LA NUOV MONTAGNA - costacurletti.it · La montagna che si popola d’estate e che nell’inverno...

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Periodico a cura del circolo ANSPI Santa Giustina di Costa - Curletti Apriamo questo numero con una riflessione di Massimo Angelini, saggista ligure, perché vorremmo far crescere la consapevolezza sui problemi e le prospettive di questi luoghi. Si tratta di un pezzo scritto nel 2005 che ha il pregio riassu- mere in poche parole il nocciolo di molte questioni. Ci piacerebbe poi che il ragiona- mento proseguisse ampliato e approfondito da nuovi contributi, anche critici, che chi vuole potrà inviarci. LA NOSTALGIA NON SERVE A scolta: un paese vive se c’è chi ci vive. La montagna che si popola d’estate e che nell’inverno diventa ospizio è un luogo triste. I paesi che sopravvivono per il ripo- so e il divertimento dei cittadini o come nicchia delle loro nostalgie sono luoghi tristi. Se non c’è chi ci vive e ci produce, va bene che si spengano: lo ha deciso chi se n’è andato e chi ne amministra l’ago- nia, ma lo decide anche chi si rifu- gia nei ricordi e tra i ricordi smar- risce il proprio tempo. Perché la nostalgia è un’infezione dell’anima, una malattia sottile che colpisce chi è stanco o ha paura. La voglia del passato è voglia di nulla. Poi, a pensarci bene, il pas- sato non esiste: esiste solo il ri- cordo che ne abbiamo costruito, trasfigurato e reso più gentile dalla distanza. […] Vorrei incoraggiarti a non rimpian- gere il passato, a pensare a oggi: perché tutto è presente, insieme e in questo momento, ed è presente chi è vissuto prima di noi. E chi è vissuto prima di noi non si trova nei cimiteri, quello che vi si trova sono solo poveri resti, poco più di nulla. Guardati intorno: nella filigrana dei monti, ovunque puoi vedere anco- ra boschi e fasce terrazzate e prati; se dai uno sguardo distratto for- se non te ne accorgi, ma con un poco di attenzione li leggi dapper- tutto, intrecciati nel tempo come fili di un tessuto dal lavoro di questa comunità. Guardali questi monti. I boschi, le fasce terrazzate e i prati che ne disegnano la forma, come gli edifici, non esistono in natura: sono costruzioni, sono manufatti. Sono fatica, conoscenze, rabbia e vita di chi è vissuto prima di noi e in quei manufatti continua a vivere, come vive nei nostri visi e nei nostri comportamenti. Il viso dei morti è nel nostro viso, il loro carattere è nel nostro carattere, così il lavoro e il loro sapere sono nella forma della terra che ci hanno lasciato. Ci sono ancora e ci sono tutti, perché, in fondo, non si muore, ma ci si libera nel presente e si continua a vivere sotto forme diverse. […] Chi è vissuto prima di noi vive nei saperi tramandati e in tutto ciò che testimonia il tempo, vive nelle con- suetudini come nei riti, nelle case come nelle fasce che ha costruito, conservato e tramandato. E allora quando portiamo fiori sulle tombe e intanto lasciamo crollare case e terrazzamenti abbiamo uno strano modo di onorare i morti. E noi stessi. Scrivo questi pensieri per mettere in guardia te che leggi, e dirti che le memorie, i ricordi e i documenti sono vivi, davvero e nel profondo, e non parlano di ieri, ma di oggi. Sen- za questa cautela si rischia di dire banalità su come era bella o come era brutta la vita di una volta, sen- za capire che queste sono solo le nostre proiezioni. Si rischia di rim- piangere ciò che non c’è più – non è vero c’è tutto ma in forme diverse – e di lamentarsi che non c’è più niente da fare. Si rischia di giusti- ficare la rassegnazione. Oppure la pigrizia. Quando parliamo di que- sti paesi e di queste montagne la nostalgia non serve: lasciamola da parte e lasciamo da parte tutto ciò che ne è imbevuto. Nei racconti e storie del passato possiamo prova- re a riconoscere ciò che di questa montagna resta. Forse vorremmo che continuasse a vivere – a paro- le, tutti lo dicono – ma che si sta facendo perché sia così? […] Cosa ci vuole perché i paese viva- no? Serve che ci si viva. Che ci sia- no meno villeggianti e più abitanti; il lavoro a volte non è vicino, ma oggi è un prezzo così alto fare i pendola- ri, diciamo fino a un’ora, per anda- re al lavoro? Forse per mantenere in vita la propria terra, si può fare. Allora se nei paesi la gente ricomin- cerà a viverci, ci sarà più forza per chiedere che la strada d’inverno sia mantenuta pulita, e che dove ci sono bambini si riaprano le scuole, e avrà senso chiedere di restituire gli uffici postali e i servizi sanitari e le linee delle corriere, e forse ci potrà essere interesse ad aprire qualche bottega, oppure a non chiuderla. E bisogna che le botteghe nei pa- esi possano restare aperte senza essere schiacciate dal peso delle norme fiscali e da norme igieniche astratte. Poi servono persone che facciano gli amministratori pubbli- ci per servizio, solo per servizio, e che siano migliori di quelli che li votano e non peggiori, e che qui ci vivano. […] E serve che si rompa l’isolamento e che sia incoraggiata ogni occasione buona per fare co- munità, per stare e fare insieme: la festa – d’inverno prima che d’esta- te – le musiche, il ritrovo per gio- care e parlare e insieme vedere la televisione, i lavori condivisi, la ge- stione e la manutenzione collettiva degli spazi comuni, dell’acqua e delle strade. Poi serve che si torni a fare produrre la terra e il bosco, per MARZO 2018 LA NUOV MONTAGNA

