La morte delle ideologie

39

description

Saggio storico di DANILO CARUSO / Palermo, dicembre 2011

Transcript of La morte delle ideologie

Page 1: La morte delle ideologie
Page 2: La morte delle ideologie

Donde existe una necesidad nace un derecho.

EVA PERÓN

Page 3: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

1

INTRODUZIONE

a più recente novità in campo di

concetti politici nell’ultimo ven-

tennio e a conclusione dello scorso

secolo è stata l’invenzione della morte del-

le ideologie. Antistene il cinico rimprove-

rava a Platone di vedere il cavallo e non

la cavallinità. A tutti coloro che hanno

sostenuto la scomparsa delle idealità si

potrebbe chiedere come un’idea – quasi a

volerla intendere in senso platonico –

possa morire: se così fosse non dovrebbe

essere più pensata, non far più parte del

nostro patrimonio conoscitivo. Per con-

tro accade che scompaiano le esperienze

storiche, mentre gli ideali entrano a far

parte del pensiero acquisito. Quando la

storia e la storiografia hanno bocciato

delle esperienze, o perché le loro idee era-

no inammissibili e intollerabili o perché

l’attuazione è stata fallimentare e negati-

va, ciò non si è tradotto nella radicale

cancellazione dell’ideologico. Tant’è vero

che se ne continua a parlare non solo per

fare archeologia storica ma anche con lo

scopo pedagogico di mettere in guardia

l’umanità dal ripetere stessi errori. Le tre

grandi concezioni politiche del ’900 sono

sempre rivisitabili dall’analisi nella storia

e nel sistema concettuale per trarre indi-

cazioni tenendo i due piani divisi al fine

appunto di separare lo storico dall’ideale.

Il fascismo, il comunismo, il nazionalso-

cialismo – in gradi e con responsabilità

diversi – hanno connotato negativamente

il secolo breve. Addentrarsi nelle dinami-

che storiche per guadagnare una visione

nitida dei meccanismi non è né può mai

divenire procedura giustificatoria: capire

il perché è stato così non può né deve

trasformarsi in giustificazione. Le cause

e le radici della nascita del nazismo stan-

no negli esiti della Grande guerra: diffe-

renti sarebbero stati gli eventi se la co-

munità internazionale avesse accompa-

gnato e assecondato un processo di svi-

luppo democratico della Germania po-

stbellica, colpita dalla crisi economica

mondiale del ’29 al punto tale di spianare

la via del potere a una ideologia razzista

irrazionale che si richiamava a tradizioni

interne neopagane e al più ampio versan-

te dell’antiebraismo (il quale aveva molti

secoli di esistenza e fatti ugualmente a-

scrivibili ante litteram ai crimini contro

l’umanità). Non è da trascurare in tutta

Europa l’effetto che esercitò la paura del

comunismo (prima e dopo la Rivoluzione

d’ottobre del ’17). Il clima europeo d’inizio

secolo, che portò alla prima guerra mon-

diale, era in fermento: l’affermazione del

capitalismo aveva introdotto nuove e for-

tissime tensioni sociali che turbavano le

incipienti forme di moderna democrazia.

Nel panorama di questa instabilità era

sorto pure il fascismo a cui furono aperte

le stanze del governo per superare il peri-

colo rosso. Col tempo – prima del secondo

conflitto mondiale e durante – nacquero

nel continente regimi e governi antico-

munisti, che è sbagliato definire fascisti

anche se amici e alleati dell’Italia musso-

liniana. Il fascismo fu un complesso fe-

L

Page 4: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

2

nomeno – trasformatosi poi in dittatura –

che aveva al suo interno varie matrici di

pensiero: una di fondo socialista (con ve-

nature di massimalismo), cui si sovrappo-

sero soprattutto quella nazionalista, e

quindi quella monarchica, e in tono mi-

nore quella liberale. I non correttamente

catalogati come fascismi europei non ave-

vano questo humus, erano più vicini al

nazismo. Anche parlare di nazifascismo

come ideologia è inesatto: il fascismo as-

sunse dal nazismo particolari dottrine si-

no a emanare per questioni di allinea-

mento politico le leggi razziali nel ’38

promulgate da Vittorio Emanuele III.

Dopo la seconda guerra d’Etiopia Musso-

lini aveva intrapreso la strada sbagliata

dell’alleanza con la Germania allonta-

nandosi definitivamente dalle democrazie

occidentali che avevano mostrato nei suoi

confronti parole di apprezzamento. Nel

bene e nel male il fascismo del primo do-

poguerra aveva prodotto una stabilità in

Italia che, in assenza di una compiuta

democrazia, era preferibile a una cruenta

rivoluzione comunista. In seguito subì

un’inaccettabile involuzione razzista. La

tragedia della seconda guerra mondiale

mostrò l’intensità degli errori umani e

politici dei capi fascisti filonazisti: il peso

storico di ciò che avvenne oscurò la parte

di buono realizzata sotto il regime guida-

to da Mussolini (la quale già da prima

conviveva con degli aspetti negativi): pur

ricordando dei lati positivi non si può

dimenticare la catastrofe finale in cui il

fascismo e la monarchia portarono il pae-

se. Come il comunismo il movimento fa-

scista partiva in alcune situazioni da cor-

rette istanze di giustizia sociale (non per

niente sono entrambi nati dal socialismo)

cui seppe dare delle risposte: per fare un

esempio, la difesa della nazione dai ri-

svolti della crisi del ’29. La complicità

con il nazionalsocialismo nella persecu-

zione e nello sterminio degli Ebrei (fatti

salvi i casi d’eccezione) ha comportato

una precisa condanna della sua esperien-

za storica. La quale condanna colpisce,

con altre motivazioni e per altri eventi,

parimenti il comunismo, la cui teorizza-

zione da parte di Karl Marx era scaturita

da sincere basi di denuncia sociale: tutta-

via in nessuna circostanza la violenza può

essere considerata strumento d’eccellenza

o privilegiato per migliorare la società. Il

fascismo, il comunismo, il nazionalsocia-

lismo hanno provocato vittime. E anche

se quelle a carico del fascismo sono meno

di quelle del nazismo (sei milioni di E-

brei) e del comunismo (cento milioni di

perseguitati) non si può minimamente

credere di mettere la questione su un i-

numano e parziale piano di contabilità.

Delle discusse tre ideologie se si può sal-

vare qualcosa è solo dalle dottrine eco-

nomico-sociali del fascismo e del comuni-

smo, separandolo di netto dal violento

contesto storico di provenienza per attin-

gerlo dal mondo delle idee. Un’operazione

del genere fu quella da cui nacque il giu-

stizialismo peronista, che rappresenta

un’ottima ed eclettica costruzione ideolo-

gica, la migliore del ’900. Questa ideolo-

gia non è stata condizionata dalla passata

e travagliata storia argentina: essa è

sempre stata democratica e di giustizia

sociale, potremmo dire di sinistra nazio-

Page 5: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

3

nale non marxista (qualcuno direbbe di

destra sociale, ma in termini di filosofia

politica classica parlare di destra sociale è

contraddittorio). In Italia non c’è un par-

tito simile, malgrado tutto il Partido ju-

sticialista poteva forse essere paragonato

ad Alleanza nazionale. Le idee non

muoiono, chi dice questo sostiene una

forma di nichilismo e promuove il disin-

teresse. Nessuna persona civile desidera

scontri ideologici come quelli che hanno

portato ad atti di terrorismo, ma ognuno

da responsabile vorrebbe unicamente pa-

cifici confronti su idee. Una politica senza

ideologie che politica è? L’ideologia è

l’anima di un sistema. Alla storia e alla

storiografia spetta il difficilissimo ufficio

di mostrare nelle loro pagine e nelle loro

immagini il bene e il male delle esperienze

passate, affinché quest’ultimo non abbia

più a ripetersi e dell’altro si faccia tesoro

a vantaggio di un futuro migliore per

l’umanità.

1. LA MORALITÀ DELLA POLITICA

e riflessioni sul come dev’essere

una buona o efficiente arte di go-

verno risalgono all’antichità classi-

ca e si sono protratte nei secoli sin a oggi

in cui il tema è dibattuto ancora dentro e

fuori dei partiti. Prima di valutare in che

maniera far correttamente una cosa è

meglio definire questo da farsi. Che cos’è

la politica? Questa attività è un comples-

so di iniziative pratiche intraprese e ri-

volte al benessere di una comunità nella

sua interezza, che poggia questa prassi su

un sistema di pensiero (filosofia della po-

litica). La politica oggigiorno è sotto vari

aspetti tendenzialmente insana perché

frequentemente vi predomina la logica

clientelare, la quale ha il precipuo scopo

di procacciare voti in cambio di qualcosa.

Dunque questa attività per tale verso

non ha niente a che vedere con il bene

collettivo che anzi danneggia pericolosa-

mente poiché le sperequazioni sociali

conducono prima o poi a proteste di mas-

sa più o meno violente: esempio eclatante

è stato la Rivoluzione francese. Quando

si parla della fine delle ideologie non si

può fare a meno di chiedersi su quali basi

dovrebbe posare la pratica di governo:

infatti è rimasto solamente un sostanziale

nichilismo a insegnare l’utilità di parte. I

meritevoli non vengono naturalmente

apprezzati se non inseriti in quello sche-

ma, che anzi predilige i mediocri in quan-

to figure più innocue e controllabili. La

scienza amministrativa ha origine da

un’attività intellettuale per tradursi in

azione. Se i politici non sono all’altezza

non giovano alla politica né alla gestione

di un ente pubblico. Questo ruolo di con-

duzione dovrebbe essere compito di una

categoria disinteressata: le cose vanno

male perché la dialettica tra i vari gruppi

L

Page 6: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

4

per la conquista democratica del potere

porta al clientelismo escludendo sempre

una fetta di società. È paradossale dire

questo di una democrazia e sottolineare

invece che un regime diverso mirerebbe

all’appoggio della totalità per mantener-

si. Il modo in cui la politica affronta i

problemi è da alcune parti malaugurata-

mente insufficiente. Lo Stato nasce per

diritto naturale come tutore universale

della società intera la quale gli delega del-

le precise mansioni di salvaguardia del

benessere di tutti (singole persone e fami-

glie). Una classe politica che agisce in

maniera partigiana rovina lo Stato, una

delle più nobili costruzioni della natura

umana. La degenerazione è causa d’insta-

bilità sociale. Il migliore rimedio è quello

indicato da Platone nella Repubblica lad-

dove parla della formazione del gover-

nante della cosa pubblica: se lo spazio-

della-politica è diventato luogo di contra-

sto e di speculazione si deve sostituire il

contenuto. Questo spazio spetta alla mi-

gliore espressione del pensiero umano: la

prassi politica deve essere fondata su una

filosofia della materia e sulla conoscenza

della realtà. L’incapacità di governo che

non comprende gli alti fini della politica,

che crea sperequazioni e ulteriori disagi,

devia verso la logica utilitaristica e pro-

duce il clientelismo. In una retta pratica

di amministrazione, che si traduce in ser-

vizio reale alla collettività, il servizio è

solo conseguenza della rettitudine, non è

un fine esplicito se non in presenza di una

cattiva politica. Niccolò Machiavelli teo-

rizzò la separazione tra morale e politica,

ma ciononostante riconosceva al principe

aspetti qualitativi che vanno ben oltre la

generale mediocrità d’oggi. Con tutti i

suoi aspetti moralmente negativi il prin-

cipe doveva essere una persona di vaglia.

Nel malessere odierno della politica c’è

poco di principesco (anche machiavelli-

camente inteso): la dialettica tra politici

scade anche nel volgare e nell’insignifi-

canza, che sono indici del personalismo

nichilista. Non viene più proposto agli

elettori di seguire un’ideologia, bensì un

leader o un capo-clientela. E qui l’auten-

tica arte del governo è morta. E a capirlo

ci vuole poco, basta un piccolo approfon-

dimento: un insieme di individui che e-

legge i propri rappresentanti pubblici ve-

drà per lo più gli elettori di un eletto fa-

voriti nella possibilità di ricevere benefici

(che servono a curare la clientela), men-

tre tutti gli altri che non hanno un refe-

rente vincente rischiano di subire ingiu-

stamente l’aumento della pressione tribu-

taria che servirebbe a sovvenzionare i co-

sti del clientelismo. Nei partiti sovente

c’è verbalmente un richiamo all’insegna-

mento sociale della Chiesa cattolica, ma è

poco cristiano speculare sui bisogni della

gente per fini che non sono attinenti alle

radici su cui si fonda uno Stato.

