Fare Microimpresa In Montagna

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FARE MICROIMPRESA IN MONTAGNA La domanda di autoimprenditorialità nelle aree obiettivo 2 della provincia di Trento Quaderni di territorio volume 2 A cura di Sergio Remi Gruppo di lavoro: Claudio Filippi, Walter Nardon, Paola Piazzi Daniela Sannicolò, Iris Visentin Repubblica Italiana Ministero dello Sviluppo Economico Provincia autonoma di Trento Unione Europea FESR

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FARE MICROIMPRESA IN MONTAGNALa domanda di autoimprenditorialità nelle aree

obiettivo 2 della provincia di Trento

Quaderni di territoriovolume 2

A cura di Sergio Remi

Gruppo di lavoro:Claudio Filippi, Walter Nardon, Paola Piazzi

Daniela Sannicolò, Iris Visentin

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Il presente rapporto riporta i risultati del progetto DOCUP “Animazione imprenditoriale nelle aree obiettivo 2 della provincia di Trento” realizzato da Trentino Sviluppo SpA e promosso dall’Assessorato alla programmazione, ricerca e innovazione della Provincia Autonoma di Trento.

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Sommario

Premessa 5

Presentazione 7

1. I processi di modernizzazione dei territori montani 9

2. Le motivazioni ed i risultati dell’intervento di animazione imprenditoriale 13

3. Perché promuovere la microimpresa? 17

4. Agire per un riequilibrio territoriale 28

5. Fare alleanza tra vecchia e nuova economia 34 5.1 Il turismo 36 5.2 L’artigianato 40 5.3 L’agricoltura 47

6. La promozione dell’autoimprenditorialità in un contesto di piena occupazione 52

7. Quale propensione al rischio di impresa? 55

8. Il sindaco imprenditore 61

9 L’impresa sociale di comunità 67

10. L’articolazione dell’intervento di animazione imprenditoriale 70 10.1 L’offerta istituzionale 74 10.1.1 Il raccordo con gli strumenti di programmazione negoziata 74 10.1.2 Il raccordo con le politiche del lavoro e del welfare 75 10.1.3 Il raccordo con le politiche volte a promuovere le filiere produttive 77 10.2 L’offerta di territorio 78 10.3 La domanda sociale: l’animazione imprenditoriale a livello comunale 79 10.4 L’assistenza tecnica all’elaborazione del piano di impresa 82 10.4.1 I colloqui individuali sul territorio 82 10.4.2 Gli incontri di assistenza tecnica all’elaborazione del “job plan” 84 10.5 L’accompagnamento alla fase di start-up 94

11. La domanda di imprenditorialità emersa nelle aree obiettivo 2 96

11.1 Analisi delle schede di partecipazione agli incontri di animazione imprenditoriale 96 11.1.1 Distribuzione dei partecipanti a livello comunale 96 11.1.2 Gli utenti del percorso di animazione 97 11.1.3 Interesse ad avviare un’attività di lavoro autonomo 98 11.1.4 Tipologia d’impresa e settore di attività in cui si vorrebbe intraprendere 99 11.1.5 Interesse per i servizi di Trentino Sviluppo 101

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11.1.6 Osservazioni sul dibattito pubblico 102

11. 2. Analisi dei questionari di presentazione dell’idea di impresa 105 11.2.1 La distribuzione delle idee di impresa per territorio 106 11. 2.2 Questionari presentati per patto territoriale 110 11.2.3 La distribuzione delle idee di impresa per sesso del proponente 113 11.2.4 Attuale occupazione dei proponenti 114 11.2.5 Titolo di studio dei proponenti 114 11.2.6 Settore di attività dei progetti di impresa 117 11.2.7 Progetti di impresa per settore e per ambito territoriale 119 11.2.8 Attività a tempo pieno o a tempo parziale 121 11.2.9 Tipo di impresa che si intende avviare 122 11.2.10 Forma giuridica 123 11.2.11 Precedenti esperienze di lavoro autonomo 124 11.2.12 Esperienze nel settore in cui si intende intraprendere 125 11.2.13 Competenze nella produzione del bene/servizio 126 11.2.14 Competenze nella commercializzazione 127 11.2.15 Competenze nell’amministrazione 127 11.2.16 Conoscenza del mercato 128 11.2.17 Tipologia e numero dei potenziali clienti 129 11.2.18 Principale canale di vendita e modalità di promozione del prodotto o servizio 130 11.2.19 Tipologia di concorrenza 131 11.2.20 Differenziazione del proprio prodotto /servizio 133 11.2.21 Conoscenza collocazione dei fornitori 133 11.2.22 Individuazione spazi e quantificazione investimenti per l’avvio dell’attività 135 11.2.23 Conoscenza dell’iter autorizzativo per l’avvio dell’attività 136 11.2.24 Modalità di reperimento capitale necessario 136 11.2.25 Individuazione prezzi da praticare e fatturato necessario per il punto di pareggio 137 11.2.26 Sintesi conoscenze complessive sulla gestione di un’impresa 139 11.2.27 Aiuti necessari per aprire una nuova attività 141

12. Le imprese avviate 144

13. Conclusioni: Quali politiche per la promozione dell’autoimprenditorialità. 169 13.1 La fluidità del mercato del lavoro 171 13.2 Reti, filiere e comunità professionali 179 13.3 L’accessibilità ai mercati 181 13.4 La semplificazione amministrativa 183 13.5 Nuovi modelli di welfare e rappresentanza 184

Bibliografia 189

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Premessa

Per fare impresa non è indispensabile essere grandi. L’affermazione trova conferma nel lavoro di ricerca realizzato da Trentino Sviluppo in un territorio per sua natura poco incline a far nascere e crescere nuove iniziative imprenditoriali. L’attività di animazione, condotta con impegno e passione da Sergio Remi e dalla sua equipe, ha permesso di dimostrare, dati alla mano, come possa esistere una visione diversa di sviluppo, che si misura sulla capacità di proporre percorsi differenti, facendo leva sul cambiamento che l’intera economia sta vivendo, nel passaggio verso l’era della conoscenza.

Una visione dalla quale partire per la promozione dell’autoimprenditorialità quale strumento centrale della politica di sviluppo della montagna, a partire dalla Persona, dalla sua capacità, dalla sua conoscenza e professionalità, ma anche dal suo mettersi quotidianamente in gioco, nell’ambito di una rete di relazioni che si rivela quale fattore critico sempre più rilevante. “Imprenditori di se stessi”, come li definisce l’autore della ricerca, con la forza di costruire il proprio futuro: nuove figure in grado di muoversi in un mercato fluido, caratterizzato da un’elevata mobilità e dall’incertezza. Ed è proprio a queste Persone che Trentino Sviluppo propone un percorso di crescita, accompagnandole nell’avviare e nel condurre la propria impresa.

Nella trattazione si delinea così la “destrutturazione del concetto di impresa”, che porta a rendere i concetti di azienda e di imprenditorialità più vicini alle reali esperienze ed esigenze lavorative delle Persone, arrivando a riconoscere che l’autoimprenditorialità rappresenta oggi un percorso di inclusione e crescita sociale ove il valore deriva in buona parte dalla qualità delle risorse di relazione che le Persone riescono a mettere in campo per comunicare, condividere, collaborare.

Attraverso l’analisi condotta da Trentino Sviluppo, si scopre un modo nuovo di guardare alle valli, superando la separazione tra centro e periferia, grazie ad un’organizzazione produttiva e ad “un’industria molecolare” che segue i flussi della conoscenza e delle competenze piuttosto che i confini geografici, dove i modelli di produzione sono sempre più flessibili e smaterializzati e l’investimento in conoscenza rappresenta un requisito essenziale.

“Fare microimpresa in montagna” racconta la grande trasformazione in atto, dunque, che vede una montagna scegliere di declinare il lavoro in forma imprenditoriale, in un territorio che scopre di poter essere culla per microimprese e lavoro autonomo in grado di generare valore e benefici sociali collettivi. Un territorio alla ricerca di nuove forme di socializzazione del rischio di impresa, ma anche un territorio che comprende come per affrontare un nuovo scenario siano necessari alcuni passaggi fondamentali, inclusa l’identificazione e l’adozione di strumenti di politica economica in grado di supportare le microimprese, così come infrastrutture atte a favorire la crescita continua di chi fa impresa. Un territorio, in sintesi, che realizza di aver bisogno di un “programma specifico per l’autoimprenditorialità”, che si deve inserire nel quadro complessivo della politica economica.

Ed in questo ambito si colloca l’azione di Trentino Sviluppo che, dando continuità al percorso avviato negli anni recenti, opera per sostenere la capacità imprenditoriale, per migliorare il contesto economico e produttivo e favorire la nascita di filiere specializzate, ponendo le basi per creare un modello di sostegno partecipato della crescita dei sistemi locali.

“Fare microimpresa in montagna” è il secondo ‘Quaderno di territorio’, che dà seguito a “Nessuna impresa è un’isola”, la ricerca condotta sempre da Trentino Sviluppo e pubblicata nel

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febbraio 2008, in un percorso di continuità che vede l’analisi dei contesti locali alla base di progetti mirati di animazione imprenditoriale.

Un ringraziamento a Sergio Remi, che con professionalità e passione da anni è impegnato in un progetto di territorio, ove la capillarità e l’attenzione al singolo intervento si rivelano fattori chiave di crescita anche nelle aree meno centrali, dotando le cosiddette “periferie” di una reale prospettiva di sviluppo.

Patrizia Ballardini Trentino Sviluppo SpA

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Presentazione

Il destino della montagna non è obbligatoriamente quello della marginalità. Per quanto sia certo che nelle aree montane le condizioni per fare impresa siano difficili, più difficili che in altri ambienti, non c’è alcun motivo per ritenere che una legge di natura condanni i territori di montagna alla arretratezza. E neppure c’è motivo, però, di pensare che vi sia un unico modello adatto ad ogni contesto. Lo sviluppo locale non passa per la ripetizione meccanica di schemi che hanno avuto successo. È “locale” proprio perché aderisce alla realtà dei luoghi: più fedelmente riesce ad interpretarne le caratteristiche e le potenzialità, fin nelle piccole pieghe, meglio realizza il suo compito di generare sviluppo, nell’economia, nella società e nel territorio.

Dunque la modernizzazione non si ferma alle pendici della montagna. Ma neppure le risale nella forma rigida del pensiero unico di una monocultura turistica, fragile perché univoca. C’è varietà di vocazioni e l’intelligenza di una visione dello sviluppo si misura sulla capacità di proporre percorsi differenti, facendo leva sul cambiamento di paradigma che sta trasformando l’economia. Non più, solo o prevalentemente, capitalismo urbano industriale, che classifica come periferia tutto ciò che non è concentrato nello spazio metropolitano, bensì industria molecolare e capitalismo personale, che seguono i flussi globali della conoscenza anziché le frontiere della geografia. La nuova organizzazione della produzione industriale si è emancipata dal formato tradizionale dell’unità di spazio-tempo-azione, superando la separazione netta tra centro e periferia. Per trovare competenze di punta e capacità innovative oggi non è necessario bussare alla porta della grande impresa. E per fare impresa non è indispensabile essere grandi. Conta molto di più il sistema di relazioni al quale si è connessi; un sistema immateriale in cui la reputazione e le abilità specialistiche di cui si dispone sono più importanti della prossimità fisica.

Così la ricerca di Sergio Remi e dei suoi collaboratori documenta una trasformazione in atto, e non soltanto un ideale di sviluppo futuro. Con un solido punto di partenza: in Italia il valore aggiunto dell’economia di montagna nel corso degli ultimi quattro anni è cresciuto più della media nazionale. E nelle aree montane non mancano esperienze di innovazione che un tempo erano esclusiva dei territori più centrali, ad esempio nei settori delle tecnologie per l’ambiente e dell’energia. Spesso intrecciate con forme tradizionali – e ancora ben radicate - di produzione di beni (dall’agricoltura all’artigianato) e di servizi (specie come rielaborazione di antichi rapporti di mutualismo).

La chiave per comprendere questa trasformazione è quella della “imprenditorializzazione del lavoro”. Seguendo una tendenza globale anche l’economia della montagna ha scoperto la necessità di declinare il lavoro in forma imprenditoriale: diventare datori di lavoro di se stessi, in territori privi di strutture ad alta intensità di occupazione, è sempre stata una scelta obbligata, ma ora è anche una scelta in linea con un nuovo contesto economico che favorisce le microimprese e il lavoro autonomo. Quindi una caratteristica tradizionale dello sviluppo di queste aree si presta a farle entrare in uno scenario più grande, purché naturalmente anche l’”imprenditorialità montana” si dimostri in grado di aggiornare se stessa. La dimensione cooperativa deve incontrare quella innovativa, e ad entrambe è richiesto di aprirsi ad appartenenze non solo locali. Le reti corte da sole stentano a reggere l’urto della modernizzazione.

Come ha mostrato chiaramente un precedente studio sulla filiera della subfornitura nella Valle del Chiese, sempre condotto da Sergio Remi e la sua equipe, il movimento tra locale e globale è il vero nucleo distintivo del nuovo paradigma dello sviluppo. Un paradigma nel quale l’identità di

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territorio non è più un concetto estraneo, del quale liberarsi, ma è al contrario un punto di forza per affrontare la modernizzazione, e i suoi passaggi rischiosi, senza esserne travolti.

La rivoluzione nelle filiere ha evidenziato un processo nel quale le medie aziende “di pianura” hanno dovuto ricollocarsi nei nuovi scenari della globalizzazione, trasformando profondamente le relazioni produttive con le piccole aziende “di montagna”. Le imprese committenti hanno operato una fortissima selezione: alcune fasi della filiera produttiva sono state delocalizzate all’estero, seguendo il percorso del minor costo, mentre altre fasi produttive sono state mantenute all’interno del sistema locale o di vicinato, imponendo però alle imprese di subfornitura di adeguarsi ad una domanda molto più complessa e esigente in fatto di qualità. Quasi di punto in bianco, aziende abituate ad un rapporto “garantito” di dipendenza si sono trovate nel ruolo nuovo, e rischioso, di alleate. Alle prese con un’organizzazione della produzione più complicata. Obbligate ad assumersi nuove responsabilità e a sviluppare uno spirito di iniziativa che, in alcuni casi, le ha portate a emanciparsi dal rapporto di pura subfornitura per divenire a propria volta committenti, rivolgendosi direttamente al mercato con prodotti propri. O divenendo subfornitori-leader, estremamente specializzati e al servizio di una pluralità di committenti, a livello globale.

In questa complessa trasformazione si è giocato il ruolo del territorio di riferimento, che ha sostenuto gli imprenditori nel cambio di passo. In montagna il capitale sociale è un bene pubblico che, per quanto indebolito, continua ad essere prodotto. La socializzazione del rischio non è un atteggiamento di nicchia, ma il risultato di un lungo vissuto. Lo sviluppo può quindi contare su una base solida, perché poggia su un ambiente sociale di qualità e su un patrimonio ancora ingente di fiducia istituzionale nei confronti dei soggetti locali.

Questi “fondamentali” della cultura imprenditoriale non bastano però da soli ad affrontare il nuovo scenario. Occorre creare un quadro di riferimento più ampio: politiche pubbliche di sostegno, misure di accompagnamento, strumenti di politica attiva del lavoro, welfare a misura di micro-imprenditoria, infrastrutture orientate alla crescita dei fattori immateriali (formazione, ricerca, internazionalizzazione). Un nuovo quadro di strumenti che deve essere definito a partire da una conoscenza puntuale, dal basso, dei sistemi locali di sviluppo.

Questo è appunto l’ambito dello studio che qui si pubblica. Prezioso perché accurato e tuttavia capace di prendere distanza dai singoli dettagli, per disegnare un quadro d’insieme che non si limita ad una descrizione avalutativa ma entra nel merito delle politiche praticabili e definisce delle priorità. Per chiunque voglia occuparsi di sviluppo della montagna c’è qui un condensato di analisi e riflessioni dal quale non si può prescindere. Una base indispensabile da cui partire per una promozione dell’autoimprenditorialità come strumento centrale di una politica di sviluppo della montagna, in un tempo nel quale l’unica vera crescita è quella che si concentra sulla persona, le sue capacità, il suo livello di conoscenza, la responsabilità di cui sa farsi carico, la stima che riscuote, l’autonomia di cui è capace, la fiducia su cui può contare, le relazioni in cui si pone con altre persone con le stesse caratteristiche.

In breve, siamo in un tempo in cui la scelta dell’autoimpiego è sempre meno residuale e subordinata, perché – come scrive Remi – “ormai l’economia va avanti in modo tale che nessuno è più in grado di garantire niente a nessuno”. Ne consegue che il rischio va gestito a partire dalla capacità di ciascuno di noi – al tempo stesso lavoratore, consumatore, imprenditore, risparmiatore, cittadino – di prendere in mano il proprio futuro, senza delegarlo ad altri. Una lezione tuttaltro che nuova per la gente della montagna.

Gianluca Salvatori

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1. I processi di modernizzazione dei territori montani

Il presente volume riassume i risultati di un intervento di animazione territoriale sviluppato nell’arco di un triennio (maggio 2005 – settembre 2008), finalizzato alla promozione di nuove iniziative imprenditoriali e forme di lavoro autonomo nei comuni ricadenti nelle aree dell’obiettivo 2 della Provincia Autonoma di Trento.

I risultati di questo lavoro vogliono costituire un ulteriore tassello nel processo di progressiva demolizione di una convinzione - ancora molto diffusa anche se declinante – che attribuisce alle aree montane del Paese un connotato di arretratezza e di marginalità che si traduce in un evitabile bisogno di assistenza. Aree di cui, con politiche redistributive e trasferimenti, bisogna in qualche modo farsi carico, ma che rappresentano sostanzialmente un peso per l’economia nazionale.

Quando il Censis nel 2002, per la prima volta ha pubblicato una stima del valore aggiunto prodotto nel territorio montano (circa 165 miliardi di euro su base dati 1999), sono stati in molti a stupirsi. In particolare, se la montagna era in grado di produrre il 16,1% del valore aggiunto del Paese con una popolazione corrispondente al 18,7% del totale nazionale, qualcosa andava sicuramente rivisto nelle tradizionali interpretazioni sulla debolezza dell’economia montana. Con quel lavoro si era aperta una breccia. Non a caso quei dati sono comparsi in numerose pubblicazioni, sono stati ripresi in documenti ufficiali di carattere istituzionale e citati in innumerevoli convegni.

Oggi quella breccia si può allargare ulteriormente. Infatti, nelle stime attuali, prodotte sempre dal Censis nel 2007 con una trasposizione sul livello comunale dei dati provinciali del 2003 (ovvero i più aggiornati per questo tipo di indicatore), il sistema montagna nel suo complesso appare ancora più robusto. Il valore aggiunto dei territori montani può essere stimato in circa 203 miliardi di euro, ossia il 16,7% del totale nazionale. Nei quattro anni che separano le due indagini, dunque, la montagna è cresciuta più della media del Paese. I dati indicano una crescita del valore aggiunto del 10,5% contro il 6,5% della media nazionale.

La transizione economica delle aree montane va quindi sottratta, sia dal punto di vista del racconto, sia da quello delle analisi, alla marginalità in cui è stata relegata e va ricollocata nel passaggio che sta avvenendo tra la società industriale - caratterizzata dal capitalismo urbano industriale per il quale le aree montane erano solo la periferia del processo economico - e la società dell’informazione, caratterizzata da un’economia dei flussi che trova nella montagna un fondamentale luogo di soddisfacimento di nuovi bisogni.

Il territorio montano, e in primo luogo quello alpino, riserva a questo riguardo molte sorprese, in special modo negli ultimi decenni, nel corso dei quali sembra essere divenuto luogo di sperimentazione della tarda modernità, o di una nuova epoca i cui tratti non sono stati ancora definiti. Il contesto montano è diventato luogo privilegiato di modernizzazione, di ricerca e innovazione per la tutela dell’ambiente, la gestione del ciclo dell’acqua e delle fonti rinnovabili di energia, la ricerca tecnologica, la sperimentazione di nuove soluzioni architettoniche, l’introduzione di modelli innovativi per la gestione del patrimonio pubblico.

La nuova organizzazione spazio-temporale della produzione ha modificato il ruolo economico del territorio e la sua capacità attrattiva. I territori di montagna oggi non sono più la periferia del sistema industriale, buoni solo per fornire manodopera e materie prime. Ma acquistano una nuova centralità legata ai loro peculiari aspetti di qualità dell’ambiente e delle loro relazioni sociali.

La competitività delle imprese oggi si gioca principalmente sui fattori immateriali della produzione. Questo significa che quando sono garantite le dotazioni infrastrutturali che consentono

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l’accesso alle grandi reti di comunicazione e la disponibilità di aree attrezzate, ad assumere rilevanza è un contesto favorevole all’innovazione non disgiunto da aspetti di qualità ambientale e sociale. Innovazione e qualità ambientale diventano i codici di comunicazione delle imprese, ne certificano la qualità delle produzioni, diventano parte integrante della loro immagine.

Il ricco patrimonio di beni ambientali e storico culturali della montagna alimenta una nuova domanda di fruizione turistica - fondata sulla valorizzazione della qualità e della differenza - che trova la corrispettiva offerta in forme originali di ospitalità diffusa, nella valorizzazione delle specificità agroalimentari e artigianali, nelle innovative forme di intrattenimento capaci di valorizzare l’esperienza connessa alla fruizione della montagna ed al consumo dei suoi prodotti.

La stessa agricoltura di montagna è oggi coinvolta in un processo di modernizzazione che porta progressivamente la microimpresa agricola ad affrancarsi da un’immagine di comparto marginale e fortemente assistito dall’intervento pubblico. Dall’osservazione territoriale di quanto accade nel mondo delle microimprese agricole se ne ricava un’immagine tutt’altro che statica o regressiva. Sul piano strettamente produttivo e distributivo, sono individuabili una pluralità di tendenze volte a definire un nuovo ruolo ed un nuovo modello di sostenibilità economica della microimpresa agricola di montagna. Rientrano all’interno di tali tendenze: la valorizzazione di produzioni tipiche in mercati di nicchia; la diffusione delle colture biologiche; l’investimento in forme alternative di coltivazione e di allevamento; l’investimento in attività di trasformazione e commercializzazione capaci di dare valore aggiunto alle produzione aziendali; iniziative come il “Kilometro 0” (le reti di locali che offrono prodotti del territorio che non devono percorrere lunghe distanze prima di giungere in tavola); la diffusione di distributori automatici per la commercializzazione di latte appena munto; la diffusione dei “farmer markets” (i mercati esclusivi degli agricoltori nelle città). Il nuovo modello di sostenibilità economica è ulteriormente rafforzato dal carattere di multifunzionalità dell’impresa agricola che porta ad una sempre maggiore integrazione tra attività agricola, turismo, artigianato e servizi alla collettività.

L’artigianato, ancor più del turismo e dell’agricoltura, rappresenta lo “zoccolo duro” delle economie montane: la principale attività economica che consente di far vivere questi territori e quindi di mantenere viva la comunità. Il numero di imprese artigiane è un indicatore del benessere di una comunità, basta pensare al ruolo dell’artigianato, nel fornire occupazione, nel fare manutenzione del territorio, nel fornire i servizi di base che consentono la permanenza e la vita della comunità. L’artigianato di montagna va oggi oltre lo stereotipo che lo lega ai vecchi mestieri ricchi di tradizione e poveri di futuro. Le imprese artigiane collocate in territori montani sono oggi specializzate in produzioni di qualità in ambito tecnologico, artistico, gastronomico, capaci di operare in distretti e filiere di subfornitura fortemente specializzate, di esportare i propri prodotti nel mondo. La competitività di queste imprese si gioca sulla capacità di coniugare tradizione ed innovazione creando un mix originale, una competenza che appartiene a quello specifico territorio. Ed è qui il grande valore dell’impresa artigiana ed il suo importante ruolo nello sviluppo delle aree montane. I territori montani sono luoghi ricchi di identità e l’impresa artigiana è il luogo dove questa identità viene rielaborata e valorizzata, si trasforma in valore economico e quindi in sviluppo.

In un contesto di razionalizzazione e progressiva riduzione della spesa pubblica nei piccoli comuni di montagna si manifesta un’erosione di beni pubblici che è al contempo causa ed effetto di fenomeni di spopolamento. A fronte di questa dinamica sono molte le amministrazioni locali che sperimentano nuovi modelli di gestione economica dei servizi alla collettività. Nuovi modelli di welfare municipale che - rielaborando tradizionali forme di mutualismo consolidate nei territori alpini - danno origine a nuove esperienze di impresa sociale, attraverso cui le comunità locali si auto-organizzano imprenditorialmente per dare risposte a propri specifici bisogni.

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Nei contesti montani turismo, artigianato, agricoltura, servizi sociali non rappresentano settori tra loro separati, ma un unico sistema socio-economico fortemente integrato, soggetto a continui scambi e contaminazioni, il cui scopo è garantire il presidio e la manutenzione del territorio, la qualità della vita delle comunità locali e la valorizzazione di un unico prodotto che si chiama “montagna”.

Nelle economie locali delle tante valli trentine - che sono state oggetto dell’intervento presentato in questo volume - hanno ormai preso corpo culture dello sviluppo che pongono il territorio e la sua qualità al centro dei propri processi di crescita, sono cresciuti interessi economici fondati su una duplice specializzazione: geografica da un lato, ed economica dall’altro. Il che, sempre più spesso, si traduce in politiche di qualità dei prodotti, della vita e dell’ambiente circostante e in una declinazione di questi aspetti in tutti i settori di attività economica e sociale (turismo, agricoltura, agroalimentare, industria, servizi sociali).

Alla base di queste dinamiche c’è un processo di “imprenditorializzazione del lavoro” che riguarda tanto le persone, quanto le società locali; un processo per certi versi epocale, che caratterizza la generale evoluzione delle moderne società industriali e che, nelle aree montane, si coniuga con delle preesistenze che possiamo ricondurre alla “specificità alpina”, costituite:• daglioggettivivincolimorfologicieinfrastrutturaliall’attivitàdiimpresa;• dallastagionalitàescarsaremunerativitàdimolteattivitàeconomichechevengonosvoltein

aree montane;• dallacentralitàdelladimensioneterritorialenelladefinizionedeifattoridicompetitivitàdei

settori di specializzazione economica di queste aree (edilizia, turismo e agricoltura);• dall’esistenzadiimportantiesternalitàambientaliconnessealpresidioeallamanutenzione

del territorio montano;• daunospirito“imprenditivo”chesiesprimeancheneldiffusoricorsoamodellidiintegrazione

del reddito;• dall’esistenzadireticolisocio-economicieproduttivicheconsentonounadistribuzionesociale

del rischio di impresa.

Accompagnare questo processo di imprenditorializzazione del lavoro è oggi una priorità delle politiche di sviluppo della montagna. Si tratta di operare per offrire adeguati livelli di vita anche in zone decentrate, valorizzando le opportunità di lavoro che possono nascere dal diffondersi forme di auto impiego a livello locale. Dai piccoli comuni di montagna emerge una domanda di intervento finalizzata a tre obiettivi prioritari:• allacreazionedinuovaimprenditorialitàendogenafondatasulladiversificazioneeintegrazione

della struttura economica e sulla piena valorizzazione delle risorse locali;• al rafforzamento del ruolo svolto alle imprese locali (agricole, artigianali e turistiche),

promovendone i caratteri di innovazione e di collegamento ai mercati;• a potenziare il carattere di multifunzionalità delle attività economiche, con particolare

riferimento a quelle agricole e commerciali.

La crescita di microimprese e di forme di lavoro autonomo, rilevabile in queste aree, nonostante alcuni elementi di arretratezza che devono essere progressivamente corretti, non rappresenta un’anomalia pre-moderna, ma una costruzione antropologica e sociale dotata di futuro, avendo le carte in regola per essere parte attiva della nuova modernità. Se guardiamo al futuro ci accorgiamo che esiste uno spazio crescente per lo sviluppo di forme distribuite di intelligenza produttiva, in cui i molti nodi di una rete sono connessi da rapporti diretti di fiducia e cooperazione.

Le nuove forme dei lavori si fondano su processi di individualizzazione e reticolarità: di individualizzazione, perché alla produzione di valore economico partecipano ormai in misura

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assolutamente rilevante le competenze delle singole persone che forniscono le proprie prestazioni nelle diverse forme in cui ormai si articola il lavoro indipendente; di reticolarità, perché il lavoro individuale non nega, anzi al contrario, richiede la crescita delle connessioni tra segmenti del ciclo, tra diverse funzioni, tra singole competenze.

Da questo punto di vista i territori montani rappresentano un laboratorio della modernità dove assumono rilevanza le culture del lavoro radicare in queste aree ed i reticoli di cooperazione che - come ben si evidenzia nel caso trentino - consentono una diffusione della microimpresa anche nei territori più periferici ed uno sbocco delle produzioni sui mercati nazionali ed internazionali.

Inoltre, i territori montani sono caratterizzati da competenze distintive, riconoscibili, difficilmente riproducibili e banalizzabili, capaci di produrre valore aggiunto nelle reti globali. Nelle aree montane è ormai diffusa la consapevolezza che modernizzazione non significa necessariamente compromissione dell’ambiente e dei rapporti sociali, al contrario è possibile osservare:• comelaqualitàdiunterritoriosiaunbeneconsideratosemprepiùpreziosoanchesulpiano

economico, molte realtà territoriali e imprenditoriali hanno imparato a fare della qualità ambientale un proprio vantaggio competitivo ed un’opportunità di business;

• come i meccanismi di coesione sociale, di identità, e di vivacità della cultura locale sianoconsiderate una precondizione essenziale per sviluppare offerte e competenze distintive e nel determinare, di conseguenza, l’efficienza e lo sviluppo dei territori montani, in un’ottica di modernizzazione sostenibile.

Il concetto di modernità deve essere assunto come concetto chiave all’interno delle politiche di sviluppo della montagna. Nel senso che la modernità o viene riconosciuta, valorizzata, governata, oppure viene subita. Viene subita con la chiusura dei servizi e con l’apertura dei grandi centri commerciali; con infrastrutture che attraversano il territorio senza dare risposte ai bisogni locali; con flussi migratori che a volte producono spopolamento, ma altre volte producono problemi di integrazione degli immigrati; con una “parchizzazione” del territorio che troppo spesso vincola senza produrre sviluppo; con flussi turistici che hanno il solo risultato di consumare il territorio; con la chiusura di attività produttive che non hanno gli strumenti per affrontare la competizione.

Assumere la modernità come riferimento per la definizione di politiche dello sviluppo della montagna non significa negare la tradizionale identità di un territorio, al contrario, un’identità forte è oggi il presupposto per stare nella modernità. È urgente capire che, nell’epoca del produrre per competere che stiamo vivendo, il territorio montano è uno spazio “glocale”, dove il locale si unisce al globale.

Nella modernizzazione i concetti di comunità ed identità locale – da sempre alla base delle dinamiche di sviluppo di questi territori - si attualizzano e si esprimono attraverso la crescita:• di interessi economici fondati sulla qualità del bene territorio nelle sue diverse accezioni

ambientale, culturale e produttiva e sulla sua conseguente capacità di generare flussi;• diformediintegrazionetralediverseattivitàpresentilocalmentevolteadefinireun’immagine

unitaria di territorio;• nelconsolidamentodiunsistemadireti(locali,metropolitaneeglobali),capacidigarantire

qualità della vita e competitività del territorio in un’economia fatta di flussi.

A mutare è il ruolo economico del territorio e la sua capacità attrattiva. Quello che conta nella nuova economia è l’offerta che il territorio è in grado di proporre in termini di conoscenze, reti, e qualità ambientale, non solo per quelle attività che fanno riferimento al territorio come fattore produttivo strategico, ma anche per quei fattori di attrattività che, in particolare in una realtà come quella trentina, risultano, sotto alcuni aspetti, già superiori alla media nazionale, ma che devono essere incrementati al fine di garantire una maggiore diversificazione delle attività.

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2. Le motivazioni ed i risultati dell’intervento di animazione imprenditoriale

L’intervento di animazione territoriale realizzato in provincia di Trento si colloca nell’ambito del Documento Unico di Programmazione (Docup) 2000-2006 che - nell’Asse 1, Misura 1 “Interventi per l’insediamento, riconversione e riqualificazione delle piccole e medie imprese”- prevedeva la possibilità di attivare interventi a favore delle piccole e medie imprese situate nelle zone decentrate e marginali, favorendone la crescita occupazionale ed economica, creando condizioni a favore dell’insediamento di attività economicamente sane ed in grado di competere sul mercato.

In tale cornice - e in particolare nell’ambito della promozione di politiche di contesto di cui alla lettera d) della suddetta Misura 1 - si colloca l’iniziativa, assunta dall’Autorità di gestione del Docup, in collaborazione con l’Agenzia dello sviluppo provinciale (oggi Trentino Sviluppo SpA), di definire un intervento di ‘animazione territoriale finalizzata alla promozione di forme di lavoro autonomo e iniziative imprenditoriali nei comuni trentini ricadenti nelle aree obiettivo 2.

Le motivazioni dell’intervento trovano uno specifico riferimento nelle conclusioni del valutatore indipendente che, nelle raccomandazioni del rapporto di valutazione intermedia del Docup – redatto nell’anno 2003 - individuava come: “un problema di fondo di alcuni comuni è legato alla mancanza di tessuto imprenditoriale; gli interventi previsti dal DOCUP possono sicuramente stimolare nuovi investimenti, ma sarebbe opportuno rafforzare strumenti di “animazione” che stimolino l’imprenditoria anche nei territori più marginali, indirizzando quanto più possibile le azioni alle categorie di popolazione, in particolare i giovani e le donne, che, se maggiormente motivate, potrebbero rispondere positivamente”. Tali raccomandazioni evidenziavano la necessità di impostare un intervento di animazione capace di coniugare la logica dell’agire sociale sul territorio con quella della cultura d’impresa e del lavoro autonomo, mettendo in relazione le risorse umane con i beni materiali e immateriali che costituiscono il patrimonio, spesso non valorizzato, di ogni comunità locale.

L’intervento non si poteva quindi limitare ad una semplice attività di sportello volta a fornire informazione sulle opportunità legislative a sostegno della creazione d’impresa, ma si doveva caratterizzare come un intervento di animazione culturale che si propone di qualificare culture e atteggiamenti dei soggetti locali rispetto ai temi del lavoro, dell’impresa e dello sviluppo territoriale in relazione alle attuali dinamiche di trasformazione del sistema produttivo e del mercato del lavoro.

Più che un semplice intervento di creazione di impresa, l’intervento si è quindi caratterizzato come un’attività di accompagnamento del processo di “imprenditorializzazione del lavoro” che costituisce uno dei principali caratteri evolutivi del postfordismo e che, anche nelle aree montane marginali, si esplicita presentando aspetti peculiari.

Sempre più, l’investimento a rischio sulle proprie capacità professionali è oggi una pratica necessaria per accedere al mercato del lavoro a tutti i livelli dell’organizzazione sociale. Questo impone l’attivazione di politiche che promuovano la cultura di impresa come strumento di inclusione sociale. Si tratta, in sostanza, di favorire un processo di apprendimento sociale orientato all’autoimprenditorialità ed al lavoro autonomo e quindi basato sull’investimento di risorse che sono proprie dell’individuo: il proprio capitale umano, costituito dalle competenze, abilità, capacità di assumersi il rischio di un’attività autonoma; il proprio capitale sociale, che è fatto dalle relazioni che ciascuno è in grado di mobilitare per fini produttivi. Tutto ciò, valorizzando al contempo quel sapere contestuale e quelle risorse territoriali che sono patrimonio delle comunità locali (competenze distintive), in relazione ai processi evolutivi del mercato e dei nuovi modelli di consumo che sono in buona parte di carattere esogeno.

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La caratteristica principale dell’intervento è stata la territorializzazione del processo di creazione di impresa in stretta relazione con le dinamiche e con le progettualità di sviluppo locale che si esprimevamo nei vari contesti trentini. L’azione si è sviluppata con attività di animazione realizzate a livello dei singoli comuni e con attività di ricerca azione e assistenza tecnica alla creazione di impresa condotte nell’ambito di microsistemi territoriali, in buona parte coincidenti con la perimetrazione dei patti territoriali sviluppati in Provincia di Trento a partire da 2000.

In estrema sintesi, l’intervento di animazione si è posto gli obiettivi di:• sviluppare nell’insieme della comunità locale una più chiara comprensione dei fenomeni

economici e sociali che caratterizzano l’evoluzione dell’area;• evidenziareiprocessievolutividelmercatoedeimodellidiconsumochepossonotrovarealivello

locale offerte imprenditoriali fondate sulla valorizzazione ed integrazione delle risorse locali;• sviluppare,inparticolaretraigiovani,undiversoapproccioalmercatodellavoroincentratosulla

valorizzazione delle proprie competenze e relazioni, sulla capacità di leggere le trasformazioni del mercato e sulla capacità di governare il rischio connesso all’attività di impresa;

• sviluppareunsistemadirelazionitrasoggettiistituzionali,socialiedimprenditoriali,internee esterne alle aree di intervento, a sostegno delle nuove iniziative imprenditoriali ed in stretta relazione con le politiche di sviluppo locale attive nei territori di riferimento (principalmente i patti territoriali);

• creare nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo, anche con funzioni diintegrazione del reddito, avvicinando il concetto di impresa alle reali esperienze di lavoro e di vita delle persone e valorizzando quelle che sono le specificità delle economie locali trentine.

Comuni Obiettivo 2 non compresi nei patti territoriali

Comuni phasing out non compresi nei patti territoriali

Comuni Obiettivo 2 non compresi nei patti territoriali

Comuni phasing out non compresi nei patti territoriali

Figura 1 Aree di intervento del progetto animazione imprenditoriale

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I consistenti dati di partecipazione al progetto - in particolare di partecipazione agli incontri di animazione realizzati nei comuni – sono testimonianza di una sensibilità e di una consapevolezza socialmente diffusa rispetto alle trasformazioni del lavoro e della struttura produttiva.

La lunga fase di confronto con la popolazione condotta nel corso di 129 incontri serali nelle singole realtà comunali ha dato origine ai dati di flusso del progetto riportati nella seguente tabella.

BOX 1 LE COORDINATE DELL’INTERVENTO DI ANIMAZIONE IMPRENDITORIALE

❑ Intervento fortemente calato sul territorio e nella dimensione del sociale. L’intervento si sviluppa per microsistemi territoriali (Patti territoriali). Più che un intervento di creazione di impresa, l’azione si caratterizza come un accompagnamento del processo di “imprenditorializzazione del lavoro” che caratterizza l’evoluzione post-fordista dell’economia e della società (crescita delle forme di lavoro autonomo, atipico, ruolo del “capitalismo personale”.).

❑ Intervento volto a valorizzare la cultura di impresa quale mezzo di inclusione sociale e come strumento cardine delle politiche attive del lavoro.

❑ Intervento volto a rendere il concetto di impresa più aderente alle reali esperienze di lavoro e di vita delle persone, valorizzando quelle che sono le specificità delle economie locali trentine (per esempio l’intervento promuove anche le forme di integrazione del reddito tipiche delle economie montane).

❑ Intervento volto a creare e consolidare le reti che consentono una “divisione sociale del rischio di impresa” che già caratterizzano l’economia dei sistemi locali trentini (es. ruolo della cooperazione). L’intervento intende in tal senso attivare, accanto all’offerta istituzionale (incentivi, assistenza tecnica, ecc.), anche una ”offerta di territorio” (ruolo dei Sindaci, delle categorie economiche, degli istituti bancari, relazioni produttive con imprese presenti sui territori, logiche di filiera, ecc.)

❑ Intervento volto ad una comprensione socialmente diffusa dei processi di trasformazione economica che connotano le economie locali trentine nei settori dell’artigianato, del turismo, dell’agricoltura, dell’impresa sociale (es. valorizzazione dell’ “economia dell’esperienza” e nuovi servizi turistici, integrazione tra settori economici, plurifunzionalità dell’impresa agricola e commerciale, reti di subfornitura e di filiera, nuove forme dei servizi alle imprese e fattori immateriali dello sviluppo, lavoratori della conoscenza, impresa sociale di comunità e nuove forme di welfare mix, ecc.)

❑ Intervento volto a supportare ed integrare, attraverso l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali e forme di lavoro autonomo, le strategie di sviluppo locale attivate con i patti territoriali.

❑ Intervento volto al consolidamento e all’evoluzione degli strumenti di programmazione negoziata nei contesti locali (progettualità orientate ai fattori immateriali di sviluppo e alle reti lunghe di mercato.)

❑ Intervento volto a supportare (attraverso l’esplicitazione della domanda sociale) la definizione di un’offerta istituzionale di stampo post-fordista (nuove politiche del lavoro e del welfare, della formazione, per l’imprenditorialità femminile, per l’innovazione, ecc.)

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Tabella 1 Dati di flusso dell’attività di animazione imprenditoriale (periodo maggio 2005 - settembre 2008)

n. incontri di animazione imprenditoriale nei comuni 129 -

n. partecipanti agli incontri di animazione (schede di partecipazione) 1.878 100,0%

n. partecipanti che hanno manifestato interesse ad avviare un’attività autonoma 1.074 57,2%

n. idee di imprese presentate (questionari di ingresso all’assistenza tecnica) 410 21,8%

n. giornate dedicate a incontri di verifica e primo orientamento 78 -

n. partecipanti agli incontri di primo orientamento 391 20,8%

n. di giornate di formazione sul piano di impresa effettuate 54 -

n. partecipanti agli incontri di formazione sul piano di impresa 213 11,3%

n. di piani di impresa elaborati 135 7,1%

n. progetti indirizzati alle associazioni di categoria 42 2,2%

n. di progetti indirizzati ai servizi provinciali 53 2,8%

n. di imprese avviate 75 3,9%

Nelle schede di partecipazione alle serate di animazione, alla domanda sull’interesse ad avviare una nuova attività, di qualunque tipo, (anche di integrazione del reddito) purché esercitata in forma autonoma, ha risposto affermativamente il 57,2% dei partecipanti. Anche se poi, un più limitato 21,8% dei partecipanti ha dato concretamente seguito a tale interesse compilando il questionario di presentazione della propria idea imprenditoriale.

Questi dati dimostrano come, anche nelle aree periferiche della provincia di Trento, la modernizzazione del sistema economico - accompagnata da un processo di scomposizione delle forme del lavoro - incida sulla percezione dei soggetti.

A fronte del sostanziale blocco delle assunzioni nel settore pubblico, della chiusura di importanti imprese localizzate in queste aree, dei processi di trasformazione delle economie agricole e turistiche, dei processi di riorganizzazione produttiva nell’ambito di filiere di piccola e media impresa, entrano in crisi i consolidati - seppur relativamente recenti - modelli fordisti di produzione del reddito e di sicurezza sociale.

Le preoccupazioni delle famiglie rispetto all’inserimento lavorativo dei figli, la necessità di incrementare l’occupazione femminile, le opportunità di diversificazione ed integrazione delle attività economiche, sono stati i principali argomenti emersi dal dibattito pubblico nel corso delle serate di animazione.

Il processo di imprenditorializzazione del lavoro è, in queste aree, un processo già dispiegato, reso evidente dalla crescita delle forme del lavoro autonomo (in particolare nel settore artigiano e terziario) dalla diversificazione dei modelli d’offerta turistica e delle produzioni agricole in settori di nicchia, dal diffondersi di forme di lavoro atipico attraverso cui un crescente numero di giovani – altamente scolarizzati - accede al mercato del lavoro.

A sostenere questo processo, come vedremo in seguito, vi è spesso un recupero di memoria fatto di cultura del lavoro, di dimensione di comunità e di legame con il territorio.

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3. Perché promuovere la microimpresa?

Un intervento di animazione imprenditoriale condotto in aree montane fa principalmente riferimento alla creazione di microimprese, se non - come nel nostro caso - a forme di lavoro autonomo e attività integrative del reddito. Tale approccio non può essere dato per scontato in quanto, nell’ambito del dibattito sulle politiche di sviluppo, incontra spesso obiezioni e rilievi critici che meritano alcune riflessioni.

Oggi all’interno del dibattito sulle prospettive economiche del nostro Paese prevale una visione “declinista”, che pone al centro della propria riflessione i numeri spesso impietosi del PIL nazionale, della contrazione delle quote di export, della scarsa qualificazione del capitale umano e - in particolare - della mancanza di big players internazionali e del peso eccessivo delle piccole e microimprese, per adombrare un destino per l’Italia di paese di seconda schiera. In un clima generale di ricerca e di brama di imprese più grandi di quelle effettivamente esistenti a livello nazionale, la categoria delle microimprese rappresenta - per molti analisti - un gruppo folto di maglie nere verso le quali l’unica attenzione degna e possibile è la speranza di vederle almeno diminuire. La piccola dimensione di impresa è da sempre considerata un’anomalia del sistema produttivo italiano rispetto ad altri, un residuo di un’economia tradizionale destinato con il tempo a sparire. Secondo tale interpretazione, le politiche di sviluppo dovrebbero essere indirizzate all’attrazione di investimenti, alla formazione dei lavoratori, a sostenere l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, alla crescita delle imprese, e non certo ad aumentare la platea delle microimprese, incapaci - secondo gli stessi analisti - di sostenere gli aumentati livelli di competitività.

Un ulteriore filone critico, sviluppatosi nell’ambito del dibattito sul postfordismo, arriva perfino a negare alla microimpresa lo statuto di vera e propria impresa. La commistione tra capitale e lavoro, rilevabile nella piccola dimensione di impresa, fa saltare lo schema shumpeteriano di divisione dei ruoli all’interno dell’impresa (capitale, management e forza lavoro) e nei fatti nasconde i fenomeni di precarizzazione e di sfruttamento (e autosfruttamento) che caratterizzano i nuovi modelli di organizzazione produttiva e del lavoro. Secondo questi analisti un organismo che ha meno di tre dipendenti può essere chiamato “impresa” solo per ragioni ideologiche, cioè per voler inquadrare nella borghesia capitalistica quello che è invece il variegato universo del lavoro autonomo con un elementare grado di organizzazione1, fenomeno antico ma esploso proprio in coincidenza del diffondersi di rapporti postfordisti.

Tali rilievi critici, seppur in parte condivisibili in quanto evidenziano alcune debolezze strutturali della piccola dimensione di impresa (più bassa produttività media del lavoro, minore capitale per addetto, minore produttività per addetto, scarsità di capitale, indebitamento ecc.), sembrano non prendere in considerazione alcune peculiarità di tipo quantitativo e qualitativo di questo tipo di imprese ed il contributo che esse hanno dato, e continuano a dare, alla competitività del sistema Paese.

In Italia la piccola dimensione di impresa non identifica una categoria particolare, ma una condizione tipica del produrre, del lavorare, del vivere. Una condizione, cioè, che riguarda la maggior parte delle persone che sono, a vario titolo, coinvolte in attività produttive. In Italia fanno impresa più di sei milioni di persone. La maggior parte di queste imprese, piccole o grandi che siano, hanno dietro una famiglia. Se ne deduce che circa venti milioni di persone vivono del “fare

1 Sergio Bologna, “Ceti medi senza futuro? Scritti, appunti sul lavoro e altro”, DeriveApprodi, Roma 2007

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impresa”. Il tasso di natalità delle imprese è un record italiano, decine di migliaia ogni anno, i dati sulla diffusione a livello nazionale contano un’impresa ogni dieci abitanti. Questi dati ci dicono che le imprese sono un grande laboratorio di integrazione, appartenenza e mobilità sociale. A tale proposito basterebbe citare i crescenti numeri di imprese dirette da donne o avviate da immigrati extracomunitari. Il “fare impresa” è un bacino di importanti virtù civiche che non creano solo ricchezza, ma anche valori socialmente condivisi.

A livello nazionale il 47% circa della forza lavoro occupata nell’economia di mercato, lavora in cosiddette “microimprese” con meno di dieci dipendenti, la cui dimensione media non supera i 2,7 addetti per impresa. Queste imprese “false”, che sono le imprese individuali e le microimprese, sono le uniche che negli ultimi anni hanno aumentato l’occupazione, nel caso italiano - come attestato dalla convergenza di alcune ricerche CNEL.2 - ma anche a livello europeo, come illustrato nella seguente figura 2.

Figura 2 Sviluppo dell’occupazione (Europa 19) Fonte: Barriccelli www microimpresa.it

Già partire dagli anni ’80, le piccole imprese, hanno cessato di rappresentare, nell’immaginario collettivo, il residuo di modi pre-moderni di produrre e di competere. E questo è sostanzialmente dovuto all’inaspettato successo competitivo della piccola dimensione di impresa che, con la crescita delle economie distrettuali, le forti percentuali di esportazione, la qualità delle produzioni, l’innovazione tecnologica, ha saputo conquistarsi il ruolo di asse portante dell’economia italiana. Migliaia di piccoli imprenditori e di artigiani hanno rapidamente appreso la lezione della modernità innovando le loro imprese, creando i distretti, la loro internazionalizzazione, il made in Italy e gran parte di quei fattori che rendevano il nostro Paese un modello di flessibilità e di competizione, che dall’estero venivano a studiare. I fattori che hanno dato competitività alla piccola dimensione di impresa sono molteplici:• vièsenz’altroilcoraggioel’intelligenzaimprenditorialedeisoggetti;• visonoivantaggidellaflessibilitàconsentitadallapiccoladimensione,checonlacrisidel

fordismo hanno assunto una nuova centralità;

2 Si veda in particolare CNEL, “Rapporto sul mercato del lavoro 2003”, Documenti n. 39, novembre 2004, in www.cnel.it.

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• vièpoilacapacitàdiaverecreatoappartenenzeeconomiche,nelsensochelapiccolaimpresaha imparato a sentirsi parte di un sistema più vasto, (reti di imprese, sistemi di subfornitura, distretti) che gli ha permesso di perseguire strategie di specializzazione, raggiungere economie di scala e superare gran parte dei limiti connessi alla piccola dimensione.

Sono questi i numeri e le risorse che ha portato a descrivere il capitalismo italiano come un capitalismo molecolare, di piccole imprese in rete tra di loro, un capitalismo territorialmente e socialmente diffuso, dove le imprese - per dirla alla Becattini3 - sono un progetto di vita.

La piccola dimensione di impresa non è, comunque, una peculiarità solo italiana. La stessa Unione Europea ha più volte riconosciuto il ruolo svolto dalla piccola impresa nella vita economica e sociale del continente: ruolo indubbiamente rilevante se si pensa che poco meno dell’80% delle imprese europee è collocato nella fascia dimensionale compresa tra 1 e 9 addetti, mentre appare modesta l’incidenza delle medie e, soprattutto, delle grandi imprese.

Tabella 2 Micro, piccole e medie imprese manifatturiere nell’Europa a 27. Principali aspetti strutturali (2004, % sul totale, salvo produttività del lavoro)

Numerodi Imprese

Addetti FatturatoValore

aggiuntoProduttività

lavoro1-9 addetti 79,7 13,6 6,0 7,0 23,6

10-19 addetti 9,6 8,4 4,9 6,0 32,2

20-49 addetti 6,0 11,9 8,3 9,4 36,1

50-249 addetti 3,8 24,7 21,1 22,2 41,1

Oltre 250 addetti 0,8 41,3 59,7 55,3 61,2

Fonte: elaborazioni Istituto G. Tagliacarne su dati Eurostat

La centralità della piccola dimensione di impresa è stata riconosciuta nel dibattito economico europeo sin dalla “Nuova definizione di PMI” entrata in vigore dal 1 gennaio 20054. Due sono state le tappe fondamentali di questo percorso: il Consiglio di Lisbona (23-24 marzo 2000) e l’approvazione della “Carta europea della piccola impresa” da parte del Consiglio di Feira (Portogallo, 19-20 giugno 2000). In quest’ultimo documento è stato riconosciuto esplicitamente che “le piccole imprese costituiscono il motore dell’innovazione e dell’occupazione in Europa” e vengono formulate dieci linee d’azione dirette a promuovere l’imprenditorialità e migliorare il contesto delle piccole imprese.

Secondo i dati dell’Osservatorio europeo sulle piccole imprese il nuovo imprenditore europeo è giovane ha un’età media di 35 anni e fa impresa sulla base di un know-how acquisito in precedenza, fatto che diviene particolarmente marcato nel caso degli imprenditori nel settore dei “servizi alle imprese” e nell’”alta tecnologia”, che hanno raggiunto un livello di istruzione più elevato rispetto a quelli del settore manifatturiero. Una microimpresa su cinque è gestita da una donna: oltre il 29% di tutti gli imprenditori europei sono donne, e le loro imprese sono attive principalmente nei settori commerciali e vendite e nei servizi personali. Nei contesti metropolitani una nuova azienda ogni tre, ha come titolare un immigrato.

Il maggior ruolo della microimpresa nel contesto italiano è invece evidenziato dai dati ISTAT (archivio ASIA). Nel 2006 sono oltre 4,4 milioni le imprese attive nell’industria e nei servizi, che occupano complessivamente circa 17,1 milioni di addetti. La prevalenza di micro imprese

3 Becattini G., Dal distretto industriale allo sviluppo locale, Bolatti Boringhieri 2000 Torino.4 Raccomandazione della Commissione 96/3617CE, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese,

piccole e medie imprese, GU L.124 del 20 maggio 2003, pp.36-41.

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nel sistema produttivo italiano è testimoniata dalle oltre 4 milioni di imprese con meno di 10 addetti: esse rappresentano il 95 per cento del totale e, come già detto, occupano il 47 per cento degli addetti.

Tabella 3 Italia - Imprese e addetti per classi di addetti e settore di attività economica – Anno 2006 Fonte: Istat, Archivio Statistico delle Imprese Attive

CLASSIDI ADDETTI

(a)

ATTIVITÀ ECONOMICHETotaleIndustria

in senso strettoCostruzioni

Commercioe alberghi

Altri servizi

Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti

1 176.641 177.564 316.020 318.778 823.536 823.338 1.250.245 1.246.302 2.566.442 2.565.982

2-9 254.691 1.005.095 247.769 862.987 640.602 2.067.554 476.841 1.489.323 1.619.903 5.424.958

10-19 52.748 706.507 22.856 294.606 37.482 483.988 29.301 383.551 142.387 1.868.652

20-49 24.681 738.204 6.432 185.963 11.174 327.230 12.999 393.442 55.286 1.644.838

50-249 10.397 999.374 1.468 124.814 3.362 313.171 7.221 725.532 22.448 2.162.891

250 e più 1.461 1.103.571 84 51.462 512 527.227 1.485 1.767.170 3.542 3.449.430

Totale 520.619 4.730.313 594.629 1.838.610 1.516.668 4.542.507 1.778.092 6.005.319 4.410.008 17.116.750

(a) Poiché il numero degli addetti di un’impresa è calcolato come media annua, la classe dimensionale ‘1’ comprende le unità con in media fino a 1,49 addetti; la classe ‘2-9’ comprende quelle con addetti da 1,50 a 9,49, e così via.

Analizzando il peso, in termini di addetti, dei differenti settori economici all’interno di singole classi dimensionali (figura 3), si rileva che l’incidenza dell’industria in senso stretto è minima nelle imprese più piccole (6,9 per cento) e cresce all’aumentare della classe dimensionale, raggiungendo il valore più elevato nella media impresa (da 50 a 249 addetti), dove quasi il 50 per cento dell’occupazione compete proprio all’industria in senso stretto. I settori economici del terziario sono quelli caratterizzati dalla maggiore presenza di micro e piccole imprese; infatti, tra le imprese che occupano fino a 10 addetti sono più numerose quelle dei settori del Commercio e alberghi e degli Altri servizi (complessivamente rappresentano oltre il 76,2 per cento delle microimprese).

Figura 3 Addetti per settore di attività economica e classi di addetti – Anno 2006 (composizioni percentuali)

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Vista la struttura del sistema produttivo italiano, caratterizzato dalla presenza preponderante di microimprese, un segmento di particolare importanza da analizzare è quello delle imprese senza lavoratori dipendenti, il cui input di lavoro è costituito esclusivamente da lavoratori indipendenti. (figura 4). Le imprese senza lavoratori dipendenti in Italia ammontano a circa 2 mln e 923 mila (66,3 per cento del totale delle imprese attive). Una presenza di imprese senza dipendenti ben oltre la media nazionale si ha nei settori dei Servizi alle imprese (80,9 per cento) e del Commercio e riparazioni (71,9 per cento). È questo un segmento particolarmente significativo, non solo per il suo dato dimensionale, ma anche dal punto di vista qualitativo. È in questo segmento, infatti, che si vanno a collocare i nuovi e molteplici lavori ad alto contenuto professionale che accompagnano il processo di terziarizzazione del nostro apparato produttivo minuto ed in cui a prevalere sono le caratteristiche di individualità ed autonomia.

Figura 4 Imprese senza dipendenti per settore di attività economica – Anno 2006 (valori percentuali)

In provincia di Trento le imprese attive nell’industria e nei servizi, secondo i dati ASIA 2005, sono 39.867 e occupano 160.379 addetti; di queste 6.482 sono localizzate nelle aree Docup (obiettivo 2 + phasing out) e occupano 22.146 addetti. Nelle aree Docup sono quindi localizzate il 16,2 % delle imprese ed il 13,8 % degli addetti della provincia.

In provincia, le microimprese sono 37.508 pari al 94% del totale delle imprese attive e occupano il 50,2% degli addetti a livello provinciale. La percentuale delle microimprese sul totale delle imprese attive nelle aree Docup è superiore solo di mezzo punto percentuale al dato provinciale (94,5%), ma contribuiscono maggiormente all’occupazione, con ben il 59,1% del totale degli addetti sul totale degli addetti nelle stesse aree.

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Tabella 4 Ruolo della microimpresa (< di 10 addetti) confronti territoriali

Microimprese (%) Addetti nella microimpresa (%)

Italia 95,0 47,0

Provincia di Trento 94,0 50,2

Aree Docup della provincia di Trento 94,5 59,1

Tabella 5 Imprese e addetti per classe di addetti e settore di attività economica secondo l’archivio ASIA (2005) Fonte: Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive

Provincia di Trento

Classe di addetti

Industriain senso stretto

CostruzioniCommercio e

alberghiAltri servizi Totale

Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti

1 addetto 1.544 1.627 3.865 4.064 5.585 5.950 10.897 11.178 21.891 22.820

Da 2 a 9 addetti 1.981 8.239 2.377 9.281 6.928 25.675 4.331 14.546 15.617 57.741

Da 10 a 19 addetti 381 5.347 300 4.120 524 7.058 241 3.207 1.446 19.732

Da 20 a 49 addetti 217 6.602 121 3.631 146 4.407 144 4.427 628 19.067

Da 50 a 249 addetti 97 9.614 30 2.238 39 3.488 92 9.699 258 25.038

250 addetti ed oltre 12 5.988 - - 6 3.117 9 6.875 27 15.980

Provincia 4.232 37.418 6.693 23.334 13.228 49.695 15.714 49.932 39.867 160.379

Comuni phasing out della provincia di Trento

Classe di addetti

Industriain senso stretto

CostruzioniCommercio e

alberghiAltri servizi Totale

Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti

1 addetto 192 201 467 494 573 609 733 754 1965 2058

da 2 a 9 addetti 252 1083 307 1.170 601 2204 273 854 1433 5311

da 10 a 19 addetti 41 577 34 461 37 506 16 188 128 1732

da 20 a 49 addetti 17 542 10 315 14 413 8 237 49 1508

da 50 a 249 addetti 9 1103 5 318 4 449 4 485 22 2355

250 addetti ed oltre

Totale 511 3506 823 2758 1229 4182 1034 2518 3597 12964

Comuni Obiettivo 2 della provincia di Trento

Classe di addetti

Industriain senso stretto

CostruzioniCommercio e

alberghiAltri servizi Totale

Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti

1 addetto 143 149 491 510 430 463 510 517 1574 1638

da 2 a 9 addetti 219 913 255 993 475 1521 205 679 1154 4106

da 10 a 19 addetti 51 716 28 396 11 145 12 174 102 1432

da 20 a 49 addetti 22 639 12 372 3 86 9 254 46 1351

da 50 a 249 addetti 5 432 2 120 2 121 0 0 9 673

250 addetti ed oltre

Totale 440 2849 788 2391 921 2336 736 1624 2885 9200

Il peso in termini di addetti, dei differenti settori economici all’interno delle singole classi dimensionali (figura 5) conferma quanto evidenziato a livello nazionale: si rileva che l’incidenza dell’industria in senso stretto è minima nelle imprese più piccole e cresce all’aumentare della classe dimensionale, mentre i settori economici del terziario sono caratterizzati dalla presenza di micro e piccole imprese.

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Figura 5 Addetti per settore di attività economica e classe di addetti. Anno 2005 (composizioni percentuali) Fonte: Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive

PROVINCIA TRENTO

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

1 addetto Da 2 a 9addetti

Da 10 a 19addetti

Da 20 a 49addetti

Da 50 a 249addetti

250 addetti edoltre

Totale

Industria in senso stretto Costruzioni Commercio e alberghi Altri servizi

Phasing out

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

45,0

50,0

1 addetto Da 2 a 9 addetti Da 10 a 19addetti

Da 20 a 49addetti

Da 50 a 249addetti

250 addetti edoltre

Totale

Industria in senso stretto Costruzioni Commercio e alberghi Altri servizi

Comuni obiettivo 2

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

1 addetto Da 2 a 9 addetti Da 10 a 19addetti

Da 20 a 49addetti

Da 50 a 249addetti

250 addetti edoltre

Totale

Industria in senso stretto Costruzioni Commercio e alberghi Altri servizi

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Le imprese senza lavoratori dipendenti (si vedano tab. 6 e fig. 6) sono: il 60,9% in provincia di Trento, il 61,7% nei comuni phasing out e il 63,6% nei comuni obiettivo 2. Le percentuali più alte di imprese senza lavoratori dipendenti si rilevano nel settore dei servizi (73,3 in Provincia, 76,2 nelle aree phasing out, 76,5 nelle aree obiettivo 2). In particolare nelle aree obiettivo 2, istruzione (100%), sanità ed altri servizi sociali (85,2%) seguiti dai servizi alle imprese (82,1%) rappresentano i principali settori di autoimpiego.

Tabella 6 Imprese senza dipendenti in provincia di Trento per settore di attività economica, percentuale sul totale delle imprese del settore. Fonte A Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive 2005.

Comuniobiettivo 2

%

Comuniphasing out

%

Provincia%

Industria in senso stretto 43,0% 46,6% 43,6%

Costruzioni 66,8% 59,5% 60,6%

Commercio e alberghi 60,5% 57,2% 52,0%

Servizi 76,5% 76,2% 73,3%

Totale 63,6% 61,7% 60,9%

Figura 6 Imprese senza dipendenti in Provincia di Trento, per settore di attività. Fonte: Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive 2005.

0,0% 10,0% 20,0% 30,0% 40,0% 50,0% 60,0% 70,0% 80,0% 90,0% 100,0%

Industria in senso stretto

Estrazione di minerali non energetici

- Industrie alimentari delle bevande e del tabacco

- Industrie tessili e dell'abbigliamento

- Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio , pelle e similari

- Industria del legno e dei prodotti in legno- Fabbricazione della pasta carta, della carta e dei prodotti in carta; stampa ed

editoria- Cokerie, raffinerie di petrolio

- Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali

- Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi

- Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo- Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici compresi l'installazione, il

montaggio, la riparazione e la manutenzione - Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche

- Fabbricazione di mezzi di trasporto

- Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche

- Altre industrie manifatturiere

Produzione e distribuzione di energia elettrica, di gas, di vapore e acqua

Costruzioni

Commercio e alberghi

Commercio e riparazioni di autoveicoli e di beni per la casa

Alberghi e pubblici esercizi

Servizi

Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni

Intermediazione monetaria e finanziariaAttività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed

imprenditorialiIstruzione

Sanità e altri servizi sociali

Altri servizi pubblici, sociali e personali

Servizi domestici presso famiglie e convivenze

Comuni obiettivo 2 Comuni phasing out Provincia

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La lettura dei dati sopra riportati evidenzia come il peso degli operatori di ridotte dimensioni a livello nazionale e provinciale (ma abbiamo visto anche a livello europeo) è tale che risulta difficile pensare ad una crescita del tessuto economico prescindendo dallo sviluppo della piccola e piccolissima impresa.

Con ciò, non si intende riproporre la retorica del “piccolo e bello”, ne aprire una stagione di contrapposizione ideologica tra grandi e piccole imprese. Piccole e grandi imprese devono oggi essere riconosciuti come attori necessari, di pari importanza, nelle prospettive economiche del prossimo futuro, in quanto svolgono ruoli complementari. La struttura reticolare ed integrata del nostro sistema produttivo dimostra, infatti, come sul territorio le imprese si incontrano e collaborano a prescindere dalle dimensioni. Il nostro sistema produttivo (nazionale e trentino) è “uno solo”: un sistema produttivo in cui operano poche grandi imprese transnazionali; molte medie imprese che si affacciano sui mercati internazionali pur mantenendo un forte radicamento territoriale; una moltitudine di piccole imprese e un tessuto diffuso degli artigiani che operano nelle filiere e nelle nicchie di specializzazione; un numero crescente di microimprese e lavoratori autonomi che operano nel ciclo dei nuovi servizi terziari alle imprese ed al territorio.

Oggi l’impresa è innovativa e competitiva non in base alle sue dimensioni e alle sue capacità di investimento, ma in base all’estensione e articolazione delle sue reti: di mercato, di collaborazione, di supporto alle nuove funzioni. Più le imprese sono piccole e più devono economizzare lo scarso capitale di cui dispongono, facendo leva sull’outsourcing, ossia sul capitale degli altri. In tal senso le nostre piccole imprese hanno saputo inventarsi forme originali di innovazione dei loro cicli produttivi, che non passano per forti investimenti di capitali (che non potrebbero fare), ma per alleanze, collaborazioni, specializzazioni, focalizzazioni su nicchie produttive ad elevata sostenibilità. Il gioco dell’innovazione si basa sullo scambio delle conoscenze. Dallo scambio di informazioni ed esperienze tra diverse unità produttive spesso si realizzano innovazioni pari - e probabilmente anche migliori - di quelle che nascono nei laboratori di ricerca.

Le politiche a sostegno delle imprese non devono solo, o necessariamente, intervenire sulla crescita dimensionale del nostro apparato produttivo, curandolo dall’endemica malattia del nanismo, ma incrementare il capitale relazionale che serve per produrre in un’epoca di globalizzazione ed il capitale intellettuale che è assolutamente necessario per passare dalla produzione materiale a quella immateriale.

Tale strategia di supporto allo sviluppo locale assume particolare rilevanza nelle aree montane, caratterizzate da una minore dimensione delle imprese.

“La nostra è una realtà in cui c’è altissima quota di microimprese. Questa è un po’ una caratteristica della nostra provincia, anche perché siamo un territorio montano. La caratteristica di questi ultimi anni è l’aumento abbastanza importante delle nuove iniziative. Arriva il piccolo imprenditore, parte e ha bisogno del finanziamento. Aiutiamo anche l’impresa più strutturata, ma la realtà nostra è stata quella della micro impresa”. Responsabile Consorzio artigiano di garanzia

Gran parte delle micro e piccole imprese trentine risulta ben radicata nel territorio operando prevalentemente in un’area territoriale molto ristretta. Nell’ambito delle proprie attività la piccola azienda svolge, quindi, un’importante funzione non solo economica, ma anche sociale contribuendo a produrre e a rafforzare forme di coesione a livello territoriale, vere e proprie comunità locali.

Nel contempo, le micro e piccole imprese hanno continuato ad operare all’interno dei settori tradizionali specializzandosi spesso in prodotti di nicchia (unici e, spesso, inimitabili). Molte di esse, pur rimanendo piccole e mantenendo una struttura a carattere prevalentemente familiare, hanno adottato una serie di strategie di networking con altre imprese attraverso, soprattutto, il

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rafforzamento della loro presenza in filiere produttive, reti di impresa e di cooperazione, al fine di acquisire i vantaggi e le economie di scala tipiche delle imprese di medio-grandi dimensioni.

Inoltre, molte micro e piccole imprese si sono spostate, attraverso un processo di upgrading qualitativo dei prodotti, verso fasce di mercato sempre più elevate e di nicchia (soprattutto all’interno dei settori tradizionali) riuscendo in tal modo a mantenere una posizione competitiva sui mercati.

Queste caratteristiche della microimpresa, evidenziano come, più che l’imprese in quanto tali, sono le persone che le popolano e i territori che le ospitano a dover essere oggetto di interventi di sviluppo locale.

La piccola impresa, prima che piccola, è un’impresa personale. È il luogo e il sistema in cui la persona si imprenditorializza, mettendo al servizio dell’impresa le sue risorse, e dove l’impresa si personalizza, assumendo le fattezze e l’intelligenza delle persone che la popolano. La piccola impresa, proprio perché piccola, è legata al territorio da cui trae i fattori che determinano il suo vantaggio competitivo. È dal territorio che la piccola impresa trae i vantaggi della divisione del lavoro e della condivisione delle conoscenze, mediate da relazioni interpersonali e dal capitale sociale. Ecco che allora promuovere l’imprenditorialità delle persone e del territorio - sostenendo la nascita di microimprese ed il consolidamento di filiere e reti produttive che vanno oltre la dimensione locale - assume un ruolo strategico nello sviluppo delle aree montane, non solo per l’obbiettivo quantitativo di creare opportunità occupazionali in loco, ma per l’obbiettivo qualitativo di infrastrutturare e rafforzare la competitività delle economie locali.

L’imprenditorialità diffusa alimenta un certo modo di essere e di funzionare della nostra economia. Un modo che, nel bene e nel male, costituisce la piattaforma di esperienza e di competenza da cui partire per affrontare la nuova concorrenza. Infatti:• la rete di piccole imprese è un serbatoio di creatività (persone) e di intelligenza relazionale

(reti personali, servizi). Se si ci propone di andare verso attività centrate sulla produzione di significati e sull’interazione comunicativa, l’esistenza delle reti di piccola impresa costituisce un asset da valorizzare;

• laretedipiccoleimpreseèungeneratore di nuova imprenditorialità, perché, grazie alla minuta divisione del lavoro realizzata nelle reti, riduce le barriere all’ingresso di chi vuole “mettersi in proprio” pur avendo un capitale limitato e competenze confinate solo ad uno specifico campo. La presenza di elevate barriere all’ingresso per il self-employment è uno degli elementi di rigidità principali dell’organizzazione fordista, perché impedisce a chi ha un’idea innovativa, a chi si trova a fare un lavoro che non corrisponde alle sue aspirazioni o a chi rimane senza lavoro di rimboccarsi le maniche e investire su se stesso, avviando una nuova iniziativa. Solo in presenza di ridotte barriere all’accesso (e dunque solo in presenza di un tessuto diffuso di piccole imprese) i sistemi industriali possono attivare quelle dinamiche dal basso che rinnovano il tessuto imprenditoriale e che mantengono la piena occupazione;

• la retedipiccole imprese funzionacomeun integratore sociale che consente di collegare in forme ragionevoli le esigenze della vita privata con quelle della vita produttiva. Persone, famiglie, reti amicali e religiose, servizi privati e pubblici si sovrappongono sul territorio per ricercare soluzioni socialmente utili che siano compatibili con le esigenze della produzione. In questo senso, anche il welfare può assumere forme flessibili che modulano, sul territorio, esigenze concrete, senza delegare il tutto a regole astratte, spesso inutili o controproducenti.