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Periodico a cura del circolo ANSPI Santa Giustina di Costa - Curletti

Apriamo questo numero con una riflessione di Massimo Angelini, saggista ligure, perché vorremmo far crescere la consapevolezza sui problemi e le prospettive di questi luoghi. Si tratta di un pezzo scritto nel 2005 che ha il pregio riassu-mere in poche parole il nocciolo di molte questioni. Ci piacerebbe poi che il ragiona-mento proseguisse ampliato e approfondito da nuovi contributi, anche critici, che chi vuole potrà inviarci.

LA NOSTALGIA NON SERVE

Ascolta: un paese vive se c’è chi ci vive. La montagna che si

popola d’estate e che nell’inverno diventa ospizio è un luogo triste. I paesi che sopravvivono per il ripo-so e il divertimento dei cittadini o come nicchia delle loro nostalgie sono luoghi tristi. Se non c’è chi ci vive e ci produce, va bene che si spengano: lo ha deciso chi se n’è andato e chi ne amministra l’ago-nia, ma lo decide anche chi si rifu-gia nei ricordi e tra i ricordi smar-risce il proprio tempo. Perché la nostalgia è un’infezione dell’anima, una malattia sottile che colpisce chi è stanco o ha paura.

La voglia del passato è voglia di nulla. Poi, a pensarci bene, il pas-sato non esiste: esiste solo il ri-cordo che ne abbiamo costruito, trasfigurato e reso più gentile dalla distanza. […]Vorrei incoraggiarti a non rimpian-gere il passato, a pensare a oggi: perché tutto è presente, insieme e in questo momento, ed è presente chi è vissuto prima di noi. E chi è vissuto prima di noi non si trova nei cimiteri, quello che vi si trova sono solo poveri resti, poco più di nulla. Guardati intorno: nella filigrana dei monti, ovunque puoi vedere anco-

ra boschi e fasce terrazzate e prati; se dai uno sguardo distratto for-se non te ne accorgi, ma con un poco di attenzione li leggi dapper-tutto, intrecciati nel tempo come fili di un tessuto dal lavoro di questa comunità. Guardali questi monti. I boschi, le fasce terrazzate e i prati che ne disegnano la forma, come gli edifici, non esistono in natura: sono costruzioni, sono manufatti. Sono fatica, conoscenze, rabbia e vita di chi è vissuto prima di noi e in quei manufatti continua a vivere, come vive nei nostri visi e nei nostri comportamenti. Il viso dei morti è nel nostro viso, il loro carattere è nel nostro carattere, così il lavoro e il loro sapere sono nella forma della terra che ci hanno lasciato. Ci sono ancora e ci sono tutti, perché, in fondo, non si muore, ma ci si libera nel presente e si continua a vivere sotto forme diverse. […] Chi è vissuto prima di noi vive nei saperi tramandati e in tutto ciò che testimonia il tempo, vive nelle con-suetudini come nei riti, nelle case come nelle fasce che ha costruito, conservato e tramandato. E allora quando portiamo fiori sulle tombe e intanto lasciamo crollare case e terrazzamenti abbiamo uno strano modo di onorare i morti. E noi stessi.

Scrivo questi pensieri per mettere in guardia te che leggi, e dirti che le memorie, i ricordi e i documenti sono vivi, davvero e nel profondo, e non parlano di ieri, ma di oggi. Sen-za questa cautela si rischia di dire banalità su come era bella o come era brutta la vita di una volta, sen-za capire che queste sono solo le nostre proiezioni. Si rischia di rim-piangere ciò che non c’è più – non è vero c’è tutto ma in forme diverse – e di lamentarsi che non c’è più niente da fare. Si rischia di giusti-ficare la rassegnazione. Oppure la pigrizia. Quando parliamo di que-

sti paesi e di queste montagne la nostalgia non serve: lasciamola da parte e lasciamo da parte tutto ciò che ne è imbevuto. Nei racconti e storie del passato possiamo prova-re a riconoscere ciò che di questa montagna resta. Forse vorremmo che continuasse a vivere – a paro-le, tutti lo dicono – ma che si sta facendo perché sia così? […]

Cosa ci vuole perché i paese viva-no? Serve che ci si viva. Che ci sia-no meno villeggianti e più abitanti; il lavoro a volte non è vicino, ma oggi è un prezzo così alto fare i pendola-ri, diciamo fino a un’ora, per anda-re al lavoro? Forse per mantenere in vita la propria terra, si può fare. Allora se nei paesi la gente ricomin-cerà a viverci, ci sarà più forza per chiedere che la strada d’inverno sia mantenuta pulita, e che dove ci sono bambini si riaprano le scuole, e avrà senso chiedere di restituire gli uffici postali e i servizi sanitari e le linee delle corriere, e forse ci potrà essere interesse ad aprire qualche bottega, oppure a non chiuderla.