Page 7: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

5

2. LA CRISI DEL CAPITALISMO

mercati, le attività finanziarie e quel-

le produttive attraversano ciclica-

mente nel sistema capitalista dei

momenti critici di durata variabile: acca-

de che i prezzi aumentino, le vendite di-

minuiscano e la disoccupazione aumenti.

Un economista inglese vissuto tra ’700 e

’800 riteneva che la causa del disagio in

cui versasse la schiera dei diseredati risie-

desse in loro, nel perpetuare questa genia

di disgraziati, e che i loro mali sarebbero

terminati con loro stessi. La moderna

globalizzazione ha allargato pregi e difetti

del capitalismo a livello mondiale senza

operare una generalizzazione del benesse-

re collettivo (che già non era perfetto nei

paesi di provenienza). Sembra che la crisi

attuale voglia riproporre quel darwinismo

sociale di Thomas Malthus nel tentativo

di provocare la soppressione di tutte quel-

le categorie umane che non dispongono di

risorse stabili per sopravvivere. A partire

dal “terzo mondo” milioni di individui

soffrono a causa della sperequazione dei

beni prodotti. L’attività umana produt-

tiva è alla base del sostentamento, il la-

voro ha una funzione centrale. Questa

funzione dovrebbe essere quella di pro-

durre non mirando alla ricerca di un gua-

dagno anche attraverso le cose più inutili

o dannose, ma mirando a ottenere i mezzi

per una quanto meno dignitosa esistenza

nell’ottica di contribuire, dall’imprendito-

re al lavoratore, alla tutela della prosperi-

tà dell’intero insieme civile. Le imprese

private tengono in piedi l’apparato eco-

nomico-sociale per il fatto che da loro

proviene la contribuzione tributaria più

autentica. Il servizio pubblico non sem-

pre è pienamente efficiente e a volte è pa-

rassitario, produce in alcuni casi meno di

quello che dovrebbe o potrebbe: i dipen-

denti pubblici sono retribuiti con soldi

presi dalle imprese, e non c’è da stupirsi

che poi esista l’evasione fiscale di fronte a

sprechi e gestioni clientelari della ricchez-

za tributaria. Il cattivo servizio pubblico

è l’esempio di inutile e sterile produzione

con spreco di denaro, come inutile produ-

zione è quella di imprese che mettono sul

mercato prodotti di nessuna utilità, o ad-

dirittura nocivi alla salute umana, con

l’induzione a comprarli per una questione

di adeguamento a status-symbol. La logi-

ca del profitto crea squilibrio sociale pure

poiché la pressione fiscale sulle imprese si

ripercuote sui loro dipendenti: una mag-

giore tassazione equivale a una riduzione

dei lavoratori o dei loro stipendi. È chiaro

che non tutti i principi del liberismo siano

condivisibili sino ai loro estremi: uno che

persegue il proprio interesse cerca solo il

suo bene e si serve degli altri con cui è co-

stretto a condividere il suo successo eco-

nomico (in passato c’erano gli schiavi cui

bastava dare il minimo necessario per so-

pravvivere); il mercato non è un organi-

smo autonomo che si regola da sé, è

anch’esso un risultato delle attività

dell’uomo. Il recupero di un’economia sa-

na avrebbe bisogno di riformare il capita-

lismo sostituendo nei suoi principi alla

I

Page 8: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

6

logica del profitto e degli interessi di par-

te la logica dell’utilità collettiva: sanità,

trasporti, etc. pubblici e privati trovano

contributori ben disposti. Nessuno è

spontaneamente disposto ad acquistare

servizi e prodotti scadenti a meno che

non sia raggirato. La legislazione sul la-

voro sarebbe migliorata se accogliesse al-

tri provvedimenti ispirati a canoni di giu-

stizia sociale per difendere un’equilibrata

partizione del benessere globale.

a) Il primo sarebbe una legge sul diritto

al lavoro che garantirebbe a ogni nucleo

familiare almeno una fonte di reddito, e

che stabilirebbe la distribuzione dei posti

nel pubblico impiego secondo merito e

secondo necessità (abolendo parzialmente

i concorsi).

b) Il secondo riguarderebbe la riforma

dell’impresa privata. A capo ne rimar-

rebbe sempre l’ideatore (che solitamente è

anche colui che investe il capitale di ri-

schio): una parte dello stipendio dei di-

pendenti dovrebbe essere ancorata in per-

centuale ai guadagni complessivi: i lavo-

ratori contribuiscono all’eventuale fortu-

na economica e pare ipotesi naturale la

loro partecipazione ai dividendi così come

il caso del giusto licenziamento.

c) Un terzo provvedimento sarebbe di ca-

rattere generale e fiscale poiché statui-

rebbe il principio di imponibilità nei con-

fronti dei soli redditi: si concentrerebbe la

tassazione unicamente sui guadagni sop-

primendo le imposte sulle cose che non

abbiano prodotto denaro.

Non conviene allo Stato restare estraneo

al gioco economico-finanziario, anzi per i

compiti di garanzia che assume è lecito

che ne prenda parte con discreta funzione

di arbitro e di moderatore delle parti qua-

lora queste non siano in armonia. Priva-

tizzare servizi importanti per migliorarli è

cosa contraddittoria: è lo Stato sussidia-

rio, non il privato. I pessimi servizi pub-

blici andrebbero perfezionati rimuovendo

tutti i problemi. Non sembra buono

smantellare la macchina statale che fun-

zioni male mutilandola a favore di inte-

ressi particolari. Un’economia mista, in

un regime di libertà e di controllo, pare la

più auspicabile. Le partecipazioni statali

mirate hanno impedito nei frangenti di

profonda crisi che il sistema andasse in

rovina. Il capitalismo senza regole e senza

limiti non ha senso ed è espressione di ir-

razionalità: giunge sempre un momento

in cui la produzione e la vendita assumo-

no una tendenza al ribasso poiché non si

può produrre per vendere indefinitamen-

te. La massima ambizione del capitalista

è il profitto infinito a discapito di tutto e

di tutti. Un’economia che al criterio del

profitto sostituisse quello della sussisten-

za del genere umano non produrrebbe

l’inutile superfluo non commerciabile che

genera le crisi. Il mondo del lavoro intel-

lettuale e manuale consente la sopravvi-

venza della civiltà: per ottenere meglio

questo fine è possibile lavorare tutti (e

non far finta come capita in alcune circo-

stanze), lavorare meno pro capite (con

acquisizione di maggiore tempo libero),

risolvere quindi il problema della disoc-

cupazione e avere più ricchezza da redi-

stribuire (senza lasciare sacche di disa-

gio).

Page 9: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

7

3. L’EREDITÀ DEL MARXISMO

l pensiero filosofico di Karl Marx, svi-

luppato nella speculazione politica a

opera di Lenin (ne è nato il marxi-

smo-leninismo), dall’Ottocento ha in-

fluenzato sotto molteplici aspetti le vi-

cende storiche e i modi d’interpretare la

società e la realtà intera. Va innanzitutto

rilevato che le istanze da cui Marx partì

erano valide: il disumano maltrattamen-

to capitalistico della classe proletaria fu

un fenomeno che non poteva rimanere

sottaciuto dalla filosofia. La sua denun-

zia e la sua analisi – per vari tratti – non

fanno una grinza nell’evidenziare quelle

problematiche. Quello che la storia ha

condannato è il sistema di rimedi teorici e

pratici del comunismo. Voler ribaltare il

sistema capitalista con il suo opposto si-

gnifica sostituire un problema con un al-

tro: da un eccesso in un verso si passa

all’altro di segno opposto. E tutto ciò a

scapito della libertà: niente proprietà

privata (solo il “possesso” dell’essenzia-

le), niente imprese (lo Stato si occupa di

tutto). Se questo non è accettabile dalla

ragione, lo è soprattutto in quell’ottica in

cui Marx prevedeva che allo Stato socia-

lista dovessero seguire la sua scomparsa e

l’instaurazione di un’anarchica comu-

nanza universale (stadio evolutivo – det-

to “comunismo” – mai realizzatosi, in cui

la famiglia non sarebbe esistita e le donne

sarebbero state in comune). È inoltre

contraddittorio che Lenin avesse riserva-

to la guida del suddetto rovesciamento

sociale a un’elite di borghesi illuminati,

ed è per niente lecito che questo sia di na-

tura dichiaratamente violenta. La ditta-

tura del proletariato nelle mani di chi

proletario non è non ha molto senso: il

proletariato sarebbe interpretato in rap-

porto a una dottrina, ma non sarebbe li-

bero di esprimersi (del resto si troverebbe

sotto una dittatura). «TUTTI GLI A-

NIMALI SONO UGUALI / MA ALCU-

NI SONO PIÙ UGUALI DI ALTRI»,

così nelle ultime pagine de “La fattoria

degli animali (1945)” di George Orwell

una norma esprime il punto di arrivo di

quell’allegorica società innovatrice, spec-

chio del comunismo sovietico. Il diritto di

natura non gradisce un modello statale

del genere perché è innaturale privare gli

uomini senza una giusta motivazione del-

le personali libertà e perché questo Stato

nascerebbe su radici inadeguate (gli uo-

mini si consorziano in modo incruento e

spontaneo in vista di un fine di equilibra-

to benessere collettivo). In ambito socia-

lista, nonostante l’ateismo e l’anticlerica-

lismo, è migliore il pensiero di Robert

Owen fautore nell’Ottocento di cambia-

menti nelle condizioni dei lavoratori e

non di sanguinosi rivolgimenti (poi nel

1917 i comunisti in Russia andarono al

potere attraverso un colpo di Stato e non

per mezzo di una propria rivoluzione). Al

congresso dei laburisti inglesi del 1923

l’economista Sidney James Webb sotto-

lineò che «il fondatore del socialismo in-

glese non è stato Karl Marx, ma Robert

Owen e che Robert Owen non predicava

I

Page 10: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

8

la lotta di classe, ma la dottrina della fra-

tellanza umana». Per quanto la parte

schiettamente politica del marxismo-

leninismo sia di tipo totalitaristico e pre-

scrittivo (pensiamo al materialismo e

all’ateismo di Stato che sposa) d’altro la-

to nel settore dell’analisi della condizione

lavorativa – come nelle considerazioni

sociologiche sulla strumentalizzazione

della credulità religiosa popolare – Karl

Marx è stato più condivisibile. La dottri-

na del plusvalore non ha perso efficacia,

benché questa sia stata elaborata in vista

dell’unica circostanza di successo dell’im-

presa: Marx non ha tenuto conto del ri-

schio d’impresa da parte dell’imprendito-

re e del fatto che se costui fosse fallito i

suoi dipendenti avrebbero perso il posto

di lavoro. È vero che un datore di lavoro

dei suoi tempi pagando a un prestatore

d’opera la sua semplice stentata soprav-

vivenza grazie al resto del guadagno si

poteva arricchire: questa differenza è il

plusvalore a cui il lavoratore concorreva

in maniera inconsapevole a causa di

un’alienazione soggettiva del proprio o-

perato la quale lo poneva al di fuori della

coscienza produttiva. La situazione ai

nostri giorni è del tutto cambiata nei Pa-

esi moderni: ci sono gli assegni familiari e

i versamenti dei contributi pensionistici

assieme a salari onesti equilibranti quel

plusvalore incamerato dall’imprenditore.