• laretedipiccoleimpreseèuncircuito di apprendimento che genera conoscenze sperimentali e condivise, attraverso un processo di specializzazione/ integrazione straordinariamente efficace in certi campi. Rendendo queste conoscenze facilmente accessibili a chi condivida l’esperienza del contesto, la rete di piccole imprese costituisce una “scuola” di professionalità e imprenditorialità che alimenta l’apprendimento sociale e lo sviluppo delle conoscenze

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impiegate nella produzione. In effetti, in sistemi di piccola impresa, l’intelligenza terziaria non sta all’interno di piramidi organizzative chiuse (proprietarie), ma sta nel settore delle piccole società di servizi, che vendono soluzioni, idee, informazioni alle imprese utilizzatrici. Esternalizzando i servizi e le conoscenze che essi contengono, il sistema della piccola impresa rende disponibile alle singole persone il sapere sociale accumulato nel corso delle esperienze di migliaia di aziende, abilitando in questo modo il singolo a tentare proprie sperimentazioni e varianti.

Tutte queste funzioni hanno un impatto positivo sull’economia generale. E costituiscono un tratto caratterizzante dell’economia del capitalismo personale.5

5 A. Bonomi – E. Rullani “ Il capitalismo personale: vite al lavoro” Einaudi 2005

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4. Agire per un riequilibrio territoriale

L’armonica distribuzione della popolazione sul territorio rappresenta una peculiarità e una garanzia del sistema sociale e culturale trentino: i piccoli comuni sono un modello insediativo fondamentale per il presidio e la gestione del territorio montano ed un’alternativa percorribile per contenere uno sviluppo sbilanciato che favorisce la concentrazione di popolazione nelle aree urbane di fondovalle.

In provincia di Trento, i comuni in condizioni di marginalità (compresi nell’area obiettivo 2 delle politiche comunitarie) rappresentano più del 27% del numero complessivo di comuni della provincia, ma pesano solo per il 9,6% in termini di popolazione. Questi semplici numeri ci indicano come in queste aree rientrino comunità di dimensioni più ridotte di quelle, già piccole, che caratterizzano in media il Trentino. Se a tale circostanza si aggiunge il fatto che tali comuni si situano spesso alla periferia del territorio provinciale, o comunque in aree di non agevole accesso, si comprende perché i punti di forza caratterizzanti la struttura socio-economica della provincia vi si ritrovino attenuati.

A fronte di questa situazione le politiche della Provincia di Trento sono rivolte all’obiettivo globale di intervenire sullo spopolamento delle zone decentrate. Questo per riequilibrare un territorio, dove seppur non emergano particolari problemi legati alla disoccupazione, si assiste ad un depotenziamento delle comunità locali che si manifesta in processi di emigrazione e, ancor più, in consistenti fenomeni di pendolarismo per motivi di lavoro e di studio verso le aree di fondovalle.

Tra le cause e conseguenze dello spopolamento, vi è un indebolimento delle reti che consentono di fare comunità locale, una progressiva chiusura di servizi di base, il diradamento dei punti commerciali e una progressiva carenza di sistemi di vitalità sociale. L’invecchiamento della popolazione, il calo della natalità, l’emigrazione, il pendolarismo sono al contempo causa ed effetto del lento scomparire di tante micro autonomie funzionali comunitarie come gli uffici postali, le scuole, gli ospedali, o per scendere più nel micro, del circolo, del bar, del negozio di paese. Seppure in Trentino questo fenomeno sia attenuato da politiche istituzionali rese possibili dallo statuto di autonomia e non sia paragonabile a ciò che avviene in altre aree montane, vengono comunque meno i parametri per una gestione “economica” dei servizi e questo determina un impoverimento della società locale che accelera, anziché fermare, l’esodo.

Nell’ultimo decennio le politiche, sia provinciali, sia europee, volte a ridurre gli squilibri territoriali, hanno permesso un rallentamento del fenomeno migratorio e hanno evidenziato la presenza di segnali di vitalità della montagna. Sebbene i comuni rientranti nell’area obiettivo 2 perdano popolazione in ogni fotografia decennale rilevata, nell’ultimo periodo si registra un’inversione di segno e un incremento di popolazione, anche se molto contenuto e inferiore di ben tre volte rispetto a quello provinciale. Questa tendenza si consoliderà solo se i piccoli comuni riusciranno, attraverso la creazione di opportunità di lavoro a livello locale, a contrastare l’emigrazione ed il pendolarismo e se godranno di una capacità di attrazione pari, o meglio maggiore, a quella della provincia perché solo così si potrà contribuire a consolidare il trend positivo. Si tratta pertanto di operare per offrire adeguati livelli di vita anche in zone decentrate, puntando prioritariamente alla creazione di opportunità di lavoro a livello locale.

“Il problema di Valfloriana è lo spopolamento dovuto alla mancanza di opportunità di lavoro. È partita la generazione degli anni ’60, ’70, sono andati via a Trento, a Bolzano, a Milano. In questo paese siamo più o meno 540 residenti; negli ultimi 3 o 4 anni siamo calati di 30 adulti: oggi abbiamo una popolazione molto

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anziana. Questa è più o meno la realtà sociale ed economica del paese. Speriamo negli immigrati. Abbiamo un po’ di marocchini che lavorano nelle cave di porfido della Val di Cembra; c’è una famiglia che lavora con una cooperativa. Arriveranno probabilmente, perché qui le case costano poco ” Sindaco di Valfloriana 6

“Torcegno è abbastanza vicino al fondovalle; è un paese abbastanza comodo, quindi, non è marginale, pur essendo tranquillo, facendo 7 km siamo a Borgo, a Roncegno, 20 km siamo a Levico. Devo dire che sotto il profilo del numero dei residenti abbiamo avuto un certo aumento in questi ultimi anni, proprio perché i giovani ormai si fermano quasi tutti qui, ma anche perchè alcune famiglie di Borgo Valsugana si sono trasferite qui; da paesi più disturbati dal traffico, sono venuti qui a Torcegno, forse anche perché qui il terreno costa meno che a Borgo. Ovviamente tutti lavorano fuori, nelle industrie del fondovalle, tornano qua la sera, ma direi che non è un paese “dormitorio”, abbiamo un associazionismo molto attivo, in generale c’è molta partecipazione; si fanno molte attività anche per i giovani”. Sindaco di Torcegno

Nonostante i deboli segnali di ripresa che interessano alcuni comuni, la variazione di numerosità nella popolazione complessiva nelle aree obiettivo 2 mostra una situazione di sofferenza e di perdita significativa di abitanti rispetto alla realtà provinciale. Infatti, mentre la provincia acquista, per effetto della componente naturale, ma sicuramente in modo più determinante per la componente migratoria, le aree obiettivo 2 perdono popolazione. Lo spopolamento deriva dalla progressiva concentrazione della popolazione provinciale nei centri a maggiore densità abitativa.

Lo spopolamento delle zone di montagna ha una caratterizzazione storica: è il risultato del processo di industrializzazione e della perdita di centralità dell’agricoltura. In realtà molto piccole e di montagna, questo passaggio da una realtà contadina ad una industriale ha determinato una struttura demografica di queste collettività sbilanciata a favore degli anziani.

“Malosco ha visto l’esodo dei miei coetanei perché, chiaramente allora c’era l’industrializzazione del Trentino e tanta gente è andata via. Le persone residenti adesso sono pressoché tutte anziane, e questo paradossalmente è un fatto positivo visto che il mercato locale non offre lavoro; il giovane fino al diploma riesce forse a trovare un posto di lavoro qui, ma con la laurea è difficile e quindi anche oggi deve emigrare”. Sindaco di Malosco

“È piccolo il nostro paese. Siamo 200 abitanti, pochissimi giovani e tanta gente vecchia, dopo i 70 anni sono tanti. I giovani studiano, poi preferiscono andare via o perlomeno si occupano qua in giro. Ci sono 4 - 5 che lavorano in cartiera; 2 in una ditta di meccanica; poi ci sono tre, quattro studenti. Disoccupati ce ne sono pochi. Quei quattro che avevano intenzione di mettere su un’azienda artigiana lo hanno fatto. Tanti vogliono andare a lavorare con la Provincia, nei lavori socialmente utili. Gli altri sono muratori, però sempre dipendenti d’impresa”. Sindaco di Prezzo

L’industrializzazione del Trentino ha comportato posti di lavoro lungo le direttrici di traffico, e principalmente lungo l’asta dell’Adige. Ovviamente, anche alcune aree attigue rappresentano altrettanti poli di attrazione dei soggetti in età lavorativa che solo a prezzo di rilevanti sforzi logistici sono in grado di mantenere il contatto con le zone di residenza montane.

Vi è, infatti, da notare che il fenomeno di spopolamento delle aree interne, che accresce il peso relativo delle classi di età più anziane, negli ultimi tempi non interessa più in modo così massiccio le fasce di età più giovani, ponendo in rilievo una perdurante volontà delle famiglie di risiedere localmente, sebbene svantaggiate dal punto di vista infrastrutturale e dalle opportunità economico-culturali. Più che verso i fenomeni di vero e proprio spopolamento, le preoccupazioni dei Sindaci sembrano indirizzarsi verso i consistenti fenomeni di pendolarismo.

“Il reddito di famiglia si forma lavorando tutti fuori dal Comune tutti lavorano a Pergine, Trento e dintorni. Il problema nostro è il pendolarismo e questo costa perché uno che deve andare tutti i giorni a Trento ha dei costi non indifferenti; la gente vuole rimanere in montagna perché noi abbiamo delle radici profonde” Sindaco di Frassilongo

6 Le citazioni delle interviste si riferiscono alla fase di ricerca azione realizzata nell’autunno 2004: i sindaci intervistati sono pertanto quelli in carica in quel periodo.

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“A Valda le poche imprese artigiane sono di servizi, qualche piccola impresa edile. Per il resto non c’è una vera e propria opportunità di lavoro per i giovani, i quali sono costretti a trovare lavoro altrove. Questo favorisce il pendolarismo, la Valle di Cembra sta diventando per qualche verso un dormitorio; la gente si alza la mattina, se ne va dalla Val di Cembra e se ne ritorna la sera per dormire e questa non mi sembra una cosa buona. La gente ad un certo punto stufa di fare il percorso avanti e indietro, chiaramente se trova l’appartamento se ne sta a Trento” Sindaco di Valda

“Per quanto riguarda l’economia del Comune di Bresimo, posso dire che per l’80% il reddito di ogni singola famiglia è basato sul lavoro dipendente. Questo significa parlare di pendolarismo perché la maggior parte del lavoro viene trovato fuori dal territorio comunale. Qualcuno lavora anche oltre la Valle, ma prevalentemente, diciamo, che la gente fa capo a Cles come capoluogo di Valle, dove possono trovare occupazione in edilizia e nel settore dell’artigianato”. Sindaco di Bresimo

“Il principale problema del mio comune è il pendolarismo, quello è il fenomeno che mi fa più paura di tutti, perché purtroppo crea lo svuotamento del paese, lo svilimento di quella che è la cultura, le tradizioni, etc.. La Provincia deve imparare a valorizzare le periferie, lo sviluppo non può essere solo a Trento”. Sindaco di Smarano

“In questo paese siamo 250 anime. La maggior parte, vanno tutti fuori a lavorare, chi scende verso Valle e chi va verso Condino o chi, per altri motivi, verso Trento e Brescia e tornano qui a fine settimana. Non è che abbiamo a 10 chilometri una città; il paese più grosso che c’è, è Storo che fa 3000 abitanti”. Sindaco di Castel Condino

A fronte di questi fenomeni la domanda espressa dai Sindaci definisce azioni prioritarie che mirano a promuovere un incremento delle opportunità occupazionali a livello locale insieme ad una diversificazione e qualificazione delle attività produttive localizzate nei loro comuni. Emerge una domanda di interventi finalizzati a tre obiettivi prioritari:• allacreazionedinuovaimprenditorialitàendogenafondatasulladiversificazioneeintegrazione

della struttura economica e sulla piena valorizzazione delle risorse locali;• alrafforzamentodelruolosvoltoalleimpreselocali,promovendoneicaratteridiinnovazione

ed il collegamento ai mercati;• a potenziare il carattere di multifunzionalità delle attività economiche, con particolare

riferimento a quelle agricole e commerciali.

Allo stesso modo risulta centrale la strutturazione di un terziario qualificato, capace di garantire opportunità di lavoro ai giovani con alti livelli di scolarizzazione e di avvicinare l’offerta di servizi qualificati alle imprese dell’area. Le imprese di servizio, anche grazie allo sviluppo delle reti telematiche, sono quelle che presentano minori vincoli localizzativi.

“ Un anno e mezzo fa circa è nato CONIT un consorzio artigiano che raccoglie tutte quelle piccole imprese, un po’ sbandate, che c’erano in giro per le Valli Trentine che fanno informatica, web, sistemistica, formazione, grafica, automazione e servizi tecnologici in genere. Noi oggi copriamo un importante fascia di mercato fatta da piccole e medie imprese, alberghi, tutte aziende private, siamo già fortissimi, gestiamo l’informatica di 250 imprese. Non è vero che nelle Valli mancano lo spirito imprenditoriale e l’innovazione tecnologica. Nel consorzio abbiamo 24 aziende nate da giovani in comuni di montagna come Tonadico, Siror, Bleggio Superiore. La nostra intenzione e` crescere, vogliamo credibilmente arrivare ad associare 70 - 80 aziende. Attualmente sono circa 150 le persone che lavorano nelle aziende del consorzio a tempo pieno e decine di collaboratori part-time e fatturano circa 5 milioni di euro, l’obiettivo sarebbe arrivare a una cifra molto vicino ai 15 milioni di euro di fatturato, per avere un rapporto paritetico con Informatica Trentina e per misurarci sui fattori. La rete d’impresa è una cosa che stiamo imparando sulla nostra pelle, abbiamo capito che le microimprese, fanno fatica a convivere con i soggetti più grandi, quindi dovremmo strutturarci. L’infrastrutturazione tecnologica delle valli è una cosa molto importante: a Pieve di Bono presso il BIC è stata creata Win NET una webfarm che lavora grazie alla presenza di una centrale Enel che ha delle linee ad altissima velocità. All’interno del CONIT possiamo trovare tra l’altro un partner Cisco Sytems, alcuni Microsoft solution provider, esperti certificati Oracle, esperti programmatori di tutti i linguaggi, esperti di sicurezza informatica, rivenditori ufficiali HP e Microsoft.” Presidente CONIT

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“Recentemente in Provincia hanno fatto un bando sulla Legge 6 per la creazione di siti internet. Danno il contributo fino al 50% del costo del sito internet e per l’acquisto dell’attrezzatura. Lo danno alle imprese artigiane, per il momento serve solo per le imprese artigiane. Quando è uscito questo bando, in Val di Cembra sono partite 4 aziende che fanno i siti web. Sono partiti anche loro come artigiani per fare questi siti web e per aggiornarli. Appena è partito l’input sono partiti anche loro. C’è un ragazzo che è laureato in economia e commercio che fa siti web abita fuori però ora opera per tutta la Valle. Un altro lavorava all’Informatica Trentina, si è licenziato e si mette a fare questi discorsi qui in Valle, poi spaziano in altre località. Sono partiti perché hanno visto che c’è l’affare, è il discorso futuro. Il giovane si rende conto come sta la situazione nel lavoro pubblico; se uno entra oggi nel mercato del lavoro, la vede dura lavorare e fare carriera come dipendente con i tempi che corrono. Ad esempio, il fatto del telelavoro io credo che si svilupperà sicuramente, perché il mercato c’è” Rappresentante Associazione Artigiani di Cembra

“I giovani nel nostro comune hanno in generale un buon livello di scolarizzazione. C’è un ragazzo che cura il sito Web del Comprensorio, è stato incaricato ufficialmente. Lui lavora in una succursale dell’Olivetti e nel tempo libero fa questo tipo di attività. So che ha piantato delle telecamere per le analisi meteo.” Sindaco di Terzolas

L’infrastrutturazione tecnologica è oggi il presupposto essenziale per il mantenimento e lo sviluppo delle attività produttive che, anche se di piccole dimensioni e operanti in settori tradizionali e di nicchia, devono sempre più confrontarsi con:• risorsetecnologiche,organizzative,gestionalisemprepiùcomplesse;• mercatisemprepiùampi;• unacrescentepresenzadi componenti immaterialidellaproduzione (commercializzazione,

progettazione, finanza, ecc.);• una crescente formalizzazione delle relazioni produttive e dei relativi codici di scambio

(certificazione, standard produttivi, CAD, ecc.)

Uno dei rischi a cui vanno incontro le aree montane è quello di rimanere marginalizzate rispetto ai flussi di informazione. L’assenza, o comunque la scarsità, di infrastrutture tecnologiche, connessa ai limitati numeri delle potenziali utenze e alla complessa orografia del territorio, porta i gestori delle reti a non effettuare investimenti infrastrutturali in aree montane. L’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresenta oggi un’importante discriminante dello sviluppo che, se sottovalutata, rischia di incrementare il “digital divide” tra le aree forti e le aree deboli della provincia. Tale rischio risulta paradossale se si considera il positivo impatto sociale ed economico che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono avere su territori già di per sé caratterizzati da scarsa accessibilità.

“Secondo me dobbiamo appellarci un po’ all’informatica che è oggi un’importante fonte di lavoro e che dobbiamo valorizzare per poter lavorare anche in zone decentrate come Malosco. Questa la reputo una cosa fondamentale per stimolare anche le persone, in particolare i giovani scolarizzati che oggi sono costrette ad andare via per trovare un’occupazione qualificata” Sindaco di Malosco

“Qui dovrebbe esserci il telelavoro, bisognerebbe attivarlo; non è semplice, perché siamo agli inizi, però si potrebbe fare anche questo. Abbiamo giovani che hanno fatto le scuole medie superiori. Di universitari un po’ meno, anche se adesso le cose stanno cambiando. A tutti piacerebbe rimanere; bisogna avere delle prospettive, questo è il problema. Non manca la volontà, anzi, è gente che è legata al territorio, bisogna frenare questo flusso di emigrazione che c’è ancora. Come Comune, sto cercando di agevolare i cittadini alla permanenza, cercando di far pagare meno tasse, col 30% di abbuono sul consumo dell’energia.Credo che riuscire a creare opportunità di lavoro, anche part time, attraverso internet, i call center, il telelavoro, darebbe maggiori opportunità di permanenza” Sindaco di Frassilongo

L’infrastrutturazione tecnologica rappresenta anche un fondamentale strumento per garantire l’economicità, l’efficienza e quindi l’accessibilità a fondamentali servizi di carattere sociale. Basta pensare a quale ruolo può svolgere l’ICT su temi riguardanti la formazione a distanza, il telelavoro, la telemedicina, il telecontrollo del territorio, i servizi di emergenza e tanti altri ambiti di applicazione

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inerenti ai diritti di cittadinanza. Analogo discorso può essere fatto su un altro cruciale problema delle aree montane, ovvero la piccola dimensione dei comuni montani e la necessità di trovare soluzioni più efficienti ed economiche nella gestione di fondamentali funzioni amministrative. Appare evidente come attraverso l’infrastrutturazione tecnologica sia possibile mettere in rete le amministrazioni comunali dei territori montani e attivare politiche di gestione di alcuni servizi a scala sovracomunale (gli uffici tecnici, l’anagrafe gli archivi comunali, sportelli unici per le imprese ed i cittadini, ecc.).

Un ulteriore problema, diffuso nei piccoli comuni di montagna, è la desertificazione della funzione commerciale che colpisce in particolare i bisogni delle categorie più deboli, come gli anziani. La funzione commerciale nei piccoli comuni di montagna è garantita sia da microimprese, sia dalla distribuzione organizzata (sono circa 200 famiglie cooperative che presidiano i piccoli comuni di montagna trentini), in entrambi i casi, si tratta di strutture commerciali che spesso si trovano ad operare in una situazione di scarsa redditività economica, pur fornendo un fondamentale servizio sociale.

Priorità dei sindaci è salvaguardare tali servizi di vicinato, facendo in modo che gli esercizi commerciali possano trovare un nuovo modello di sostenibilità economica, diversificando i servizi erogati alla comunità locale.

In Trentino da tempo si sono avviate sperimentazioni ed iniziative che mirano alla multifunzionalità dell’impresa commerciale, ovvero, alla sua capacità di erogare servizi commerciali diversi (negozio di alimentari, bar, pompa di benzina), ma anche non necessariamente commerciali (servizi postali, disbrigo di pratiche, biblioteca, ecc) o di svolgere il ruolo di centro di aggregazione per la comunità (anziani, infanzia, strutture di volontariato, mostre ed eventi).

È su questa dimensione della multifunzionalità - costruita caso per caso, rispetto alle specifiche esigenze della comunità - che si può intervenire per garantire il mantenimento di un essenziale servizio di vicinato e socialità.

“ A Sagron Mis abbiamo 210 abitanti circa C’e` un unico negozio aperto dalla famiglia cooperativa, a Mis c’e` un Bancomat della Cassa Rurale di Primiero. La canonica è a Sagron. Come iniziative ci sono due alberghi, pensioncina e ristorante, un unico artigiano che fa l’idraulico. A Sagron c’era un bar fino a due o tre anni fa. Adesso abbiamo aperto un bar autogestito dai soci. Ad ogni famiglia abbiamo dato la chiave, e autonomamente si va nel bar, si consuma, si paga, si prende il resto, si fa il caffè, meno d’estate, i due mesi estivi questo bar di Sagron assume una ragazzina del luogo che tiene aperto durante il giorno” Sindaco di Sagron Mis

“Gli abitanti di Grauno lavorano nei posti più svariati. A Cavalese, qualcuno sulle cave di Porfido, a Trento, sparsi un po’ dappertutto. Questa è la nostra situazione economica, forse è la più carente di tutta la valle di Cembra, siamo anche un paese un po’ sperduto. Il patto territoriale è stato utile per il paese. Si è creato un negozio che ha migliorato qualcosa. Adesso siamo sprovvisti di bar, ne stiamo facendo uno con il Servizio del commercio. Il Comune sta facendo questo bar ed ha già trovato un gestore. Il Comune crea sempre quel circuito che permette di mantenersi meglio il negozio, il bar e tutto l’ambiente; certamente noi non possiamo sperare grandi cose, bisogna andare con piccoli passi consolidati. Speriamo con la storia del Patto di creare quel circuito che permette, non grandi cose, ma quanto meno il mantenimento della comunità.” Sindaco Di Grauno

Non vi è dubbio, infine, che oggi lo iato maggiormente percepibile tra le aree interne e le aree urbane sia quello connesso all’offerta di occasioni di scambi culturali, di eventi e servizi al tempo libero.

L’aumento della disponibilità di tempo libero e della domanda di qualità della vita è uno dei fenomeni tipici della modernità. Fenomeno che nelle aree metropolitane e di pianura trova spazi di offerta e di mercato estremamente articolati, ma che spesso nelle aree montane è motivo di

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frustrazione, e quindi di trasferimento. Oggi non si emigra più per cercare lavoro, ma per dare a se stessi ed ai propri famigliari, maggiori opportunità di relazioni sociali e di crescita culturale. È ormai acquisita la consapevolezza che “la cultura” costituisce un elemento indispensabile per la qualità della vita. È un dato assodato, infatti, che le “nuove povertà”, tipiche delle società occidentali non sono più legate alla mancanza di beni primari, ma piuttosto alla necessità che le persone hanno di soddisfare bisogni culturali e di socialità, che elevino la qualità del loro privato, anche attraverso un utilizzo più mirato del tempo libero. Se ne deduce che, per la loro attualità e trasversalità, le politiche culturali sono oggi un elemento prioritario di dibattito. Se consideriamo inoltre lo stretto legame che hanno i giovani con le attività del tempo libero e le implicazioni sociali ed economiche a ciò correlate, si capisce come l’approfondimento di questi temi risulti non solo opportuno ma indispensabile nel contesto delle politiche per la montagna.

I temi della cultura e dell’identità di un territorio non riguardano, comunque, solo gli aspetti della socialità, ma assumono un ruolo strategico nello sviluppo di nuova imprenditorialità. Identità e cultura sono “fattori di produzione” capaci di valorizzare e qualificare le economie di un territorio a fronte dei pervasivi processi di globalizzazione. La cultura, che una volta costituiva un universo alto, separato ed elitario, è diventata una merce fondamentale all’interno del nuovo ciclo produttivo, in cui a contare sono i contenuti di innovazione, i valori simbolici e immateriali inglobati nei prodotti e nei servizi. Ciò che differenzia le produzioni e le offerte turistiche locali da quelle provenienti da paesi emergenti a minore costo del lavoro, sono gli aspetti legati alla qualità, al legame con il territorio, allo stile di vita, al paesaggio, alla storia, ai valori estetici che danno senso alle produzioni.

Sempre più nella nuova “economia della conoscenza” cultura ed economia si contamineranno a vicenda. La creatività è divenuta una risorsa competitiva fondamentale. Il rapporto tra cultura e produzione, la valorizzazione delle professioni creative, la competizione culturale tra territori, sono diventati temi strategici delle politiche di sviluppo di un territorio.

I giovani devono - già oggi - confrontarsi con un altro tipo di lavoro: il lavoro immateriale, lontano dalla macchina ma ricco di idee, competenze, creatività, imprenditorialità. Le politiche culturali sono il mezzo attraverso cui i giovani possono trovare nuovi stimoli, occasioni di incontro e di scambio di esperienze, ambiti di sperimentazione di propri interessi e passioni che contribuiscono a rafforzare la loro identità e che, magari, in futuro possono tradursi in professione e nuove forme di impresa.

Nella nuova economia assumono rilevanza crescente i prodotti ed i servizi “immateriali” (musica, teatro, grafica, arte, moda, design, multimedialità, comunicazione, net-economy, intrattenimento) che sono rivolti, in particolare, ai giovani in qualità di consumatori, ma questi ultimi rimangono spesso ai margini di tale processo. In altre parole, i giovani producono “nuova economia” (innovazioni, gusti, mode, tendenze) ma, raramente, rientrano nei circuiti ufficiali del processo di creazione del valore. Bisogna rendere i giovani protagonisti dei processi di produzione culturale, valorizzando la loro voglia di partecipazione, il loro spirito di iniziativa, la loro creatività.

I saperi contestuali che caratterizzano i territori ed i sistemi produttivi locali sono fondamentali per lo sviluppo della creatività. La creatività non è solo una questione di talenti individuali, ma è anche un elemento culturale che caratterizza i contesti sociali e territoriali. Troviamo creatività nelle produzioni artigianali, nella capacità di reinterpretare le tradizioni gastronomiche, nelle nuove forme di intrattenimento offerte ai turisti, ma anche nella capacità di rispondere, in modo creativo, all’emergere di nuovi bisogni sociali.

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La rivitalizzazione delle relazioni sociali, l’incremento di offerte di consumo culturale, l’accesso ai servizi per il tempo libero, le reti di impresa che connettono con l’economia-mondo, devono essere tra gli obiettivi primari delle politiche per la montagna.

La montagna è già, essa stessa, luogo di soddisfacimento di bisogni post acquisitivi, di ambiente, di benessere, di cultura, di qualità e tipicità, ma l’offerta che la montagna è in grado di produrre va infrastrutturata, articolata, integrata, confezionata, resa fruibile al turista e a chi vive in questi luoghi.

Accanto a questo investimento in reti, bisogna anche mutare la forma della comunicazione e della divisione del lavoro tra luoghi. Non basta connettere l’economia dei luoghi con l’economia dei flussi. È arrivato il momento di produrre e vendere idee (significati originali, stili di vita ancorati alla qualità, modelli estetici ricavati in modo innovativo dalla tradizione), mettendo i prodotti al loro traino.

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5. Fare alleanza tra vecchia e nuova economia

In una realtà come quella trentina il concetto di innovazione deve coincidere con la modernizzazione dell’ambiente, ossia con la creazione di un habitat più favorevole a tutte le iniziative imprenditoriali. Si tratta soprattutto di aumentare il capitale relazionale ed intellettuale delle imprese e delle persone che oggi lavorano nei campi di specializzazione tipici dell’economia trentina: campi che, pur essendo in linea di massima “tradizionali”, possono essere ancora innovati e valorizzati, accrescendo il valore unitario del prodotto o mettendo a rete circuiti produttivi estesi.

Come sottolineato nel XII programma di sviluppo provinciale: “Se è vero che in Trentino non esistono distretti industriali è anche vero che l’intera provincia opera come un distretto sufficientemente coeso, caratterizzato fortemente da alcune filiere di specializzazione, distribuite territorialmente, che trovano nelle caratteristiche dell’ambiente e del territorio trentino il loro vantaggio competitivo. Il Trentino complessivamente costituisce un grande distretto turistico, edilizio agroalimentare, un risultato questo, che sottolinea l’importanza della cura del territorio, non solo per il benessere collettivo, ma per l’economia nel suo complesso”.

Il concetto di distretto - ma ancor più quello di filiera produttiva - permette di cogliere il grado e le potenzialità di integrazione di realtà imprenditoriali – ma anche di settori produttivi - solo apparentemente autonome, in quanto, nella realtà trentina, sono collegate sia in senso commerciale sia soprattutto perché condividono, per la loro competitività, fattori locali di naturalità, identità e socialità. Nelle filiere produttive trentine i vantaggi della specializzazione derivano direttamente dal territorio e, seppur sfruttati in modo vantaggioso, appaiono oggi inevitabilmente statici e maggiormente deboli rispetto alle minacce di erosione dei vantaggi provenienti da altri territori.

La questione di fondo che oggi si pone è se i fattori compensativi che hanno permesso di realizzare il modello di una “modernizzazione equilibrata” che ha caratterizzato la realtà trentina siano mantenibili nel tempo e se il livello di modernizzazione raggiunto sia sufficiente a consentire una sua auto riproduzione nel futuro.

All’interno di questa questione il tema dell’imprenditorialità riveste un’importanza notevole. In un contesto economico sempre più aperto e competitivo risulta necessaria una consistente diffusione dell’assunzione del rischio imprenditoriale, sia per la natura dei nuovi settori in sviluppo, sia per le esigenze di ristrutturazione dei settori tradizionali.

Lo sforzo che bisogna fare è quello di valorizzare i circuiti virtuosi di innovazione che sono presenti nelle realtà locali trentine e accompagnarli in un processo di transizione verso un’economia postfordista e globalizzata che non sia comunque dissolutivo di quelle risorse di coesione sociale e qualità ambientale che sono una caratteristica ed un asset strategico per lo sviluppo della realtà trentina.

La necessità di incrementare i processi di internazionalizzazione e di innovazione della struttura economica locale deve necessariamente confrontarsi con i limiti della piccola dimensione d’impresa che caratterizza i sistemi produttivi locali trentini. Se da un lato, non si può chiedere a delle microimprese di investire autonomamente in ricerca e sviluppo o nell’esplorazione dei mercati esteri (non ne hanno le risorse), dall’altro lato si può aiutare la microimpresa ad essere attivamente partecipe all’interno di filiere produttive e reti di impresa in cui si fa innovazione e internazionalizzazione.

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Nell’accompagnare questo processo bisogna tenere presente che il potenziale innovativo del sistema produttivo di piccola impresa non è solo nell’innovazione tecnologica in senso stretto, quanto piuttosto nella capacità di fare “produzioni complesse” che hanno un elevato grado di originalità perché si sviluppano in modo dif ferente, in funzione del contesto sociale, culturale, territoriale. Produzioni complesse che si fondano sull’utilizzo:• di conoscenze applicative, cioè la capacità di interpretare i bisogni del mercato e proporre

soluzioni originali;• di conoscenze organizzative, cioè la capacità di sviluppare modelli produttivi fondati sulla

flessibilità e adattabilità ai mer cati;• diconoscenze connettive, cioè la capacità di muoversi in filiere, distretti, reti di coopera zione,

di pescare le competenze dove ci sono, quando servono, di sviluppare reti di colla borazione a geometria variabile che si creano e si disfano in funzione delle domande e degli andamenti dei mercati.

Non è la tecnologia che disegna la scena in cui si sviluppano le conoscenze applicative, organizza tive, connettive, ma è vero, semmai, il contrario: sono queste ultime a dare forma alle strategie aziendali e a chiamare in causa l’innovazione tecnologica ogni volta che serve e nella misura in cui serve.

Si tratta, pertanto, di sostenere un processo di innovazione a tutto campo, nelle imprese e nei territori, volto ad incrementare le reti di condivisione della conoscenza. Un’azione che si deve in particolare concentrare sulla crescita dei servizi alle imprese (artigiane, agricole, turistiche) ed a una loro maggiore integrazione nell’ambito delle filiere di produzione locali. Tale orientamento trae spunto da tre principali considerazioni:• la necessità di accompagnare il progressivo processo di smaterializzazione delle produzioni

che oggi condiziona la competitività dei sistemi produttivi locali. Sempre più le funzioni della manifattura standard hanno margini decrescenti, mentre il valore si concentra nelle funzioni di servizio (produrre in piccola serie, per impieghi ad hoc, fornire un prodotto/servizio personalizzato, fornire una prestazione just in time, garantire una certa qualità o un certo risultato) e in funzioni cognitive (ideazione, progettazione, design, comunicazione, commercializzazione, controllo);

• lanecessitàdifavorireiprocessidi innovazioneamonteeavalledelprocessoproduttivo.Nel sistema produttivo trentino, fondato sulla piccola impresa gli investimenti delle imprese, sostenuti da incentivi pubblici, si sono principalmente concentrati sulle funzioni produttive determinando una buona dotazione tecnologica, ma si è investito ancora poco nelle funzioni a monte (conoscenza del mercato, progettazione, design) ed in funzione a valle (strategie commerciali, servizi post-vendita, rapporti con il cliente);

• lanecessitàdifarcrescereunterziariolocaleaserviziodelleimprese,valorizzandolapresenzadi giovani scolarizzati e favorendo la nascita di microimprese e forme di lavoro autonomo nel settore della conoscenza.

Accompagnare il processo di terziarizzazione delle economie locali, non significa perseguire un modello sostitutivo – più servizi e meno manifattura – ma intervenire sul consolidamento della filiera manifattura-servizi, promuovendo una compenetrazione sempre più stretta fra produzione e servizi, un crescente contenuto di servizi nei prodotti, un ruolo sempre maggiore dei servizi nella catena del valore.

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5.1 Il turismo

Le più qualificate analisi sul turismo trentino evidenziano come il principale rischio che caratterizza il settore non sia tanto da collegare ad una regressione globale dello stesso, che appare per molti versi solido e capace di produrre autonome risposte ai cambiamenti della domanda turistica, quanto di perdere la sua dimensione di equilibrio territoriale.

Il settore turistico trentino è oggi caratterizzato da un marcato dualismo: la modernizzazione del turismo ha riguardato le strutture alberghiere di punta con un aumento delle distanze tra queste e ampi segmenti dell’offerta basati sulle strutture alberghiere minori e più in generale su modelli di ricettività diffusa. Il rischio evidenziato da diversi analisti è che nella realtà trentina si incrementi questo dualismo tra alcune aree in grado di restare autonomamente sul mercato e altre aree, sinora rette da meccanismi compensativi, che rischiano di essere gravemente impoverite da una riduzione degli stessi. Questo rischio appare particolarmente grave per i sistemi locali in oggetto nei quali un inaridimento dei flussi turistici o un loro consistente impoverimento potrebbe privare gli stessi di una risorsa fondamentale per il mantenimento di un equilibrio economico e territoriale locale, provocando marginalità e abbandoni.

In generale, il turismo trentino appare aver adattato la propria offerta sulle componenti più stabili della domanda turistica. Ciò mette ovviamente al riparo da bruschi mutamenti e contribuisce a spiegare la generale solidità del turismo trentino. Per contro espone al rischio di perdere i segmenti più dinamici e promettenti della domanda e di ritardare quegli adeguamenti ai modelli emergenti di fruizione della vacanza che probabilmente si diffonderanno nel prossimo futuro. In presenza di un’evoluzione della domanda turistica in direzione di una maggiore diversificazione del servizio, i fattori di competitività del settore dovranno appoggiarsi sempre più su elementi di innovazione e di organizzazione piuttosto che sulle tradizionali amenities naturali.

A fronte di ciò, va comunque detto che negli ultimi dieci anni si è assistito ad una più precisa articolazione dell’offerta turistica trentina, in cui diverse aree (e tra queste quelle più marginali, che non potevano contare su un’offerta turistica consolidata) hanno progressivamente caratterizzato il proprio posizionamento contribuendo a definire un insieme variato di offerta di turismo nella provincia.

L’atto di indirizzo provinciale sottolinea come questa tendenza positiva alla differenziazione dell’offerta turistica vada senza dubbio incoraggiata e valorizzata. A tal fine le offerte locali devono essere integrate per comporre una politica di destination management unitaria: la percezione del Trentino come destinazione turistica in grado di proporre una varietà di offerte non è, infatti, per nulla scontata. Un sistema integrato di destination management può costituire un’opportunità importante per lo sviluppo di nuove offerte, anche da parte di località tradizionalmente meno importanti o attrattive che possono viceversa entrare in una rete di destinazioni turistiche coerenti. Viene pertanto sottolineata la necessità di avviare piani di sviluppo imprenditoriale per rafforzare le aree più deboli dell’imprenditoria locale, attivando interventi a sostegno della cooperazione imprenditoriale, alla nascita di nuove imprese di servizi, e una legislazione (come quella sul B&B) flessibile e aggiornata.

Un altro rischio a cui è esposto il settore è, infatti, rappresentato dal possibile depauperamento del capitale umano. Il settore turistico trentino è basato sull’imprenditoria familiare, se da un lato questo modello appare consono alle caratteristiche del turismo alpino, dall’altro lato non consente di investire a sufficienza su una risorsa chiave, l’istruzione, che permette di adeguare nel tempo la gestione aziendale alle esigenze del mercato e alle opportunità tecnologiche.

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“Il problema principale del turismo trentino è quello delle professionalità intermedie. Non abbiamo bisogno di manager, le nostre aziende turistiche sono tutte piccole aziende familiari, non assumeranno mai un manager, evidentemente non puoi sostituire il titolare con il direttore, semmai il problema è professionalizzare il titolare, ma per questo non serve una scuola. Il turismo è forse è uno dei pochi aspetti che ci lega di più alla Romagna, e so che lì stanno facendo politiche molto attente alla qualificazione delle professionalità turistiche, cosa che dovremo fare anche noi. A Rimini hanno fatto un esperimento enorme, hanno preso uno chef che va per la maggiore in Italia, non ricordo il nome, che ha girato il mondo, è stato a New York, ha lavorato a Parigi che non si è mai abbassato sotto le cinque stelle se stava in albergo e comunque ristoranti famosissimi, è stato pagato per mettere in piedi una scuola di chef. Attira tantissimo, perché gli albergatori sono tutti interessati a mandargli la gente, le famiglie sono interessate a mandare lì i ragazzi, eliminando il problema enorme delle scuole professionali alberghiere che in generale sono abbastanza dequalificate.... Se quattro giovani che si mettono insieme, adeguatamente formati, fanno una cooperativa che fa animazione negli alberghi, riescono a vivere tranquillamente tutto l’anno, se hanno un servizio qualificato hanno anche ottime possibilità di sviluppo, il problema è trovarli, metterli insieme e dargli un minimo di percorso. Il problema, ribadisco, della formazione delle risorse umane di medio livello, non di altissimo livello, sta diventando una questione di vita o di morte. Se lei pensa che ormai una marea di alberghi hanno il centro fitness ma non trovano estetiste, massaggiatori, non trovano mai niente. A noi manca di tutto, dai bagnini, agli istruttori di mountain bike, dagli accompagnatori di mezza montagna ai somelliers.” Consigliere provinciale

Nelle aree obiettivo 2 della provincia di Trento, le strategie di sviluppo degli attori locali puntano principalmente su un rafforzamento del settore turistico, sia per le sue capacità di generare flussi, sia per il suo potenziale di integrazione con gli altri settori (agriturismo, prodotti tipici, ecc).

Le aree obiettivo 2 mostrano ovviamente una predisposizione al turismo diversa da zona a zona; le zone nelle quali il turismo come struttura ricettiva evidenzia una significatività relativa sono l’alta Valle di Non, le Valli Giudicarie, la bassa Valsugana, il Tesino e Vanoi. I comuni dell’area obiettivo 2 presentano una preferenza per il turismo estivo, con percentuali che mediamente raggiungono l’85% delle presenze annue, di contro la provincia evidenzia un rapporto tra stagione estiva ed invernale più equilibrato (tale rapporto si attesta sul 66%). Il turismo estivo privilegia soluzioni ricettive più informali e meno dispendiose.

Pur con un movimento non sempre coerente ed omogeneo, il settore turistico di queste aree sembra indirizzarsi verso una razionalizzazione qualitativa della sua offerta che potrà comportare la possibilità di occupazione non tanto nelle figure professionali tradizionali, ma in nuove attività connesse più con lo sviluppo del tempo libero che non direttamente con il settore turistico in senso stretto.

Il Turismo è un settore particolarmente significativo rispetto al processo di scomposizione del lavoro. I “distretti dell’intrattenimento” sono i luoghi dove, più che altrove si affinano le forme dei lavori, i saperi e le competenze. Le tradizionali figure dell’albergatore, della guida alpina, del maestro di sci, assumono nuove connotazioni e ad essi si affiancano nuove figure professionali orientate alla gestione di tutti quei fattori immateriali che qualificano l’ospitalità turistica: animatori, istruttori sportivi, organizzatori di eventi, DJ, direttori artistici, interpreti, accompagnatori ambientali, i tanti addetti ai servizi turistici, dall’incaming, al marketing, alla ristorazione, al front office, ecc.

La crescita di una moderna economia dell’intrattenimento trova però il Trentino in parte impreparato. Se si analizza l’evoluzione dei sistemi turistici trentini più consolidati si nota come la cultura dell’intrattenimento abbia ormai permeato l’offerta locale e come ai turisti vengano offerti servizi sempre più sofisticati. In questi contesti locali l’imprenditoria turistica:• èstatacapacedidotarsidiqueisapericomplessichepermettonodifareanalisiemarketing sui

mercati internazionali, spesso anche attraverso, l’utilizzo di internet;• ha imparato ad agire con logiche coalizionali che permettono di promuovere e gestire

unitariamente l’offerta locale, in alcuni casi con veri e propri modelli da “villaggio turistico”;

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• è fortemente orientata e disponibile all’investimento in strutture e infrastrutture volte asoddisfare le domande dei turisti (sono ormai molti gli alberghi dotati ad esempio di sauna e centro fitness).

Quello che però ancora manca è un secondo livello di autoimprenditorialità e offerta professionale orientata proprio a quei fattori immateriali che possono ulteriormente qualificare l’ospitalità turistica. Il Trentino attualmente importa tali professionalità, ricorrendo al livello nazionale per le figure più qualificate e ai lavoratori extracomunitari per le funzioni più dequalificate.

Il vero dato contraddittorio è che, in una forte economia turistica come quella trentina, esistono solo due o tre società che si occupano di animazione turistica a livello professionale. Accanto alla necessità di ampliare la base ricettiva con iniziative di ricettività diffusa, (B&B, agritur, paesi albergo ecc.) sono molti i Sindaci intervistati che evidenziano questa carenza di servizi al turismo.

“L’organizzazione delle manifestazioni turistiche oggi si basano sul volontariato, sulle Pro loco. Non so fino a quando riusciremo ad avere il volontariato, anche questi sono servizi che prima o poi dovranno trovare spazi di imprenditorialità, aziende specializzate nell’organizzazione di eventi turistici. Vengo proprio ora dall’organizzazione di un evento che ha portato 1200 persone in Primiero a fare una gara di mountain bike che si chiama “Rampichissima”. Per l’organizzazione ci siamo avvalsi di una società che è di Rimini e che ormai è da anni che lavora all’interno della provincia di Trento. È la Fiera Promotion, fa la regia di importanti eventi, arriva qua e ci dice: “vi porto l’evento, voglio 25 mila euro e vi porto mille persone. Da voi pretendo che mi diate supporto logistico”. Senza nulla togliere alla professionalità di questa società, mi chiedo perché queste risorse non riusciamo a gestircele in casa. Questa è la strada da percorrere in questo momento, ho bisogno di una struttura operativa, nel senso che ho bisogno di animatori, faccio una telefonata e questa sa dove andare a prendere i 10 animatori che servono, sa dove andare a prendere il tendone, sa dove prendere l’impianto di amplificazione, abbiamo ormai bisogno di strutture professionali. Sicuramente questo è un passaggio critico e bisogna stare attenti a non smontare quello che è il tessuto volontaristico del Trentino perché se perdiamo quello abbiamo fatto la peggior cosa che possiamo fare. A Rimini hanno messo in piedi anche la “Scuola Superiore del Loisir”, dove formano tutte queste nuove professionalità. Sarebbe interessante organizzare uno scambio di esperienze con la situazione riminese per vedere loro come fanno queste cose. Questi si son fatti da soli. La capacità romagnola e` riconosciuta in tutto il mondo, sta vendendo con successo una pozza d’acqua che si chiama Adriatico. Diamo atto che se c’e` qualcuno che sa fare proprio il mestiere, sono questi. La Fiera Promotion ha organizzato la Rampilonga, che adesso è in Val di Fassa, che porta circa 3000 - 4000 persone ogni anno a fare la gara di mountain bike. Oggi, sono arrivati ad avere cinque tappe in Trentino, con la Provincia che fa da sponsor, con tutta una serie di trentini che lavorano, di fatto, per loro ma, ripeto, la testa è da un’altra parte, è a Rimini. Gli albergatori continuano ad investire da soli e a fare i loro centri fitness. Tutto questo è assolutamente legittimo però alla fine mancano le professionalità. È per questo che è importante avere un centro unico compartecipato, condiviso da tutti gli albergatori. Possiamo averne dieci di massaggiatori professionali, servizi migliori. Questo tutti lo capiscono, tutti capiscono che è la soluzione migliore ma purtroppo, alla prova dei fatti, diventa difficile metterlo in pratica. C’era anche il problema degli accompagnatori di mezza montagna. Le guide alpine so che nel passato hanno avuto questo problema. La guida alpina va sulla roccia, non va nel bosco a fare le passeggiate. Bisogna capire che sono dieci i turisti che vanno in cima Cimon della Pala e sono invece diecimila i turisti che vanno nel bosco. È lì che c’è da guadagnare, ma è un po’ difficile farlo capire. “Sindaco di Tonadico

“Si dovrebbe istituire una Pro loco che faccia da regia a tutte le iniziative. A livello comunale è l’associazionismo che organizza le varie manifestazioni d’estate per i turisti, ogni paese organizza la propria festa. La Pro loco potrebbe avere maggior peso nella valorizzazione di quello che abbiamo. Il problema nel turismo, è riuscire a far nascere nuove professionalità. Il rafting ad esempio è stata l’iniziativa di un privato di Verona che gestisce tutto, con una partita Iva; poi dietro ci sono degli istruttori che sono dei liberi professionisti. In questa società che si occupa di rafting c’è un solo trentino (l’assessore del comune di Caldes), forse perché le mamme ci hanno fatto crescere col terrore del torrente pericoloso. I centri di rafting in Val di Sole sono cinque, tutti scollegati, con una concorrenza spietata. Uno dei grossi problemi è diventare istruttore di rafting. La maggior degli istruttori sono australiani, argentini, che hanno i brevetti ottenuti nei loro Paesi, per cui vengono riconosciuti qui e lavorano qui, così la gente che sta sul territorio non può lavorare.” Sindaco di Caldes

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“Il problema del turismo in Val di Sole è che mancano professionalità, al di fuori del settore alberghiero, nei servizi. Tutti gli animatori che girano in Val di Sole vengono da fuori provincia. A portare il Rafting in Val di sole sono stati dei Veronesi. Queste professionalità oggi le importiamo è comodo importarle, ma anche molto pericoloso. Perché se tu li importi dall’Emilia Romagna; è vero che li importi, ma solo in inverno e in estate, in questi periodi trovi quello che trovi, trovi la serie D e la serie C su di un prodotto che in estate è per noi complementare, ma comunque importante. Noi abbiamo un turismo familiare, in genere benestante, di persone che durante l’anno per motivi di lavoro sono costretti a trascurare la famiglia. La cosa principale per quel tipo di famiglia è stare con i figli, specialmente se hanno 14 – 18 anni. Questi giovani tu li attrai se ci sono divertimenti. Se il figlio fa lo snowboard, vuole andare dove c’è lo snowpark, dove c’è il divertimento, a quel punto è il figlio che trascina i genitori in vacanza e non il contrario. Io sono il Presidente dell’Associazione snowboard d’Italia e so che lo snowpark deve essere fatto con qualità, perché il cliente deve trovare un posto organizzato al massimo. In Trentino nessuno sa progettare uno snow park, la maggior parte dei progettisti e dei costruttori di snow park proviene da Livigno, perché lì per tre o quattro anni hanno fatto gli European Open della Burton, che è la massima manifestazione di snowboard in Italia e per far questo chiedono determinate strutture. Hanno chiamato prima i consulenti esterni, costano tanto, però sanno di cosa si tratta. In estate è uguale; se noi cominciamo a vendere un turismo estivo dicendo che un raduno di vecchi con il bastone di legno che va per funghi, li terrorizziamo. Bisogna lavorare, sull’immagine, sui desideri dell’utenza, sull’organizzazione di eventi sull’animazione. Gli animatori non li porti dalla Sicilia che non conoscono nemmeno le montagne che ci sono; devi creare una scuola particolare, la scuola alberghiera di Ossana va ripensata con queste nuove attività. Ci vogliono delle professionalità capaci di creare eventi, divertimenti per i giovani. Allora si che la famiglia trova una mediazione tra i desideri del padre che ama la montagna e i desideri dei figli che vogliono socializzare e divertirsi. Dobbiamo creare i nostri animatori, non importarli, e fare in modo che nei mesi estivi riescano a fare qualcosa; quanto meno c’è un fiume. Ad esempio, iniziamo la stagione a maggio o a giugno e facciamo un mondiale di rafting a giugno e facciamo un mondiale - dico mondiale per indicare qualcosa di grande - di pesca a settembre. Sul Garda hanno ribaltato una situazione di crisi inventandosi il surf, tutto il discorso della vela... Fanno anche una gara molto importante, la conosco perché chi fa snowboard d’inverno solitamente fa anche il surf d’estate. C’è un’azienda che fa le onde artificiali; fanno il surf da onda e la gara è basata su questo. Il mondiale di snow board a Madonna di Campiglio ha funzionato molto bene. Se tu sei l’utente fai quello che vuoi, se sei l’imprenditore sei costretto a vedere l’evoluzione del mercato e ad adeguarti. Bisogna essere all’altezza dei tempi, chi si diverte in montagna non è che rovina un ambiente”. Sindaco di Cavizzana

“I Comuni hanno difficoltà a promuovere eventi culturali. A Fondo, dobbiamo andare a prendere qualcuno di Trento per organizzarci gli eventi culturali; facciamo sempre la manifestazione di San Giacomo di Compostela, la ricostruzione del pellegrinaggio e dobbiamo far venire qualcuno da fuori per organizzare il tutto. A Trento cominciano ad esserci società specializzate nell’organizzazione di eventi. Li chiamavamo, ci organizzavano un po’ tutto, all’inizio ci davano anche i costumi poi i costumi ce li siamo fatti e adesso ci arrangiamo perché è nato un comitato ma se ci fosse un gruppo di ragazzi - abbiamo tante manifestazioni a Fondo e non solo – queste feste potrebbero veramente essere organizzate direttamente da noi senza andare a spendere risorse fuori. Ne abbiamo parlato anche in Comprensorio e bisognerebbe fare in modo che nascesse un gruppo di lavoro del genere. Secondo me le opportunità di nuova imprenditorialità sono proprio del turismo. C’è bisogno di accompagnatori, guide per la montagna, organizzatori di eventi, etc.. Per esempio noi abbiamo i canyons ed abbiamo voluto formarci noi delle guide, stiamo dando lavoro, durante l’estate a quattro, cinque ragazzi che accompagnano le visite. Ne stanno nascendo altri ed ecco che potrebbe essere un’ulteriore attività, mentre durante l’inverno, visto che abbiamo scoperto l’attività delle ciaspole, c’è bisogno di accompagnatori, di organizzatori delle manifestazioni; penso ancora altri accompagnatori ambientali nei boschi che potrebbe essere un’attività piacevole per i ragazzi. Noi non abbiamo lo sci, ma abbiamo lo sci alpinismo e anche qui abbiamo bisogno di accompagnatori. Una bella idea sarebbe quella di dare in gestione ai giovani una serie di strutture ricettive che sono inutilizzate per buona parte dell’anno, coinvolgere attraverso una società in modo da tenerle aperte non 60 giorni come fanno adesso, ma tenerle aperte minimo 120, 150 giorni. Potrebbe essere una bella idea, viste le disponibilità che ci sono. Questo potrebbe anche spingere gli albergatori attuali a tenere più aperto se il turista che viene trova, attraverso una cooperativa, la gestione di certi servizi, le opportunità di passeggiate, le guide. Abbiamo tante cose da offrire, come le visite nei castelli, le visite nei siti culturali etc., e quindi sarebbe interessante riuscire a costruire una rete attraverso una cooperativa, presso un’associazione che può dare queste risposte e dà lavoro.” Sindaco di Fondo

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“Da anni chiedo che venga riconosciuta questa figura della guida di mezza montagna. Abbiamo chiuso sabato scorso un corso di formazione a livello europeo sulla figura dell’accompagnatore di mezza montagna, cioè un professionista che gestisce questa fase intermedia che è bassa per le guide alpine, perché hanno un altro tipo di vocazione e che è un’alternativa a quella che è la guida artistica, che magari opera sulla parte artistica, ma non sulla parte naturalistica. Questo potrebbe avere un mercato fortissimo: abbiamo 60, 70 km di sentieri che però se li lasciamo sulla cartina esposta fuori dal comune e se non prendi i turisti e li accompagni su questi sentieri fai poco, non li valorizzi, non li fai conoscere. Avevo chiesto un corso per l’animazione turistica, perché siamo un territorio che vive molto di eventi, però servono delle professionalità anche per questo, perché nessuno si improvvisa. Ho un grande rispetto per il volontariato, però deve essere accompagnato, se vogliamo professionalizzato. Bisogna fare in modo che poi il turismo dia spazi di lavoro con nuove iniziative imprenditoriali. Noi abbiamo formato adesso 10 persone che si sono impegnate in inverno a frequentare un corso impegnativo e questi giovani potranno essere utilizzati in questo tipo di attività di accompagnamento ma siamo anche consapevoli che esistono ancora dei problemi dal punto di vista giuridico perché può arrivare la guida turistica o la guida alpina e ti pianta la causa perché svolgi quel tipo di lavoro. Questo è un problema. Rischiamo di andare a creare queste forme di concorrenza e di possibile conflitto: se questi, probabilmente, accompagnano il gruppo a San Romedio e a San Romedio capita la guida turistica sono problemi. Abbiamo una guida turistica in tutta l’alta Valle di Non e certo non può pensare di coprire tutto il territorio. Serve qualcos’altro. Nel turismo ci sono delle lobby professionali che agiscono in termini corporativi e protezionistici. Il Sindaco di Revò è laureato in conversazione di beni architettonici. Ha fatto anche alcune lezioni qui da noi sulla parte artistica e storica, è molto bravo. Mi diceva che ha provato a fare l’esame per diventare guida artistica, però è difficilissimo ottenere il patentino perché ci sono delle lobby. Con tutto il rispetto ti offrono le loro professioni, però è chiaro che ci serve qualcos’altro di intermedio, di diverso, perché se vogliamo qualificare il territorio questa è una di quelle figure professionali che dovremmo incentivare”. Sindaco Romeno

Il turismo è un settore in cui il valore economico è prodotto dall’intrattenimento che genera esperienze ed emozioni. Un mercato fatto di cultura e creatività in cui i giovani possono trovare occasioni di occupazione e auto imprenditorialità.

Il turismo, tra i vari settori economici, è forse quello più esposto alla concorrenza globale ed è anche quello che maggiormente deve puntare sulla specificità e originalità della propria offerta. La semplice offerta di strutture, di beni e di servizi non è più sufficiente: sono invece le “esperienze” offerte al cliente, al visitatore, al turista, al consumatore, a costituire il fondamento della creazione del valore. È in questa dimensione di valorizzazione dell’esperienza connessa alla fruizione della montagna ed al consumo dei suoi prodotti che anche i territori trentini collocati ai margini dei grandi flussi turistici possono trovare un loro spazio, valorizzando le innumerevoli forme di turismo sociale ed ecosostenibile.

Un turismo sociale, sportivo, ambientale e famigliare, più slow, più attento all’ambiente, al territorio ed ai suoi prodotti. Un turismo che nei piccoli paesi di montagna deve poter contare su modelli di ricettività diffusa: quali sono i Bed & Breakfast, gli agriturismi e le fattorie didattiche, i paesi albergo. Valorizzare i centri storici, mantenere la qualità del paesaggio agricolo, rivitalizzare le relazioni interpersonali di paese e di borgata, salvaguardare le tradizioni locali, valorizzare le botteghe artigiane e i ristoranti con prodotti e ricette del territorio, riservare al turista un’ospitalità “calda” e diffusa, realizzare nelle scuole programmi di educazione al gusto, all’estetica, all’ospitalità, sono tutte azioni essenziali se si vuole fondare la strategia di sviluppo di un territorio sulla valorizzazione delle differenze e della qualità.

5.2 L’artigianato

La provincia di Trento, a fronte della crisi storica della grande impresa, ha saputo sviluppare un’imprenditorialità diffusa, operante in un ventaglio ampio di settori, sufficientemente efficiente e dinamica soprattutto nei settori di specializzazione provinciale.

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L’importanza dell’artigianato e della piccola impresa in Trentino è testimoniata dal fatto che la buona dinamica occupazionale rilevabile a livello provinciale dipende esclusivamente dalla buona performance delle piccole e microimprese artigiane, che riesce sostanzialmente a correggere l’andamento negativo dell’occupazione nella grande impresa.

Nei fatti, l’artigianato costituisce un volano di creazione di impresa e nell’ambito dell’economia provinciale il suo ruolo si esplica in due importanti direzioni:• quellarelativaallafunzionediincubatorenelprocessodicreazionediimpresa,nonsolonelle

attività produttive più tradizionali, ma anche in settori nuovi e con intrinseche caratteristiche di tipo innovativo;

• quelladiunafunzionecalmieratriceedifrazionamentonellesituazionidicrisicommesseafasi di stagnazione economica.

Dal Rapporto Annuale sull’Artigianato pubblicato dalla Provincia Autonoma di Trento su dati dell’Albo delle Imprese Artigiane emerge come negli anni che vanno dal 2000 al 2006, a livello provinciale, il quadro generale sia senz’altro positivo con un comparto in continua crescita come dimostrato dai dati che seguono:• siregistrauncontinuoincremento(+8,7%inseianni)delleimpresechesonopassatedalle

12.917 del 2000 alle 14.038 del 2006;• alivelloterritorialeleperformancepiùsignificativenelperiodoanalizzatosonorappresentate

da Alta e Bassa Valsugana, con incrementi rispettivamente del 20,8% e del 15,1%, e dall’ambito delle Giudicarie con un +11,2%;

• analizzando le dinamiche dei differenti settori si rileva come la crescita più rilevante(superiore all’11%) sia da attribuire alle aziende di produzione, mentre un ritmo di crescita percentualmente più lento (+ 5,%) riguarda quelle di servizi; una lieve contrazione si segnala invece tra le aziende tradizionali dell’artistico (-3%), da segnalare tra le differenti categorie una crescita molto elevata delle imprese edili (+28,6%);

• perquantoriguardalaformasocietaria,il72%delleiniziativesonoditteindividualiecrescononegli ultimi sei anni dell’8,1%; le società di persone che sono il 25% del totale sono rimaste grosso modo invariate; mentre si registra una significativa crescita delle società di capitali che ora rappresentano il 2,7% del totale contro lo 0,3% del 2000;

• moltointeressantedaparecchipuntidivistalosviluppodeiconsorziartigianiche,nei6anni,crescono del 66%;

• dalpuntodivistaeconomicosirafforza,ancheseinmanieramoltolimitatal’export;mainquesto senso le future indagini dovranno quantificare il contributo all’export delle piccole imprese artigiane all’interno delle reti di subfornitura;

• nelperiodo2000-2006siregistraunaumentodelledonneimprenditrici,titolariosocie,(+6,9%) anche se in percentuale inferiore alla crescita dei colleghi maschi;

• unfortesvilupporiguardasoprattuttoleimpresecondottedastraniericheaumentanodioltreil 16% e in questo senso l’artigianato dimostra ancora una volta la propria capacità nel creare inclusione sociale e nel favorire l’integrazione dei soggetti di nazionalità estera.

“Vicenza, Padova, Treviso, Pordenone, Udine non hanno assolutamente questi dati che abbiamo noi. Da noi è aumentato in modo incredibile il numero di artigiani iscritti all’albo. Il processo è evidente in tutti i territori della provincia, in certi territori sono cresciuti più del doppio della media provinciale; in altri sono stabilizzati. Abbiamo queste persone che si mettono in proprio, qualcuno comincia anche ad assumere dopo i primi anni. La maggioranza di queste persone sono giovani. Ho scorso gli elenchi; nel codice fiscale c’è scritto anno ‘80, ‘79, ‘82, ‘81 dai 23 ai 25 anni, tra l’altro abbiamo un problema associativo per cui non sempre riusciamo a intercettarli. Non vi è dubbio che dietro a questo fenomeno c’è un discorso di flessibilizzazione del lavoro. Questi sono una marea di piccoli capitalisti personali che fanno un mare di lavori che non riescono ad entrare nel campo pubblico perché sanno che ormai è sbarrato. Al lavoro dipendente più di tanto non è che siano

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ispirati e quindi si licenziano dal lavoro dipendente, si mettono in proprio nei campi dell’impiantistica, nel campo delle piccole lavorazioni in legno, qualcosa nell’artistico, qualcosa nell’informatica, molto nell’edilizia. Mediamente, nel nostro mondo, si utilizzava pochissimo i co.co.co. e si utilizza pochissimo la legge Biagi, la quale, invece, è molto usata nel mondo del commercio, nel mondo della ristorazione, è molto usata nel mondo dell’industria. Nell’artigianato trentino su un totale 36 mila occupati abbiamo 350 co.co.co. una miseria. Nell’artigianato la flessibilita` la raggiungi mettendoti in proprio, utilizzi quel minimo di bene che ti da la costruzione di una piccola impresa, ti danno un fondo alla cooperativa da rimborsare però senza grandi firme, la Provincia ti da un contributo che arriva fino al 25% sulle spese, quindi, parte con quest’avventura. Un po’ muoiono, non ho dati precisi, ma la sensazione è che ne muoiono meno in Trentino che da altre parti” Direttore Associazioni Artigiani

In considerazione del fatto che le imprese industriali con più di 10 addetti, nell’area obiettivo 2, sono solo 78 e rappresentano circa l’11% di quelle presenti in provincia di Trento, ci si rende conto come l’artigianato in quest’area svolga un’importante funzione di stimolo e di possibilità lavorative per i residenti. Sono diversi gli interlocutori che sottolineano il ruolo dell’artigianato nel mantenimento della coesione socio-economica in questi territori. L’artigianato è la principale attività economica che consente di vivere in queste aree: basta pensare al ruolo dell’artigianato, nel fornire occupazione, nel fare manutenzione del territorio, nel fornire i servizi di base che consentono la permanenza e la vita della comunità.

“ Non è assolutamente vero che in Trentino manca l’imprenditorialità. Bisogna intenderci su cosa si intende per imprenditorialità. Se uno ha in testa che l’imprenditorialità è solo quella fatta dalle imprese con più di cinquanta dipendenti, si sbaglia; bisogna che qualcuno spieghi a queste persone che l’impresa con cinquanta dipendenti ha bisogno di una base demografica che qui in Trentino non esiste tranne che in alcune aree. Questo è il fattore importante, nel senso che non ci sono le condizioni demografiche per sostenere un’industrializzazione di media consistenza, ed è per questo che noi insistiamo nel difendere il principio che se si vuole fare un minimo di differenziazione rispetto all’occupazione pubblica nel campo manifatturiero, dei servizi o nei servizi destinati alle imprese, l’unico strumento è l’artigianato. L’artigianato è necessario per mantenere una qualità elevata di vita, specialmente nelle aree decentrate. C’è un artigianato molto ampio che è quello che serve alla qualità della vita della gente. Se si abbassasse questo tipo di artigianato vuol dire che stiamo arretrando e lo pagheremo anche molto caro. L’artigianato offre poi opportunità di stabilità economica e occupazionale in queste aree, Non è un caso che ad esempio il settore delle costruzioni svolgano un ruolo maggiore soprattutto man mano che sale l’altimetria, una funzione sostitutiva nell’offrire posti di lavoro di tipo industriale” Responsabile Centro Studi Artigiani di Trento

L’artigianato delle aree obiettivo 2 è fondamentalmente basato su micro unità lavorative e offre i propri beni e servizi al mercato locale, anche se non mancano sistemi di subfornitura artigiana aperti ad integrazioni produttive con realtà esterne, in particolare delle fasce pedemontane venete e lombarde.

“Se è vero che in Trentino non esistono distretti industriali è però anche vero che l’impresa artigiana trentina opera in stretta sinergia con i territori del nord est; l’artigiano, il piccolo imprenditore trentino collabora attivamente sia verso Belluno, sia verso Vicenza, sia verso Verona, che verso Brescia; le dirò che addirittura la comunità del Garda, che è a metà strada fra Brescia e Verona, c’è una miriade di piccole imprese che si muovono sia ad Est che ad Ovest, che lavorano sia per imprese del bresciano che del veronese, anche perché lì c’è un’integrazione vera fra settori” Vice Presidente di Confartigianato nazionale

“ La nostra struttura di PMI e di artigiani è profondamente diversa da quella del nord-est. Il terzismo è poco diffuso sulle 10.700 imprese che noi associamo (quelle iscritte all’albo artigiani sono 12.500) le terziste in senso tradizionale saranno 3-400. Il nostro terzismo è comunque un terzismo collaborativo, evoluto, la collaborazione comincia già nella progettazione del pezzo, nella scelta delle materie prime. Sul tema della subfornitura di qualità noi abbiamo organizzato forme di collaborazione con la Baviera, finalizzate a rafforzare le integrazioni produttive” Direttore Associazione Artigiani di Trento

“Dal punto di vista produttivo non siamo messi male. Il 40% delle imprese artigiane di Storo sono nel settore metalmeccanico, dalla carpenteria alla minuteria, fortemente integrate con i distretti bresciani. C’è un’azienda che lavora per la Ferrari e la Maserati, sui pistoni e sui cilindri. C’è uno che fa carpenteria pesante che vende anche in Australia.”. Sindaco di Storo

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Non ci si deve pertanto stupire se, proprio in territorio trentino - pur in assenza di dinamiche distrettuali - si assiste ad un significativo processo di costruzione di filiere produttive in cui le aziende vanno ad assumere diverse posizioni nella catena in ragione delle loro capacità, senza per questo condannarsi ad una sub-fornitura dipendente (come mostrato da una recentemente indagine condotta sulle imprese localizzate nei comuni obbiettivo 2 della Valle del Chiese) 7.

7 Trentino Sviluppo Spa “Nessuna impresa è un’isola” Quaderni di territorio n.1, aprile 2008.

BOX 2 LE FILIERE DI SUBFORNITURA IN VALLE DEL CHIESE

1) Il principale dato che emerge dall’indagine su 100 imprese della Valle del Chiese è il confine sfumato che caratterizza il posizionamento delle imprese nella filiera: si è al contempo fornitori e committenti; il reddito d’impresa è formato da prodotti di subfornitura, ma anche da una quota rilevante (e si auspica crescente) di prodotti propri.

2) L’equilibrio dell’impresa è il risultato di due bisogni:- da un lato, la necessità di fare riferimento ad un mercato conosciuto, per certi versi

“garantito”, com’è quello della subfornitura locale;- dall’altro lato, la necessità di evolvere, interfacciandosi direttamente con i mercati

finali o, quantomeno, con altri possibili committenti esterni al contesto locale.3) La dimensione locale continua a svolgere un ruolo importante. Sul territorio si sono

sedimentate competenze e specializzazioni nel settore meccanico e del legno che continuano ad alimentare un fitto sistema di relazioni produttive, ma che rimangono però prevalentemente informali, (i consorzi ed i gruppi di impresa sono pochi), le relazioni tra imprese si giocano all’interno di un delicato equilibrio tra collaborazione e competizione.

4) Il territorio comunque non basta più. Le nicchie di specializzazione e di mercato in cui si è fino ad oggi cresciuti cominciano ad essere sature. L’infittirsi della competizione a livello locale - ma si cominciano ad intravedere anche concorrenti esteri - impone alle imprese della Valle del Chiese una diversificazione produttiva e la ricerca di nuovi interlocutori industriali e commerciali.

5) Gli stessi rapporti consolidati di subfornitura si fanno più complessi: aumentano i gradi di specializzazione, flessibilità, innovazione tecnologica e organizzativa richiesta dai committenti.

6) Anche l’organizzazione della produzione si fa più complicata. L’adeguamento tecnologico all’aumentata complessità della domanda non sembra essere un problema rilevante, lo è invece la difficoltà di trovare in loco manodopera specializzata e servizi qualificati.

7) A fronte di questi problemi, quello che emerge con forza è un processo di esplorazione pluralistica, ovvero, la proiezione del sistema produttivo locale verso l’esterno, in tanti e diversificati punti della filiera, (mantenendo al contempo relazioni di rete locale).