E bisogna che le botteghe nei pa-esi possano restare aperte senza essere schiacciate dal peso delle norme fiscali e da norme igieniche astratte. Poi servono persone che facciano gli amministratori pubbli-ci per servizio, solo per servizio, e che siano migliori di quelli che li votano e non peggiori, e che qui ci vivano. […] E serve che si rompa l’isolamento e che sia incoraggiata ogni occasione buona per fare co-munità, per stare e fare insieme: la festa – d’inverno prima che d’esta-te – le musiche, il ritrovo per gio-care e parlare e insieme vedere la televisione, i lavori condivisi, la ge-stione e la manutenzione collettiva degli spazi comuni, dell’acqua e delle strade. Poi serve che si torni a fare produrre la terra e il bosco, per

MARZO 2018

LA NUOV MONTAGNA

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tanto o per poco, per lavoro o per passatempo, per fare commercio o anche solo per l’orto di famiglia. E serve che i ristoratori e i negozi pre-parino e vendano il più possibile i prodotti locali, la carne degli alleva-menti che tengono in vita i pascoli, le acque minerali più vicine.E bisogna fare in modo che chi lavora su questi monti possa farlo in pace, senza l’aggravio di oneri, registri, carte, controlli che genera-no burocrazia e giustificano l’impe-gno di funzionari e consulenti, più di quanto serva al bene comune. E che i diritti comunitari sulla terra e le sue risorse siano preservati e sia interrotto il processo di liquidazione delle terre comuni e degli usi civici.È cosa nobile recuperare la me-moria, ed è bene farlo senza ce-dere alla nostalgia, ed è importante recuperare le musiche, le varietà agricole, le case e le ricette; ma ciò che, soprattutto, bisogna recupe-rare è la comunità, quella degli abi-tanti, quella di tutti i giorni, nel bello e nel cattivo tempo. Questa monta-gna può vivere.

Mattinata di Natale. Nubi pas-seggere attraversano lente

il cielo della Val d’Aveto mentre la Panda bianca percorre spedita la strada asfaltata che da Colla con-duce a Curletti. Alla guida don Giu-seppe, sacerdote dai capelli bian-chi e dalle molte primavere, nato e sempre vissuto tra questi monti. La sua missione di oggi è celebrare la Santa messa prima a Curletti e poi a Brugneto. Non fa granché freddo e di neve nemmeno a parlarne, ma forse è meglio così. Non è agevole viaggia-re su queste strade di montagna se c’è neve o ghiaccio. I paesi scorro-no via uno dopo l’altro, Tornarezza, Casella, e poi Costa. In ognuno c’è qualche comignolo fumante, anche più del solito, segno che qualcuno è salito fin quassù per passarvi le feste. A Costa infatti non abita più nessuno ma quel filo di fumo sopra i tetti è un segno inequivocabile e mette allegria.

Che strano il Natale in questi luo-ghi, e non per la mancanza di neve, di alberi addobbati, di luci colorate o di improbabili babbi natale che scalano finestre. No, la singolarità sta nel festeggiare la natività in un mondo, quello della nostra monta-gna, dove mancano proprio i bam-bini. Senza la loro presenza è più difficile cogliere la straordinarietà di questa ricorrenza, con le sue attese, i suoi riti, e vivere quell’at-mosfera che solo la visione dei loro occhi, allegri e stupiti, può cogliere e restituire.

Alla curva di Costa appare Curlet-ti con la sua chiesa. Una mancia-ta di camini fumanti dicono che il paese è vivo e in attesa. Un allegro scampanio accoglie l’arrivo di don Giuseppe, ma non si va in chiesa. Troppo freddi i muri e troppo am-pio lo spazio per essere riscaldato. L’altare è preparato invece nella ex scuola, sede del Circolo, dove la stufa scalda ormai dal giorno prima e c’è un bel tepore. Ci sono Anto

nio, Natalina, Ettore, Michele, Felice, Pietro, Gianni e Luigina, i tenaci abitanti che puoi incontrare in ogni stagione. Poi sorprendentemente ci sono anche dei giovani, e giova-nissimi: Daniele, con Luana e Sofia e quindi Enrico con Stefania e i loro ragazzi – Carlo, Paolo e Lucia – sa-liti fin quassù dal lontano Friuli. Inaspettatamente, forse richiamati dal suono delle campane, giungono anche alcune persone da Cattara-gna e poi Fausto e Angela, saliti da Ferriere. La cerimonia che segue è semplice ma raccolta, l’atmosfera familiare, Don Giuseppe con la sua naturale cordialità è un amico che ti parla, più che un celebrante.