Anche in relazione a questo tema, ecce-

zion fatta davanti allo sfruttamento di

manodopera nei Paesi poveri, arretrati e

sottosviluppati, il marxismo è perlopiù

parziale perché i tempi sono mutati. Ri-

sulta pure poco facile comprendere coloro

che, di sinistra marxista, sono contrari

alla globalizzazione e non attuano un ap-

proccio diverso a essa: per Marx questa

sarebbe stata il preludio della rivoluzione

universale dei lavoratori. Il problema non

è la globalizzazione in sé, è rappresentato

invece da quei casi in cui il plusvalore di

cui parlava è un abuso ancora reale (un

suo discutibile giudizio definisce «im-

mondizia dei popoli» tutti quelli che non

hanno raggiunto uno stadio capitalistico,

ritenuti quindi da eliminare a vantaggio

degli altri). La Chiesa cattolica ha presta-

to attenzione – con iniziale ritardo sui

tempi – all’incidenza dei cambiamenti

economici sulla società, basti ricordare le

encicliche sociali, mantenendo una posi-

zione di equilibrio tra le due formule del

capitalismo e del socialismo, equilibrio

che media le esigenze di libera iniziativa e

di solidarietà comune (san Francesco

d’Assisi ricordò col caritatevole esempio

la funzione naturale della proprietà pri-

vata come strumento di sostegno al be-

nessere comune, fino al punto di rinun-

ciarvi allorquando questa rinnega il pro-

getto di cui Dio ha reso l’uomo artefice e

diviene fonte di smisurato arricchimento

di pochi). È lontana ormai l’epoca dello

scontro fra cattolici e comunisti, la

“guerra fredda” è finita e l’URSS è cadu-

ta da sola per motivi endogeni fra molte

contraddizioni. Tra queste: i nazisti pre-

sero a modello attuando le loro persecu-

zioni, l’allestimento di campi di concen-

tramento e l’addestramento di reparti

l’Unione Sovietica di Stalin; il singolo

sterminio comunista degli Ucraini (“holo-

domor”, che vuol dire genocidio: 7 milio-

Page 11: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

9

ni di morti causati da inedia nella prima

metà degli anni ’30) supera nel numero la

barbarie della Shoah; i Sovietici instaura-

rono un rapporto di collaborazione coi

Tedeschi durato sino al giugno 1941 che

contemplò coi futuri nemici la spartizione

della Polonia, l’occupazione da parte di

Mosca di Lituania, Lettonia, Estonia e di

territori finlandesi e romeni, e per di più

la riconsegna di Ebrei profughi ai nazisti

e la fornitura a questi di aiuti militari e

alimentari. Oggi sono sopravvissuti i par-

titi politici che si richiamano a Marx: una

parte di essi ha abbandonato il pro-

gramma rivoluzionario e mantenuto

l’ideologia di giustizia sociale. Il comuni-

smo nel ’900 ha però provocato circa 100

milioni di morti a livello mondiale laddo-

ve ha operato: il suo schema politico to-

talitario, fondato sul materialismo (“sto-

rico” – in base a cui le vicende umane sa-

rebbero lotta di classe – e “dialettico”),

non è storicamente riproponibile (Anto-

nio Gramsci introdusse nel contesto della

riflessione marxista un’alternativa – dal

carattere spiritualista – all’idea di storia

come lotta di classe, secondo la quale sa-

rebbe invece dialettica di ideologie). Si de-

ve far tesoro di quest’esperienza (perché

non si ripeta, custodendo i positivi aspet-

ti delle analisi marxiane) poiché malgra-

do le soluzioni proposte fossero peggiori

dei problemi su cui intervenire questi

stessi non furono un’invenzione del mar-

xismo.

4. LA FABBRICA DEL MALE

l nazionalsocialismo è stato nella sto-

ria dell’umanità tra le peggiori ideo-

logie che hanno ispirato e provocato

comportamenti la cui portata talmente

negativa le qualifica come ideologie del

male. Sarebbe bastato il solo programma

politico nazista, esposto da Adolf Hitler

nel suo libro “Mein kampf” (La mia bat-

taglia), per esprimere un tale giudizio al

di là dell’esperienza storica della Germa-

nia hitleriana dal 1933 al 1945. Le radici

del nazismo si trovavano in aspetti del

patrimonio culturale tedesco senza le

quali il suo attecchimento e il suo svilup-

po sarebbero stati più difficili. L’antise-

mitismo, il pangermanismo e l’avversio-

ne alla democrazia, che lo connotarono in

maniera peculiare, avevano illustri pre-

cedenti da Lutero al Romanticismo tede-

sco fino a Friedrich Nietzsche. Questo,

miscuglio sovrappostosi alla sconfitta

della Germania nella Grande guerra, creò

la base su cui i nazisti avrebbero costrui-

to la via per l’instaurazione di uno Stato

totalitario. Nel cammino verso il governo

costoro specularono sulle disgrazie dei

Tedeschi nel dopoguerra: l’instabilità so-

cioeconomica garantì il considerevole ap-

poggio dei capitalisti, che durante la dit-

tatura ebbero a disposizione lavoratori

I

Page 12: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

10

privati dei loro diritti di categoria e to-

talmente asserviti ai piani di rilancio e-

conomico e di riarmo (ciò comportò la

netta riduzione del tasso di disoccupazio-

ne e produsse un effetto di tolleranza da

parte del proletariato nei riguardi del re-

gime; il nazionalsocialismo ripristinò la

medievale ereditarietà delle professioni, e

inventò anche un servizio civile per i gio-

vani di entrambi i sessi, un anno di lavo-

ro obbligatorio che servì d’altro canto a

livellare le differenze sociali e che gli atti-

rò un’ulteriore acquiescenza); prima della

dittatura la sinistra del partito che por-

tava avanti punti programmatici sociali-

sti intercettò e convogliò il malcontento

delle masse (nel 1934 i rivoluzionari nazi-

sti furono eliminati fisicamente: Hitler

preferì l’intesa interna col capitale e con

l’esercito in cambio della presidenza della

repubblica, che così si univa in lui al ran-

go di capo del governo). Il socialismo del

nazionalsocialismo esistette come lettera

morta solo sulla carta. Nel 1933-45 i Te-

deschi furono privati dei diritti più ele-

mentari in una normale democrazia. Tut-

to (informazione, educazione, gestione

dell’economia, governo della cosa pubbli-

ca, etc.) era in mano ai nazisti: l’ammini-

strazione della giustizia e le forze dell’or-

dine divennero lo strumento del controllo

sociale e della soppressione degli opposi-

tori. A questa azione repressiva si ag-

giungeva la produzione del consenso e

dell’indottrinamento condotta attraverso

istituzioni di partito e pubbliche. Tutti, a

seconda dei casi, erano inquadrati nel si-

stema nazificato, non vi era spazio per il

dissenso. Le cosiddette leggi di Norimber-

ga (1935) diedero primo corpo al pro-

gramma antisemita: gli Ebrei tedeschi

furono emarginati dalla società al pari

degli Iloti sotto gli Spartani, e l’intera

Germania sembrò somigliare moltissimo

all’antica Sparta. L’irrazionale concetto

della superiorità razziale ariana (e in par-

ticolare dei nordici germanici) spinse

barbaramente i nazisti durante il secondo

conflitto mondiale all’uccisione nei campi

di concentramento di sei milioni di Ebrei.

Nessuna forma di pensiero poteva e potrà

mai giustificare una tale azione immoti-

vata di odio e di morte che resta durevole

nella storia a severissimo monito con la

sua condanna irrevocabile verso i respon-

sabili. Il nazionalsocialismo ebbe i suoi

cardini nell’idea di una grande Germania

(che si espandesse nell’est europeo) e in

questo sentimento di antisemitismo. La

sinistra del partito non ebbe mai vita fa-

cile e finì con lo scomparire negli anni di

governo. Per una serie di motivazioni,

sotto il profilo delle idee, non è corretto

accostare il fascismo italiano al nazismo

nel cosiddetto nazifascismo, un ibrido che

non può facilmente assurgere a categoria

politico-filosofica, mentre è più giusto

parlare di alleanza politico-militare tra

Italia e Germania. È vero che in Italia

furono emanate – con l’approvazione del

re Vittorio Emanuele III – nel 1938 leggi

razziali, ma furono lo sciagurato e pro-

fondamente ingiustificato frutto di un

innaturale allineamento dell’ideologia

fascista. Il fascismo ebbe in sé dannosi

diversi difetti, tuttavia l’antisemitismo

come connotato ideologico lo prese dal

nazismo (compiendo uno dei più tragici e

Page 13: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

11

significativi suoi errori) e non da una sua

corrente interna preponderante. Il che

non lo solleva da colpe, però chiarisce la

dinamica della storia. Il fascismo coltiva-

va il suo socialismo spiritualista, e si scon-

trò col capitalismo italiano (le vicende

della Repubblica sociale italiana lo dimo-

strarono), le sue leggi razziali non aveva-

no l’intensità di quelle tedesche, e inoltre

nonostante gli altalenanti rapporti con la

Chiesa cattolica (che va detto soddisfece

in parecchio: dai Patti lateranensi alla

concessione di alcuni privilegi) mai pro-

gettò invece come il nazismo di ritornare

al paganesimo (nel 1933 la Santa sede e il

governo di Hitler avevano stipulato un

concordato). Il legame tra Italia fascista

e Germania nazista nacque in un contesto

di politica estera. Dopo la conquista ita-

liana dell’Abissinia nella seconda guerra

d’Etiopia (1935-36) Inghilterra e Francia,

precedenti alleate nella Grande guerra, si

erano schierate contro l’Italia, la Germa-

nia no. Hitler era ammiratore di Mussoli-

ni (il contrario non era vero) e fece in

modo di avvicinarglisi: la strada della di-

struzione era spianata perché il fascismo

per non restare isolato all’estero si legò

malauguratamente ai nazisti. In Germa-

nia i campi di concentramento per gli op-

positori esistevano già prima del secondo

conflitto mondiale, in Italia c’era il con-

fino che, seppur parimenti inaccettabile,

era molto diverso. L’amicizia tedesca

provocò l’involuzione del fascismo, la sua

entrata in guerra contro le potenze demo-

cratiche occidentali (da cui si era allonta-

nato definitivamente) e la mancata pos-

sibile sua futura e incruenta evoluzione

verso la democrazia (similmente al fran-

chismo). L’opera socio-politica fascista

del periodo prebellico – sempre non di-

menticando che era una dittatura anti-

democratica – non è paragonabile nello

spirito alla difesa degli interessi del capi-

tale praticata dai nazisti né alla completa

e radicale restrizione delle libertà attuata

da questi ultimi e altrove da regimi ditta-

toriali comunisti o conservatori: in Italia

c’erano la Chiesa e la monarchia sabauda

che mantenevano propri spazi d’azione.

Sul fascismo pesano le vittime e le rovine

dell’ultima guerra e lo sviamento nazista

con l’Olocausto in modo incancellabile,

unitamente alla sua originaria vocazione

antidemocratica e all’uso della violenza

interna nel suo primo frangente: queste

sono le maggiori affinità con il nazional-

socialismo rispetto a cui ebbe genesi e vi-

ta diverse fino al connubio (Mussolini

guidava il governo italiano già dalla fine

del 1922 e manifestò l’intenzione di alle-

arsi con i Tedeschi solo dopo la svolta

della metà degli anni ’30). L’intellettuale

italiano genuinamente più incline al raz-

zismo, il filosofo Julius Evola, parados-

salmente fu mal visto dai nazisti a causa

di divergenze d’impostazione teorica e

tenuto ai margini dai fascisti che gli pre-

ferivano il neohegeliano Giovanni Genti-

le. Nella seconda metà del Novecento,

sebbene la memoria della Shoah fosse vi-

va e presente come oggi ma più vicina

agli eventi, gli Occidentali mantennero

mentalità discriminatorie verso i rappre-

sentanti di altre etnie e specialmente nei

confronti dei neri. I casi degli USA e del

Sudafrica sono tra quelli emblematici: in

Page 14: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

12

Sudafrica i bianchi instaurarono un go-

verno segregazionista, durato dal 1948 al

1990, non dissimile da quello nazista, e

negli Stati Uniti il Ku Klux Klan e gli

assassini di leaders neri sono storia anco-

ra recente.

