrittore, e critico cinematografico del Corriere dea Sera, Alberico Sala. Il vailatese che fondò il premio Vailate di letteratura.

Amico del direttore de “la tribu-na”, fu tra i consiglieri, collaboratori e sostenitori del mensile fin dall’inizio. Alla moglie Mariuccia e ai figli Mar-cella, Michele e Gerardo, le condo-glianze della redazione.

Sopra un recente ritratto di Marcello Ferrari, poi un suo acquarello donato a “la tribuna” nel Natale 1995”

lutti

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Il direttore mi chiede di tentare d’in-tervistare un personaggio eclettico, un artista che non ama esporsi, si tratta di Rino Cervi, un artigiano che l’ha

incuriosito da quando ha visto un calenda-rio di Casirate d’Adda costruito su ritratti di personaggi del paese. Un’ottima mano e una bella capacità espressiva, che però non sembra essere conosciuta oltre l’ambito del comune di nascita, Casirate d’Adda, o poco oltre.

Partiamo così per cercare un artista che disegna, suona, canta e scrive sonetti in dialetto, e capitiamo in un’azienda che ci incuriosisce e affascina, si tratta di una le-gatoria.

L’azienda si trova in via Nenni, nel cuore PIP uno di Treviglio, e si tratta della Lega-toria GR International, rilevata venticin-que anni fa da Rino Cervi, ora nelle mani del figlio Graziano. E’ una delle realtà avanzate nel settore dell’industria grafica.

Così il signor Cervi comincia a raccon-tare la sua vita, tra aneddoti e infinite espe-rienze lavorative. Originario di Casirate d’Adda e figlio di una famiglia di gelatai ( famosissimi all’epoca, Spanasa, che si-gnifica “smaliziato giocatore di morra”), grazie alla popolarità della bottega dei ge-nitori, ha la possibilità di entrare in contat-to con tutto il paese, così la sua passione

per il disegno trasforma quei visi in ritratti che più tardi arricchiranno i calendari di Casirate.

Siamo all’interno dell’azienda e pen-siamo che sia giusto partire proprio dal lavoro, domandando come venne coinvol-to nel mondo della stampa e dell’editoria giovanissimo, presso la Tipografia dei fra-

telli Mario e Giancarlo Signorelli, allora insediata tra via Matteotti e viale Filagno a Treviglio: “A quell’epoca mi considera-vo quasi un privilegiato. In quel settore lavorativo, specialmente per i giovani, la permanenza presso un’azienda era di un paio di anni al massimo, invece, restai da Signorelli per molto più tempo e fu per me una grande esperienza, molto utile. Avrei potuto continuare il mio lavoro da Signo-relli ancora per un po’ di tempo, ma alla fine decisi di prendere una strada diver-sa”.

E’ sul finire degli anni sessanta che Rino Cervi decide di lasciare il suo paese per la grande città, Milano, questo in compagnia di una ragazza che sarebbe diventata sua moglie, la madre di Graziano.

“Abitavo a Milano, ma lavoravo a Sesto San Giovanni in un’azienda specializzata nella produzione di carte da gioco. Oggi i trasporti sono più agevoli e rapidi, ma allora mi svegliavo molto presto al mat-tino per recarmi in azienda ed era certa-mente un bel sacrificio. Erano anche anni socialmente complicati, specialmente nel 1968, il clima di tensione si respirava an-che dove lavoravo, ma ho avuto comunque la fortuna di avere al mio fianco persone con le quali ho condiviso momenti di alle-gria, specie quando mi dilettavo in qual-che spettacolo molto simile al cabaret. Si faticava, ma non mi è mai mancata l’ami-cizia e l’affetto dei compagni di lavoro e degli amici”.

Finita l’esperienza a Milano, Cervi deci-de di fare le valigie e ritornare a casa, nella sua Casirate.