Terminata la messa si creano pic-coli capannelli e tutti si informano della salute dei presenti e dei pa-renti, si commentano le bizzarrie del tempo e i fatti di cronaca recen-te. Solo don Giuseppe si affretta verso l’uscita poiché atteso nella chiesa di Brugneto, ma prima che possa accomiatarsi viene invitato a tornare per il pranzo. Da qualche anno infatti è tradizione a Curletti ri-trovarsi tutti nella casa dei Bigè per il pranzo natalizio. Luigina, la pa-drona di casa, cucina per tutti. Questo riunirsi attorno alla tavola imbandita e il ritorno, anche solo per una breve vacanza, di parenti e amici è ciò che rende ancor più bella e speciale questa festività.

In questo modo un giorno che po-trebbe essere triste e malinconico, visto da quaggiù, è un giorno alle-gro e che dà speranza perché la comunità, anche se piccola, c’è e pratica quei valori che l’hanno sem-pre contraddistinta: l’accoglienza, la solidarietà e la condivisione. Cer-to la grigia stagione dell’inverno è ancora lunga da passare, soprat-tutto in questi luoghi, ma una gior-nata così, trascorsa nel calore della compagnia e della buona tavola scaccia la paura e il freddo dal cuo-re. Brava Luigina!

NATALE A CURLETTI

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1. Ciao Roberto, per la prima domanda prendo spunto proprio dal titolo della nostra intervista “Conosciamoci meglio”. Come ti presenteresti in poche righe ai nostri lettori?

Mi metti subito in imbarazzo (ride ndr!) Sicuramente un ragazzo che all’apparenza può sembrare un po’ timido e riservato ma in realtà sono molto socievole! Le mie passioni come penso per la maggior parte dei ragazzi sono il calcio, che ho praticato a livello agonistico fin da bambino, un grande sogno che però ho dovuto ab-bandonare per un infortunio da adolescente e la moto Gp. Non perdo una gara di Valentino Rossi, e amo fare dei lunghi giri in moto in Val d’Aveto. 2. Parlando proprio della Val D’Aveto, cosa ti lega al paesino di Curletti che sorge tra queste montagne?

Potrei parlarti per ore (ride ndr!) del legame affettivo con questi monti che per me sono a tutti gli effetti una seconda casa. Le radici della mia famiglia hanno origi-ne qui con i miei nonni che mi hanno trasmesso i valori più importanti per me, come la semplicità della vita in montagna e il valore delle piccole cose. Ho trascorso qui praticamente tutte le mie estati, dall’infanzia sino ad ora, con quel gruppo di bambini che tutt’oggi fanno parte delle mie amicizie più strette.. perciò Curletti è sicuramente una “cassaforte” dei ricordi più belli della mia vita! 3. Qual è il ricordo che porterai sempre nel cuore?

Trovarne uno solo penso sia impossibile, sicuramente tutte le estati passate con i miei amici dove per divertir-ci bastava poco: un film horror in tavernetta, le partite

infinite a nascondino scovando i nascondigli più im-pensabili e le notti passate con il naso all’insù a guar-dare le stelle e chiacchierare di qualsiasi cosa bevendo una birra. Ci bastava stare insieme per essere felici e tutt’ora non passa un anno in cui non ci ritroviamo nella scuola, oggi sede del Circolo Anspi, per una sem-plice grigliata dove non mancano mai i racconti degli aneddoti passati facendoci così delle grandi risate! 4. La val d’Aveto possiede dei paesaggi e luoghi mozzafiato che riescono a far innamorare al primo sguardo. Rimanendo a Curletti c’è un posto che ami in particolar modo?

Ho due posti del cuore, il primo è lo spiazzo davanti alla Chiesa dove si può godere di un paesaggio bellis-simo che si apre sulla valle dandoti una sensazione di estrema tranquillità. Il secondo è la “Lubbia”, appena dopo Curletti, dove tante volte sono andato per sbol-lire dei momenti no, per perdermi nei miei pensieri, o semplicemente per estraniarmi per qualche ora dalla frenesia della vita moderna. 5. Parlando del Circolo di Costa-Curletti che hai citato prima, tu sei stato il primo giovane a far parte del consiglio direttivo e in seguito l’anno scorso hai accettato la carica di tesoriere. Cosa ti ha spinto ad accettare questa ruolo importante e impegnativo?

Far parte del circolo è far parte di qualcosa che pian piano va sempre più svanendo nei nostri paesini, la comunità! E’ per questo che ho accettato di far parte di questo progetto e dare la mia disponibilità anche per ricoprire ruoli più impegnativi, come quello del tesorie-re. Purtroppo la mia professione, che si occupa della formazione legata al mondo petrolifero, mi ha costretto all’estero per un periodo di tempo perciò ho dovuto cedere il posto a Beatrice Rebecchi, che sta portando avanti questo ruolo con grande successo! 6. Quali sono le speranze future che nutri nel progetto del circolo anspi?