DAI PUNTI DEL PROGRAMMA DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA

(1920)

1 - Noi chiediamo la costituzione di una

Grande Germania che riunisca tutti i Tede-

schi, sulla base del diritto all’autodeter-

minazione dei popoli.

3 - Noi chiediamo terra e colonie per nutri-

re il nostro popolo e per collocare l’eccesso

di popolazione.

4 - Cittadino può essere soltanto chi è con-

nazionale.

Può essere connazionale solo chi è di san-

gue tedesco, senza riguardo alla confessione

religiosa. Nessun Ebreo può quindi essere

connazionale.

5 - Chi non è cittadino può vivere in Ger-

mania solo come ospite e deve sottostare alla

legislazione per gli stranieri.

6 - Il diritto di determinare l’orientamento

e le leggi dello Stato è riservato ai soli citta-

dini. […]

7 - Noi chiediamo che lo Stato si impegni

ad assicurare a tutti i cittadini i mezzi per

vivere. Se questo paese non può garantire il

sostentamento a tutta la popolazione, chi

non è cittadino dovrà essere espulso dal

Reich.

8 - Bisogna impedire ogni nuova immigra-

zione di non Tedeschi. […]

10 - Primo dovere di ogni cittadino è il la-

voro, fisico o intellettuale. L’attività del

singolo non deve nuocere agli interessi della

collettività, ma inserirsi nel quadro di que-

sta e per il bene comune. Per questo noi

chiediamo:

11 - La soppressione del reddito di chi non

lavora e non fatica, la soppressione della

schiavitù dell’interesse.

13 - Noi chiediamo la nazionalizzazione di

tutti i gruppi esistenti d’imprese che eserci-

tano un monopolio.

14 - Una partecipazione agli utili nelle

grandi imprese.

16 - Noi chiediamo la creazione e la prote-

zione di un sano ceto medio, che i grandi

magazzini vengano immediatamente affi-

dati alle amministrazioni comunali e che

siano affittati a poco prezzo ai piccoli

commercianti. La priorità deve essere ac-

cordata ai piccoli commercianti e indu-

striali per tutte le forniture allo Stato, alle

regioni o ai comuni.

17 - Noi chiediamo una riforma agraria

adatta ai nostri bisogni nazionali, la pro-

mulgazione di una Legge che permetta

l’esproprio, senza indennizzo, del suolo per

fini di utilità pubblica, la soppressione

dell’interesse fondiario e il blocco di ogni

speculazione fondiaria.

18 - Noi chiediamo una lotta senza tregua

contro coloro che con la loro attività noccio-

no all’interesse pubblico. […]

Page 15: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

13

19 - Noi chiediamo che un diritto comune

tedesco sostituisca il diritto romano che è al

servizio dell’ordinamento materialistico del

mondo.

20 - L’estensione del nostro sistema scola-

stico deve permettere a tutti i Tedeschi dota-

ti e attivi di accedere a una educazione su-

periore e con questa a posti direttivi. […]

Lo spirito nazionale deve essere inculcato

nella scuola fin dall’età della ragione. […]

21 - Lo Stato deve provvedere a migliorare

la salute pubblica, proteggendo la madre e

il fanciullo, proibendo il lavoro dei fanciul-

li, introducendo mezzi atti a sviluppare le

attitudini fisiche mediante l’obbligo di pra-

ticare lo sport e la ginnastica e mediante un

forte sostegno a tutte le associazioni che si

occupano dell’educazione fisica della gio-

ventù.

23 - Noi chiediamo la lotta legale contro la

menzogna politica cosciente e la sua diffu-

sione a mezzo della stampa. […]

I giornali che contrastano con l’interesse

pubblico devono essere vietati. Noi chie-

diamo che la legge combatta l’insegnamento

letterario e artistico che esercita un’influen-

za disgregatrice sulla nostra vita nazionale,

e la soppressione delle organizzazioni che

contravvengono alle disposizioni sopra e-

sposte.

24 - Noi chiediamo la libertà nell’ambito

dello Stato per tutte le confessioni religiose,

nella misura in cui esse non mettano in

pericolo la sua esistenza o non offendano il

sentimento morale della razza germanica.

Il partito, come tale, difende la concezione

di un Cristianesimo positivo, ma non si

lega a una confessione specifica. Esso com-

batte lo spirito giudaico-materialista

all’interno e all’esterno ed è convinto che un

risanamento duraturo del nostro popolo

non può avvenire che dall’interno, sulla

base del principio: l’interesse generale pre-

vale su quello particolare.

25 - Per realizzare tutto questo, noi chie-

diamo la creazione di un potere centrale

forte, l’autorità assoluta del comitato politi-

co su tutto il Reich e sui suoi organismi e

inoltre la creazione di camere professionali

e di uffici municipali incaricati di attuare

nei vari Laender le leggi generali promul-

gate dal Reich. […]

5.1. LA DEMOCRAZIA CORPORATIVA

l criterio della rappresentanza parla-

mentare corporativa (cioè per sezioni

della società) fu uno dei cavalli di

battaglia del vecchio Movimento sociale

italiano, un modello che era stato eredita-

to dalla parte concettualmente salvabile

dell’ideologia fascista. Sebbene il corpo-

rativismo si porti appresso la tara del fa-

scismo non fu questo a introdurlo nella

storia delle idee: il primo corporativista è

stato Platone. Nella “Repubblica” la tri-

partizione del popolo in governanti – di-

fensori – produttori risponde all’esigenza

di porre ogni essere umano in virtù delle

I

Page 16: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

14

sue capacità, e non in seguito a privilegi

di nascita o di raccomandazione, nella

categoria migliore corrispondente alle sue

attitudini e agli interessi collettivi. A

Platone era ancora estraneo il concetto di

persona, ragione per la quale la sua con-

cezione di Stato (etico) è involontaria-

mente molto simile a quella gentiliano-

fascista (il cittadino in funzione dello

Stato). Il filosofo ateniese venne inserito

nella critica dei sistemi totalitari condot-

ta da Karl Popper (da ricordare che Pla-

tone legittimava anche la schiavitù – di-

fetto comune a tutta l’antichità –, i cui

rappresentanti erano in fin dei conti una

quarta categoria di servi). Questa idea di

dare a ognuno il ruolo giusto ricomparirà

nella teoria attrattiva del lavoro di Charles

Fourier. I limiti della “Repubblica” pla-

tonica, che prospettava pure programmi

eugenetici di ascendenza spartana, ma

che a posteriori rievocano molto quelli

nazisti, sono da collocare e conoscere nel-

la loro dimensione storica (sempre non

condividendoli). Non perché il corporati-

vismo è stato riproposto e riattualizzato

dal fascismo dovrebbe essere oggetto di

abominio: preso per sé è un’ipotesi di

rappresentanza con una sua dignità.

L’opportunità di un’assemblea legislativa

corporativa può essere giudicata diver-

samente se ripresentata correttamente.

Ai tempi del fascismo, prima dell’istitu-

zione della Camera dei fasci e delle corpo-

razioni, l’esistenza del partito unico e del-

la lista bloccata di tutti i deputati (sotto-

posta a referendum) era stata accompa-

gnata dal calo (di circa 1/5) dell’elettorato.

Se il liberalismo inglese sosteneva no ta-

xation without representation (nessuna im-

posizione di tasse a coloro che non godo-

no del diritto di voto, per cui ci sia il suf-

fragio popolare), il fascismo invertì i ter-

mini, pur rimanendo sulla stessa linea

concettuale: no representation without ta-

xation (nessuna facoltà di voto a chi ha

redditi più bassi e che non contribuisce al

bilancio pubblico significativamente).

Questa procedura fascista riflette in

qualche modo il pensiero di John Stuart

Mill di rendere lecita singolarmente la

formulazione di più voti ai cittadini ca-

paci di valutare le scelte politiche: il fa-

scismo intervenne per difetto. Mantenne

il meccanismo di un voto pro capite, però

così facendo lo tolse a coloro strumenta-

lizzabili più vicini disgraziatamente a ca-

renze di acculturazione (il Senato rimane-

va di nomina regia, mentre venne ridotto

il numero dei deputati allora non stipen-

diati). Ancor prima, alla fine del ’25, uni-

camente per le elezioni amministrative,

era stato introdotto il suffragio femminile

che durò sino all’abolizione dei consigli

elettivi (10 mesi per le comunali, 32 per le

provinciali). Tutto ciò è modernamente

inaccettabile e contraddittorio, qualun-

que siano le sue derivazioni prossime o

lontane: la sovranità risiede nel popo-

lo indistintamente nei suoi cittadini

di ambo i sessi che abbiano compiuto

la maggiore età, lo Stato deve garan-

tire a tutti l’informazione e l’istruzio-

ne adatte a poter esprimere delle de-

cisioni mature nelle libere e plurali

consultazioni elettorali. Una democra-

zia esclusivamente corporativa è da re-

spingere poiché esclude il ruolo dei partiti

Page 17: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

15

politici come mediatori ideologici e stru-

menti del pluralismo, e la dialettica si

sposta a un piano sconosciuto. Uno

schema misto bicamerale (la normale

camera dei partiti e la camera delle cor-

porazioni, con specificazione delle rispet-

tive attribuzioni) sarebbe per la proposta

corporativista soluzione migliore e più

equilibrata. Oggigiorno, con compiti con-

sultivi e progettuali, presso gli enti locali

esistono particolari consulte e consigli va-

ri che non sono nient’altro che organi

corporativi. Dare a una camera delle cor-

porazioni la possibilità di approvare in

prima lettura i suoi disegni di legge, che

necessiterebbero di un successivo passag-

gio alla camera dei deputati (per il dibatti-

to, eventuali emendamenti, il giudizio

finale), non equivale a menomare o im-

pedire la democrazia. Un problema è sta-

bilire i parlamentari corporativi: chi,

quanti, come e perché. Per quest’ultimo

nodo che si lega all’arbitrio di veduta ap-

pare preferibile che siano i partiti stessi,

nella democrazia classica, a dar spazio al

proprio interno e nelle candidature a

rappresentanti delle varie categorie socia-

li e sindacali in modo più concreto e pro-

ficuo di quanto accada. Tuttavia i settori

più generali della società sembrano essere

questi: 1) casalinghe, 2) studenti, 3) disoc-

cupati, 4) pensionati, 5) lavoratori e datori

di lavoro, 6) operatori di culto. Il numero

di seggi nella loro camera potrebbe essere

per ciascuno nel complesso proporzionale

a quello degli iscritti (ogni cittadino ver-

rebbe inserito nella corporazione della

sua posizione attuale principale), il tutto

dovrebbe essere aggiornato in vista del

rinnovo. Tutte le organizzazioni che ab-

biano avuto riconoscimento pubblico in

relazione a una corporazione (o le loro

aggregazioni) potrebbero concorrere alla

sua rappresentanza. Ogni iscritto sarebbe

chiamato a votare. La cornice statale di

un simile esperimento non dovrebbe na-

turalmente essere a imitazione del model-

lo hegeliano-fascista: ci vorrebbe comun-

que uno Stato etico, ma di una eticità di-

versa, in funzione del cittadino; dunque

uno Stato laico, garante di libertà e di

giustizia sociale, al servizio della persona

e della collettività a protezione dei quali

esiste (e non viceversa). Occorre dire per

correttezza storiografica che il governo

fascista accanto ai suoi gravissimi limiti

storici e ideologici da condannare – una

gamma che va dall’uso della violenza e

dai dichiarati propositi antidemocratici

all’adesione all’antiebraismo e alle impre-

se militari – si sforzò in campo nazionale

e coloniale di migliorare le condizioni di

vita materiale e di combattere le spere-

quazioni prodotte dal capitalismo (con

varie opere pubbliche; istituzioni per

l’assistenza sociale e il sostegno all’econo-

mia: IRI, IMI, INPS, INAIL, etc.; prov-

vedimenti normativi: leggi sull’orario di

lavoro ridotto a 8 ore quotidiane e a 40

settimanali con la domenica e un altro

giorno di pausa, esenzioni tributarie alle

famiglie numerose, assicurazione contro

la disoccupazione, etc.) raggiungendo dei

risultati i quali meritano studio formale

più attento che iniziale riprovazione

d’insieme. Quale tipo di funzionamento e

di suddivisione possa avere nel suo seno

la Camera delle corporazioni è difficile sta-

Page 18: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

16

bilirlo per il fatto che questi parlamentari

non proverrebbero da partiti: i rischi so-

no quelli del radicalismo delle provenien-

ze settoriali, che impedirebbe un produt-

tivo svolgimento dei lavori, e di una

frammentazione dell’azione propositiva e

costruttiva, con risultanti confusione e

improduttività. Tutti i possibili inconve-

nienti sollecitano un ripensamento del

progetto di un’assemblea legislativa di

natura corporativa, e suggeriscono di

mantenere l’ambito di semplici e specifici

organi rappresentativi al livello degli enti

locali e il loro ruolo a quello consultivo-

propositivo.