8) Per il momento si tratta di una proiezione di “medio raggio”, orientata verso regioni del nord Italia, in cui, però si cominciano ad individuare anche diversi punti di contatto con i mercati esteri. Sono 21 le imprese che realizzano una quota del proprio fatturato sui mercati esteri; ci sono 7 i committenti consolidati all’estero; ma il dato più interessante è che oltre la metà delle imprese di subfornitura intervistate opera comunque all’interno di filiere internazionalizzate per importanti committenti (spesso multinazionali)

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Oggi, artigiano vuol dire autonomia, creatività, personalizzazione nella produzione di beni e servizi che sono moderni in senso positivo, nel senso che usano la tecnologia per quello che serve, ma vi aggiungono il design, il gusto estetico, la disponibilità a capire e servire i bisogni specifici del cliente, il rapporto col territorio e con la sua storia, la mediazione culturale con significati che “fanno parlare” i prodotti con l’alfabeto della moda o degli stili di vita.

Artigianato vuol dire identità, senso: rapporto tra il produttore che dà senso al suo lavoro e l’utilizzatore che lo recepisce, legandolo al proprio bisogno identitario. È attraverso tutte queste qualità che l’ars artigiana cessa di essere una sopravvivenza del passato e diventa uno degli assi portanti della produzione post-fordista.

Nelle aree obiettivo 2 della provincia di Trento non mancano forme di artigianato con produzioni di qualità nei comparti dell’artigianato artistico, della trasformazione agroalimentare, dei servizi tecnologici, che operano su mercati molto più vasti.

“Qui nel comune di Rumo abbiamo due ragazzi che aggiustano e ripristinano gli organi delle chiese e, addirittura, costruiscono anche degli organi. Un loro organo è stato inaugurato quindici giorni fa proprio a Ventimiglia: si tratta di un organo molto grande; un altro organo lo avevano fatto due anni fa per la chiesa di Dro. Lavorano bene; riparano e costruiscono organi presso la loro sede e vanno quindi fuori per riparazioni e montaggi; addirittura lavorano in Olanda, in Belgio, in tutta Italia: sono bravissimi e molto ricercati. Hanno imparato a Verona, da un artigiano molto famoso; si sono quindi messi in proprio e lavorano molto bene. Sono i fratelli Carrara, Giorgio e Cristian, l’azienda si chiama Fratelli Carrara” Sindaco di Rumo

“ A Caldes abbiamo un fabbro Zanoni, che è diventato famoso per aver realizzato l’albero della Microsoft”. Sindaco di Caldes

“Abbiamo una signora che fa produzioni artistiche in vetro ormai è famosa non solo in Trentino Adesso ha depositato il marchio di una sua linea personale; lei disegna oggetti d’arte, gioielli, collane, in vetro che fa fare a Murano” Rappresentante associazione artigiani della Valle del Chiese

“Adesso va molto di moda il discorso del cibo, del territorio, del gusto, vedo che quelle poche attivita` che ci sono qui vanno molto bene, pensi che io ho un artigiano che ha aperto 6 anni fa, fatturava 100 mila euro, adesso fattura un milione e mezzo, vende prodotti alimentari che fa lui, quindi fa prodotti biologici, prodotti particolari del Trentino, salse particolari, È riuscito a fare business. Si chiama MasÈ Mario. Ha iniziato con una semplice macelleria, poi ha avuto quest’idea” Responsabile Associazione Artigiani di Tione

“A Smarano abbiamo due fratelli, che producono speck, prosciutto, mortandela e che hanno avuto un grande sviluppo in questi ultimi anni. È tutto basato su creazione propria; anche le carni sono di loro produzione; credo che sia una delle migliori, se non la migliore macelleria del Trentino; qui c’è una professionalità eccellente. Seguo anche i programmi, tipo Linea Verde o che ne so, altri programmi televisivi che vanno per la maggiore ma vedo che possiamo caratterizzarci e proporci sul mercato a testa alta; dico questo anche osservando cosa fanno gli altri.” Sindaco di Smarano

9) L’esplorazione pluralistica è un processo alimentato da dinamiche spontanee e da individualità imprenditoriali: si va per il mondo in ordine sparso. Più che sulla capacità di costituire alleanze tra imprese e gruppi o filiere capaci di competere su mercati più vasti, il processo di apertura si fonda sui fattori di specializzazione e flessibilità che consentono alle singole imprese di inserirsi in reti di fornitura sovralocali.

10) Vi è comunque la netta e diffusa percezione dei limiti connessi a percorsi di apertura praticati singolarmente dalle imprese e sono molti gli imprenditori che segnalano l’esigenza di rafforzare l’integrazione e la proiezione del sistema produttivo locale nel suo complesso: sia in senso verticale, attraverso alleanze di filiera, sia in senso orizzontale, attraverso la costituzione di consorzi.

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“Nell’artigianato abbiamo una realtà importante: una macelleria gestita da una signora dove vengono confezionate le “lucaniche” tipiche della Val dei Mocheni che sono un prodotto riconosciuto anche a livello di Comunità europea con un marchio DOC”. Sindaco di Sant’Orsola.

Come tutte le imprese di dimensioni molto ridotte, anche il tessuto artigiano di queste aree avverte problemi e difficoltà nell’acquisizione di servizi sul mercato in particolar modo di quelli connessi con lo sviluppo che consentono di non arretrare in un sistema sempre più competitivo e dove i confini territoriali diventano meno significativi.

“Io oltre che Sindaco sono anche titolare di un’azienda artigiana di lavorazione del legno; noi siamo specializzati nell’assorbimento del rumore ed, infatti, facciamo pannelli fonoassorbenti. I nostri committenti sono aziende edilizie in giro per l’Italia, si lavora abbastanza. Abbiamo sviluppato brevetti, per un costo di centomila euro di studi di laboratorio. Facciamo le prove di laboratorio a Rimini. Questi contatti li ho trovati io come imprenditore. Si cerca, si gira, c’è da pedalare. Ci vorrebbe una maggiore assistenza a livello provinciale. Non conta soltanto il contributo; se vedo che l’azienda mi dà innovazione dovrebbe essere seguita da qualcuno. Per la mia azienda il problema non sono i soldi, il problema sono le competenze. A volte si fanno dei prodotti e si dovrebbe creare una sinergia tra Università ed aziende” Sindaco di Brione

Nelle aree montane è indubbiamente più difficile fare impresa; ci sono problemi di accessibilità, non solo rispetto alla carenza di infrastrutture per far circolare merci e persone, ma anche riguardo alla possibilità di accesso ai servizi pregiati, quali l’informazione, la formazione, l’innovazione tecnologica.

Non è vero, come alcuni sostengono, che nella piccola impresa e nell’impresa artigiana non c’è innovazione. Oggi gran parte del tem po di lavoro dell’imprenditore artigiano è dedicato a gestire e rafforzare quelli che sono i fattori im materiali di produzione: l’organizzazione, la finanza, la commercializzazione, l’innovazione di processi e prodotti, la logistica, la sicu rezza, l’ambiente, la progettazione, i marchi, la certificazione, l’immagine, la comunicazione.

Nei fatti, la sempre maggiore preponderanza di fattori immateriali nella produzione ha tolto all’impresa artigiana i suoi tradizionali caratteri distintivi (la manifattura, il coinvolgimento del titolare nella produzione, il sapere pratico, la dimensione locale del mercato e delle relazioni personali), e la fa sempre più assomigliare per un verso, all’impresa industriale che usa tecnologie e linguaggi complessi in un mercato globalizzato, e per l’altro ad un’impresa di terziario qualificato, in cui la manualità della produzione materiale è stata in buona parte sostituita dall’applicazione di saperi complessi. È sempre più difficile distinguere l’artigianato dall’industria e dal terziario, perché oggi artigianato, industria e terziario, parlano sostanzialmente gli stessi linguaggi complessi di una produzione che si fa sempre più immateriale il cui valore aggiunto è dato da conoscenze, qualità, simboli e servizi.

Oltre alla necessità di fare rete per essere più competitivi, le imprese artigiane nelle aree obiettivo 2 evidenziano una forte domanda di competenze. La progettazione, il design, l’organizzazione produttiva, la commercializzazione, l’approccio ai mercati, il rapporto con i clienti, la personalizzazione dei prodotti, diventano sempre più importanti per competere nel nuovo mercato. Specialmente per imprese che - anche grazie ai finanziamenti dei patti territoriali - hanno investito molto nell’innovazione di processo, ma si presentano ancora deboli nelle funzioni terziarie e commerciali.

Spesso il mondo dell’artigianato trova al proprio interno le risorse necessarie alla sua evoluzione competitiva, aprendosi alle nuove professioni della conoscenza. Ne è un esempio il già citato caso del CONIT, che però non esaurisce il processo di acquisizione di attività innovative nell’alveo dell’artigianato.

“Stiamo cominciando ad osservare dei fenomeni di iniziative artigiane avviate da laureati che scelgono la forma dell’artigianato perché è abbastanza semplice come struttura. Il fatto che ci sia l’associazione che è abbastanza grossa che può garantire dei servizi a prezzi agevolati rispetto agli altri, quindi ci sono questi tipi di iniziative, è interessante. Ci sono stati dei geologi che hanno aperto un’azienda artigiana per fare

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cartografia digitale. Mi vengono in mente due architetti che hanno aperto una società di grafica e di rendering. Ci sono tante aziende informatiche.” Direttore CEII

L’apertura del mondo artigiano alle nuove professioni della conoscenza costituisce una delle sfide della transizione in atto che, nella definizione di strategie di sviluppo delle aree montane, può svolgere ruoli importanti:• daunlatometteadisposizionedell’artigianatoimportanticompetenze,favorendolanascitadi

aziende artigiane fatte da giovani laureati che si occupano di innovazione tecnologica, siti web, di automazione, ecc., per conto di altre aziende artigiane e alberghiere, quindi trasferiscono competenze e servizi pregiati nei settori tipici dell’economia montana;

• dall’altro lato,costituisceunavalidaalternativaall’emigrazionedi tantigiovani laureatieduna valorizzazione in chiave imprenditoriale di competenze presenti sul territorio che spesso alimentano le nuove forme del lavoro atipico e precario al di fuori dei tradizionali schemi di tutela e rappresentanza.

In relazione ai processi appena descritti sono molti i soggetti locali che indicano l’artigianato come ambito principale su cui indirizzare il processo di animazione imprenditoriale. Se molti sottolineano lo spontaneo processo di avvio di nuove imprese artigiane, specialmente nell’ambito della filiera delle costruzioni (elettricisti, impiantisti, falegnami, idraulici, ecc.), altri evidenziano, come proprio in virtù della sua vitalità il settore artigiano si presti ad esprimere attività nei campi dell’innovazione tecnologica e dell’artigianato di qualità legato alle peculiarità del territorio, che a tal fine andrebbero opportunamente incentivati.

Chiaramente, anche l’artigianato di montagna deve oggi confrontarsi con l’aumentato clima competitivo connesso con l’apertura dei mercati. La competizione internazionale non è una cosa che riguarda solo le imprese che esportano o che delocalizzano. Anche l’impresa artigiana che non esporta o che non fa investimenti all’estero è condizionata, nei suoi prodotti, nei suoi prezzi, nei suoi metodi di produzione, da competitori internazionali.

Globalizzazione significa, ad esempio, il semplice fatto che i comuni di montagna non riescono più a vendere il legname delle proprie foreste, perché ormai il legno arriva a prezzi bassissimi dai Paesi dell’Est.

“La filiera del legno, purtroppo è un handicap anche per i comuni, non riusciamo più a vendere, se lo vendiamo lo vendiamo sottocosto, perché la maggior parte del legno viene da fuori, qua ne tagliano decine di migliaia di metri cubi all’anno e fatichiamo a venderne 700, 800 come comune, addirittura sta arrivando il semi–lavorato dall’est. Qua le nostre aziende assemblano, vendono la maggior parte del prodotto in Pianura Padana.” Sindaco di Don

“Abbiamo fatto anche un’unione di comuni per la vendita del legno che però non ha funzionato, perché il mercato è strano: una volta perché c’erano gli schianti in Germania, una volta perché venivano fuori dalla Svizzera. Anni fa il legname era una risorsa per il Comune, nel senso che si pagavano i dipendenti, purtroppo adesso non più.” Sindaco di Castel Condino

“Ci vorrebbe una politica che valorizzasse il polo del legno, di coordinare un unico pacchetto di immagine. Abbiamo un legno speciale perché nasce in un ambiente particolare, per cui ha qualcosa in più di quello dell’Austria o della Germania o dell’est in genere. Il nostro legno è eccezionale e lo dimostra la nostra chiesa, che ha mille anni e le travature ancora intatte.” Sindaco di Condino

“Abbiamo infine, tutto il settore silvo - pastorale, forestale soprattutto, abbiamo una grossa presenza di boschi; il Comune, per esempio, di Canal San Bovo e` in assoluto tra tutti i Comuni trentini, il maggiore produttore di legno. Abbiamo una massa di ripresa teorica totale di 13.000 cubi. E` il dato, in assoluto, più alto fra tutti i Comuni trentini. Nessun Comune produce individualmente una massa legnosa così alta, legnosa intendendosi come legname da opera, non legname da bruciare, non legna da ardere. Questo e` un comparto che soffre tremendamente la presenza dei mercati dell’est europeo perché abbiamo un’invasione a prezzi stracciati di legname che riducono o annullano la nostra produzione.“ Sindaco Canal San Bovo

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“Il prezzo del legno è talmente basso per cui è difficile riuscire a fare un ragionamento sulla filiera del legno. Nel 2000, quando è venuta la famosa tromba d’aria, hanno tagliato 2000 metri e adesso, dopo 4 anni, non c’è stata ancora la ripresa. Anche l’anno scorso ci sono stati un po’ di schianti ed il legname l’abbiamo venduto in piedi”. Sindaco di Spera

Vi è inoltre chi sottolinea l’esigenza di una generale qualificazione del tessuto artigiano, in termini di cultura imprenditoriale. Tale esigenza si manifesta in particolare nella filiera dell’edilizia caratterizzata da due fenomeni:• ilconsistenteavviodiimpresederivantedaunprocessodiesternalizzazionedifunzioniattuato

dalle imprese alla ricerca di maggiore flessibilità e competitività• laprogressivacrescitadiattivitàartigianeavviatedalavoratoriextracomunitari.

“Abbiamo una forte crescita numerica per quanto riguarda l’artigianato. L’Alta Valsugana, addirittura, da questo punto di vista eccede le medie provinciali. Nella nostra zona tale crescita riguarda in modo particolare l’edilizia ed il porfido. Ovviamente siamo soddisfatti di questa crescita, anche se non dobbiamo nasconderci che questa crescita mostra dei problemi qualitativi. Buona parte di queste posizioni sono delle trasformazioni da lavoratori dipendenti ad imprenditori ma che continuano, almeno per un certo periodo, ad avere un rapporto di monocommittenza con l’azienda da cui sono usciti. Quantomeno emerge la volontà di passare da un lavoro dipendente ad un lavoro autonomo. Una volontà che dobbiamo accompagnare, in termini di cultura imprenditoriale, di diversificazione della committenza. I consorzi su cui abbiamo puntato molto sono serviti per fare rete con queste imprese perché chiaramente la microimpresa, da sola, in certi settori è difficilissima: o sei veramente un mostro di bravura o non vai avanti, mentre, così, si inizia a mettere in collaborazione, l’abbiamo fatto con diverse categorie il discorso del consorzio. Alcuni erano quasi obbligati se volevano fare determinate cose però la strategia di mettere in rete, probabilmente, è l’unica strada su certi settori per tenerli competitivi. Ormai la competizione è tale che il solo mercato locale diventa problematico”. Responsabile Associazione Artigiani Alta Valsugana

“Negli ultimi anni vedo una forte crescita di iniziative avviate da extracomunitari che fino all’altro ieri svolgevano un lavoro dipendente nel settore edile. Vengono da noi con una scarsa base imprenditoriale, a volte non conoscono le leggi che regolano la loro attività. Qualcuno ha una certa specializzazione, magari è 10 anni che vivono in Italia, che lavorano presso una ditta, e una certa specializzazione l’hanno acquisita, effettivamente sono apprezzati, lavorano, però buona parte di questi, nel giro di due anni chiudono l’attività. Spesso escono dal lavoro dipendente perché sono incentivati dagli stessi datori di lavoro, c’è un reciproco vantaggio loro guadagnano di più e l’impresa committente cresce in flessibilità. Il fenomeno riguarda anche i locali. Ci sono imprese che nei fatti mascherano un lavoro dipendente. Io vedo molto bene questo progetto, per stimolare i giovani a riflettere su quello che è il comparto dell’artigianato, ma ritengo che un intervento di animazione imprenditoriale debba essere esteso anche a questi soggetti, che devono acquisire cultura imprenditoriale, dobbiamo aiutarli a diventare veri imprenditori.“ Responsabile Associazione artigiani di Tione

“Stiamo seguendo 500 aziende avviate da immigrati. Non abbiamo ancora uno storico per dire, alla fine, le capacità che hanno di stare sul mercato. Una gran parte è gente che lavora in sub appalto nell’edilizia, poi abbiamo visto tanti che sono nel settore delle pizzerie di asporto, nei trasporti, tanti nel settore del profilo dove si fa fatica trovare manodopera italiana. Salvo qualche incidente di percorso nel complesso è una realtà positiva. Ho l’impressione che man mano che passano gli anni capiscono che devo stare alle regole. Chi è serio e capisce che chiede e ottiene e sta alle regole, ha soddisfazione. Abbiamo anche aziende con dipendenti”. Responsabile Consorzio artigiano di garanzia

5.3 L’agricoltura

La situazione del settore agricolo nella provincia di Trento appare piuttosto diversificata. Accanto a comparti che presentano risultati molto interessanti e che possono essere considerati trainanti per l’economia locale (in particolare quelli afferenti alle filiere dell’industria agroalimentare sia in ambito cooperativo, sia in ambito privato), esistono altri comparti o forme di produzione in cui

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a prevalere è la dimensione della microimpresa agricola - spesso con ruoli di integrazione rispetto ad altri redditi familiari – in bilico tra posizioni di marginalità (che sono tipiche dell’agricoltura di montagna) e processi di modernizzazione volti a ridefinirne la funzione economica, sociale e territoriale.

Entrambi i modelli sono una rappresentazione dell’evoluzione a cui è soggetto oggi il settore agricolo montano. Filiere agroalimentari e microimpresa agricola esprimono strategie speculari che, mettendo a frutto il diffondersi di una nuova cultura alimentare, ridefiniscono il rapporto con i mercati di sbocco:• daunaparte,sipersegueunnuovorapportoconlagrandedistribuzioneorganizzataquale

veicolo privilegiato di penetrazione di sempre nuovi mercati, ed in cui svolgono un ruolo sempre più importante gli aspetti di qualità, tipicità e sicurezza alimentare;

• dall’altra, si punta ad accorciare la filiera attraverso la costituzione di mercati locali chepongono in relazione diretta produttore e consumatore, valorizzando i prodotti biologici e tradizionali in settori di nicchia caratterizzati da una forte tipicità.

All’interno del comparto trainante, va senz’altro sottolineata la posizione delle produzioni vitivinicole, frutticole e lattiero-casearie, ampiamente integrate in filiere di trasformazione e di distribuzione, al punto da dare un contributo decisivo all’aumento della quota di esportazioni della provincia. L’organizzazione di tali produzioni all’interno di filiere fortemente strutturate rappresenta una peculiarità dell’economia trentina, che unisce:• legameecapacitàdipresidiodelterritorioconilmantenimentodiunamicroimprenditorialità

diffusa anche nelle zone più marginali della provincia (i tanti soci cooperatori che conferiscono mele, uva, latte piccoli frutti);

• innovazionenellepratichecolturalieneimodelliorganizzativiedistributivi;• forte proiezione, attraverso marchi affermati, delle produzioni trentine sui mercati

internazionali.

“La cooperativa S. Orsola è fortissimamente vincolata al territorio, tant’è vero che è impegnata in una ricerca sulle zone che nel suo ambito evidenziano una bassa redditività, ricerche che dovrebbero fornire gli strumenti per ovviare a queste situazioni. Rispetto al territorio noi possiamo soltanto o avanzare, o retrocedere, non possiamo metterci di lato. Devo dire che per ovviare ad alcuni inconvenienti ci siamo dovuti rivolgere anche alla grande distribuzione nazionale. (...). Tutto il processo non ci ha allontanati dal territorio, al contrario, ci ha radicati ancor di più, permettendo ai contadini locali di svolgere al meglio la propria attività. (...) Se non ci fossimo mossi per tempo sulle reti lunghe, andando a cercare contratti con la Esselunga, con la Coop, a livello nazionale, non sarebbe potuto crescere un distretto come il nostro. Con dieci, quindici produttori si sarebbe saturato il mercato locale e non ci sarebbe più stato spazio per una cooperativa, ma neanche per una struttura con dipendenti e lavoratori fissi.” direttore dell’Associazione Produttori Agricoli Sant’Orsola.

La stessa microimpresa agricola è oggi coinvolta in un processo di modernizzazione che porta progressivamente l’agricoltura di montagna ad affrancarsi da un’immagine di comparto marginale e fortemente assistito dall’intervento pubblico. Dall’osservazione territoriale di quanto accade nel mondo delle microimprese agricole, se ne ricava un’immagine tutt’altro che statica o regressiva.

Sul piano strettamente produttivo e distributivo, sono individuabili una pluralità di tendenze volte a definire un nuovo ruolo ed un nuovo modello di sostenibilità economica della microimpresa agricola di montagna. Rientrano all’interno di tali tendenze: la valorizzazione di produzioni tipiche in mercati di nicchia; la diffusione delle colture biologiche; l’investimento in forme alternative di coltivazione e di allevamento; l’investimento in attività di trasformazione e commercializzazione capaci di dare valore aggiunto alle produzioni aziendali; iniziative come il “Kilometro 0” (le reti di locali che offrono prodotti del territorio che non devono percorrere lunghe distanze prima di

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giungere in tavola); la diffusione di distributori automatici per la commercializzazione di latte appena munto; la diffusione dei “farmer markets” (i mercati esclusivi degli agricoltori nelle città).

Le opportunità imprenditoriali vengono individuate nella nascita e nel consolidamento di microfiliere produttive che consentano di effettuare una diversificazione delle produzioni occupando dei settori di nicchia, sia promuovendo e recuperando colture e lavorazioni tradizionali, sia proponendo nuovi prodotti agricoli, anche non alimentari.

“L’obiettivo è quello di incentivare a differenziare l’attività agricola attraverso l’agriturismo, attraverso realtà culturali nuove, per cui abbiamo lasciato le agevolazioni sul recupero di varietà in estinzione oppure sui piccoli frutti, sugli ortaggi oppure su tutte quelle che sono le coltivazioni biologiche. Il biologico è inserito in modo coerente con il Patto Territoriale, proprio per cercare di incentivare queste coltivazioni”. Sindaco di Romeno

Sono diversi gli interlocutori che evidenziano l’opportunità di recuperare la funzione di strutture comunali come la latteria turnaria ed il macello di paese per dare spazi di mercato anche ai piccoli allevamenti di montagna e consentire la commercializzazione di produzioni di nicchia. Tali interventi richiedono però un’azione di negoziazione con le strutture cooperative che attualmente vincolano i produttori associati al totale conferimento del prodotto.

“Sul discorso latte abbiamo un’esperienza credo interessante: la latteria turnaria. Una quindicina di agricoltori, uno con una bestia, uno con due ed uno con tre, conferiscono latte a loro stessi e se lo lavorano trasformandolo. Questo formaggio viene commercializzato anche fuori, ci sono alcune aziende commerciali che acquistano il formaggio. Sono anni che lavorano... roba da fargli un monumento. Questa sarebbe una realtà da valorizzare, da studiare, da trasferire anche in altre realtà trentine, perche è una risposta alla necessità di mantenere i piccoli allevamenti di montagna” Sindaco di Bedollo

“È molto importante che le strutture agricole e agrituristiche abbiano la possibilità di fare la trasformazione. Su questo ci siamo scontrati con il Piano di Sviluppo Provinciale, il Piano di Sviluppo Rurale che non volevano locali di trasformazione dove ci sono strutture cooperativistiche. Io che sono qui a Valfloriana dovrei portare giù il latte dalla malga, caricarlo sulla jeep portarlo al caseificio in Val di Fiemme per prendere pochi soldi. Questo non consente di valorizzare il mio prodotto. Ho scelto di farmi il mio caseificio, di chiamare i miei prodotti con il nome del mio paese, con la storia di questo paese e proporli non solo nel mio agriturismo, ma anche sulle migliori piazze trentine ma anche fuori, quindi creando un’immagine di Trentino. Ho pensato di creare una struttura con una logica che penso sia vincente anche per l’agriturismo del futuro, vuol dire creare un’azienda a ciclo chiuso, la stalla, quindi la produzione del latte, il caseificio con la trasformazione, gli scarti della lavorazione ritornano nella stalla e vengono dati ai maiali che poi verranno trasformati e arriveranno, questi prodotti, tutti sulla tavola. L’ospite che viene qui, che decide di fare le ferie o solo per un momento di ristorazione assaggia questi prodotti poi li acquista nel mio piccolo spazio commerciale, se li porta a casa e questo è un mercato per la piccola azienda agricola di montagna. Il mercato successivo sono le fiere e le manifestazioni esclusive, “la Casolara”, sono stato a Reggio Emilia ospite di slow food, ci sono molte possibilità in questo senso. La Trentino S.p.a. sta anche lavorando su queste rassegne gastronomiche per avvicinare il turista a questo mondo ma dobbiamo avere la possibilità di fare queste cose. Ho soci che sono stati richiamati dalla cooperazione per poche centinaia di quintali di latte che decidono di trasformare in azienda.” Presidente Agritur

Nei settori frutticolo e vitivinicolo la maggiore opportunità segnalata riguarda l’estensione delle filiere promosse e governate da organismi cooperativi o consortili, che hanno lo scopo di aumentare la massa critica della produzione, di diffondere standard omogenei di qualità e di accrescere le capacità inerenti alla promozione ed alla commercializzazione dei prodotti locali. I casi maggiormente segnalati sono l’ampliamento delle coltivazioni di piccoli frutti, tramite il coinvolgimento di aziende come S. Orsola e Agri 90 e la reintroduzione della vite, promosse da cantine come La Vis (in Valsugana e Val di Cembra) e Ferrari (in Valle del Chiese e Val di Ledro).

“Bisogna comunque stare attenti. Se vado nel Comune più sperduto della provincia di Trento e trovo un imprenditore che ha l’intenzione di mettere su un’azienda di piccoli frutti, poi gli devono anche garantire che Sant’Orsola, piuttosto che Agri 90, vada a prendergli quanto produce, perché non vorrei che l’imprenditore

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partisse e si trovasse poi con la merce invenduta perchè non sa più dove portarla. Bisogna fare attenzione anche su questo aspetto, perché deve essere garantito anche il servizio, diversamente diventa un problema” Presidente Unione Contadini

Il nuovo modello di sostenibilità economica è ulteriormente rafforzato dal carattere di multifunzionalità dell’impresa agricola, - promossa dalle stesse politiche comunitarie - che porta ad una sempre maggiore integrazione tra attività agricola, turismo, artigianato e servizi alla collettività.

Le politiche finalizzate al rafforzamento delle reti dell’intraprendere non possono non riconoscere il carattere multifunzionale svolto dall’attività agricola. Per la montagna si può fare politica di sviluppo solo integrando i diversi settori economici, riconoscendo il ruolo che l’agricoltura svolge nella salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente rurale, nello sfruttamento ecocompatibile del patrimonio boschivo, promovendo le connessioni con il turismo, l’integrazione con l’artigianato ed il commercio. In questo contesto, particolare rilevanza assumono le nuove funzioni dell’agricoltura, non più legate alle necessità di auto-approvvigionamento, ma alla capacità di generare redditi nel complesso dell’economia e delle famiglie, nelle potenzialità specifiche del settore in termini di efficienza economica e nelle capacità di produzione di quei beni pubblici che sono sempre più richiesti.

“Un altro ragionamento che va fatto è quello della multifunzionalità. Qui bisogna agire solo e esclusivamente sulla mentalità degli agricoltori. Nonostante la nuova legge di orientamento che ormai ha già due anni e mezzo e che ha ampliato le attività agricole anche alle prestazioni di servizio ambientale, nonostante una riforma fiscale che dà anche nuove opportunità ancora non è partita alcuna iniziativa concreta o sono pochissime rispetto alle opportunità che ci sono - e sono opportunità importanti - soprattutto in una Provincia come la nostra che vive proprio di ambiente. Qui bisogna agire soprattutto sulla mentalità, perché purtroppo, i nostri agricoltori sono abituati a produrre belle mele, buona uva per il vino, anche buoni formaggi, però sono legati solo ed esclusivamente alla produzione, mentre invece, si potrebbero anche produrre servizi: ci potrebbero essere tranquillamente convenzioni con le Amministrazioni comunali per prestare dei servizi alle stesse e, tranquillamente, questo lo si potrebbe fare bypassando le gare e tutto quanto. Ci sono opportunità innumerevoli, bisogna agire sull’imprenditorialità. Presidente Unione Contadini

L’agricoltura e la silvicoltura, in un territorio quale la provincia di Trento, assumono un ruolo di manutenzione del territorio che deve trovare forme di valorizzazione, come l’opportunità - prevista dalla legislazione provinciale - di recuperare edifici rurali a fini turistici in cambio di attività di manutenzione ambientale o il coinvolgimento delle imprese agricole nei servizi di manutenzione delle strade e delle aree verdi.

Un’altra grande sottocategoria della multifunzionalità, su cui si incominciano ad intravedere iniziative da diffondere e valorizzare, è quella dell’impresa agricola produttrice di energia. Le imprese agricole hanno, infatti, una serie di prerequisiti ideali per generare energia pulita: generalmente sono esposte al sole per il fotovoltaico, hanno scarti per le biomasse e spazio per la localizzazione di impianti. Al tempo stesso alcuni comparti sono fortemente energivori (basti pensare alla coltivazione in serre riscaldate) e il prezzo del combustibile è diventato talmente incisivo da indurre le imprese a convertire la propria modalità di approvvigionamento energetico andando verso l’energia sostenibile.

Tra le forme di integrazione quella più consolidata è l’agriturismo, ormai ampiamente diffusa nel contesto provinciale con offerte di qualità, nelle quali il coltivatore diretto integra l’attività di produzione agricola con l’attività di accoglienza turistica, offrendo la possibilità di pernottare in un luogo rurale che offre svago, relax e conoscenza del mondo agricolo.

Nell’ambito dei servizi sociali si vanno anche sempre più diffondendo le iniziative dirette alle scuole e all’infanzia come le fattorie didattiche o gli agri-asilo, così come le esperienze dirette

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a particolari categorie sociali svantaggiate che, nel rapporto con la natura, gli animali presenti in azienda e le attività agricole, possono trovare un importante supporto terapeutico e riabilitativo.

Ciò che appare evidente è che il mutato ambiente competitivo nel quale si muove la microimpresa agricola prevede una progressiva imprenditorializzazione della figura del conduttore agricolo. In questo contesto, alla costante cura per la qualità dei prodotti offerti e alla professionalizzazione delle risorse umane, si accompagna l’attenzione per l’immagine aziendale, per l’innovazione tecnologica e per la comunicazione, tutte competenze terziarie che si innestano sui saperi contestuali depositati nelle tradizioni locali e che presumono una volontà di investire risorse e saperi ben più decisa di quanto non si immagini pensando alla tradizionale azienda agricola. Il che, sempre più spesso, si traduce anche in processi di successione imprenditoriale, con un numero crescente di giovani che intendono investire nell’attività agricola di famiglia e nel territorio di origine.

“Sanzeno che ha una vocazione spiccatamente frutticola, lì c’è una sorta di passaggio generazionale abbastanza forte. Recentemente abbiamo valutato già 10 o 12 nuovi insediamenti, quindi, nuove imprese di giovani che s’insediano; molti ereditano l’azienda paterna. L’economia agricola è prevalentemente zootecnica ed anche qui ci sono molti giovani che operano. Direi che la media di età degli imprenditori agricoli del Comune, ma in genere dell’alta Valle di Non, è medio basso: ci sono molti ragazzi, molte famiglie giovani che si occupano della parte agricola.” Sindaco di Sanzeno

“A riguardo dell’agricoltura, posso dire che a fronte di un forte calo le aziende zootecniche, un segno positivo viene dai piccoli frutti: ci sono diversi giovani che hanno scelto questa strada come seconda attività. Infatti, all’infuori di uno che proprio ha lasciato il lavoro e si è dedicato unitamente ai piccoli frutti, avviando anche una piccola azienda che tutt’ora si sta notevolmente ingrandendo, gli altri sono occupati a part-time, cioè svolgono quest’attività in agricoltura come seconda attività con la collaborazione di familiari ed è una sorta di integrazione al reddito.” Sindaco Di Bresino

“A Bezzecca abbiamo giovani che hanno avviato l’allevamento caprino con una bella stalla, producono formaggi. A Concei c’è un altro ragazzo che fa apicoltura, produce miele; forse anche questo può essere abbinato al turismo, un tipo di prodotto che può essere promosso. L’hanno trasmesso in televisione al programma “Mela Verde”. Sindaco di Bezzecca

Se da un lato, nell’area obbiettivo 2, giovani imprenditori agricoli a tempo pieno evidenziano una percentuale di iscritti inferiore a quello che si registra nella provincia, negli iscritti alla seconda sezione i giovani risultano, in termini percentuali, superiori di tre punti rispetto alla provincia. Da ciò risulta che, se non come attività principale, ma come integrazione di reddito, l’agricoltura attrae i giovani e lo stesso si verifica nella classe di età compresa fra i 36 ed i 50 anni.

Questa fase nascente deve ancora trovare definizioni e riconoscimenti, soprattutto all’esterno del settore primario. A fianco della presa di coscienza degli operatori, difatti, è necessario proseguire nella strada già avviata a livello provinciale di definizione di una politica agricola adeguata ai tempi, capace di coniugare protezione dei marchi e supporto su base locale, facendo uscire l’agricoltura da posizioni di marginalità per inserirla in percorsi di sviluppo territoriale, che siano in grado di tenere assieme diverse identità ed esigenze.

Uno dei problemi più rilevanti di cui soffre l’agricoltura di queste aree è la frammentazione colturale, che necessità, come sottolineato da molti Sindaci intervistati, di un efficace intervento di riordino fondiario, quale presupposto, assolutamente necessario all’avvio di iniziative imprenditoriali nel settore.

“Il problema grosso sul discorso agricolo è la frammentazione della proprietà fondiaria. Questa è una cosa drammatica per il fatto che queste benedette particelle già piccole sono di proprietà di cinque, sette, dodici, quindici persone. Mi trovo personalmente a essere proprietario di parecchie particelle agricole a un 1/40, 1/28, di fatto, si perde la coscienza della proprietà del singolo appezzamento e per questo dobbiamo trovare qualche sistema. Ho ipotizzato che la Provincia assumesse tutte le spese notarili e amministrative del passaggio di

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proprietà, della regolarizzazione di queste proprietà nel caso, ad esempio, che il compratore si impegnasse a fare un lotto minimo di mille metri, cinquecento metri, di quello che si stabilisca. Si paga di più di spese notarili che non terreno. In qualche maniera bisognerebbe, a livello di vostra iniziativa trovare un nuovo sistema per riuscire a intervenire: facciamo una specie di riforma non fondiaria, non calata dall’alto che forse non sarebbe capita ma incentivando assolutamente la sistemazione e la ricomposizione dei lotti “ Sindaco di Capriana

Un altro problema segnalato, riguarda l’appiattimento del settore zootecnico su modelli produttivi ed organizzativi mutuati dalle aziende di pianura, ciò ha determinato da un lato una perdita di competitività del settore e dall’altro il venir meno di molte esternalità positive in termini ambientali.

“Per quanto riguarda l’agricoltura in alta valle di Non c’è la zootecnica abbastanza organizzata. C’è una concentrazione di capi bovini nettamente superiore per l’equilibrio prodotto e la sopportazione ambientale Uno si è inventato di fare da solo una stalla da 100 capi e ne sono nate 10, una ne ha fatto da 200, ma non ha senso. È chiaro che il mondo è libero, siamo in un regime democratico, però ci sono degli strumenti di governo di queste cose. Nel Piano Urbanistico abbiamo messo che le stalle non possono essere superiori a 800 mq.; abbiamo fatto i nostri calcoli e ci stanno dentro tantissime vacche per la famiglia, può conteggiare anche due famiglie, abbiamo un caso concreto, ma non 1600 mq di superficie coperta che ti crea lo squilibrio. Limitiamo le vacche, non facciamone la Val Padana in Valle di Non.” Sindaco di Sarnonico

“Il più grosso problema ambientale che abbiamo attualmente in Val di Rabbi è lo sfasamento indotto dalla politica agricola. Siccome c’è stata nel tempo una spinta all’ampliamento delle dimensioni aziendali, questo ha permesso la realizzazione di stalle “fuori terra”, non vincolate al fondo agricolo, stalle con grosse quantità di capi senza avere il vincolo della coltivazione, questo crea un problema sulle deiezioni con i conseguenti problemi di inquinamento delle acque, crea un problema di manutenzione ambientale che non c’è più, chi ha una stalla molto grande deve comprare il fieno in pianura padana e non fa più agricoltura a livello locale. Questa è una grossissima emergenza, i nostri contadini si stanno trasformando in piccoli industriali, una situazione che non è coerente con la nostra tradizione di gestione del territorio.” Sindaco di Rabbi

A livello territoriale, si tratta di accompagnare soggetti capaci di operare nell’ottica di integrare la gestione dell’agricoltura nelle strategie di assetto del territorio e di qualificazione dell’ambiente, per ripartire e localizzare razionalmente le attività sul territorio, per creare una strategia di tutela, gestione e sviluppo del patrimonio naturale per migliorarne la produttività e l’efficienza ecosistemica.

Risulta fondamentale individuare strumenti e interventi capaci di favorire gli usi plurimi dell’azienda agricola, che possano consentire di trovare redditività della stessa al di là e al di fuori delle produzioni agricole tradizionali (mix di redditi) e, non a caso nei punti precedenti è stata richiamata la necessità di promuovere una valorizzazione dello spazio rurale in quanto territorio ricco di beni ambientali, culturali, enogastronomici, artigianali, ricreativi. In altri termini, si tratta di cercare di individuare delle politiche che consentano di andare al di là dell’attuale legge sull’agriturismo che si limita a favorire la ristrutturazione delle case in ambito rurale, puntando nel contempo sulla valorizzazione e conservazione dell’ambiente naturale al fine di creare occasioni di lavoro e reddito nelle aree svantaggiate. Un’opportunità in tal senso è fornita dalla recente Legge Nazionale di orientamento agricolo che ha posto le basi per il riconoscimento giuridico dei distretti rurali e dei distretti agro-alimentari di qualità, demandando alle Regioni e alle Provincie autonome la definizione dei criteri per la loro individuazione.

“All’interno del piano provinciale di sviluppo agricolo questo discorso sulla multifunzionalità non è stato valorizzato. La legge di orientamento è una legge nazionale, è il decreto legislativo 228; se non erro è stata l’ultima legge fatta dal Governo di centro – sinistra e poi è stata implementata anche da questo Governo. Addirittura si è fatta la riforma fiscale in agricoltura su queste questi principi e quindi, è stata condivisa un po’ da tutti; è una cosa nuova ed anche noi dovremmo cambiare mentalità; ad esempio, il piano di sviluppo rurale della Provincia di Trento, dovrà nel 2006 essere modificato e dovranno essere inserite queste nuove possibilità.” Presidente Unione Contadini

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6. La promozione dell’autoimprenditorialità in un contesto di piena occupazione.

In generale, il mercato del lavoro trentino è caratterizzato da una situazione particolarmente positiva, con tassi di occupazione abbastanza elevati e tassi di disoccupazione vicini al livello frizionale. Ciò non significa che siano assenti alcune criticità, soprattutto di tipo qualitativo. Anche un mercato del lavoro di piena occupazione può celare elementi di debolezza: un’offerta di lavoro di bassa qualità e, di conseguenza, difficoltà di reperimento di figure professionali adeguate all’evoluzione dei mercati, nonché difficoltà di inserimento lavorativo delle fasce deboli.

All’origine di questo quadro complessivamente positivo, vi è la collocazione geografica, la struttura multisettoriale dell’economia e una percentuale di occupati nel pubblico impiego superiore al resto del Paese.

Le aree obiettivo 2 non evidenziano particolari diversità rispetto al quadro occupazionale provinciale. Anche in queste aree la politica locale ha privilegiato un meccanismo di crescita estensiva che oggi garantisce elevati livelli di occupazione. Il carattere integrato delle economie locali consente la formazione del reddito familiare: nella stessa famiglia e nello stesso paese, si sono potuti sommare i redditi derivanti da molte fonti e da sistemi relazionali diversi:• daunaconduzioneagricolalentamenterinnovataeinnovata;• daiservizituristicidiffusivallatapervallataconpuntedieccellenzachesiinserisconoinun

sistema diffuso;• dal commercio, sviluppato in tutte le forme di intermediazione agricola, industriale, al

consumo;• dalsistemadiffusoecapillaredellacooperazione;• daiserviziurbanifornitiadunapopolazionedispersainmolticentriesuunterritoriocon

difficoltà di collegamento;• dalleassunzioninelpubblicoimpiego;• dauninsiemediiniziativeindustrialidiffusechevannodall’insediamentodigrandigruppi

fino all’artigianato.

Se si escludono alcune forti caratterizzazioni economiche, strettamente legate alla risorsa territorio, nei comuni ricadenti nelle aree obiettivo 2 non è rilevabile una specializzazione in un settore o in un campo specifico, ma si è piuttosto realizzato il dispiegamento di tutte le possibilità economiche, la ricerca di occasioni di lavoro e di reddito in tutte le direzioni possibili. La natura relativamente chiusa del mercato locale ha fatto il resto: sono stati creati molti posti di lavoro e molte fonti di reddito procedendo per estensione e diversificazione, in tutte le direzioni possibili.

È comunque opportuno rilevare che i comuni analizzati, tranne qualche raro caso, sono di piccole dimensioni e fenomeni anche contenuti di perdita di posti di lavoro, a seguito delle crisi industriali, hanno un impatto molto più traumatico rispetto ad altre realtà locali o alla provincia.

“In Valsugana ci sono state delle fabbriche che occupavano persone quarantenni, che per 20, 25 anni hanno fatto un certo tipo di lavoro e ora sono stati licenziati, cosa fa uno di 40, 45 anni che non ha mai fatto nient’altro? Ci sono stati alcuni problemi occupazionali, ma non siamo certo con l’acqua alla gola; possiamo anche fermarci un attimo, analizzare. In prospettiva vedrei la necessità di interventi formazione nel lavoro”. Sindaco di Torcegno

“Nel Chiese le grosse aziende hanno tutte la testa fuori nel senso che sono, generalmente, delle multinazionali ed, infatti, negli ultimi anni c’è stato qualche esempio di rovescio clamoroso, nel senso che quando l’impresa

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multinazionale americana o svizzera o danese - non importa - decide che questa bandierina va tolta perché non c’è più spazio, la toglie e ti manda a casa. Negli ultimi anni la Valle del Chiese ha perso circa 400 posti di lavoro, peraltro tutti riassorbiti dalla piccola impresa. ” Giornalista locale

“ Nel nostro comune bisogna creare opportunità per il lavoro femminile, specialmente dopo la chiusura della Malerba che occupava prevalentemente donne. A Pieve e a Castello Tesino ci sono due case di riposo, queste strutture hanno consentito un parziale riassorbimento. Le donne fanno le scuole per operatori socio - sanitari, devono fare due anni di scuola ma ci sono tante donne che vanno a fare questi corsi perché sono interessate. Le donne non hanno paura ad andare, ad esempio, a piantare fragole. Non hanno problemi a fare corsi di operatore socio – sanitari oppure di operatore turistico o un altro tipo di lavoro. Le donne hanno una testa migliore della nostra. Riescono a studiare, ad andare a scuola e a stare in famiglia, hanno un’ottima mentalità e se ci fosse il corso di cuoco, farebbero anche quello. Sindaco di Pieve Tesino

Anche in queste aree, come nel resto della provincia, si rilevano problematiche di mancanza di manodopera che obbligano al ricorso di lavoratori stranieri, soprattutto per i lavori stagionali o per i lavori più usuranti (manovalanza nelle cave e in edilizia, lavori agricoli, servizi turistici a bassa qualificazione).

“Uno dei problemi che un’azienda come la nostra incontra in quest’area è il reperimento di mano d’opera. Nonostante il fatto che in Valsugana ci siano state diverse crisi aziendali è difficile trovare personale, sicuramente è difficile trovare personale qualificato. Recentemente ho dovuto assumere quattro persone, tre erano polacchi. Abbiamo problemi anche sugli straordinari, perché qui è molto diffusa la pratica di integrare il reddito, per cui il sabato devono lavorare con le mele, piuttosto che farsi piccoli lavori edili.” Direttore dello stabilimento Finstral di Scurelle

“Oggi il personale impiegato negli impianti di piccoli frutti è costituito prevalentemente da stranieri - soprattutto polacchi - che in passato venivano impiegati prima stagionalmente e poi sempre di più anche durante tutto l’arco dell’anno ossia nell’intero ciclo produttivo e di sviluppo dell’azienda. Quindi questa manodopera trova lavoro oltre che per la raccolta e per la predisposizione di campi e la coltivazione dei piccoli frutti, viene poi utilizzata anche per la costruzione dei tunnel piuttosto che per la sistemazione degli appartamenti che poi vengono utilizzati dagli stessi dipendenti o per fare altri lavori di sistemazione all’interno delle aziende agricole”. Sindaco di S. Orsola

“Don è un paese che dal punto di vista economico è molto attivo, nel senso che ci sono circa 18 aziendine artigianali, un paio di aziende agricole, un albergo. Quindi, considerando che la popolazione attiva è all’incirca sulle 180 persone, siamo di fronte a più di 20 aziendine. La nostra è un’economia che richiama addirittura manodopera dall’est, la popolazione sta crescendo, soprattutto perché arrivano delle famiglie dall’est, impiegati nell’edilizia” Sindaco di Don

“Vedo con favore l’arrivo di immigrati dall’est che lavorano nelle cave di porfido contribuiscono a mantenere vivo il paese e i diversi serviz. Contrariamente il paese rischierebbero di morire; continua a regredire come numero di abitanti: chiude la scuola, chiude l’asilo, anche i negozi che ci sono hanno difficoltà a sopravvivere. Complessivamente questi macedoni, con le loro famiglie costituiscono l’8% - 9% delle persone della comunità di Capriana”. Sindaco Capriana

La componente femminile rappresenta un insieme di persone ampiamente rappresentato nelle “forze di lavoro potenziali ”, sono disponibili al lavoro e si attivano nella misura e nei momenti in cui la domanda di lavoro offre segnali di particolare vivacità. Ricercano, di norma, posti di lavoro vicini a casa e con caratteristiche che consentano loro di conciliare il lavoro con la famiglia, per cui posti di lavoro part-time, con orario flessibile.

L’impedimento principale per un’occupazione stabile fuori dalla famiglia è determinato dall’assenza di servizi per la cura dei soggetti della famiglia, quali anziani e bambini. Sperimentazioni di cooperative di lavoro e/o cooperative sociali hanno in alcune zone del Trentino permesso di proporre alle donne sistemi innovativi di ingresso nel mondo del lavoro.

“Da noi il problema grosso è il lavoro femminile, nel senso che le donne, il gran numero lavora come dipendente pubblico in provincia, nei vari comuni, alle poste o fanno le casalinghe. La questione del lavoro femminile presenta molte difficoltà. Ci sono anche donne diplomate, che vogliono lavorare, che non trovano lavoro.

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Tra gli uomini non ci sono disoccupati, qui la disoccupazione non c’è. Tanti uomini sono artigiani, una buona parte lavora a Trento, fanno i metalmeccanici presso le grandi imprese. Alcune ragazze di Grumes stanno facendo il corso di animatore turistico, con il Patto territoriale. Al corso partecipano dieci donne, anche casalinghe, di cui cinque su dieci sono di Grumes, quindi, hanno capito che qui può nascere qualcosa ” Sindaco di Grumes

“Il problema occupazionale è riferito alle donne, le casalinghe che stanno a casa, che non lavorano, che non hanno possibilità di spostarsi a Trento, perché noi abbiamo questo problema di salire su una corriera la mattina alle 6,00 per rientrare la sera, non possono fare questa cosa qui perché a un certo punto hanno i bambini che rientrano da scuola e etc., Le donne però hanno manifestato la necessità di poter fare tre o quattro ore della mattina o del pomeriggio, tant’è vero che qualcuna va a Trento la mattina per fare due ore, cosa assurda, perché costa forse più il tragitto, per rientrare alle 11,00. Pensavamo di fare una cooperativa di lavoro. Ho parlato con la federazione delle cooperative, sono andato in Valsugana a vedere il Consorzio Lavoro e Ambiente, per capire come funziona questa cooperativa. Però mi hanno tutti ho po’ scoraggiato, una cooperativa per sopravvivere deve avere un fatturato almeno di 500 milioni, oggi bisogna per essere specializzati. Sindaco di Valda

“L’incentivazione del lavoro femminile è sicuramente una strada ancora da percorrere. Le forme di ricettività diffusa sono un’attività da sviluppare, in tal senso. In Primiero, il Comprensorio ha finanziato, cinque anni fa, un’iniziativa di questo tipo, attraverso fondi Docup per l’incentivazione del lavoro femminile nel turismo. Abbiamo formato 15 ragazze ed è nata un’associazione che si chiama “Affitti Brevi”. Alle 15 ragazze che avevano fatto il corso si sono poi affiancate tutta un’altra serie di persone proprietarie di appartamenti, quindi, danno un servizio abbastanza omogeneo all’interno della Valle di Primiero. Abbiamo anche formato una quarantina di donne per istituire il servizio “Tages Mutter” che oggi parte legato alla popolazione residente ma che può tranquillamente fare un salto e proporsi come Kinderheim all’interno delle strutture alberghiere.”Sindaco di Tonadico

Il racconto fatto dai Sindaci evidenzia come, a fronte di un contesto di piena occupazione, i dati del disagio lavorativo nelle aree obiettivo 2 sono individuabili:• nelladisoccupazionedilungadurataeneilavoratoriconpiùdi50anniespulsidalmercatodel

lavoro;• nellamaggior incidenzadellacomponentefemminilenelladisoccupazionedi lungadurata

rispetto alla media provinciale;• nelledifficoltàdioccupazionelocaledigiovanilaureati.

La principale esigenza manifestata da Sindaci è quella di puntare su una decisa crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro, sia in forma di lavoro dipendente, sia in forma di lavoro autonomo. A tal fine risultano prioritarie: la promozione di azioni finalizzate a garantire le pari opportunità; la diffusione del lavoro a tempo parziale nel lavoro dipendente e delle forme di integrazione del reddito familiare nel lavoro autonomo; la realizzazione di iniziative per la conciliazione tra vita familiare e vita professionale; le iniziative di formazione per le donne adulte che intendono reinserirsi nel mercato del lavoro.

Accanto a ciò risulta prioritario individuare modelli di costante formazione e aggiornamento delle competenze che consentano una ricollocazione professionale – magari di tipo autoimprenditoriale - di soggetti espulsi dai cicli produttivi.

In tale contesto si presenta l’opportunità di sostenere più alti livelli di socialità avviando azioni di economia solidale che sappiano riconciliare i valori dell’imprenditorialità e della solidarietà. In altri termini, progetti di imprenditorialità sociale non solo finalizzati a raccogliere le “vittime della competitività”, ma orientato a ridurre le barriere tra risorse (finanziarie, umane, organizzative) per una progettualità sociale capace di valorizzare il ruolo e l’impegno del terzo settore, che, unendo solidarietà e imprenditorialità, genera occasioni di lavoro e flessibilità.

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7. Quale propensione al rischio di impresa?

Il tema della cultura imprenditoriale è spesso posto al centro del dibattito sull’economia trentina. La particolare sensibilità che l’ambiente economico locale da tempo manifesta sul tema deriva dall’idea diffusa di un “Trentino seduto” che fa perno sulla sensazione che nella provincia l’iniziativa privata sia modesta, limitata da una diffusa presenza pubblica che spesso garantirebbe benessere economico senza stimolare l’iniziativa privata; e da un retroterra culturale - frutto di una lenta stratificazione e dipendente in ultima analisi dalla natura stessa dell’economia montana – in cui i bisogni della solidarietà e del governo comunitario farebbero aggio sull’interesse individuale, motore ultimo dell’iniziativa imprenditoriale.

Nondimeno, questo dibattito soffre di diversi limiti, in primo luogo quello di non trovare evidenti riscontri empirici: in realtà nell’ultimo decennio il tasso di sviluppo imprenditoriale trentino è stato piuttosto dinamico. Le analisi dimostrano come il tema della “assenza di imprenditorialità” debba essere attentamente qualificato. Non si tratta di semplice deficit di imprenditorialità - al contrario emerge un’economia con un significativo stock di imprese - ma piuttosto di una ridotta dinamica imprenditoriale, probabilmente connessa al funzionamento dei mercati dei prodotti, finanziari e del lavoro.

Senza entrare nei dettagli, va evidenziato come tutti i più recenti studi convergano nel sottolineare che in Trentino il tema dell’imprenditorialità presenta caratteristiche peculiari che possono essere sintetizzate nei seguenti punti:• laquotadi lavoroprestatasotto formaimprenditorialeèanalogaaquelladelleregionidel

nord-est, anche se in Trentino non c’è stato uno sviluppo di sistemi distrettuali, perlomeno intesi in senso stretto;

• esisteunasituazionedipienaoccupazione,datosenz’altropositivo,cheperòrappresentapercerti versi un vincolo rispetto alla disponibilità di manodopera e rispetto alla nascita di nuove imprese;

• c’èunabassadinamicaimprenditoriale,cheglianalistiinterpretanocomeunbassolivellodicompetizione interna all’economia. Molte imprese si sono sviluppate all’interno di sistemi protetti e questo potrà determinare nel prossimo futuro effetti negativi.

Tali caratteri, in particolare la ridotta dinamica competitiva interna, possono essere spiegati con il peso rilevante assunto da settori fortemente legati al territorio (quali sono agricoltura, edilizia e turismo) e per propria natura maggiormente chiusi alla concorrenza; dal ruolo assunto dal settore pubblico e dai meccanismi di spesa da questo generati; da una cultura di impresa (derivata secondo alcuni dalla stessa cultura alpina) che favorisce la cooperazione piuttosto che l’emergere di atteggiamenti competitivi.

Le posizioni che caratterizzano il dibattito provinciale in tema di imprenditorialità trovano un eco nei pareri espressi dagli attori locali operanti nelle aree obiettivo 2. L’articolata disponibilità di fonti di reddito e la relativa situazione di benessere economico, viene citata da molti intervistati, come la causa principale di una carenza di cultura imprenditoriale socialmente diffusa e di una scarsa propensione all’assunzione del rischio di un’attività autonoma.

“La cultura imprenditoriale sicuramente è una delle carenze dell’alta Valle di Non; ci lamentiamo spesso, come Amministratori, del fatto che fanno fatica a nascere nuovi imprenditori, nuovi piccoli artigiani o piccoli commercianti o attività in proprio. Sono venti anni che faccio il Sindaco e ho visto nascere poche aziende nuove, poche aziende artigiane o commerciali. I nostri giovani non hanno questa voglia di mettersi in proprio, di intraprendere, si accontentano del posto fisso, dell’orario fisso. Ho visto anche nel mio paese certe aziende

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familiari venire meno perché i figli non avevano la voglia di impegnarsi. Abbiamo alcuni esempi di giovani che hanno messo insieme delle belle aziende però sono poche rispetto a quello di cui ci sarebbe bisogno. Due o tre ragazzi sono partiti da zero e hanno la più grande azienda di pellets del Trentino; quest’azienda ha più di trenta dipendenti; un’altra azienda creata da un giovane del posto fa macchine per trinciare legnami e anche quello è partito da zero. Ci sono alcuni esempi buoni ma pochi” Sindaco di Fondo

“L’impressione mia, condivisa da altri colleghi Sindaci, è che ci sia una grave carenza di spirito imprenditoriale Siamo in una provincia in cui l’occupazione nel pubblico ha un grande peso. Una buona fetta è occupata anche dalla cooperazione, questo è un fatto positivo, ma ho qualche perplessità rispetto al fatto che la cooperazione, poi, attivi in maniera positiva l’imprenditoria. La nostra zona è una zona che ha anche delle opportunità dal punto di vista imprenditoriale perché è vicina alle zone bresciane, quindi, dovrebbe costituire un’influenza positiva, ma pare che, almeno per quello che riguarda l’area centro – settentrionale della Valle del Chiese, lo spirito di iniziativa sia estremamente carente.” Sindaco di Lardaro

“Il Chiese, ha una vocazione industriale, paradossalmente, con poca cultura imprenditoriale. Da alcune grosse aziende è nato un indotto nell’artigianato, ci sono operai specializzati che ne sono usciti si sono messi a fare gli artigiani, lavorano da soli e c’è un buon tessuto oggi, però sono pochi i giovani che vanno avanti. Le piccole aziende sono nate, generalmente da operai bravi che se ne sono andati dalle grosse aziende e si sono messi in proprio. C’è chi fa carpenteria pesante e, quindi, fa un lavoro finito; chi fa impianti elettrici, ma c’è anche chi produce in conto terzi. C’è parecchia emulazione della cultura bresciana. Ma è ancora tutto in mano ai padri, i figli, spesso, fanno altro. Basta vedere il BIC di Pieve di Bono che è vuoto: non c’è nessuno, ci sono capannoni vuoti. Questo vorrà dire qualcosa. Il fatto che non ci sia disoccupazione, a parte gli sfortunati espulsi dalle grandi fabbriche, ha portato ad una bassa scolarizzazione, ovviamente, perché la gente trova un posto di lavoro subito quindi non studia più e, comunque, anche bassa cultura imprenditoriale. Non c’è nessuno che rischia, perché chi rischia quando ha già il posto di lavoro? Credo che il nodo sia lavorare sull’eredità imprenditoriale, convincere i figli a portare avanti le iniziative avviate dai padri.“ Giornalista locale

Questi giudizi negativi sulla propensione al rischio imprenditoriale sono, in parte, temperati da recenti cambiamenti negli atteggiamenti culturali dei giovani rispetto al tema del lavoro.

“Non sono d’accordo che sui nostri territori manca una cultura imprenditoriale, oggi assistiamo ad un’inversione di tendenza specialmente nelle culture giovanili. Negli ultimi tempi, si assiste alla nascita di nuove piccole imprese, di nuovi soggetti che si stanno inserendo nel mercato. Questo avviene nel campo dell’edilizia, nel campo dell’installazione di impianti, ma anche nel settore agricolo, soprattutto in alcune comunità: ad esempio Sanzeno che ha una vocazione spiccatamente frutticola, lì c’è una sorta di passaggio generazionale abbastanza forte. Recentemente nel Patto Territoriale abbiamo valutato già 10 o 12 nuovi insediamenti, quindi, nuove imprese di giovani che s’insediano; molti ereditano l’azienda paterna. L’economia agricola è prevalentemente zootecnica ed anche qui ci sono molti giovani che operano. Direi che la media di età degli imprenditori agricoli del Comune di Romeno, ma in genere dell’alta Valle di Non, è medio basso: ci sono molti ragazzi, molte famiglie giovani che si occupano della parte agricola.” Sindaco di Romeno

“Il lavoro autonomo sicuramente è quello più difficile. Per comodità si preferisce il posto fisso in Provincia o nelle vicinanze della Provincia, però ultimamente bisogna registrare un’inversione di tendenza anche da noi, dei nostri giovani; abbiamo recentemente visto iniziative nell’artigianato, in particolare nel settore del legno e nell’artigianato di servizio; qualcosa anche in agricoltura: piccoli frutti ed agriturismo. Tutti questi sono settori che vanno tenuti in considerazione per promuovere questi incontri di animazione” Sindaco Di Bedollo

“Ultimamente sono parecchi anche i giovani che si sono avviati con le loro piccole imprese. Per esempio nel campo dell’edilizia ne sono nate almeno 4, 5 si sono staccate dalla ditta madre e sono diventate autonome. Questi, adesso, riescono ad occupare i loro spazi, proponendosi e lavorando quasi sempre nel campo del lavoro specializzato. La maggior parte delle nuove esperienze sono nel settore dell’artigianato” Sindaco di Daone

“Bisogna ragionare per fasce d’età. I ragazzi di vent’anni pensano solo a procurarsi un reddito da lavoro dipendente, ma per quelli di ventotto, trenta anni non hanno più voglia di andare in fondovalle per lavorare alla Finstral o alla Malerba hanno la volontà di stare qua i Paese e avviare attività in proprio”.Sindaco di Pieve Tesino

Il racconto fatto da diversi attori locali evidenzia come, il venir meno della domanda di lavoro nel settore pubblico o para pubblico, la minore attrattività di forme di impiego a tempo determinato

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ormai ampiamente diffuse e i sempre maggiori costi legati al pendolarismo, determinano una tendenza della componente giovanile ad investire, in forma auto imprenditoriale, nei territori di origine.

“Oggi in Trentino i giovani che si avviano ad un’attività imprenditoriale fanno spesso di necessità virtù. L’ambito pubblico è saturo ormai, anzi, c’è la tendenza a smagrirlo e quindi una persona si trova a doversi misurare e chiedersi cosa fare: la risposta è mettersi per conto proprio. Ma non sempre c’è lo spirito. Anche se un po’ la situazione sta cambiando. Vedo dei giovani laureati che di trovarsi un impiego, magari in banca, non ne vogliono sapere preferiscono sperimentarsi nel campo delle professioni e della consulenza. Così come ci sono anche iniziative originali nel campo dei servizi turistici, o in forme innovative di agricoltura” Presidente Consorzio Comuni Trentini

“Diversi giovani di Segonzano si sono stancati di fare i pendolari con la Val d’Adige, per andare magari a fare lavori precari. Vedo un crescente interesse a creare una propria attività qui in paese, principalmente nell’artigianato, nell’area industriale ho diverse nuove imprese create da giovani, ma anche nei servizi turistici ed in agricoltura” Sindaco di Segonzano

“Oggi c’è la tendenza a mettere sul piatto anche la qualità della vita. Il fatto di poter vivere in un contesto piacevole e questo anche a fronte della rinuncia delle garanzie date da un impiego stabile. Qui abbiamo degli esempi: abbiamo ristrutturato una malga e oggi la gestione è tutta femminile. Chi gestisce la malga prima aveva un impiego stabile una ragazza che ha 35, 36 anni; invece chi fa il formaggio, la casara, è una signora triestina, laureata in psicologia e che si è trasferita a Sant’Orsola qualche anno fa. Ha frequentato un corso per casari e quindi fa un formaggio ed una ricotta eccezionale e i suoi prodotti hanno riscosso un grande successo” Sindaco di S. Orsola

“Cimego non ha mai avuto la cultura del posto fisso, tantissimi andavano a fare le stagioni di cuochi, camerieri, poi prendevano l’iniziativa, aprivano il ristorante, l’albergo o il bar. Negli ultimi anni questo fenomeno è cessato e così abbiamo sviluppato l’artigianato che è ormai abbastanza completo, anzi saturo. Tra pochi giorni sul sentiero etnografico dovremo aprire una struttura ricettiva con bar-ristorante, è un’ex malga che abbiamo ristrutturato con i fondi appositi e dei Patti, l’abbiamo adeguato a norma, l’abbiamo un po’ ampliato e dato in gestione a quattro ragazzi che avevano già un posto di lavoro. Per cui non è vero che esiste tutto questo mito del posto fisso, se si offrono opportunità i giovani sono contenti di avviare attività in proprio. Una ragazza aveva un posto e si è licenziata, un altro ragazzo, ad esempio, lavorava a Fondo in comune e si è licenziato. Per il ristorante hanno anche un cuoco, l’unico di una certa età. Noi gli abbiamo affittato la struttura ad un prezzo agevolato perché c’è da fare tutto l’arredamento, cucina, bagno e, se tutto va bene, per i primi di luglio aprono.” Sindaco di Cimego

“In questi ultimi anni i giovani, anche perché un pochino protetti dalle famiglie, hanno imparato che ci si può anche misurare con la libera professione. Ai giovani stiamo trasferendo l’idea che il modo di realizzarsi non è quello di avere un lavoro dipendente sicuro, è forse quello di mettersi in gioco in prima persona. Qualcosa di positivo c’è anche in Trentino, in maniera non diversa da quello che succede fuori” Direttore Associazione Industriali

Diversi interlocutori sottolineano come i principali fattori limitanti la nascita di nuove imprese siano imputabili ai costi della burocrazia che si affronta per realizzare una nuova iniziativa imprenditoriale, in particolare per quanto riguarda: le incertezze sulle linee di sviluppo economico territoriale i tempi di attesa per le autorizzazioni e le normative sempre più restrittive, spesso pensate per la grande dimensione di impresa e non adatte alla piccola dimensione di impresa.

“Non è vero che da noi manca l’imprenditorialità, forse è troppo assistita, siamo d’accordo. L’assistenza c’è e ti dà una mano a cavartela in un contesto di montagna in cui non è comunque facile fare impresa, dopodiché il vero problema è burocrazia: le autorizzazioni, il credito, le licenze una complessità che fa spavento Una delle cose che dovete fare con questo intervento è di snellire questa burocrazia, o perlomeno assistere le imprese nella fase di avvio, perché veramente è una cosa impressionante. Con i Patti, per esempio, sono stati saltati una serie di anelli, non che sia diminuita la burocrazia, è stato solo chiesto alla burocrazia di fare uno sforzo enorme e di restringere i tempi, il risultato è stato semplicemente eccezionale.” Sindaco di Faver

“Non mi venga a parlare di animazione imprenditoriale, da noi di iniziativa privata c’è né già e sarebbe molto vivace se fosse messa nella condizione di esprimersi, se ci fossero indirizzi di politica turistica, agricola,

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artigianale chiari, se non ci fossero tanti vincoli burocratici e se fossero fatte delle riqualificazioni. Qui c’è una domanda di adeguamento da parte di quelli che hanno già la loro attività, non di nuove localizzazioni. Fare sviluppo locale in Valle di Rabbi significa occuparsi degli ampliamenti dell’impresa artigiana e della riqualificazione edilizia alberghiera, dei problemi dell’agricoltura. Un intervento di animazione imprenditoriale va bene, ma dopo queste cose qua, perché qui c’è volontà di fare imprenditoria, però bisogna avere le condizioni per poterla fare l’imprenditoria” Sindaco di Rabbi

“Nei nostri comuni bisogna puntare sulle produzioni agroalimentari di gente disposta ad intraprendere ce né. Sarebbe interessante riproporre alcune vecchie strutture tipo le latterie turnarie, valorizzare cose del genere, dare prospettive a quelli che hanno piccoli allevamenti che fanno il formaggio, i prodotti tipici. Però bisognerebbe metterli in grado di poterlo fare ci sono vincoli riguardanti ad esempio le norme igieniche che richiedono investimenti improponibili per una microimpresa, ti fanno spendere il guadagno di cinque anni. Non riuscirai mai ad ammortizzare gli investimenti. Su queste cose la Provincia di Trento pone molti ostacoli mentre in provincia di Brescia fanno il latte in mezzo al prato! Noi, con la nostra autonomia, dobbiamo avere le piastrelle fino a dieci metri. Uno che ha sei mucche non può permettersi di fare un investimento da cento milioni. Nel Comune di Brione c’è gente che d’estate, in montagna, fa il formaggio e lo vendono addirittura a livello provinciale, però bisogna lasciarle un po’ libere. Se ogni venti giorni arriva il medico o l’ispettore del lavoro e fanno questi controlli severi anche sulle piastrelle. La cosa non mi sta bene. Non è mai morto nessuno nei nostri paesi perché mangiavano il formaggio nostrano.” Sindaco di Brione

Vi è anche chi sottolinea come, la propensione imprenditoriale di queste aree si esprime proprio nei diffusi meccanismi di integrazione del reddito. Nei fatti, ancora oggi continua ad essere diffusa la pratica di affiancare all’attività principale, magari svolta sotto forma di lavoro dipendente, attività imprenditoriali in agricoltura o nel turismo. Secondo questa interpretazione, questi territori non hanno mai smesso di esprimere una cultura orientata all’autoimprenditorialità. Lo spirito di iniziativa è un dato insito ai caratteri stessi di un’economia tipicamente montana. Un’economia cresciuta all’interno di reticoli di solidarietà e di protezione, resi necessari per depotenziare il rischio e la scarsità. Reticoli che hanno permesso di sperimentare forme produttive alternative, che hanno messo al lavoro lo spirito imprenditoriale dei singoli soggetti e che hanno consentito di tracciare le coordinate per una valorizzazione di filiere locali fortemente ancorate alla dimensione territoriale.

“Bisogna rendersi conto che nelle vallate trentine il dato economico, imprenditoriale, non può essere disgiunto dal dato sociale, culturale, anche istituzionale. Tu puoi anche sognarti di mettere in piedi un’iniziativa autonoma di coltivazione di piccoli frutti o produzione di formaggio, ma poi chi te li commercializza? Devi appoggiarti alla cooperazione, appoggiarti alla cooperazione significa appoggiarti alla cassa rurale. È tutto un reticolo di appartenenze sociali, culturali economiche. È questo il reticolo che ha permesso la crescita economica di queste vallate e non stiamo parlando di cose marginali, ma della crescita di affermate realtà imprenditoriali, come ad esempio quelle agroalimentari. Mi risulta difficile pensare di poter creare nuove iniziative imprenditoriali al di fuori di questi reticoli. Semmai si può pensare alla creazione di nuovi reticoli che consentano di diluire il rischio di impresa tra diversi soggetti.” Direttore di banca

“Il grande tema da affrontare non è quello delle iniziative private, queste ci sono, è quello dei sistemi di offerta, in tutti i settori, dobbiamo lavorare sulle filiere, sulle sinergie, trovare il modo di fare offerte coordinate. Le iniziative private non mancano, nel patto abbiamo fino a adesso 22.000 richieste di privati, non sono poche però nessuno se ne accorge. Bisogna trovare un modo per collegare le singole progettualità private; questa è oggi la vera necessità del Patto territoriale specialmente nel settore dell’artigianato: in maniera tale che se un artigiano ha preso una strumentazione per ristrutturare una casa, deve fare cordata insieme a quello del legno per vendere il legno, deve fare cordata insieme al piastrellista per vendere le piastrelle ed invece di ristrutturare una casa, ne ristruttura dieci. Questo discorso delle filiere di offerta non può essere fatto dall’ente pubblico. Per far questo bisogna coinvolgere le categorie economiche”. Sindaco di Cinte Tesino

“Il problema non è la produzione, ma è la rete di vendita. Di gente disposta a produrre, ad attivare iniziative autonome c’è né, il vero problema è costruire la rete commerciale. Bisogna costruire sinergie tra i diversi settori. Il mercato c’è l’abbiamo in casa e non sappiamo sfruttarlo. Ci vuole qualcuno che costruisca l’ambiente in cui possono nascere le iniziative imprenditoriali. Ad esempio la nuova APT sta promovendo un progetto,

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un matrimonio “contadini-albergo” per la vendita diretta di prodotti locali agli alberghi. Oggi capita che i prodotti della terra siano casualmente venduti negli alberghi. Deve nascere un progetto, per cui, tramite gli artigiani della Val di Sole ti faccio i taglieri tagliati a mano e tu t’impegni ad avere almeno tre tipi di formaggio della Val di Sole. Ti mando qualcuno che te li porti. Mi rifiuto di pensare che gli albergatori non vogliono usare i nostri prodotti, È solo un problema di distribuzione è che se il fruttivendolo invece che Melinda ti porta la mela di un’altra marca, lui opta per la formula più comoda; non è neanche un discorso economico perché non credo che ci sia la differenza di prezzo che fa la differenza.” Sindaco di Cavizzana

“Lo sviluppo dell’impresa agricola di queste aree è legata a tre livelli di negoziazione: con la Provincia dobbiamo negoziare il recepimento della legge sulla multifunzionalità dell’impresa agricola; con la cooperazione dobbiamo negoziare la possibilità di poter vendere direttamente parte della produzione; con gli albergatori ed i ristoratori dobbiamo negoziare la valorizzazione dei prodotti agroalimentari trentini” Presidente Unione Contadini

L’esigenza, o se si vuole l’opportunità, segnalata da molti intervistati è quella di promuovere attività imprenditoriali (anche di carattere integrativo) in stretta connessione alle specializzazioni ed alle filiere che infrastrutturano le economie locali. Connessione che consentirebbe una socializzazione del rischio imprenditoriale, in grado di facilitare la nascita di nuove iniziative produttive.