La nostra più grande speranza è di tornare a far vivere la nostra montagna. E’ per questo che ogni anno ci im-pegniamo tutti insieme per organizzare eventi e riunire le persone con la speranza che un domani altri bam-bini, come me e i miei amici siamo stati a suo tempo, possano creare nuovi ricordi e non abbandonare mai questi luoghi. Il futuro come si dice spesso è in mano ai giovani, e sono pienamente d’accordo, perciò sve-lo in anteprima assoluta una grande novità (ride ndr!) quest’anno noi giovani di Costa e Curletti abbiamo deciso di dar vita ad una festa tutta nostra, “La festa della Badila” che si terrà il 14 Luglio 2018. Siamo molto entusiasti per questo nuovo progetto e come sempre contiamo sul vostro supporto e la vostra presenza!

CONOSCIAMOCI MEGLIO… INTERVISTA A ROBERTO

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L’interesse per l’emigrazione italiana si è riacceso ne-gli ultimi anni in quanto l’Italia da un paese di emi-

granti sembra essere diventata un paese di immigrati. Questo fenomeno non è interpretato nella stessa ma-niera da tutti gli italiani. Alcuni sostengono che l’emi-grazione sia una risorsa essenziale per l’economia del Paese, altri vedono soprattutto un aumento della cri-minalità, una concorrenza rispetto ai lavoratori italiani o addirittura un inquinamento della loro identità. L’argo-mento è stato al centro del recentissimo dibattito elet-torale e sicuramente l’inculcata paura del potenziale pericolo dell’ “invasione di stranieri ed extra-comuni-tari” ha fomentato ostilità e influenzato molti elettori, come emerso dal risultato delle votazioni, con altissime percentuali di consenso a partiti xenofobi riscontrate anche nelle nostre vallate.

È dunque fondamentale ricordare e riflettere su alcuni aspetti che hanno caratterizzato l’emigrazione italiana all’estero per potersi interfacciare con i nuovi emigrati in Italia. Sin dai tempi di Marco Polo e Colombo gli italiani si sono distinti come popolo di viaggiatori, ma è stata l’età contemporanea a segnare un vero e proprio record: nei cento anni tra il 1876 e il 1976, si sono sta-te registrate più di 26 milioni di partenze dall’Italia, da ogni regione, sia del Nord che del Sud. L’emigrazione ha comportato costi umani enormi come la sofferenza dovuta allo sradicamento dal proprio ambiente oppure i disagi fisici e morali che cominciavano con il viaggio e si moltiplicavano sin dal primo impatto con i paesi ospiti fino alle discriminazioni e violenze di cui furono spesso oggetto gli emigrati italiani.

Tra il 1876 e il 1900 si diffuse una forte depressione economica, causata dal brusco crollo dei prezzi degli alimenti che colpì l’agricoltura: Francia e America pro-ducevano molto di più e a costi decisamente inferiori rispetto all’Italia. In quel ventennio emigrarono circa 5 milioni e 300mila persone con un ritmo crescente quasi esponenziale. Si trattava di un’emigrazione indi-viduale e maschile all’incirca 81%. Due emigrati su tre provenivano dall’Italia settentrionale e si dirigevano in Francia, Germania, Argentina, Brasile e Stati Uniti.Nel quindicennio successivo dal 1900 al 1914, nono-stante il decollo industriale nel settentrione, il fenome-

no dell’emigrazione non si arrestò, anzi si toccarono picchi di 600.000 emigrati l’anno: l’industria nascente non era in grado di assorbire tutta la manodopera pro-veniente dall’agricoltura in crisi. Dopo 10-12 giorni di viaggio in nave attraverso l’Oceano Atlantico gli emi-granti varcavano il confine americano attraverso Ellis Island, l’isoletta che affiora all’ombra della maestosa statua della Libertà. All’arrivo dovevano esibire i do-cumenti di viaggio con le informazioni della nave che li aveva portati a New York. I Medici del Servizio Immi-grazione li controllavano rapidamente, contrassegnan-do sulla schiena con un gesso, quelli che dovevano essere sottoposti ad un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute (ad esempio: PG per donna in-cinta, K per ernia e X per problemi mentali). Chi supe-rava questo primo esame, veniva poi accompagnato nella Sala dei Registri, dove erano attesi da ispettori che segnavano nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, riferi-menti a conoscenti già presenti nel paese, professione e precedenti penali. Ricevevano alla fine il permesso di sbarcare e venivano accompagnati al molo del tra-ghetto per Manhattan. I “marchiati” venivano inviati in un’altra stanza per con-trolli più approfonditi. Secondo il vademecum destina-to ai nuovi venuti, “i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordo-muti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono ine-sorabilmente esclusi dal suolo americano”.