5.2. L’“UTOPIA” DELLA RSI

egli affari di Stato il tentativo di

cogliere l’opportunità al volo a

prescindere da considerazioni di

carattere ideologico e morale è un tenta-

tivo che non sempre ha successo e non

sempre paga. Questo è stato il fondamen-

tale errore dell’Italia fascista alla fine de-

gli anni ’30: l’avvicinamento, pure sul pi-

ano della condotta, alla Germania nazista

è equivalso a un’alleanza con una ideolo-

gia del male. Con l’emanazione delle leggi

razziali (1938) il fascismo si è deteriorato,

e da movimento che aveva ottenuto la

simpatia e l’appoggio delle masse, per

compiacenza verso i nazisti, introdusse in

Italia norme inaccettabili e si legò a un

alleato che lo avrebbe portato alla rovina.

La tardiva partecipazione all’ultimo con-

flitto mondiale, dieci mesi dopo il suo ini-

zio, è la riprova di voler stare dalla parte

dei potenziali vincitori (i Tedeschi) nel

timore inoltre che questi dopo aver scon-

fitto Francia e Inghilterra non avessero

difficoltà a prendere di mira in un secon-

do momento anche l’Italia che era stata a

guardare. Una strategia politica guidata

quasi esclusivamente da opportunismo

può portare al disastro e alla sconfitta,

come è effettivamente successo. L’allean-

za tra Germania nazista e Italia fascista

era un’alleanza di politica estera: il nazi-

smo e il fascismo non avevano ideologie

molto simili, e anzi i fascisti – che non e-

rano stati antisemiti fino al ’38, né tanto

meno paganeggianti – non avevano visto

di buon occhio l’emergente nazismo (il

cancelliere austriaco filofascista Dollfuss

era stato ucciso da terroristi nazisti, e

Mussolini in un discorso pubblico aveva

ricordato che le popolazioni germaniche

vivevano in uno stato barbarico quando a

Roma antica c’erano Augusto e Virgilio).

L’avvicinamento tra i due movimenti

avvenne dopo la seconda guerra d’Etiopia

(1935-36), durante la quale l’Inghilterra

fu tra coloro che votarono alla Società del-

le nazioni le sanzioni contro l’Italia per

l’impresa di conquista, ma gli Inglesi die-

tro la cessione dei diritti sui pozzi petroli-

feri dell’AGIP in Iraq fecero passare le

N

Page 19: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

17

navi di rifornimento italiane dal Canale

di Suez: fu quest’atteggiamento di ambi-

guità a spingere nel contesto politico este-

ro l’Italia verso la Germania e ad allon-

tanarla dai compagni della vittoria cosid-

detta mutilata nella prima guerra mon-

diale. Un’ipotesi vorrebbe l’ingresso in

guerra degli Italiani sollecitata da Chur-

chill, perché paventava in caso di sconfit-

ta di trovarsi a disagio davanti alla sola

Germania vincitrice, mentre il governo

italiano, anch’esso in prospettiva futura

tra i vincitori, avrebbe potuto moderare

le pretese dei nazisti e l’urto della sconfit-

ta: qui però si entra in un campo che ri-

guarda il famoso carteggio Churchill-

Mussolini, e non è possibile fondare un

giudizio storico inoppugnabile. In parole

povere quando il buon senso negli anni

della guerra consigliava di non schierarsi

con la Germania (come fu fatto per quasi

un anno) tutto finì per congiurare a favo-

re di una partecipazione militare che con

l’allargamento delle ostilità a livello

mondiale non sembrò più foriera di vitto-

ria. Non fu però solo la Germania a sca-

tenare lo scoppio della guerra in Europa:

bisogna ricordare che con il patto Ribben-

trop-Molotov Tedeschi e Russi si erano di-

visi la Polonia, per la cui difesa Inghilter-

ra e Francia dichiararono guerra alla

Germania; perché non anche all’URSS

con cui anzi si allearono dopo che questa

fu attaccata nel ’41? Anche l’Unione so-

vietica ha delle responsabilità per la con-

divisione dei piani espansionistici tede-

schi: perché l’URSS non difese la Polo-

nia? L’Italia dal canto suo sbagliò ad al-

linearsi con chi sembrava più forte, a-

vrebbe dovuto invece difendersi allorché

fosse stata attaccata da chiunque. La

guerra, come tutte le guerre, fu tragica

sino alla caduta del fascismo, ma quello

che accadde dopo fu ancora più tragico e

luttuoso. Dopo il 25 luglio 1943 quello

che accadde è frutto dell’operato del nuo-

vo governo che firmò l’armistizio. Un go-

verno diverso per il dopo Mussolini, come

era negli accordi tra monarchia e dissi-

denti fascisti guidati dal filoinglese Gran-

di, formato da fascisti, tecnici e politici di

altre forze, si sarebbe fatto trovare molto

probabilmente più preparato. L’esistenza

storica della Repubblica sociale italiana è

ignorata da molti, e tra quelli che ne san-

no la considerazione è quasi esclusiva-

mente quella di uno Stato fantoccio al

servizio dei Tedeschi occupatori: questa è

una parte della verità, la verità sostanzia-

le, a volte mal inquadrata nella dinamica

degli eventi. Gli antefatti che vanno dal

25 luglio all’8 settembre 1943 hanno in sé

le radici che spiegano i due anni di storia

successiva fino al 25 aprile 1945, una sto-

ria che viene vista, come giusto dato ac-

quisito, di liberazione dall’invasore nazi-

sta e di parziale guerra civile (dopo

l’armistizio con gli Alleati un’invasione

tedesca in Italia ci sarebbe stata quasi

certamente comunque). Mussolini fu ar-

restato subito dopo essersi dimesso da ca-

po del governo, la monarchia progettava

da prima una congiura e non comprese

che l’arresto di un Mussolini dimissiona-

rio avrebbe peggiorato la situazione: il

duce era uscito dalla scena politica spon-

taneamente, bastava organizzare sola-

mente il previsto governo. Ma anche qui

Page 20: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

18

la monarchia si comportò inadeguata-

mente: provocò la caduta completa del

regime con cui aveva coabitato per un

ventennio, non rispettò l’accordo, e tutto

finì d’un colpo allo sbando. Il nuovo go-

verno Badoglio non seppe organizzare

tempestivamente nulla se non la fuga con

il re. Non esisteva alcun progetto di dife-

sa da una prevedibile invasione tedesca.

Se il re fosse rimasto a Roma con un altro

governo più premuroso e più cauto, che

avesse mantenuto soprattutto l’unità na-

zionale, è possibile che i Tedeschi non an-

dassero più a sud della Pianura Padana e

che nel giro di pochi mesi, con il sostegno

degli Alleati, fossero ricacciati al di là del-

le Alpi. Non ci sarebbe stata la Repubblica

sociale italiana – canto del cigno del fasci-

smo –, non ci sarebbe stata la legittima

guerra partigiana, molti di meno sarebbe-

ro stati gli Italiani catturati dai Tedeschi.

Di un’altra storia si sarebbe parlato oggi,

una storia che non avrebbe avuto né vin-

citori né vinti, né odi né rancori che sono

perdurati per decenni, per chi costretto a

scegliere si trovò a stare da una parte o

dall’altra. Dopo l’8 settembre i nazisti

invasori avevano in mente uno Stato fan-

toccio alla “Vichy”: era papabile per la

sua guida Roberto Farinacci, fascista fi-

lonazista, però dopo che i Tedeschi libera-

rono dalla prigionia Mussolini e lo ebbero

in pugno quest’ultimo non si poté tirare

indietro. Non si guarda il lato ideale di

quella repubblica, obiettivamente con

tutti i suoi aspetti negativi, per un’analisi

storiografica più articolata, perché è so-

praffatto da un insopprimibile peso. I lati

più negativi della RSI consistono nella

prosecuzione della guerra accanto all’alle-

ato precedente (con tutte le sue conse-

guenze) e nel mantenimento delle leggi

razziali. Se il distacco dall’alleanza ger-

manica fosse stato meno «ignobile» (come

lo definisce l’inno della Xma MAS) il senso

dell’onore e della coerenza, pur fuori luo-

go e mal giustificato, forse non avrebbe

spinto molti fascisti a ritornare a sbaglia-

re: in aggiunta alla caduta del regime il

governo Badoglio dopo un mese e mezzo

di continuazione nel conflitto, tenendo

all’oscuro i Tedeschi dei suoi propositi,

firmò l’armistizio. Esistevano modi più

dignitosi e meno traumatici per uscire da

una guerra in cui assolutamente l’Italia

non doveva entrare come promotrice ac-

canto ai nazisti. Il percorso ideologico

dell’ultimo fascismo monarchico fu carat-

terizzato dall’indelebile e gravissima re-

sponsabilità nell’adozione di provvedi-

menti discriminatori verso gli Ebrei se-

guendo il pessimo e tragico esempio nazi-

sta. Bisogna ricordare che l’antisemitismo

moderno ebbe una gestazione religiosa

che ne assecondò la diffusione, tant’è che

nel caso fascista si accennava a richiami

di norme antisemite emanate in alcuni

concili (quello Lateranense del 1215,

quello di Bezieres del 1246 e quello di Or-

leans del 1553), e che tra le varie persona-

lità di spicco a mostrare plauso per le leg-

gi razziali italiane ci furono, per fare

qualche significativo esempio, Romolo

Murri, Luigi Gedda, Amintore Fanfani,

Pietro Badoglio e Giovanni Guareschi.

Addirittura l’espressione «oremus pro

perfidis Iudaeis (preghiamo per i perfidi

Ebrei)» scomparirà dalla liturgia cattoli-

Page 21: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

19

ca anni dopo l’Olocausto con il Concilio

Vaticano II (1962-65). Durante il periodo

della Repubblica sociale fascisti e nazisti

non andarono perfettamente d’accordo: i

Tedeschi allargando i propri confini erano

arrivati fino all’Adriatico e un canto fa-

scista recitava: «guai a chi dal Brennero il

cippo sposterà»; inoltre i nazisti non gra-

divano lo spostamento a sinistra della po-

litica sociale di Salò (lo Stato stava per

chiamarsi REPUBBLICA SOCIALISTA

ITALIANA).

Il fascismo repubblicano si riallacciò alle

proprie origini del primo dopoguerra

mondiale (il sansepolcrismo). Il filosofo

Giovanni Gentile che aderì alla RSI (co-

me, tra altri, Nicola Bombacci, uno dei

fondatori del PCI) aveva definito i comu-

nisti «corporativisti impetuosi». Lenin

anni addietro era stato un estimatore del

Mussolini socialista massimalista. Il cor-

porativismo dell’ultimo fascismo propo-

neva l’armonizzazione integrale del mon-

do del lavoro attraverso la soppressione

della dicotomia “datori di lavoro / presta-

tori d’opera” e la creazione di un unitario

organismo sindacale (da ogni base corpo-

rativa era pure prevista l’elezione di ogni

ministro del governo nazionale). La socia-

lizzazione delle imprese fu un esperimento

che spodestava radicalmente il capitale

dal suo tradizionale predominio per con-

segnare la direzione imprenditoriale pri-

vata a meccanismi di democrazia interna

che concedevano larghissimi spazi ai la-

voratori.