“Quando decisi di fare ritorno ero con-sapevole che sarebbe stato un rischio pro-fessionale e mi ero già scottato qualche anno prima a Milano, perciò ero preoccu-pato di non trovare un lavoro una volta rientrato. Invece, fortunatamente, le cose andarono tutte per il verso giusto e cul-minarono sul finire degli anni ‘80, quan-do rilevammo la legatoria che continuo a

portare avanti con passione collaborando con mio figlio Graziano, del quale sono molto orgoglioso”.Rino Cervi, in 25 anni di storia, se po-tesse tirare le somme, si potrebbe senti-re soddisfatto?

“Assolutamente sì. Ahimè, come tan-te altre imprese di tutti i settori, in que-sto periodo abbiamo risentito anche noi della crisi economica. Nonostante tutto, il nostro impegno e la nostra dedizione ci hanno permesso di affrontare i problemi con positività. In quasi trent’anni abbia-mo trovato accordi con clienti piuttosto importanti, e questo ci ha reso orgogliosi e fieri, in quanto è la ricompensa di tutti i sacrifici compiuti”.

Parliamo di Lei e della sua passione per il disegno. Quando si è reso conto di pos-sedere questa passione?

“E’ qualcosa d’innato, ho sempre avuto i ritratti, le vignette e il disegno in genera-le nel cuore. Di conseguenza, è una pas-sione che mi porto dietro sin da quando sono bambino e non mi sono mai stancato

di avere la matita sempre pronta in mano. La mia fortuna più grande, è che questo enorme interesse si è poi tramutato anche in una professione, la quale continua e si alimenta proprio in questi giorni, nei qua-li siamo impegnati con la realizzazione dei calendari”.Ecco appunto, il calendario. Si può defi-nire il suo “marchio di fabbrica”? Con questi si è anche riscoperto scrittore re-alizzando poemi, giusto?

“Ho sempre cercato di realizzare qual-cosa che andasse oltre alla banalità. Da una decina di anni a questa parte ormai creiamo una tipologia di calendari che potrebbero suscitare interesse in chi li vede. Ogni mese riporta un ritratto di una persona comune di Casirate, e accanto al disegno c’è una breve descrizione del per-sonaggio stesso, scritta sotto forma di po-ema e completamente in bergamasco. Va detto che la maggior parte delle persone presenti, sono quelle che suscitano in me ricordi o aneddoti che risalgono alla mia infanzia o all’adolescenza, in quanto in estate frequentavano spesso la gelateria dei miei genitori, ma allo stesso tempo si tratta di soggetti che all’epoca erano tutti conosciuti in una comunità ristretta come la nostra”.Disegno, poemi, e anche musica. Ci può spiegare il suo approccio con quest’ulti-ma?

“Con la musica ho un rapporto molto particolare. Per prima cosa, va detto che non ho mai seguito dei corsi e non ho fre-quentato conservatori, ma sono un auto-didatta. La mia passione principale, come ho già detto, è il disegno, ma la musica è sempre stata un altro grande passatem-po, che mi ha portato a realizzare anche qualche raccolta di brani folkloristici. Mi sono sempre divertito, e quando ho inciso i pezzi non l’ho fatto per sperare in qual-che successo o che qualcuno mi notasse, ma l’ho fatto per puro divertimento e pia-cere. Con la musica mi vengono sempre in mente luoghi, eventi e persone sempre

legate a Casirate, e alcuni delle mie can-zoni, come quella arrangiata sulle note di “O mia bela Madunina”, sono un tributo proprio a quei ricordi”.L’ultima domanda, forse quella più sco-moda: non ha mai avuto rimpianti?

“Non posso certo dire che la mia vita sia stata tutta in discesa, perché anch’io, come tutti, ho affrontato alcuni momenti di difficoltà, su tutti quello della scom-parsa tempo fa di mio fratello. Ma posso affermare con tutta la sincerità che non ho davvero rimpianti. Perché? Perché ho sempre avuto l’enorme fortuna di aver fat-to quello che amavo e ho avuto la famiglia che desideravo.

Mio figlio sta andando avanti nella giusta direzione, ha sposato una ragazza con la testa sulle spalle e mi hanno anche donato la gioia di diventare nonno di due splendide nipotine. Non posso davvero af-fermare in alcun modo di avere rimpianti e se potessi ritornare indietro nel tempo rifarei le stesse cose, sia nel lavoro che nella vita di tutti i giorni”.