Tale impostazione si richiama a modelli economici consolidati nella realtà trentina, in particolare nei settori agricolo e turistico, dove è frequente la creazione di organismi cooperativi o consortili, che hanno lo scopo di aumentare la massa critica della produzione, di diffondere standard omogenei di qualità e, nello specifico, di accrescere le capacità inerenti alla promozione ed alla commercializzazione dei prodotti trentini.

Vi è comunque chi, pur riconoscendo l’importate ruolo svolto dai modelli consortili o cooperativi nel creare inclusione sociale e sviluppo economico in questi territori, sottolinea come questi modelli siano caratterizzati dall’esistenza di maglie troppo rigide che, nei fatti, inibiscono l’iniziativa imprenditoriale. L’appartenenza ad un’aggregazione da parte di una piccola impresa, se da un lato ne espande le potenzialità strategiche ed economiche, dall’altro la espone ad un insieme di vincoli strutturali e negoziali, legati al fatto che si riducono gli ambiti di gestione che possono essere svolti in condizioni di autonomia decisionale.

“ In paese abbiamo ancora il caseificio turnario vorremo valorizzare la produzione di formaggi da vendere direttamente, però ci sono dei vincoli con la Cooperazione. Se sei associato alla cooperativa devi portare tutto il latte alla cooperativa, non puoi trasformare una parte del tuo prodotto per poi trasformarlo e venderlo individualmente. Questo è uno dei punti su cui bisogna lavorare. La cooperazione e il piccolo trasformatore sul territorio non sono in concorrenza, perché vendono cose diverse. Secondo me la produzione del Casolet da parte di alcune piccole aziende agricole non è in contraddizione con la Cooperativa, perchè il turista che viene in Val di Sole compra il casolet dall’azienda agricola, quando torna a casa lo compra alla Coop e trova quello del caseificio. Anche se a Melinda gli arrivano 50 quintali di mele in meno si fa comunque la promozione dei suoi prodotti. Secondo me, questa cosa qua non è stata ancora capita nella cooperazione, né con Melinda né con i formaggi. Con Sant’Orsola, il discorso è diverso, si sta facendo qualcosa di interessante con delle aziende agricole che hanno i loro “punti di immagine” dove si fa la degustazione dei piccoli frutti o dei trasformati anche di Sant’Orsola. Si tratta di fattorie didattiche, agritur o aziende agricole soci di Sant’Orsola.” Sindaco di Caldes

“Noi siamo un’azienda cresciuta molto negli ultimi anni, con risorse proprie. Purtroppo siamo un’azienda privata che si trova a competere con settori protetti. Noi siamo i diretti concorrenti del settore cooperativo. La grande distorsione e che la nostra attività in quanto privata è vista come industria, mentre la stessa attività casearia svolta in ambito cooperativo è classificata come agricola, con i conseguenti incentivi e facilitazioni a partire dall’impianto contributivo della forza lavoro. Questa è una grave distorsione del mercato trentino. Non si può dare i contributi in conto esercizio alle aziende cooperative, si crea una distorsione della concorrenza. Le politiche industriali e di incentivazione devono essere imparziali”.Titolare Casearia monti Trentini di Grigno

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Nei fatti, l’intervento di animazione imprenditoriale si è mosso all’interno di due esigenze per certi versi contraddittorie:• da un lato, la necessità di favorire un processo di inclusione socio-economica, perseguito

attraverso la promozione di forme di lavoro autonomo e attività integrative. Tale esigenza è stata perseguita ampliando quelle “reti di protezione” di tipo consortile, cooperativo, solidaristico, di filiera, ecc., che consentono lo sviluppo della microimprenditorialità diffusa. La gestione del territorio alpino costituisce un’attività costosa e le attività economiche che vi si svolgono forniscono importanti esternalità che devono essere riconosciute. Le microaziende operano in un contesto ambientale per certi versi difficile, la cui gestione richiede gradi elevati di cooperazione e di coesione;

• dall’altro latovi è lanecessità di superare i vincoli di un’economia protetta che, attivando meccanismi generalizzati di ridistribuzione e di socializzazione del rischio, possono ingenerare una minore propensione al lavoro imprenditoriale ed al lavoro qualificato nei settori maggiormente esposti alla concorrenza.

Si tratta di una contraddizione già evidenziata negli stessi documenti di programmazione della Provincia, che sottolineano come il problema dell’economia trentina, nelle sue connessioni con la specificità alpina, non si pone, né semplicemente in termini di mantenimento di una linea di intervento tradizionale (che pure in passato, ha permesso di ottenere nel complesso risultati più che positivi), né nel senso di chiedere al settore pubblico di individuare e incentivare nuovi settori di sviluppo. Quest’ultima pretesa sarebbe altamente rischiosa, in quanto perpetuerebbe quella dipendenza dalle scelte pubbliche che si vuole superare.

La questione della promozione imprenditoriale si pone in termini differenti: non si tratta di indurre uno sviluppo aggiuntivo, ma bensì di riorientare quello esistente, sia verso aree dell’economia maggiormente aperte al mercato, sia verso investimenti a maggior rischio. Ma tutto ciò va fatto con attenzione all’elemento di fondo, a quella specificità alpina che determina forti interdipendenze tra le attività economiche, l’organizzazione sociale ed il territorio.

Le linee di azione indicate, in tal senso si riferiscono:• adunaseriediinterventisettoriali,voltiarealizzareinmodoselettivounprocessodisviluppo

imprenditoriale non aggiuntivo, bensì sostitutivo rispetto ad attività tradizionali. In questa direzione le politiche imprenditoriali del Trentino potrebbero sviluppare l’idea di un’alleanza tra vecchia e nuova economia, di fertilizzazione dei settori tradizionali attraverso l’immissione in essi di imprenditoria capace di cogliere le opportunità offerte a quei settori dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione;

• aduninterventosullecondizionidelfareimpresachedevonoesserefacilitatenelleprocedureburocratiche, supportate da attività di formazione e assistenza e soprattutto devono trovare un’adeguata controparte in un sistema finanziario capace di essere soggetto attivo nel processo di sviluppo e realizzazione delle idee imprenditoriali;

• aduninterventodiverifica,controlloeinterventosullecondizionidicontesto,inparticolaresulla funzione della concorrenza.

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8. Il sindaco imprenditore

I Sindaci sono stati interlocutori fondamentali del progetto di animazione imprenditoriale: è con loro che si sono definite le linee strategiche dell’intervento; è attraverso di loro che è stato possibile coinvolgere in maniera estesa la popolazione; è grazie a loro che è stato possibile risolvere i tanti problemi amministrativi e localizzativi che si frapponevano all’avvio di nuove attività di impresa.

Da questa esperienza è emerso come in Trentino i Sindaci rappresentano un forte riferimento per le comunità locali. Soggetti istituzionali capaci di interpretare i cambiamenti socio-economici che attraversano il territorio e di farsi portatori dell’interesse dell’intera comunità.

È però anche emerso un elemento di debolezza: di fronte a processi di innovazione economica e istituzionale che calano dall’alto, molti piccoli comuni fanno fatica a metabolizzare la modernità che viene avanti. Il progressivo trasferimento di deleghe e responsabilità rischia di trasformare l’Ente locale nel soggetto debole della filiera istituzionale: è ai sindaci che rimane in mano il cerino acceso, vicino alla benzina del disagio sociale, dei processi di destrutturazione delle società locali e dei problemi di sviluppo economico del territorio.

Il venir meno di tutta una serie di strutture intermedie coinvolte dal declino del sistema nazionale di protezione sociale ha scaricato sui sindaci una serie di incombenze relative alle forme di disagio: lavoro, immigrazione, anziani, giovani, servizi sociali, problematiche di assetto del territorio e aggregazione, anche culturale, sono gli aspetti più visibili della domanda.

In un contesto di razionalizzazione e progressiva riduzione della spesa pubblica, è in particolare sull’ente locale che preme una domanda sempre più intensa in termini di sostegno allo sviluppo locale e di erogazione di servizi sociali. Nel processo che ha condotto gradualmente la spesa pubblica verso livelli di governo sempre più decentrati ha giocato un ruolo cruciale l’idea che, dovendo assecondare le esigenze dei cittadini, l’intervento pubblico sarebbe stato più efficiente avvicinandosi il più possibile ai contribuenti, proprio nell’erogazione di quei servizi direttamente fruibili e monitorabili dal cittadino stesso. Si assiste, nei fatti, ad un processo di “customerizzazione” dell’Ente locale, per cui i Comuni diventano i soggetti di.front-office. rispetto alla società civile e come tali sono sottoposti al giudizio dei cittadini rispetto ai servizi di cui fruiscono.

I sindaci dei piccoli comuni sono spesso i soggetti, che più di altri vivono le difficoltà di stare contemporaneamente dentro i processi di buona amministrazione e dentro i processi più ampi di programmazione e governo dello sviluppo.

Se si guarda al profilo della buona amministrazione si vede come anche nei piccoli comuni sia cresciuto il grado di complessità delle questioni da affrontare per erogare servizi adeguati all’evoluzione dei bisogni dei cittadini:• le problematiche relative alla gestione urbanistica e alla compatibilità ambientale o anche

la semplice gestione delle funzioni ordinarie di progettazione delle opere pubbliche e di manutenzione del territorio;

• iproblemiconnessiall’organizzazionedeiservizisocialieeducativiediquelliperl’impiego;• l’organizzazione dei servizi pubblici locali (energia, risorse idriche, smaltimento dei rifiuti,

trasporti) da collocare entro ambiti territoriali ottimali e a fronte dei problemi di sostenibilità economica delle piccole municipalizzate;

• l’areadellafinanza,siaperquantoriguardalagestioneordinariadelleentrateedellaspesaconivincoli insiti nel patto di stabilità sia per il ricorso a eventuali strumenti di “finanza innovativa”;

• iproblemiconnessiall’organizzazionedeiservizineitanticomunisoggettiafenomenirilevanti

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di presenze turistiche stagionali;• l’areadellasemplificazioneamministrativapergarantireprocedureefficientierapide;• i servizi per le relazioni con il pubblico per offrire informazione e trasparenza sull’azione

amministrativa;• la necessità di predisporre strumenti di comunicazione atti a rendicontare socialmente i

risultati dell’attività amministrativa, quali i bilanci sociali o di mandato;• l’area dell’informatizzazione, con particolare riferimento alla presenza sul web, per i suoi

aspetti strettamente funzionali prima ancora che di immagine.

Se si guarda, invece, ai sistemi e ai sottosistemi territoriali, dentro gli scenari della competizione globale ed ai processi di ristrutturazione economica, occorre saper leggere il posizionamento competitivo e il potenziale di sviluppo del proprio territorio e quindi entrano in gioco elementi quali:• la caratterizzazione del territorio in termini di identità e, al tempo stesso, la sua capacità

di apertura a relazioni strutturate con il mondo esterno sia dal punto di vista dei rapporti economici e produttivi sia dal punto di vista socio-culturale;

• la possibilità di valutare il capitale sociale territoriale: vale a dire i risultati raggiunti e ledinamiche ipotizzabili sia per quanto attiene al reddito e alle realtà economiche e produttive locali sia con riferimento ai fattori ambientali, alla qualità della vita sociale e alla presenza radicata di saperi e di vocazioni; e ancora rispetto alla quantità e qualità dei soggetti attivi, siano essi appartenenti alla sfera istituzionale o a quella degli attori sociali in senso lato;

• la capacità di esprimere coesione sociale e istituzionale: la combinazione dei diversi elementiche concorrono alla formazione del capitale sociale va sostenuta dallo sforzo di far convergere l’iniziativa dei diversi attori su obiettivi condivisi e di costruire reti di relazioni stabili nel tempo.

Ne deriva una complessità di quadro dell’azione amministrativa che riporta al tema della qualità politica degli amministratori degli enti locali e più in generale delle risorse professionali di cui dispone per stimolare la spinta motivazionale di adesione convinta e attiva alla cultura dello sviluppo e per far fronte alla richiesta di competenze specialistiche e tecnicalità sempre più avanzate.

Questa situazione di debolezza e difficoltà non è però subita passivamente. In molti comuni riemerge la figura storica del “sindaco-imprenditore” che si fa carico, dal punto di vista dell’agire amministrativo, dello sviluppo del suo territorio e della sua comunità.

Il contributo allo sviluppo locale da parte dei Comuni - specialmente se di piccola dimensione - ha molto a che fare con la generosità. Visitando le realtà territoriali appare con tutta evidenza che, al di là delle pur necessarie competenze professionali e delle rinnovate esigenze di cultura amministrativa e tecnico-operativa, quello che fa la differenza è il grado di motivazione dei Sindaci e la loro disponibilità ad esplorare percorsi non chiaramente definiti; non a caso rispetto ai tradizionali richiami a norme, regole, competenze amministrative e procedure si sente spesso parlare di incertezza, necessità di assumere orientamenti strategici, processi di innovazione, modelli sperimentali.

Specialmente nei piccoli comuni, sono molti i sindaci impegnati nella costruzione di una diversa cultura sociale e nella promozione di politiche di coesione sociale e sviluppo locale. Questi Sindaci sono impegnati attivamente nella costruzione di identità produttive e politico-culturali che consentono di realizzare politiche municipali di sviluppo locale, di volta in volta, indirizzate a:• garantire la tenuta residenziale e occupazionale anche attraverso la promozione

dell’autoimprenditorialità e delle attività di integrazione di reddito;• garantire l’accessoaiserviziancheattraverso l’infrastrutturazionetelematicae ladiffusione

della cultura informatica;

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• sperimentarenuovepolitichediwelfare municipale;• promuoverelacertificazionedelterritorioedellesueproduzioni;• promuovereecertificareretidiospitalitàdiffusa;• potenziare il carattere di multifunzionalità delle attività economiche, con particolare

riferimento a quelle agricole e commerciali;• promuovereunamaggiorequalitàdellaprogettazioneediliziael’ediliziaeco-compatibile,gli

interventi di risparmio energetico, l’utilizzo di fonti alternative;• promuoverelarivitalizzazionedeirapportiedeiservizidivicinato;• promuovere iniziative imprenditoriali che mirano a recuperare il “saper fare” locale nei

diversi ambiti dell’artigianato artistico e tradizionale, delle produzioni alimentari tipiche, dell’ospitalità turistica, della fruizione e manutenzione del territorio;

• promuoverepoliticheculturalivolteallavalorizzazionedelletradizioniedei luoghiedellestrutture associative che le mantengono vive.

Sempre più spesso i Sindaci interpretano il loro ruolo di sostegno allo sviluppo locale anche attraverso il diretto investimento da parte delle Amministrazioni comunali in iniziative imprenditoriali, di valenza sia economica sia sociale, che devono successivamente essere gestite da privati o attraverso la costituzione di società miste pubblico-private.

I Comuni rivestono un ruolo cruciale nell’influenzare le dinamiche di sviluppo territoriale e la conformazione socio economica dei territori da loro amministrati. Gli stessi dati a livello nazionale evidenziano come a partire dalla metà degli anni novanta la presenza dell’attore pubblico nella gestione di attività economiche di interesse pubblico sia cresciuta in misura considerevole a livello locale, proprio quando a livello centrale venivano promosse le politiche di privatizzazione. Il “capitalismo municipale”, inteso come la proprietà e il controllo delle imprese da parte dei governi locali, è oggi al centro del dibattito di politica economica.

Nei territori più marginali i comuni si sentono spesso chiamati a svolgere un ruolo di supplenza nei confronti di un’imprenditorialità privata che fatica ad emergere, o non emerge affatto, per mancanza di cultura imprenditoriale o a causa della scarsa redditività economica di investimenti pensati per la loro prevalente funzione sociale.

Il tema forte è la valorizzazione dei “beni comuni”, proprietà collettive spesso inutilizzate o non opportunamente valorizzate sul piano economico e sociale, come edifici pubblici, beni culturali e ambientali abbandonati a se stessi o, peggio, sottoposti ad azione volontariamente corrosiva.

In Trentino la realizzazione dei patti territoriali ha dato forte impulso agli investimenti dei comuni con progettualità pubbliche riguardanti, ad esempio: la gestione imprenditoriale di aree protette; il recupero e la valorizzazione turistica di edifici di proprietà comunale; l’avvio di vere è proprie attività produttive di interesse collettivo come segherie o caseifici; impianti di produzione di energia da fonti alternative; la gestione imprenditoriale di servizi alla comunità o finalizzati alla manutenzione del territorio o, ancora, a qualificare l’offerta riservata ai turisti.

“A Grumes abbiamo avviato un progetto ambizioso in campo turistico. Abbiamo trovato un finanziamento da Roma tramite il Comprensorio, che ci ha permesso di sistemare alcuni edifici di proprietà comunale di cui uno a garnì, uno a malga, e un piccolo ristorantino su in montagna. Ora stiamo pensando alla gestione imprenditoriale di queste cinque opere, che nel complesso prevedono 100 posti letto. Stiamo iniziando a proporlo alla popolazione, le prospettive sono buone, si pensava di fare incontri con le donne e con i giovani per illustrare questo progetto e individuare un modello di gestione imprenditoriale che li coinvolga. L’idea è quella di una società mista, magari di tipo cooperativo, capace di dare lavoro ad una ventina di persone. Un altro progetto che ha coinvolto il comune è la realizzazione di un impianto a biomassa; il progetto lo appaltiamo a settembre e poi lo mettiamo in rete” Sindaco di Grumes

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“Sulla filiera del legno stiamo studiando la realizzazione di un impianto a biomassa per il riscaldamento. Sarebbe interessante trovare delle persone disponibili sulla lavorazione del taglio del legname, sull’accatastamento del legname pero` e` difficile. C’è opportunità per due o tre posti di lavoro e sicuramente avrebbero un lavoro garantito”. Sindaco di Fierozzo

“Un’altra idea che ha trovato consensi e` quella di costituire un caseificio a livello di valle. La struttura è prevista tra le opere pubbliche previste dal Patto territoriale della Valle dei Mocheni. La gestione sarebbe affidata ad una cooperativa di allevatori, dandole una precisa collocazione ed un valore sul mercato del latte, rafforzando la filiera con la creazione di un prodotto tipico locale. Attualmente il latte è conferito alla centrale di Trento, ma questa soluzione non ha futuro, rischiamo di perdere la nostra zootecnia. La soluzione del caseificio di valle, in una logica di cooperazione tra pubblico e privati, consentirebbe di remunerare maggiormente il latte e di dare una prospettiva alla nostra zootecnia.” Sindaco di San’Orsola

“Esiste un’ipotesi di realizzazione di una segheria per la produzione di semilavorati per le case in legno. Si sta studiando questo progetto unitario tra i Comuni con gli artigiani dell’altipiano e con qualche industriale”. Sindaco di Luserna

“Noi abbiamo una malga sulla quale abbiamo un progetto e stiamo lavorando da anni, però è lì in attesa di trovare qualche canale finanziario, perché ha un certo costo. L’idea era quello di fare collegare il caseificio e l’alpeggio con la parte recettiva e un ristorante. L’idea nostra era quella di fare in modo che il rifugio diventi anche un luogo di promozione del prodotto agricolo locale, gastronomico. L’anno scorso abbiamo avuto un contatto con una grossa azienda vitivinicola trentina la quale mi aveva chiesto la disponibilità di fare un accordo di gestione della Malga. La loro idea, infatti, era quello di utilizzarla in convenzione con il caseificio e magari con Melinda e farne un punto di promozione dei prodotti tipici locali. Poi purtroppo tutto è sfumato perché volevano acquistarla e io non ho la possibilità legale, almeno non ritengono opportuno, di vendere un bene che è patrimonio della comunità: questa sarebbe una scelta sbagliata. Però era un’idea importante. Oggi stiamo ragionando con un privato per una parte relativa alla birra prodotta con l’orzo dell’alta Valle di Non. Sindaco di Romeno

“Tra le Regole e il Penegal c’è la nostra malga comunale che si prospetta adatta all’allevamento zootecnico, quindi abbiamo un immobile da valorizzare. Sono stato venerdì con un funzionario provinciale per vedere di poterla gestire non solo sotto l’aspetto di malga, ma anche come punto di ristoro, come rifugio legato con la cultura, dove si possono fare dei seminari. Abbiamo anche comprato una casa tutelata dove si potrebbe fare un ostello e non sarebbe male mettere queste strutture a disposizione degli studenti e sportivi”Sindaco di Malosco

“Abbiamo realizzato un’area sosta camper di recente costituzione, con annesso un bar ristorante, spogliatoi, area sportiva. Purtroppo abbiamo avuto diversi interlocutori ma non sono riusciti a far decollare questa iniziativa, che secondo me ha delle potenzialità notevoli,...” Sindaco di Smarano

“A Valfloriana abbiamo il biotopo più grande alla provincia, però dovremo attrezzarlo, fare i percorsi, creare punti informativi di sosta e di ristoro. Bisognerebbe creare qualcosa, però il problema è chi lo fa: non può farlo l’Amministrazione, non può la Provincia. La Provincia può aiutare, l’Amministrazione può aiutare a risolvere certi problemi, però ci vuole chi investe, a me piacerebbe creare una cooperativa di giovani che prendesse in gestione l’area” Sindaco di Valfloriana

“ Stiamo anche lavorando con il centro di salute mentale di Cavalese. Vogliamo recuperare il nucleo storico più vecchio di Capriana una frazione in stato di completo abbandono. Il progetto è fare una cooperativa di recupero di soggetti deboli. Una è già stata fatta, hanno acquistato capre cashmere per la lana. Vogliamo impiegare questi soggetti deboli per dare loro una ragione di vita in queste attività esclusivamente produttive, quindi non più curative. Questo vale per la persona che ha superato i momenti critici e che fa difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro; dovrebbe essere socio di questa cooperativa che insieme ad altri soci chiamiamoli “totalmente i sani” gestiscono l’agriturismo piuttosto che le coltivazioni delle erbe” Sindaco di Capriana

Questo spirito imprenditivo delle amministrazioni locali si scontra però spesso con la mancanza di specifiche competenze interne riguardanti:• laconduzionedipratichedianimazione,diconcertazioneediprogettazionepartecipata;• l’attivazioneelavalutazionedelcapitalesocialenecessarioallarealizzazionedegliinterventi;• ladefinizionedimodelliistituzionali-societaridinaturapubblico-privata,perlagestionedelle

azioni progettuali.

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L’attività di animazione territoriale ha fatto emergere una consistente domanda, espressa dagli enti locali, riguardante l’assistenza tecnica alla costituzione e gestione di società pubblico – private, capace di indirizzare l’azione dell’amministrazione locale rispetto alle varie opzioni previste dall’ordinamento in materia di servizi pubblici di carattere economico (gestione in economia; concessione a terzi; azienda speciale; società di capitali ad influenza dominante pubblica locale, ecc.).

Si tratta spesso di iniziative dal profilo imprenditoriale incerto che, accanto ad esigenze di redditività economica in specifici campi di azione, prevedono finalità sociali e di promozione dello sviluppo economico e civile della comunità locale (assumendo la connotazione di agenzie di sviluppo municipale), difficilmente valutabili sul piano della gestione economica d’impresa.

L’entità della domanda censita sul territorio, la rilevanza e la delicatezza del tema nei suoi aspetti giuridici e politici, rende opportuno un intervento di assistenza tecnica fondato su indirizzi provinciali volti a normare la partecipazione degli enti locali all’interno delle imprese.

Alla luce di questi processi è importante che vengano avviate organiche iniziative tese alla valorizzazione del ruolo dei piccoli comuni nella promozione dello sviluppo locale, iniziative capaci di integrare e accompagnare il progetto di riforma istituzionale avviato dalla Provincia Autonoma di Trento.

I patti territoriali sono stati una grande scuola dove i sindaci (assieme alle imprese e alle categorie economiche) hanno imparato a fare sviluppo locale acquisendo i linguaggi della concertazione e della programmazione negoziata. Si è trattato di un percorso di acquisizione di competenze che oggi assume particolare rilevanza alla luce del processo di riforma istituzionale che prevede di delegare agli enti locali, le responsabilità di programmazione del proprio sviluppo socio-economico e territoriale. Un processo di delega che non riguarda solo il trasferimento poteri e responsabilità, ma che deve riguardare anche il trasferimento di saperi, competenze, metodologie di programmazione, capacità di fare impresa.

Box 3 – La E.S.Co. BIM del Chiese SpA

Con la finalità delle pubbliche amministrazioni di abbattere i costi di gestione e trovare forma di autofinanziamento, Il Bim del Chiese, che è un consorzio di Comuni, ha scelto di occuparsi direttamente della questione energia, elaborando (nell’ambito del patto territoriale) un proprio piano di efficienza energetica che individui gli interventi per l’ottimizzazione dei consumi e la riduzione dei costi energetici delle utenze di proprietà delle diverse amministrazioni comunali nonché lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. Le linee guida seguite per la predisposizione del piano sono la contrattazione del prezzo di fornitura dell’energia, il miglioramento delle prestazioni degli edifici e della qualità degli impianti, l’ottimizzazione del sistema di gestione. Un piano di efficienza che riguarda quattro fondamentali settori di competenza delle amministrazioni: l’acquisto dell’energia elettrica nel libero mercato, gli impianti di illuminazione pubblica, il patrimonio edilizio di proprietà comunale, lo sviluppo delle fonti.

A seguito della predisposizione del piano di efficienza energetica, il BIM del Chiese si è posto il problema della gestione coordinata degli interventi di risparmio ed efficienza energetica, tra tutti i comuni della Valle.

L’attività di assistenza del progetto di animazione territoriale, in collaborazione con il Distretto tecnologico, ha riguardato la costituzione di una ESCO (Energy Service Company).

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L’originalità dell’attività della Esco consiste nel fatto che gli interventi materiali e finanziari necessari a conseguire gli obiettivi di risparmio energetico sono sostenuti dalle stesse Esco e non dal cliente o utente finale. L’utente energetico è sgravato da ogni forma di investimento, e non dovrà preoccuparsi di finanziare gli interventi migliorativi dell’efficienza dei propri impianti. La Esco si ripaga l’investimento, e il costo dei servizi erogati, con una parte del risparmio energetico effetto dell’intervento. Allo scadere del contratto (generalmente 8-12 anni), l’utente diventerà proprietario delle parti di impianto migliorate e, quindi, beneficerà della maggiore efficienza del proprio impianto. A questo punto deciderà se curare in proprio la gestione oppure se affidarla alla Esco.

La ESCO BIM SpA è stata costituita il 21 febbraio 2008; uno dei primi interventi ha riguardato la presa in gestione della centralina idroelettrica di Darzo, di 776 kw di potenza nominale.

BOX 4 – IL CASEIFICIO DELLA VALLE DEI MOCHENI

Il progetto, avviato nell’ambito del Patto Territoriale della Valle dei Mocheni intende valorizzare il ruolo della zootecnia nelle dinamiche di sviluppo della valle.

La struttura dell’azienda agricola della Valle dei Mocheni può essere paragonata, in piccolo, alla struttura agricola delle fattorie ad economia chiusa ad “hof” (di origine tedesca). L’entità produttiva era dedicata quasi esclusivamente all’autoconsumo, ove gli allevamenti bovini o ovicaprini fornivano latte e burro per la famiglia e per l’allevamento dei vitelli, con scarsa attività casearia anche questa rivolta in prevalenza all’autoconsumo. Solo negli ultimi decenni la zootecnia della Valle è progredita nel razionale allevamento in stalle e strutture più moderne e si è presentata l’opportunità di conferire il latte ad organismi consortili (extravalle) per la trasformazione, ricavandone un maggior beneficio di reddito. Purtroppo, l’insieme dei fattori che in tutta la provincia hanno portato alla drastica riduzione dei capi bovini, hanno influito ancora più pesantemente sul patrimonio zootecnico della Valle e sulla redditività dell’attività zootecnica.

Per far fronte ad un prevedibile declino della zootecnia di valle, che avrebbe anche ripercussioni negative sul presidio e la manutenzione del territorio le quattro amministrazioni comunali della Valle hanno deciso di inserire tra le progettualità pubbliche del patto territoriale la realizzazione di un caseificio di valle con annesso punto vendita e centro di accoglienza turistica. La gestione del caseificio sarà affidata ad una costituenda cooperativa di allevatori della valle.

L’assistenza tecnica realizzata nell’ambito del progetto ha riguardato l’elaborazione del business plan ed un’attività di animazione finalizzata al coinvolgimento degli allevatori.

Lo studio ha permesso di stabilire con una certa precisione, la forma giuridica con un numero di soci pari a 9 (Società cooperativa agricola S.r.l.), la minima quantità di latte da lavorare in un anno (circa 730.000 litri), quale fosse il minimo investimento iniziale per attrezzare e arredare il punto vendita del minicaseificio, pari a circa Euro 115.000 (della costruzione se ne sarebbe occupato direttamente il Comune), individuare i costi (Euro 440.000 circa), il giro d’affari ipotetico, data una predeterminata capacità produttiva (Euro 925.000 circa), e le ipotesi di vendita annue a regime (Euro 680.000 circa). Infine la resa minima al litro del latte conferito risultava pari a Euro 0,35 e quella massima ad Euro 0,50 dove una variabile determinate era il costo del trasporto.

Attualmente le attività sono rivolte alla definizione della compagine sociale.

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9 L’impresa sociale di comunità

Il lavoro di animazione imprenditoriale realizzato nelle aree obiettivo 2 della provincia di Trento ha fanno emergere numerose progettualità di impresa orientate alla dimensione del sociale (servizi per l’infanzia, per gli anziani, per i portatori di handicap, ma anche iniziative nei campi del turismo sociale, dei servizi di prossimità, della valorizzazione delle tradizioni locali, della tutela ambientale). L’emergere di tali progettualità e le relative esigenze di accompagnamento sul piano tecnico, ha imposto una riflessione sul concetto di “impresa sociale di comunità”. 8

Espressione del territorio, le imprese sociali di comunità9 sono organizzazioni private o pubblico-private senza scopo di lucro che producono in modo professionale e continuativo beni e servizi finalizzati al miglioramento della qualità della vita delle persone e delle comunità locali. L’obiettivo di perseguire l’interesse generale delle comunità richiede un’organizzazione capace di valorizzare risorse locali - sociali economiche e territoriali - di diversa natura. Per questa ragione prevedono sistemi di governo e gestione basati sulla presenza di soggetti diversi: utenti, lavoratori, volontari, associazioni, imprese profit, enti pubblici e privati. Ognuno di essi è chiamato, secondo le proprie possibilità, a dare un apporto secondo principi di partecipazione e mutualismo.

Il mutualismo è tema certamente storico e quindi ormai di lunga data, ma che oggi richiede di essere rivisitato alla luce delle tante trasformazioni sociali di cui più o meno quotidianamente siamo testimoni. In questo scenario si vanno delineando diverse forme di auto organizzazione dal basso, storiche e innovative, che rispondono ai bisogni complessi di una società in transizione come quella attuale. È, infatti, questa la specificità dell’impresa sociale di comunità: non solo un’impresa orientata al sociale, erogatrice di servizi alla collettività, ma un modello di infrastrutturazione sociale e di welfare adeguato ai tempi.

Il mondo della cooperazione sociale coniuga in modo nuovo due meccanismi antichissimi, pre-capitalistici: il meccanismo della solidarietà sociale che rimanda alla teoria del dono, e il meccanismo cooperativo-mutualistico che ha infrastrutturato il passaggio delle società locali dall’economia agricola all’economia industriale. Oggi questi meccanismi rappresentano il massimo della modernità. Certamente non bisogna riproporre il passato, ma si deve ricordare che gli elementi di autorganizzazione del sociale hanno le loro radici nel passato.

Nella realtà trentina, le pratiche di un’economia solidale rimandano ad un mondo agro-silvo-pastorale, dove il donare una mucca a chi l’aveva persa permetteva di conservare l’equilibrio e la sopravvivenza della comunità stessa, dove la manutenzione del territorio era garantita delle antiche regole degli usi civici e dove l’economia era infrastrutturata da micro autonomie funzionali d’uso collettivo quali la segheria, la cantina, il macello, o il caseificio turnario. Un’attitudine ad autorganizzarsi attorno ai propri bisogni che dava luogo a istituzioni di comunità come sono ad esempio, ancora oggi nei paesi trentini, i vigili del fuoco volontari o il consorzio elettrico comunale.

Il mercato nello sviluppo capitalistico agli albori del ‘900 creò un vuoto di socializzazione: distrusse la vecchia economia, l’agricoltura, la famiglia patriarcale. Non riuscì a dare una risposta ai bisogni della gente, compresi i bisogni delle persone e dei territori collocati alla periferia del

8 Tale riflessione è stata sviluppata con il Consorzio Con.Solida della Federazione Trentina delle Cooperative ed ha portato alla sottoscrizione di un protocollo di intesa tra Trentino Sviluppo e FTCoop per la promozione delle imprese sociali.

9 Dal punto di vista normativo le imprese sociali di comunità trovano elementi di legittimazione nella legge nazionale sull’impresa sociale (n. 118/2005).

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nuovo sistema industriale in formazione. Il vuoto di socializzazione divenne allora il terreno di sviluppo di un’alternativa possibile, ovvero della forma di impresa cooperativa. Mutue, cooperative, leghe, associazioni, condividevano un obiettivo fondamentale: fornire beni e servizi al minor costo possibile, per servire l’interesse reciproco dei membri della comunità e, in senso più ampio, garantire un servizio d’interesse comune che lo Stato era ancora lungi dall’assicurare. Nascono i circuiti mutualistici del credito, della previdenza e della tutela contro le malattie. Nascono le cooperative di consumo. Nasce un fiorente movimento di cooperative agricole e di cooperative di produzione. E, insieme a queste imprese, nasce un movimento cooperativo che fa da collante e da guida alle singole iniziative.

Lo sviluppo trentino si è tradizionalmente formato sulle reti corte della comunità e la dimensione cooperativo – mutualistica costituisce uno dei fondamenti dello sviluppo socio-economico trentino dove gli alti livelli di coesione sociale hanno tradizionalmente alimentato i processi di crescita economica delle comunità locali.

Nell’attuale periodo di transizione, questo modello di infrastrutturazione sociale ritrova una sua attualità. Tramontate o in via di dismissione le tutele della contrattazione e del welfare fordista, oggi la vita sociale trova sempre meno sponde su cui appoggiarsi per assorbire il rischio diffuso, che ciascuno avverte come proprio e personale. Riemerge con forza una domanda di autorganizzazione dal basso, di condivisione che può e deve trovare risposta nella crescita di forme autorganizzate di mutualismo, tutela, rappresentanza dei bisogni sociali.

Sfruttando il meccanismo della socialità e della comunità, le imprese sociali rappresentano i luoghi in cui le persone ritrovano il gusto di autorganizzarsi per trovare, in termini autoimprenditoriali, una risposta ai propri bisogni. L’impresa sociale di comunità punta, infatti, a rendere imprenditoriale il sociale, tradizionalmente considerato improduttivo, a trasformare in ricchezza risorse inutilizzate o spesso trattate come costi.

Se da un lato è riscontrabile un inglobamento dell’impresa sociale nel più ampio sistema pubblico di erogazione di servizi socio-assistenziali - di cui l’impresa sociale spesso è un terminale sul territorio - dall’altro lato, la recente e consistente crescita del settore no profit evidenzia l’affermarsi di tendenze che hanno a che fare con una più ampia concezione di welfare, che incrocia le tematiche dello sviluppo economico e della coesione sociale in una prospettiva di sviluppo locale.

È una tendenza lenta e progressiva di cui poco si parla. Crescono sul territorio i microdistretti del sociale. Dal ‘96 al 2003 le piccole società cooperative sono cresciute del 12%. Sono 6.150 in tutta Italia queste strutture che fanno welfare locale, di comunità. Si aggregano in reti come quella del Consorzio Gino Mattarella (CGM) che, con 1200 tra cooperative e consorzi, rappresenta la più importante rete italiana di cooperazione sociale. Vi lavorano 35mila addetti più 5mila volontari, con un’età media di 29 anni e un reddito di 800 euro al mese. Per numero, sono più degli operai Fiat in Italia. Per stipendio, prendono meno di un metalmeccanico. Si occupano di quel ciclo antico che chiamiamo welfare, fatto di infanzia, lavoro, famiglie, previdenza e vecchiaia. Gestiscono asili comunali e aziendali, cooperative per l’inserimento lavorativo di personale svantaggiato e comunità per il disagio psichico. Senza le cooperative sociali il nostro welfare sarebbe oggi ben poca cosa. È come se, nell’ipermoderna società globale, si fosse scongelata una memoria antica, fatta di luoghi e azioni di comunità, che aveva avuto il suo momento forte agli albori del’900.

Il Trentino è il territorio italiano con la più alta densità di volontariato, radicato nei valori dell’iniziativa, della responsabilità personale, della cooperazione. Il mondo della solidarietà organizzata del Trentino è in grado di mobilitare circa 50.000 volontari - il 10% della popolazione complessiva del Trentino - che dedicano gratuitamente e in maniera costante una parte del loro tempo nelle attività socialmente utili.

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Il mondo del volontariato e delle organizzazioni del privato sociale si trovano oggi al centro di un importante processo di assunzione di responsabilità, legato all’espansione di attività che non appartengono né allo stato né al mercato e che hanno la finalità ultima di produrre coesione ed inclusione sociale, senza trascurare gli aspetti connessi alla sostenibilità e competitività del sistema, la razionalizzazione delle risorse e la messa a valore di ogni singolo aspetto della vita produttiva e riproduttiva. Si tratta in particolare di dare risposta ad una duplice domanda che viene posta da tale processo evolutivo: come è possibile fare volontariato incorporando maggiori livelli di professionalità e imprenditorialità e come è possibile fare impresa sociale salvaguardando il patrimonio di valori etici e di impegno individuale tipici del volontariato.

Le stesse amministrazioni locali sono, infatti, oggi investite di maggiori responsabilità nell’erogazione di servizi al territorio e alla cittadinanza e sono spesso portatrici di progetti di nuovo welfare municipale in cui svolgono un ruolo importante gli organismi non lucrativi di utilità sociale, della cooperazione, del volontariato.

Il territorio è sempre più un elemento culturale e strategico per le imprese che operano nel sociale. La cooperazione sociale partecipa e si immerge sempre più nelle vicende del territorio. Il territorio permette di fare il salto di qualità, progettare passaggi ambiziosi, avviare nuove imprese, organizzare gruppi di utenti, valorizzare beni comuni inutilizzati o sotto utilizzati, sostenere le amministrazioni pubbliche nell’offerta di servizi rispondenti ai nuovi bisogni di una società che si fa sempre più complessa. Si tratta di un salto di qualità di non poco conto: da portatrice di bisogni e domande sociali, l’impresa sociale diventa portatrice di soluzioni, professionalità e competenze che possono aiutare l’ente locale nel sempre più difficile ruolo di governo delle dinamiche di sviluppo del territorio.

Occuparsi di sviluppo locale e di promozione dell’imprenditorialità significa anche accompagnare questi processi di ridefinizione di un nuovo modello di welfare locale che coinvolge amministrazioni locali, imprese sociali e mondo del volontariato. Si tratta in particolare di orientare le politiche:• all’animazioneepromozionedinuoveiniziativediimpresasocialeoperantinelcampodei

servizi di prossimità, della cultura e del turismo;• aiservizidiformazioneeassistenzatecnicavoltiallaqualificazionedelleimpresenoprofit;• alladiffusionedipratichedimanagement inerenti alla gestione imprenditoriale e professionale

delle cooperative sociali e delle organizzazioni di volontariato;• alladiffusionediconoscenzeriguardantiilmarketing ed il fund-raising per le imprese sociali;• all’analisi dei fabbisogni emergentinei contesti locali e alla sperimentazionedimodelli di

welfare mix;• alla promozione di nuove modalità di rapporto tra amministrazioni locali e cooperazione

sociale alla luce delle normative di livello provinciale, nazionale e europeo;• allapromozionedelletematicheinerentiallaresponsabilitàsocialediimpresa.

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10. L’articolazione dell’intervento di animazione imprenditoriale

Trattando di politiche del lavoro, la letteratura usa distinguere fra due “famiglie” di politiche:• lemisuredimantenimentoogaranziadelreddito,lequalisonodiretteadassicurareilavoratori

contro i rischi di disoccupazione, infortunio, invalidità e vecchiaia, cioè contro i classici rischi derivanti dalla perdita della capacità lavorativa e quindi della possibilità di procurarsi un reddito sul mercato. Queste misure sono anche dette politiche passive del lavoro, in quanto si realizzano in meri trasferimenti di reddito dal sistema di welfare pubblico ai soggetti;

• gli interventi volti ad aumentare l’occupazione in generale piuttosto che l’occupazione diparticolari categorie sociali considerate “deboli” sul mercato del lavoro (giovani, donne, disoccupati di lunga durata, handicappati). Questi interventi vanno dagli incentivi economici e normativi all’assunzione, alla creazione diretta ed “assistita” di impieghi, dalla redistribuzione delle occasioni di lavoro all’istituzione di speciali rapporti d’impiego, ma recentemente sono giunti a ricomprendere anche interventi di incentivazione diretta all’imprenditorialità ed alla creazione di attività economiche quali canali per incrementare la crescita occupazionale indipendente.

Le politiche passive quindi si pongono come meri strumenti di garanzia del reddito dei soggetti senza lavoro, mentre le politiche attive sono specificamente dirette ad incidere sul funzionamento del mercato (del lavoro e produttivo in generale) vuoi adeguando le caratteristiche personali dell’offerta di lavoro, vuoi creando particolari occasioni d’impiego, vuoi favorendo la creazione di attività auto-imprenditoriali in grado comunque di aumentare le chance di accesso al mercato, del lavoro e della produzione, di coloro che possono trovarsi in posizione di svantaggio o di marginalità, sociale o territoriale.

Tabella 7 Le politiche del lavoro

Politiche Attive Politiche di Incentivazione Politiche di garanzia del reddito

Formazione Sgravio di oneri sociali Indennità di disoccupazione

Orientamento professionale Decontribuzioni Indennità di mobilitàSostegni all’incontrofra Domanda e Offerta di lavoro

Contributi in denaroCassa Integrazione Guadagni Ordinaria

Promozione d’impresa Contratti di Formazione e LavoroCassa Integrazione Guadagni Straordinaria

Sviluppo locale Contratti di apprendistato Prepensionamenti

Contratti di Solidarietà

Lavori Socialmente Utili

Allo stato dell’arte, vale a dire allo stato degli studi e della ricerca disponibile sulle politiche attive del lavoro, si può affermare che le analisi macroeconomiche dimostrano che lo sviluppo economico e la crescita dell’occupazione sono strettamente correlate con la presenza di politiche attive del lavoro. Un elemento rilevabile in letteratura - e che senza dubbio è di specifico interesse per il caso italiano e trentino - è rappresentato dal legame esistente fra intervento istituzionale pubblico, sotto forma di politiche del lavoro, e sviluppo locale, legame che “si realizza” attraverso l’intervento di un elemento specifico dei sistemi di interazione sociale: il riferimento è al ruolo del capitale sociale, ed al legame fra intervento istituzionale, capitale sociale e sviluppo locale (sviluppo economico ed occupazionale).

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È all’interno di questo legame che si è sviluppato l’intervento di animazione imprenditoriale nelle aree obiettivo 2 della Provincia Autonoma di Trento. L’intervento istituzionale, operato da un’agenzia di sviluppo pubblica, può adeguatamente rappresentare un esempio di un’azione istituzionale trasparente e razionale rispetto al fine fissato (lo sviluppo di attività economiche) agendo quale fattore di sostegno ed incentivazione al capitale sociale dei soggetti. L’istituzione può, infatti, avere un ruolo importante nel “favorire”, far crescere o potenziare, il capitale sociale esistente, sia a livello di singoli, sia a livello d’area, attraverso il miglioramento delle performance economiche degli attori locali.

Per promuovere l’imprenditorialità non basta fare una “neutra” attività di sportello informativo sulle forme di incentivazione finanziaria all’attività di impresa, ma bisogna lavorare sulle culture locali e sugli elementi di coesione economica, sociale e istituzionale espressi da sistemi locali che hanno una loro identità socio-economica e culturale.

Finora la politica di promozione dello sviluppo imprenditoriale locale ha seguito fondamentalmente due strade, sebbene entro un disegno di fondo comune che considera l’impresa singola come l’oggetto unico di intervento. La prima, quella di gran lunga predominante in termini di volumi finanziari e di attenzione istituzionale, è la strada dell’offerta di incentivi diretti e indiretti alla nascita o alla modernizzazione di singole imprese. La seconda, più recente e comunque alquanto marginale, è la strada dell’incentivazione dei servizi reali, dei consorzi e dei centri di servizi alle imprese.

Le due politiche hanno seguito percorsi del tutto autonomi e indipendenti, come se rispondessero a bisogni differenti se non alternativi, e per di più sono state calate dall’alto in modo uniforme ad ogni tipo di realtà locale, prescindendo cioè dalle specificità socio-economiche dei contesti territoriali. I risultati di entrambe le linee di intervento, permeate da una rigida logica “erogatoria”, non sembrano avere innescato nelle aree in ritardo di sviluppo processi di miglioramento duraturi nella competitività economica, né addensamenti rilevanti dei tessuti imprenditoriali pregressi. Anche grazie agli incentivi sono emerse o si sono stabilizzate imprese di successo, ma raramente sistemi aziendali locali integrati, filiere di produzione, aree specializzate.

Ben più evidente appare il fallimento della linea rivolta a sostenere la crescita dell’offerta di servizi alle imprese, a ragione del fatto che spesso si sono incentivati servizi estranei ai fabbisogni reali e potenziali delle imprese locali: il risultato è stato il rapido declino dei centri servizi via via che è andato esaurendosi il flusso di trasferimenti pubblici a loro favore. A causa di questi fallimenti, negli ultimissimi anni, sospinto dall’avanzamento della “prospettiva neo-istituzionalista dello sviluppo locale” (Amin 1998), dall’impetuosa affermazione nel mondo del made in Italy dei distretti industriali (Becattini 1998) e, sul piano normativo, dalla revisione radicale degli strumenti della programmazione negoziata, è emerso in Italia un terzo approccio di politica economica, questa volta strettamente finalizzato a sostenere la formazione di sistemi locali di sviluppo.

I suoi orientamenti di fondo sono tendenzialmente opposti all’assioma ortodosso, in quanto tendono ad incoraggiare interventi locali “dal basso”, specifici per ciascuna area, incentrati sulla cooperazione di una platea composita di attori istituzionali e sociali, pubblici e privati, nonché su alleanze produttive interregionali, riconoscendo dunque i fondamenti sociali dell’agire economico. L’idea sottostante al nuovo approccio è che il successo economico è un esito che dipende, oltre che dai talenti imprenditoriali, dalla qualità dell’ambiente socio-istituzionale locale e dall’intensità delle relazioni formali e tacite tra gli attori, ovvero dal capitale sociale (fiducia, reciprocità, cooperazione, reputazione) che alimenta il patrimonio di interdipendenze non-mercantili e di relazioni fiduciarie tra gli individui (Coleman 1990; Mutti 1998; Storper 1997).

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L’esperienza condotta nelle aree obiettivo 2 della provincia di Trento ha evidenziato come la disponibilità di incentivi finanziari alla creazione di impresa (resi disponibili dalle leggi di settore provinciali) assuma un ruolo relativamente marginale rispetto alla promozione di microattività imprenditoriali (che solitamente richiedono un capitale finanziario di avvio modesto). Molto più importanti sono, invece, risultate le azioni finalizzare ad incrementare il capitale sociale dei soggetti e del territorio, ovvero:• le azioni volte a raccordare le singole iniziative imprenditoriali all’interno di politiche di

sistema, di settore e di territorio;• leazionielerelazionivolteasemplificareleprocedurediavviodell’impresa;• leazionivolteaconsolidarelerelazioniproduttive(politichedifilieraedidistretto,comunità

professionali, ecc).

Altrettanto importanti sono risultate le azioni a sostegno del capitale umano, ovvero finalizzate ad incrementare le competenze produttive e gestionali dei soggetti, la loro conoscenza dei mercati e dei metodi di progettazione e di auto-valutazione dell’idea imprenditoriale.

In tale ottica, è fondamentale che le politiche di sviluppo locale (e tra queste le politiche attive del lavoro) sappiano accompagnare, in modo integrato, le diverse dimensioni comunitarie, identitarie, che connotano i territori e che si fondino sulla consapevolezza che, a fronte dei processi di apertura connessi ai processi di globalizzazione, le realtà locali appaiono sempre più come un bacino entro cui le virtù della cittadinanza hanno modo di diventare risorsa di sviluppo economico e moltiplicatore di benessere. Un accettabile grado di coesione sociale, intesa come dotazione di beni relazionali e virtù civiche, costituisce non solo un patrimonio delle forme di convivenza, ma anche un fattore di competitività del tessuto economico.

La collocazione dell’intervento di animazione imprenditoriale nell’ambito di progetti di sviluppo locale – come i patti territoriali - ha creato un circuito virtuoso che ha consentito, da un lato di inserire le singole iniziative imprenditoriali nell’ambito di progettualità strategiche più vaste capaci di supportarle (integrazione tra progettualità pubbliche e iniziative private, azioni di marketing di territorio, integrazioni produttive e settoriali, ecc.), dall’altro lato di qualificare e sostanziare il progetto di sviluppo locale con iniziative private coerenti e qualificate sul piano imprenditoriale.

L’intervento si è sviluppato sia sul piano della domanda sociale sia sul piano dell’offerta istituzionale, cercando di raccordare maggiormente le due dimensioni. L’azione sulla domanda sociale si è caratterizzata come un intervento di carattere culturale volto alla diffusa conoscenza delle dinamiche evolutive che caratterizzano i temi del lavoro, dell’impresa e dello sviluppo locale nei contesti di riferimento. Successivamente, si è articolata in interventi formativi, di accompagnamento e di networking volti a facilitare l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali e la qualificazione degli interventi di sviluppo locale. L’azione sull’offerta istituzionale è stata finalizzata a raccordare l’azione di diversi soggetti (provinciali e locali) a sostegno delle iniziative imprenditoriali e di sviluppo locale. Ambizione dell’intervento è stata anche quella di contribuire - attraverso l’esplicitazione e la caratterizzazione della domanda sociale di autoimprenditorialità - alla definizione di nuove politiche provinciali in materia di lavoro, welfare, reti di imprese e sviluppo locale.

Accanto al sistema di offerta istituzionale di livello provinciale (costituito dagli incentivi previsti dalle leggi di settore, dai patti territoriali, dalle politiche di distretto, dallo stesso ruolo di assistenza svolto da Trentino Sviluppo SpA e da altri enti e uffici provinciali) l’intervento ha cercato di costruire un’offerta di territorio coinvolgendo:• i tavoli di concertazione dei patti territoriali, rispetto alla definizione degli obbiettivi di

sviluppo locale e alla valorizzazione dell’autoimprenditorialità;

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• isindacirispettoall’organizzazionedegliincontridianimazione,all’individuazionedispaziproduttivi, alla soluzione di questioni legate alle pratiche autorizzative, ecc;

• lecategorieeconomiche, rispettoai temi inerentiallavalutazionedell’ideadi impresa,alleprocedure autorizzative, alle questioni inerenti ai servizi alle imprese;

• lebancherispettoaitemiinerentiall’accessoalcredito;• leimpreselocali,rispettoallapromozionediintegrazioniproduttiveeretidiimpresa;• leorganizzazionidelterzosettorerispettoallapromozionedinuovimodellidiwelfarelocale

e l’accompagnamento di progettualità di carattere sociale.

Figura 7 Articolazione dell’intervento di animazione imprenditoriale

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10.1 L’offerta istituzionale

Sul piano dell’offerta istituzionale l’intervento si è rivolto ad azioni di concertazione a livello provinciale dettate dall’esigenza:• diportareasistemaunaseriediinterventieprogetti,giàinattooallostudio,chepotrebbero

risultare disomogenei e scollegati tra loro;• diassumereapienotitolonellepolitichedellaProvinciaAutonomadiTrentoladiffusione

della cultura di impresa e del lavoro autonomo come leve strategiche per lo sviluppo locale, mettendo in atto una iniziativa di animazione territoriale e condivisione di tali prospettive con gli attori istituzionali, sociali ed economici di livello provinciale.

Sul piano istituzionale, l’intervento si è quindi configurato come un processo di raccordo delle politiche ed iniziative già in atto, senza la necessità di prevedere strumenti o normative aggiuntive, ma proponendo elementi di miglior coordinamento e finalizzazione delle azioni intraprese o in progetto e soprattutto un più stretto collegamento tra i diversi soggetti istituzionali e non, attivi sul territorio.

10.1.1 Il raccordo con gli strumenti di programmazione negoziata

Nell’ambito delle esperienze di programmazione negoziata, l’intervento ha trovato una forte integrazione con l’iniziativa di Programmazione Strategica della Provincia di Trento denominata Progetto TxT (Trentini per il Trentino). Tale integrazione, attivata attraverso il coordinamento del tavolo di concertazione su “Imprenditorialità e capitale umano”, è stata motivata dal fatto che l’intervento di animazione imprenditoriale realizzato nelle aree obiettivo 2 della Provincia di Trento non si doveva limitare a fare emergere una domanda sociale di auto-imprenditorialità, ma doveva anche contribuire ad elaborare e raccordare un sistema di offerta istituzionale, associativa e finanziaria capace di accompagnare i processi di trasformazione del lavoro. Almeno per quanto riguarda i temi dell’autoimprenditorialità e dello sviluppo locale, si può affermare che l’intervento di animazione imprenditoriale si è caratterizzato come la naturale prosecuzione – nei contesti locali trentini- dell’azione di programmazione strategica provinciale10.

L’integrazione dell’intervento di creazione di impresa nell’ambito dei patti territoriali è stata motivata dalla capacità di questi strumenti di incentivare gli investimenti privati all’interno di progettualità di sistema, producendo un effetto leva che alimenta - all’interno di un ciclo virtuoso - la competitività del sistema territoriale e la competitività delle singole iniziative private11. In tale ambito, ed in stretta collaborazione con l’Ufficio Patti Territoriali della PAT, l’intervento si è concentrato sulla qualificazione dei patti territoriali attualmente in essere, massimizzando la presentazione progetti di carattere imprenditoriale coerenti con le finalità degli interventi di sviluppo.

Nei contesti locali che avevano già concluso l’esperienza pattizia - o che non hanno avuto accesso allo strumento12 - l’intervento si è concentrato sul consolidamento e l’evoluzione di pratiche negoziali intese come“ strumento ordinario”di governo delle dinamiche di sviluppo locale, promuovendo progettualità di impresa e di territorio orientate alla proiezione delle economie

10 Si vedano quaderni di progettazione: primo e secondo rapporto sulla concertazione a livello provinciale. 11 Nomisma “La valutazione dei patti territoriali promossi dalla Provincia Autonoma di Trento” Maggio 2006.12 Si vedano i Protocolli di intesa sottoscritti da Trentino Sviluppo SpA con il BIM del Chiese, con i comuni del Primiero e

con i comuni delle Giudicarie Esteriori. E’ in corso di definizione un protocollo di intesa con il BIM del Sarca relativo ad un progetto di sviluppo locale della val di Sole e della Val di Non.

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locali sui mercati esterni ed alla valorizzazione di quei “fattori immateriali di sviluppo” che sempre più ruolo svolgono all’interno di un sistema produttivo di lungo raggio fondato sulla progressiva smaterializzazione delle produzioni e sull’integrazione con i servizi.

Un’ulteriore esigenza manifestatasi nel corso dell’intervento è stata quella di intervenire in territori esterni all’area di competenza del Docup. Questa esigenza è stata indotta dall’esistenza di relazioni economiche e strategie di sviluppo che non sono evidentemente confinate all’interno delle sole aree obiettivo 2, dalla presenza all’interno dei patti territoriali di comuni non agevolabili e, infine, dalla richiesta di molti sindaci di realizzare l’intervento di animazione imprenditoriale anche nei loro comuni, seppure non compresi in area Docup. Tale esigenza ha comportato il ricorso ad ulteriori strumenti di finanziamento dell’intervento individuati nell’art.24 della Legge 6/99 relativo alla “Promozione e qualificazione delle attività economiche”.

L’integrazione dell’intervento di animazione imprenditoriale con le politiche provinciali in tema di sviluppo locale e promozione delle attività economiche è stata resa possibile dalla preziosa collaborazione di diversi funzionari e uffici provinciali competenti in materia di artigianato, turismo, agricoltura, che hanno accompagnato i progetti di impresa nel percorso di avviamento e che si sono anche resi disponibili a partecipare agli incontri di animazione organizzati sul territorio.

10.1.2 Il raccordo con le politiche del lavoro e del welfare

Un ulteriore elemento di armonizzazione è stato individuato nel più stretto collegamento tra politiche di sviluppo locale e politiche attive del lavoro Sulla necessità di tale collegamento convergono sia le analisi relative ai mutamenti in corso nella struttura economica e produttiva trentina, sia le considerazioni sulle caratteristiche della domanda e dell’offerta di lavoro:• sul primo versante, il definitivo superamento del modello fordista porta a focalizzare

l’attenzione delle politiche di sviluppo sul ruolo della microimpresa diffusa territorialmente, sul consolidamento delle filiere produttive e delle reti di impresa, sulla crescita dei servizi nel settore turismo, sulla valorizzazione dell’agricoltura di qualità e della manutenzione del territorio, sulle prospettive di sviluppo dell’economia della conoscenza e delle attività connesse all’innovazione tecnologica, il tutto in un’ottica di valorizzazione delle “competenze distintive” e delle specificità delle aree montane;

• sulsecondoversante,lasostanzialetenutaoccupazionale-inpartederivantedalfortesistemadi protezione operante sia nel settore pubblico sia in realtà imprenditoriali fortemente radicate e strutturate nel territorio, quali quella della cooperazione - non deve nascondere il mutamento qualitativo in atto nei processi di partecipazione al lavoro: si sta assistendo in Trentino, come altrove, ad una sostanziale attenuazione dei confini tra il lavoro dipendente salariato e le nuove forme di lavoro “atipico”, con i rischi ben noti di precarizzazione, ma anche con nuove prospettive di sviluppo per il lavoro autonomo, con fenomeni interessanti di propensione all’autoimprenditorialità.

Un programma specifico per l’autoimprenditorialità si deve necessariamente inserire entro un quadro di politiche complessive per lo sviluppo economico locale; in particolare sono necessarie sinergie:• coniprocessidisemplificazione amministrativa e procedurale, già in corso, ma da intensificare in

ragione della necessità di consentire tempi rapidi di start-up per nuove iniziative imprenditoriali, soprattutto per i settori più innovativi, fortemente esposti alla competitività;

• conunulterioreimpegnoaliberalizzare alcuni settori, in linea con gli indirizzi proposti a livello nazionale, per dare opportunità ai giovani di inserirsi in ambiti di mercato oggi eccessivamente protetti;

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• volte a consentire forme di flessibilità del mercato del lavoro, soprattutto attraverso la modularizzazione del tempo di lavoro, che consentano di superare le difficoltà soprattutto per le donne, evitino forme di precarizzazione, proponendo anche forme originali di compatibilità tra diverse occupazioni di carattere dipendente e indipendente;

• volte a definire nuovi modelli di rappresentanza e di welfare valorizzando le forme di nuovo mutualismo ed il ruolo delle imprese del terzo settore.

• volteafavorirelacreazione di reti e comunità professionali capaci di incrementare il patrimonio di competenze e relazione dei soggetti.

Un’ulteriore necessità di integrazione è stata individuata tra le politiche di sviluppo e quelle per il welfare locale: un terreno sul quale la realtà trentina, a partire da un sistema locale efficiente e ben strutturato, può utilmente proporre la sperimentazione di modelli più avanzati e tendenzialmente compatibili con le minori disponibilità di risorse per l’intervento pubblico.

Sul piano delle politiche di welfare nel corso della realizzazione dell’intervento, si è presentata l’opportunità di attivare una stretta collaborazione - formalizzata attraverso un protocollo di intesa - con il Consorzio Con.Solida, della Federazione Trentina delle Cooperative13. Il Consorzio Con.Solida raggruppa le cooperative sociali del Trentino ed è attualmente impegnato nella gestione di un progetto Comunitario Equal finalizzato alla promozione di “cooperative sociali di comunità”. A livello operativo si sono verificate diverse occasioni di incontro tra i due progetti (Equal e Docup) che ha portato ad una collaborazione incentrata sulla valorizzazione del ruolo dell’impresa sociale nello sviluppo locale, in particolare:• sulla promozione della dimensione cooperativo – mutualistica, che costituisce uno dei

fondamenti dello sviluppo socio-economico trentino dove gli alti livelli di coesione sociale hanno tradizionalmente alimentato i processi di crescita economica delle comunità locali;

• sull’accompagnamentodelprocessodi“imprenditorializzazionedellavoro”qualefenomenoche sempre più caratterizza l’agire economico dei soggetti a tutti i livelli e che necessita di meccanismi di distribuzione sociale del rischio di impresa e di nuovo welfare che a loro volta trovano un importante riferimento nei modelli cooperativi, mutualistici e di impresa sociale;

• sugliarticolatibisognisocio-culturalidellecomunitàlocaliesullosviluppodiunamodernacultura dell’ospitalità turistica che costituiscono sempre più occasione per l’avvio di nuove iniziative di imprenditorialità, spesso nate da tradizionali modelli di volontariato fortemente consolidati nei territori di intervento (come sono ad esempio le Pro Loco).

• sullacrescitadellaculturaimprenditorialenelleorganizzazionidelprivatosocialechesitrovanooggi al centro di un importante processo di assunzione di responsabilità, legato all’espansione di attività che non appartengono né allo stato né al mercato e che hanno la finalità ultima di produrre coesione ed inclusione sociale, senza trascurare gli aspetti connessi alla sostenibilità e competitività del sistema. Si tratta in particolare di dare risposta ad una duplice domanda che viene posta da tale processo evolutivo: come è possibile fare volontariato incorporando maggiori livelli di professionalità e imprenditorialità e come è possibile fare impresa sociale salvaguardando il patrimonio di valori etici e di impegno individuale tipici del volontariato

• sull’accompagnamento delle amministrazioni locali che sono oggi investite di maggioriresponsabilità nell’erogazione di servizi al territorio e alla cittadinanza e sono spesso portatrici di progetti di nuovo welfare municipale e imprese pubblico-private, in cui svolgono un ruolo importante gli organismi non lucrativi di utilità sociale, della cooperazione, del volontariato.

13 Si veda protocollo di intesa siglato tra Trentino Sviluppo SpA e Federazione Trentina delle cooperative.

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10.1.3 Il raccordo con le politiche volte a promuovere le filiere produttive

L’intervento di animazione imprenditoriale ha anche costituito un terreno di promozione e sperimentazione di politiche distrettuali e di filiera che, partendo dalle aree obiettivo 2, ha stimolato modelli aggregativi tra imprese a livello provinciale e sovraprovinciale.

Le principali azioni di promozione e sperimentazione in materia di reti di impresa, distretti e filiere hanno riguardato:• lacollaborazioneattivatanell’ambitodelleiniziativedelDistretto tecnologico trentino

sulle energie rinnovabili e le tecnologie ambientali. Il forte investimento che la provincia di Trento sta facendo in tema di energia e ambiente, ed in particolare sulla qualificazione e consolidamento di una filiera dell’edilizia sostenibile, ha costituito un’importante opportunità per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali e per la realizzazione di progetti territoriali orientate allo sviluppo sostenibile. Tale opportunità, per quanto riguarda l’intervento di animazione imprenditoriale nelle aree obiettivo 2, si è concretizzata:• conlapossibilitàdiindirizzarediversiutentiparticolarmentequalificati(giovaniprogettisti,

lavoratori della conoscenza, progetti di impresa rivolti alla sostenibilità energetica e ambientale) verso un contesto – quello del distretto tecnologico – che gli consentisse di incrementare il proprio patrimonio di conoscenze, di reti di relazione e quindi di opportunità di mercato;

• conlapossibilitàdiattivareun’azionedipromozioneedisperimentazioneriguardantele ESCo (Energy Service Company) che si è concretizzata con l’organizzazione di un convegno sul risparmio energetico nelle strutture turistiche e con la costituzione della prima ESCo pubblica della provincia di Trento, realizzata dal Bim del Chiese in collaborazione con i Comuni e le imprese dell’area;

• un intervento di animazione realizzato presso le imprese del settore legno, finalizzatoalla costituzione del Consorzio Sofie (Sistema costruttivo casa Fiemme). Un’importate innovazione riguardante il sistema di costruzione delle case in legno sviluppata dalla PAT in collaborazione con il CNR Ivalsa, ha fornito l’occasione per promuovere il coinvolgimento delle imprese del settore legno operanti nelle aree obiettivo 2 nell’ambito di un Consorzio pubblico-privato che ha lo scopo di organizzare il sistema di offerta trentina all’interno di un mercato – quello delle case in legno – con grosse potenzialità di crescita a livello nazionale ed europeo;

• larealizzazionediunaricerca sulle filiere di sub-fornitura della valle del Chiese14. Il tema delle filiere produttive ha trovato un particolare approfondimento in Valle del Chiese, territorio caratterizzato dalla presenza di numerose piccole imprese del settore della meccanica e del legno che operano in subfornitura con i distretti industriali della pedemontana lombarda e veneta. La ricerca realizzata presso le imprese ha consentito di elaborare progettualità locali di carattere distrettuale che sono anche servite di riferimento per la definizione di politiche provinciali in materia di promozione di filiere produttive;

• un’attivitàdiassistenzatecnicaallacostituzionedelConsorzio Filiera lana Trentina. L’iniziativa realizzata dall’APOC (Associazione provinciale allevatori ovocaprini) e dalla Sezione imprese tessili dell’Associazione Artigiani e Pmi della provincia di Trento è finalizzata a valorizzare la produzione di lana a livello provinciale mettendo in rete un centinaio di allevatori (per l’80% localizzati in aree obiettivo 2) ed una quindicina di laboratori artigiani del settore tessile. L’azione di assistenza si è rivolta all’organizzazione logistica della filiera, all’acquisizione del “marchio Trentino” ed al riconoscimento istituzionale della filiera produttiva.

14 Trentino Sviluppo SpA – BIM del Chiese “Nessuna impresa è un’isola: Indagine sul sistema di subfornitura in Valle del Chiese” Quaderni di territorio. 2008

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10.2 L’offerta di territorio

Il lavoro di animazione del sistema dell’offerta ha comportato anche la realizzazione di una ricognizione sulla percezione che una serie di attori – istituzioni, categorie economiche, banche – avevano del processo di imprenditorializzazione del lavoro e sulla loro disponibilità ad accompagnare concretamente il processo di animazione imprenditoriale nelle aree obiettivo 2. 15

Tale lavoro si è dimostrato particolarmente prezioso in quanto ha consentito di attivare una serie di collaborazioni – con sindaci, categorie economiche e banche - che si sono espresse sia nella fase di animazione, sia nella fase di assistenza tecnica all’avvio di impresa e che si sono protratte per tutta la durata dell’intervento.

Nell’autunno 2004 è stato condotto un intervento di ricerca- azione in cui sono state realizzate 120 interviste semi strutturate ad attori istituzionali, economici (sindaci, direttori delle casse rurali, imprese locali, associazionismo sociale, sistema delle rappresentanze ecc.) finalizzato al raggiungimento di tre obiettivi:• approfondire la conoscenza dei contesti locali, delle motivazioni della scarsa

imprenditorialità e dei punti di forza che possono essere promossi e sviluppati, attraverso un analisi qualitativa che consenta una migliore interpretazione dei dati strutturali già resi disponibili dal DOCUP;

• costruireunaretedi“alleanze di progetto” finalizzata a definire un pacchetto di offerte locali funzionali all’avvio di nuove iniziative imprenditoriali (collaborazione della banca locale con apertura di linee di credito dedicate, delle amministrazioni locali rispetto alla disponibilità di spazi e autorizzazioni, relazioni produttive tra settori e aziende operanti localmente, coinvolgimento delle categorie nella fase di assistenza alle imprese ecc.)

• definire il percorso di animazione e assistenza alla creazione di impresa attivando lacollaborazione dei soggetti istituzionali economici e sociali rispetto alla convocazione degli incontri, all’individuazione degli interlocutori, all’attivazione di interventi formativi e di assistenza alla fase di start up, ecc.

L’analisi dei dati emersi dalle interviste agli attori locali hanno evidenziato alcuni caratteri generali riguardanti le potenzialità imprenditoriali che possono essere attivate nelle aree obiettivo 2 e phasing out della provincia di Trento. Questi caratteri hanno consentito di definire le coordinate all’interno delle quali si è mosso l’intervento di animazione imprenditoriale (si veda precedente Box a pag. 13).

I risultati della fase di ricerca azione hanno anche fornito le conoscenze di base per avviare iniziative di concertazione locale finalizzate a produrre consenso sul progetto e definirne le modalità di attuazione nei diversi contesti locali.