Sotto questo profilo sociale d’analisi ri-

sultano interessanti a) il punto 15 del

Manifesto del Partito fascista repubblicano

(diritto alla casa) e b) gli articoli 113-124

del progetto costituzionale della Repubblica

(diritto al lavoro).

a)

Quello della casa non è soltanto un diritto di

proprietà, è un diritto alla proprietà. Il

Partito inscrive nel suo programma la crea-

zione di un Ente nazionale per la casa del

popolo, il quale, assorbendo l’Istituto esi-

stente e ampliandone al massimo l’azione,

provvede a fornire in proprietà la casa alle

famiglie di lavoratori di ogni categoria, me-

diante diretta costruzione di nuove abita-

zioni o graduale riscatto di quelle esistenti.

In proposito è da affermare il principio ge-

nerale che l’affitto – una volta rimborsato il

capitale pagato nel giusto frutto – costitui-

sce titolo di acquisto. Come primo compito

l’Ente risolverà i problemi derivanti dalle

distruzioni di guerra con la requisizione e la

distribuzione di locali inutilizzati e con co-

struzioni provvisorie.

b)

113 - Il lavoro è il soggetto e il fondamento

dell’economia produttiva.

114 - Il lavoro, sotto tutte le sue forme orga-

nizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche

e manuali è un dovere nazionale. Soltanto

il cittadino che adempie il dovere del lavoro

ha la pienezza della capacità giuridica, po-

litica e civile.

115 - Come l’adempimento del dovere di

svolgere l’attività lavorativa secondo le ca-

pacità e attitudini di ognuno è pari titolo di

onore e di dignità, così la Repubblica assi-

cura la piena uguaglianza giuridica di tutti

i lavoratori.

116 - La Repubblica garantisce a ogni cit-

tadino il diritto al lavoro, mediante l’orga-

Page 22: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

20

nizzazione e l’incremento della produzione e

mediante il controllo e la disciplina della

domanda e dell’offerta di lavoro. Il collo-

camento dei lavoratori è funzione pubblica,

svolta gratuitamente da idonei uffici dell’or-

ganizzazione professionale riconosciuta.

117 - Poiché la attuazione, rigorosa e inde-

rogabile, delle condizioni fondamentali co-

stituenti garanzia del lavoro è di preminente

interesse pubblico, la disciplina del rapporto

di lavoro è affidata alla legge o alle norme

da emanarsi dall’organizzazione professio-

nale riconosciuta. Tali norme si inseriscono

automaticamente nei contratti individuali, i

quali possono contenere norme diverse ma

soltanto più favorevoli al lavoratore.

118 - La retribuzione del prestatore di lavo-

ro deve corrispondere alle esigenze normali

di vita, alle possibilità della produzione e al

rendimento del lavoro. Oltre alla retribuzio-

ne normale saranno corrisposti al lavoratore

anche nello spirito di solidarietà tra i vari

elementi della produzione, assegni in rela-

zione agli oneri familiari.

119 - L’orario ordinario di lavoro non può

superare le 44 ore settimanali e le 8 ore

giornaliere, salvo esigenze di ordine pubbli-

co per periodi determinati e per settori pro-

duttivi da stabilirsi per legge. La legge o le

norme emanate dalle associazioni profes-

sionali riconosciute stabiliscono i casi e i

limiti di ammissibilità del lavoro straordi-

nario e notturno e la misura della maggio-

razione di retribuzione rispetto a quella do-

vuta per il lavoro ordinario.

120 - Il lavoratore ha diritto a un giorno di

riposo ogni settimana, di regola in coinci-

denza con la domenica e a un periodo an-

nuale di ferie retribuito.

121 - Ogni lavoratore ha diritto a sciogliere

il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Se il licenziamento avviene senza sua colpa,

il lavoratore ha diritto, oltre a un congruo

preavviso, a un’indennità proporzionata

agli anni di servizio.

122 - In caso di morte del lavoratore, quanto

a questo spetterebbe se fosse licenziato senza

sua colpa, spetta ai figli, al coniuge, ai pa-

renti conviventi a carico o agli eredi, nei

modi stabiliti dalla legge.

123 - La previdenza è un’alta manifesta-

zione del principio di collaborazione tra tut-

ti gli elementi della produzione, che debbono

concorrere agli oneri di essa. La Repubblica

coordina e integra tale azione di previdenza,

a mezzo dell’organizzazione professionale, e

con la costituzione di speciali Istituti per

l’incremento e la maggiore estensione delle

assicurazioni sociali. L’opera convergente

dello Stato e delle categorie interessate deve

garantire a tutti i lavoratori piena assisten-

za per la vecchiaia, l’invalidità, gli infortu-

ni sul lavoro, le malattie, la gravidanza e

puerperio, la disoccupazione involontaria,

il richiamo alle armi.

124 - Allo scopo di dare e accrescere la ca-

pacità tecnica e produttiva e il valore morale

dei lavoratori e di agevolare l’azione seletti-

va tra questi, la Repubblica, anche a mezzo

dell’associazione professionale riconosciuta,

promuove e sviluppa l’istruzione professio-

nale.

A distanza di tanti anni da quegli eventi

si parla del “sangue dei vinti”, il giornali-

sta Giampaolo Pansa ha affrontato in al-

cuni suoi libri un rovescio della medaglia

poco noto. Se il fascismo fu protagonista

e promotore di violenza e guerre, ferma-

Page 23: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

21

mente da condannare, in frangenti della

sua azione, in contesti vari in cui non ef-

ficace fu la mediazione per evitare il peg-

gio e queste vie trovavano facile accesso,

è anche vero che i fascisti di Salò, che

credevano in idee solamente in parte leci-

te, subirono violenze altrettanto ingiusti-

ficabili. Pansa ha trattato lunghe serie di

episodi riguardanti i cosiddetti “repubbli-

chini”. Mai un male può giustificarne un

altro: la violenza è incompatibile con la

civiltà umana e con la democrazia, en-

trambe vanno difese da qualsiasi attacco

e dal pericolo di disordini sociali, conflitti

bellici e discriminazioni di tutti i tipi. La

Repubblica sociale ebbe a carico un enor-

me numero di vittime a causa della guer-

ra e dell’occupazione militare straniera, il

suo patrimonio d’idee può essere analiz-

zato per vedere ciò che non porta il segno

del male. Il corporativismo fascista non

coinvolge ideologicamente l’antisemiti-

smo, e il primo considerato per sé può es-

sere studiato come dottrina socio-econo-

mica autonoma. Da una ideologia che

non sia integralmente votata al male,

come invece lo fu il nazionalsocialismo, la

parte concettualmente sana può distin-

guersi, tenendo ben chiaro e inamovibile

che la netta e universale condanna matu-

rata verso tutte le persecuzioni e lo ster-

minio degli Ebrei perseguiti dai nazisti e

dai loro alleati non può in nessun tempo e

in nessun luogo essere rimossa o corrotta

da forme di negazionismo o menomata da

qualsiasi analisi.

6.1. IL GIUSTIZIALISMO PERONISTA

l justicialismo è un sistema di pensie-

ro politico formatosi in Argentina

negli anni ’40 a opera del generale

Juan Domingo Perón (1895-1974):

quand’era ancora colonnello era stato in

Italia ed era rimasto colpito dagli espe-

rimenti e dalla dottrina sociale fascisti. Il

golpe militare del 1943 sostenuto da uffi-

ciali progressisti, di cui lui faceva parte,

destituì un governo argentino che era

controllato dall’oligarchia conservatrice

borghese che controllava il paese attra-

verso i grandi latifondi e le grandi impre-

se, e che lo aveva posto alla mercé del

capitale inglese e americano. Perón (che

qualcuno pensò fosse diventato comuni-

sta), avendo avuto nel nuovo regime la

responsabilità delle politiche del lavoro,

avviò una serie di significative misure, in

collaborazione con l’altro colonnello

Mercante (figura considerevole del primo

peronismo), a difesa della classe lavora-

trice: creazione dei tribunali del lavoro,

stipula di contratti collettivi di lavoro,

aumenti salariali, indennità di licenzia-

mento, statuti del bracciante agricolo e

del giornalista, regolamentazioni delle

associazioni professionali, unificazione

del sistema di previdenza sociale, pensio-

ni, creazione dell’ospedale per i ferrovia-

I

Page 24: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

22

ri, scuole tecniche per operai, proibizione

di agenzie di collocamento private. Le

condizioni della classe operaia e brac-

ciantile argentina cambiarono a tal pun-

to che a causa della sua popolarità il go-

verno allarmato lo fece arrestare nell’ot-

tobre del ’45 (allora era vicepresidente

della repubblica, ministro della difesa,

segretario al lavoro). La colossale mobili-

tazione di popolo promossa dai sindacati

peronisti costrinse la dittatura a rimette-

re in libertà Perón e a garantire libere

elezioni. Una marea di Argentini davanti

alla Casa rosada in Plaza de mayo a Bue-

nos Aires gridava a ripetizione: «Quere-

mos a Perón!!!». Il quale il 17 ottobre

(celebrato nel peronismo come el día de la

lealtad) parlò dal balcone del palazzo pre-

sidenziale rassicurando tutti. Le elezioni

si tennero nel febbraio del ’46 (il sistema

amministrativo argentino ricalca quello

statunitense): a suffragio maschile vinse

Perón, senza brogli e senza raccogliere

una maggioranza bulgara, per circa

1.500.000 voti contro 1.200.000. Aveva

avuto contro uno schieramento di partiti

che andava dalla sinistra alla destra, so-

stenuto dagli USA e dagli Inglesi che

perderanno il controllo economico e poli-

tico dell’Argentina. Durante il governo

peronista, accanto al quale fu Evita

(1919-1952), moglie del presidente e infa-

ticabile portabandiera degli umili e dei

diseredati (abanderada de los humildes), il

paese fu modernizzato sotto tutti i punti

di vista. Perón attuò un programma che

diede tanti risultati: nazionalizzazioni di

servizi pubblici (ferrovia, telefonia, ser-

vizi del gas, etc.) e gestione statale del

commercio estero in modo da liberarsi da

condizionamenti stranieri; nazionalizza-

zione della banca nazionale e divieto di

esportare i capitali per difendere lo svi-

luppo economico interno; case, infra-

strutture (reti idriche e fognarie, etc.);

politiche sanitarie (assistenza gratuita,

aumento dei posti letto, campagne medi-

che contro malattie); diminuzione della

mortalità infantile e innalzamento del

periodo medio di vita; comparsa della

televisione (Televisión Radio Belgrano,

oggi Canal 7); gratuità dell’istruzione,

abolizione delle tasse universitarie, crea-

zione dell’Università operaia, aumento

del tasso di scolarizzazione; aumenti sa-

lariali, partecipazione agli utili d’impresa

da parte dei lavoratori, periodi di vacan-

za per le loro famiglie a carico dello Sta-

to; riforma agraria; politiche contro la

disoccupazione; pensioni; etc.

Unitamente, la FUNDACIÓN EVA

PERÓN, da Evita stessa diretta, operò

meritevolmente su vasta scala per solle-

vare gli indigenti dal bisogno producendo

molto: costruzione di ospedali, asili,

scuole, colonie di vacanza, abitazioni,

strutture di accoglienza per bambini,

donne nubili, impiegate, anziani; promo-

zione della donna, scuole per infermiere;

borse di studio, sport per i giovani; aiuti

alle famiglie più povere; etc.