Lü L’è ‘L sccèt dEL spanasa dE casiràta cura di Alessandro Prada

Rino Cervi, soddisfatto fondatore di una legatoria a Treviglio, ha per hobby la musica, la poesia, il teatro, ma soprattutto è un bravo disegnatore

A sinistra un giovane Rino Cervi attore dialettale

pErsonaggi/rino CErvi

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trEviglio graffiti/baskEt

mattioLi E L’arrivo del grande lienharddi Alessandro Prada

Il gigante americano d’origine tedesca era arrivato dal Bronx a Cantù, trovò lavoro, si sposò e divenne l’idolo del basket. Arrivò a Treviglio nel 1980, e fu amore a prima vista...

Uno dei momenti più eclatanti del basket trevigliese é coinciso con l’acquisto del cestista Bob Lien-hard. Statunitense, classe 1948,

nato nel Bronx, dopo il quadriennio all’u-niversità con i Giorgia Bulldogs, nell’esta-te del 1970 viene ingaggiato dalla Pallaca-nestro Cantù, lì vi resterà per otto stagioni prima di passare al Treviglio Basket nella stagionbe 1980-1981.

Con Alberto Mattioli, storico fondatore della Treviglio Basket nel 1971, di cui fu presidente, abbiamo parlato del cestista di New York che suscitò grande entusiasmo tra i tifosi trevigliesi. Un acquisto inaspet-tato di un campione che era arrivato in cit-tà dopo aver vinto uno scudetto, tre coppe Korac, una Coppa Intercontinentale e due «Coppe delle Coppe» negli otto anni vis-suti a Cantù.

La storia d’amore tra il gigante Bob Lienhard e la città durò tre stagioni, dal 1980 al 1983, abbastanza perché il nome del gigante americano (2,07 metri) restas-se nel cuore di coloro che vissero quella stagione.Iniziamo la chiacchierata con Alber-to Mattioli chiedendo da dove venne la spinta che indirizzò l’attenzione del ba-sket trevigliese sull’americano.

«Il Consiglio Federale aveva concesso ad alcuni giocatori di nazionalità ame-ricana, naturalizzati in Italia (Bob si era appena sposato con una ragazza di Can-tù, Angela Fossati) , di poter giocare in serie C. Bob Lienhard rientrava in questo caso, in quanto aveva sposato un’italiana e si era stabilito a Cantù. A quel punto, con questa grande chance e con i buoni rapporti che avevamo con la società del Cantù, decidiamo di contattarla imme-diatamente per portare da noi Lienhard. L’affare su abbastanza facile e soprattutto molto rapido, perchè in appena un giorno diventò un nostro tesserato».

Quando si rese conto che il trasferi-mento fu completato, avvertì subito che la piazza cominciava a sognare in gran-de?

«Certamente questo clima c’era, ma va

anche detto che prima del suo arrivo la squadra era già molto forte di suo. Con l’ingresso di Lienhard diventammo anco-ra più forti, tanto che le sconfitte subite furono davvero poche. Così riuscimmo in tre anni a passare dalla serie C2 alla B, ottenendo grandissimi risultati».

Prima di entrare nel merito delle qua-lità sportive, come era l’uomo Lienhard?

«Prima di tutto bisogna ricordare che Bob era nato a New York, nel Bronx, in un quartiere non certo facile. La sua fami-glia era originaria della Germania, ed era una delle tante che era fuggita dal pro-prio paese a causa della Seconda Guerra Mondiale. Però, nonostante le difficoltà, i genitori lo avevano fatto studiare in una scuola cattolica locale, per poi iscriversi al College di Atlanta, dove aveva mosso i primi passi da giocatore nei Georgia

Bulldogs. Per dircela tutta, noi eravamo soliti soprannominarlo non tanto come un «pastore tedesco» ma piuttosto come un «San Bernardo». Era tanto grosso e alto, quanto il suo cuore era genuino. Non era solito vedere un giocatore americano integrarsi completamente, in un contesto come quello della Brianza degli anni ‘70. Va inoltre sottolineato che negli anni in cui ha giocato a Treviglio, andava e tor-nava in macchina da Cantù per allenarsi da noi. Ha sempre fatto grandi sacrifici, ma era davvero contento del clima che respirava a qui, e si vedeva sempre il suo entusiasmo».