Nella foto allegata potete vedere copia della pagina del libro in cui nel 1896 venne registrato il mio trisnonno Sante Carini. Egli era il numero 286 l’ultimo in fondo, all’epoca era al suo secondo viaggio in America, ave-va 38 anni e a casa aveva lasciato la moglie Caterina Bertotti e i tre figli Agostino, Pietro e Luigia. Antonio, purtroppo morì neonato a causa dell’epidemia del co-lera, e forse proprio questo doloroso lutto spinse Sante a partire la prima volta per gli Stati Uniti. Nel 1896 era salpato dal porto francese di Le Havre, a bordo del-la nave La Bourgogne, che solo due anni dopo, nel 1898 fece la stessa triste fine del più famoso Titanic,

EMIGRAZIONE-IMMIGRAZIONE: UN PASSATO CHE RITORNA

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affondando con 549 morti al seguito. Nonostante que-ste tristi notizie che immagino giungessero anche alle sue orecchie, dopo tre anni di soggiorno in America ritornò in Italia, ebbe una quinta figlia, Carolina (nonna dell’attuale sindaco di Ferriere Giovanni Malchiodi) e una sesta, Celestina; lavorò a Costa come contadino, taglialegna e segantino come tutti i montanari all’epo-ca. Poi nel 1903 Sante partì di nuovo, stavolta portan-do con sé il figlio Pietro che poi si sposò là e si insediò stabilmente con la sua nuova famiglia in Connecticut (il nipote di Pietro, Jed Carini, ormai cinquantenne mi ha raccontato divertenti esperienze di vacanze a Costa negli anni Settanta con gli zii e soprattutto gli allora coetanei cugini Agostino e Giuseppe – il nostro super-pizzaiolo ndr). Allego una foto della nave La Savoie con cui viaggiò nel 1903.

Al di là del viaggio faticoso, della non promettente ac-coglienza, immaginate come fossero allora le condizio-ni di vita degli immigrati e il trattamento subito come lavoratori: c’era sicuramente chi se ne approfittava, tanto che anche dentro ai confini italiani, l’allora pre-sidente del consiglio Giolitti dovette varare nel 1901 la legge generale sull’emigrazione che limitò l’azione degli speculatori ai danni degli emigranti.Sante Carini, ad esempio, nel 1897, viveva in un ca-panno nelle campagne del Connecticut, una baracca costruita assieme ad alcuni colleghi. Un giorno essa prese fuoco bruciando tutto ciò che conteneva com-presi abiti, denari, attrezzi da lavoro. Come emerge

dal racconto riportato nel volumetto redatto negli Anni Trenta del Novecento da Don Aldo Boreri “egli non andò in miseria totale perché il padrone dell’epoca non gli aveva ancora pagato tutto il compenso: era rimasto però senza giacca e con i più consumati calzoni da lavoro, tali da non potersi recare decentemente in pae-se, a Chester. Fortunatamente alcuni vicini si rivelarono generosi e con regali e aiuti si rimise in carreggiata. Ma ahimè erano casi rari: molto più diffusi trattamenti di discriminazione o altri che oggi verrebbero etichettati come bullismo e ghettizzazione.

Vi cito un paio di estratti della Commissione Immigra-zione, rapporto del 1904 che mi hanno particolarmente colpito: “Noi protestiamo contro l’ingresso nel nostro paese di persone i cui costumi e stili di vita abbassa-no gli standard di vita americani e il cui carattere, che appartiene a un ordine di intelligenza inferiore, rende impossibile conservare gli ideali più alti della moralità e civiltà americane.” (Rapporto Immigration Commis-sion di Washington, 1904) “Ciò che è intollerabile sono gli arrivi dall’Italia, con il loro 63,40% di immigrati ca-talogabili al gradino più basso dell’intelligenza. [...] E’ soprattutto da lì che viene l’inquinamento della cittadi-nanza intelligente. Finché continuerà questo riversarsi di indesiderati nel nostro paese, la speranza di miglio-rare lo standard di qualità dei nostri cittadini sarà sem-pre più bassa. [...] Non abbiamo spazio in questo pa-ese per “l’uomo con la zappa”, sporco della terra che scava e guidato da una mente minimamente superiore

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a quella del bue, di cui è fratello.” (A. Sweeny, Immigrati mentalmente inferiori ¬ Test mentali per immigrati in “North American Revue”, 1906).

Un detto popolare sostiene che si faccia di necessità virtù: Sante credo avesse la forte volontà di contraddire questi pregiudizi con i fatti: durante l’avventura ameri-cana egli infatti affinò alcune tecniche lavorative, che lo portarono a costruire un nuovo modello di scure in le-

gno, che consegnò poi al direttore di uno stabilimento metallurgico per la rispettiva fusione in acciaio. La nuo-va scure risultò molto pratica tanto da venire adottata dall’azienda americana (che costruiva pezzi di binari ferroviari, in massima espansione all’epoca): detto mo-dello è tutt’ora conservato nell’ufficio direzione di quello stabilimento. Peccato che non fosse altrettanto intra-prendente nel farsi pagare i diritti di brevetto d’inven-zione ma sicuramente fu un balsamo per l’autostima!