Tale lavoro ha comportato interventi di presentazione del progetto – propedeutiche all’attività di animazione vera e propria – realizzati nell’ambito dei Consigli comunali, dei tavoli di concertazione dei patti territoriali, negli incontri pubblici di avvio dei patti territoriali, nelle sedi delle rappresentanze locali.

15 Si veda il Rapporto 1 dello “Studio di fattibilità del progetto di animazione imprenditoriale” gennaio 2005.

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10.3 La domanda sociale: l’animazione imprenditoriale a livello comunale

L’attività di animazione è stata realizzata attraverso cicli di incontri serali nei comuni, organizzati dai sindaci con vasto coinvolgimento della cittadinanza. In tali incontri sono stati condotti dibattiti su tre temi di particolare rilevanza:• l’analisidelledinamiche socioeconomichechecaratterizzanogli specifici contesti locali:

sulla base di quanto emerso dalla fase di ricerca-azione sono stati presentati i processi di trasformazione che caratterizzano i principali contesti economici (agricoltura, turismo, artigianato, servizi, terzo settore) con l’obbiettivo di attivare un dibattito sui bisogni e le potenzialità dell’area;

• l’analisideiprocessiditrasformazionedelmercatodellavorochecaratterizzanol’attualefaseeconomica e delle trasformazioni e tendenze dei modelli di produzione e consumo nei singoli contesti locali;

• la presentazione delle opportunità di sostegno alle nuove iniziative imprenditoriali e dilavoro autonomo definite dal quadro legislativo provinciale (leggi di settore, ruolo degli enti funzionali), dall’attivazione di iniziative di sviluppo locale (patti territoriali, progetti Leader, ecc) e dal coinvolgimento dei soggetti locali (banche locali, amministrazioni, imprese, ecc).

L’attività di animazione si è caratterizzata come una vasta operazione di sensibilizzazione culturale su temi economici e sociali, volta ad approfondire i caratteri del processo di imprenditorializzazione del lavoro che costituisce uno dei principali caratteri evolutivi del postfordismo e del processo di riposizionamento delle economie locali rispetto all’apertura dei mercati.

Come già evidenziato nella tabella 1 di pag. 14, da marzo 2005 a giugno 2008, l’attività di animazione ha coinvolto 129 realtà comunali (si vedano le successive tabelle) e 1.878 partecipanti. Una caratterizzazione della tipologia dei partecipanti (per territorio, occupazione e aspirazioni professionali) è contenuta nel successivo paragrafo 11.1 in cui sono riportati i dati elaborati sulla base delle schede di partecipazione presentate.

L’attività di animazione ha coinvolto anche alcuni comuni non rientranti nel Docup 2000-2006 ob. 2, (ma comunque coinvolti nelle iniziative di patto territoriale) in quanto, per opportunità di sede e per facilità di incontri con le varie componenti del tessuto sociale, è in quei Comuni che ci si è riuniti svolgendo l’attività rientrante nel presente progetto di Animazione territoriale, attività che è stata rivolta a diretto beneficio degli attori economici dei Comuni eleggibili al finanziamento con risorse Docup. Va inoltre sottolineato che l’inserimento di tali comuni nei patti territoriali è motivata dal ruolo essi svolgono nel sistema socio-economico locale, prevalentemente come poli attrattivi di carattere terziario.

L’attività di animazione ha permesso di censire la domanda di autoimprenditorialità espressa nelle aree obiettivo 2 attraverso la raccolta di questionari strutturati volti a descrivere le specifiche idee di impresa (in totale sono stati presentati 410 questionari). La complessa struttura del questionario ha permesso di analizzare il livello di elaborazione delle singole idee di impresa e di analizzare nel dettaglio i caratteri qualitativi e quantitativi della domanda. (si veda successivo paragrafo 11.2)

Sulla base della presentazione del questionario i proponenti sono stati inseriti in un percorso di elaborazione del piano di impresa e di accompagnamento alla fase di start up (descritto nel successivo paragrafo 10.4).

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Tabella 9 Comuni fuori patto territoriale in cui e stato realizzato l’intervento (in giallo.)

COMUNI FUORI PATTO

Obiettivo 2 Phasing out Non agevolabili

Rabbi Terzolas Bleggio inf.

Bleggio Sup. Caldes Bolbeno

Zuclo Cavizzana Breguzzo

Concei Flavon Dorsino

Bezzecca Cuneo Fiavè

Tiarno di Sotto Denno Lomaso

Luserna Campodenno Montagne

Vignola Falesina Sporminore Preore

Sagron Mis Spormaggiore Ragoli

Cavedano S. Lorenzo in B.

Rovere della Luna Stenico

San Michele AA Tenno

Faedo Tione

Aldeno

Villalagarina

Nogaredo

Tiarno di Sopra

Lavarone (Folgaria)

Siron

Tonadico

Tabella 10 Sintesi comuni coinvolti nell’intervento di animazione di animazione imprenditoriale.

Intervento realizzato Intervento non realizzato

Comuni Ob2 nei patti 53 0

Comuni phasing out nei patti 34 0

Comuni Ob 2 fuori patto 7 2

Comuni phasing out fuori patto 15 5

Comuni non agevolabili nei patti 7 4

Comuni non agevolabili fuori patto 13 0

TOTALI 129 11

10.4 L’assistenza tecnica all’elaborazione del piano di impresa

10.4.1 I colloqui individuali sul territorio

Dopo aver analizzato in dettaglio il livello di definizione di ciascuna idea d’impresa presentata, sulla base dei questionari raccolti, in tutti gli ambiti territoriali in cui si è svolta l’attività di animazione sono stati pianificati dei colloqui individuali con gli aspiranti imprenditori. Questi incontri sono stati condotti dal gruppo di lavoro affiancato da alcuni specialisti di Trentino Sviluppo SpA attivati di volta in volta per rispondere a specifiche esigenze. In questo modo si è riusciti ad avere un panorama di competenze quanto mai variegato e quindi in grado di supportare fin da subito esigenze e quesiti specifici dei soggetti incontrati.

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L’idea imprenditoriale è fondamentalmente la sintesi di un insieme di riflessioni, esperienze, stimoli e aspirazioni, ed è al tempo stesso, il cuore del progetto; se l’idea è errata, tutto ciò che ne consegue è probabilmente sbagliato, e aumentano fortemente le probabilità di insuccesso. Ogni impresa nasce da un’idea in principio astratta e in qualche caso poco strutturata che, per avere successo, deve soddisfare essenzialmente due requisiti: un percorso di progettazione puntuale dell’attività e un’analisi delle capacità personali tecniche e caratteriali che possano supportare un’attività imprenditoriale. Le iniziative emerse dagli incontri erano in parte nuove ed originali e altre invece presenti sul territorio, in settori già caratterizzati da ampia presenza imprenditoriale, oppure erano idee di business che imitano prodotti o servizio già esistenti, considerato che in tutti i mercati vi è anche un fisiologico turn over e che vi sono quindi imprese che ne rimpiazzano altre, continuando a produrre beni o servizi più o meno simili.

Molte idee proposte, scaturivano dalla capacità da parte di alcuni aspiranti imprenditori di individuare i gusti, i bisogni e i desideri delle persone, in qualche caso a partire dai loro stessi conoscenti e familiari, ma soprattutto dal sapere analizzare se essi vengono soddisfatti interamente o solo in parte; altri pensieri sono nati dalla riflessione sulle opportunità e le risorse che l’ambiente circostante poteva offrire, altri ancora dal considerare l’ipotesi di sfruttare in un contesto diverso le abilità e le competenze maturate grazie ad un’attività lavorativa precedente. Molti dei partecipanti volevano verificare se i loro interessi o semplicemente le loro capacità non potessero essere trasformati in una fonte di reddito. Altrettanti curiosi, attraverso la consultazione della legislazione in tema di incentivi finanziari per lo sviluppo dell’imprenditoria, li ha indirizzati verso un’attività che non avevano considerato o ritenuto troppo costosa per le loro possibilità. Molte delle persone incontrate hanno raccontato una propria passione, un’aspirazione tenuta per anni nel cassetto, convinti di avere buone capacità tecniche nel settore d’interesse o fiduciosi di aver “fiutato l’idea buona” per mettersi in proprio. Questo primo momento di confronto informale è servito a tutti per iniziare a valutare criticamente la proposta elaborata con un primo supporto che permettesse di passare dall’Idea al Progetto.

Durante i colloqui sono stati rivolti quesiti molto spesso di carattere generale, ma in alcuni casi anche di tipo puntuale e tecnicamente complessi. A questi ultimi ovviamente abbiamo risposto solo in parte e abbiamo invece subito indirizzato i nostri interlocutori verso servizi specialistici di Trentino Sviluppo, delle Associazioni di categoria o degli stessi Servizi Provinciali competenti in materia.

Vediamo in generale quali sono stati i quesiti più frequenti:

• Lamiaideaèunpo’particolare,vorreioccuparmidiunsettoremoltodinicchiadovepossodocumentarmi? Mi potete indicare con chi posso avere un colloquio di approfondimento?

• Miaiutateacapireinqualemercatomivadoadinserire?Nonhomairaccoltoelementiutili per analizzare bene la situazione, ma conosco persone che da quest’attività ricavano un buon reddito e mi piacerebbe provarci.

• InquestoterritorioèstatoavviatoilPattoTerritorialechehaindividuatoalcuneinteressantiopportunità: quale sviluppo può avere il settore in cui intendo operare?

• Daparecchiannilavorocomedipendenteinquest’aziendaepensodiavereimparatobeneil mestiere. Avrei intenzione di mettermi in proprio: con chi posso parlare per individuare gli spazi per avviare un’attività di questo tipo?

• Questoterritoriononhaunavocazioneturisticaforte,mainalcuniperiodidell’annoturisti se ne vedono parecchi. Visto che la mia famiglia ha una porzione di casa

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In questo confronto molte informazioni sul contesto di riferimento in cui la nuova impresa sarebbe andata ad operare venivano ad emergere grazie alle domande puntuali che abbiamo sottoposto per capire quanto il neo imprenditore avesse coscienza delle problematiche legate alla sua voglia d’impresa.

In un clima sempre disteso e produttivo in cui il nostro approccio è sempre stato di incoraggiamento anche alle idee più bizzarre e naives in cui abbiamo lasciato raccontare in libertà a ciascuno quale fosse l’iniziativa da avviare abbiamo comunque sempre cercato di indagare su:• qualifosseroleprecedentiesperienzelavorativenelsettored’interesseediqualicompetenze

tecniche fosse in possesso il nostro interlocutore;• qualifosseroleconoscenzecommercialidibaseesuqualemercatosiintendesseoperare;• quali fossero le motivazioni personali ad intraprendere in forma di lavoro autonomo

(aspirazione alla realizzazione personale, ricerca di una maggiore soddisfazione economica, necessità contingenti, ecc);

• dove,conchi,conqualemodalitàeconqualitempivifossel’intenzionediavviareunanuovaimpresa o una nuova forma di lavoro autonomo;

• qualesupportofamiliare(economico,moraleeoperativo)avesseilnostrointerlocutore.

inutilizzata pensavo di ristrutturare e farci un’attività di Affittacamere o Bed & Breakfast però non ho idea di come riuscire a promuovermi. Cosa devo fare, a chi mi posso rivolgere?

• Non ho alcuna idea su dove posso recuperare macchinari e tecnologie adatte arealizzare questi prodotti; per iniziare potrebbero andare bene anche macchine usate ma forse mi conviene fare subito un investimento in nuove attrezzature, cosa potete consigliarmi?

• Iohosemprefattoquestolavoroneltempolibero,senzavalutarebeneilvalorediquantofacevo, ma se dovessi partire con un’impresa non ho proprio idea di quali prezzi potrei applicare.

• Qualisonoirequisiticheregolamentanoquestotipodiiniziativa?• Abbiamogiàfattovarieesperienzecomedipendentiinalcunegrandicooperativesociali:

come possiamo avviare autonomamente una cooperativa che si occupi di bambini e anziani in valle? Quali Enti Pubblici potrebbero essere interessati a partecipare ad un’iniziativa come la nostra?

• Dove si possono frequentare eventuali corsi di formazione specialistici per ottenere leautorizzazioni all’Avvio dell’attività che intendo sviluppare?

• Iovorreipartireconaltriamici,ognunodinoiavrebbefunzionidifferenti,qualèlaformasocietaria più adatta alla nostra idea d’impresa?

• Cisonocontributieconomiciperl’attivitàchevoglioavviare?• Sicuramente per riuscire a mettermi in proprio dovrò fare accesso al credito bancario,

anche se non ho particolari garanzie da fornire tranne i miei beni personali che non intendo rischiare. Con chi mi consigliate di parlare?

• Nonhounprogettochiaroperòhoparecchiotempo liberoeunpo’di soldidaparte;volevo quindi confrontarmi con voi per capire in quale ambito posso eventualmente investire.

• Seavetegiàassistitoiniziativeimprenditorialicomequellacheiovogliorealizzarecelaposso fare anch’io con l’esperienza acquisita e le risorse a mia disposizione?

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Durante i colloqui si è cercato di fare emergere “quanta stoffa dell’imprenditore” vi fosse in ciascuno dei nostri interlocutori. In particolare abbiamo inteso fin da subito fare chiarezza sul fatto che per fare gli imprenditori o avviare forme di lavoro autonomo non è sufficiente possedere una particolare “competenza produttiva” direttamente fatturabile al cliente. In particolare, l’amministrazione aziendale con la gestione dei costi e del credito, la ricerca di nuovi clienti e di diverse opportunità di mercato, l’aggiornamento continuo sugli sviluppi e le innovazioni che riguardano il proprio mestiere, il recupero dei crediti da parte di clienti che non pagano o pagano in ritardo, non sono attività marginali o delegabili ad altri.

Ovviamente durante questa fase non si è volutamente andati troppo ad approfondire gli aspetti economici o finanziari delle varie attività per due ragioni di ordine pratico. In primo luogo qualora i nostri interlocutori avessero ritenuto importante approfondire la propria idea imprenditoriale sarebbe stato possibile attivare tramite Trentino Sviluppo uno specifico percorso di assistenza tecnica volto a supportarli nella predisposizione del Piano d’impresa. In secondo luogo non abbiamo mai voluto presentare in questa fase gli eventuali aiuti economici a disposizione perché ci è sembrato decisamente più importante far prima comprendere ai nostri interlocutori limiti e pregi della loro idea d’impresa e quali investimenti fossero necessari per avviarla, prima di conoscere l’entità dei contributi che l’ente pubblico poteva loro mettere a disposizione.

10.4.2 Gli incontri di assistenza tecnica all’elaborazione del “job plan”

Come anticipato in precedenza questo progetto ha inteso perseguire un obiettivo di valenza prevalentemente sociale: diffondere il linguaggio del “fare impresa” come modello di inclusione sociale e come strumento per affrontare le complesse trasformazioni che caratterizzano il mondo del lavoro.

Trasferire a persone, nella maggior parte dei casi digiune dei concetti basilari del fare impresa, quali siano le reali opportunità e insieme le difficoltà di “mettersi in proprio” è sempre stato il principale traguardo del nostro intervento. Per gli aspiranti imprenditori incontrati questo è stato tradotto nel fatto che per arrivare ad avviare un’attività imprenditoriale si dovesse passare necessariamente attraverso la predisposizione di un documento scritto e organizzato contenente tutta una serie di informazioni utili per preparare la nascita della nuova attività professionale o d’impresa cercando, se non di ridurre almeno di prevedere, i margini di rischio presenti.

Bisogna fin da subito premettere che il documento che abbiamo fatto elaborare agli aspiranti imprenditori non si può ritenere un Business plan classico, strumento largamente diffuso presso commercialisti o consulenti che supportano i neoimprenditori nell’avvio della loro attività imprenditoriale. Questo documento è strutturato per raccogliere dati e informazioni e per presentare le condizioni organizzative, di mercato ed economiche che permettano di valutare se il progetto imprenditoriale avrà possibilità di riuscita. Nel percorso da noi proposto, in generale, si è cercato di far produrre ai partecipanti un documento in parte diverso, che potremmo denominare Job Plan, che tende ad enfatizzare le motivazioni e le capacità proprie del soggetto o dei soggetti proponenti e l’attività di pianificazione organizzativa e strategica della nuova iniziativa mettendo in secondo piano investimenti e costi.

Solo nei casi più strutturati in cui gli investimenti iniziali si prevedevano ingenti o in cui il progetto d’impresa era già stato sufficientemente pensato ed elaborato è risultato di fondamentale importanza “obbligare” gli aspiranti imprenditori a definire con estrema precisione l’ammontare di questi investimenti, le modalità di copertura finanziaria degli stessi, una separazione netta tra i costi fissi individuati e i preventivabili costi variabili e una determinazione verosimile del punto di pareggio e del fatturato previsto.

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Questo modello in prima battuta ha permesso di dialogare in modo più efficace con i nostri interlocutori rendendo il concetto di impresa più vicino alle loro reali esperienze lavorative e superando anche una certa retorica del fare impresa che spesso produce un senso di inadeguatezza. Nella stragrande maggioranza dei casi, queste persone per iniziare la propria attività non avevano necessità di effettuare investimenti ingenti, definire strutture organizzative di chissà quale complessità o ricercarsi una sede strutturata con spazi enormi, dipendenti e tecnologie complesse. Al contrario i nostri interlocutori stavano richiedendo un supporto operativo forse meno tecnico, ma decisamente più difficile: aiutarli ad elaborare strategie che riguardassero soprattutto un “progetto di vita” più che un piano d’azienda, dove più che la realizzazione a breve si mettono in conto risultati non quantificabili economicamente come la soddisfazione personale, il raggiungimento delle proprie aspirazioni e più in generale l’autorealizzazione. È su questa dimensione che si è giocato tutto il nostro intervento.

Quando si apre una partita IVA l’unico punto di riferimento è il commercialista o l’associazione di categoria, il cui apporto è effettivamente importante per orientarsi nel sistema fiscale e previdenziale. Solitamente però questo aiuto non è sufficiente a comprendere come tale scelta impatterà sul nostro modo di lavorare e sulla nostra vita professionale e privata. È spesso possibile constatare come aspetti centrali dell’attività autonoma vengano percepiti solo a distanza di anni dall’apertura della Partita IVA. Le situazioni di difficoltà prodotte da questo ritardo nell’acquisizione di consapevolezza spingono il neo imprenditore a rivedere superficialmente il proprio modo di lavorare, le relazioni con i clienti, la modalità di gestione dei costi e dei ricavi, la gestione della propria crescita professionale, come se mancasse una visione strategica.

Il lavoro autonomo è caratterizzato da un modo di lavorare diverso da quello dipendente – che caratterizzava la situazione di partenza di molti nostri interlocutori - perché comporta cicli temporali e assunzione di rischi completamente differenti. All’ambizione di decidere i propri obiettivi, di definire le strategie e di gestire autonomamente il proprio percorso professionale, si affiancano le fatiche e le ansie che caratterizzano il lavoro autonomo: la mancanza di sicurezze e garanzie, la necessità di crearsi un mercato, le scadenze che si avvicinano, i pagamenti che non arrivano, il committente che comunica che il progetto non interessa più perché gli obiettivi sono improvvisamente cambiati.

Uno dei primi nodi che si è dovuto affrontare è far percepire ai nostri interlocutori l’importanza di pianificare la propria attività. Tra i partecipanti agli incontri era, infatti, abbastanza diffusa la convinzione che l’elaborazione del piano di impresa fosse solo un adempimento burocratico - magari da delegare ad un consulente - necessario per accedere ad eventuali incentivi provinciali. Diversi interlocutori giustificavano questa convinzione con l’affermazione di aver già nella propria memoria tutti i contenuti rilevanti per l’avvio dell’impresa ed erano portati a sottovalutare i vantaggi che possono derivare da una razionalizzazione formalizzata e articolata di tutte le componenti strategiche e gestionali del business. Si è posto quindi l’accento sul piano di impresa come strumento costantemente perfezionabile che consente, sulla base di informazioni realistiche, rilevanti e complete, di determinare il grado di convenienza e quello di rischio legati all’iniziativa – fattori di cui l’imprenditore deve esse costantemente cosciente - e con il quale mantenere un rapporto costante nel tempo, integrando e correggendo, rivedendo o puntualizzando. Di fronte a tale atteggiamento si è insistito nel dire che elaborare un piano scritto della propria idea d’impresa, oltre al tempo e a una piena dedizione, richiedeva uno sforzo intellettuale superiore alla semplice immaginazione.

Elaborare i job plan ha prima di tutto significato valutare le dimensioni che caratterizzano il lavoro autonomo (rischio, conoscenza, autonomia, reti di relazione) spingendo i nostri interlocutori a

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valutare le proprie attitudini personali, prima ancora che imprenditoriali: valutazioni relative alla propria capacità di gestire l’incertezza, al proprio bisogno di autonomia e di sicurezza, alle proprie competenze e capacità relazionali, alla disponibilità di occuparsi di questioni amministrative e commerciali oltre a quelle strettamente professionali, al loro patrimonio di relazioni attivabili a fini produttivi.

10.4.2.1 La dimensione del rischio

La dimensione del rischio è un elemento imprescindibile dal fare impresa in cui le variabili in gioco all’interno e all’esterno dell’azienda sono in parte imprevedibili. Questo concetto è stato più volte ribadito con il fine di aiutare a realizzare pianificazioni accurate per cercare di ridurre i margini di indeterminatezza. Stimare il grado di rischio complessivo ha comportato alcune difficoltà e il superamento di alcuni ostacoli, soprattutto quando l’idea d’impresa era appena abbozzata e non si disponeva quindi di tutti i dati e gli elementi conoscitivi della situazione. La redazione del job plan, ha permesso di prendere in considerazione tutti quei fattori che influiscono oggettivamente sul successo dell’impresa (la concorrenza nel nostro settore, la localizzazione dell’iniziativa, l’andamento del mercato, la copertura finanziaria dell’investimento...), di riflettere su quali e quante siano le decisioni da prendere per avviare l’impresa e quindi familiarizzare con il concetto del rischio.

Un concetto del rischio, che non è solo connesso agli investimenti di impresa, ma che è anche un aspetto immanente nella vita professionale degli individui che svolgono il proprio lavoro in forma indipendente. La dimensione del rischio è anche correlata alla mancanza di garanzie sociali, di tutele, di forme previdenziali adeguate e quindi va affrontata con il ricorso ad assicurazioni, fondi di investimento, fondi pensione personali, che costituiscono costi vivi dell’attività di impresa. Ma prima ancora che nelle forme di autotutela finanziaria, il rischio va affrontato incrementando il proprio patrimonio di competenze e di relazioni sociali. Il successo di un’attività autonoma dipende sempre più dalla capacità di incrementare le proprie competenze e dalla capacità di entrare in rete, in relazione, in collaborazione, con altri soggetti.

Elaborare il job plan, non mirava a voler garantire di per sé ai partecipanti il successo personale e dell’eventuale impresa, ma permetteva, sicuramente, di ridurre il rischio di fallimento. Il lavoro svolto ha comportato un vero e proprio smontare e rimontare un servizio/prodotto in tutte le sue componenti, quindi anche aspetti procedurali, organizzativi senza nessuna limitazione, ad esaminare tutto ciò che poteva apportare contributi al successo di un prodotto/servizio, per poi ricomporlo cercando di identificarne comunque i difetti e punti deboli e i relativi perfezionamenti.

La valutazione di tale elemento nel corso degli incontri, ha scoraggiato o spinto a ponderare o rivalutare l’idea di molti desiderosi imprenditori. Dall’analisi del rischio dei progetti d’impresa presentati, è emerso che di solito vi è un rapporto proporzionale fra grado di rischio, profittabilità dell’idea e aspetti di novità: solitamente un’attività imprenditoriale più tradizionale e più affermata sul mercato ha un grado di profittabilità più basso, mentre un’attività più innovativa, caratterizzata da aspetti di novità e cambiamento (non solo del prodotto ma anche dell’organizzazione), e molto più rischiosa, ma ha più alte possibilità di profittabilità.

10.4.2.2 La dimensione della conoscenza

Un uguale rilievo è stato dedicato alla dimensione della conoscenza che rappresenta una determinante fondamentale delle trasformazioni in corso nel mondo del lavoro. Sempre di più andiamo verso forme di lavoro cognitivo, ossia lavoro speso nella produzione di qualche forma di

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conoscenza. L’aggiornamento delle proprie competenze è il prerequisito che permette di rinnovare le forme di creatività e propositività da immettere nel proprio lavoro. La dimensione della conoscenza è la risorsa strategica per acquisire una posizione di forza di fronte a un committente che richiede competenze specialistiche, per migliorare le proprie condizioni lavorative, per ridurre la dimensione del rischio e aumentare gli spazi di autonomia.

Come si potrà meglio vedere nei capitoli successivi, i partecipanti al percorso di progettazione d’impresa presentavano complessivamente un buon livello di competenza nella produzione di beni e servizi che caratterizza l’attività in cui intendono intraprendere, mentre deboli e lacunose sono risultate le competenze relative al mercato, alla commercializzazione ed alla gestione amministrativa dell’impresa. Soprattutto i più giovani sono – giustamente – concentrati sul contenuto del lavoro che stanno per intraprendere piuttosto che sulle modalità gestionali commerciali e contrattuali dell’attività d’impresa. Per molti, la semplice scelta della forma giuridica da adottare è risultata di difficile interpretazione.

L’enfasi con cui sono stati trattati i vincoli e le opportunità del lavoro autonomo nasce da una semplice constatazione: gestire una partita IVA comporta un lavoro a sé stante. Il lavoratore autonomo è obbligato a dotarsi di una competenza a parte, non meno importante di quella che riguarda il proprio lavoro “direttamente produttivo” (o fatturabile). La gestione dei costi, dell’amministrazione, la ricerca dei clienti, l’aggiornamento sugli sviluppi e le innovazioni che riguardano il proprio mestiere, il recupero dei crediti da parte di aziende o enti locali che non pagano o pagano con ritardi esasperanti non sono attività marginali o delegabili ad altri. Riguardano il lavoro del lavoratore autonomo e ne costituiscono a tutti gli effetti il “secondo contenuto” o la seconda sfera di attività parte integrante del proprio mestiere, finalizzato a garantire un livello di qualità adeguato alle aspettative dei clienti e la propria crescita e sviluppo professionale.

Il livello di competenze - anche produttive - espresso dai partecipanti è tipicamente contestuale, fondato su percorsi di studio e formazione, su pregresse esperienze lavorative (in gran parte di tipo dipendente o sviluppate nell’ambito dell’azienda di famiglia), sull’appartenenza e sul radicamento nel contesto locale (osservazione delle dinamiche locali, esperienze di parenti e conoscenti). Più rare sono risultate le competenze sviluppate nel confronto con reti più ampie, esterne al contesto locale.

Pur sottolineando il valore della conoscenza tacita e contestuale che costituisce una peculiarità della microimpresa che opera nei sistemi locali, è stato opportuno evidenziare come l’assenza di una rete vasta di acquisizione di competenze costringe il neo imprenditore entro i confini del mercato locale, spesso circoscritto ai clienti conosciuti in modo diretto e a modalità di apprendimento di tipo consuetudinario e poco formalizzato.

È stato opportuno ribadire come l’apprendimento e la formazione non rappresentano più momenti separati da quelli prettamente lavorativi, ma coesistono in un intreccio sempre più articolato. L’investimento continuo in conoscenza diventa, pertanto, centrale per la permanenza nel mercato. L’estrema velocità del cambiamento dei mercati, delle imprese, del contesto istituzionale e legislativo, delle tecnologie richiede non solo continui aggiornamenti, ma anche una grande flessibilità, in modo da adeguare la propria professionalità alle nuove esigenze. Restare fermi significa condannarsi all’obsolescenza, al contrario essere capaci di cogliere il cambiamento è importante per sfuggire alla pressione competitiva che in molti settori di attività è sempre più soffocante. Il sapere, la formazione, sono da considerare risorse strategiche per conquistare visibilità sul mercato, per sviluppare e perfezionare la professionalità, per diventare e mantenersi competitivi.

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10.4.2.3 La dimensione dell’autonomia

Lo status di lavoratore autonomo implica lo sviluppo di una dimensione di autonomia; la consapevolezza - in gran parte psicologica e legata all’identità dell’individuo- del mutato ruolo produttivo e della necessità di attivarsi per la ricerca di commesse e per il mantenimento e lo sviluppo delle proprie professionalità.

Il tema dell’autonomia assume particolare rilevanza all’interno degli attuali modelli di riorganizzazione del mercato del lavoro, dove le forme di lavoro autonomo spesso nascondono rapporti di subordinazione e monocommittenza. Essere imprenditori di se stessi significa non avere un “datore di lavoro”, ma dei “clienti”, non venire pagati per il tempo della prestazione, ma per i risultati che si producono in relazione a obiettivi prefissati, non avere un potere di rivalsa contrattuale, ma un potere negoziale. Lavorare e continuare a cercare - mentre si lavora - più committenti dà la possibilità di avere più alternative e quindi di scegliere quale lavoro conviene fare.

Altrettanto importante è considerare il contributo che il lavoro può dare in termini di apprendimento, di apertura di nuovi mercati, di conquista di un nuovo cliente o di fidelizzazione di un cliente già acquisito. Quando si accetta la condizione di autonomo, ci si abitua ad organizzare la propria attività professionale senza lasciare al caso o ad altri il compito di farlo. È strategico considerare la propria attività come il momento presente di un progetto professionale in via di sviluppo e investire sulle competenze e sulle relazioni, evitando di farsi guidare dagli eventi o da commesse occasionali che arrivano senza essere scelte in base a precisi criteri.

Oltre ad essere bravi nel proprio lavoro è necessario essere in grado - fin dai primi passi - di dare il giusto valore alla propria attività. La definizione del prezzo del bene o del servizio erogato alla potenziale clientela è stato uno degli aspetti più problematici del percorso di definizione del job plan, in quanto alla definizione del prezzo concorrono una molteplicità di indicatori (domanda, concorrenza, posizionamento nel mercato, strategia di marketing mix...). Tra questi indicatori un ruolo importante svolgono la capacità di valorizzare la propria professionalità, ed anche le attività accessorie, non visibili al cliente, ma comunque indispensabili. Imparare a dare valore al proprio lavoro e a negoziare è molto importante, anche se è una fase delicatissima e impegnativa della relazione con il cliente. Dare valore vuol dire comprendere le fatiche e le difficoltà che ci sono nel nostro modo di lavorare. L’aspetto economico non è disgiunto dalle competenze che si utilizzano, dalla cura e dalla passione che viene messa nel lavoro. Prezzi elaborati in una logica di ribasso e di sconto nella speranza che il cliente si “accorga della nostra professionalità” non sono utili perché delegano al cliente una valutazione sulla nostra professionalità.

È, inoltre, importante essere capaci di reggere l’incertezza e lo stress che deriva dalla condizione di solitudine in cui molto spesso ci si trova ad operare. È fondamentale essere attenti al cambiamento e flessibili (situazioni diverse da quelle auspicate non devono trovare impreparati perché in questo caso è più difficile gestire le nuove condizioni e i rischi sono molti); essere consapevoli di operare in un contesto legislativo complesso e in un contesto fiscale e previdenziale non favorevole, anche in termini burocratici.

Una corretta pianificazione finanziaria è uno strumento fondamentale per garantirsi l’autonomia. Lavorare in proprio significa mettere in conto di lavorare senza certezze di reddito. I primi mesi di attività sono particolarmente critici, perché: occorre anticipare le spese di investimento per le quali non sempre si può contare su crediti bancari o incentivi pubblici; normalmente si fattura a lavoro finito c’è quindi un ritardo, che può essere cospicuo, tra attività lavorativa e fatturazione; il pagamento delle fatture, per cattiva consuetudine, arriva con un ritardo sulla fatturazione di 30-60 giorni o più; occorre prevedere di dover pagare l’Iva sulle fatture emesse, anche se, queste non

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sono ancora state incassate; occorre prepararsi alla prima scadenza per il pagamento dell’IRPEF e dei contributi previdenziali, che comporterà un esborso particolarmente pesante. È fondamentale tener presente che l’analisi dell’andamento economico non può essere delegata al rendiconto bancario o peggio ancora alla situazione del conto corrente.

10.4.2.4 La dimensione delle reti

Le dimensioni del rischio, della conoscenza e dell’autonomia possono trovare un importante elemento di compensazione e di crescita nella dimensione delle reti di relazione che consentono di trovare nuovi clienti e di aggiornare le proprie competenze. La possibilità di entrare in relazione con persone che si occupano dell’attività o del settore in cui si opera è un elemento significativo dal punto di vista delle conoscenze degli scenari: consente il passaggio di informazioni, dati ed elementi conoscitivi che costituiscono una forma di aggiornamento rispetto a prodotti, processi, alleanze e concorrenza.

La microimpresa artigiana, turistica, agricola riesce ad essere competitiva grazie all’appartenenza a reti di filiera, di distretto, di territorio, che gli consentono di perseguire strategie di specializzazione e produrre economia di scala. L’appartenenza a reti produttive, commerciali, di promozione consente l’accesso a mercati che il piccolo imprenditore da solo non riuscirebbe mai a raggiungere.

Le reti locali - a partire da quelle familiari - forniscono le risorse di competenze, di lavoro, di finanza alla base dello sviluppo della microimpresa, a queste si aggiungono le reti di territorio da cui la microimpresa trae i suoi fattori di competizione, ma anche le risorse di welfare che consentono di ridurre la dimensione del rischio.

Nei territori montani fare impresa è difficile, per mancanza di infrastrutture e di servizi terziari, ma è anche per questo che nei territori montani si sono tradizionalmente sviluppate reti che consentono una divisione sociale del rischio di impresa.

Emblematico, nel caso trentino, è lo sviluppo del sistema cooperativo che consente: da un lato il mantenimento e lo sviluppo di una microimprenditorialità diffusa, anche nei territori più marginali della provincia (i tanti soci cooperatori che producono mele, latte, uva, piccoli frutti); dall’altro lato di proiettare, attraverso le centrali cooperative, queste produzioni sui mercati nazionali ed internazionali. Analogo discorso può essere fatto per lo sviluppo delle realtà consortili nel mondo artigiano.

Tra le reti di territorio assumo rilevo quelle sviluppate nell’ambito dei patti territoriali, che possono essere considerati grandi progetti di impresa che coinvolgono l’intero sistema locale e che si alimentano delle tante iniziative di imprenditorialità sociale, fornendo loro una visione strategia condivisa.

Alle reti locali si aggiungono quelle di livello provinciale fatte di associazioni di categoria, agenzie formative, fornitori di capitali, agenzie per l’innovazione, strutture camerali, oltre la stessa Amministrazione provinciale. Un complesso di attori oggi fortemente impegnati nella promozione di politiche coalizionali volte a sostenere la competitività dei sistemi locali trentini attraverso politiche di filiera, di distretto, di sostegno all’innovazione, di marketing territoriale, di promozione dell’internazionalizzazione.

Il riferimento a queste reti è stato di fondamentale importanza per lo sviluppo e l’avvio delle nuove realtà imprenditoriali. Il riferimento a queste comunità economiche e professionali ha contribuito a far sentire i nostri interlocutori meno soli nella propria avventura imprenditoriale, e di attingere a bacini di competenze che hanno contribuito a rafforzare la loro determinazione e la loro identità di imprenditori.

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10.4.2.5 Articolazione del percorso di elaborazione del job plan

Gli incontri finalizzati all’elaborazione del job plan sono stati svolti sui vari territori ed in ed in orario serale per venire incontro agli impegni della maggior parte delle persone che hanno richiesto la nostra assistenza. Nel complesso sono state realizzate 54 serate di assistenza, a cui partecipato 213 persone. I piani di impresa elaborati, pur con un diverso livello di definizione, sono stati 135.

L’attività di assistenza all’elaborazione del Job plan è stata articolata nell’ambito di quattro serate in cui sono stati affrontati i seguenti argomenti.

I° INCONTRO - Introduzione generale - La figura e le caratteristiche dell’imprenditore - Motivi di successo e insuccesso delle attività d’impresa - Le attività d’impresa e le forme di lavoro autonomo - Analisi delle differenti forme giuridiche - Esercitazione individuale

II° INCONTRO – La strategia d’impresa - Analisi del contesto competitivo - Pianificazione delle attività e struttura organizzativa - Obiettivi del piano di marketing e strategie di Mktg mix - Esempi ed esercitazione individuale

III° INCONTRO - amministrazione e finanza - Regime fiscale, aspetti previdenziali ed assicurativi - Aspetti contabili e amministrativi - Determinazione del punto di pareggio - Esempi ed esercitazione individuale

IV° INCONTRO - verifica dei piani elaborati e feedback - Analisi individuale del Job plan elaborato - Individuazione degli step necessari alla costituzione dell’attività - Riferimenti e contatti di interesse

Nei primi mesi di attività sui territori veniva proposto anche un quinto incontro incentrato su fisco e previdenza. Pur essendo pienamente convinti della necessità per una qualsiasi iniziativa economica di affrontare le problematiche fiscali che ne regolano l’esistenza, abbiamo valutato che trattare quest’argomento in modo rigoroso in questa fase di supporto alla definizione dell’Idea producesse un effetto sostanzialmente negativo e demotivante rispetto all’entusiasmo necessario per affrontare una sfida di questo tipo. Nel contempo, ritenendo che per avviare una nuova iniziativa imprenditoriale vi sia la necessità di avere piena consapevolezza anche in questa materia, abbiamo fornito alcuni cenni, trattandoli sinteticamente assieme agli aspetti contabili e finanziari, nell’ambito del terzo incontro.

I primi tre incontri di gruppo sono risultati sempre molto partecipati ed il taglio degli incontri di carattere generale ha cercato sempre di coinvolgere tutti i presenti. Anche negli esempi pratici portati abbiamo sempre cercato di fornire strumenti facilmente utilizzabili da ciascuno nel contesto della propria idea d’impresa e del proprio territorio. Il taglio molto pratico e operativo che si è voluto dare agli incontri ed il fatto che i vari partecipanti si conoscessero quasi sempre tra loro ha perciò permesso di uscire dalla formalità del momento affrontando nel concreto dubbi e quesiti a 360°.

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Durante le serate gli argomenti sono stati affrontati sia da un punto di vista rigorosamente teorico, sia dando spazio al dibattito e portando esempi concreti spesso calati sulla realtà delle idee imprenditoriali presenti in aula. Al termine di ciascuna serata è stato lasciato un documento da sviluppare secondo una traccia precompilata in modo tale da obbligare tutti i partecipanti a ragionare per iscritto sulla propria strategia imprenditoriale analizzandone così i punti di forza e di debolezza e soprattutto individuando i bisogni ancora inespressi su cui tornare a fine percorso. In questa fase di pianificazione abbiamo voluto insistere riguardo l’utilità di progettare la propria attività pensando non solo al bene (prodotto o servizio) che ci viene richiesto dal cliente e per il quale questo è disposto a pagare un giusto prezzo ma anche alle attività di contorno il cui valore non viene direttamente percepito dal cliente, ma sono assolutamente necessarie per un’efficace realizzazione del prodotto o somministrazione del servizio.

Al termine dei tre incontri è stato lasciato anche un compact disk contenente un semplice programma sviluppato su foglio di calcolo con cui l’aspirante imprenditore avrebbe potuto analizzare tutti gli elementi economici e finanziari della propria iniziativa. Naturalmente quest’ultima parte seppur ridotta al minimo è risultata la più complessa per molti dei nostri interlocutori. In alcuni casi al contrario alcune persone con le idee particolarmente chiare e una maggiore dimestichezza con gli aspetti amministrativi e contabili hanno ritenuto opportuno presentare un documento più strutturato con un piano sui tre anni.

Il modello di job plan trasmesso ai partecipanti agli incontri era composto da due parti principali:• una“sezione descrittiva” nella quale si richiedeva, oltre alla presentazione della natura e finalità

del progetto, elementi quali l’analisi del mercato e della concorrenza, la descrizione dei prodotti offerti, il piano strategico ed operativo dell’investimento. Solamente nel momento del quesito e soprattutto della stesura, gli aspiranti imprenditori erano stimolati a riflettere e ad interrogarsi, rispondere a quesiti mirati (cosa, come, quanto, dove...), che obbligavano ad individuare l’identikit dell’attività e dalle quali emergevano soprattutto le difficoltà e gli aspetti critici;

• una“sezione numerica” nella quale si richiedevano di estrapolare dai dati qualitativi emersi nella sezione precedente le informazioni quantitative; dovevano effettuare delle proiezioni di calcolo, ossia delle stime di rendimento economico e di performance finanziaria del progetto attraverso la compilazione di 4 macro fogli di lavoro: investimenti/finanza, ricavi, costi fissi e costi variabili. In tal modo erano spinti all’analisi preventiva dei costi e dei ricavi, a stabilire l’ammontare degli investimenti necessari ad avviare l’attività e gli eventuali finanziamenti da richiedere.

Nella parte descrittiva, l’aspirante imprenditore era guidato a percorrere i seguenti passi:• definire,comeprimopasso,unacredibileideaoimmaginediquellocheintenderealizzare,con

lo scopo di far capire ad altri che cosa vorrebbe produrre, a chi sarà diretto il prodotto, come lo comunicherà. Queste informazioni permettevano in sintesi di indicare come è nata e come si è sviluppata l’idea imprenditoriale, il profilo dell’imprenditore e la struttura giuridica;

• procedereconlaraccoltadeidatiessenzialiperanalizzareeverificarelepossibilitàdelmercato;dopo una prima definizione dell’idea, i quesiti preposti stimolavano da una parte il confronto dell’idea con le concrete possibilità, in positivo o in negativo, presenti nel settore e nel mercato di riferimento, e dall’altra a sondare le possibilità di miglioramento o di ridefinizione dell’idea stessa. In tale passaggio potevano così chiarire chi è il destinatario del proprio prodotto o servizio, descriverne l’ambiente e sceglierne il mercato in cui operare, analizzare il profilo della concorrenza e stabilire di conseguenza il piano di marketing. Al fine di compilare in modo esauriente tale parte del job plan, si è cercato inoltre di trasmettere l’importanza fondamentale

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di integrare le specifiche conoscenze con ulteriori dati, provenienti da diverse fonti, utili a contribuire alla composizione di un quadro organico, esauriente e motivato del nuovo business;

• definireloscopoegliobiettividimedioelungoperiodochecisiprefiggediraggiungere,esuccessivamente inserirli nel piano d’impresa affinché risultino chiari a tutti i destinatari;

• scegliere la strategia e l’organizzazione, intesa come la regoladi funzionamentograzieallaquale si raggiungeranno gli obiettivi preposti evidenziando le ragioni di coerenza con gli obiettivi della strategia e con i criteri di ottimizzazione dei costi.

La parte descrittiva è servita in sintesi a fornire tutte le informazioni inerenti all’idea imprenditoriale, la professionalità necessaria per il suo sviluppo, il mercato prescelto, le persone coinvolte, i mezzi e le attrezzature necessarie.

Nella parte numerica l’aspirante imprenditore doveva essenzialmente individuare le risorse economico-finanziarie e definire punti d’arrivo misurabili. Verificata l’idea del mercato, il passo successivo che si portava a compiere era, infatti, quello di misurare la fattibilità economica e finanziaria del progetto. A tale scopo, il semplice programma in excel, li aiutava ad individuare gli investimenti, i costi e il fatturato e, automaticamente calcola, la redditività. Sono stati quindi affrontati argomenti quali il margine di contribuzione, il punto di pareggio, ecc.. Dal punto di vista economico l’elaborazione mirava a verificare se le previsioni consentivano di raggiungere in tempi ragionevoli un equilibrio reddittuale (un pareggio fra costi e ricavi) e successivamente di conseguire un risultato reddittuale positivo; dal punto di vista finanziario permettevano di individuare e predisporre le opportune coperture ai fabbisogni monetari previsti. Il percorso tracciato permetteva di rispondere a domande quali: Quanto costa e quanto rende l’attività? Dispongo dei fondi necessari per avviare l’impresa? In quanto tempo è possibile rientrare nel capitale investito? L’idea è economicamente valida e quindi fattibile?

Il quarto incontro si è svolto invece ancora una volta individualmente con chi ha voluto ed è riuscito ad elaborare, anche se in modo parziale, il Job plan di cui era stata fornita traccia. Con questi aspiranti imprenditori abbiamo cercato di comprendere quali ragionamenti vi fossero dietro le scelte strategiche presentate. A coloro che non sono stati in grado di utilizzare autonomamente lo strumento elettronico abbiamo comunque chiesto di raccogliere con la maggior accuratezza possibile preventivi di attrezzature e materie prime, di analizzare i prezzi proposti dalla concorrenza, di individuare il fabbisogno finanziario con cui far fronte agli investimenti iniziali e infine di definire la capacità produttiva e commerciale della nuova attività. Con queste informazioni abbiamo compilato assieme i campi richiesti dal foglio elettronico in modo tale da poter analizzare l’idea anche dal punto di vista economico riuscendo far ragionare gli aspiranti imprenditori su quali motivazioni avessero determinato alcune scelte rispetto ad altre.

In questo ultimo confronto sul Piano elaborato si è cercato sempre di far comprendere al nostro interlocutore che un’impresa non è fatta solo di competenze legate alla produzione del bene o del servizio che si vuole vendere, ma si è chiamati a dotarci di un metodo di lavoro che ci consenta di svolgere in modo efficace un’attività che è fatta di tante capacità, molte frutto dell’esperienza, ma molte di tipo specialistico che a conti fatti conviene acquistare da uno specialista esterno anziché “arrangiarsi” andando a distogliere tempo e risorse preziose rispetto a quello che sappiamo fare meglio. Tipico in questa fase l’invito a rivolgersi quindi all’Associazione di categoria di riferimento o al limite ad un professionista per gestire la contabilità e altri aspetti tecnici.

Se per tutta la durata dell’assistenza tecnica il nostro atteggiamento è stato di incoraggiamento a qualsiasi idea ci fosse presentata, durante l’ultimo incontro individuale il nostro ruolo ci ha obbligato invece ad analizzare criticamente, talora anche in modo rigido, il Piano predisposto

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facendo emergere soprattutto le contraddizioni e le lacune presenti nei documenti. Questo ci ha permesso di capire quanto i nostri interlocutori credessero nel loro progetto e ha permesso loro di prepararsi realisticamente alle difficoltà e quindi agli esami che avrebbe fatto loro il mercato nel momento in cui avessero deciso di fare il grande salto avviando la propria attività. Inoltre in molti casi i documenti elaborati in soli quattro incontri presupponevano un ulteriore sforzo di approfondimento ed elaborazione per raggiungere una pianificazione comunque sufficientemente chiara e completa.

Un risultato di notevole spessore raggiunto, oltre che di grande motivazione per gli aspiranti imprenditori, è stato valutare come i soggetti che hanno seguito l’intero percorso, impegnandosi anche nei “compiti a casa” loro assegnati di volta in volta, siano riusciti ad elaborare strategie organizzative e di marketing particolarmente raffinate, talvolta non ipotizzabili dopo il primo colloquio individuale.

Anche coloro che non sono stati in grado di elaborare un documento completo, hanno comunque avuto la possibilità di avere maggiore consapevolezza di quali opportunità e di quali difficoltà si incontrino nel cercare di “mettersi in proprio” cercando di organizzare e governare il proprio futuro da imprenditore o da lavoratore autonomo. Siamo convinti di essere riusciti a far comprendere come per emergere siano necessarie “qualità” come le abilità e le competenze professionali, la creatività e lo spirito d’iniziativa, l’autostima e la consapevolezza di sé. Tutti questi elementi accompagnati dalla necessaria esperienza sul campo, che un neo imprenditore deve senz’altro sviluppare, contano in misura molto maggiore del capitale finanziario e delle giuste conoscenze.

10.5 L’accompagnamento alla fase di start-up

Conclusa la fase di assistenza tecnica che ci ha permesso di valutare su basi concrete la bontà dei progetti elaborati con le potenzialità che questi potevano esprimere ma anche con le difficoltà di ordine pratico, organizzativo ed economico che questi avrebbero dovuto affrontare, è toccato agli aspirati imprenditori determinare, secondo le specifiche esigenze di ciascuno, se, come e quando decidere di avviare la loro nuova attività.

Ma a questo punto per queste persone si poteva aprire un percorso ad ostacoli che avrebbe potuto portarli a perdere molto del loro entusiastico ottimismo, ancora prima di partire. Sono note a tutte le difficoltà burocratiche e le lungaggini a cui ci si deve sottoporre per avviare una nuova attività d’impresa nonostante la Pubblica Amministrazione stia attuando molti tentativi di semplificazione negli ultimi anni.

Per facilitare quest’ultimo passaggio verso le nuove imprese, prima di partire con il Progetto sul territorio abbiamo presentato il nostro programma d’intervento ai seguenti interlocutori:• dirigentideiServiziProvincialididirettointeresseperilprogetto(Turismo, Agricoltura, Artigianato);• direttoridellemaggioriAssociazionidiCategoriaa livelloprovinciale (Albergatori, Artigiani,

Industriali, Federazione delle Cooperative, Contadini, ecc);• tuttiiSindacideiComuni-Obiettivo2-incuiabbiamooperato;• rappresentantidelleBanchelocaliedeiconsorzifidicheoperanoalivelloprovinciale;• altri soggetti di supporto (Trentino Sviluppo, Distretto Tecnologico - Habitech, Ceii Trentino,

Consolida, ecc).

Tutti questi interlocutori ci hanno a loro volta indicato dei referenti all’interno delle loro strutture tecniche che con diverse funzioni potevano supportare la fase di avvio di una nuova attività imprenditoriale.

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Con queste premesse ha preso avvio quindi l’ultima fase di assistenza, che abbiamo chiamato di accompagnamento, in cui gli aspiranti imprenditori sulla base delle loro esigenze sono stati fisicamente accompagnati, o comunque indirizzati, presso gli uffici provinciali o comunali, le associazioni di categoria presenti nei vari territori o qualcuno degli altri soggetti che, con diversi ruoli, possono supportare la fase di start-up di una nuova attività economica. È così risultato più efficace ed efficiente fare incontrare gli aspiranti imprenditori emersi dal lavoro svolto nelle valli con i funzionari tecnici che avrebbero potuto dare loro immediata soluzione ad un problema o ad ogni specifica esigenza per richiedere autorizzazioni, ottenere permessi, assolvere obblighi e così via.

I progetti interessati alla fase di accompagnamento sono stati 93: 54 hanno avuto come riferimento funzionari dei servizi provinciali; 43 hanno avuto come riferimento rappresentanti di associazioni di categoria.

Occorre segnalare come arrivati a questo punto si sia entrati in merito, come era lecito aspettarsi, anche agli aspetti relativi ad incentivi e contributi a disposizione delle nuove attività economiche. Riteniamo però che anche in questo senso il percorso di assistenza realizzato abbia contribuito ad raggiungere un risultato importante: questi aiuti pubblici non rappresentavano più l’obiettivo dell’incontro, ma semplicemente lo strumento per riuscire a concretizzare - magari meglio e senz’altro con qualche preoccupazione in meno - un obiettivo sicuramente più alto e di lungo respiro come appunto il riuscire a realizzare la propria aspirazione a “mettersi in proprio”.

Riteniamo che questa fase di accompagnamento abbia rappresentato un momento davvero importante e qualificante in questo progetto di animazione imprenditoriale in cui siamo riusciti a fare colloquiare domanda sociale e offerta istituzionale.

Siamo convinti che in generale riuscire a facilitare il contatto tra le esigenze della popolazione sui territori e i soggetti istituzionali e tecnici che ne sono i naturali interlocutori, per dare concretezza al principio di sussidiarietà, permetta ai cittadini di potersi avvalere in modo più diretto ed efficacie delle numerose competenze tecniche, spesso nascoste, presenti in particolare all’interno della Pubblica Amministrazione trentina.

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11. La domanda di imprenditorialità emersa nelle aree obiettivo 2.

11.1 Analisi delle schede di partecipazione agli incontri di animazione imprenditoriale

Al termine di ciascun incontro di animazione è stato chiesto ad ogni partecipante di compilare una scheda di partecipazione precedentemente predisposta, impiegata non solo quale documento necessario ai fini della rendicontazione trimestrale del progetto (richiesta dall’Unione Europea), ma anche come strumento di rilevazione per comprendere la composizione del campione dei partecipanti che si è formato, in un certo senso, autonomamente (si tratta, dunque, di un campione auto selezionato).

La scheda richiedeva la compilazione di una parte anagrafica, cui si aggiungeva un quesito riguardo l’interesse ad avviare un’attività imprenditoriale, in caso di risposta affermativa, erano di seguito richiesti alcuni dati: la tipologia d’impresa, il settore di attività e l’interesse per i servizi di Trentino Sviluppo.

Nel corso di 129 incontri di animazione imprenditoriale realizzati a livello comunale sono state raccolte 1.878 schede di partecipazione (dato fine settembre 2008). L’elaborazione statistica di seguito presentata è stata realizzata nel luglio 2008 e riguarda 1.741 schede di partecipazione.

11.1.1 Distribuzione dei partecipanti a livello comunale

Sul numero dei partecipanti alle serate di animazione nei singoli comuni ha talvolta inciso la stagione in cui queste si sono svolte. In quella estiva, pur evitando, di norma, di effettuare incontri nel mese di agosto, si è comprensibilmente registrato un numero di partecipanti inferiore a quello di altri momenti dell’anno. Un elemento di successo è stato individuato nel collegamento degli incontri di animazione alle serate di presentazione dei Patti territoriali. Tuttavia, la variabile determinante nella partecipazione del pubblico va senz’altro ricondotta all’intraprendenza della locale Amministrazione comunale ed in primo luogo del Sindaco, nell’organizzazione dell’incontro.

La distribuzione del numero dei presenti, infatti, non è direttamente proporzionale alla popolazione del Comune in cui si è intervenuti. Se non stupisce la partecipazione registrata in comuni popolosi come Ala (59 partecipanti) o Storo (41); certo diversa è l’interpretazione del dato di Spormaggiore (60 partecipanti in un comune di 1.254 abitanti) di Cis (43 partecipanti in un Comune di circa 300 abitanti) o di Cimone (43, Comune con circa 570 abitanti), alta anche la media dei presenti all’incontro del Bleggio Superiore (49), Sagron Mis (32) Tonadico e Siror (38).

I Comuni che hanno fatto segnare più di trenta partecipanti agli incontri sono stati: Taio (39), Livo (37, in un Comune di poco più di 850 abitanti), Frassilongo (32, su circa 350 abitanti), Sagron Mis (32, su poco più di 200 abitanti), e infine Pieve di Bono (30).

Tra i venti e i trenta partecipanti si sono registrati a Luserna (29, su circa 290 abitanti), Tione (28), Fierozzo (28, su 440 abitanti). Si sono avuti 27 partecipanti a Baselga di Pinè, Grumes e Siror e 26 a Valfloriana.

11.1.2 Gli utenti del percorso di animazione

Gli incontri di animazione si sono tenuti in orario serale presso locali messi a disposizione dalle varie Amministrazioni comunali (sala del consiglio comunale, biblioteca, teatro, ecc).

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Come già detto, la stessa organizzazione degli incontri è stata affidata ai Sindaci in quanto, sulla base delle loro conoscenze, potevano meglio individuare i soggetti maggiormente interessati agli argomenti trattati nel corso delle serate. Le modalità di organizzazione delle serate sono state diverse: pubblicazione di un avviso sull’albo comunale, lettere di invito alle famiglie, coinvolgimento delle associazioni presenti nel comune, ecc.

Trattandosi in gran parte di piccoli comuni questi incontri hanno costituito una sorta di evento che ha richiamato un pubblico eterogeneo composto non solo persone interessate ad avviare attività di impresa, ma anche persone semplicemente interessate agli eventi economici e sociali del proprio comune.

Relativamente alla tipologia di partecipanti agli incontri di animazione, si possono comunque evidenziare alcuni dati di sintesi:• l’etàmedia degli intervenuti agli incontri di animazione è risultata di 36 anni (in un arco

anagrafico di partecipanti dai 16 agli 81 anni);• significativaladistribuzione per genere: agli incontri hanno partecipato 462 donne, pari

al 26,53% del totale;• lacomponentedistranieri ha fatto registrare solo l’1,60% dei presenti agli incontri.• ildatorelativoall’occupazione dei partecipanti al momento degli incontri conferma

la struttura dell’occupazione trentina, tanto che l’interesse per i temi degli incontri non pare strettamente legato alla propria condizione professionale;

• ildatodeilavoratori autonomi (29,4%) rispecchia una maggior propensione alla diversificazione della propria attività, mentre l’alta percentuale dei dipendenti (38,2%) va divisa tra chi manifesta l’intenzione di cambiare professione e chi è alla ricerca di un’integrazione del reddito;

• significativa la presenza di studenti (11.3%), mentre la percentuale di partecipazione di lavoratori precari e disoccupati ha raggiunto, in entrambi i casi, il 2,5% sul complesso dei partecipanti.

Tabella 11 Occupazione attuale dei partecipanti. Rapporto di lavoro

Frequenza Percentuale

Dipendente 665 38,2

Lavoratore autonomo 511 29,4

Studente 197 11,3

Disoccupato 44 2,5

Precario 44 2,5

Casalinga 42 2,4

Pensionato 98 5,6

Non risponde 140 8,0

Totale 1741 100,0

NOTA: La domanda sull’occupazione attuale nella Scheda di Partecipazione è stata formulata come una domanda aperta. Pertanto si sono riaggregate le risposte in fase di elaborazione secondo una classificazione individuata ex-post.

In presenza di notevoli lacune - visto che solo circa un terzo dei partecipanti ha risposto alla domanda inerente alla propria attuale professione - tra i dipendenti, al di là alle grandi categorie di impiegato ed operaio (che riguardano rispettivamente il 12 ed l’8,8% di chi ha specificato la risposta), non si è in grado di suggerire distribuzioni marcate da percentuali significative. Nella categoria degli autonomi, invece, al di là degli agricoltori, artigiani e imprenditori, sorprende la quota dei liberi professionisti, attestata nel 6% del totale dei partecipanti, pari al 21,6% di chi ha risposto alla domanda (che, si ricorda, era posta in forma aperta).

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Tabella 12 Partecipanti. Lavoratori Dipendenti

Frequenza Percentuale valida

Operaio 156 23,5

Impiegato 210 31,6

Insegnante 47 7,1

Bancario e affini 22 3,3

Autista 23 3,5

Cuoco 9 1,4

Muratore 16 2,4

Periti tecnici 17 2,6

Altro 165 24,8

Totale lavoratori dip. 665 100,0

Tabella 13 Partecipanti. Lavoratori Autonomi

Frequenza Percentuale

Agricoltore 72 14,1

Imprenditore 76 14,9

Artigiano 135 26,5

Commerciante 37 7,3

Libero professionista 112 22,0

Altro 78 15,3

Totale 510 100,0

11.1.3 Interesse ad avviare un’attività di lavoro autonomo

Alla domanda sull’interesse ad avviare una nuova attività, di qualunque tipo, (anche di integrazione del reddito) purché esercitata in forma autonoma, ha risposto affermativamente il 57,2% dei partecipanti, mentre il 26,1% ha risposto negativamente (il 16,7% non ha risposto). L’analisi di questo dato, incrociato con quello dell’età media dei partecipanti, conferma ancora una volta la forte propensione al lavoro di trentini, che per lo più nelle zone montane si manifesta in un mix occupazionale di lavoro dipendente (o lavoro autonomo) e di un’integrazione del reddito prevalentemente ricavata dall’agricoltura. Questa attività di integrazione trova origine in genere nella coltivazione di terreni del patrimonio ereditario, coltivati nel tempo libero con l’aiuto dei membri della famiglia.

I partecipanti che hanno espresso interesse ad avviare una nuova attività, hanno in media 34 anni, età in cui lo studio e l’esperienza rende possibile la svolta verso l’attività d’impresa, ma anche età in cui è ragionevolmente prevedibile, o quantomeno auspicabile, il passaggio generazionale di un’azienda di famiglia.

Tabella 14 Interesse ad avviare un’attività di lavoro autonomo

Frequenza Percentuale Percentuale valida

Si 995 57,2 68,6

No 455 26,1 31,4

Totale 1450 83,3 100,0

Non risponde 291 16,7

1741 100,0

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Interesse ad avviare una attività N Età Media Deviazione std.

Non risponde 240 40,02 13,156

Si 940 33,95 11,860

No 433 39,46 14,721

11.1.4 Tipologia d’impresa e settore di attività in cui si vorrebbe intraprendere

Passando alla tipologia d’impresa, la tabella seguente evidenzia una maggior propensione per l’impresa individuale (32,5% delle totali schede), anche se il dato dell’impresa con soci (17,3%), aumentato di quello relativo alla forma cooperativa (5,9%), descrive un maggior equilibrio. L’incrocio con l’età media rende possibile un’ulteriore considerazione. Chi vorrebbe scegliere la forma cooperativa (in media una persona di circa 39 anni) sembra essere maggiormente consapevole di ciò che comporta questa forma giuridica, mentre l’indicazione impresa con soci (i cui proponenti hanno in media 32 anni), anche andando a valutare le descrizioni dell’attività che si vorrebbe svolgere, esprime un’indicazione di carattere più generico.

Tabella 15 Tipologia di impresa che si vorrebbe avviare

Frequenza Percentuale

Impresa individuale 566 32,5

con soci 302 17,3

Cooperativa 102 5,9

Totale 970 55,7

Non risponde 771 44,3

Totale 1741 100,0

Tipologia di impresa N Età Media Deviazione std.

Non risponde 695 39,44 14,030

Impresa individuale 536 34,11 11,672

con soci 284 32,10 11,571

Cooperativa 98 38,67 13,436

Passando al settore attività in cui si vorrebbe intervenire, il quadro dei risultati presenta una distribuzione relativamente omogenea.

Il settore privilegiato sembra essere l’agricoltura (28,9%), seguito a breve distanza dai Servizi (28,2%), dal Turismo (27,8%) e dall’artigianato (26,9%), mentre il solo Commercio fa segnare un dato inferiore (18,3%). Il basso risultato del settore commerciale, che ai partecipanti agli incontri non sembra riservare grandi opportunità, testimonia le difficoltà di quest’ambito nelle aree montane, soprattutto in rapporto ai dati della grande distribuzione operante sul fondovalle.

L’alta percentuale del settore terziario, da una parte evidenzia la risposta positiva ad una serie di attività tradizionalmente deboli nelle zone montane (quando non del tutto assenti), attività che anche per questo si desidererebbe intraprendere; dall’altra, mette in luce che l’interesse ad avviare un’attività di lavoro autonomo registrata nel corso degli incontri non si riduce all’integrazione del reddito in ambito agricolo.

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Alla luce di quanto osservato nelle fasi ulteriori del progetto, nel settore terziario va inteso anche il dato significativo delle attività artigiane di servizi alla persona (salone parrucchiera, estetista, centro wellness, tagesmutter), le quali saranno spesso segnalate nelle tabelle con un asterisco, ad evidenziarne la doppia natura (dal punto di vista dell’attività economica: settore servizi; dal punto di vista giuridico: artigianato). Va poi ricordato che molti partecipanti hanno risposto evidenziando più di un settore.

Tabella 16 Settore nel quale si desidera avviare l’attività

Risposte

N Percentuale di casi

Settore di Attività Agricoltura 293 28,9%

Artigianato 273 26,9%

Turismo 282 27,8%

Commercio 186 18,3%

Servizi 286 28,2%

Totale 1320 130,2%

Una riclassificazione delle idee imprenditoriali o, per meglio dire, dei desideri, della propensione all’esercizio di un’attività autonoma espressa dai partecipanti agli incontri, evidenzia alcuni valori degni di nota. Anche in questo caso, pur in presenza di una percentuale di risposte pari al solo 36% del totale dei partecipanti, la descrizione dell’attività che si vorrebbe intraprendere, aggregata secondo i codici ATECO, offre alcuni spunti significativi.

La categoria che offre un numero maggiore di preferenze è quella della ricettività turistica (19,9% sul totale di chi ha risposto); segue l’artigianato (18,3%), quindi, agricoltura e zootecnia (12,3%), i servizi di consulenza e progettazione (9,4%), i servizi turistici (8,5%) ed infine lo sport e intrattenimento (7,7%). Il rilievo del dato relativo al turismo, già visto in termini aggregati, si fa più sensibile tenuto conto che oltre alla ricettività, vi si possono sommare i dati relativi ai servizi destinati a questo settore e quelli relativi allo sport e intrattenimento (mentre la categoria comprende già in sé l’attività agrituristica).

Tabella 17 Riclassificazione ATECO dell’idea imprenditoriale

Frequenza PercentualePercentuale

validaAgricoltura zootecnia 77 4,4 12,3

Silvicoltura e Ripristino Ambientale 20 1,1 3,2

Artigianato 114 6,6 18,3

Commercio ingrosso 6 0,3 1

Commercio dettaglio 30 1,7 4,8

Ricettività turistica 125 7,2 19,9

Servizi di trasporto 18 1 2,9

Servizi turistici 53 3 8,5

Servizi immobiliari 3 0,2 0,5

Servizi informatici e video 32 1,8 5,1

Servizi consulenza e progettazione 59 3,4 9,4

Istruzione 17 1 2,7

Sanità 11 0,6 1,8

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Frequenza PercentualePercentuale

validaSport e intrattenimento 48 2,8 7,7

Estetica benessere 14 0,8 2,2

Totale 627 36 100

Non Risponde 1114 64

Totale 1741 100

NOTA: Nella Scheda di partecipazione si chiedeva di descrivere sinteticamente l’idea imprenditoriale. Tali indicazioni sono state riclassificate in fase di elaborazione, selezionando alcune categorie ATECO che più si avvicinavano alle descrizioni.

11.1.5 Interesse per i servizi di Trentino Sviluppo

La domanda riguardo alle attività di Trentino Sviluppo era per lo più inerente ai servizi offerti nell’ambito del progetto, vale a dire le azioni di accompagnamento ed assistenza tecnica ai progetti d’impresa che si sono poi svolte nelle fasi successive.

Qui, a fronte di un 33,1% che non ha risposto alla domanda, si segnala l’interesse per tali attività nel 56,7% delle risposte.

L’incrocio con l’età media riporta coerentemente il dato dell’interesse per l’avvio di un’attività: chi era interessato ad investire in un’attività, lo era anche per i servizi di assistenza tecnica.

Tabella 18 Interesse ai servizi di TS

Frequenza Percentuale

si 988 56,7

no 176 10,1

Totale 1164 66,9

Non Risponde 577 33,1

Totale 1741 100,0

Tabella 19 Età media di chi è interessato ai servizi di TS

Interesse ai servizi di TS N Media Deviazione std.

Non risponde 513 39,40 14,165

Si 929 34,40 11,880

no 171 37,62 14,874

Significativo è comunque anche il dato che 65 persone pur non dichiarandosi, attualmente, intenzionate ad avviare un’attività hanno manifestato l’intenzione si partecipare agli incontri di assistenza alla formazione del piano di impresa.

Tabella 20 Interesse ai servizi di TS e Interesse ad avviare un’attività

Interesse ad avviare una attività Totale

sisi no

Interesse ai servizi di TSsi 840 65 905

no 38 132 170

Totale 878 197 1075

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11.1.6 Osservazioni sul dibattito pubblico

L’indicazione dell’idea imprenditoriale nelle schede di partecipazione nella maggior parte dei casi non ha poi trovato sviluppo concreto. Il dato riveste tuttavia una certa importanza dal punto di vista, per così dire, sociologico, soprattutto perché quest’idea non si è quasi mai limitata ad un’indicazione generica, ma ha prodotto un’enorme gamma di ipotesi imprenditoriali singolari, definite, difficilmente riconducibili ad aggregazioni di ordine maggiore, se non a quella dei settori di attività, esposte nelle tabelle precedenti.

Nei tre anni del progetto, anche al di là delle schede, si sono incontrate numerose propose originali che hanno richiesto un chiarimento: costruire un kartodromo elettrico, aprire una riserva di caccia privata, produrre zoccoli di legno, sono solo alcune di queste, esposte dai proponenti in vari incontri individuali, ipotesi che però non hanno avuto (e in qualche caso non avrebbero comunque potuto) aver corso. La singolarità delle proposte non deve stupire, perché talvolta, come vedremo, è stato proprio da un’idea originale, e non necessariamente radicata nel territorio, che sono partite le imprese (l’allevamento di pappagalli ne è un esempio).

Più che soffermarsi sulle varie ipotesi, che a questo stadio non erano che espressioni di un desiderio, sembra per ora maggiormente opportuno aggiungere alcune osservazioni di carattere qualitativo, derivanti dall’esperienza sul campo, dal confronto con il pubblico aperto nella fase del dibattito. Se ne propongono, dunque, alcune, relative alla percezione dei settori nei quali sono state espresse il maggior numero di proposte imprenditoriali.

L’agricoltura

L’agricoltura di montagna viene percepita come un vanto del territorio trentino, benché, naturalmente – specie da parte degli artigiani e dei commercianti – non siano mancate obiezioni e critiche alla politica volta al suo sostegno. In termini concreti, negli interventi del pubblico proveniente dal mondo rurale sono emerse alcune criticità, ma pure alcuni processi in atto: le notevoli difficoltà e l’introduzione del lavoro a turno in zootecnia; l’evoluzione dell’agricoltura di qualità verso il servizio (non solo con l’accoglienza in azienda o in cantina, ma anche con l’organizzazione di eventi, o ancora con esperienze come la fattoria didattica); la recente messa a coltura di terreni abbandonati o precedentemente convertiti ad altra destinazione in aree interessate dalla crisi della media impresa; le preoccupazioni per l’andamento della produzione e del mercato in territori monocolturali (per la concorrenza di paesi emergenti); le dinamiche non sempre serene delle realtà associate e consortili; la rinnovata esigenza di disporre di alcuni prodotti destinati alla vendita diretta da parte dei soci delle cooperative; le opportunità dell’agriturismo, vissuto, soprattutto in passato, come opportunità economica (e di incentivazione pubblica), spesso ancora privo di elementi di qualificazione dell’attività ricettiva.

Il mondo rurale ha in buona parte confermato i caratteri di laboriosità, di dedizione, di efficienza (di manutenzione del territorio, attività che spesso gli agricoltori ritengono di non vedersi riconosciuta) ma nel contempo ha manifestato una serie di interrogativi sugli scenari futuri, nel timore di perdere competitività e valore.