In campo come se lo ricorda? Cosa la

impressionava di più di lui?«Come ho già detto in precedenza, lui

arrivò in un periodo dove noi eravamo già forti. Con il suo contributo e con tutta l’e-sperienza derivante dal campionato di se-rie A, diventammo ulteriormente temibili per gli avversari. Quando entrò in squa-dra, sportivamente parlando, non era più giovanissimo e, proprio per via della sua altezza, non era nemmeno un giocatore scattante e veloce. Ma posso dire che que-sti erano gli unici suoi difetti, perchè per il resto aveva delle qualità davvero eccezio-nali che sovrastavano i suoi punti dolenti. Quando aveva la palla tra le mani, di fatto diventava un playmaker aggiunto, si face-

Abbiamo chiesto ad Alberto Baldini, direttore sportivo de “la tribuna” in quegli anni,

cosa aveva chiesto di esprimere a Carmelo Silva in quei disegni. “La prima vignetta con il campanile si riferisce all’arrivo a Treviglio di Bob Lienhard, era l’americano del Cantù. Diventato libero, infatti, a causa dell’età era stato sostituito nella squa-dra da un pivot più giovane, la fede-razione gli consentì di giocare come ‘italiano’ nel campionato di serie B. Questo insieme a Mark Campanaro e Phil Melillo. La notizia apparve sulla Gazzetta la Domenica mattina, il pomeriggio Bob aveva già firmato per Treviglio. Alberto Mattioli e Santo Carrara volarono a Cantù e portaro-no a casa il cartellino. Da quel giorno Santo Carrara venne chiamato Santo subito”.

“La vignetta con il campanile simboleggia anche l’importanza della presenza di Giuseppe Rivoltella nel gruppo dei dirigenti. Lui affiancava Alberto Mattioli e Emy Pozzi. Giusep-pe Rivoltella era stato inviato dalla Banca Popolare di Milano negli USA con l’incarico di aprire la Filiale di New York. Frequentò il Madison Square Garden e si appassionò ai Knickebokers e soprattutto al basket. Tornato dalla missione accettò l’inca-rico di Presidente”.

Baldini ci spiega poi la seconda vignetta, di qualche anno successivo.

apparsE su la tribuna nEgli anni ‘80

Baldini spiega le belle vignette di Carmelo

che riguarda un periodo di crisi della squadra, quando ebbero la necessità di rimetterla sui banchi di scuola. Sulla cattedra con la bandana Alberto Mattioli, col bastone invece l’allenatore bresciano Mario Pedrazzini.

Alla lavagna lo sponsor Alberto Cremascoli. Si intravedono poi a sinistra Paolo Furia, allora consulente dell’Uteco, sponsor della squadra, e Alberto Baldini con la macchina da scrivere. Nel quadro il citato Giuseppe Rivoltella.

(r. f.)

Alberto Baldini (Baldo), direttore sportivo de “la tribuna” negli anni ‘80

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va sempre trovare pronto. Era formidabi-le a ricevere palla dai compagni, perchè si faceva vedere ovunque, specialmente quando militavamo ancora in serie C, in un campionato dove lui svettava su tutti gli altri. Quando anche grazie al suo con-tributo riuscimmo a tagliare il traguardo storico e precedentemente impensabile della serie B, le sue qualità si fecero nota-re di meno, anche perchè cominciava a sa-lire con l’età, ma rimaneva comunque un giocatore grandioso. Era incredibilmente bravo tecnicamente, giocava molto bene senza possesso palla e non perdeva mai la posizione giusta in campo. Queste erano alcune delle qualità che mi impressiona-vano maggiormente».

Ci può raccontare un aneddoto che ri-corda con piacere?