Fra qualche settimana, a fine aprile verranno a trovarci in Italia proprio da South Glastonbury CT ben otto ni-poti di Albert Carini, fratello di Sante, che a fine Otto-cento si stabilì là dedicandosi alla coltivazione di frutta. Loro desiderano visitare, oltre a Venezia, Roma, Pom-pei, soprattutto Costa, Curletti, Cattaragna (da dove proveniva una loro trisavola) curiosi di toccare con mano le case in pietra costruite con sacrificio dai loro antenati magari proprio con i proventi delle trasferte americane, e vedere con i loro occhi quei bellissimi pa-esaggi di montagna che i loro bisnonni avranno ricor-dato con nostalgia dispersi e un po’ soli nelle larghe pianure statunitensi. Come gli elefanti dalla memoria a lungo termine, proviamo allora noi, come questi ragaz-zi americani oggi, a non fermarci ai preconcetti, o pun-tare il dito verso lo sconosciuto ed il diverso: diamogli piuttosto, sempre nei confini della legalità, quell’op-portunità che allora il popolo americano ha concesso ai nostri avi.

Alla faccia dei superstiziosi! L’e-sclamazione ci sorge sponta-

nea pensando all’anno 2017 da poco concluso: chi pensa che il nu-mero 17 porti sfortuna si deve ricre-dere perché, nonostante le esigue forze, qualche carenza in organico e i presupposti non sempre favore-voli, anche il quinto anno di attività del nostro circolo si è rivelato vita-le e positivo. Sempre animati dalla consapevolezza che senza un’ag-gregazione come la nostra, le due piccole realtà montanare di Costa e Curletti sarebbero destinate al declino e all’estinzione, ci riteniamo soddisfatti dell’operato.

Durante l’anno, e sottolineiamo non solo nella bella stagione, sia-mo riusciti ad organizzare ben 12 piccoli-grandi eventi, coinvolgen-do bimbi, anziani, adulti e giovani. A marzo l’ormai tradizionale Festa

di San Giuseppe sempre accom-pagnata da piffero e fisarmonica, ad aprile ci siamo riuniti per l’as-semblea dei soci seguita da una piacevole pizzata; a maggio alcuni volontari, in occasione della gior-nata ecologica, hanno ripulito dalla vegetazione e dagli arbusti diverse aree del paese, il sentiero che con-duce ai mulini e quello che da Co-sta scende fino al Benzone. La sta-gione estiva è stata inaugurata con “l’Asado de Noartri” con il nostrano griller Claudio che bagna ormai il naso ai professionisti; a seguire a luglio Maurizio Caldini ed Andrea Rezzoagli ci hanno divertito con lo spettacolo “Garavane”. ùAgosto si è riconfermato come mese pro-tagonista: domenica 6, complice una bella e calda giornata di sole, in tantissimi hanno partecipato alla tradizionale sagra della Madonna delle Grazie: messa solenne con

processione, squisiti piatti a pran-zo e a cena presso gli stand ga-stronomici, pomeriggio dedicato ai bambini con giochi e animazioni, la sera intrattenimento musicale e danze al ritmo folk de “I Musetta”. Il giorno successivo lunedì 7 agosto, al pomeriggio festa della Croce a Costa e la sera spettacolo teatrale: nientemeno che l’ “Odissea”, in una versione che avrebbe fatto sorride-re anche Omero.

Lunedì 14 per la prima volta dall’i-nizio del suo mandato a Piacenza, è venuto in visita pastorale il Vesco-vo della diocesi Piacenza Bobbio Gianni Ambrosio; l’abbiamo accol-to al meglio presentandogli la no-stra comunità, con luci e ombre e l’accorata richiesta di non dimenti-care le “periferie”, purtroppo in de-cadenza. Il mese di agosto si è poi concluso con l’evento classificato

UN INTENSO 2017 A CURLETTI

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come il più divertente in assoluto: la “Cena con Asado”. Da Sestri Le-vante ci hanno raggiunto i fantasti-ci “Spiunciaporchi” che con la loro contagiosa allegria, competenza musicale e attoriale hanno trasci-nato il pubblico (anche fisicamente) con canti e balli fino a notte fonda.

Il 9 settembre si è concretizzato un progetto partito dalle ricerche storiche del nostro segretario Pier-luigi Carini: è andata in scena la fe-sta della comunità dei Curletti per l’adozione dello stemma araldico della famiglia Biondelli quale em-blema della frazione. Emozionante il momento dello scoprimento delle targhe a testimonianza di una storia che “c’era una volta… e c’è anco-ra”. Brindisi con le autorità con l’ot-timo Franciacorta Biondelli accom-pagnato da un elegantissimo buffet e pranzo conviviale.

L’altro appuntamento del mese, commemorazione della patrona del circolo Santa Giustina, è risultato sottotono a causa del maltempo e di un’epidemia di influenze che ha dimezzato volontari e avventori. A chiusura del ciclo di eventi annuale, domenica 15 ottobre numerosi soci si sono ritrovati per festeggiare il compleanno di Gianni Bertotti con

un gustoso menù autunnale e l’ina-spettato intrattenimento musicale del mitico Tinolla (Antonio Bertotti). Osservando i documenti contabili relativi a tutto l’anno 2017 emerge il dato della chiusura del bilancio che pareggia alla cifra di € 20.737,50 con un modesto disa-vanzo di € 833,78.