Nell’ambito agricolo le proposte sono rimaste entro i termini tradizionali: agriturismo (in gran numero e in varia forma, anche con fattoria didattica), allevamento di animali (galline, struzzi, pecore, capre, ruminanti minori, trote, lumache, api, cani da slitta, alpaca, selvaggina, pappagalli), caseificio, coltivazione grano saraceno, piccoli frutti, prodotti biologici, piante officinali, floricoltura, coltivazione tartufi. La maggior parte delle proposte (escluse quelle inerenti all’attività agrituristica, ha avuto per lo più una sola occorrenza).

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I servizi

La classificazione delle idee espresse in merito ad un’attività nell’ambito dei servizi risulta più difficile, in virtù dell’eterogeneità degli elementi che possono essere inclusi in questa categoria. Va ribadito che nella percezione del pubblico sembra cresciuta la necessità di intervenire in questo settore, sia in ragione della sua debolezza nelle zone svantaggiate, sia in risposta ad alcuni fenomeni sociali legati alla trasformazione del mondo del lavoro (è sempre più forte, ad esempio, anche in periferia, la richiesta relativa agli asili nido). Accanto ai servizi alla persona (salone parrucchiera, centro benessere, centro estetico) ed a quelli di carattere socio-assistenziale (assistenza a famiglie con anziani, disabili, la cui portata è forse avvertita con minore intensità in ragione della forte presenza delle associazioni di volontariato), si segnalano alcune ipotesi di carattere culturale (formazione ai ragazzi, organizzazione di eventi) e di servizi alle imprese (soprattutto nell’ambito della comunicazione, dell’informatica e della pubblicità). La presenza di liberi professionisti (soprattutto tecnici, geometri, ingegneri, architetti, ma anche psicologi, operatori d’ambito culturale, ricercatori, archivisti) pur limitata, è tuttavia significativa perché è transitata, quasi direttamente, alla fase successiva del progetto. Tra gli altri servizi si segnala con interesse la presenza delle attività legate ai trasporti e manutenzione strade. L’esigenza di miglioramento nell’offerta in questo settore si è manifestata in modo insistente nelle discussioni degli incontri, soprattutto nei comuni costituiti da un numero notevole di frazioni.

Il turismo

Il settore turistico è emerso dalle discussioni degli incontri come un ambito in corso di ridefinizione, che si sta muovendo verso una nuova interpretazione delle risorse del territorio montano. Mutata la struttura della domanda turistica (come da anni è noto nei territori provinciali dove questa vocazione è più forte) anche nelle aree con minore tradizione si sta cercando una diversa strutturazione dell’offerta: turismo rurale, turismo enogastronomico, enoturismo, equiturismo, turismo del trekking, turismo del wellness, turismo per famiglie. Proprio in virtù del recente sviluppo verso queste nuove forme di offerta, il turismo non è sembrato soltanto un nuovo ambito per la creazione di un’integrazione del reddito familiare (specialmente con le domande inerenti ai Bed & breakfast e affittacamere, in prevalenza femminili), ma anche, in qualche modo, come un’opportunità per ripensare il proprio ruolo nel contesto sociale.

La diffusa consapevolezza di poter mettere a disposizione: risorse naturali poco contaminate, un basso grado di inquinamento ambientale, un’accorta gestione dei rifiuti, il contenimento del consumo energetico e l’adozione di fonti rinnovabili di energia, l’impiego di prodotti enogastronomici di qualità o di eccellenza, una migliorata competenza nella gestione delle strutture ricettive, unita a manifestazioni culturali o di intrattenimento in media con l’offerta nazionale, sembra rendere il settore turistico trentino, nelle sue espressioni minori (ma per questo più significative dal punto di vista sociale) un’opportunità per ridurre la percezione delle diseguaglianze sociali delle zone svantaggiate; anzi, in più di un’occasione, un ambito per ridurle concretamente. Quello dei servizi turistici è sembrato inoltre un settore in cui la componente femminile può trovare modo di proporsi con maggiore intraprendenza rispetto ad altre attività economiche, esprimendo anche rilevanti competenze culturali.

Le proposte per il settore turistico vanno dalle nuove professioni (accompagnatore di territorio, ambientale, naturalistico, guida turistica, guida alpina, animatore, organizzatore manifestazioni) all’affittacamere, al bed & breakfast (formula di notevole suggestione e di interesse crescente per il pubblico, anche in virtù del limitato numero di requisiti richiesti per accedervi) all’ostello, al recupero del maso tipico (nella formula interessante ma ancora poco nota dell’ospitalità rurale); al bar, bar stube, disco-pub, ristorante, pizzeria, rifugio alpino; fino al parco agricolo, al parco solare

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(con visita agli impianti per la trasformazione dell’energia) al parco tecnologico virtuale. Anche qui, eccettuati i bed & breakfast, la maggior parte delle proposte ha fatto registrare una sola occorrenza.

L’artigianato

L’artigianato, che nelle zone montane spesso – almeno secondo l’opinione dei partecipanti – è sembrato quasi coincidere con l’espressione locale del settore secondario, è percepito come la realtà più dinamica del territorio, anche in presenza di una congiuntura che lo ha individuato come forza in grado di assorbire e ammortizzare il contraccolpo della crisi economica (e della delocalizzazione di alcune fasi produttive) della media impresa. Negli interventi, accanto all’espressione di un disagio dovuto – secondo gli interlocutori – ad una disparità di trattamento dei settori economici in Trentino, che tenderebbe a sfavorire gli artigiani, è sembrato degno di nota lo spazio dedicato alla necessità di investimento nel settore tecnologico ed anche (in parte) della ricerca, quasi ad intravederne un potenziale innovativo per tutto il settore (anche qui in coerenza con quanto rilevato nella già citata, recente analisi Nessuna impresa è un’isola).

Quello dell’artigianato è sembrato il settore più dinamico, colto in un momento di crescita non solo nelle attività tradizionali, ma anche nel settore dei servizi alla persona e della comunicazione d’impresa. Un settore in costante formazione, che esprime un’urgente necessità di approfondire il proprio bagaglio di competenze. Un settore che chiede all’ente pubblico di proporsi come interlocutore nell’analisi delle dinamiche del mercato e del quadro normativo che lo disciplina.

Tra le idee presentate in questo ambito, si segnalano proposte nel settore edile, della lavorazione del porfido, della ceramica, del legno, delle costruzioni di case in legno, in quello delle lavorazioni meccaniche, idrauliche, dell’autoriparazione, dei trasporti; dei serramenti, degli impianti elettrici, audio, realizzazione di scandole, pizza al taglio, negozi di parrucchiera (quest’attività, di norma artigianale, viene spesso classificata nell’ambito dei servizi alla persona, per cui – come ricordato – in questo caso, come ad esempio in quello dell’estetista, la percezione dell’attività professionale tende a gravitare su due diverse categorie). Varie proposte di questo settore riguardavano ampliamenti, diversificazioni produttive, assistenza e verifica di progetti di espansione dell’attività economica.

11.2 Analisi dei questionari di presentazione dell’idea di impresa

Il secondo momento del progetto comportava una rilevazione più precisa dei bisogni di chi intendeva avviare un’attività imprenditoriale – anche per dar luogo alle fasi successive di assistenza e accompagnamento – e comportava quindi una maggior esposizione da parte dei partecipanti, fatto che di per sé ha portato ad una rapida selezione.

Al termine degli incontri di animazione, o ancora durante la fase di dibattito sono stati distribuiti dei Questionari d’ingresso alla fase di assistenza tecnica, rivolti a chi, oltre al desiderio di intraprendere un’attività economica (sondato nelle schede), avesse già in mente un’idea più chiara, articolata: in alcuni casi, un progetto ben definito, strutturato. I questionari potevano essere compilati e riconsegnati al momento, oppure trattenuti e consegnati nei giorni successivi presso il Municipio, oppure presso lo sportello della Segreteria di un Patto territoriale.

Il Questionario, ideato e definito nella prima fase del progetto, è un documento composto di sei pagine, per un totale di 34 domande divise nelle seguenti sezioni: dati generali, dati territoriali, l’imprenditore e la sua esperienza professionale, l’impresa e il suo business. Oltre ai rilievi anagrafici e di territorio, le sezioni inerenti all’imprenditore e all’impresa erano rivolte ad una seria analisi delle competenze e dell’articolazione dei contenuti richiesti dal progetto imprenditoriale.

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Di fatto, come è stato ricordato dai partecipanti, la fase di compilazione del questionario è diventata spesso un “esame di coscienza del potenziale imprenditore”: un’analisi delle sue motivazioni, competenze specifiche, opportunità di mercato, della conoscenza dei processi di produzione, marketing, distribuzione, gestione dei rapporti clienti/fornitori, gestione della fase finanziaria e conoscenza dell’iter autorizzativo (qualora richiesto). Va tuttavia ricordato che a questo stadio, più che di un approfondimento, si è trattato, appunto, di un’autoanalisi riservata a ciascun proponente, che a tale scopo poteva disporre di tutto il tempo che riteneva necessario. L’analisi vera e propria è stata condotta in seguito, nella fase di assistenza tecnica e in quella di accompagnamento.

Nel complesso sono stati raccolti 410 questionari (dato settembre 2008). L’elaborazione statistica effettuata nel giugno 2008 riguarda 351 questionari., pari al 18,6% del totale di partecipanti agli incontri di animazione imprenditoriale (totale considerato:1878 schede partecipazione).

La distribuzione dei questionari per genere segnala subito un dato degno di nota: ben 136 donne hanno deciso di proseguire nel progetto, pari al 38% del totale, a riprova non solo della dinamicità della componente femminile nelle zone svantaggiate, ma anche della necessità, da parte di questa componente, di far fronte con intraprendenza ad una maggiore difficoltà sotto il profilo occupazionale. Solo 6 questionari risultano presentati da persone di nazionalità straniera.

11.2.1 La distribuzione delle idee di impresa per territorio

Nella tabella seguente, si può seguire la distribuzione del numero di questionari presentati per tipologia di comune destinatario dell’intervento, vale a dire comune obiettivo 2 (comune svantaggiato secondo i parametri UE in vigore nel momento di definizione del progetto), comune phasing out (comune in sostegno transitorio, considerato “in via di uscita” dalle zone svantaggiate).

La definizione delle aree Obiettivo 2 e di quelle Phasing out ha, com’è noto, origine nelle politiche comunitarie. Le aree ob. 2 sono considerate aree con difficoltà strutturali, zone in fase di mutazione socio-economica, zone rurali in difficoltà (secondo parametri che riguardano la popolazione, l’andamento demografico, socio-economico, il livello di infrastrutturazione). Le aree Phasing out sono aree che secondo questi parametri non sono più ammissibili all’aiuto dei fondi comunitari europei, aree tuttavia per le quali i regolamenti comunitari hanno previsto un adeguato sostegno di carattere transitorio, per consolidare i risultati raggiunti in precedenza.

Nella tabella sono compresi anche i questionari presentati in Comuni non agevolabili, vale a dire Comuni non inclusi nelle due categorie esposte qui sopra. Si può notare come la maggior parte dei questionari siano stati raccolti proprio nell’ambito di Comuni svantaggiati: ben il 54,7% del totale (contro il solo 31,3% presentato in quelli phasing out).

Tabella 21 Questionari raccolti per tipologia di comune

Frequenza Percentuale

obiettivo 2 192 54,7

phasing out 110 31,3

non agevolabili 48 13,7

Totale 350 99,7

Non risponde 1 ,3

Totale 351 100,0

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La tabella seguente mostra invece la distribuzione di schede e questionari per ciascun comune. I Comuni che hanno visto presentare il maggior numero di questionari sono quello di Luserna (27 questionari in un Comune di circa 300 abitanti) e quello di Spormaggiore (20 questionari). Significativi anche gli 11 di Storo e di S. Orsola Terme (Comune con 900 abitanti), i 10 di Ala e di Cloz (Comune con circa 700 abitanti).

Qui, ancor più di quanto detto in merito agli incontri di animazione, è stata in primo luogo l’intraprendenza delle Amministrazioni comunali, ed in particolar modo dei Sindaci, a permettere di sondare i bisogni e di rispondere alla domanda di imprenditorialità espressa dalla popolazione. Non c’è dubbio che il dato singolarissimo di Luserna sia stato stimolato da un intervento di sostegno alla domanda di imprenditorialità condotto in primo luogo dalla locale Amministrazione, che ha cercato di interpretare le esigenze dell’area comunale ed ha strettamente collaborato nelle varie fasi dell’intervento.

L’andamento triennale del progetto ha confermato che in tutte le zone montane, ed in misura più marcata in aree di evidente svantaggio, la figura del “sindaco imprenditore” (imprenditore del proprio territorio) è destinata ad assumere peso sempre maggiore nelle dinamiche di sviluppo, anche alla luce delle responsabilità di programmazione che le deleghe provinciali hanno inteso e intendono assegnargli.

Nella tabella di seguito si confrontano i Comuni nei quali sono stati effettuati gli interventi e raccolte le Schede di partecipazione con quelli delle persone che hanno compilato il Questionario. Si è quindi calcolato il rapporto tra Schede consegnate e Questionari compilati, con l’unico intento di quantificare la percentuale di coloro che erano particolarmente interessati ad attivare un’impresa imprenditoriale per Comune di appartenenza rispetto al totale di persone che si sono presentati agli Incontri di animazione.

Tabella 22 Numero di Questionari per Comune (confronto con le schede di partecipazione)

Comuni Questionari di presentazione dell’idea

imprenditoriale

ComuniSchede di partecipazioneall’incontro di animazione

Percentuale

compilazione questionari

Non Risponde 3 Non risponde 17 18%

Ala 10

Ala-Avio 1 Ala Avio 59 2%

Albiano 4 Albiano 21 19%

Alta val di Cembra(Grauno, Grumes, Valda)

1

Avio 4

Baselega di Pinè 7 Baselega di Pinè 27 265%

Bassa Villagarina 2

Bedollo 3 Bedollo 25 12%

Bersone 1 Bersone 12 8%

Bezzecca 3

Bienno 3 Bienno 11 27%

Bleggio Inferiore 4

Bleggio Superiore 8 Bleggio Superiore 49 16%

Bondone 3 Bondone 13 23%

Borgo Valsugana 5

Breguzzo 9

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Comuni Questionari di presentazione dell’idea

imprenditoriale

ComuniSchede di partecipazioneall’incontro di animazione

Percentuale

compilazione questionari

Brentonico 3 Brentonico 21 14%

Bresimo 20

Brez 5 Brez 20 25%

Brione 6

Cagnò 7 Cagnò 20 35%

Campodenno 8 Campodenno 11 73%

Canal San Bovo 4 Canal San Bovo 21 19%

Castel Condino 1 Castel Condino 15 7%

Castelfondo 15

Castel Tesino 6 Castello Tesino 21 29%

Castelnuovo 1

Cavareno / Denno 1 Cavareno 7 14%

Cavedago 7 Cavedago 20 35%

Centa S. Nicolò 5

Cimego 4 Cimego 12 33%

Cimone 4 Cimone 13 31%

Cinte Tesino 2

Cis 43

Cles 1

Cloz 10 Cloz 13 77%

Concei 4 Concei 13 31%

Condino 1 Condino 13 8%

Coredo 4 Coredo 19 21%

Cunevo 5 Cuneo 13 38%

Dambel 15

Daone 1 Daone 22 5%

Denno 3 Denno 19 16%

Don 1 Don 1 100%

Dorsino 20

Faver 3 Faver 9 33%

Fiavè 19

Fierozzo 6 Fierozzo 28 21%

Flavon 1 Flavon 14 7%

Fondo 2 Fondo 7 29%

Frassilongo 3 Frassilongo 32 9%

Garnica Terme 6 Garnica Terme 14 43%

Giovo 10

Grigno 9

Grumes 1 Grumes 27 4%

Lardaro 2 Lardaro 8 25%

Lavarone 1

Lisignano 1 Lisignago 14 7%

Livo 3 Livo 37 8%

Luserna 27 Lucerna 29 93%

Malosco 3 Malosco 9 33%

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Comuni Questionari di presentazione dell’idea

imprenditoriale

ComuniSchede di partecipazioneall’incontro di animazione

Percentuale

compilazione questionari

Nogaredo 1

Palù del Fersina 2

Pergine 1

Pieve di Bono 7 Pieve di Bono 30 23%

Pieve Tesino 1 Pieve Tesino 14 7%

Praso 1 Praso 17 6%

Preore 8

Prezzo 1 Prezzo 12 8%

Ragoli 3 Ragoli 11 27%

Revò 21

Romallo 19

Romeno 3 Romeno 17 18%

Roncegno 12

Ronchi Valsugana 17

Roncone 1 Roncone 24 4%

Ronzone 6

Roverè della Luna 4 Roverè della Luna 11 36%

Rovereto 2 Rovereto 38 5%

Rumo 9

S. Lorenzo in Banale 1

S. Orsola Terme 11 S. Orsola Terme 19 58%

S.Lorenzo in Banale 13

Sagron Mis 3 Sagron Mis 32 9%

San Martino di Castrozza 2

Samone 8

San Michele a/A 5

Sanzeno 1 Sanzeno 13 8%

Securelle 2 Saronico 10 20%

Segonzano 6 Segonzano 21 29%

Sfruz 2 Sfruz 12 17%

Siror 7 Siror 27 26%

Smarano 5 Smarano 14 36%

Spera 2

Sover 1

Spormaggiore 20 Spormaggiore 41 49%

Sporminore 3 Sporminore 19 16%

Stenico 6

Storo 11 Storo 41 27%

Taio 2 Taio 39 5%

Telve di Sopra 1 Telve di Sopra 11 9%

Terragnolo 17

Terzolas 8

Tione 6 Tione di Trento 28 21%

Ton 2 Ton 18 11%

Tonadico 5 Tonadico 11 45%

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Comuni Questionari di presentazione dell’idea

imprenditoriale

ComuniSchede di partecipazioneall’incontro di animazione

Percentuale

compilazione questionari

Torbole 2

Torcegno 1 Torcegno 6 17%

Trambileno 2 Trambileno 7 29%

Trento 3 Trento 20 15%

Tres 2 Tres 20 10%

Tenno 1

Unione dei comuni di Bleggio Inferiore/Lomaso

10

Valda 1

Valfloriana 4 Valfloriana 26 15%

Vallarsa 1 Vallarsa 4 25%

Vervò 5

Valle di Cembra 1

Vigo Rendena 1

Villa Lagarina 3 Villa Lagarina 21 14%

Zuclo 3 Zuclo 18 16%

Totale 351 Totale 1741

11.2.2 Questionari presentati per patto territoriale

L’intervento del progetto di animazione nelle aree interessate dallo sviluppo di un Patto territoriale è stato condotto di concerto con il Servizio Aree Montane e Patti territoriali della Provincia Autonoma di Trento, nonché con le segreterie di ciascuno dei vari patti. In presenza di patti giunti alla prima fase di apertura del bando, spesso il responsabile del progetto ed uno o più operatori sono intervenuti anche nelle serate di presentazione del Patto alla popolazione dell’ambito di riferimento, promosse dalla Provincia Autonoma di Trento. In generale, il progetto di animazione ha potuto contribuire a svolgere efficacemente quel primo momento di supporto, analisi del progetto ed indirizzo dei vari proponenti verso gli enti istituzionali di riferimento che rimane un passaggio estremamente delicato nell’avvio di un’attività, ed anzi si evidenzia come una delle criticità più rilevanti emerse dal confronto con le varie realtà del territorio.

La tabella del numero di questionari presentati per ogni Patto va interpretata secondo la diversa fisionomia assunta dai vari patti sul territorio. Il dato più significativo, 47 questionari, relativo alla Valle del Chiese esprime la dinamicità di un territorio che, assieme alla Valle di Cembra, ha avuto il privilegio di avvalersi per primo dello strumento pattizio; ma certo, oltre alla propensione imprenditoriale di questo particolare ambito, in stretto contatto con l’area pedemontana lombarda, il risultato è dovuto anche alla particolare capillarità raggiunta dall’intervento, dove il ruolo del Consorzio BIM locale (tra l’altro promotore della ricerca Nessuna impresa è un’isola) si è rivelato davvero prezioso.

Alla Valle del Chiese segue, per numero di questionari, l’ambito del Tesino-Vanoi (34 questionari), anch’esso interessato da un processo di sviluppo con indirizzo prevalentemente turistico, ed ugualmente proiettato sul mercato di una regione confinante, in questo caso il Veneto.

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A seguire si trovano poi le Maddalene (25) e il Baldo Garda (24). La prima di queste aree, composta da undici comuni e caratterizzata in buona parte dalla coltivazione della mela, ha dato luogo ad un progetto di diversificazione economica in chiave turistica; la seconda composta da soli 4 comuni, a spiccata vocazione turistica, è stata rivolta alla valorizzazione del Baldo.

Seguono quindi la Valle di Cembra e la Valle dei Mocheni (entrambe con 22 questionari). Qui, la Valle di Cembra ha conseguito risultati di indubbio rilievo nel corso del Patto territoriale, risulta però molto significativo il dato della Valle dei Mocheni, nella quale l’intervento di animazione è giunto nelle fasi preliminari del Patto, molto prima dell’effettiva sottoscrizione, segno di un territorio che esprime una necessità di rilancio complessivo, emersa anche nelle fasi successive del progetto.

Come accennato in precedenza, nelle aree non interessate da un Patto territoriale l’interpretazione delle dinamiche di sviluppo di una zona è rimasta, di fatto, in mano al Sindaco ed all’Amministrazione locale. Proprio in queste aree si è reso più marcato un dato già emerso anche in sede di valutazione complessiva dell’esperienza pattizia: i patti territoriali, anche quando hanno colto un ottimo risultato in termini di investimenti, per la loro stessa natura hanno favorito lo sviluppo di imprese già esistenti, più di quanto non abbiano invece promosso la formazione di nuove imprese. Del resto, la richiesta di autoimprenditorialità sondata dal progetto anche in aree pattizie è dovuta in parte a questo mancato intervento nei confronti delle imprese di nuova costituzione. A questo proposito va anzi detto che, nel Secondo bando di alcuni Patti territoriali – anche su segnalazione dei responsabili del progetto di animazione territoriale – è stata spesso inserita una specifica misura relativa al sostegno della nuova imprenditoria.

L’intervento in aree fuori-patto, per lo più favorito dall’intervento dei Sindaci, ha raccolto un numero di adesioni estremamente significativo, pari al 29,9% dei questionari presentati.

Tabella 23 Questionari per Patto Territoriale

Frequenza Percentuale

PT della Valle di Cembra 22 6,3

PT della Valle del Chiese 47 13,4

PT dell’Altopiano di Pinè 10 2,8

PT del Tesino Vanoi 34 9,7

PT dell’Alta Val di Non 11 3,1

PT delle Maddalene 25 7,1

PT della Predaia 17 4,8

PT della Valle dei Mocheni 22 6,3

PT della Valsugana Orientale 18 5,1

PT della Val di Leno 3 ,9

PT del Baldo Garda 24 6,8

PT del Monte Bondone 12 3,4

Aree fuori patto 105 29,9

Totale 350 99,7

Non Risponde 1 ,3

Totale 351 100,0

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Figura 8 Questionari per patto territoriale

11.2.3 La distribuzione delle idee di impresa per sesso del proponente

Le idee di impresa presentate da donne rappresentano il 38,2 % delle idee censite. La maggior parte delle idee di impresa presentate da donne si concentrano nel settore turistico (in particolare ricettività turistica). Nel settore dei servizi i progetti presentati da donne eguagliano quelli presentati da uomini (31 vs 34); rilevante è la presenza di donne nei servizi di progettazione e consulenza (14 vs 18); esclusivamente femminili sono i progetti riguardanti i servizi di cura, quali l’istruzione e la sanità. Significativa è anche la presenza di progetti femminili nel settore artigiano per l’alta presenza di progetti nei servizi riguardanti l’estetica ed il benessere, ma anche di progetti riguardanti la produzione alimentare.

Tabella 24 Idee di impresa per sesso del proponente

Settore ATECOProgetti presentati

da donneProgetti presentati

da uomini1 Agricoltura zootecnica 11 21

2 Silvicoltura e Ripr80istino ambientale 0 10

TOTALE AGRICOLTURA 11 31

15 Artigianato alimentari 6 5

17 Artigianato tessili 2 1

20 Artigianato Legno 5 10

21 Artigianato carta 1 0

22 Artigianato Stampa 0 2

26 Artigianato ceramica 1 1

28 Artigianato meccanica 0 6

Questionari per Patto Territoriale

22

47

10

34

1125

17 22 183

2412

105

0

20

40

60

80

100

120

PT d

ella

Val

le d

i Cem

bra

PT d

ella

Val

le d

el C

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PT d

ell'A

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el M

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Bon

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uest

iona

ri

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Settore ATECOProgetti presentati

da donneProgetti presentati

da uomini45 Artigianato edile e impianti 1 19

50 Artigianato manut. autoveicoli 0 6

60 Servizi di trasporto 3 5

93 Estetica benessere 13 4

TOTALE ARTIGIANATO 32 59

51 Commercio ingrosso 0 4

52 Commercio dettaglio 18 7

TOTALE COMMERCIO 18 11

55 Ricettività turistica 39 58

63 Servizi turistici 11 13

92 Sport e intrattenimento 2 10

TOTALE TURISMO 52 81

70 Servizi immobiliali 0 3

72 Servizi informatici e video 1 13

74 Servizi consulenza e progettazione 14 18

80 Servizi Istruzione 12 0

85 Servizi Sanità 4 0

TOTALE SERVIZI 31 34

NON CLASSIFICATI ATECO 0 11

11.2.4 Attuale occupazione dei proponenti

Rispetto a quanto osservato nell’analisi delle Schede di partecipazione, passando ai Questionari d’ingresso, nei quali i proponenti presentavano una vera e propria idea d’impresa, si è assistito ad una maggior disponibilità ad entrare in dettaglio nella propria professione. La prima conseguenza, dunque, si è registrata (almeno nella prima parte del documento) nella diminuzione delle risposte mancanti o incomplete, sia per quanto riguarda l’occupazione attuale, sia per quanto concerne il settore dell’ipotesi che si vorrebbe realizzare.

La maggior percentuale di chi segnala la propria professione riguarda i dipendenti a tempo indeterminato (35,1%) sul totale dei rispondenti alla domanda. Sensibile anche la percentuale dei lavoratori autonomi (16,6% lavoratore autonomo con partita iva + 13,8 titolare d’impresa = 30,4%).

La percentuale di lavoratori dipendenti a tempo determinato è aumentata all’11,3 % (nelle schede di partecipazione erano indicati come precari e ammontavano al 2,5%). Anche i progetti presentati da disoccupati aumentano al 5% (nelle schede di partecipazione erano il 2,5%).

Significativi sono anche le idee di impresa presentate da studenti (6,6%) e da casalinghe (5,6%).

Tabella 25 Attuale occupazione dei proponenti

Frequenza Percentuale Percentuale valida

Dipendenti a tempo indeterminato 112 31,9 35,1

Dipendenti a tempo determinato 36 10,3 11,3

Lavoratore autonomo P.IVA 53 15,1 16,6

Titolare di impresa 44 12,5 13,8

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Trentino Sviluppo SpA

112

Frequenza Percentuale Percentuale valida

Disoccupato 16 4,6 5,0

Studente 21 6,0 6,6

Casalinga 18 5,1 5,6

Altro 19 5,4 6,0

Totale 319 90,9 100,0

Non Risponde 32 9,1

Totale 351 100,0

11.2.5 Titolo di studio dei proponenti

Il 90% dei proponenti ha risposto in merito alla domanda inerente al titolo di studio. Tra questi, i più numerosi sono i diplomati (44,7%), ma è rilevante anche la percentuale dei laureati (13,2%), che aumenta a 16% sommandovi il 2,8% di titolari di un master post-universitario.

Tabella 26 Titolo di studio dei proponenti

Frequenza Percentuale Percentuale valida

licenza elementare 4 1,1 1,3

licenza media 56 16,0 17,6

scuola professionale 65 18,5 20,4

diploma 142 40,5 44,7

laurea 42 12,0 13,2

master post universitario 9 2,6 2,8

Totale 318 90,6 100,0

Non Risponde 33 9,4

Totale 351 100,0

Figura 9 Titolo di studio dei proponenti

Licenza elementare1,1%

Master post universitario2,6%

Non risponde9,4%

TITOLO DI STUDIO

Licenza media16%

Scuola professionale18,5%

Laurea12%

Diploma40,5%

Page 115: Fare Microimpresa In Montagna

Trentino Sviluppo SpA

113

Se si osserva l’incrocio dei dati del titolo di studio con l’attuale occupazione, nella tabella a seguire, si può notare come i diplomati presso la scuola professionale (il 18,5% del totale di chi ha presentato un questionario) siano per lo più dipendenti con contratto a tempo indeterminato, titolari d’impresa o lavoratori autonomi, ad ulteriore conferma del buon funzionamento del settore della formazione professionale in Trentino. I diplomati sono in maggior parte dipendenti, o con contratto a tempo indeterminato (38,4%) o precari (10,1%). Gli altri diplomati sono per lo più titolari d’impresa, o lavoratori autonomi, (complessivamente il 24,6% dei diplomati rispondenti). Significativo, tra i diplomati, anche il 10% che si dichiara studente (tendenzialmente universitario).

Al momento dell’intervento di animazione, l’occupazione dei laureati che hanno poi sviluppato un’idea d’impresa si divideva in gran parte tra lavoratori autonomi con partita iva, condizione spesso richiesta dall’esercizio di una professione legata a un Albo (34,1%) e lavoratori precari (19,5%), andamento che conferma un fenomeno spesso descritto dagli osservatori del mercato del lavoro negli ultimi anni, vale a dire la diminuita capacità di assorbimento di laureati nei tradizionali settori di destinazione della formazione universitaria (ente pubblico in ogni sua forma, organi di categoria, settore del credito, media impresa). Al momento della compilazione del questionario, solo 6 su un totale di 41 laureati erano dipendenti con contratto a tempo indeterminato (e naturalmente hanno partecipato al progetto per sviluppare un’idea di attività autonoma).

Tabella 27 Titolo di studio / attuale attività

licenza elementare

licenzamedia

scuola professionale

diploma laureamaster post universitario

Totale

Dip. tempo indet. 1 12 34 53 6 4 110

25,0% 22,2% 52,3% 38,4% 14,6% 44,4% 35,4%

Dip. tempo det. 0 10 4 14 8 0 36

,0% 18,5% 6,2% 10,1% 19,5% ,0% 11,6%Lavoratore autonomo P.IVA

0 10 7 16 14 4 51

,0% 18,5% 10,8% 11,6% 34,1% 44,4% 16,4%

Titolare di impresa 1 7 13 18 4 0 43

25,0% 13,0% 20,0% 13,0% 9,8% ,0% 13,8%

Disoccupato 0 4 1 6 3 1 15

,0% 7,4% 1,5% 4,3% 7,3% 11,1% 4,8%

Studente 1 4 0 14 2 0 21

25,0% 7,4% ,0% 10,1% 4,9% ,0% 6,8%

Casalinga 1 3 4 6 2 0 16

25,0% 5,6% 6,2% 4,3% 4,9% ,0% 5,1%

Altro 0 4 2 11 2 0 19

,0% 7,4% 3,1% 8,0% 4,9% ,0% 6,1%

Totale 4 54 65 138 41 9 311

Le proposte di attività imprenditoriali presentate dai laureati sono state le seguenti:• consulenzaperinterventidirisparmioidrico• servizialleimpreseeaglienti/comitatichesvolgonoattivitànelcampoeconomico,culturale,

sociale, turistico e di marketing territoriale

Page 116: Fare Microimpresa In Montagna

Trentino Sviluppo SpA

114

• palestrafitness,recuperoattivitàmotoria,aerobica,ginnastica-presciistica• progettazione architettonica, sicurezza cantieristica, progettazione urbana, territoriale,

progettazione d’interni• progettazionenelcampodell’ingegneriacivile,direzionelavori,pianidisicurezza• escursioni,didattica,formazione• attivitànelsettoredellegno:produzioneperline,commerciolegnadaardere• consulenzepsicologiche,formazione,supervisione• attività di formazione: accompagnamento scolastico, progetti nelle scuole, consulenze,

formazione• assistenzainmateriaambientale,progettazioneinmateriaambientale,consulenzasicurezza,

formazione e corsi• barstubecongiardino,animazione,venditasouvenir• attività di ricerca, coordinamento progetti ricerca, organizzazione e promozione di eventi,

allestimento mostre, attività didattiche, percorsi guidati• servizioturistico,marketingspecifico• acquistomaterieprimeaprezziagevolati

Chi invece ha svolto un master ha espresso queste proposte:• terapiamedicamanuale• turismo• terapia di coppia e/o familiare, mediazione familiare, consulenze nella fase di separazione

legale, formazione alla genitorialità

11.2.6 Settore di attività dei progetti di impresa

Coerentemente con un andamento generale già sondato nelle risposte delle Schede di partecipazione – ma con una specificazione maggiore, visto il grado di dettaglio del Questionario – il settore che ottiene il maggior numero di segnalazioni da parte di chi intende avviare un’attività di lavoro autonomo è quello turistico (35,8%), seguito dall’Agricoltura (21,5%) e dai Servizi (20,3%), e quindi, con percentuale poco discosta, dall’Artigianato (19%).

Tabella 28 Settore dell’attività che si vuole intraprendere

N Percentuale di casi

Agricoltura 68 21,5%

Edilizia 21 6,6%

Artigianato 60 19,0%

Commercio 63 19,9%

Trasporto 8 2,5%

Turismo 113 35,8%

Altri servizi 64 20,3%

Altro 21 6,6%

Totale risposte 418 132,3%

(Nota: era possibile scegliere più di un settore; le percentuali sono calcolate rispetto al totale di questionari) La lettura della seguente tabella, deve tener presente che viene evidenziata la collocazione che il rispondente ha dato rispetto all’attività che intende intraprendere: nell’analisi delle risposte si è così osservato che l’attività di Agriturismo è stata da alcuni interpretata come un’attività del settore Agricoltura, mentre da altri come un’attività del settore Turismo.

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Trentino Sviluppo SpA

115

Osservando le attività di servizio elencate nella seguente tabella si può notare che, se si escludono le attività riconducibili all’esercizio di professioni tradizionali che fanno capo ad un Albo, le altre ipotesi di intervento, pur esprimendo talvolta contenuti innovativi, sono state spesso formulate in modo generico. La difficoltà di definizione di un’attività, in un ambito dai contorni sempre incerti, come è quello dei servizi – sempre in corso di mutamento – è stata oggetto di riflessione ed approfondimento nella fase successiva del progetto, quella riservata all’assistenza tecnica. In termini generali, se le proposte di intervento nel settore turistico hanno spesso trovato sviluppo, quelle informatiche, pur in presenza di buone competenze da parte dei proponenti, si sono dovute scontrare con evidenti problemi di mercato, in cui l’offerta appare superiore alla domanda. Quelle relative al rapporto con gli istituti scolastici scontano spesso la difficoltà di operare di concerto con i tempi della programmazione annuale degli stessi istituti.

Tabella 29 Attività di servizio

Turismo / Intrattenimento Altri servizi Cultura /educazione ICT

agriturismo arredatrice designer Attività culturali informaticaanimazione e organizzazione eventi vari

distributore gasolio benzina consulenze psicologiche siti web

aprire un ristoranteper fare piatti italo-brasiliani

energia rinnovabile educativo formativo

cultura emantenimento territorio

foreste educazione ambientale

cura del corpo-benessere gestione punto vendita educazione sociale

gestione rifugio alpino gestioni immobiliari formazione

intrattenimento industria Settore artistico promozione culturale eformativa

infortunistica stradale - gestione sinistri automobilistici

Pittura

ristorazione ingegneriaconsulenze ambiente e sicurezza

turismo sportivo progettazione Scuola e tempo libero

sport - ambiente progettazione e sviluppo Scuole

sport e salute servizi di consulenza Servizi alla persona

manutenzione del territorio servizi mulimediali Servizi per l’infanzia

discoteca settore terziario avanzato servizio giovani

tempo liberosgombero neve escavi movimento terra

serviziosanitario / medico

studio di progettazione

terziario avanzato

tutte le aziende che necessitanodi comunicazione creativa

Andando ad analizzare i settori nei quali i dipendenti a tempo indeterminato vorrebbero intraprendere un’attività, emergono, su tutti, il turismo e l’artigianato (rispettivamente, con il 35% ed il 25,7%). Per quanto riguarda i lavoratori autonomi, prevalgono invece il turismo e i servizi (escluso il commercio, con il 35% ed il 33%). Chi si è dichiarato “titolare d’impresa”, privilegia invece l’investimento agricolo (45%) o quello turistico (33). Gli studenti, due terzi dei quali, naturalmente – e lo vedremo tra poco – aspirano ad un’attività a tempo pieno, intendono intervenire nel settore del Turismo (52%) e del Commercio (24%), ambito che, almeno stando all’orientamento complessivo dei partecipanti, non sembra essere valutato molto positivamente. Le difficoltà del settore commerciale nelle aree montane sono note, sia in termini di localizzazione, rispetto al fondovalle, sia per quanto

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Trentino Sviluppo SpA

116

riguarda il rapporto con la grande distribuzione. La propensione per il settore commerciale (33,5%) espressa nelle ipotesi d’impresa delle casalinghe può essere interpretata anche in altro modo, vale a dire nella possibilità – offerta in genere dalla gestione di un esercizio commerciale – di conciliare l’impegno professionale e quello familiare.

Tabella 30 Occupazione attuale per settore di attività in cui si intende intraprendere

Dip. tempo indet.

Dip.tempo det.

lavoratore autonomo

p.iva

titolaredi impresa

Disoccupato studente casalinga altro Totale

Agricoltura 18 8 13 19 1 0 1 3 63

17% 24% 25% 45% 7% 0% 6% 18% 21%

Edilizia 8 2 9 2 0 0 0 0 21

8% 6% 18% 5% 0% 0% 0% 0% 7%

Artigianato 26 5 9 5 5 2 2 3 57

25% 15% 18% 12% 33% 10% 11% 18% 19%

Commercio 21 8 8 8 1 5 6 5 62

20% 24% 16% 19% 7% 24% 33% 29% 20%

Trasporto 4 0 0 1 0 0 1 2 8

4% 0% 0% 2% 0% 0% 6% 12% 3%

Turismo 37 15 18 14 3 11 4 5 107

35% 44% 35% 33% 20% 52% 22% 29% 35%

Altri servizi 13 10 17 6 6 5 4 3 64

12% 29% 33% 14% 40% 24% 22% 18% 21%

Altro 6 2 3 4 1 3 1 1 21

6% 6% 6% 10% 7% 14% 6% 6% 7%

Totale 106 34 51 42 15 21 18 17 304

(Percentuali calcolate sul totale colonna)

11.2.7 Progetti di impresa per settore e per ambito territoriale

Pur non essendo possibile un confronto analitico - in quanto i diversi ambiti territoriali differiscono per numero di incontri effettuati ed utenti raggiunti - la distribuzione settoriale delle idee di impresa per ambiti territoriali evidenzia il ruolo del territorio nel determinare le opportunità di mercato e quindi di impresa.

Come già specificato il settore turistico è quello che ha raccolto maggiori proposte di iniziative imprenditoriali, queste si sono in particolare espresse negli ambiti territoriali della Bassa Val di Non (20 questionari), della Valsugana (13), delle Maddalene (12) delle Giudicarie (11) della Valle dei Mocheni (10). Si tratta in tutti i casi elencati di territori a potenziale turistico inespresso. Territori a forte vocazione turistica come la Val di Sole e la Val Rendena presentano poche progettualità per il semplice motivo che l’intervento di animazione non è stato ancora concluso. Nel Primiero sono stati presentati 9 progetti turistici.

Nell’artigianato emergono i territori delle Giudicarie (14) e della Valle del Chiese (10) già caratterizzati da una significativa presenza di imprese artigiane.

La Valle del Chiese, assieme al Baldo Garda, emerge anche per i progetti di impresa nel settore dei servizi, in particolare servizi di consulenza e progettazione.

I progetti in agricoltura presentano una distribuzione abbastanza omogenea in tutti gli ambiti considerati.

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Trentino Sviluppo SpA

117

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Vallagarina (Rovereto)

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Valsugana

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Trentino Sviluppo SpA

118

11.2.8 Attività a tempo pieno o a tempo parziale

Il 62,4% del totale dei partecipanti manifesta l’intenzione di avviare un’attività di lavoro autonomo da svolgersi a tempo pieno.

Tabella 32 Attività a tempo pieno o parziale

Frequenza Percentuale Percentuale valida

attività svolta a tempo pieno 219 62,4 69,1

attività integrativa del reddito 98 27,9 30,9

Totale 317 90,3 100,0

Non Risponde 34 9,7

Totale 351 100,0

Tra i dipendenti a tempo indeterminato che hanno presentato il questionario prevale la tendenza al cambiamento: il 66% vorrebbe iniziare un’attività autonoma a tempo pieno (come visto i settori di preferenza sono quello turistico e quello artigianale). Solo il 34% dei proponenti già occupati come dipendente a tempo indeterminato desidera avviare un’attività integrativa del reddito (va detto che altre rilevazioni ci dicono che in termini generali – e quindi non tra i proponenti censiti in questo progetto – una parte sensibile dei dipendenti ha già un’attività integrativa).

Chi è già titolare d’impresa, manifesta una propensione all’investimento ancora più forte, pari al 72,5%, propensione che però va interpretata. Le fasi successive del progetto hanno, infatti, chiarito questo dato: i titolari d’impresa desiderano per lo più crescere, differenziare la propria attività (verso nuovi processi o nuovi prodotti) o diversificare gli investimenti anche in altri settori. Qui, in particolare, come visto già sopra, sembra ancor più evidente che chi si è dichiarato “titolare d’impresa” guardi con interesse al settore agricolo (45%) ed a quello turistico (33%). Si tratta di investimenti in settori tradizionali dell’economia provinciale, settori in cui si può intervenire senza creare turbative all’attività economica già avviata, in cui si può operare con la collaborazione dei familiari.

Pure chi è già lavoratore autonomo con Partita IVA vorrebbe lavorare in forma autonoma a tempo pieno (65,3%) per lo più nel Turismo (35%), o in altri servizi (33%), o in agricoltura (25%). Rispetto a quanto detto per i titolari d’impresa, i lavoratori autonomi, più spesso i giovani liberi professionisti, sembrano evidenziare una maggior fragilità in ingresso nel settore: nel loro caso non si tratta di diversificazione produttiva, ma di consolidamento di una posizione professionale economicamente ancora incerta.

Tra i lavoratori a tempo determinato – tra i precari – è ovviamente alta l’aspirazione ad un’attività a tempo pieno (70,6%). I settori prevalenti sono quelli caratterizzati dall’andamento stagionale, settori nei quali l’esercizio dell’attività lavorativa a tempo determinato si è consolidato nel corso del tempo: vale a dire nel Turismo (35,1%) e Altri servizi (12,4%).

I disoccupati (pari al 4,6% di chi ha segnalato la propria occupazione sul questionario) rappresentano un dato strutturale, che conferma la situazione trentina come quella di una provincia di piena occupazione: aspirano naturalmente ad un’attività a tempo pieno (80%). Le idee di impresa sono state espresse per lo più nel settore artigianale (40%) e in quello dei servizi (33%).

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119

Tabella 33 Attività attuale e obiettivi dell’attività che si intende avviare

dip tempo indet

dip tempo

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lavoratore autonomo

p.iva

titolaredi impresa

disoccupato studente Casalinga altro Totale

attività svolta a tempo pieno

68 24 32 30 12 15 14 14 209

64,2% 70,6% 65,3% 69,8% 80,0% 71,4% 77,8% 73,7% 68,5%attività integrativadel reddito

38 10 17 13 3 6 4 5 96

35,8% 29,4% 34,7% 30,2% 20,0% 28,6% 22,2% 26,3% 31,5%

Totale 106 34 49 43 15 21 18 19 305

(Nota: Le percentuali e i totali si basano sui rispondenti AD ENTRAMBE LE DOMANDE.)

11.2.9 Tipo di impresa che si intende avviare

Buona parte delle persone che hanno presentato il Questionario intende avviare un’impresa individuale (40%). Risulta tuttavia significativa la percentuale di quelli che intendono avviare un’impresa con altri soci, sia in forma societaria (16,8%), sia in forma cooperativa (7,7%). Riferendoci di nuovo ad un dato delle schede di partecipazione – per lo più coerenti con i dati dei Questionari – si può notare come quelli che si sono indirizzati verso la forma cooperativa abbiano in media più di 38 anni, e siano mediamente consapevoli di ciò che questa forma giuridica comporta, e delle differenze rispetto alle altre forme societarie. Molto alta sembra la percentuale relativa all’impresa familiare (20,2% del totale proponenti), che rappresenta la seconda tipologia d’impresa indicata. Va detto, tuttavia, come si vedrà qui sotto, che quando si tratta di individuare una forma giuridica, questa risposta sembra scomparire, o tradursi semplicemente nella percentuale di chi non sa individuarne una.

Tabella 34 Tipo di impresa che si intende avviare

Frequenza Percentuale Percentuale valida

impresa individuale 141 40,2 46,2

impresa familiare 71 20,2 23,3

impresa con soci 59 16,8 19,3

impresa cooperativa 27 7,7 8,9

altro 7 2,0 2,3

Totale 305 86,9 100,0

Non Risponde 46 13,1

Totale 351 100,0

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Figura 10 Tipo di impresa che si intende avviare

TIPO DI IMPRESA CHE SI INTENDE AVVIARE

Impresa individuale40,2%

Impresa con soci16,8%

Non risponde13,1%13,1%

Impresa familiare20,2%

Impresa cooperativa7,7%

Altro2%

11.2.10 Forma giuridica

Tra chi ha compilato il Questionario, ben il 33,6% non ha ancora individuato una forma giuridica per la sua idea d’impresa. Se a questo dato si aggiunge il 14,8% di chi non ha risposto alla domanda, si è spinti a concludere che la forma che un’impresa deve assumere giuridicamente per costituirsi risulta, in genere, davvero di diffi cile interpretazione per i proponenti (sebbene sia il caso di ricordare che, come visto, quasi il 60% di chi ha compilato il questionario è in possesso del Diploma di maturità). Pur nella consapevolezza che la trattazione delle questioni societarie è di norma riservata a professionisti e consulenti, nel caso di chi sta per avviare un’attività di lavoro autonomo sembra necessaria una maggior consapevolezza degli elementi che compongono la questione, che infatti – anche alla luce di questi dati – il progetto ha cercato di affrontare nelle fasi successive.

Nel novero delle forme giuridiche indicate, tolta l’impresa individuale (31,9% del totale dei questionari), si segnala la società cooperativa (6,0%, dato sostanzialmente coerente con quanto detto in merito al tipo di impresa). Tra le società di persone, come di consueto, si segnala la S.n.c. (5,1% del totale), mentre tra le società di capitale la S.r.l. si attesta attorno al 4,6%, con una percentuale minima inerente la S.r.l. uninominale (forma, tuttavia, che non appena venga esposta nelle sue linee generali sembra subito destare notevole interesse negli interlocutori).

Tabella 35 Forma giuridica

Frequenza Percentuale Percentuale valida

ditta individuale 112 31,9 37,5

società cooperativa 21 6,0 7,0

s.a.s. 7 2,0 2,3

s.n.c. 18 5,1 6,0

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Frequenza Percentuale Percentuale valida

s.r.l. 16 4,6 5,4

s.r.l. uninominale 3 ,9 1,0

altro 4 1,1 1,3

no, devo ancora individuare la forma giuridica 118 33,6 39,5

Totale 299 85,2 100,0

Non Risponde 52 14,8

Totale 351 100,0

Oltre a queste, chi ha risposto altro segnala le seguenti forme giuridiche: società semplice; società semplice agricola.

11.2.11 Precedenti esperienze di lavoro autonomo

Più del 52% di coloro che hanno presentato un Questionario ha dichiarato di non aver avuto esperienze di lavoro autonomo. Vista l’alta percentuale, tra i partecipanti, dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, il dato non sorprende più di tanto. Resta comunque molto rilevante, in special modo in questo progetto (rivolto alle nuove attività), il dato di chi ha già avuto esperienze di lavoro autonomo (38%) e che vorrebbe diversifi care la propria attività o, mutarla totalmente.

Tabella 36 Precedenti esperienze di lavoro autonomo

Frequenza Percentuale Percentuale valida

si 133 37,9 41,8

no 185 52,7 58,2

Totale 318 90,6 100,0

Non Risponde 33 9,4

Totale 351 100,0

Figura 11 Precedenti esperienze di lavoro autonomo

HA GIÀ SVOLTO LAVORO AUTONOMO

Si37,9%

No52,7%

Non risponde9,4%

Non risponde

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11.2.12 Esperienze nel settore in cui si intende intraprendere

L’avviamento di un’attività di lavoro autonomo, da parte di un potenziale imprenditore, non richiede solo una competenza specifica nella produzione del prodotto o servizio che è in oggetto a ciò che si vuole intraprendere ma, viste le responsabilità di ordine giuridico e finanziario che l’imprenditore va ad assumersi, anche una serie di competenze nei diversi ambiti di articolazione dell’attività d’impresa che spesso vengono trascurati nell’analisi, di solito incentrata sulla produzione.

Nell’ambito di coloro che hanno presentato il questionario si è assistito ad una profonda riflessione sulle proprie capacità tecnico-produttive e sugli elementi materiali della produzione, che spesso ha lasciato in secondo piano l’analisi di altre competenze indispensabili all’avvio e alla gestione di un’attività.

Le ragioni di questa tendenza sono, però, facilmente individuabili. Quasi il 70% di chi ha risposto a questa parte del questionario dichiara di avere avuto una qualche esperienza nel settore in cui intende sviluppare la propria attività: esperienza maturata come lavoratore dipendente o come imprenditore (33,6%); oppure maturata per passione, dove l’attività è stata intrapresa per hobby (21,1%).

Le competenze gestionali, amministrative, e più semplicemente burocratiche o sono state date per acquisite, o sono state considerate materia da affidare al proprio commercialista (con delega, invero, assai larga), oppure, semplicemente, sono state evidenziate come una lacuna da colmare, cui il progetto di animazione ha cercato di rispondere nelle fasi successive, rinviando poi i proponenti, laddove l’iniziativa lo richiedesse, ad altri interlocutori ed agenzie formative in grado di rispondere alle esigenze specifiche.

Tabella 37 Esperienze maturate nel settore in cui si intende intraprendere

Frequenza Percentuale Percentuale valida

Nessuna 70 19,9 22,6

specifiche da lavoratore dipendente/imprenditore 118 33,6 38,9

generiche o collaterali per collaborazioni 50 14,2 15,6

generiche o collaterali per passione, hobby, volontariato 74 21,1 22,9

Totale 312 88,9 100,0

Non Risponde 39 11,1

Totale 351 100,0

11.2.13 Competenze nella produzione del bene/servizio

Come anticipato, i partecipanti al progetto che hanno presentato un Questionario mostrano una certa sicurezza in merito alla propria competenza specifica nella produzione del bene o del servizio. Quasi il 90% di chi ha risposto a questa domanda ritiene di essere in possesso di buone competenze (60,1%), o comunque competenze sufficienti ad intraprendere l’attività (30,4%).

Come in parte prevedibile, è questa la variabile che il più delle volte spinge ad ideare un’ipotesi d’impresa. Nella proposta, infatti, sembra venire in luce la competenza che sta maggiormente a cuore al partecipante, quella seguita, almeno affettivamente, da più lungo tempo (ricordiamo che, come visto qui sopra, il 70% di chi ha risposto a questa parte – e ha risposto il 90% del totale – ha dichiarato di avere già esperienze nel settore in cui vuole intervenire).

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Solo il 9,5% dei rispondenti ha dichiarato di possedere le competenze richieste in misura scarsa, dato comunque degno di nota, perché indica che l’ipotesi imprenditoriale ha preso corpo in ragione di motivazioni di ordine diverso, di opportunità di mercato, di disponibilità di spazi, di eredità familiari.

Tabella 38 Competenze nella produzione del bene/servizio

Frequenza Percentuale Percentuale valida

buone 178 50,7 60,1

sufficienti 90 25,6 30,4

scarse 28 8,0 9,5

Totale 296 84,3 100,0

Non Risponde 55 15,7

Totale 351 100,0

11.2.14 Competenze nella commercializzazione

Se le competenze dirette, di produzione, sono patrimonio della maggior parte dei proponenti, la coscienza di possedere quelle di carattere commerciale sembra meno solida.

In realtà – come si è potuto verificare anche nelle fasi successive del progetto – è la nozione, l’immagine stessa del mercato ad apparire sfuggente, imprevedibile, anche a chi ha già operato nel settore. Se coloro che non rispondevano alla domanda sulla propria competenza in merito alla produzione costituivano solo il 15,7% del totale, quelli che non sanno valutare la propria competenza in ambito commerciale (e, vedremo tra poco, anche amministrativo), sono il 23,6%.

Solo il 25,4% del totale ha risposto di ritenere di possedere buone competenze in ambito commerciale; il 35,3% ha risposto di avere competenze sufficienti, il 15,7% dei rispondenti ha affermato di riconoscersi scarse competenze commerciali.

Il dato positivo (76,4%) è di circa otto punti percentuali inferiore a quello relativo alle competenze tecnico-produttive. Va comunque segnalato che un quarto di chi ha presentato il Questionario ritiene di possedere in buona misura sia competenze produttive che quelle commerciali.

Tabella 39 Competenze nella commercializzazione

Frequenza Percentuale Percentuale valida

buone 89 25,4 33,2

sufficienti 124 35,3 46,3

scarse 55 15,7 20,5

Totale 268 76,4 100,0

Non Risponde 83 23,6

Totale 351 100,0

11.2.15 Competenze nell’amministrazione

Come visto, più le competenze si allontanano dalla produzione, più la sicurezza di possederle in misura buona o comunque sufficiente diminuisce. La risposta positiva di chi ritiene di avere maturato un grado di competenza in questo ambito è pari al 76,4% dei rispondenti. Alla luce di quanto detto in termini generali sulle competenze necessarie ad un imprenditore

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124

in fase di avvio, questo dato sembra comunque molto elevato, probabilmente originato da un notevole grado di fiducia nelle proprie conoscenze gestionali che si è rivelato poi poco coerente con alcune risposte che vedremo più avanti, relative ad aspetti particolari della gestione.

Il dato rappresenta per lo più la fiducia nelle possibilità di acquisire queste competenze, in merito alle quali da parte dei proponenti è sempre stata richiesto un supporto di carattere formativo. Per tale ragione, nelle serate di assistenza tecnica si è ritenuto opportuno inserire anche una parte dedicata all’illustrazione delle competenze amministrative indispensabili a chi deve avviare un’attività d’impresa, rinviando poi, come già accennato, ad altri momenti e ad altri interlocutori il compito degli approfondimenti.

Tabella 40 Competenze nell’amministrazione

Frequenza Percentuale Percentuale valida

buone 66 18,8 24,6

sufficienti 110 31,3 41,0

scarse 92 26,2 34,3

Totale 268 76,4 100,0

Non Risponde 83 23,6

Totale 351 100,0

11.2.16 Conoscenza del mercato

Per quanto riguarda il mercato di riferimento per l’attività che si intende avviare, va evidenziato quanto accennato a più riprese. Tra i proponenti la conoscenza dei meccanismi del mercato è risultata per lo più lacunosa. Nonostante il 60% dei proponenti il questionario ritenesse di avere sufficienti o buone competenze in ambito commerciale, nelle fasi successive il livello di padronanza di queste tematiche si è rivelato spesso fragile.

La dimensione del mercato locale risulta prevalente (25,9%) assieme a quella provinciale (20,8%). A seguire, visto il numero delle iniziative nel campo del turismo, non stupisce la destinazione del prodotto ai “turisti che frequentano la località” (17,9%), anche se la risposta spesso è stata dettata più da un’impressione che da un’analisi effettiva. Un dato molto significativo, trattandosi di idee per una nuova impresa è il 9,7% rivolto ad un mercato extraregionale, esteso a tutto il nord Italia, mentre relativamente incoraggianti – poiché le idee provengono da persone che dovrebbero esercitare l’attività in territori svantaggiati – sembrano anche il 6% relativo al mercato nazionale (che raccoglie la risposta di 21 proponenti) ed il 6,8% destinato al mercato internazionale (24 proponenti).

Tabella 41 Mercato di riferimento delle ipotesi imprenditoriali

Frequenza Percentuale

Locale 91 25,9

Provinciale 73 20,8

nord italia 34 9,7

Nazionale 21 6,0

Internazionale 24 6,8

turisti che frequentano la località 63 17,9

Totale 306 87,2

Non Risponde 45 12,8

Totale 351 100.0

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125

11.2.17 Tipologia e numero dei potenziali clienti

Il dato relativo alla tipologia della clientela (domanda per cui era ammessa la risposta multipla) sembra coerente con quanto osservato in termini di settore di attività: la destinazione prevalente è quella indirizzata alle persone fisiche (50%) tipica del turismo, dei servizi alla persona ed anche di parte dell’agricoltura e dell’artigianato (il dato relativo al mercato di aziende e persone fisiche rappresenta, infatti, il 24,8%).

La percentuale inerente alle aziende quali potenziali clienti riguarda solo il 7,1% dei proponenti, dato indubbiamente sottostimato, che sembra non tener conto dei processi di subfornitura e delle reti di relazione tra le aziende.

In merito al dato dei servizi, va aggiunta un’ulteriore osservazione. Solo il 5,1% dei proponenti ha indicato come potenziale cliente l’ente pubblico, un dato che in parte sembra sovraesporre la domanda privata, soprattutto in termini di servizi. La maggior parte dei servizi culturali, formativi, persino turistici in Provincia di Trento hanno quantomeno per intermediario l’ente pubblico.

Tabella 42 Potenziali clienti

Frequenza Percentuale

prevalentemente persone fisiche 173 49,3

prevalentemente aziende 25 7,1

sia aziende che persone fisiche 87 24,8

prevalentemente enti pubblici 18 5,1

Totale 303 86,3

Non Risponde 48 13,7

Totale 351 100,0

L’analisi del mercato potenziale di una nuova attività, effettuata dai proponenti ancora in termini di impressioni – nella prima fase del progetto – per circa un terzo dei partecipanti (31,9%) non ha dato risposta; una parte quasi altrettanto rilevante (30,8%) ha espresso un ambito di clientela da 10 a 100. Solo il 18,2% ha indicato un numero di potenziali clienti inferiore a 10, mentre il 16,8% ha espresso un mercato con più di 100 clienti (legato soprattutto all’ambito turistico e commerciale).

Tabella 43 Numero potenziali clienti

Frequenza Percentuale

un solo cliente 8 2,3

meno di 10 64 18,2

da 10 a 100 108 30,8

più di 100 59 16,8

Totale 239 68,1

Non risponde 112 31,9

Totale 351 100,0

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126

11.2.18 Principale canale di vendita e modalità di promozione del prodotto o servizio

La descrizione del principale canale di vendita sembra essere influenzata da considerazioni relative alla promozione, più che alla definizione di una rete commerciale.

Il principale canale di vendita è la vendita diretta (46,2%). Tuttavia, ben il 13,7% considera come principale canale di vendita Internet, in percentuale addirittura superiore a quella dei grossisti, di negozi e di agenti e rappresentanti, un dato che sembra singolare (soprattutto per quanto riguarda le attività artigianali e quelle agricole, meno coinvolte da questo canale), tanto che il rilievo sembra riconducibile soprattutto all’attività turistica, nonché all’attrazione esercitata da una forma di commercio, quella elettronica, ancora da valutare e da considerare soprattutto quale veicolo di promozione, più che di effettiva affermazione in campo commerciale.

Tabella 44 Principale canale di vendita

Frequenza Percentuale

vendita diretta 162 46,2

grossisti 14 4,0

negozi 14 4,0

rappresentanti/agenti 5 1,4

vendita telefonica 5 1,4

Internet 48 13,7

altro 22 6,3

Totale 270 76,9

Non Risponde 81 23,1

Totale 351 100,0

Figura 12 Principale canale di vendita

Principale canale di vendita

46,2

4 41,4 1,4

13,7

6,3

23,1

05

101520253035404550

vend

ita d

iretta

gros

sist

i

nego

zi

rapp

rese

ntan

ti/ag

enti

vend

ita te

lefo

nica

inte

rnet

altro

Non

Ris

pond

e

Perc

entu

ale

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127

Coerentemente con quando indicato in risposta al canale di vendita, la principale modalità di promozione consiste nei rapporti personali con i clienti (32,2%), mentre generica è l’importanza attribuita alla voce “pubblicità o attività promozionali” (27,4%), che spesso, come si è poi visto nello sviluppo del progetto, non riesce ad essere individuata in una forma specifica.

Tabella 45 Modalità di promozione

Frequenza Percentuale

rapporti personali con i clienti 113 32,2

attività collocata a diretto contatto con il pubblico 49 14,0

pubblicità o attività promozionali 96 27,4

partecipazione a fiere 21 6,0

altro 9 2,6

Totale 288 82,1

Non Risponde 63 17,9

Totale 351 100,0

11.2.19 Tipologia di concorrenza

Volgendo l’analisi all’ambito dei concorrenti, le risposte sembrano esprimere un evidente, forse eccessivo ottimismo nello sviluppo dell’impresa: il 50% afferma che avrà pochi concorrenti, mentre il 22,8% ritiene che, anche in presenza di concorrenti, ci sia spazio per nuove iniziative. Da questo dato sembrerebbe emergere una relativa fiducia nelle possibilità di crescita economica offerte dal contesto in cui si va ad intervenire, quelle di un territorio svantaggiato che tenta di colmare le proprie lacune con l’intraprendenza (oltre che con la speranza di trasformare i vincoli ambientali in opportunità turistiche).

Tabella 46 Tipologia di concorrenza

Frequenza Percentuale

nessun concorrente 35 10,0

pochi concorrenti 178 50,7

molti concorrenti, ma c’è spazio per nuove iniziative 80 22,8

Totale 293 83,5

Non Risponde 58 16,5

Totale 351 100,0

Data la tipologia delle attività presentate e dei settori prevalenti, i concorrenti vengono individuati per lo più in ambito provinciale. Va comunque segnalato che il 21,7% dei proponenti non ha saputo indicare la collocazione dei propri concorrenti.

Tabella 47 Collocazione dei principali concorrenti

Frequenza Percentuale

locali 95 27,1

provinciali 118 33,6

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Frequenza Percentuale

extraprovinciali 62 17,7

Totale 275 78,3

Non Risponde 76 21,7

Totale 351 100,0

Figura 13 Collocazione dei principali concorrenti

COLLOCAZIONE DEI PRINCIPALI CONCORRENTI

Locali27,1%

Extraprovinciali17,7%

Non risponde21,7%

Provinciali33,6%

Coerentemente con quanto visto più sopra, dove il 70% dei proponenti dichiarava di avere già maturato esperienze nel settore in cui intende intervenire, il 58,6% di coloro che hanno compilato il Questionario dichiara di conoscere i prodotti dei propri concorrenti (il 47,2% anche i prezzi che questi praticano). Eppure, anche in questo caso, le fasi successive del progetto hanno reso necessario un approfondimento di questi temi.

Tabella 48 Conoscenza prodotti e prezzi dei concorrenti

FrequenzaPercentuale (calcolatasul totale questionari)

Prodotti 203 57,8

Prezzi 166 47,3

(Nota: le percentuali sono state calcolate rispetto al totale questionari compilati. Era possibile segnare entrambe le risposte)

11.2.20 Differenziazione del proprio prodotto /servizio

Tra gli elementi di differenziazione della propria attività economica nei confronti dei concorrenti, se un quarto dei proponenti non sa rispondere, ben un terzo (33,3%) cita come elemento distintivo quello dell’originalità e della personalizzazione del prodotto/servizio.

Il 16% individua questo elemento nella maggior qualità dell’attività aziendale, mentre meno signifi cativi sono i dati inerenti all’innovazione e alla rapidità di risposta alle richieste dei committenti.

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Se, come rilevato più sopra, più della metà dei proponenti sembrano avanzare una proposta imprenditoriale in un ambito nel quale hanno già maturato un’esperienza (spesso nata sulla spinta di una personale inclinazione per l’attività, per una propria “passione”) non stupisce che il fattore dell’originalità o della personalizzazione dell’attività in risposta alle esigenze dei clienti risulti il più indicato. Il dato emerge, ovviamente in modo coerente con la fiducia nelle proprie competenze tecnico-professionali, anche se – va sottolineato – l’originalità e la personalizzazione sono elementi per i quali si è verificata talvolta una propensione a sovrastimarne l’effettivo valore economico. Proprio perché l’idea dell’attività è nata spesso da un’espressione personale, infatti, la valutazione dell’originalità (anche in settori come quello agricolo o quello turistico) si è caricata di un evidente investimento affettivo, che costituisce certo l’anima dell’iniziativa imprenditoriale, ma che, specie in attività che si intendono svolgere a tempo pieno, va valutato più come soglia di resistenza dell’imprenditore alle difficoltà del mercato - o, se si vuole, come tensione ottimistica nella fase di avvio – che come vantaggio competitivo.

Tabella 49 Differenziazione del proprio prodotto / servizio

Frequenza Percentuale

prezzo più contenuto 13 3,7

qualità maggiore 56 16,0

tempi di esecuzione/risposta più rapidi 16 4,6

originalità/personalizzazione del prodotto servizio 117 33,3

innovazione tecnologica 13 3,7

innovazione di prodotto servizio 26 7,4

altro 18 5,1

Totale 259 73,8

Non Risponde 92 26,2

Totale 351 100,0

11.2.21 Conoscenza collocazione dei fornitori

Le domande relative alla conoscenza dei fornitori di materie prime, semilavorati, beni strumentali e consulenze, hanno ricevuto una risposta la cui distribuzione percentuale sembra tutto sommato omogenea. Per tutti e tre i quesiti, più del 50% dei proponenti il Questionario non sa indicare una collocazione precisa, mentre poco più del 20% individua la sede dei fornitori nell’ambito provinciale e tra il 10 ed il 15% li individua su scala extraprovinciale.

Il dato conferma il quadro che va definendosi in merito alla fase produttiva dell’attività d’impresa: se la competenza di processo viene avvertita come buona (o comunque sempre più che sufficiente), dal punto di vista della gestione complessiva di questa fase emergono maggiori difficoltà nel controllo del canale in entrata e in uscita.

Tabella 50 Collocazione fornitori di materie prime semilavorati

Frequenza Percentuale

locali 55 15,7

provinciali 69 19,7

extraprovinciali 49 14,0

Totale 173 49,3

Non Risponde 178 50,7

Totale 351 100,0

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Tabella 51 Collocazione fornitori di attrezzature beni strumentali

Frequenza Percentuale

locali 39 11,1

provinciali 81 23,1

extraprovinciali 52 14,8

Totale 172 49,0

Non Risponde 179 51,0

Totale 351 100,0

Tabella 52 Collocazione fornitori di consulenze collaborazioni

Frequenza Percentuale

locali 48 13,7

provinciali 75 21,4

extraprovinciali 37 10,5

Totale 160 45,6

Non Risponde 191 54,4

Totale 351 100,0

Tabella 53 Conoscenza dei prezzi fatti dai potenziali fornitori

Frequenza Percentuale

Materie prime e semilavorati 98 27,9

Attrezzature / beni strumentali 97 27,6

Consulenze / collaborazioni 60 17,1

Solo una piccola percentuale delle persone che hanno espresso un’idea d’impresa conosce i prezzi praticati dai potenziali concorrenti. Meno di un terzo del totale conosce quelli dei fornitori di materie prime, semilavorati, attrezzature e beni strumentali, meno ancora, il 17,1% conosce i prezzi odierni delle consulenze o delle eventuali collaborazioni necessarie alla gestione dell’azienda.

11.2.22 Individuazione spazi e quantificazione investimenti per l’avvio dell’attività

A conferma di quanto emerso dalle tabelle precedenti, giunge dunque il dato della conoscenza relativa al prezzo delle varie forniture, dalle materie prime alla consulenza. Solo una percentuale limitata, che si aggira tra il 17 ed il 26% conosce i prezzi praticati dai potenziali fornitori. Tuttavia, questa percentuale, che può arrivare a circa un quarto dei proponenti, sembra muoversi in materia aziendale con disinvoltura e discreta padronanza degli elementi critici.

Passando ad altre questioni, infatti, se si eccettua la domanda relativa all’individuazione degli spazi produttivi (dove più della metà dei proponenti, il 62,4%, dichiara di conoscere già – e spesso di disporre – degli spazi necessari), per quanto riguarda l’individuazione delle autorizzazioni necessarie all’avvio dell’attività d’impresa, degli investimenti necessari per l’avviamento dell’attività e del prezzo che l’imprenditore dovrà praticare per la vendita dei propri prodotti/servizi circa la stessa percentuale, dal 22 al 28%, dichiara di aver riflettuto a lungo sulla quantificazione di

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131

questi elementi. Si può dunque individuare nella soglia di un quarto dei rispondenti un gruppo di potenziali imprenditori che si dichiarano sufficientemente competenti in tutte le articolazioni dell’attività d’impresa.

Tra le questioni poste dalle ultime tabelle, quella che sembra avere maggior rilievo sulle possibilità di sviluppo di un’azienda riguarda la disponibilità di spazi propri in cui esercitare l’attività. Come anticipato, ben il 62,4% dichiara di avere individuato gli spazi in cui condurre l’impresa. Minore, tuttavia, anche se non sondata dal questionario, è la loro disponibilità. L’incidenza del costo degli affitti, in una congiuntura particolarmente sensibile all’investimento immobiliare, non si è rivelata determinante solo per le sorti del settore commerciale, ma anche per la possibilità di insediamento di un’azienda artigiana. In genere, anche in presenza di forti motivazioni imprenditoriali, la mancata disponibilità di spazi propri (o spazi in locazione, a prezzi di favore) ha costituito un ostacolo difficilmente superabile per i proponenti.

Tabella 54 Ha già individuato gli spazi in cui condurre l’attività?

Frequenza Percentuale

si 219 62,4

no 83 23,6

Totale 302 86,0

Non Risponde 49 14,0

Totale 351 100,0

Tabella 55 Ha già quantificato gli investimenti necessari all’avvio dell’attività?