«Ricordo sempre con un sorriso quan-do, sul finire della stagione di C2, dove-vamo giocare una partita in casa, e in quell’occasione dimenticò clamorosa-mente le scarpe. In quella circostanza era impossibile recuperarle in zona, un po’ perchè i negozi erano chiusi in quanto il match era in programma di domenica, ma soprattutto calzava le scarpe della misura 54, ed erano irreperibili. Allora la moglie si offrì gentilmente di ritornare a Cantù per poi consegnarle ad un nostro dirigen-te all’altezza di Monza. Fu a disposizione della squadra solo a partire dal secondo tempo, ma non gli infliggemmo multe né lo rimproverammo, anzi la presi anche sul ridere. Va anche detto che in quella parti-ta andammo molto bene anche con la sua assenza, tanto che quando scese in campo eravamo già largamente in vantaggio».

Ci sono stati dei momenti negativi con lei o con la società?«Assolutamente no. Lui era davvero una

a trEviGLio mi sono senTiTo comE a casadi Michele Gazzetti

Riportiamo l’intervista a Bob Lienard di Michele Guzzetti per il Corriere della Sera, ringraziando per la disponibilità. Bob, causa indisposizione, non abbiamo potuto contattarlo

Si ricorda il giorno in cui le proposero di andare a Treviglio?

«Non potrei mai dimenticarmelo, mi venne comunicato appena uscito

dall’ospedale, avevo subito un piccolo ma fastidioso intervento e non ero di ottimo umore. Sfruttando la mia laurea in Econo-mia, stavo lavorando nello studio da com-mercialista di Francesco Corrado. I dirigenti dell’Or.Sa. si misero in contatto con lui, che mi disse: «devi andare a Treviglio a giocare” e non ci pensai due volte».Come è stato l’adattamento a una real-tà societaria molto più piccola rispetto a Cantù?

«Ho trovato un ambiente molto acco-gliente, mi sono sentito subito uno di loro.

Pur essendo il giocatore più importante, non ho mai chiesto niente alla società che non avessero anche i miei compagni. Ho iniziato a fare il pendolare in macchina, 3 ore al giorno avanti e indietro: alle 17 fini-vo di lavorare a Cantù e correvo a Treviglio per l’allenamento che iniziava alle 19. Alle 22,30 ero di nuovo a casa per cenare con mia moglie». Ai tempi del liceo lei giocò anche contro Kareem Abdul-Jabbar. La C2 non le sta-va stretta?

«Kareem era un mostro, quando te lo trovavi davanti te la facevi sotto. Io gioca-vo a pallacanestro e basta: vai in campo e cerchi di dare il tuo meglio, non importa se stai giocando in Nba o in C2. Gli alle-namenti a Treviglio erano meno stressan-ti, ma il divertimento era lo stesso. Lotta-vamo e ci sacrificavamo l’uno per l’altro».«Le piace la Legadue Silver con gli stra-nieri?

«Non molto. Io ero venuto in Italia per insegnare agli altri quello che avevo impa-rato in America. Ora questi ragazzi vengo-no qui solo perché alle squadre interessa vincere le partite e questo non aiuta gli ita-liani. Il basket è cambiato, è diventato una cosa fisica: non ci sono più schemi perché l’Europa ha voluto copiare gli Stati Uniti. Eravamo giocatori allegri, ora si gioca sol-tanto per i soldi».Come si può agevolare l’inserimento di uno straniero?

«Io sono passato da New York a Cantù, due mondi completamente differenti. Mi sono separato da mia moglie e sono arri-vato in Italia solo con il mio cane. A Can-tù non c’erano supermercati, la gente non parlava inglese, ma mi ha conquistato la bontà degli italiani. Il dirigente deve essere almeno inizialmente un secondo papà, deve essere bravo a far innamorare il giocato-re di qualcosa, deve fargli scoprire i posti giusti. Lo straniero ha bisogno di sentirsi tranquillo, si deve sentire autorizzato a dire “ho bisogno di parlare, ho un problema”». Cosa consiglierebbe al nuovo americano di Treviglio?