Alcuni ne parlano come una macchina

clientelare: perché aiutare il prossimo

deve diventare clientelismo? E poi quale

clientelismo nell’aiutare pure popolazioni

estere sudamericane colpite da terremoti

o persino il neonato Stato d’Israele? Qui,

riguardo a Israele, è opportuno soffer-

Page 25: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

23

marsi poiché l’Argentina ospitò nell’ulti-

mo dopoguerra criminali nazisti in fuga:

il peronismo non era razzista né tanto

meno antisemita; l’ospitalità garantita ai

criminali di guerra (cosa che costituisce

una macchia non ideologica) era un fe-

nomeno precedente l’elezione di Perón

alla presidenza. Costoro furono protetti

in un contesto che è più ampio, un conte-

sto in cui l’Occidente li riciclava in fun-

zione anticomunista (uno di loro in Usa

fu addirittura dirigente della CIA) e in

cui gli storici parlano anche di responsa-

bilità del Vaticano come centrale di smi-

stamento. In Argentina (che già godeva

di proprie grandi risorse) i Tedeschi por-

tarono capitali imprenditoriali e non: a-

verli protetti dalla giustizia internaziona-

le dato che i militari argentini erano

ammiratori di quelli tedeschi (non in

quanto nazisti) è stato un errore di Perón

e di tutto l’Occidente. I nazisti non con-

dizionarono il peronismo: sennò perché

nel 1951 Golda Meir, allora ministro del

lavoro israeliano, si sarebbe recata in Sud

America per ringraziare personalmente

Eva Perón dei summenzionati aiuti della

fondazione? Questa storia dei nazisti, di

cui si seppe meglio quando il presidente

giustizialista Menem fece aprire gli ar-

chivi nel ’92 è a metà strada tra oppor-

tunismo e ammirazione formale. Non ri-

torna a onore di Perón, ma non gli è inte-

ramente addebitabile poiché il regime del

1943-46 non era guidato da lui (lui era

emerso nettamente nel ’44). La situazio-

ne che successivamente si trovò (e contro

cui non intervenne) era condizionata pu-

re dal sostegno che ricercava presso la

Chiesa, coinvolta a detta degli storici nel-

la faccenda. Il giustizialismo persegue la

tercera posición tra il socialismo e il capi-

talismo, si propone di conciliare tutte le

classi sociali senza antagonismi e senza

presentarsi come ideologia antagonista di

altre: sia la dottrina sociale della Chiesa

che il fascismo hanno espresso questo

concetto di terza via. Nel justicialismo

l’economia è strumento del benessere col-

lettivo e perciò deve sottostare al con-

trollo e alla regolamentazione pubblici

pur rimanendo in una condizione di libe-

ro mercato. Un’assemblea costituente,

presieduta da Domingo Mercante, nel

1949 elaborò una nuova costituzione che

incorporava i principi del giustizialismo.

In particolare l’articolo 37 costituziona-

lizzava i diritti dei lavoratori (diritto al

lavoro, a una giusta retribuzione, alla

formazione, a condizioni di lavoro degne,

alla preservazione della salute, al benes-

sere, alla sicurezza sociale, alla protezio-

ne della propria famiglia, al migliora-

mento economico, alla difesa degli inte-

ressi professionali), i diritti della famiglia

e i diritti degli anziani (elenco provenuto

dal Decálogo de la ancianidad proclamato

precedentemente da Evita: diritto all’as-

sistenza, alla casa, all’alimentazione, al

vestito, alla cura della salute fisica e mo-

rale, allo svago, al lavoro, alla tranquilli-

tà, al rispetto). Questo che segue è il ma-

nifesto del Partido justicialista con i suoi

venti punti così come furono enunziati

nel 1950 da Perón.

1 - La vera democrazia è quella in cui il

governo compie la volontà del popolo e di-

fende un solo interesse: quello del popolo.

Page 26: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

24

2 - Il peronismo è essenzialmente popolare.

Ogni fazione politica è antipopolare e per-

tanto non è peronista.

3 - Il peronista lavora per il movimento.

Colui che in nome del partito serve una fa-

zione o un caudillo è peronista soltanto di

nome.

4 - Per il peronismo c’è soltanto una classe

di uomini: quella degli uomini che lavora-

no.

5 - Nella nuova Argentina il lavoro è un

diritto che dà dignità all’uomo, ed è un do-

vere perché è giusto che produca almeno

quanto consuma.

6 - Per un peronista non vi può essere

niente di meglio di un altro peronista.

7 - Nessun peronista deve sentirsi di più di

quello che è, né meno di quello che può esse-

re.

Quando un peronista comincia a sentirsi

superiore a quello che è, sta già trasfor-

mandosi in un oligarca.

8 - Nell’azione politica, la scala dei valori

di ciascun peronista è la seguente: prima la

patria, poi il movimento e infine gli uomi-

ni.

9 - Per noi la politica non è un fine ma sol-

tanto un mezzo per il bene della patria che è

costituito dalla prosperità dei suoi figli e

dalla sua grandezza nazionale.

10 - Le due braccia del peronismo sono la

giustizia sociale e l’assistenza sociale. Con

esse diamo al popolo un abbraccio di giu-

stizia e di amore.

11 - Il peronismo aspira all’unità naziona-

le e non alla lotta. Desidera eroi ma non

martiri.

12 - Nella nuova Argentina gli unici privi-

legiati sono i bambini.

13 - Un governo senza dottrina è come un

corpo senz’anima. Perciò il peronismo ha

una sua propria dottrina politica, economi-

ca e sociale: il giustizialismo.

14 - Il giustizialismo è una nuova conce-

zione della vita, semplice, pratica, popola-

re, profondamente cristiana e profonda-

mente umanista.

15 - Il giustizialismo, come dottrina politi-

ca, realizza l’equilibrio dell’individuo con

quello della comunità.

16 - Il giustizialismo, come dottrina eco-

nomica realizza l’economia sociale, metten-

do il capitale al servizio dell’economia e

quest’ultima al servizio del benessere socia-

le.

17 - Il giustizialismo, come dottrina socia-

le, realizza la giustizia sociale che dà a cia-

scuno il suo diritto in funzione sociale.

18 - Vogliamo un’Argentina socialmente

giusta, economicamente libera e politica-

mente sovrana.

19 - Costruiamo un governo centralizzato,

uno Stato organizzato e un popolo libero.

20 - In questo paese ciò che abbiamo di me-

glio è il popolo.

L’evitismo fu nel justicialismo una com-

ponente integrante determinante che

spinse ancor di più verso il raggiungi-

mento dei frutti raccolti. La figura di

Mercante cadde nell’oblio dopo il suo fal-

lito tentativo di succedere a Perón nel

novembre del ’51. Il generale sarà rielet-

to a suffragio universale con circa

4.600.000 voti contro 2.300.000. Nel frat-

tempo le donne, grazie all’instancabile

impegno di Evita, avevano ottenuto il

riconoscimento dei propri diritti: con una

legge del ’47 l’elettorato attivo e passivo

Page 27: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

25

(ci furono infatti peroniste: 23 deputate,

6 senatrici, 109 parlamentari nelle pro-

vince), con l’art. 37 della nuova costitu-

zione (nella parte riguardante la fami-

glia) l’uguaglianza giuridica tra i coniugi,

l’assistenza alle madri e ai bambini.

L’uguaglianza di diritti politici tra uo-

mini e donne aveva comportato la nasci-

ta del Partido peronista femenino, cui

spettava un terzo delle candidature giu-

stizialiste. La prematura scomparsa di

Eva Perón segnò un durissimo colpo per

il popolo argentino che da allora non l’ha

mai dimenticata. Il secondo mandato

presidenziale di Perón terminò anticipa-

tamente per via del golpe del ’55: egli se

ne andò spontaneamente in esilio per al-

lontanare il pericolo di una guerra civile.

In quel periodo 1952-55 erano venuti a

galla i contrasti tra Chiesa e peronismo:

la prima cercava un proprio braccio di

manovra politica in un partito democri-

stiano a danno del Partito giustizialista,

il secondo non tollerava l’ingerenza ec-

clesiastica negli affari pubblici. L’episco-

pato argentino era contrario all’annulla-

mento della discriminazione tra i figli il-

legittimi e quelli legittimi. Il Parlamento

approvò una legge di equiparazione,

l’altra sul divorziò, la legalizzazione delle

case di tolleranza e puntualizzò la sepa-

razione tra Stato e Chiesa (l’insegnamen-

to religioso nelle scuole fu abolito). Le

alte gerarchie ecclesiali argentine erano

alleate dell’oligarchia: nonostante tutto

ciò la Costituzione del 1949 trattava con

moltissimo riguardo il Cattolicesimo (lo

sosteneva, e prevedeva che il Presidente

dovesse essere di religione cattolica: era

stato costituzionalizzato il diritto di pa-

tronato nella presentazione dei vescovi, be-

neficio di cui lo Stato godeva da tempo

addietro), e le encicliche sociali erano

considerate dal giustizialismo spunto i-

deologico e movente d’azione pratica (at-

tualmente il Partido justicialista è affilia-

to all’Internazionale democristiana). In

politica estera l’Argentina peronista mirò

infruttuosamente alla creazione di un

terzo schieramento mondiale che s’incu-

neasse tra quelli di USA e URSS, un

blocco dei Paesi latini d’Europa e

d’America di cui divenir leader (nel ’46

aveva ristabilito relazione con l’Unione

sovietica e durante la guerra di Corea a-

veva ignorato la richiesta d’invio di

truppe rivoltale dagli Stati Uniti). Perón

rientrò in Argentina nel 1973, quando i

militari si arresero alla volontà popolare.

Le dittature post-peroniste avevano di-

chiarato fuorilegge il Partito giustiziali-

sta, revocata la Costituzione del ’49 e

riaperto il carcere di Ushuaia (chiuso nel

1947 a causa delle sue pessime condizio-

ni) per detenervi nemici politici, inoltre

(cose non fatte nel 1946-55) messo al

bando il Partito comunista e reintrodot-

ta la pena capitale. Gli Argentini vecchi e

giovani non avevano abbandonato il ri-

cordo di quella società più giusta costrui-

ta con la passione di Evita e con la guida

di Perón (per un secolo fino al 1912 era

esistito il voto cantado ossia l’elettore al

seggio rendeva pubblicamente noto per

chi votava, il governo peronista aveva

mantenuto il voto segreto; il dato nazio-

nale sulla ripartizione dei guadagni

d’impresa aveva assegnato nel 1948 il

Page 28: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

26

53% ai lavoratori, laddove questo si era

attestato al 44,4% nel ’43). Negli anni

seguiti al movimento del ’68 la terza pre-

sidenza di Perón (’73-’74, eletto con il

62% dei voti) fu condizionata dal suo

pessimo segretario personale José López

Rega, divenuto ministro, un anticomuni-

sta che alimentò tensioni sociali e perse-

cuzioni politiche. Un anno dopo la morte

del generale fu costretto a scappare

mentr’era presidentessa María Estela

Martínez (Isabelita, terza moglie di Pe-

rón, succedutagli nella carica in quanto

vicepresidentessa). Del ’75 era un proget-

to di legge giustizialista mirante a dare ai

lavoratori una forma partecipativa nella

gestione delle imprese. Nel ’76 un nuovo

golpe depose il governo democratico,

l’ultima dittatura cadrà in seguito alla

guerra delle Malvine. Il justicialismo non

disprezza il comunismo. Nelle lezioni di

Evita alla Scuola superiore peronista si

sottolinea come Marx mettesse a fuoco

problemi reali, ma anche come la via del-

la risoluzione traumatica non fosse la più

adatta e la più congeniale all’instaura-

zione di un regime di giustizia sociale.

Dopo Isabelita i gruppi estremi della si-

nistra (peronisti e marxisti) furono per-

seguitati dalla dittatura duramente fino

a essere annientati (il triste fenomeno dei

desaparecidos). I Montoneros erano segua-

ci del peronismo che ambivano al sociali-

smo reale e che per cercare di esercitare

pressioni su Perón si spinsero fino ad atti

di violenza. L’obiettività richiede che si

accenni alla storia dei presunti depositi

bancari svizzeri di Evita e Perón per dire

che questa si è rivelata una fantastoria

dato che nessuno li ha mai trovati:

un’ipotesi, a questo punto, più “storica”

suggerisce di vedere nella visita in Sviz-

zera di Eva Perón, durante il suo viaggio

in Europa nel ’47, lo scopo di effettuare

dei controlli medici personali.