Come si può notare dalla tabella che alleghiamo le entrate assommano a 19.853,40 euro determinate princi-palmente dagli eventi promossi dal circolo, dal tesseramento e dalle offerte. Le voci di uscita sono dovu-te da spese per alimenti, bevande e materiali di consumo; ma anche per attrezzature, musica, diritti an-spi, corsi di formazione, spese per fabbricati e territorio, utenze infor-mazione e spese bancarie.

Tra le attrezzature acquistate sono da annoverare la cappa per la cu-cina, la piastra friggitrice, cinque tavoli, dieci panche e un nuovo frigo vetrina. Come interventi sul territorio ad inizio anno avevamo ipotizzato più azioni, siamo riusci-ti a concretizzarne solo una ma emblematica: dal rudere di fronte all’ex-scuola che marcava la de-cadenza del paese, attraverso un intenso lavoro di recupero, è stata

realizzata un’ampia area utilizzabi-le per disporvi i tavoli in occasione delle feste, con tanto di collega-mento elettrico e copertura.

Dal confronto dei dati con i bilanci degli anni precedenti si evidenzia nel 2017 un sensibile incremento delle spese per investimenti in at-trezzature e per una più qualifica-ta proposta musicale. Dobbiamo sottolineare inoltre che per la prima volta, nell’agosto 2017 abbiamo effettuato il servizio bar, che oltre a fornire proventi nelle casse è stata una gradevole occasione di ritrovo, segnale di vitalità del circolo.

ENTRATE USCITE

Entrate istituzionali 16.623,40 Spese per fabbricati 532,03

Offerte 810,50 Spese per attrezzature 6.060,69

Tesseramento 857,00 Spese per attrezzature minuta 164,03

Da consorzio acquedotto per generatore

1.562,82 Spese per alimenti e bevande 10.630,39

Spese per musica e spettacoli 1.370,00

Spese per energia elettrica,gas,acqua,rifiuti 502,07

Diritti anspi + corsi anspi 1.045,00

Spese bancarie 140,69

Stampa giornalino La nuova montagna 219,60

Canone internet 73,00

TOTALE ENTRATE € 19.853,72 TOTALE USCITE € 20.737,50

Avanzo d’esercizio -€ 883,78

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Hanno collaborato alla redazionedi questo numero:

Pier Luigi Carini, Beatrice Rebecchi,Erica Bernardi.

Composizione grafica:

Giulia Bertotti

A CURLETTI E COSTA

SEI SEMPRE IL/LA BENVENUTO/A

È UFFICIALMENTE APERTO

IL TESSERAMENTOPER L’ANNO 2018!

Mentre scriviamo un timido sole filtra tra le nubi, l’aria è quella frizzantina del Libeccio e la neve

ricopre ancora le cime dei monti. Quest’anno la Pri-mavera si fa attendere ma ormai non dovrebbe tardare di molto. Già qualche segno di rinascita si coglie, e tra questi il manifesto che annuncia la nostra festa di San Giuseppe. Si perché cosà c’è di meglio che ritrovarsi attorno ad una buona tavola con della musica allegra per scacciare l’ultimo freddo dell’inverno. Questa festa è la prima di una impegnativa serie

di occasioni conviviali che si svolgeranno nel corso del 2018. Praticamente un appuntamento al mese, da marzo ad ottobre. Come sempre il culmine sarà ad agosto con gli ormai classici appuntamenti. Quest’an-no ad animare la festa della Madonna delle Grazie avremo Renzo e i Menestrelli, mentre all’Asado la sor-prendente fisarmonica del Biondo spanderà nell’aria note folk, pop e di ogni altro genere musicale. Grande novità di quest’anno la Festa della Badila il 14 luglio. Un appuntamento di taglio giovanile, con tanto di DJ titolato, che vuol significare sia l’impegno dei giovani a

metter mano da protagonisti alla vita di questo territo-rio, sia l’autoironica consapevolezza che magari non tutto risulterà perfetto, realizzato al cesello, ma piutto-sto buttato lì … con la badila, appunto.E sempre a proposito di badila, anche quest’anno non può mancare la Giornata del Volontariato per la cura del territorio nel fine settimana del 19 maggio o in caso di meteo sfavorevole in quello successivo. Quest’an-no sarà l’occasione per iniziare a metter mano ad un ambizioso progetto di sistemazione della fontana all’in-gresso sud di Curletti. Nella serata contiamo di avere tra noi il fotografo naturalista Giacomo Turco (Giame-sPhoto) ad illustrarci con le sue immagini gli straordi-nari paesaggi e i colori delle stagioni in Val d’Aveto. A giugno invece Asado de Noatri ed a seguire tratteni-mento teatrale con il nostro affezionatissimo Maurizio Caldini. Infine, per i più piccini abbiamo riservato una serata di sorprendente suggestione fantastica a Costa il 6 agosto. Questo e molto altro contiamo di realizzare nel 2018, soprattutto se anche tu che leggi sarai dei nostri.

ARIA DI PRIMAVERA…