«Per avere successo devi fare il leader nascosto, il faro che illumina gli altri. Non devi pretendere niente, ma anzi, devi dare più degli altri in allenamento, senza pen-sare solo a te stesso. Devi sempre pensare a migliorarti. Chi fa sempre le stesse cose tutti gli anni è un giocatore fallito».

gran brava persona e un professionista serio. Non ha mai fatto mancare niente ai suoi compagni, e con la società non è mai stato sgarbato, tantomeno con me. Se potesse chiedere la stessa cosa ai compa-gni o ai dirigenti di allora, sono sicuro che risponderebbero nel medesimo modo, per-chè è sempre stato corretto con chiunque. A Treviglio si trovava bene e non si è mai lamentato, non mi ha mai deluso neanche una volta».Quindi con Lei ha anche legato un rap-porto di amicizia oltre a quello stretta-mente lavorativo e vi sentite ancora?

«Certo, Bob a Cantù possedeva un orto

trEviglio graffiti/baskEt

e provava molto piacere a parlarne con me, figlio di contadini, che ho sempre sa-puto cosa significa lavorare la terra. Tra l’altro sono una persona che ama parlare spesso in dialetto, e lui, pur essendo uno straniero, a volte tentava di parlare con me anche in dialetto brianzolo. Comun-que abbiamo sempre avuto parecchie cose in comune, era davvero in gamba, anche istruito, laureato in Scienze Economiche, e di lui nessuno ha mai potuto dire altro che bene, compreso il suo datore di lavo-ro, Franco Corrado.

Qualche volta ho il piacere di fare qual-che chiacchierata con lui, infatti i contatti sono rimasti attivi nonostante il passare degli anni».L’ultima domanda: dall’alto della sua esperienza, ritiene Bob Lienhart il mi-glior giocatore della storia del basket a Treviglio?

«Non me la sento di definirlo come il miglior giocatore di sempre, piuttosto come uno dei piu forti, perchè nella no-stra storia abbiamo avuto tanti giocatori molto importanti e determinanti. La cosa certa è che nel periodo in cui lui giocò, era senz’altro il miglior in assoluto.

Nel 2006, in occasione del 35° anniver-sario della squadra al PalaFacchetti, ci fu una standing ovation al suo ingresso in campo, a dimostrazione che ancora oggi è ricordato con tanto affetto dai tifosi, che non hanno mai dimenticato le sue perfor-mance e la sua personalità da leader. Un vero e proprio «gigante buono».

Sopra la vignetta di Carmelo Silva apparsa su “la tribuna” per celebrare l’arrivo di Bob Lienhard. Sotto un ritratto eseguito dallo stesso Silva a Bob, a sinistra mentre si allena al Palazzetto dei Salesiani

CEntEnario bpl trEviGLIO

Quattro defibrillatori agli oratoriIl direttore Gianpietro Gritti chiude le celebrazioni consegnando quattro dei 100 strumenti regalati al Coni

Con la consegna di quattro de-fibrillatori da parte del diret-tore della filiale di Treviglio

Gianpietro Gritti, avvenuta a fine anno, si sono chiuse le celebrazioni per il centenario della presenza della Banca Popolare di Bergamo a Trevi-glio. Quelli consegnati ai trevigliesi sono quattro dei cento defibrillatori donati al Coni dalla Fondazione BPL.

La dotazione garantirà una coper-tura sul territorio bergamasco, cer-tamente propedeutica alla diffusione e all’ampliamento della cultura della sicurezza e della prevenzione negli ambiti sportivi.

Al riguardo, forte è stato l’impegno della Fondazione Banca Popolare di Bergamo anche nei riguardi dell’a-spetto formativo dei futuri utilizzatori dei defibrillatori, infatti, in collabo-razione con la Federazione Medico Sportiva Italiana, verrà garantita ai dirigenti, ai tecnici, ai volontari delle Associazioni Sportive, la possibilità di partecipare ad un corso di prepa-razione della durata di 12 ore, per permettere di utilizzare rapidamente, correttamente ed efficacemente, le apparecchiature mediche.

sport/ primo soCCorso

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tranquillo. Così Pertini, dopo le fatiche po-litiche e come tutti gli anni, aveva deciso di tornare a Selva di Val Gardena. Quel giorno però si era spostato di qualche chilometro ed era a Fiè, sotto il massiccio dello Sciliar, un comune altoatesino di 3.500 abitanti ad una trentina di chilometri dal Centro Operativo dei Carabinieri dove il presidente risiedeva.