Frequenza Percentuale

si 100 28,5

no 196 55,8

Totale 296 84,3

Non Risponde 55 15,7

Totale 351 100,0

11.2.23 Conoscenza dell’iter autorizzativo per l’avvio dell’attività

Per quanto riguarda, nello specifico, il dato relativo alla conoscenza dell’iter autorizzativo precedente l’avvio dell’attività d’impresa, ben il 59% dei rispondenti dichiara di esserne all’oscuro. Il dato è parso evidente anche nel corso delle fasi successive del progetto: la Pubblica Amministrazione continua ad apparire un universo oscuro e poco penetrabile. Paradossalmente, la messe di informazioni resa disponibile dagli enti pubblici agli utenti in questi anni (sia nelle varie sedi del capoluogo provinciale, sia negli uffici periferici, sia in Internet) sembra rendere ancora meno intelligibile un mondo che ai proponenti si mostra, anche al di là del luogo comune, come un labirinto. Se l’eccesso di comunicazione provoca indubbiamente alcune difficoltà di orientamento, talora la scarsa attitudine dei potenziali imprenditori a considerare il lavoro burocratico, amministrativo quale parte essenziale di un’efficace gestione d’impresa, non può che rendere ancora meno dinamico il quadro d’insieme. Anche in questo caso, come già segnalato più sopra, si conferma tuttavia il dato positivo del 26,2% relativo ai potenziali imprenditori che si dichiarano competenti anche a questo riguardo.

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Tabella 56 Individuazione delle autorizzazioni necessarie

Frequenza Percentuale

si 92 26,2

no 207 59,0

Totale 299 85,2

Non Risponde 52 14,8

Totale 351 100,0

11.2.24 Modalità di reperimento capitale necessario

Nonostante quello degli incentivi pubblici sia un interrogativo che è apparso costante nelle preoccupazioni dei potenziali imprenditori, anche in questo caso, come già per le autorizzazioni, la conoscenza delle leggi provinciali per gli incentivi risulta limitata a quella parte che si dichiara competente (20,8%). Il dato, coerente con il quadro descritto, non è preoccupante: del resto, un solo colloquio, sia nelle fasi successive del progetto, sia presso i servizi provinciali sia presso gli interlocutori di categoria ha normalmente consentito di superare questa difficoltà. Va tuttavia registrato che la fiducia negli incentivi e nei contributi pubblici appare molto alta. Alla domanda sulla modalità di reperimento del capitale necessario all’avvio dell’attività (domanda per cui erano possibili più risposte) il 77,1% di chi ha presentato il Questionario confida nell’accesso ai contributi pubblici; paradossalmente, più di chi dichiara di ricorrere al credito bancario (71,5%) e di chi dichiara di attingere a disponibilità personali (51%). Se è vero che non tutti possono disporre di capitale proprio, la fiducia nel sostegno dell’ente pubblico appare estremamente significativa.

Tabella 57 Individuazione delle leggi provinciali per incentivi

Frequenza Percentuale

Si 73 20,8

No 222 63,2

Totale 295 84,0

Non Risponde 56 16,0

Totale 351 100,0

Tabella 58 Modalità di reperimento del capitale necessario all’avvio dell’attività

N Percentuale di casi

Capitale da disponibilità personali o familiari 147 51,0%

Capitale da credito bancario 206 71,5%

Capitale da accesso ad incentivi pubblici 222 77,1%

Capitale da altro 9 3,1%

Totale 584 202,8%

(Nota: percentuale calcolata rispetto al totale questionari compilati)

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11.2.25 Individuazione prezzi da praticare e fatturato necessario per il punto di pareggio

Come si è visto nelle fasi successive del progetto, la definizione del prezzo finale da praticare da parte dei potenziali imprenditori risulta normalmente assai difficile (soprattutto nell’ambito dei servizi). Del resto, si tratta di una variabile delicata, in cui concorrono molte delle considerazioni personali che hanno fatto sì che un’idea d’impresa prendesse forma concreta, considerazioni che vengono passate al vaglio delle esigenze di mercato e delle necessità dell’azienda, sia strutturali che contingenti. Di solito, nelle prime fasi il prezzo finale dei prodotti/servizi non si distacca in misura significativa da quello di mercato, praticato dai concorrenti, e ciò sia in ragione di una minor conoscenza della propria posizione, sia quale diretta conseguenza di un atteggiamento cauto, che accompagna quasi tutte le stagioni di un esordio imprenditoriale. Anche in questo caso, il 23,1% di chi ha presentato il Questionario si dichiara a conoscenza del prezzo che dovrà praticare nella sua nuova attività, mentre più del 60% non sa rispondere.

Tabella 59 Individuazione dei prezzi che dovrà praticare

Frequenza Percentuale

Si 81 23,1

No 211 60,1

Totale 292 83,2

Non Risponde 59 16,8

Totale 351 100,0

Diverse sono invece le considerazioni inerenti alla conoscenza del fatturato necessario a raggiungere il punto di pareggio dell’azienda. Se abbiamo posto in una percentuale di circa il 25% di potenziali imprenditori la quota di quelli che si dichiarano competenti in ogni fase della gestione di un’impresa, arrivati a questo punto la percentuale scende a quasi la metà di questo dato. Solo il 12,3% di chi ha presentato il questionario ritiene, infatti, di essere in grado di determinare il punto di pareggio della propria attività, mentre il 63% ritiene di non conoscerlo e di non saperlo determinare.

Il dato, alla luce dell’esperienza sul campo, non dovrebbe apparire del tutto sorprendente, poiché questa determinazione viene in genere percepita da parte dei potenziali imprenditori come un’operazione tipica dei controlli di gestione, deputati in massimo grado al commercialista. Tuttavia, se ricordiamo che più del 50% dei proponenti si dichiarava competente nelle fasi di produzione, commercializzazione e amministrazione, il dato inerente alla conoscenza del fatturato necessario per raggiungere il punto di pareggio sembra molto basso, ancor più se consideriamo che si tratta di uno degli elementi determinanti per una valutazione complessiva del progetto d’impresa.

Non solo gli studi teorici, ma anche l’esperienza concreta di questo progetto dimostra che, in una congiuntura difficile da interpretare come quella attuale, queste conoscenze di analisi – pur con l’approssimazione tipica di una proiezione – si rivelano strumenti indispensabili alle decisioni di un potenziale imprenditore, per evitare di lanciarsi in avventure dalle quali il ritorno (soprattutto in termini finanziari) potrebbe rivelarsi molto difficile. La fase di assistenza tecnica ai progetti ha cercato di insistere, per quanto possibile, su queste competenze e di supportare i potenziali imprenditori nell’elaborazione della loro pianificazione economico-finanziaria.

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Tabella 60 Individuazione del fatturato necessario per il punto di pareggio

Frequenza Percentuale

Si 43 12,3

No 245 69,8

Totale 288 82,1

Non Risponde 63 17,9

Totale 351 100,0

11.2.26 Sintesi conoscenze complessive sulla gestione di un’impresa

Per rappresentare il gruppo di competenze dei proponenti nuove ipotesi d’impresa (competenze possedute o mancanti relativamente agli aspetti che abbiamo visto fino ad ora), si è scelto di utilizzare un grafico a raggiera: a seconda di come è spostato il filo che unisce i punteggi ottenuti dalle risposte positive (ossia quanti rispondono affermativamente alla domanda in questione), si può chiaramente osservare quali siano le conoscenze diffuse e già possedute e quelle invece di cui c’è maggior necessità di supporto. Il grafico è basato sulle risposte affermative alle relative domande (frequenza).

Figura 14 Conoscenze di base disponibili

Conoscenze base

0%

20%

40%

60%

80%

100%Ha individuato le autorizzazioni necessarie

Ha individuato gli spazi

Ha quantif icato gli investimenti

Ha individuato i prezzi che dovrà praticare

a individuato fatturato necessario per ilpareggio

Ha individuato le leggi provinciali perincentivi

Complessivo

Agricoltura

Artigianato

Turismo

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Figura 15 Conoscenza prezzi di fornitori e concorrenti

Conoscenza prezzi di fornitori e concorrenti

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%Conoscenza prodotti concorrenti

Conoscenza prezzi concorrenti

Conoscenza prezzi materie primesemilavorati

Conoscenza prezzi di attrezzature benistrumentali

Conoscenza prezzi di consulenze ecollaborazioni

Complessivo

Agricoltura

Artigianato

Turismo

Come si può notare dai grafici, la distribuzione delle conoscenze di base e di quelle riferite ai

clienti e fornitori risulta in buona parte omogenea.

In termini di attività economiche, l’area maggiore relativa alle conoscenze di base risulta essere quella descritta dal settore agricolo (dove peraltro queste conoscenze sono agevolate dalla natura stessa dell’attività, in cui la componente territoriale è determinante, e dove determinante nella trasformazione e distribuzione del prodotto è il ruolo del settore cooperativo, per cui non stupisce che la conoscenza dei prezzi non sia avvertita come un elemento critico).

Per quanto riguarda la conoscenza dei clienti e fornitori prevale l’area descritta dall’artigianato. In quest’ultimo settore, dinamico e naturalmente meno legato all’elemento territoriale rispetto a quello agricolo, la conoscenza dei prezzi di ciascun fornitore risulta determinante, più di quanto non lo sia quella dei prezzi dei concorrenti.

11.2.27 Aiuti necessari per aprire una nuova attività

Le due voci principali nelle risposte alla domanda relativa agli aiuti necessari ad aprire un’attività (che consentiva una risposta multipla) evidenziano, coerentemente con quanto visto nelle altre tabelle, le maggiori preoccupazioni dei potenziali imprenditori, una relativa alla verifica dell’effettiva fattibilità della propria proposta imprenditoriale, l’altra rivolta ad un maggior sostegno nel rapporto con l’ente pubblico (che nella percezione dei proponenti, nonostante l’alto livello di fiducia, appare lungo e difficile).

Da una parte, dunque, la prima voce, il 78,9%, riguarda l’assistenza nell’individuazione degli incentivi, assistenza svolta nel corso del progetto o dagli interlocutori istituzionali, in primo luogo dagli stessi Servizi provinciali e dalle Associazioni di categoria.

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La seconda voce, pari al 71,4%, è relativa alla verifica della fattibilità dell’idea imprenditoriale, un’attività che è stata al centro delle fasi successive del progetto e che è stata ulteriormente motivata proprio da questo dato.

La terza e la quarta voce, rispettivamente 66,8% e 65,5% riguardano l’assistenza nell’individuazione delle autorizzazioni e l’assistenza nell’elaborazione del piano d’impresa.

A seguire, il 53,9% avverte l’esigenza di intervento di formazione sugli aspetti amministrativi, il 48,4% su quelli commerciali, il 39,1% sull’estensione della propria quota di mercato.

Il dato positivo che emerge da questo quadro riguarda la richiesta di un aiuto che, coerentemente con quanto osservato nelle tabelle precedenti, riguarda ambiti dell’attività aziendale in cui i proponenti si sentono più deboli, in primo luogo quello di una verifica di fattibilità e di coerenza della propria proposta e quindi quello di un supporto alla pianificazione economico finanziaria.

A fronte di una forte motivazione e di una buona conoscenza tecnico-produttiva, i proponenti si sentono in difficoltà su alcuni aspetti gestionali, di mercato, e sul rapporto con l’ente pubblico (rapporto, va ribadito, che raccoglie una piena fiducia, ma per il quale la richiesta d’aiuto fa segnare il dato più elevato).

In termini di prime impressioni, o di elaborazione di una prima idea d’impresa, è ancora diffusa la convinzione di poter fare l’imprenditore basandosi solo su conoscenze personali e reti locali, che tuttavia i dati dimostrano insufficienti.

Se l’incentivo pubblico viene vissuto, talvolta frettolosamente, come una componente “ambientale” su cui contare, le lacune di ordine maggiore non sembrano riguardare aspetti strutturali, ma di conoscenza specifica, quasi a dire che le richieste di aiuto hanno per lo più un carattere formativo, di conoscenza, in altre parole, un carattere immateriale.

Pur senza trascurare il 26,5% dei proponenti che chiede aiuto nell’individuazione degli spazi (variabile, come detto, determinante per lo sviluppo di un’impresa) l’investimento di maggior rilievo in risposta a queste richieste risulta dunque essere un investimento di assistenza tecnica, di formazione, di ricerca.

Tabella 61 Aiuti necessari per avviare la nuova attività

NPercentuale

di casi34.1 Verificare la fattibilità della mia idea imprenditoriale 217 71,4%

34.2 Assistenza nell’elaborazione del piano di impresa 199 65,5%

34.3 Assistenza nell’individuazione degli spazi 81 26,6%

34.4 Assistenza nell’individuazione delle autorizzazioni 203 66,8%

34.5 Assistenza rispetto all’accesso al credito 130 42,8%

34.6 Assistenza nell’individuazione degli incentivi 240 78,9%

34.7 Assistenza rispetto all’individuazione di potenziali clienti/committenti 119 39,1%

34.8 Assistenza rispetto all’individuazione di potenziali fornitori/consulenti 85 28,0%

34.9 Formazione su aspetti che riguardano la produzione 79 26,0%

34.10 Formazione su aspetti commerciali 147 48,4%

34.11 Formazione su aspetti amministrativi 164 53,9%

34.12 Altro 24 7,9%

Totale 1688 555,3%

(Nota: percentuale calcolata rispetto al totale questionari compilati)

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Figura 16 Aiuti necessari per avviare la nuova attività

• Oltreaquesti,sonostatisegnalatialtretipologiediaiuti,tracui:• supportonelledecisioniamministrative• aiutodelcomunenelvelocizzarelepratichediaperturadell’attività• assistenzanellaricercadimercato• assistenzaperchiusuraattualeattività• collaborazionetraUniversitàeartigiani• fattibilitàburocraticaesoprattuttolaspesacorrentepercostituireeottenereilprogetto• formazionesuaspetticheriguardanoiltipodiprodotto• formazionesullabioedilizia• formulazionedelprezzodivendita• guidaperconoscereleleggiinrelazioneall’aperturadiun’impresa• individuazionedellaformagiuridica• rapportoconisoggettiistituzionalilocali• supportoall’innovazionetecnologicaadoperadiespertidelsettore

Aiuti necessari per avviare l'attività

7,90%

26,00%

26,60%

28,00%

39,10%

42,80%

48,40%

53,90%

65,50%

66,80%

71,40%

78,90%

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90%

34.12 Altro

34.9 Formazione su aspetti che riguardano la produzione

34.3 Assistenza nell'individuazione degli spazi

34.8 Assistenza rispetto all'individuazione di potenzialifornitori/consulenti

34.7 Assistenza rispetto all'individuazione di potenzialiclienti/committenti

34.5 Assistenza rispetto all'accesso al credito

34.10 Formazione su aspetti commerciali

34.11 Formazione su aspetti amministrativi

34.2 Assistenza nell'elaborazione del piano di impresa

34.4 Assistenza nell'individuazione delle autorizzazioni

34.1 Verificare la fattibilità della mia idea imprenditoriale

34.6 Assistenza nell'individuazione degli incentivi

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12. Le imprese avviate

Le imprese che sono sorte con il supporto del Progetto di animazione territoriale, o che ne hanno beneficiato nelle prime fasi di vita, si inquadrano coerentemente nel fenomeno di insediamento imprenditoriale in ambiente montano già analizzato nei capitoli precedenti, vale a dire nascono nel punto di intersezione di più esigenze: in primo luogo di quelle personali, che hanno spinto l’imprenditore ad elaborare un Job Plan, più che un Business Plan, un piano della professione, in cui convergono elementi diversi, legati talvolta all’esperienza lavorativa precedente o più spesso ad una necessità latamente espressiva, di realizzazione personale, esistenziale. In seconda battuta, l’impresa prende forma costituendosi quale risposta a un’esigenza, o a un’opportunità, rilevata sul territorio, uno spazio che (in ambiente montano più che mai), si rivela accogliente nella misura in cui l’azienda è in grado di rispondere ai bisogni della comunità. In terzo luogo, nasce da una competenza personale che si insedia in ambiente apparentemente neutro, in rapporto al bene o al servizio prodotto, in realtà determinante per le condizioni materiali favorevoli ad una produzione rivolta non più, o non solo, al mercato locale, ma al mercato extraregionale, talora perfino internazionale.

Per buona parte delle imprese artigiane, che costituiscono la componente maggiore tra quelle nate o differenziatesi nel corso del Progetto, possono valere tutte e tre le caratteristiche sopra elencate. Si tratta, in altre parole, di aziende che crescono con la competenza dell’artigiano (il quale, raggiunta la maturità professionale alle dipendenze di un’altra azienda del settore, si mette in proprio), che rispondono ad un’esigenza territoriale nel ciclo dell’edilizia o dei servizi alla persona, e che, in alcuni casi, fanno forza sulle condizioni di un ambiente favorevole per proiettarsi verso un mercato esterno.

L’impresa turistica si inserisce in un processo cui si è già fatto menzione, quello di una profonda trasformazione del settore, che ha aperto a nuove forme di esercizio dell’attività e a diversi indirizzi, sia per quanto riguarda la ristorazione (per la quale da tempo si sperava in una riqualificazione complessiva), sia per quanto riguarda la ricettività. L’apertura di un bar o di un ristorante in ambiente montano, più che assolvere ad una funzione aggregativa per la comunità locale (aspetto che viene dato per scontato), viene colta come possibilità di attrazione di un turista attento, molto più di un tempo, alle varie manifestazioni culturali del territorio. Le esperienze dell’animazione turistica e di qualche ambulante confermano un quadro molto dinamico, sia pur caratterizzato da una possibile contrazione.

Diverso è il discorso inerente alle libere professioni, più difficile e di minor coerenza complessiva. Ad una libera professione tradizionale (geometra, ingegnere, architetto, psicologo) che risponde ad esigenze di realizzazione dell’imprenditore, ma che per i primi cinque anni fatica a trovare una collocazione competitiva sul mercato locale, stretta tra le maglie di un andamento economico quasi recessivo e quelle di un eccesso di offerta (cresciuta troppo prepotentemente negli ultimi anni), risponde un ventaglio di nuove proposte del terziario avanzato che derivano dalla professionalizzazione di impieghi condotti spesso in forma precaria. Impieghi che un tempo si configuravano come un lavoro (es. il dipendente del museo, l’archivista, l’esperto in organizzazione d’impresa) e che ora, in un mutato contesto, debbono invece rispondere dinamicamente alle offerte che nascono sul territorio. Da una parte abbiamo dunque una professione tradizionale che in qualche modo si precarizza, costringendo i giovani liberi professionisti ad una sostanziale monocommittenza con uno studio più affermato (priva di prospettive di autonomia professionale, stando ai dati dell’Istat e della Banca d’Italia del 2008); dall’altra assistiamo ad un’evoluzione

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di attività esercitate in forma precaria volte a stabilizzarsi, ma che non sempre possono contare su di un mercato in espansione (certo non quella dell’archivista). L’investimento in termini di conoscenza da parte del libero professionista si configura dunque sempre di più come un incentivo allo sviluppo di una competenza personale che permetta di rispondere ad un gran numero di esigenze di ordine tecnico o intellettuale (generiche o specifiche), esigenze che il mercato non cessa di esprimere, ma che tuttavia esprime forzando il professionista a rispondere puntualmente e con precisione ad una serie di interrogativi molto eterogenei e assai diversi da quelli tipici di un tempo.

In ambito agricolo, le nuove imprese vanno ad inserirsi in un territorio di solida tradizione ed in un settore che negli ultimi anni ha conosciuto una positiva e sensibile trasformazione in termini di diversificazione dell’offerta e di orientamento al servizio. La presenza diffusa e competente del mondo cooperativo garantisce ad una piccola azienda del settore una crescita meno ingombra di incognite.

Per quanto riguarda gli altri servizi, merita un accenno quello dei trasporti, vissuti con difficoltà in gran parte del territorio montano, cui si cerca di ovviare in vario modo (noleggio taxi con conducente, bus navetta privato, pullman turistico).

Di seguito sono riportate le schede di presentazione delle imprese avviate (o che hanno attuato processi di diversificazione) con il sostegno del progetto di animazione imprenditoriale condotto nelle aree obiettivo 2 della Provincia Autonoma di Trento.

1) RIFUGIO ALPINO “MALGA CAMPO”

Silva GuderzoGisella Nicolussi CastellanAnnamaria Nicolussi Castellan Galeno

Luserna (Trento) Nel luglio del 2005, a conclusione di un’accurata fase di recupero è stato aperto il Rifugio Alpino “Malga Campo” nel territorio del Comune di Luserna, a quota m 1460 sul livello del mare (dista circa un chilometro e mezzo dall’abitato di Luserna, e km 3,5 da Millegrobbe). Il rifugio è gestito dalla società “Di drai Lech” (dal cimbro: “I tre larici”), formata da Annamaria Nicolussi Castellan Galeno, Silvia Guderzo e Gisella Nicolussi Castellan. Dispone di un ampio ristorante e di tre camere (due da quattro posti letto e una da otto posti letto, ciascuna con bagno proprio). È aperto tutti i giorni da metà giugno a fine settembre, mentre d’inverno l’apertura è limitata ai fine settimana.

La partecipazione al progetto di Trentino sviluppo si è concretizzata in una fase di accompagnamento dell’iniziativa, già definita e strutturata, rispetto ai temi della gestione amministrativa della struttura e delle strategie promozionali.

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2) RISTORANTE

Flavio NicolussiLuserna (Trento)

Flavio Nicolussi è impegnato nella realizzazione di un ristorante situato nei pressi delle piste da sci in località Malga Rivetta, nel comune di Luserna. Dopo aver pressoché concluso i lavori nei locali, è in attesa delle ultime autorizzazioni. Il ristorante dovrebbe aprire in tempo per la stagione invernale 2008/2009.

3) CENTRO “ESTETICA E BENESSERE”

Silvia PedrazzaLavarone (Trento)

Il centro estetico “Estetica e Benessere” è stato aperto a Lavarone (TN) nel maggio del 2006. La titolare Silvia Pedrazza, conseguito il diploma di estetista, ha maturato diversi anni di esperienza presso in un centro estetico. Sulla base di queste competenze ha quindi deciso di iniziare una propria attività, offrendo trattamenti personalizzati, estetici e curativi, che comprendono massaggi curativi e linfodrenaggi, pulizia e trattamenti viso, pedicure curativo ed estetico, solarium e ricostruzione unghie. Il nucleo forte della clientela è rappresentato dalla popolazione residente sull’Altopiano di Folgaria, Lavarone e Luserna, ma il centro è frequentato anche da turisti che vengono a trascorrere le vacanze sull’Altipiano dal Veneto e dal nord Italia. Uno dei punti di forza della titolare nei confronti della clientela è rappresentato dalla flessibilità degli orari di apertura del Centro estetico e dalla disponibilità di lavorare anche a casa di clienti con problemi di mobilità.

4) MANUTENZIONE IMPIANTI E CARPENTERIA METALLICA

Davide PaulettoTonadico (Trento)

Davide Pauletto è titolare di un’impresa individuale che opera nel campo della manutenzione impianti e della carpenteria metallica. Ha sede in Tonadico (Trento), ed opera dal marzo 2006. Forte di una tradizione familiare già consolidata nell’ambito della carpenteria metallica e in generale della lavorazione dei metalli (nonché, più specificamente, nella manutenzione di impianti) Pauletto ha deciso di avviare un’attività imprenditoriale autonoma volta a rispondere alle richieste provenienti dal territorio tra il Primiero e il Veneto. L’orizzonte al quale l’imprenditore si rivolge non è tuttavia solo quello locale, avendo operato in ambito nazionale e, occasionalmente, internazionale (Olanda). Così l’attività non in prospettiva non dovrebbe limitarsi alla sola manutenzione ma si estenderà anche alla carpenteria metallica ed alla lavorazione artistica del ferro battuto.

5) SERVIZI CULTURALI

Adriana StefaniCanal San Bovo (Trento)

Nel gennaio 2007 Adriana Stefani ha costituito un’impresa individuale che opera in vari ambiti del settore terziario: consulenza culturale, ricerca storica, servizi turistici, divulgazione

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naturalistica e ambientale. Compiuti gli studi universitari a Bologna, Adriana Stefani ha svolto attività di ricerca presso il Museo Storico di Trento e l’Ecomuseo del Vanoi; attività di allestimento mostre e di divulgazione nell’ambito di iniziative turistiche e di progetti realizzati con gli istituti scolastici. Dal 2002 al 2005 ha curato la programmazione e il coordinamento delle attività dell’Ecomuseo del Vanoi. L’esercizio della propria attività in forma imprenditoriale è stato inteso quale passaggio indispensabile per mettere a frutto professionalmente le molte competenze maturate nel corso di questi anni, attività regolate da contratti di lavoro a tempo determinato.

6) CENTRO FITNESS E RECUPERO MOTORIO CHINESIS

Federika CaviolaPaola BazzanellaSegonzano (Trento)

La società “CHINESIS” è stata costituita nella primavera del 2007 ed ha sede in Segonzano (Tn). Paola Bazzanella e Federika Caviola, entrambe laureate in Scienze motorie - la prima con laurea specialistica in Scienza delle Attività motorie adattate - dopo aver maturato una solida esperienza come docenti di fitness e trainer nei corsi dell’Università della terza età e del tempo disponibile, in varie attività di allenamento (presciistica ed altri corsi di ginnastica), nonché partecipando a progetti di ricerca promossi dall’Università e dai Servizi Sanitari, sia in Valle di Cembra che in Valle di Fiemme, hanno deciso di mettere a frutto le proprie competenze costituendo una società per la creazione di un Centro fitness metabolico. Il Centro, dotato di una palestra molto attrezzata, è collocato nel Comune di Segonzano, in seno ad una zona sprovvista di strutture sportive che non siano gestite da associazioni locali ed offre corsi di ginnastica di varia natura, oltre naturalmente all’utilizzo della sala macchine.

Per gli anziani e le persone affette da particolari patologie (es. diabete) è attivato un progetto per il mantenimento dell’attività motoria, sviluppato in collaborazione con i medici di base del territorio. Le due titolari collaborano altresì con il CeBism (Centro interuniversitario di Ricerca in Bioingegneria e Scienze Motorie) di Rovereto.

7) STUDIO DI ARCHITETTURA

Luisa MatteviSegonzano (Trento)

Dopo la laurea in Architettura e il conseguimento del titolo professionale – nel luglio 2004 mediante il superamento dell’Esame di Stato – Luisa Mattevi ha proseguito una collaborazione con l’Istituto Universitario di Architettura (IUAV) di Venezia in alcune esperienze didattiche nei settori di Composizione architettonica e urbana e di Tecnologia dell’Architettura (2005 e 2006). Libero professionista dal gennaio 2005, si è occupata di risanamento, ristrutturazione e recupero degli edifici a carattere residenziale, nonché di edilizia sostenibile. Autrice di alcuni contributi scritti, è stata tra i promotori del convegno “Linguaggi e prospettive per un’architettura di montagna” che si è tenuto a Cembra (Trento) il 15 luglio 2004, i cui Atti sono stati poi pubblicati dal Comitato Mostra Valle di Cembra nel 2005. Con la proposta “Progetto in un borgo montano” ha vinto il Premio Aldegheri 2005, organizzato dal Circolo Trentino per l’Architettura Contemporanea e riservato alle migliori tesi di laurea dedicate al territorio provinciale.

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8) STUDIO TECNICO INGEGNERIA

Daniel ZanonaBelluno – Siror (Trento)

Conclusi gli studi universitari in ingegneria, Daniel Zanona ha collaborato a lungo con uno studio tecnico di progettazione, conseguendo nell’estate del 2006 il titolo professionale mediante il superamento dell’esame di Stato. Nel gennaio 2007 ha deciso di avviare la propria attività nel campo dell’ingegneria civile, operando come libero professionista. Trasferitosi a Belluno per ragioni personali, continua ad operare anche in Primiero, territorio dove ha maturato gran parte della sua esperienza professionale. L’attività del tecnico si è sviluppata nella progettazione in generale e nella direzione lavori, con approfondimento particolare degli aspetti strutturali dell’edificio, dei calcoli statici e dei piani di sicurezza, realizzati anche per altri studi tecnici.

9) AGRICAMPEGGIO “AL LARES”

Valentina MilaniPaolo FiorenzaBezzecca

L’attività dell’Agricampeggio Al Lares, (nata nel 2006 ed integrativa di quella agricola) è svolta in seno a un’impresa familiare che ha sede a Bezzecca (TN), in prossimità del lago di Ledro, lungo la strada che conduce al lago di Garda. I due soci, Valentina Milani e Paolo Fiorenza, che esercitano appunto quest’attività a tempo parziale, offrono aree attrezzate e servizi igienici per la sosta di camper e caravan, con la possibilità di servire prime colazioni e merende a base di prodotti tipici locali. Il servizio è nato per dare risposta a un’esigenza diffusa in Valle di Ledro come pure in molte altre valli del Trentino in cui, nonostante una presenza sempre più numerosa di camperisti (secondo una tendenza in atto a livello nazionale ed europeo), le aree di sosta attrezzate per i camper o caravan (al di fuori dei tradizionali campeggi) rimangono molto rare.

10) AZIENDA AGRICOLA FERRAI – PRODUZIONE VINO

Franco FerraiTelve Valsugana (Trento)

Si tratta di un’azienda agricola familiare di lunga tradizione, da lungo tempo produttrice di vino base spumante per le Cantine Ferrari di Trento. Da qualche hanno l’azienda ha deciso di intraprendere direttamente la produzione di vino e la sua commercializzazione attraverso la creazione di una microfiliera. La zona di produzione su cui opera è particolarmente vocata (anche se per ora la quantità prodotta in proprio è limitata). La superficie aziendale è di circa 2,5 ettari coltivati prevalentemente con uve Chardonnay mediante un impianto di tipo Gujot. Il mercato di nicchia, abbinato a produzioni limitate ma di ottima qualità, è la mission di questa nuova azienda che, in collaborazione con un enologo di grande esperienza, ritiene di poter costituire una fonte di sviluppo economico interessante per il territorio, oltre a rappresentare una crescita culturale per tutti i soggetti coinvolti. In Valsugana non esiste alcuna realtà imprenditoriale di questo genere, così i titolari pensano che l’esempio possa servire per dare maggiore visibilità e possibilità commerciali alla produzione.

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11) L’ISOLA CHE NON C’È – ASILO NIDO

Maria Teresa BossiPaola CameraLucia RiccadonnaPieve di Bono (Trento)

L’asilo nido “L’Isola che non c’è” nasce come società cooperativa nel dicembre 2005 a Pieve di Bono (TN) per iniziativa di Maria Teresa Bossi, Paola Camera e Lucia Riccadonna. L’impresa offre un servizio di asilo nido privato per l’assistenza e la cura dell’infanzia, in risposta ad un bisogno avvertito in Valle del Chiese da parte di molte famiglie con bambini in età prescolare. Tutte e tre le operatrici – che lavorano a tempo pieno nella società – sono in possesso dei requisiti di legge per erogare questo servizio: hanno partecipato ad un corso FSE attraverso il quale hanno ottenuto la qualifica di Tagesmutter. Oltre ad assistere e curare i bambini, la cooperativa offre servizi accessori di preparazione e somministrazione di pasti.

Le caratteristiche specifiche dell’attività sono legate in primo luogo alle competenze tecniche (medicina pediatrica, età evolutiva, disegno creativo, organizzazione familiare) e alla passione delle operatrici (alcune di loro hanno già svolto attività di assistenza all’infanzia in strutture pubbliche presenti in Provincia).

12) EDILPOSE

Giordano BertoliniZuclo (Trento)

“Edilpose” di Giordano Bertolini è stata costituita nel febbraio 2006 a Zuclo (TN). Si tratta di un’impresa artigiana di posa in opera di piastrelle e rivestimenti ceramici, pavimenti e scale in granito. Nasce dalle competenze maturate dal titolare nell’esperienza familiare (il padre vanta un’esperienza trentennale nel settore).

13) AFFITTACAMERE RO.MA S.n.c.

Francesca MazzolaBezzecca (Trento)

La società RO.MA di Francesca Mazzola è stata costituita nel dicembre 2005 a Bezzecca (TN), anche se l’apertura al pubblico dell’esercizio è avvenuta nella primavera del 2007, appena ultimati i lavori di ristrutturazione e allestimento dei locali. Il servizio offerto è quello dell’affittacamere con prima colazione, parcheggio privato e centro benessere. Sono disponibili camere con bagno, per un totale di 13 posti letto. La presenza del Lago di Ledro e del vicino Lago di Garda garantisce molti spunti di interesse per il turista attivo, amante degli sport nella natura (trekking, mountain bike, vela, ecc.) e per tutti coloro che vogliono trascorrere delle vacanze in pieno relax.

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14) ASSOCIAZIONE SPORTIVA MV RACING TEAM

Mauro SchivalocchiVeronica GamberiniCastel Condino (Trento)

L’Associazione sportiva dilettantistica “MV Racing Team” è nata nel gennaio 2006 a Castel Condino (TN). Si tratta di un’associazione sportiva No Profit per la promozione del motociclismo, che offre una vasta gamma di servizi destinati agli appassionati di questo sport: promozione e valorizzazione della moto e degli sport a motore in genere a livello valligiano, (anche attraverso la collaborazione con il Consorzio Pro Loco locale); preparazione ed elaborazione dei mezzi per le competizioni e per lo svolgimento di test in circuito; organizzazione di eventi agonistici e dimostrativi in pista; noleggio di circuiti per gare e test; servizi per migliorare la sicurezza della pratica motociclistica in pista; avvio e gestione di una rete di contatti con appassionati del motociclo, motoclub e organizzazioni analoghe in tutto il nord Italia. L’Associazione vuole offrire una risposta specializzata a chi vuole correre in modo sicuro all’interno dei circuiti. I soci fondatori si dedicano part-time all’attività dell’associazione. Schivalocchi corre da anni a livello dilettantistico in molti circuiti italiani, partecipa a raduni e gare ed ha avviato una serie di relazioni con gruppi, associazioni sportive e appassionati. Dal punto di vista economico, l’attività dell’Associazione è si fonda sui contributi dei membri e dei sostenitori (che consentono di coprire le spese) e sugli sponsor che finanziano specifiche manifestazioni od eventi.

15) ARS LARES – RESTAURO MOBILI, SCULTURA

Antonella GrazziPraso (Trento)

“Ars Lares” è un’impresa individuale costituita a Praso nel gennaio 2006 da Antonella Grazzi, un’impresa nata dall’attività di restauro mobili e manufatti in legno, cui si è aggiunta la scultura in legno e l’ideazione e la produzione di complementi d’arredo in legno massello. L’attività di scultura è cresciuta con la partecipazione della titolare a numerosi corsi specifici. Dal punto di vista imprenditoriale, Antonella Grazzi ha maturato competenze commerciali e amministrative grazie all’esperienza di anni di lavoro come impiegata in piccole imprese locali. Il laboratorio artigiano “Ars Lares” offre oggi risposte adeguate ad esigenze relative al restauro come pure alla realizzazione di oggetti su misura, anche partendo da un disegno originale.

16) SALONE CAPELLI NATURA

Luigina CaliariBleggio Superiore (Trento)

Luigina Caliari ha aperto nel marzo 2006 a Bleggio Superiore (fraz. Cavaione), il Salone “Capelli natura”. La titolare offre nel salone ogni servizio di acconciatura per uomo, donna e bambino. Prima di intraprendere questa nuova attività, Luigina Caliari ha maturato competenze tecniche ed una notevole esperienza lavorando in vari saloni e per più di dieci anni in società con una collega. I servizi del Salone si rivolgono prevalentemente ai residenti nelle numerose frazioni che costituiscono i Comuni di Bleggio Superiore e Inferiore.

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17) BED & BREAKFAST ANNAMARIA

Annamaria SantoliniConcei (Trento)

Nel febbraio 2006 Annamaria Santolini ha dato inizio all’attività del Bed & Breakfast Annamaria a Concei. Con questa attività viene proposta ai turisti una forma di ospitalità ed accoglienza originale, con il fine di far conoscere ed apprezzare il territorio a tutti coloro che non sono attratti da un’offerta turistica di massa. La titolare, infatti, può vantare un’esperienza ventennale nel settore turistico, conosce perfettamente l’inglese ed il tedesco ed è in possesso dell’abilitazione di Guida turistica. Avendo ristrutturato recentemente la propria abitazione secondo i canoni della bioedilizia, ha ricavato tre stanze con bagno da destinare al servizio B&B. Oltre al pernottamento con prima colazione preparata con prodotti locali e biologici, Annamaria Santolini offre un servizio di accompagnamento turistico, per far scoprire agli ospiti i luoghi della memoria, della cultura e della natura della Val di Ledro e della Val di Concei in particolare. L’esercizio aderisce al marchio “B&B Trentino di qualità”.

18) COLTIVAZIONE TARTUFI

Alba PedrazzaLuserna (Trento)

Alba Pedrazza, ha dato vita a Luserna (TN), a partire da maggio 2006, ad un’attività sperimentale di coltivazione dei tartufi. Ha provveduto a piantare i vegetali sotto i quali crescono e si sviluppano i tuberi. Poiché la prima raccolta significativa di tartufi si può ipotizzare solo dopo quattro anni dopo l’impianto, la costituzione dell’impresa per la fase di commercializzazione avverrà a partire da quel momento. La signora Pedrazza, casalinga, ha avviato quest’iniziativa come una “scommessa personale” dopo aver approfondito le conoscenze tecniche sulle concrete possibilità di crescita del tubero all’altitudine di 1200 metri, tenendo conto della composizione del terreno. La proponente ha a disposizione 4 ettari di terreno di proprietà della famiglia in cui sono state interrate 10.000 piante di nocciolo “incistate” di spore di tartufi. L’obiettivo è quello di commercializzare il prodotto e di realizzare varie creazioni a base di tartufo, intrattenendo rapporti con enti che a livello nazionale già si occupano della raccolta (con cani) e della distribuzione del tartufo.

19) AZIENDA AGRICOLA BIOLOGICA OSTI MARCO

Marco OstiSpormaggiore (Trento)

L’azienda agricola biologica Osti Marco, certificata I.C.E.A. (biologica al 100%) nasce in Valle di Non, ai margini del Parco Naturale Adamello Brenta, in un territorio che si avvale di un particolare microclima, favorevole alla coltivazione. Forte di un’esperienza decennale nella

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coltivazione biologica, l’azienda offre oggi un prodotto affermato e certificato (pere, mere, susine, albicocche, noci, verdure). Oltre alla produzione, l’azienda è impegnata come fattoria didattica in una serie di attività di servizio che affiancano, all’accoglienza e alla visita guidata, progetti con le scuole e con l’Università (possibilità di effettuare uno stage, opportunità di studio per tesi di laurea e prove sperimentali).

Dal marzo 2008 l’azienda è “fattoria sociale” nell’ambito del progetto “Biolavoromio”. I percorsi riguardano il mondo delle api, il frutteto biologico,

il bosco e varie attività del lavoro agricolo, quali gli innesti, l’orto, l’erbario, la cera, il succo di frutta.

20) STUDIO NATURALISTICO GIORGIO PERINI COMUNICAZIONE E RICERCA

Giorgio PeriniVeronica GiacomozziSegonzano (Trento)Pergine Valsugana (Trento)

Lo Studio naturalistico Giorgio Perini si fonda su un’esperienza ventennale, maturata in Italia e all’estero, in particolare nella divulgazione naturalistica e nella ricerca ambientale. Le competenze scientifiche, associate a quelle grafiche e artistiche, hanno fatto dello Studio Naturalistico un consulente ideale per enti pubblici, musei, scuole, professionisti ed aziende private. Dopo la laurea, e numerosi corsi di specializzazione, Giorgio Perini ha effettuato numerose ricerche e pubblicazioni scientifiche e centinaia di accompagnamenti naturalistici sul territorio. È stato docente in numerose iniziative di carattere naturalistico, sia in corsi di formazione, di aggiornamento, di specializzazione post-diploma e post-laurea. Si segnala anche l’ideazione di 15 documentari. Fra quelli di cui è stato autore e regista, ricordiamo “Alla scoperta del Lago di Garda, parte prima”, “Alla scoperta del Lago di Garda, parte seconda”, “Pesca in Mongolia”, “Caccia in Mongolia”, “Alla scoperta del fiume Noce”, “Obiettivo Dressing”, “Autunno in Val di Cembra”. Da anni collabora con lo Studio anche Veronica Giacomozzi in attività di formazione e docenza, oltre che nell’ideazione di percorsi specifici realizzati in collaborazione con la scuola. Ha partecipato alle attività del progetto ed è stato messo in contatto con il Comitato Promotore per lo Sviluppo Valle di Cembra, con il quale ha sviluppato una proficua collaborazione che ha portato alla realizzazione del documentario “Autunno in Val di Cembra”.

21) PMCALOR

Massimo EndriciDon (Trento)

Costituita nell’ottobre 2007, la ditta individuale PMCALOR di Massimo Endrici rappresenta il risultato del percorso professionale di un tecnico specializzato nella realizzazione di impianti

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elettrici e manutenzione caldaie. Conseguito il diploma e una qualifica per la manutenzione degli impianti di riscaldamento, il titolare ha maturato dieci anni di esperienza nel settore come dipendente. Forte delle competenze acquisite, ha quindi deciso di investire nel proprio lavoro in forma imprenditoriale nella prospettiva di un ulteriore sviluppo dell’attività. In particolare, Endrici ha allo studio un nuovo sistema di riscaldamento dell’acqua attraverso la valorizzazione dell’accumulo termico delle coperture.

22) LAVORAZIONI MECCANICHE

Patrizio CostaSporminore (Trento)

Patrizio Costa è un tecnico specializzato nella progettazione e lavorazione di parti meccaniche (anche nel servizio di tornitura per conto terzi) che, dopo un periodo di approfondimento delle proprie competenze professionali, trascorso alle dipendenze di una ditta del settore, nel marzo 2008 ha aperto un’attività in proprio e si è iscritto all’Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provincia Autonoma di Trento.

23) SALONE LUI & LEI

Luana PiccinelliDarzo di Storo (Trento)

L’apertura di un’attività in proprio è il naturale approdo del percorso formativo e professionale di un artigiano che opera nel campo dei servizi alla persona. Dopo il diploma di parrucchiera e dopo alcuni anni trascorsi alle dipendenze di un’altra azienda del settore, Laura Piccinelli ha deciso di sviluppare in termini imprenditoriali la propria attività lavorativa. Superati alcuni ostacoli di natura legislativa e burocratica, la titolare ha potuto aprire il proprio salone nel giugno 2007.

24) POSA IN OPERA PAVIMENTI E RIVESTIMENTI

Diego BertoliniZuclo (Trento)

Come già Giordano Bertolini, che abbiamo incontrato nel corso del progetto, Diego Bertolini prosegue la stessa tradizione familiare di impegno nel campo dell’edilizia e più precisamente nella posa in opera di pavimenti e rivestimenti in piastrelle e pietra naturale.

25) AMBULATORIO OSTEOPATIA

Lucy PojerGrumes (Trento)

Osteopata, Lucy Pojer collabora da alcuni anni come libera professionista con uno studio medico di Milano. Rispondendo ad alcune esigenze espresse dalla popolazione della Valle di Cembra, ha aperto un recapito a Grumes, paese cui è legata da rapporti familiari. Riceve, dunque, in orario di ambulatorio, due giorni in settimana.

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26) MACELLERIA BONELLI PRODOTTI TIPICI DI PRODUZIONE PROPRIA

Francesco BonelliSiror (Trento)

La macelleria Bonelli è un’azienda familiare nota nel settore dei prodotti tipici trentini (salumi di selvaggina, speck, carne salada). Nell’ambito di un percorso di preparazione individuale al passaggio generazionale, Francesco Bonelli ha partecipato al progetto promosso da Trentino Sviluppo, in particolare alle serate tenutesi a Siror nella primavera del 2006. Bonelli ha elaborato un’ipotesi per l’ampliamento dell’attività familiare attraverso la realizzazione di un nuovo laboratorio di produzione, necessario per rispondere alle esigenze dettate dalla crescita dell’attività e dalla sua ulteriore differenziazione. Il progetto, sia pure con alcune variazioni rispetto a quanto previsto in un primo momento, è stato poi portato a termine.

27) IMPRESA AGRICOLA – PRODUZIONE PICCOLI FRUTTI

Nives ZancanellaValda (Trento)

Forte di una tradizione agricola legata alla coltivazione dei piccoli frutti che è partita dai comuni di Valda e di Faver per poi diffondersi rapidamente in tutta Valle di Cembra, Nives Zancanella nella primavera del 2006 è diventata imprenditrice agricola. Per migliorare le sue competenze la titolare ha frequentato un corso di formazione specifico. È intervenuta nelle serate di assistenza tecnica tenutesi a Cembra.

28) BAR STUBE GARAIT – FRASSILONGO

Monica LanerFrassilongo

Dopo molti anni di esperienza maturata alle dipendenze di un’altra azienda del settore, nel settembre 2007 Monica Laner ha aperto il Bar Stube a Frassilongo, andando in tal modo a rispondere, oltre che ad un bisogno di crescita professionale, anche ad un’esigenza avvertita dalla comunità (non c’erano bar nella frazione, mentre ce n’è uno a Roveda). L’esercizio pubblico ha previsto un’apertura annuale, ma la vocazione turistica della Valle dei Mocheni, che il Patto territoriale in corso sta cercando di favorire, mostra una maggiore propensione per la stagione estiva.

29) CONSULENZA ALLE IMPRESE

Barbara De BoniRovereto

Barbara De Boni, dopo gli studi e un periodo di lavoro presso Samsung Italia in qualità di responsabile commerciale, ha deciso di intraprendere l’attività di consulente d’impresa, specializzandosi nel settore della promozione tecnologica. In questa nuova veste ha stretto rapporti di collaborazione sia con Samsung che con il Centro Europeo di Impresa e di Innovazione del

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Trentino (CEII). Tra i molti progetti in cui è impegnata, si segnala un’iniziativa rilevante relativa al censimento del fabbisogno tecnologico delle piccole imprese trentine.

29) TECNOLOGIE PER IL RISPARMIO ENERGETICO

Francesco BorrelloAlbiano

Conclusi gli studi universitari in Ingegneria ambientale, Francesco Borrello si è specializzato nella ricerca, nella progettazione e nel commercio di tecnologie per il risparmio energetico, in primo luogo nel campo dei riduttori di flusso per edifici pubblici, aziende, alberghi. Dopo un primo periodo di esperienza in questo settore, negli ultimi due anni Borrello si è rivolto più decisamente allo studio del consumo energetico delle abitazioni sotto ogni aspetto, ma con particolare attenzione al ciclo dell’acqua. Le sue competenze offrono oggi al cliente una soluzione complessiva per la riduzione dei costi energetici di un edificio. In virtù della sua specializzazione è stato invitato a partecipare alle attività di Habitech, il Consorzio del Distretto Tecnologico Trentino per l’Energia e per l’Ambiente.

30) SALONE ANGELICA

Angelica FadanelliTorcegno (Trento)

Come già per altre imprese del settore, incontrate nel corso del progetto, anche nel caso di Angelica Fadanelli l’iniziativa imprenditoriale, avviata con l’apertura del salone di acconciature, risponde sia ad un’esigenza di sviluppo delle proprie competenze professionali (che naturalmente spingono all’esercizio in forma autonoma), sia ad un’esigenza emersa dal territorio, privo di alternative nel settore dei servizi alla persona, ed in particolare dei negozi di parrucchiera. L’ipotesi imprenditoriale ha perciò incontrato il sostegno della comunità e della locale Amministrazione, che ne ha favorito un rapido insediamento.

31) CREPERIA AMBULANTE

Eleonora SlompFierozzo (Trento)

L’attività di Eleonora Slomp si è divisa in passato tra la ricerca archeologica (1984-1989) e il settore della ristorazione, dove ha lavorato a lungo sia in Italia, sia, soprattutto, in Francia. Rientrata in Italia per ragioni familiari, ha recentemente dato vita a un’attività di ambulante, in grado di conciliare le sue diverse esigenze.

32) ASSOCIAZIONE VICEVERSA - ANIMAZIONE

Luisa RodigheriBrentonico (Trento)

Luisa Rodigheri, dopo aver maturato alcuni anni di esperienza professionale nell’ambito dei servizi culturali, ha dato vita all’Associazione culturale “Viceversa” che realizza servizi di vario

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genere, con animazione per bambini, eventi ludici e sportivi rivolti ai residenti ed ai turisti della zona di Brentonico. Durante la stagione estiva 2008 l’attività di animazione ha dato luogo a numerose iniziative ed eventi, in collaborazione con il Comune di Brentonico e con il Consorzio Brentonico Vacanze. L’attività ha riscosso notevole successo tanto che l’Associazione ha ricevuto numerosi incoraggiamenti ed offerte nella prospettiva di estendere l’attività all’organizzazione di ulteriori servizi ed iniziative.

33) PROGETTO AVATAR

Carlo MaioliniTrento

Carlo Maiolini si occupa da anni di forme e mappe del mondo virtuale. Dopo la laurea in Scienze Biologiche a Parma, si è specializzato conseguendo un Master in Comunicazione ambientale presso l’Università di Pisa. È l’ideatore del Progetto Avatar, la costruzione di un supporto interattivo per la visualizzazione multimediale di mostre e esposizioni in stile “Second Life”. Esperto di progettazione in ambiente virtuale, Maiolini è autore di pubblicazioni sul tema ed è ideatore e curatore della mostra “AVATAR un’esperienza nel mondo virtuale” realizzata presso il Museo Tridentino di Scienze Naturali di Trento.

34) RIORDINO E CATALOGAZIONE ARCHIVI STORICI

Vito RovigoRovereto (Trento)

Vito Rovigo è un giovane storico che, dopo aver conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Storia della Società Europea presso l’Università degli Studi di Verona, su sollecitazione di alcuni enti ha deciso di investire in forma imprenditoriale nell’attività di riordino e catalogazione archivi storici cui si era già dedicato in forma saltuaria anche durante gli studi universitari e poi nel corso del Dottorato (ottenendo fra l’altro il Diploma di Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato di Bolzano). Rovigo si trova oggi ad esercitare questa attività in modo integrativo a quella di insegnante, che svolge ancora in forma precaria, mentre sta completando la Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario di Rovereto. Benché l’attività si rivolga principalmente agli enti, pubblici ed ecclesiastici, in questa forma essa rappresenta un segno evidente

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del mutamento intervenuto nelle condizioni di esercizio dell’attività di archivista anche in ambito privato, un’attività che sembra, appunto, destinata ad essere esercitata in forma autonoma.

34) ACCENDI FUOCO “ELIOS”

Ferruccio ClauserDaniel ClauserKatia ClauserFrancesco ArzuBrez (Trento)

Daniel e Katia Clauser sono i figli di Ferruccio Clauser, l’inventore di “Elios”, un “accendifuoco solido” alternativo a vari materiali in commercio, realizzato con elementi naturali. Il prodotto si presenta come una striscia di stoffa interamente ricoperta di cera d’api e di altri componenti. Inodore, non lascia tracce sulle mani, non è tossico al tatto ed è anzi ipoallergenico. Arrotolato prima dell’accensione, bruciando si riapre progressivamente, favorendo la combustione dei pezzi di legna. Èstato testato in condizioni estreme: funziona anche se bagnato, ed anche in presenza di poco ossigeno (come è avvenuto nel corso di una recente spedizione trentina sull’Everest). La produzione di “Elios” non comporta alti costi energetici e anche il suo utilizzo, rispetto ai materiali concorrenti, incide in misura minore in termini di inquinamento. Dopo aver brevettato il prodotto al termine del 2008 (con il supporto di Trentino Sviluppo Spa e del CEII), Ferruccio, Daniel e Katia Clauser con Francesco Arzu è entrato in produzione. Il prodotto è commercializzato in una catena della grande distribuzione.

35) BAR RISTORANTE PIZZERIA “Betty’s Hill”

Betty MarighettoPieve Tesino (Trento)

La proposta di Betty Marighetto si inserisce nell’ambito di una rinnovata valorizzazione e riqualificazione turistica del territorio del Tesino. L’ipotesi imprenditoriale ha preso il via nel 2004 con il progetto di un immobile da destinare a bar-pizzeria in un terreno di proprietà a Pieve Tesino, progetto giudicato coerente con gli assi di sviluppo del Patto territoriale del Tesino-Vanoi. La proponente ha seguito le attività del progetto di animazione territoriale promosso da Trentino Sviluppo nella primavera del 2006. Nel 2007, mentre i lavori di costruzione erano in corso, è stata costituita la società per la gestione del locale. Ultimati i lavori edili, il ristorante dovrebbe aprire nei prossimi mesi, in tempo per la stagione invernale 2008.

37) PRODUZIONE MOBILI TIPICI E OGGETTI IN LEGNO

Andrea OberoslerFierozzo (Trento)

Andrea Oberosler ha da poco dato vita ad un progetto cui lavora da alcuni anni, quello di aprire un’attività di produzione mobili tipici e oggetti in legno destinati al mercato turistico dei souvenir. Dopo aver definito con cura l’ambito di produzione dell’impresa, l’attività è partita nel corso del 2008.

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38) GRAMAC – PROGETTAZIONI E REALIZZAZIONI MECCANICHE

di Andrea GrassiLodrone (Trento)

La Gramac di Andrea Grassi è un’impresa individuale di progettazione manufatti e componenti meccaniche, la cui nascita è stata favorita della presenza sul territorio di una forte espressione in questo settore, sopravvissuta alla crisi della media impresa negli anni ’90 e oggi molto dinamica. Perito industriale, il titolare ha avviato l’attività (cui lavora da solo) nella primavera del 2006. A due anni di distanza l’andamento è considerato soddisfacente.

39) SALONE ELISA

Elisa Nicolussi PaolazLuserna (Trento)

Come già visto in altri esempi del settore, l’apertura di un salone di acconciatura in un paese montano, oltre a colmare una lacuna nell’ambito dei servizi alla persona (sempre più apprezzati dal flusso turistico), rappresenta un segnale positivo per i residenti, tanto ad assumere valore aggregativo. Elisa Nicolussi Paolaz ha aperto il suo salone a Luserna nel luglio 2006, anche grazie alla collaborazione dell’Amministrazione comunale che ha concesso a tal fine in locazione un locale di proprietà pubblica.

40) STUDIO TECNICO

Francesca MussiPoncarale (Brescia) Roncone (Trento)

Francesca Mussi è un tecnico di Roncone che opera come libero professionista in campo edile dal 2004, soprattutto nell’ambito della progettazione e della sicurezza sul lavoro. Trasferitasi per esigenze personali nel bresciano, continua a intrattenere alcuni rapporti professionali anche in Valle del Chiese.

41) MDL srl – TRASPORTI, TURISMO

Annamaria MarchiCimone (Trento)

La MDL srl è una ditta di noleggio pullman con conducente di cui è legale rappresentante Annamaria Marchi. Forte di un’esperienza familiare nel settore delle automobili (il marito è titolare di un’importante carrozzeria), Annamaria Marchi nel settembre del 2006 ha costituito una società per rispondere ad una serie di richieste nel settore che emergevano con forza dalla realtà locale, soprattutto per quanto riguarda il servizio scuolabus e il trasporto persone. A queste due attività si è aggiunto quasi subito l’impegno in campo turistico, che sta oggi spingendo i soci a valutare l’opportunità di aggiungere un secondo pullman a quello già destinato a questo particolare servizio.

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42) AZIENDA AGRICOLA “FANTASIA”

Allevamento bovini da latte e caseificioNatale IoriManuela PedrottiBleggio Superiore (Trento)

L’azienda agricola a conduzione familiare di Natale Iori opera da anni nel settore zootecnico e caseario. In particolare, l’azienda produce formaggi e li commercializza al dettaglio, sia nella sede di Bivedo, che in malga (durante la stagione estiva). Natale Iori e Manuela Pedrotti hanno partecipato alle attività del progetto di animazione territoriale promosso da Trentino Sviluppo nella prospettiva di diversificare i canali commerciali dei loro prodotti, limitati alla vendita diretta, attività che si segnala per esiti positivi nella stagione estiva in malga – soprattutto nei confronti di un numero significativo di turisti – ma che conosce minori opportunità di crescita durante i mesi invernali.

43) APPARTAMENTI TURISTICI “RESIDENCE – LE FARFALLE”

Tullio ZoanettiZuclo (Trento)

Nel dicembre 2006 Tullio Zoanetti ha dato corso alla sua ipotesi di attività ricettiva extralberghiera con quattro appartamenti di proprietà recentemente ristrutturati. Si tratta di un’attività integrativa del reddito, pubblicizzata attraverso il circuito dell’Azienda di Promozione Turistica e nel portale delle Valli Giudicarie.

44) STUDIO PSICOLOGA E PSICOTERAPEUTA

Laura Valentina ColettiBorgo Valsugana (Trento)

Laura Valentina Coletti è una giovane psicologa e psicoterapeuta che dopo la specializzazione ha aperto il proprio studio professionale a Borgo Valsugana. Ha partecipato alle iniziative del progetto di Trentino Sviluppo negli incontri di Castello Tesino (primavera 2006). Titolare di alcuni progetti dedicati al mondo della Scuola a Borgo e a Strigno, collabora professionalmente con il Tribunale di Borgo Valsugana. Attualmente è impegnata in una supplenza presso le strutture dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari.

45) SORES PARK – Parco Avventura

Andrea BonazzaVervò– (TN)

Il Sores park è un parco acrobatico che offre 4 percorsi aerei sospesi tra gli alberi della pineta che circonda il Rifugio Sores sull’Altipiano della Predaia. I percorsi, differenziati per difficoltà tecnica, si

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sviluppano quindi nel bosco con passerelle, ponti tibetani, funi, liane e due teleferiche che collegano 38 piattaforme poste sugli alberi ad un’altezza che può raggiungere anche i 12 metri dal suolo. I parchi acrobatici sono nati in Germania ma le prime installazioni in Italia hanno riscosso un notevole successo, così negli ultimi anni ne sono nati alcuni anche in Provincia di Trento. Tutto l’itinerario si svolge in totale sicurezza poiché i praticanti vengono assistiti da personale qualificato e i percorsi vengono affrontati con caschetto, imbragatura e moschettoni sempre assicurati a delle funi di sicurezza. Tutti e quattro i percorsi sono stati progettati e realizzati ponendo massima attenzione al rispetto del contesto naturale in cui si inseriscono. Oltre che all’aspetto paesaggistico è stata quindi posta grande attenzione ai sistemi di ancoraggio delle piattaforme e delle funi che, pur garantendo la massima sicurezza, preservano l’integrità della piante.

46) TRASPORTO MERCI

Giuseppe PislorCanal San Bovo (Trento)

Forte di una considerevole richiesta emersa nel settore in anni recenti, Giuseppe Pislor nell’autunno del 2006 ha avviato un’attività di trasporto merci che opera prevalentemente nel territorio locale, vale a dire tra il Vanoi, il Primiero e la zona di Feltre in Veneto. A quasi due anni dall’apertura, il titolare valuta l’andamento dell’azienda molto positivamente.

47) CARPENTERIA E MANUTENZIONI EDILI

Roberto PrandiRocca di Concei (Trento)

Già attivo da anni con un’attività di carpenteria e piccole manutenzioni edili, Roberto Prandi ha partecipato alle iniziative del progetto di animazione territoriale per valutare la possibilità di ampliare la sua attività economica impegnandosi nel settore delle costruzioni in legno. L’ipotesi imprenditoriale è ancora in fase di definizione.

48) TAGLIO E VENDITA LEGNA

Massimo NaveAla (Trento)

Massimo Nave nel maggio 2005 ha avviato un’attività artigianale di taglio e vendita legna. A distanza di tre anni dall’apertura, pur facendo segnare un andamento largamente positivo, l’impresa soffre la concorrenza del comparto agricolo, che opera nello stesso settore in condizioni di maggior tutela e vantaggio economico.

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49) PRODUZIONE SUCCHI DI MELA

Elvio RopelatoSpera (Trento)

Impegnato già da anni come agricoltore e come consulente agricolo, Elvio Ropelato ha preso parte alle iniziative del progetto di animazione territoriale valutando la possibilità di un’ulteriore differenziazione della propria attività di coltivazione di mele, ciliegie, mirtilli. Mentre questa nuova ipotesi è ancora al vaglio di ulteriori prove, nell’autunno 2007, a conclusione di un progetto sviluppato nel corso di un lungo periodo tempo, Ropelato ha avviato una produzione di succhi di mela.

50) ALLEVAMENTO PAPPAGALLI

Luigi BaldoElina AnesiFraz. Brusago – Bedollo (Trento)

Luigi Baldo da un paio d’anni ha trasformato la sua passione per l’allevamento di pappagalli in un’attività imprenditoriale agricola. Con l’aiuto di Elina Anesi ha creato a Brusago, sull’Altipiano di Piné, un allevamento che conta un centinaio di esemplari di diverse specie. Lo ha poi perfezionato, modificando la propria dotazione tecnica con opportuni aggiornamenti (anche sulla base di esempi stranieri). Il titolare ha insistito molto sulla particolare modalità di allevamento “a mano” dei pappagalli da compagnia, una modalità attraverso la quale gli uccelli vengono (entro certi limiti) addomesticati. L’imprenditore vende ai negozianti, ma vende soprattutto ai privati attraverso i portali Internet di settore. La clientela proviene da buona parte dell’Italia del nord. Qualche cliente arriva perfino da Trieste.

51) STUDIO ARCHITETTURA

Marta RiccadonnaBleggio Superiore

L’architetto Marta Riccadonna opera come consulente nell’ambito dell’architettura sostenibile, energie rinnovabili, risparmio energetico, bio-archittetura. Attualmente collabora con 2 studi professionali. Ha espresso l’intenzione di approfondire la sua formazione in campo sostenibile per aumentare le sue competenze, e di seguire con interesse l’evoluzione del Green Building Council.

52) PRODUZIONE CONFETTURE

Patrizia PlancherLivo (Trento)

Imprenditrice agricola da circa 6 anni, Patrizia Plancher coltiva piccoli frutti (fragole, lamponi, more), e altri frutti (albicocche, prugne). Parte del raccolto viene conferito ad un consorzio, parte la trasforma in confettura prodotta artigianalmente. Le confetture vengono vendute principalmente a piccoli negozi della zona. Ha partecipato al progetto di Trentino Sviluppo Spa in merito all’individuazione di nuovi potenziali clienti e alle autorizzazioni necessarie per certificare il suo prodotto come prodotto trentino.

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53) BAR

Alessia AngeliCloz (Trento)

Alessia Angeli ha da sempre lavorato come collaboratrice contabile nell’azienda di famiglia. Avendo chiuso nel suo paese (Cloz) il bar/pub che è stato sempre il punto di ritrovo della comunità, ha deciso di rilevarlo e di gestirlo. L’attività, che ha incontrato il favore tipico di un luogo di aggregazione di un centro montano, è partita a metà aprile 2008.

54) SERVIZIO TOELETTATURA PER CANI “PELO PERFETTO”

Nadia BottCoredo (Trento)

Nadia Bott ha sempre nutrito grande interesse e passione per i cani. Per questo motivo, dopo aver frequentato un corso di specializzazione, ha deciso di aprire un negozio di toelettatura per cani nel suo paese, Coredo. L’attività, che ha preso il nome “Pelo Perfetto”, è stata avviata nel febbraio 2008. I servizi offerti, rivolti ai cani dei residenti e dei turisti, comprendono sostanzialmente le seguenti operazioni: bagno, spazzolatura, taglio del mantello, pulizia degli occhi, delle orecchie e taglio delle unghie.

55) COPERTURE METALLICHE

Matteo PlagaRomeno (Trento)

Matteo Plaga, collaboratore artigiano, dopo aver accumulato una buona esperienza in un’impresa del settore, ha avviato nel 2007 un’attività artigiana specializzata nella produzione di facciate e coperture metalliche. Sta sviluppando un progetto di grande interesse rivolto allo sfruttamento dell’energia termica accumulata dalle coperture metalliche

56) APICOLTURA

Carmen LiberaBreguzzo (Trento)

La signora Libera Carmen ha avviato già 6 anni fa un’apicoltura. Allo stato attuale l’attività interessa 40 arnie. La titolare possiede una struttura in Val di Breguzzo, una volta adibita a stalla, che vuole ristrutturare per poterla poi adibire a locali di smielatura. (Attualmente la smielatura la effettua in locali di proprietà del fratello con sede nel comune di Avio, su permesso della USL competente). Carmen Libera ha partecipato al progetto di Trentino Sviluppo per valutare la possibilità di ampliamento della sua attività.

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57) STUDIO DI ARCHITETTURA

Alessio TrentiniVilla Lagarina (Trento)

Alessio Trentini ha aperto nel 2006 uno studio di architettura con un altro collega. È in cerca di nuove collaborazioni. Da questo punto di vista ha chiesto a Trentino Sviluppo di esser messo in contatto con il Distretto Tecnologico Trentino. Alessio Trentini vuole sviluppare su scala provinciale un progetto di architettura museale: con il suo collega costruisce delle riproduzioni geografiche e storiche in gesso. Una di queste riproduzioni è esposta al museo di Riva del Garda.

58) AZIENDA AGRICOLA ZOOTECNICA – PRODUZIONE FORMAGGI CAPRINI

Ivan ZanoniCloz (Trento)

Mentre lavorava come operaio per una locale azienda di prodotti zootecnici ed agricoli, Ivan Zanoni ha sempre coltivato l’hobby dell’allevamento di un piccolo gregge di capre. Da un anno a questa parte ha deciso di fare di questa passione la sua principale attività. Ha iniziato i lavori di ristrutturazione della sua stalla e ha aumentato il numero di capi del suo gregge. L’attività è partita ad aprile 2008. Il latte prodotto dalle capre viene trasformato in formaggio e rivenduto direttamente ai privati e ai caseifici della zona. Non appena l’attività si sarà consolidata, il titolare intende aprire presso la sua azienda anche una piccola fattoria didattica.

59) COMMERCIO MANGIMI PER ANIMALI

Franco BellottiBleggio Superiore (Trento)

Franco Bellotti vende mangimi per animali di grossa taglia e cani, in particolare attraverso Internet (e-bay), sia al dettaglio che all’ingrosso. Da un anno e mezzo serve anche i proprietari privati di piccoli animali. Ha partecipato agli incontri di assistenza tecnica per sviluppare quest’ultimo tipo di offerta, in modo da raggiungere un maggior numero di clienti.

60) AZIENDA AGRICOLA ZOOTECNICA

Prandi LucianoConcei (Trento)

Luciano Prandi è un imprenditore agricolo iscritto in 2° sezione dal 1993. L’attività dell’azienda agricola si svolge prevalentemente in Val di Concei e consiste nell’allevamento di bovini di razza Rendena e Grigio Alpina e caprini. L’imprenditore ha partecipato al progetto di Trentino Sviluppo con l’obiettivo di sviluppare l’allevamento sulla linea vacca-vitello con circa 30 fattrici e di allestire uno spaccio aziendale con adiacente locale di lavorazione carni.

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61) STUDIO DI ARCHITETTURA

Eccel MicheleCloz (Trento)

Michele Eccel è un architetto che ha partecipato agli incontri di assistenza tecnica con la finalità di sviluppare alcuni progetti inerenti sistemi per il diserbo, per la distribuzione di concime, per il controllo della distribuzione di prodotti fitosanitari sulle piante da frutta (in modo da evitare volumi eccessivi e relativo inquinamento ambientale). Visto l’alto contenuto tecnologico delle proposte, Eccel è stato messo in contatto con una pluralità di attori istituzionali competenti in materia di innovazione (Università di Trento, Distretto Tecnologico Trentino, CEII, IASMA – Fondazione Mach, IRSS) per lo sviluppo dei prototipi.

62) STILCLASS Srl - PRODUZIONI MECCANICHE

Roberto SachsRovereto (Trento)

Stilclass srl. Roberto Sachs è un imprenditore veneto che si è trasferito in Trentino, dove ha deciso di avviare un’attività incentrata sulla produzione di parti metalliche per componenti di cappe d’aspirazione. Ha inoltre acquisito un brevetto attraverso il quale intende mettere in produzione una macchina innovativa per l’asfaltatura di piccole superfici. Il suo piano operativo è quello di arrivare ad una decina di dipendenti in 4,5 anni, con investimenti significativi nell’innovazione dei prodotti.

63) ISER SRL – STUDIO TECNICO, BONIFICHE TERRENI CONTAMINATI

Silvio RomaniRovereto (Trento)

Insieme ad altri colleghi ingegneri, Silvio Romani nel settembre 2008 ha avviato un’azienda, la Iser Srl, che mette a frutto le conoscenze acquisite negli anni di studio universitario nel campo delle bonifiche ambientali di suoli contaminati. Si prevedono significativi investimenti in termini di ricerca anche in collaborazione con il corso di Laurea in Ingegneria dei materiali dell’Università degli Studi di Trento. I tre ingegneri sono già impegnati nello studio preliminare per la bonifica di alcune aree di Trento nord.

64) AZIENDA AGRICOLA – AGRITUR

Gianluca BarbacoviTres (Trento)

Giovane agricoltore, coltivatore di mele, Gianluca Barbacovi ha già svolto il corso per l’abilitazione all’esercizio dell’attività agrituristica che si svolge presso l’Istituto agrario di San Michele All’Adige. Il progetto prevede la realizzazione ex-novo dell’edificio da adibire ad attività agrituristica, che dovrebbe puntare in particolar modo sulla ristorazione tipica.

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65) PROGETTAZIONE E PRODUZIONI MECCANICHE

Paoli GiorgioSant’Orsola Terme

Giorgio Paoli, dipendende di un’azienda di medie dimensioni, ha avviato da qualche anno un’attività in proprio, esercitata nel tempo libero, ma con regolare partita iva, nel campo della progettazione in 3D e produzione meccanica di congegni e macchine per aziende, realizzate al fine di risolvere alcuni problemi derivanti dalla mancata meccanizzazione di alcune fasi produttive (ad esempio, dalla mancanza di raccordo tra una catena di montaggio e l’altra, oppure dall’assenza sul mercato di macchine in grado di eseguire una particolare, specifica lavorazione richiesta dal ciclo produttivo di un’impresa). Tra i suoi clienti, vanta alcune delle aziende più innovative della Valsugana e del Trentino. Il suo, come alcuni altri casi, ha suscitato la riflessione del progetto attorno all’ipotesi professionale dell’”artigiano di seconda”. Ha partecipato agli incontri di assistenza tecnica a Sant’Orsola Terme.

66) AZIENDA AGRICOLA – AGRITUR

Adriano CorazzaBrez (Trento)

Adriano Corazza è un impiegato che esercita l’agricoltura come attività integrativa del reddito, in particolare nell’ambito della coltivazione delle albicocche. Sta ristrutturando un edificio a Salobbi di Brez da adibire ad attività agrituristica. Corazza ha già frequentato il corso di abilitazione all’esercizio dell’attività agrituristica presso l’Istituto agrario di San Michele All’Adige.

67) CASA-VACANZE

Maria Rosa PodaFlavon (Trento)

A seguito di alcune esperienze accumulate nel settore turistico, Maria Rosa Poda, insieme alla figlia ha deciso di recuperare un edificio di rilevanti dimensioni a Flavon, alle porte del Parco naturale Adamello-Brenta, per attrezzarlo quale casa-vacanze per gruppi organizzati: sportivi, ricreativi, parrocchiali. La formula ricettiva è particolarmente originale, si rivolge ad un target preciso e risulta interessante soprattutto per quanto riguarda il turismo estivo.

68) OSPITALITÀ RURALE E OSSERVATORIO ASTRONOMICO

Gemma BonetSagron Mis (Trento)

Gemma Bonet ha sviluppato un’idea imprenditoriale che darà luogo ad uno dei primi casi di ospitalità rurale in Trentino (esercizio rurale ex art. 32 della L.P. n. 7/2002). Si tratta di una struttura ricettiva con venti posti letto sita nel Borgo di Vori, a 2 km da Sagron Mis, compreso tra il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e il Parco Naturale Paneveggio - Pale di San Martino. Il progetto prevede di aggiungere alla struttura un osservatorio astronomico dotato di strumentazione di richiamo internazionale. Lo sviluppo dell’ipotesi imprenditoriale trae origine dalla profonda conoscenza, sia del territorio, sia dei meccanismi gestionali di un’impresa, da parte della proponente

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e dei suoi soci. L’ubicazione della struttura, in un contesto non ancora interessato dal turismo di massa, potrebbe trarre vantaggio dalla costruzione di un centro wellness, attualmente in fase esecutiva, che dovrebbe sorgere a circa due chilometri di distanza.

69) PRODUZIONE SOFTWARE CICERIX S.R.L.

Roberto GiovanazziRovereto

La società viene costituita da 5 soci con la finalità di fornire prodotti e servizi alle aziende e alle istituzioni pubbliche applicabili quindi a diversi ambiti operativi. La società si occuperà di ricerca, sviluppo e progettazione di software legati a processi di: remotizzazione (ad esempio ogni operatore può sviluppare qualsiasi operazione inerente gli applicativi utilizzando esclusivamente una connessione Internet); RFID (Identificazione automatica in radio frequenza) tecnologia che permette di collegare una gran mole di informazioni ad oggetti fisici attraverso l’applicazione di etichette elettroniche e lettura con palmari od altri strumenti informatici.

70) RICETTIVITÀ TURISTICA

Lucia BiatelCampodenno (Trento)

Lucia Biatel ha deciso di avviare un’attività in ambito turistico partendo dalla formula del Bed & Breakfast. Forte di una lunga esperienza di intervento sul territorio, svolta anche a livello istituzionale, la titolare ritiene di poter contribuire alle opportunità turistiche dell’ambito sovracomunale, che il recupero del villaggio medievale andrà ad favorire. L’ipotesi di attività ricettiva “leggera”, che parte dal B&b, risulta coerente con le forme di ospitalità diffusa che si intende incentivare.

71) AZIENDA AGRICOLA FRATELLI BATTISTI

Fratelli BattistiCavareno (Trento)

L’azienda agricola f.lli Battisti, gestita da i tre fratelli Battisti e dal padre, ha sede a Cavareno ed è specializzata nell’allevamento di bovini per la produzione di latte. L’azienda conta 120 vacche da latte e 80 manze da rimonta. Ha partecipato all’assistenza tecnica di Trentino Sviluppo per esser aiutata nella redazione del piano di miglioramento aziendale al fine di accertare i benefici quantitativi (ma anche qualitativi) derivanti dall’acquisto di attrezzature agricole più moderne e più sofisticate di quelle attualmente utilizzate e dai relativi investimenti.

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72) AZIENDA AGRICOLA LUCCHI CLAUDIO

Claudio LucchiFondo (Trento)

L’azienda agricola Claudio Lucchi, gestita da padre e figlio, è specializzata nella produzione di latte e nella coltivazione di mele. Ha partecipato al progetto di Trentino Sviluppo Spa per esser aiutata nella redazione del piano di miglioramento aziendale che prevede notevoli investimenti in attrezzature e macchinari.

73) FALEGNAMERIA

Ferrari LucaTaio

Il Signor Ferrari Luca, con alle spalle ben 17 anni di esperienza lavorativa nel settore, nel 2006 ha deciso di aprire nel comune di Taio, assieme ad un socio, una falegnameria. Ha partecipato all’assistenza tecnica di Trentino Sviluppo per esser aiutato nelle diversificazione del suo business.

74) MACELLERIA CORRÀ SMARANO

Corrà Pio e LucaSmarano

Fin dal 1850 la Macelleria Corrà Smarano produce salumi e insaccati tipici della Val di Non e del Trentino. La loro produzione si basa sulla scelta di bestiame locale, allevato con mangimi vegetali e macellato nel proprio macello. Da vent’anni a questa parte l’attività è gestita dai fratelli Pio e Luca Corrà. Questi hanno partecipato all’assistenza tecnica di Trentino Sviluppo per accertare i benefici derivanti dalla costruzione ex novo del salumificio e del punto vendita dei propri prodotti.

75) SCUOLA DI DOGSLEDDING “ATHABASKA”

Maurizio CattafestaSan Lorenzo in Banale

Maurizio Cattafesta ha sempre avuto, fin da piccolo, un’enorme passione per i cani, in particolar modo per i cani da slitta. Ha fatto di questa sua passione anche la sua principale attività. Nel 2005 ha infatti aperto una scuola di Dogsledding che ha chiamato “Athabaska”. La

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scuola propone sia attività invernali che estive. Durante il periodo invernale la scuola organizza delle escursioni in slitta, delle giornate di avvicinamento allo sleddog e dei corsi Muscher per imparare a condurre una slitta trainata da cani. Durante il periodo primaverile e quello estivo la scuola propone il Dog Treking, vale a dire delle passeggiate in compagnia dei cani, uscite in ciclo-dog per gli amanti del bike estremo, nonché dei corsi di Kart trainato dai cani. Ora intende avviare anche un allevamento di cani da slitta.

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13. Conclusioni: Quali politiche per la promozione dell’autoimprenditorialità.

La focalizzazione sull’individuo - sulle sue competenze, responsabilità, autostima, diritti, reti di relazione, capacità di assumere il rischio – interessa oggi una gamma sempre più estesa di condizioni lavorative.

Sono sempre più “i lavori” che si devono confrontare con livelli crescenti di rischio, di autonomia, di conoscenza e di reticolarità. Si tratta di un articolato mondo in cui possiamo riconoscere vecchie e nuove collocazioni professionali ed in cui possiamo comprendere:• i lavori imprenditoriali tradizionali che riguardano il piccolo imprenditore, l’artigiano, il

commerciante, l’agricoltore, tutte le volte che queste figure contribuiscono direttamente, col proprio lavoro all’attività di impresa;

• i lavori professionali del cosiddetto “terziario avanzato” che elaborano e forniscono risorse immateriali (conoscenze e relazioni) alle imprese e ai consumatori che ne hanno bisogno;

• i lavori atipici che rientrano nel campo del lavoro dipendente (part time, interinale, ecc.) o dell’avviamento al lavoro (formazione/lavoro, borse di lavoro, stage);

• ilavori autonomi di seconda generazione che sono svolti utilizzando la partita IVA ma al di fuori di albi e ordini professionali, oppure attraverso rapporti di lavoro coordinato continuativo, o con rapporti di lavoro occasionale;

• i knowledge workers (managers, professionisti, tecnici, quadri, specialisti), ossia tutti quei lavoratori, magari anche inquadrati in un rapporto di lavoro dipendente, che svolgono mansioni di responsabilità con un certo grado di autonomia, che investono sulla propria professionalità, che hanno retribuzioni dipendenti dal risultato, che costruiscono nel tempo un proprio percorso di promozione professionale;

• glioperatori del “terzo settore” che fanno impresa sociale lungo la filiera dell’outsourcing degli enti locali;

• finoadarrivareailavoratori immigrati che cercano meccanismi di integrazione attraverso forme di lavoro autonomo.

A prescindere dall’inquadramento professionale il blocco sociale a cui fare riferimento comprende tutti coloro che si propongono di essere, per così dire, “imprenditori di se stessi”. Si tratta di persone che, nel fornire una straordinaria energia propulsiva al sistema economico complessivo, si espongono in prima persona: assumendo su di sé il rischio dell’insuccesso, hanno bisogno di scegliere in modo consapevole, di avere accesso alle risorse del sistema complessivo, di avere delle alternative di riserva nel caso che le scelte fatte non siano coronate dal successo. Queste persone sono oggi portatrici di una domanda latente che si rivolge al sistema politico, anche se non compare in nessun sondaggio: una domanda che occorre fare emergere e organizzare.

Qualcuno potrà obiettare che non è corretto considerare come “imprenditore di se stessi” i lavoratori atipici che, sostanzialmente, aspirano ad un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Nella stessa impostazione del progetto di animazione sono stati diversi gli interlocutori che ci hanno descritto il lavoro atipico come un’anomalia destinata ben presto a essere ricondotta nell’alveo del normale lavoro dipendente.

Purtroppo, i dati elaborati a livello nazionale16 smentiscono queste previsioni: soltanto il 10%

16 Dati elaborati dall’INPS e disponibili presso il Laboratorio Revelli del Collegio Carlo Albero e la Fondazione Rodolfo De Benedetti, riportati in: T. Boeri e P Garibaldi “ Un nuovo contratto per tutti” ed. Chiarelettere 2008.

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dei lavoratori dipendenti a termine riesce a trasformare il proprio contratto in un posto a tempo indeterminato. La stessa probabilità scende al 5% nel caso dei lavoratori a progetto.

Inoltre, questo mercato e questi tipi di contratto corrispondono a circa il 50% delle nuove assunzioni per i lavoratori più giovani. In altre parole, il lavoro atipico rappresenta una porta di entrata per i lavoratori più giovani. Da qui, tuttavia, è molto difficile uscire. Più che una porta di entrata, il lavoro atipico diventa un vero e proprio mercato del lavoro parallelo o “ duale”, come viene spesso definito dagli economisti. I lavoratori atipici sono i primi a dover sviluppare una cultura dell’auto-imprenditorialità che gli consenta di muoversi in un mercato del lavoro caratterizzato da un’elevata mobilità e incertezza e dall’alternarsi di periodi di occupazione e disoccupazione.

Se con lavoro autonomo e indipendente intendiamo tutte quelle forme di lavoro che necessitano l’incorporazione da parte del soggetto di atteggiamenti acquisitivi di razionalità economica, cioè uno sforzo per essere meno lavoratore e più imprenditore di se stesso in una situazione incerta, non vi è dubbio che un sempre più vasto contesto sociale necessita oggi di un accompagnamento che lo renda in grado di fare il salto culturale.

Ciò è particolarmente necessario per le giovani generazioni, per le quali, anche a seguito delle crescenti difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro, sembrano essere tramontati gli stereotipi precedenti. Il rapporto con il lavoro dipendente appare sempre meno un modello di aspirazione, un approdo sicuro a cui tendere. Si inquadra in questo mutamento di clima generazionale la preferenza mostrata da una vasta platea di giovani verso forme di lavoro autonomo.

Nella condizione giovanile appare più marcato quell’aspetto di crescente indistinzione tra condizione occupazionale e condizione inattiva, tra occupazione e disoccupazione. In sostanza i giovani sembrano mostrare atteggiamenti adattivi coerenti con una realtà occupazionale più variegata che in passato. Oggi i giovani si caratterizzano già nei fatti come lavoratori autonomi nella misura in cui sono al “lavoro” per ampliare la propria rete di competenze, di relazioni e di opportunità occupazionali all’interno di un ciclo di precariato continuato.

Analogo discorso può essere fatto per la componente femminile alla ricerca di forme di flessibilità del lavoro che gli consentano di conciliare tempi di vita e tempi di lavoro. La maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro consente alle famiglie il cumulo di più redditi e quindi un tenore di vita economicamente migliore. Per recuperare al mercato quote aggiuntive di lavoro femminile, in linea con gli obiettivi di crescita posti a livello europeo, condizione essenziale è quella di stimolare una maggiore disponibilità delle donne ad intraprendere o a riprendere un’attività lavorativa. L’esigenza è quella di puntare su una decisa crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro, sia in forma di lavoro dipendente, sia in forma di lavoro autonomo.

Il ruolo dell’istituzione pubblica è al centro di queste trasformazioni, ri sultando l’attore che più direttamente ha risentito della contemporanea trasformazione dei sistemi lavorativi e dei diritti sociali. Il welfare di stampo fordista, le cui istituzioni traevano legittimità e alimento dalla centralità del lavoro salariato, subisce oggi contraccolpi che ne minano in profondità il funzionamento e ne usurano le risorse materiali, oltre che di consenso sociale. E la sua crisi apre spazio a nuove prospettive che, ispirate a logiche di workfare, assegnano alle dinamiche di mercato il compito di prefigurare opportunità di affermazione sociale, nel men tre tuttavia espongono i soggetti a rischi di nuova dipendenza e di ero sione delle reti di protezione.

A fronte di questa situazione, non si tratta solo di attivare - pur fondamentali - interventi di promozione e accompagnamento alla creazione di impresa, che forniscano a questi soggetti gli strumenti culturali per prendere atto della propria condizione e contestualizzarla (anche in termini

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progettuali) nella propria realtà territoriale e produttiva. Ma vi è bisogno di un “programma specifico per l’autoimprenditorialità” che si deve inserire entro un quadro di politiche complessive per lo sviluppo economico locale. In particolare sono necessarie:• politiche capaci di accompagnare la fluidità che caratterizza oggi il mercato del lavoro, che

consentano la modularizzazione del tempo di lavoro e di superare le difficoltà che soprattutto le donne incontrano nel mondo del lavoro; che evitino forme di precarizzazione, proponendo anche forme originali di compatibilità tra diverse occupazioni di carattere dipendente e indipendente; che pongano maggiore attenzione, e meno vincoli, ai reali processi attraverso cui il lavoro si imprenditorializza; che favoriscano le attività di integrazione del reddito e la multifunzionalità delle imprese in diversi settori di attività;

• processi di semplificazione amministrativa e procedurale, già in corso, ma da intensificare in ragione della necessita di consentire tempi rapidi di start-up per nuove iniziative imprenditoriali, soprattutto per i settori più innovativi, fortemente esposti alla competitività;

• azionivolteagarantire l’accessibilità ai mercati e a liberalizzare alcuni settori, in linea con gli indirizzi proposti a livello nazionale, per dare opportunità ai giovani di inserirsi in ambiti di mercato oggi eccessivamente protetti;

• azionivolteafavorirel’accessibilità a servizi e la creazione di reti e comunità professionali capaci di incrementare il patrimonio di competenze e relazione dei soggetti;

• politichevolteadefinirenuovi modelli di rappresentanza e di welfare, capaci di estendere le reti di protezione sociale alle forme di lavoro attualmente non tutelate, valorizzando le forme di nuovo mutualismo dal basso ed il ruolo delle imprese del terzo settore.

13.1 La fluidità del mercato del lavoro

Il principale dato di cui oggi bisogna prendere coscienza è che la posizione lavorativa delle persone si è fatta più fluida: caratterizzata da frequenti cambiamenti di contesti lavorativi e aziendali, dal passaggio da forme di lavoro dipendente a forme di lavoro autonomo, e viceversa. Non è più come una volta, quando da giovani si imparava un mestiere che rimaneva, più o meno, lo stesso per tutta la vita e spesso veniva svolto in un unico contesto lavorativo.

Oggi il mantenimento - o il miglioramento - della propria collocazione professionale richiede un costante aggiornamento - e a volte una radicale riconversione - delle proprie competenze per stare al passo con l’evoluzione del mercato, l’innovazione tecnologica, l’ingresso sul mercato di nuovi competitori.

Nello stesso lavoro dipendente gli avanzamenti di carriera e la sicurezza della propria posizione lavorativa dipendono sempre meno da automatismi e meccanismi di garanzia, e sempre più dalle competenze dei singoli individui, dalla loro capacita di raggiungere obiettivi, di sviluppare qualità e “imprenditorialità”, lavorando in contesti organizzativi sempre più complessi.

Nelle filiere produttive il posizionamento delle piccole imprese di subfornitura è legato alla capacità di adattamento alle richieste dei committenti sempre più orientate alla qualità, alla flessibilità, all’innovazione e all’internazionalizzazione. Su tali capacità di adattamento le imprese artigiane hanno subito negli ultimi anni un feroce processo di selezione.

Nelle famiglie a situazioni di lavoro dipendente si affiancano forme di lavoro finalizzate all’integrazione del reddito, a volte regolarizzate e normate - come nel caso degli agricoltori di 2° categoria, riconosciti dalla legislazione trentina – molto più spesso condotte nell’alveo dell’economia sommersa. Quanti sono i dipendenti delle nostre piccole e medie imprese che al termine dell’orario

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di lavoro si impegnano in attività artigianali, agricole, turistiche, gestite individualmente o a livello familiare?

Nei contesti montani la stagionalità di alcune attività - come il turismo e l’agricoltura - spinge molte persone a fare diversi lavori nel corso dell’anno, coniugando forme di lavoro autonomo, forme di lavoro dipendente, forme di integrazione del reddito.

Il lavoro oggi si è fatto non solo flessibile, ma anche più fluido. Se il concetto di flessibilità rimanda alla capacità di adeguarsi ai mutamenti della domanda e dell’organizzazione produttiva (decisa da altri), il concetto di fluidità rimanda alla capacità di essere nomadi e multi-attivi, assumendo in prima persona la responsabilità ed il rischio delle proprie scelte professionali.

Il concetto di fluidità fa riferimento a strutture, situazioni, mondi di vita, professionalità che sono mobili e devono esserlo per essere capaci di aggiustarsi alle congiunture più diverse, al mutare continuo della situazione. Questa fluidità, dunque, non è solo riferita a prevenire il rischio di disoccupazione, è anche capacità di esplorare il nuovo, le opportunità che si aprono, dal punto di vista delle nuove tecnologie, delle nuove professioni, dei nuovi settori produttivi e di business. Il lavoro si imprenditorializza, nel senso che il lavoro - come l’impresa - deve oggi rapportarsi a mercati e contesti competitivi sempre più articolati e complessi, in cui bisogna prevenire minacce e cogliere opportunità.

I fenomeni di mobilità erano in passato visti come elementi residuali (e negativi), effetti involontari dovuti alla perdita del posto di lavoro. Oggi, in molti casi, possono invece essere visti in positivo: può, infatti, essere interesse del lavoratore cambiare azienda o cambiare condizione professionale, se in questo modo realizza aspirazioni che non potrebbe perseguire nel posto di lavoro occupato o utilizza capacità che non potrebbe mettere in valore. Oppure, più banalmente, se ottiene in cambio una retribuzione o possibilità di carriera maggiori.

Congelare la vita lavorativa delle persone nei rigidi meccanismi giuridici e normativi che definiscono i diversi tipi di lavoro (e d’impresa) è diventato sempre più difficile. I tradizionali modelli di analisi dei fenomeni lavoristici non consentono più di interpretare le dinamiche che in questi ultimi anni caratterizzano il mercato del lavoro. Un mercato in rapida trasformazione che, insieme all’erosione del lavoro standard, fa emergere nuove tipologie occupazionali, prive di tutele e spesso al confine tra lavoro autonomo e lavoro dipendente.

Oggi la proliferazione di lavoro autonomo - e di lavori atipici - variamente regolata costituisce un fenomeno spurio, in cui è possibile riconoscere diverse condizioni di individualità e reti di relazione, riconducibili a:• una ”individualità radicale” riguardante soprattutto le posizioni di lavoro ad alta

qualificazione che attivano “reti lunghe” in termini di relazioni, e attraverso queste sviluppano capacità di competere. Qui troviamo molti giovani “lavoratori della conoscenza” che operano nel campo dei nuovi servizi terziari, giovani che si imprenditorializzano sulla base di un’idea originale o sull’individuazione di un segmento di mercato non ancora coperto, ma troviamo anche l’impresa artigiana che ha saputo inserirsi in nicchie di elevata specializzazione e in circuiti commerciali e produttivi di livello internazionale;

• una “individualità tradizionale”, rappresentata soprattutto da quanti, artigiani, commercianti, agricoltori, dispongono di “reti lente”, cioè attagliate su attività e rapporti di tipo consuetudinario. Qui troviamo forme di lavoro autonomo “schiacciate” sulla dimensione produttiva, spesso impossibilitate ad investire in termini di competenze e di nuove reti di relazioni (al di la dei servizi offerti dalle rispettive associazioni di categoria) e che, altrettanto spesso, vedono ridursi i tradizionali spazi di competizione;

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• una “individualità precaria”, cioè soggetti che si imprenditorializzano (spesso più per condizione che per scelta) in contesti di elevata precarietà di lavoro e con posizioni di mercato caratterizzate da “reti corte” di territorio, di famiglia, di parentela, di vicinato. Qui troviamo le forme di lavoro autonomo a basso profilo professionale che operano nei servizi a scarso valore aggiunto, nelle reti solidaristiche della cooperazione sociale, nell’outsourcing dell’ente pubblico, nei lavori stagionali in agricoltura e nel turismo, nelle funzioni di manovalanza del ciclo dell’edilizia. Ma qui troviamo anche i tanti giovani scolarizzati che cominciano a lavorare con contratti a termine o aprendo la Partita Iva pur operando in contesti di sostanziale monocommittenza.

Pretendere di ricondurre queste diverse individualità nell’alveo del lavoro normato, salariato e garantito a vita è, in gran parte, un’illusione. Scomponendosi i cicli produttivi, riducendosi le dimensioni aziendali, delocalizzandosi intere fasi della produzione, cambiano i modi di organizzare il lavoro, le relazioni tra i diversi segmenti del ciclo, e, di conseguenza, i profili professionali coinvolti, i rapporti contrattuali e le stesse modalità di accesso al lavoro. Cambia, in altri termini, lo “statuto” del lavoro, se questo modo di esprimersi non appare troppo enfatico.

Nella lunga stagione fordista, il lavoro dipendente si proponeva come “classe generale” e dunque rappresentativa anche di quel lavoro autonomo, indipendente, atipico che - in quanto lavoro - poteva essere differente solo in superficie, ma doveva avere, si supponeva, gli stessi bisogni, le stesse capacità, le stesse tutele del lavoro dipendente. La grande impresa pretendeva per sé tutto il palcoscenico della teoria e della pratica, lasciando alla piccola impresa ruoli di comparsa o poco più.

Poi qualcosa è saltato: le grandi organizzazioni fordiste si sono spogliate dei rischi assunti in precedenza, riportandoli sulla società, ovvero su tutte le persone. Le grandi imprese hanno cominciato a dimagrire, mentre la quota occupazionale nelle piccole imprese è cresciuta. Il lavoro dipendente è entrato in sofferenza, mentre i nuovi lavori sono in grande maggioranza fuori norma. Il welfare pubblico e universale ha cominciato a scricchiolare, lasciando spazi crescenti ai privati, al volontariato, a forme mutualistiche di azione. Tutto è posto a rischio, e tutto deve dunque trovare una nuova normazione.

La politica crede ancora di poter decidere la ripartizione del rischio tra imprese e lavoratori come se fosse nelle sue mani questa possibilità. Non lo è più: il rischio è già sulle spalle dei lavoratori, e far finta che non lo sia serve solo a non fare quegli adeguamenti e a non prendere quelle misure che potrebbero consentire una più equa distribuzione/condivisione dei rischi e una gestione intelligente degli stessi.

Ormai l’economia va avanti in modo tale che nessuno è più in grado di garantire niente a nessuno. Quindi lo scambio politico tra sindacati e organizzazioni imprenditoriali, su cui si reggeva lo statuto dei lavoratori, i vecchi diritti del lavoro, gli stessi contratti nazionali, tendono ad avere una base sempre più debole. Nessuna azienda, dalle grandi alle piccole, è sicura di quanti dipendenti avrà tra sei mesi, e forse le grandi sono meno sicure delle piccole. Quindi nessuna azienda può assumere impegni a tempo lungo, che esentano i lavoratori dal pensare al proprio futuro.

Oggi, sono sempre più numerosi i singoli e i gruppi che si sentono, consapevolmente o inconsapevolmente, “orfani del fordismo”. Curiosamente questa categoria comprende anche chi, come il Sindacato, vedeva l’ordine fordista come controparte da contrastare e costringere alla trattativa. La scena politica si divide oggi tra un neofordismo conservatore che cerca di difendere tutto

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il difendibile ed un postfordismo fondamentalista, che usa la clava del mercato, della deregulation e della tecnologia per scompaginare l’ordine fordista, però senza preoccuparsi di ricostruire un nuovo ordine, dotato di senso, al posto della casa fordista demolita.

La discussione che si è avuta sulla flessibilità del lavoro in termini di maggiore o minore tutela (dall’art. 18 in poi) andrebbe rimessa sui giusti binari se si cominciasse a dire che il problema non è quello di “liberare” l’impresa da un ruolo di esenzione del rischio che grava sul lavoratore, che essa non vuole più, e che non è comunque, anche volendo, in grado di esercitare. Il vero problema è quello di attrezzare il lavoratore a sostenere questo rischio, acquisendo l’autonomia e l’intelligenza professionale che gli consentono di gestirlo senza troppi problemi ed, eventualmente, condividendolo con altri in forme di auto-organizzazione dal basso.

Il venir meno delle garanzie offerte dalle tecnostrutture (grande impresa e pubblica amministrazione) ha cominciato a cambiare gli atteggiamenti delle persone, perché ciascuno percepisce che non basta farsi rappresentare da qualche partito o da qualche sindacato ad un tavolo di trattative aperto presso lo Stato o la grande impresa che tutto controlla e tutto garantisce. Lavoratori, consumatori, imprenditori, risparmiatori, cittadini si trovano sempre meno “protetti” dai sistemi esperti (tecnostrutture pubbliche e private) e comprendono che bisogna diventare più autonomi e più intelligenti per gestire i propri rischi, senza delegare troppo.

Si diffonde la consapevolezza che bisogna darsi da fare per trovare risposte auto-organizzate al rischio incombente e diffuso. La proliferazione di forme di lavoro autonomo, e in particolare quello atipico, in parte, è un modo per sfuggire alle garanzie legate al contratto di lavoro dipendente e che le imprese considerano ormai eccessivamente onerose per tutta una serie di settori; ma in parte è anche la risposta alle esigenze di un nuovo rapporto di lavoro, che emerge dal basso, dove la dipendenza si riduce e aumenta la partnership e il rischio.

La politica deve intercettare questa tendenza evolutiva del mercato del lavoro che si lega anche ad una ricerca di senso, che oggi caratterizza molti giovani (e meno giovani), di fronte a lavori che non sono più in grado di fornire garanzie, non corrispondono ai propri interessi e alle proprie aspirazioni.

Se sul lavoro bisogna rischiare – magari sbagliando l’investimento professionale che si fa – tanto vale rischiare per fare un lavoro che piace o che permette di mobilitare le energie e le relazioni della vita privata/familiare. I giovani che si dedicano alla musica o allo sport, i piccoli imprenditori che mobilitano la famiglia nell’impresa da costituire, i lavoratori che cambiano impiego e settore alla ricerca di qualcosa di meglio, il volontariato che popola il terzo settore e tanti altri, sono parte di questa storia.

Nel corso dell’attività di animazione ci siamo spesso chiesti se l’interlocutore che avevamo di fronte fosse “un imprenditore da far crescere” o “ un lavoratore precario da regolarizzare”.

Per molti si è resa problematica una chiara identificazione del ruolo, in quanto artigiani, imprenditori, parasubordinati, dipendenti, collaboratori, liberi professionisti e via di seguito. La semplice stesura del business plan, non era sufficiente a dirimere il dubbio, in quanto la risposta era unicamente legata al successo reale (e non potenziale) dell’attività che si intendeva avviare.

L’attività di animazione si è, in sostanza, confrontata con una frammentazione e indistinzione delle figure professionali, dietro le quali – nonostante alcune situazioni di oggettiva debolezza – era comunque possibile riconoscere forti istanze di autonomia che contraddicono l’immagine tradizionale di posizioni lavorative residuali, cui si accederebbe a causa dei limiti di assorbimento da parte del mercato del lavoro “ufficiale”.

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L’identità e la continuità professionale è oggi ricercata nella crescita delle proprie competenze e nella ricerca di una sempre maggiore autonomia, anche quando l’attività prescelta è poco inquadrabile all’interno di un sistema codificato. Questa ricerca di identità, competenze, autonomia non riguarda – come si sarebbe portati a pensare - solo i lavoratori con alti skills professionali: ad imprenditorializzarsi sono oggi anche lavoratori a basso profilo professionale o che, tradizionalmente, trovavano collocazione nelle funzioni esecutive del lavoro dipendente.

All’origine di questo fenomeno sta una sempre minore disponibilità a delegare ad altri la propria sicurezza e le proprie opportunità di crescita professionale. Ci si rende conto che i vecchi sistemi di garanzia, tutela e negoziazione non sono più sufficienti a prevenire il rischio di espulsione dal mercato del lavoro e a garantire la continuità di un reddito adeguato. La sicurezza del lavoro e del reddito viene oggi ricercata in percorsi individuali, di auto organizzazione dal basso, che si concretizzano in forme di self-employement e di multi-attività.

Nell’attività di assistenza ci si è anche resi conto come il percorso per avviare un’attività autonoma non è quasi mai netto e lineare. Pochi sono disponibili a fare un salto nel buio o ad affidarsi alle deboli garanzie che possono essere offerte da una pur necessaria e attenta pianificazione della propria nuova attività.

Il passaggio all’attività autonoma avviene per piccoli passi, con investimenti flessibili e reversibili, adottando strategie empiriche finalizzate a contenere la dimensione del rischio:• lanuovaattivitàautonomavienespessoavviatamantenendo-almenoperilprimoperiodo-

un rapporto di lavoro dipendente part-time;• laPartita IVAvieneaperta tempodopoavere realizzato iprimi investimentieviene legata

all’emissione delle prime, eventuali, fatture, contenendo in tal modo il rischio d’impresa, se non sul piano dell’investimento, almeno nei suoi aspetti giuridici e fiscali;

• l’attivitàautonomavieneavviatasullabasediunrapportogarantitodimonocommittenza,per verificare, successivamente, la possibilità di allargare la platea dei possibili clienti;

• lanuovaattivitàvieneintestataallamoglieoaifigli,cercandointalmododidiversificareilrischio e le fonti di reddito familiare e garantire, per quanto possibile, un futuro ai figli;

• la nuova attività costituisce spesso un ampliamento o una diversificazione dell’attivitàdell’azienda agricola, artigiana o commerciale di famiglia;

• ci si imprenditorializza contando sul sostegno fornito da reti locali che consentono unadivisione sociale del rischio di impresa, come sono ad esempio le reti di cooperazione, (anche se l’ingresso in tali reti è diventato oggi più difficile);

• cisiaffidaacatenediproduzioneodistribuzionecheoperanoinfranchising o su licenza, a reti consolidate di applicatori o di manutentori;

• si cercano garanzie di continuità nei processi di outsourcing realizzati dall’ente pubblico riguardanti servizi di pubblica utilità (come ad esempio la pulizia delle strade, la manutenzione dei boschi, i servizi di trasporto pubblico);

• siinvesteinformed’integrazionedelredditofamiliareche,comenelcasodeiBed & Breakfast, non vengono neppure considerati impresa a livello giuridico.

Questa casistica, nella sua parzialità, illustra alcuni tipici percorsi attraverso cui oggi un numero crescente di persone avvia un’attività autonoma. Come si può vedere siamo ben lontani dalla retorica degli interventi di creazione d’impresa che sono alla costante ricerca dell’imprenditore innovativo e dell’idea di business originale. Quello che emerge è un percorso socialmente diffuso, di persone che cercano autonomamente e faticosamente di costruire, per sé e per i propri figli, una prospettiva di sicurezza e crescita economica, sempre più difficile da trovare nei tradizionali contesti occupazionali.

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Paradossalmente, una politica di promozione dell’autoimprenditorialità deve avere lo scopo di “destrutturate il concetto di impresa”, ovvero, rendere i concetti di impresa e di imprenditorialità più vicini alle reali esperienze ed esigenze lavorative delle persone. Sono innumerevoli i libri, le riviste, i seminari, i corsi di formazione, i siti web orientati a formare le coscienze imprenditoriali sul “cosa è necessario fare”, spesso con il risultato di aumentare il senso di frustrazione dei soggetti di fronte a sfide che intuiscono come superiori alle proprie capacità o che sono comunque lontane ed inadeguate alla propria, specifica realtà lavorativa.

È, invece, dalla specifica realtà lavorativa delle persone che bisogna partire: una realtà lavorativa sempre meno impostata sulle forme di lavoro dipendente svolto in grandi strutture organizzative (industrie, banche, pubblica amministrazione) e sempre più caratterizzata dal crescente peso del lavoro indipendente svolto autonomamente o in piccole strutture organizzative (nella piccola impresa come nel sommerso, nell’artigianato come nel terziario avanzato, nelle filiere agroalimentari come nelle attività integrative, nell’articolato mondo dell’offerta turistica).

Destrutturare il concetto di impresa significa riconoscere i meccanismi di fluidità del lavoro ed i percorsi attraverso cui il lavoro si imprenditorializza. Riconoscere che l’auto-imprenditorialità rappresenta oggi un percorso di inclusione e crescita sociale che riguarda tutti i livelli della scala sociale.

Significa anche riconoscere che l’assetto normativo, fiscale, di welfare, ereditato dal passato - e che ancora oggi regola il lavoro e l’attività d’impresa - non è più in grado di comprendere e tutelare le tante forme del lavoro, ma non solo, spesso costituisce uno dei principali ostacoli nel percorso di imprenditorializzazione dei soggetti.

Nel corso dell’attività di accompagnamento all’avvio di impresa si è potuto, ad esempio, verificare come:• diverseattivitàartigianaliavviatenelcorsodell’interventononhannopotutoiscriversiall’Albo

delle imprese artigiane (e quindi godere delle relative tutele e forme di incentivazione), in quanto il titolare manteneva nel frattempo un rapporto part-time di lavoro dipendente;

• piccoleattività,chepossonoavereunruoloincontestimontanimarginalienelcontribuirealla formazione del reddito familiare, non possono essere avviate (o emergere dal sommerso) in quanto non congrue con i rigidi parametri degli studi di settore;

• inalcunisettori,comespessocapitanell’ediliziaoperleprofessioni,l’aperturadellaPartitaIVA è determinata dalle richieste del datore di lavoro e nei fatti non corrisponde ad una vera attività d’impresa, ma sostanzialmente ad un rapporto di lavoro dipendente mascherato da lavoro autonomo;

• per molte donne la forma impresa si è dimostrata una scelta obbligata (e in buona parteincongrua) per rispondere alla necessità di un lavoro flessibile che gli consenta di conciliare esigenze economiche e familiari.

• la multifunzionalità dell’impresa agricola commerciale e artigiana è spesso impedita dallerigidità normative, urbanistiche o che regolano i diversi settori di attività.

Favorire i processi di auto-impiego significa riconoscere le tante forme in cui i soggetti sono oggi al lavoro, dando loro legittimità, visibilità e protezione. Bisogna riunificare le tante anime del lavoro nate dalla decomposizione dell’organizzazione fordista, rimetterle in comunicazione entro un disegno unitario, dove l’iniziativa soggettiva riesca a sentire dalla sua parte la condivisione sociale, e dove la condivisione sociale possa usare l’energia creativa delle singole persone.

È giunto il momento di rovesciare i presupposti su cui è stato eretto l’assetto normativo ereditato dal fordismo, assumendo la piccola impresa, la microimpresa ed il lavoro autonomo non più come categorie particolari (bisognose di una normazione a sé e di una

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tutela specifica), ma come modello generale (di lavoro e di impresa) che interessa una platea sempre più vasta di persone, ossia come modello da prendere a riferimento per modellare la normazione, la fiscalità, i contratti di lavoro, le regole istituzionali sulle esigenze, sulle risorse e sulle possibilità di questo tipo di lavoro e d’impresa.

Bisogna favorire lo sviluppo delle condizioni sociali di self-employment, dei servizi universali che “abilitano” le persone a crescere e rischiare, e delle comunità in cui diventa possibile condividere bisogni e risorse. Sono ormai molte le ricerche che evidenziano come, tra i fattori che spiegano il successo delle regioni a forte natalità imprenditoriale, vi sono variabili strutturali, socio-culturali e istituzionali e, pertanto, le politiche di sviluppo che agiscono sui fattori di natura “ambientale” sono preferibili alle politiche d’incentivazione tout court dirette a favorire la formazione di nuove imprese.

Da questo punto di vista, le politiche di natura “ambientale” da attuare nei contesti montani per accompagnare la fluidità del lavoro e l’auto-imprenditorialità possono essere molteplici.

Un primo importante passo è riconoscere il carattere integrativo del reddito di molte attività che vengono svolte in montagna. Ad esempio, l’istituto dei “contadini di 2° categoria” attraverso cui la legislazione provinciale trentina riconosce il ruolo di integrazione del reddito svolto dall’agricoltura di montagna, potrebbe essere esteso ad altre categorie, come gli artigiani. Ciò consentirebbe: un più agevole passaggio da forme di lavoro dipendente a forme di lavoro autonomo; l’emersione di attività attualmente sommerse; lo sviluppo di attività in settori marginali dell’economia montana come, ad esempio, l’artigianato artistico.

L’affidamento a privati da parte dell’ente pubblico di servizi di pubblica utilità come trasporti, energia, assistenza, gestione e manutenzione del patrimonio pubblico, può costituire un’importante opportunità di auto-imprenditorialità nei contesti montani.

Le politiche di valorizzazione del territorio, delle produzioni tipiche, di nuovi modelli di ospitalità e intrattenimento turistico rappresentano altrettanti ambiti di auto imprenditorialità che oggi possono trovare una loro valorizzazione all’interno dei nuovi circuiti turistici alternativi e di valorizzazione dei prodotti tipici di qualità.

La promozione della multiattività delle imprese commerciali e agricole di montagna è fondamentale per garantire rinnovate condizioni di sostenibilità economica ed il mantenimento di essenziali servizi di comunità e di vicinato.

Si rendono necessarie politiche volte a favorire l’occupazione femminile (sia autonoma, sia dipendente) favorendo il part-time ed il telelavoro ed integrando le politiche per il lavoro e le politiche per la famiglia.

Le politiche dello sviluppo nelle aree montane comprendono necessariamente le economie sociali e prevedono risposte mirate all’accessibilità dei servizi sociali e ad una più alta qualità della vita delle popolazioni. Si tratta di agire sui punti critici della condizione sociale e su quelli fare interagire molteplici risorse, energie e competenze, sia istituzionali che sociali, valorizzando la cooperazione sociale ed il volontariato.

Le politiche culturali sono il mezzo attraverso cui i giovani possono trovare nuovi stimoli, occasioni di incontro e di scambio di esperienze, ambiti di sperimentazione di propri interessi e passioni che contribuiscono a rafforzare la loro identità e che, magari, in futuro possono tradursi in professione e nuove forme di impresa.

Essenziale è inoltre la capacità di delineare linee di sviluppo economico e territoriale entro cui l’imprenditorialità diffusa può trovare una propria dimensione strategica, all’interno della

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quale esprimersi. L’esperienza di animazione imprenditoriale ha evidenziato come le politiche di sviluppo locale, attivate con logica coalizionale (come i patti territoriali ed i programmi Leader) costituiscono un importante motore di auto imprenditorialità, capaci di creare un circuito virtuoso che consente, da un lato, di inserire le singole iniziative imprenditoriali nell’ambito di progettualità strategiche più vaste capaci di supportarle (integrazione tra progettualità pubbliche e iniziative private, azioni di marketing di territorio, integrazioni produttive e settoriali, ecc.), dall’altro lato, di qualificare e sostanziare il progetto di sviluppo locale con iniziative private coerenti e qualificate sul piano imprenditoriale.

13.2 Reti, filiere e comunità professionali

Il tema delle reti (locali, metropolitane e globali) assume particolare rilevanza nelle politiche di valorizzazione dell’autoimprenditorialità, in particolare nelle aree considerate periferiche. La dimensione delle reti, connessa in particolare alla dimensione della conoscenza, rappresenta una determinante fondamentale delle trasformazioni in corso nel mondo del lavoro.

Sempre più andiamo verso forme del lavoro svolte in forma individuale, questo però non nega, anzi al contrario richiede, la crescita delle connessioni tra segmenti del ciclo produttivo, tra diverse funzioni, tra singole competenze. La fluidità del mercato del lavoro richiede condivisione. È molto importante capire che una società più fluida, come quella che aumenta gli spazi di azione individuale e collettiva, di invenzione dal basso del mondo in cui si deve vivere, è anche una società che ha bisogno di maggiore costruzione sociale e condivisione.

Le persone e le imprese non agiscono in maniera isolata, ma utilizzano quelle strutture di relazione che sono chiamate “capitale sociale”. Il loro apporto alla produzione dipende in modo cruciale dalla qualità delle risorse di relazione che utilizzano per imparare, comunicare, convincere, condividere, cooperare. Queste risorse sono in parte frutto dell’eredità storica di ciascun territorio, di ciascuna comunità, di ciascuna famiglia e persona. Ma in parte - e oggi in parte sempre più importante - esse devono essere prodotte ex novo o assumere una forma diversa che in passato. Da qui il ruolo fondamentale della politica: sviluppando in forme efficienti e aggiornate le reti che sono messe a disposizione delle persone, delle comunità e dei territori, si contribuisce in modo decisivo ad abilitarle sul piano produttivo e competitivo.

L’investimento in conoscenza rappresenta una condizione essenziale per far fronte a modelli di produzione sempre più flessibili e smaterializzati. L’inserimento al lavoro e la competitività sui mercati richiede oggi professionalità e bagagli di esperienza che possono formarsi solo con un costo di apprendimento non marginale. La possibilità di essere competitivi sul mercato è dettata dalla capacità che i singoli soggetti (persone e imprese) hanno di percepire le trasformazioni e di rispondere in modo dinamico a problemi nuovi con soluzioni nuove.

Un’esigenza, espressa in modo unanime dai partecipanti al percorso di creazione di impresa, è stata quella di poter contare su forme continue di aggiornamento, su un sapere sempre più specialistico, aggiornato e predisposto all’arricchimento continuo. L’aggiornamento professionale viene attualmente affrontato individualmente dai lavoratori indipendenti, ma - diversamente dalla scarsa attitudine ad instaurare forme di cooperazione produttiva - sulla questione della formazione e della conoscenza il desiderio di aggregarsi è alquanto condiviso. L’esigenza di affrontare la questione collegialmente nasce da una duplice difficoltà: da un lato cercare di abbattere i costi (spesso elevati e faticosamente sostenuti), dall’altro limitare il numero di ore (non retribuite) periodicamente dedicato all’aggiornamento professionale.

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Questo desiderio, espresso in modo esplicito dai nostri interlocutori, si coniuga con la necessità di allargare la rete di conoscenze all’interno di comunità professionali. Nel corso dell’intervento è risultata particolarmente preziosa la possibilità di indirizzare alcuni interlocutori verso aggregati di competenze che potessero in qualche modo sostenere il consolidamento di processi conoscitivi e relazionali dei nostri interlocutori: il caso emblematico è quello del Distretto tecnologico su energia ambiente, verso il quale sono stati indirizzari giovani architetti e ingegneri impegnati nei campi della bioedilizia e del risparmio energetico, artigiani del settore del legno e impiantisti, ma anche operatori economici e Sindaci che proponevano modelli di turismo sostenibile.

Il sapere non è un bene indivisibile e inalienabile ma, al contrario, cresce e si moltiplica proprio sul terreno del confronto: dunque poter comunicare, socializzare informazioni e conoscenze in un rapporto di reciproco arricchimento è uno dei metodi più rapidi ed efficaci per provvedere ad una formazione costante e aggiornata.

Proprio perché su questo versante il senso di abbandono e isolamento è tangibile molti soggetti accoglierebbero favorevolmente l’intervento di strutture, enti e associazioni in grado di facilitare lo scambio di professionalità e la diffusione di un sapere rapido e permanente attraverso seminari, convegni, dibattiti, incontri, corsi di specializzazione e di aggiornamento.

Allo stesso modo per le piccole imprese collocate in territori marginali risulta di fondamentale importanza l’accesso a quei “servizi immateriali” che oggi sono necessari per competere. La territorializzazione dell’intervento ha permesso di constatare come, in realtà, nella piccola impresa trentina vi sia molta innovazione tecnologica. La possibilità di accesso ad incentivi pubblici – come quelli previsti nei patti territoriali - ha creato le condizioni per l’acquisizione di tecnologie moderne. Ciò che ancora manca, e che risulta determinante per competitività delle imprese, è l’innovazione a monte e a valle della produzione (nuovi prodotti, progettazione, design, reti commerciali, servizi al cliente).

Proprio per tali ragioni, occorre che nelle aree montane sia garantito l’accesso a servizi terziari di qualità, comparabili a quelli disponibili nei contesti metropolitani. Solo una divisione del lavoro entro uno “spazio metropolitano” costruito attraverso l’organizzazione di efficienti reti (materiali e immateriali) rende possibile conseguire quelle economie di specializzazione e di scala che possono sostenere lo sviluppo di competenze eccellenti e dunque di servizi competitivi. Questo è uno dei nodi fondamentali degli interventi di promozione di autoimiprenditorialità, specialmente in aree considerate periferiche.

L’infrastrutturazione tecnologica e culturale del territorio montano è oggi il presupposto essenziale per il mantenimento e lo sviluppo delle attività produttive che, anche se di piccole dimensioni e operanti in settori tradizionali e di nicchia, devono sempre più confrontarsi con: risorse tecnologiche, organizzative, gestionali sempre più complesse; mercati sempre più ampi; una crescente presenza di componenti immateriali della produzione (commercializzazione, progettazione, finanza, ecc.); una crescente formalizzazione delle relazioni produttive e dei relativi codici di scambio (certificazione, standard produttivi, ecc.). Oggi le attività di progettazione, software, design, controllo di qualità, marketing e in genere di servizio stanno diventando sempre più importanti nella catena del valore che valorizza i prodotti della manifattura.

Oltre che l’investimento sul piano infrastrutturale risulta quindi strategica un’azione volta a favorire la crescita di una rete di servizio alle imprese capace di accompagnare il processo di terziarizzazione delle economie locali. Bisogna intervenire sul consolidamento della filiera manifattura-servizi, promuovendo una compenetrazione sempre più stretta fra produzione e servizi, un crescente contenuto di servizi nei prodotti, un ruolo sempre maggiore dei servizi nella catena del valore. E ciò vale per tutti i settori economici: artigianato, agricoltura e turismo.

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Uno dei risultati del lavoro di animazione imprenditoriale è stato quello di aver contribuito alla permanenza di giovani diplomati e laureati nei territori di origine, sostenendoli nell’avvio di attività di servizio alle imprese ed al territorio. Si è trattato di un intervento complesso per il fatto che per questo tipo di professionalità non sono – paradossalmente - previste specifiche forme di incentivazione. Su tale carenza va oggi posta l’attenzione delle politiche economiche che devono essere rivolte sia a stimolare la domanda di servizi immateriali da parte delle imprese, sia alla crescita di nuove “professioni della conoscenza” capaci di fornire tali servizi. Questo polmone del lavoro autonomo e del terziario innovativo è fondamentale. Senza di esso le microimprese collocate in aree montane sono condannate a rimanere delle aziende manifatturiere incapaci di competere su mercati che sempre più privilegiano valori di carattere simbolico e immateriale.

Risultano, infine, determinanti le politiche orientate all’ampliamento e al consolidamento delle stesse filiere produttive. Come già più volte sottolineato nell’ambito del presente rapporto la collocazione delle microimprese all’interno di filiere produttive costituisce la condizione essenziale per produrre economie di scala e garantire i necessari livelli di specializzazione produttiva. Oggi, non è più sufficiente incentivare gli investimenti in innovazione tecnologica nelle singole imprese, bisogna accompagnare progetti di innovazione tecnologica e organizzativa che coinvolgono gruppi di impresa organizzati in filiera. Il rapporto tra imprese all’interno delle filiere consente di produrre un’innovazione che è pari - se non migliore - di quella che si produce nei laboratori di ricerca e nelle università. L’appartenenza a reti produttive, commerciali, di promozione consente l’accesso a mercati che il piccolo imprenditore, da solo, non riuscirebbe mai a raggiungere. Dobbiamo quindi aiutare le “reti corte” di imprese locali a fare “rete lunga di mercato”, a costruire reti commerciali a livello nazionale e internazionale, capaci di valorizzare le nostre produzioni di qualità.

13.3 L’accessibilità ai mercati

Un’attenta politica di valorizzazione delle risorse umane – dei meriti, dei talenti, della creatività - deve favorire l’assunzione del rischio imprenditoriale e considerare il tema dell’accessibilità ai mercati.

Il nuovo sistema produttivo è necessariamente un sistema meritocratico, pertanto, bisogna garantire che il gioco competitivo funzioni in modo da premiare chi fa di più e meglio, rendendo così conveniente investire sulle proprie idee, capacità e competenze. Il merito non deve essere amministrato da un’autorità e “congelato” a priori in regole e valutazioni che inibiscono la creatività personale, ma deve emerge in un confronto aperto con un mercato libero, esposto alla concorrenza.

Nel recente passato le politiche economiche hanno avuto una funzione soprattutto protezionistica, a favore di certi settori o di certi territori. Oggi, nel nuovo contesto competitivo, lo scopo delle politiche economiche non può più essere quello di correggere o proteggere dagli esiti della concorrenza. L’impresa, infatti, deve essere il più possibile libera di innovare, sperimentare, assumere rischi, trattare, ed eventualmente soccombere se le cose vanno male, senza che la politica economica debba interferire nella fisiologia della creazione e selezione imprenditoriale. Al contrario, l’impresa ha oggi bisogno che il suo contesto sia organizzato, in modo da favorire lo sviluppo di nuove iniziative e da valorizzare i capitali e le reti personali disponibili. La prospettiva del nostro sviluppo - a livello nazionale e provinciale - sta nel buon uso che riusciremo a fare dello sviluppo dal basso.

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Nell’ambito del progetto di animazione e in particolare nella fase di accompagnamento all’avvio di nuove iniziative, si è potuto verificare come l’autoimprenditorialità giovanile, per quanto volonterosa trova spesso difficoltà ad affermarsi a causa di vincoli all’accesso ai mercati - albi, licenze e autorizzazioni - posti a difesa di interessi corporativi.

A ciò si aggiungono alcune rigidità di modelli di organizzazione produttiva “socialmente diffusi”, che pur avendo storicamente svolto un fondamentale ruolo di inclusione economica, in alcuni casi impediscono modelli di diversificazione del business: tipico è il caso della cooperazione che prevedendo il conferimento dell’intera produzione agricola da parte dei soci cooperatori, impedisce agli stessi la trasformazione e la vendita diretta ai turisti di prodotti tipici locali.

Emblematico è anche il caso di giovani che operano nelle professioni regolamentate, per i quali il necessario periodo di tirocinio, si trasforma spesso in forme di precariato continuato e, nel caso di apertura di partita IVA, in rapporti di sostanziale monocommittenza, ovvero lavoro dipendente mascherato da lavoro autonomo.

Alcune nuove professioni turistiche come gli “accompagnatori di territorio” hanno vissuto un complicato iter di riconoscimento e concreto avvio della propria attività a causa dei vincoli posti da altre professioni turistiche più consolidate.

Nelle aree montane importanti opportunità di lavoro per i settori dell’artigianato e dell’agricoltura sono connesse alla gestione dei servizi alla collettività – manutenzione del territorio e della rete viaria, energia, trasporti, ecc.- che attualmente sono prevalentemente gestiti dall’ente pubblico. Un’attenta privatizzazione di tali servizi di interesse pubblico, costituisce l’opportunità per favorire la multifunzionalità di molte imprese collocate in aree marginali.

Analogo discorso può essere fatto per alcuni settori innovativi, come ad esempio l’informatica, dove le piccole nuove imprese trovano difficoltà ad operare in un mercato caratterizzato – nel caso trentino - da una significativa presenza pubblica.

Come del resto evidenziato da molti analisti, il carattere “partecipato” del processo di sviluppo dell’economia trentina, se da un lato ha consentito un’elevata integrazione sociale ed il raggiungimento di elevati livelli di benessere - partendo storicamente dalle condizioni di marginalità tipiche di un’economia montana - dall’altro lato ha comportato anche una bassa dinamicità imprenditoriale ed un basso livello di competizione interna all’economia. Molte realtà economiche si sono sviluppate all’interno di sistemi protetti e questo potrà determinare nel prossimo futuro effetti negativi.

Oggi si sente la necessità di interventi di politica economica finalizzata alla verifica, controllo e intervento sulle condizioni di contesto, in particolare sulla funzione della concorrenza. Vi è la necessità di superare i vincoli di un’economia protetta che, attivando meccanismi generalizzati di ridistribuzione e di socializzazione del rischio, possono anche ingenerare una minore propensione al lavoro imprenditoriale ed al lavoro qualificato, in particolare, nei settori maggiormente esposti alla concorrenza.

13.4 La semplificazione amministrativa

Diversi fattori limitanti la nascita di nuove imprese sono imputabili ai costi della burocrazia che si affrontano per avviare un’attività, in particolare per quanto riguarda: le incertezze sulle linee di sviluppo economico territoriale, i tempi di attesa per le autorizzazioni e le normative sempre più restrittive, spesso pensate per la grande dimensione di impresa e non adatte alla piccola dimensione.

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Il progressivo sedimentarsi di normative (europee, statali e provinciali) e prassi amministrative rappresentano un elevato costo per le aziende, una penalizzazione nella competizione economica ed un ostacolo al necessario ricambio imprenditoriale.

Una recentissima indagine della CGIA di Mestre quantifica il costo della burocrazia per le imprese italiane in Undici miliardi e mezzo di euro all’anno. Le imprese maggiormente penalizzate sono proprio le micro imprese. A cominciare dal costo medio annuo per ciascun addetto. Per le realtà produttive minori, quelle con un numero di dipendenti che va da 3 a 9, il costo medio annuo per addetto ammonta 1.587 euro. Scende, invece, a 1.445 euro per le imprese che arrivano sino a 19 dipendenti, a 1.035 per quelle che contano fino a 49 addetti e a 720 euro per quelle che ne contano fino a 499.

Al di là dei costi, i consistenti adempimenti burocratici costituiscono spesso un ostacolo all’avvio di nuove iniziative imprenditoriali. Nell’esperienza di animazione imprenditoriale si è potuto verificare come ad esempio l’avvio di piccole produzioni agroalimentari, caratterizzate da forte tipicità che recuperano metodi di produzione tradizionali, siano spesso ostacolate da normative europee che impongono investimenti sostenibili dalla grande impresa, ma non da piccoli laboratori di trasformazione, che magari affiancano l’attività agricola prevalente.

Vi sono stati progetti, apparentemente semplici come l’apertura di un negozio di parrucchiera, che sono stati in stand by per circa un anno, per l’indisponibilità di licenze a livello comunale. Problema fortunatamente risolto dalla liberalizzazione delle licenze introdotto a livello nazionale con il “Decreto Bersani”.

Anche quando i giovani adottano strategie innovative per inserirsi nel mercato del lavoro - che fanno riferimento a nuove attività, nuove professioni, nuovi servizi - spesso si scontrano con problemi di autorizzazione perché tali attività - essendo nuove - non hanno un quadro normativo di riferimento. Non si capisce bene chi deve valutare ed eventualmente autorizzare questa nuova attività. In tal senso, un’attenta politica per l’innovazione deve anche essere rivolta a meccanismi istituzionali e procedurali più flessibili e accoglienti rispetto alle attività innovative.

Bisogna sviluppare un clima di fiducia nello sforzo, spesso rischioso, della nuova imprenditorialità. La pubblica amministrazione deve essere percepita dalle imprese come un consulente, un alleato capace di accompagnare il percorso di nascita e crescita dell’impresa.

Facendo tesoro delle migliori esperienze maturate negli ultimi anni, a livello nazionale e provinciale (e che occorre ulteriormente sviluppare, perfezionare ed estendere), si può dire che risulta ormai evidente che la strada più efficace per conseguire reali effetti di semplificazione e di sburocratizzazione passa attraverso la drastica riduzione dell’attività di controllo preventivo e istruttoria (ex ante) della pubblica amministrazione.

È necessario, pertanto, che l’autocertificazione e la denuncia di inizio attività divengano il metodo ordinario attraverso cui l’imprenditore si rapporta con la pubblica amministrazione, al fine di annullare i tempi morti e dare alle imprese la possibilità di una partenza agile e non appesantita da vincoli e da attese inutili, nel quadro di una nuova e più pregnante responsabilizzazione, verso l’intera collettività, di quanti scelgono la strada del rischio e dell’investimento.

Per converso, al fine di garantire adeguata tutela anche agli interessi (individuali e collettivi) eventualmente messi a rischio dalle nuove intraprese, a fronte della contrazione dei controlli ex ante, occorre valorizzare il ruolo di controllore ex post dell’amministrazione, assicurando i tempi e gli strumenti necessari affinché tale controllo possa essere svolto in modo accurato e rigoroso.

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13.5 Nuovi modelli di welfare e rappresentanza

Un programma di promozione dell’auto-imprenditorialità deve infine considerate i temi del welfare e della rappresentanza.

L’attuale periodo di recessione economica sta, drammaticamente, mettendo in evidenza una situazione di welfare ineguale e come la maggior parte dei lavoratori sia oggi priva di quelle forme di tutela - ammortizzatori sociali e sussidi - che consentono di transitare attraverso i periodi di disoccupazione.

Non esiste una rete di protezione, uno strumento di sostegno al reddito che consenta agli atipici e ai parasubordinati di sopravvivere tra un contratto e l’altro, tra un progetto e quello successivo, come accade in tutti i Paesi civili. In Italia solo un disoccupato su cinque (anziché quattro su cinque, come avviene altrove in Europa) riceve un sussidio di disoccupazione. In Francia il 75% dei disoccupati percepisce una qualche forma di sussidio. In Germania addirittura l’80%. Nei Paesi scandinavi si arriva al 90%. In Italia ci si ferma al di sotto del 20%.

Gli stessi contratti di lavoro a tempo indeterminato hanno forme di tutela differenti. Soltanto in Italia esistono disoccupati di serie A cioè gli ex dipendenti delle grandi imprese industriali che hanno accesso al circuito della cassa integrazione e delle liste di mobilità (che sfociano spesso nel pensionamento anticipato); e disoccupati di serie B, ovvero gli ex dipendenti delle piccole imprese e dei servizi che – pur essendo la maggior parte dei lavoratori – hanno accesso unicamente a “sussidi ordinari di disoccupazione” di importo modesto e breve durata.

I posti di lavoro a disposizione dei giovani hanno tutti una data di scadenza. In Italia solo un terzo delle assunzioni di lavoratori con meno di quarant’anni comporta contratti a tempo indeterminato. Da dieci anni a questa parte c’è meno disoccupazione nella ricerca del primo impiego, ce n’è di più fra chi perde il lavoro. E per i giovani senza esperienza lavorativa e senza anzianità contributiva non esistono tutele.

La necessaria flessibilità del lavoro rischia di trasformarsi in precariato quando il passaggio da un lavoro all’altro, o meglio, da un contratto a tempo determinato all’altro, non è il risultato di una scelta personale che ha l’obiettivo di migliorarsi, di crescere professionalmente, di guadagnare di più, ma quando è invece un obbligo indotto da un mercato del lavoro rigido, che protegge i lavoratori con contratti a tempo indeterminato, maggiormente rappresentati dal sindacato, e costringe gli altri a sclerotizzarsi per lungo tempo in una posizione sempre identica: la parte mobile dell’azienda, priva di protezioni e possibilità di carriera.

Un’altra caratteristica del mercato del lavoro che merita attenzione è l’occupazione femminile. I cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro hanno facilitato l’ingresso delle donne, ma hanno reso più difficile conciliare lavoro e responsabilità familiari. In Italia solo il 53% delle donne con figli lavora, contro il 70% delle donne senza figli. Inoltre solo il 30% delle donne italiane riprende a lavorare dopo avere avuto un figlio. E il basso reddito familiare spinge le donne a non avere spesso più di un figlio. Si crea un circolo vizioso di bassa partecipazione al mercato del lavoro e bassa fertilità. In Italia ci sono pochi asili nido privati (oltre che pubblici); costano troppo in rapporto al reddito che le donne potrebbero ottenere sul mercato e alla sanzione sociale inferta alle donne che affidano i loro figli al nido.

Tramontate o in via di dismissione le tutele della contrattazione e del welfare fordista (per tutti) oggi la vita lavorativa e sociale non trova sponde su cui appoggiarsi per assorbire il rischio diffuso, che ciascuno avverte come proprio e personale.

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Compito della politica è ricostruire queste sponde. Bisogna creare nuove reti di garanzia sociale capaci di valorizzare lo spirito di iniziativa delle persone, di alimentare un rinnovato clima di fiducia e di costruire nuove prospettive di sviluppo dentro la modernità. Per far questo è insufficiente riproporre i modelli di tutela e garanzia ereditati dal passato, che oggi si dimostrano spesso inadeguati. Bisogna costruire nuove reti di coesione economica e sociale partendo dalle persone, dai loro bisogni, dalla loro voglia di intraprendere, dalle loro relazioni sociali e familiari, dalla loro capacità di essere comunità.

Emerge l’esigenza di rendere l’occupazione indipendente meno precaria, aumentando il grado di autonomia dei soggetti e riducendo la dimensione del rischio e dell’incertezza. L’obiettivo fondamentale è estendere le forme di tutela, garanzia e rappresentanza alle forme di lavoro attualmente non coperte, attraverso la sperimentazione di nuove forme locali di mutualismo e protezione sociale (previdenza, maternità, malattia ecc.).

Nella nuova organizzazione del lavoro l’attività economica propriamente intesa si confonde sempre più con la vita personale e da questa in certa misura finisce per dipendere. Le nuove forme del lavoro portano nella sfera produttiva e rendono rilevanti – dal punto di vista immediatamente produttivo – bisogni di welfare inerenti alla vita privata, cui i nuovi lavoratori devono trovare risposta pena la riduzione del tempo di lavoro disponibile per la produzione o la riduzione della motivazione con cui ci si impegna nella carriera professionale.

Il welfare diventa in tal senso, un fattore produttivo, una “risorsa abilitante” che consente alle persone di rispondere efficacemente alle esigenze produttive perché i servizi di welfare danno loro un retroterra adeguato alla copertura dei loro bisogni di base. La casa, la scuola per i figli, la mobilità, la salute, la qualità della vita, la previdenza e l’assistenza, il rischio di un reddito che non può essere dato per sicuro, ma che non può lasciare scoperta la famiglia che su di esso conta, sono problemi personali che intersecano la vita lavorativa e imprenditoriale.

La socializzazione diffusa del rischio ha bisogno di istituzioni che la governino, garantendo ai singoli che il gioco non è al massacro, ma che c’è una rete di sicurezza capace di favorire l’inclusione sociale e la crescita dei soggetti. C’è bisogno di un nuovo welfare:• più equoeveramenteuniversale, chegarantisca a tutti i lavoratori (autonomi,dipendenti

precari) garanzie minime e servizi di qualità17;• capace di accompagnare il processo di imprenditorializzazione del lavoro, di abilitare le

persone ad investire nella propria professionalità garantendo a tutti l’autonomia, il diritto alla conoscenza e il diritto di accesso alle reti;

• capacedivalorizzareunacrescentedomandadiautorganizzazionedalbasso,diaccompagnareil mutualismo dei piccoli gruppi e delle società locali.

Accanto alla tradizionale offerta del welfare pubblico, oggi si moltiplicano le proposte, le iniziative di altri modi di rispondere ai bisogni sociali - attraverso le privatizzazioni, il mutualismo, il volontariato, il terzo settore - capaci di restituire intelligenza e potere decisionale alla domanda.

La domanda non va solo messa in campo con l’ideologia o affidandola al libero mercato: la domanda, in settori critici come il welfare, va organizzata. Essa può diventare capace di valutazioni intelligenti sulla qualità dei servizi e di assunzioni consapevoli di rischio e responsabilità nella mutualizzazione dei propri bisogni, solo se qualcuno si dà da fare per mettere insieme le persone che hanno bisogni e preferenze simili, per affiancarle ad un sistema informativo/formativo che le

17 Si veda a tale proposito le proposte contenute in: T Boeri e P. Garibaldi “Un nuovo contratto per tutti” ed. Chiarelettere 2008

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metta in grado di capire la situazione e di scegliere con cognizione di causa, e, infine, per creare nuovi significati condivisi.

L’obiettivo fondamentale è quello di sostenere più alti livelli di socialità avviando azioni di economia solidale (di welfare mix) che sappiano riconciliare i valori dell’imprenditorialità e della solidarietà. In altri termini, un “progetto per il sociale” non solo finalizzato a raccogliere le “vittime della competitività”, ma orientato a ridurre le barriere tra risorse (finanziarie, umane, organizzative) per una progettualità sociale capace di valorizzare il ruolo e l’impegno del terzo settore, che, unendo solidarietà e imprenditorialità, genera occasioni di lavoro e flessibilità.

I mutamenti in corso coinvolgono anche i modelli di rappresentanza dell’impresa e del lavoro ereditati dal fordismo. Nel mondo della rappresentanza economica e sociale è oggi facile leggere in filigrana le difficoltà che le varie strutture di rappresentanza incontrano in virtù della molecolarizzazione della società, della moltiplicazione dei soggetti, della proliferazione delle posizioni lavorative e delle figure professionali, delle polarizzazioni del mercato del lavoro, della crescente importanza della dimensione territoriale degli interessi e delle identità collettive, della crisi dei vecchi criteri di appartenenza e di mobilitazione.

Non c’è dubbio che tali processi dovranno inevitabilmente modificare alla radice le organizzazioni di rappresentanza, anche se la cosa si presenta difficile e complessa, perché la storia e il modo in cui essi si sono costruiti sono ancora molto presenti.

Le categorie vivono un processo di trasformazione, collegato al fatto che la semplice funzione sindacale o di erogazione dei servizi ai propri associati oggi non è più sufficiente. La ricomposizione dei bisogni e degli interessi ha perso i suoi automatismi.

Nell’attuale fase del produrre per competere, alle rappresentanze è chiesto di aprirsi alle nuove domande di rappresentanza; è chiesto di garantire quelle reti, quei servizi e quelle funzioni sempre più complessi che servono alle imprese (e alle tante forme dei lavori) per operare su mercati sempre più aperti e sempre più incerti; è chiesto, in sostanza, di assumere il più complesso ruolo di metaorganizzatori di quei fattori contestuali che garantiscono la competitività del lavoro, delle imprese e del territorio.

La “società di mezzo” ha spazi e doveri crescenti di progettare per portare avanti processi di integrazione e coesione sociale nuovi, per l’elaborazione di nuove forme di rappresentanza, ed anche di nuove istituzioni postfordiste. In questa prospettiva, più che in approcci di stampo classista o di stampo aziendalista, il luogo più significativo del protagonismo delle rappresentanze economiche e sociali diventa il territorio.

Oggi, fra i tradizionali riferimenti alle antiche appartenenze, si incunea prepotentemente la categoria territorio; è sul territorio che si dispiega la catena del valore, è sul territorio che si realizza la mobilità spaziale e la flessibilità temporale della forza-lavoro, è sul territorio che la società è messa al lavoro, è sul territorio che si dispiegano i grandi processi di esodo, di resistenza, l’altra faccia della globalizzazione, o di regionalizzazione fatta di aumento delle differenze territoriali.

È su questo nuovo paradigma, quello del territorio, che la società di mezzo diventa protagonista a tutto tondo della transizione in atto. La transizione apre bisogni e prospettive che non possono essere lasciati dal puro spontaneismo del mercato, ma impongono un rilancio delle responsabilità dei soggetti collettivi. Apre cioè spazio a tre bisogni fondamentali di una società post-fordista:• ilbisognodiungrossoedeltuttoinnovativoinvestimentosulcapitaleumano,sull’uomo,

sulla formazione ai vari livelli, visto che sempre più la società post-fordista si baserà sulla qualità delle persone (quella qualità che è alla base della qualità dei prodotti, dei servizi, della ricerca e della tecnologia);

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• ilbisognodigestireinfluiditàilmercatodellavoro,nellaconsapevolezzachenellasocietàpostfordista la crescente volatilità di tale mercato (fra lavori sommersi, interinali, atipici, esternalizzati, professionali, parasubordinati, part-time, stagionali, ecc.) richiede un rinnovamento degli istituti di tipo generale ed un’articolazione spinta nella dinamica della contrattazione sindacale;

• edinfineilbisognodirevisionareeriqualificareil welfare state, che rappresenta il maggiore fattore di coesione, ancora oggi operante e necessario nel modello europeo di sviluppo. Anche nella società postfordista restano (anzi sono ancora più forti ed urgenti) una domanda di coesione sociale generale ed una domanda di copertura delle fragilità e paure individuali (la salute, la pensione, la solitudine, la dimensione diffusa del rischio imprenditoriale); domande che hanno bisogno di senso di responsabilità personale, di spirito collettivo della convivenza, di azione pubblica.

In quest’ottica il consolidarsi di pratiche di programmazione strategica, di pratiche di concertazione allargate capaci di ampliare il tradizionale triangolo concertativo tra impresa, sindacato e governo, rappresentano per le categorie l’occasione per rinnovare i propri legami con il territorio, per fare emergere nuovi bisogni e domande di rappresentanza, per rafforzare il proprio ruolo di fornitori di servizi strategici (dalla formazione manageriale all’assistenza alle strategie di internazionalizzazione, dal sostegno alla ricerca e sviluppo alla consulenza all’export) per definire nuove strategie di rete (reti commerciali tra imprese, relazioni di parternariato con istituzioni pubbliche e tra associazioni), per definire, in sostanza un nuovo modello di rappresentanza politica adeguato ai tempi capace di incidere sulle grandi scelte riguardanti il welfare e le politiche di competitività territoriale.

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Finito di stampare nel mese di settembre 2008da Esperia Srl - Lavis (TN)

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Il presente rapporto riporta i risultati del progetto DOCUP “Animazione imprenditoriale nelle aree obiettivo 2 della provincia di Trento” realizzato da Trentino Sviluppo SpA e promosso dall’Assessorato alla programmazione, ricerca e innovazione della Provincia Autonoma di Trento.

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FARE MICROIMPRESA IN MONTAGNALa domanda di autoimprenditorialità nelle aree

obiettivo 2 della provincia di Trento

Quaderni di territoriovolume 2

A cura di Sergio Remi

Gruppo di lavoro:Claudio Filippi, Walter Nardon, Paola Piazzi

Daniela Sannicolò, Iris Visentin

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Repubblica ItalianaMinistero dello

Sviluppo Economico

Provincia autonomadi Trento

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