Franca Pigola, la mamma di Alessan-dra, spingeva la carrozzina sulla quale stava seduta Maria Grazia di appe-na un anno. Probabilmente la signora

Un incontro casuale, uno scatto e un ricordo che rimane per sem-pre. Scopro così questa foto sullo specchio, alle spalle del bancone

del Caffè Milano che Alessandra (la pri-ma delle figlie dei titolari del Caffè Milano, Daniele Manzotti), si è trovata in compa-gnia del presidente Sandro Pertini il giorno dell’onomastico di entrambi, il 26 Agosto del 1982. Da un anno si era insediato il primo Presidente del Consiglio non democristiano della storia, Giovanni Spadolini e tutto era

sandro pErtini La prEsE suLLE Ginocchiadi Giorgio Vailati

Passeggiare in montagna nell’Agosto del 1982 e incontrare il Presidente proprio il giorno in cui entrambi festeggiavano l’onomastico. Dopo tanti anni, di quel ricordo di bimba che é rimasto ad Alessandra?

Franca, con quella voce decisa, aveva chiamato la figlia: “Alessandraaa, và mia de luntà!”. Un richiamo abbastanza forte, nel silenzio della valle, da attrar-re l’attenzione di un anziano signore. Così passando accanto all’albergo, un distinto nonno con la pipa in mano, se-duto sotto degli abeti in compagnia di un gruppo di uomini più giovani, alzò la mano e chiamò a sé la piccola: “Ehi Alessandra, vieni qui, su vieni da me...!” e se la prese in braccio.

Alessandra, che oggi è una donna, racconta con emozione quell’incontro e lo fa sgranando gli occhi, teneramen-te, come un cerbiatto. “Mi ha preso sulle ginocchia, prima abbracciandomi, poi ac-carezzandomi il viso. Era tenerissimo, un uomo che se pur trasmetteva un grande carisma e senso di autorevalezza, lo sentivi come un nonno dolce. Mi parlava, faceva delle domande e ogni tanto interloquiva con mia madre che era accanto a me”.

La signora Franca ricorda benissimo quell’incontro: “Non mi ero accorta che fosse Pertini, almeno non subito. Passava-mo e quel vecchietto chiamò Alessandra, così lei si avvicinò e la prese sulle ginocchia. Vedevo che questo signore era attorniato da persone più giovani che avevano un’aria anch’essi autorevole, infatti dopo avermi squadrata da capo a piedi mi dissero di av-vicinarmi. Solo a quel punto mi resi conto che ero in compagnia del Presidente della Repubblica Sandro Pertini”.

Così, tra una coccola e l’altra, alla bimba chiese informazioni alla signora Franca, che facesse, di dove fosse: “Sono di Treviglio, abbiamo un bar nella piazza principale e mio marito fa il pasticcere”.

Franca e Alessandra se ne stettero così un po’ a fare compagnia al vecchio Sandro, non ricordano quanto, forse una mezzoretta, poi se ne andarono verso casa mentre il presidente saluta-va con la mano: “Ciao, ciao Alessandra...”.

Alessandra Manzotti accanto al Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Sopra Alessandra oggi.

rimEmbranzE/il giorno di sant alEssandro

“Nel libro di Roberto Fabbrucci -rac-colta appassionata e commossa di do-cumentazioni inedite- vibra il desiderio di rimuovere ciò che osta alla definitiva pacificazione, ma soprattutto é un’analisi corretta, plurale e nutrita di ‘pietas’ per ridare dignità e valore a storie di scelte difficili o sbagliate, talvolta di disperate situazioni”.“Grazie alla misura documentale di Fab-brucci, vincitori e vinti ritrovano il loro posto, assegnato dalla storia e dai fatti, non dalle interpretazioni settarie, senza nulla togliere ai valori che hanno alimen-tato il nascere della Repubblica di oggi”.

Amanzio Possenti

Una ricostruzione fedele della guerra civile a Treviglio

nelle edicole e librerie di Treviglio

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