6.2. LA FONDAZIONE “EVA PERÓN”

ell’Argentina del passato la ca-

rica di presidentessa onoraria

della Sociedad de beneficencia

veniva riservata alla moglie del presiden-

te della repubblica in carica. Quando Pe-

rón fu eletto tuttavia le dame dell’oligar-

chia borghese rifiutarono di concedere

questo ruolo a Evita con l’ipocrita giusti-

ficazione che fosse troppo giovane e ine-

sperta. Quando le rifiutarono pure di

nominare al suo posto la madre, poiché le

motivazioni reali di tutto ciò stavano nel

disprezzo, la Società fu chiusa con atto

governativo il 6 settembre 1946. Potreb-

be sembrare che questa misura di scio-

glimento sia unicamente un atto di ven-

detta, sennonché la pessima gestione di

questa organizzazione, che controllava

molte strutture ospedaliere, era già emer-

sa nel 1939: tutti i dipendenti venivano

N

Page 29: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

27

sfruttati con pesanti turni lavorativi e

sottopagati, nelle case-scuola (più simili

a delle prigioni) anche i bambini erano

costretti a lavorare e persino a mendica-

re, solamente il 5% dei fondi raccolti an-

dava a sostegno dell’assistenza (tutto il

resto concerneva spese di gestione). La

sua opportuna soppressione diede spazio

al riordino, non fu il caso di Evita nella

sostanza a determinarne la fine. La Fun-

dación María Eva Duarte de Perón fu

istituita a metà del 1948, sempre con at-

to governativo (a fine 1950 sarà rideno-

minata Fundación Eva Perón). Al ter-

mine del 1947 operava però già la Cruza-

da de ayuda social María Eva Duarte

de Perón con azioni poi proprie della

Fundación.

La precedente Società di beneficenza non

andava al di là del finanziamento di isti-

tuti preesistenti. Evita invece si preoc-

cupò di intervenire con la creazione di

opere anche in tutti quei campi che il set-

tore pubblico non riusciva con facilità a

tutelare. Dedicava periodicamente molte

e intense ore a incontrare personalmente

nella sede del Ministero del lavoro i biso-

gnosi che si recavano a porle richieste

d’aiuto.

In un suo discorso chiarì che la Funda-

ción «fue creada para cubrir lagunas en

la organización nacional, porque en todo

el país donde se realiza una obra, siempre

hay lagunas que cubrir y para ello se de-

be estar pronto para realizar una acción

rápida, directa y eficaz». Il denaro della

Fundación, che non passava dalle sue

mani, proveniva da spontanee contribu-

zioni di privati o enti pubblici, o dal get-

tito di misure ad hoc. Tra il ’50 e il ’53

furono scelte queste fonti:

1) aumento del 3% del biglietto d’ingres-

so all’ippodromo di Buenos Aires e tribu-

to addizionale del 3% sulle scommesse;

2) trattenute degli stipendi del primo

maggio e del 12 ottobre, e del 2% delle

tredicesime;

3) l’intero gettito delle multe sui giochi

d’azzardo;

4) deduzioni da miglioramenti salariali ai

pubblici dipendenti; nelle vertenze di la-

voro tra soggetti privati risolte da Evita

c’era l’usanza di offrire una percentuale

di qualche mensilità;

5) il 50% dell’avanzo utile prodotto dalle

assicurazioni per le manifestazioni spor-

tive.

Si rivela dunque falsa l’accusa che vor-

rebbe le opere sostenute con modi estor-

tivi. Le imprese private contribuivano

spontaneamente senza sollecitazioni o

per ringraziamento o per l’ottenimento

del credito bancario presso l’Istituto ar-

gentino di promozione industriale che Evi-

ta poteva rendere più facile. Eva Perón

non era Eva Kant: una commissione

d’inchiesta della prima dittatura post-

peronista accertò che i presunti fatti di

estorsione e corruzione erano totalmente

irreali e che tutto si era svolto nel rispet-

to della legalità. Il fatto che lo Stato

mettesse a disposizione della Fundación

risorse economiche, materiali e umane

suscitò a suo tempo la reazione dell’op-

posizione parlamentare antiperonista, i

cui esponenti nulla avevano obiettato

negli anni antecedenti riguardo ai cospi-

cui finanziamenti pubblici elargiti alla

Page 30: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

28

Sociedad de beneficencia. Beneficiarono

della straordinaria attività assistenziale

diretta da Evita pure decine di paesi

stranieri, cui furono forniti vestiti, ali-

menti e farmaci. In seguito al colpo di

Stato del 1955 che depose Perón il posi-

tivo complesso di ciò che era stato pro-

dotto dalla Fundación o fu destinato a

improprio e pessimo utilizzo o peggio an-

cora radicalmente cancellato.

Questo un elenco non esaustivo di quan-

to attuato:

ogni anno venivano distribuite enormi

quantità di macchine per cucire, capi di

vestiario, alimenti, libri, biciclette e gio-

cattoli;

181 punti per la vendita di prodotti di

prima necessità a prezzi ridotti furono

creati per sostenere le famiglie più biso-

gnose;

più di 13.000 donne trovarono un’oc-

cupazione;

quasi 2.400 furono gli alloggiati nelle

case per anziani abbandonati (ne furono

aperte 6);

più di 16.000 bambini furono ospitati

nelle case-scuola (20 comprese quelle in

costruzione, dislocate in 16 province con

una capacità di più di 25.000 posti);

un’opera di monitoraggio medico-

sanitario era rivolta a tutti i giovani che

partecipavano agli annuali concorsi na-

zionali sportivi (nel 1949 furono

120.000);

la Casa dell’impiegata a Buenos Aires,

un edificio di 11 piani di cui 9 dormitori,

forniva alloggio a tutte le lavoratrici bo-

naerensi senza dimora, con basso reddito

e senza riferimenti familiari in città; ave-

va una capienza per 500 donne e offriva

un servizio di mensa quotidiana per

1.500 coperti accessibile a tutti e a costi

ridotti presso cui Evita aveva l’abitudine

di cenare con i suoi collaboratori;

poco più di 16.000 persone furono o-

spitate nelle 3 case di alloggio temporaneo

in attesa di ricevere un’abitazione; la

Fundación fece costruire case assegnate a

decine di migliaia di famiglie (a poco più

di 20.000 tra queste che emigrate si tro-

vavano a Buenos Aires senza redditi era

stato consentito nel 1948-50 di ritornare

nella provincia d’origine ottenendo

un’abitazione e un’occupazione);

21 ospedali, distribuiti in 11 province,

di cui 4 a Buenos Aires (avevano dispo-

nibilità di quasi 23.000 posti letto); altre

3 strutture specifiche erano riservate ai

bimbi e una agli ustionati; il completa-

mento di due ospedali, tra cui quello dei

bambini a Buenos Aires, fu sospeso dopo

la caduta di Perón;

furono edificati un migliaio di scuole e

diverse colonie turistiche nel 1948-50;

un milione e mezzo di bottiglie di sidro

e di pan dolce venivano donati annual-

mente per Natale ai meno abbienti.

L’architettura e l’arredo delle opere della

Fundación erano di altissimo pregio e ri-

flettevano il più autentico spirito di fra-

tellanza umana. I servizi offerti erano

gratuiti e di ottimo livello. Era costante

un’efficace assistenza socio-sanitaria ri-

volta ai soggetti svantaggiati tutelati. I

bambini più disagiati avevano la possibi-

lità di raggiungere gli studi universitari

passando per gradi attraverso le acco-

glienti e confortevoli case-scuola, città di

Page 31: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

29

studio e città universitarie. La Ciudad in-

fantil Amanda Allen, intitolata a

un’infermiera argentina della Fundación

scomparsa in una sciagura aerea durante

l’intervento di soccorso alle vittime di un

terremoto in Ecuador, accoglieva a Bue-

nos Aires soggetti emarginati tra i 2 e i 7

anni. Il progetto di recupero seguiva il

pensiero della pedagogista italiana Maria

Montessori. La Ciudad, che accudiva al-

cune centinaia di bimbi, fu chiusa dai mi-

litari golpisti nel 1955, e la sua connessa

città per piccoli, divenuta quindi parco

per benestanti, fu demolita nel ’64 per

lasciare spazio a un parcheggio. Nelle ca-

se-scuola un gruppo di assistenti sociali

curava i rapporti con le famiglie di pro-

venienza dei bambini (che avevano

un’età compresa tra 4 e 10 anni). Era de-

siderio di Evita che costoro non perdes-

sero i loro rapporti con l’esterno a secon-

da della propria forma di soggiorno

nell’istituto (in alcuni casi venivano affi-

dati a dei tutori). L’abbigliamento, che

era di qualità, veniva rinnovato ogni sei

mesi e poi distrutto. L’istruzione era cu-

rata attentamente anche con aggiuntivo

insegnamento di sostegno, e per le bam-

bine c’erano inoltre corsi integrativi che

potevano riguardare l’arte, la musica, il

ballo, la cucina e la cucitura. Anche alle

ragazze era prospettata la prosecuzione

degli studi all’università nella Ciudad u-

niversitaria di Cordova da inaugurarsi

secondo le previsioni nel 1956, ma il

completamento suo e di quella di Mendo-

za dopo Perón fu bloccato dalla dittatu-

ra: la prima avrebbe potuto ospitare 400

studenti argentini e 150 stranieri. Sulla

stessa falsariga non si giunse neanche a

ultimare la ciudad estudiantil femminile,

infatti le ragazze seguivano provvisoria-

mente l’istruzione secondaria permanen-

do nella casa-scuola. Furono costruite 3

ciudades estudiantiles a Buenos Aires,

Cordova e Mendoza per gli studenti pro-

venienti da fuori. Alla Fundación si do-

veva altresì la mensa universitaria di La

Plata in provincia di Buenos Aires. Il

nuovo governo golpista del ’55 sciolse la

Fundación e chiuse le sue istituzioni. Il

suo capitale fu in parte rubato e le sue

sostanze materiali illecitamente sottrat-

te. I servizi e l’assistenza precedenti fu-

rono giudicati fuori luogo, eccessivi e

persino lussuosi. I mobili di tutte le

strutture, e i regali ricevuti da Evita nel

suo viaggio in Europa, che in queste si

trovavano, posti come abbellimento, fu-

rono rimossi. Si distrussero flaconi per la

raccolta del sangue, lenzuola e coperte

perché recavano l’etichetta Fundación

Eva Perón, i polmoni d’acciaio finirono

sotto sequestro per lo stesso motivo.

Qualche altro esempio del destino che i

militari e gli antiperonisti riservarono ai

frutti dell’amorevole impegno di Evita

per la difesa delle categorie sociali disa-

giate: un ospedale per i bambini fu tra-

sformato in un hotel-casinò e la ciudad

estudiantil di Buenos Aires fu addirittura

adibita a luogo di reclusione di compo-

nenti del governo peronista. Dopo parec-

chi studenti ebbero l’opportunità di pro-

seguire a studiare fuori dell’Argentina

con borse di studio estere grazie alla qua-

lità del percorso formativo svolto che era

stato all’avanguardia e supportato di

Page 32: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

30

tutto ciò che occorresse (vestiario, libri,

attrezzature scolastiche, e così via).

Quanto accaduto in una casa-scuola con-

vertita in centro di collocamento lavora-

tivo è emblematico. Le bambine, cui era

stata tolta la possibilità di apprendere

per andare a lavorare nelle abitazioni dei

borghesi, protestarono dal cortile gri-

dando: «Queremos que vuelva Perón!!!».

Evita era scomparsa nel 1952, ma sino

alla fine la sua fondazione aveva lavora-

to, pur avendo perso lo slancio dato dalla

propria animatrice, per rimuovere il di-

sagio sociale.

7. IL GOLLISMO

l generale Charles de Gaulle (1890-

1970) ha lasciato alla storia, non solo

della Francia, un pesante retaggio di

idee e di prassi assorto a ideologia che da

lui prende nome. Cominciò a maturare il

proprio pensiero negli anni ’30 nel conte-

sto di ambienti di sinistra democristiana

e di tendenza filosofica personalista. Du-

rante la seconda guerra mondiale fu sot-

tosegretario al ministero della guerra

(giugno ’40) e dal 18 giugno 1940 orga-

nizzò la resistenza contro l’occupazione e

il controllo nazisti del suo paese. Tra il 3

luglio 1944 e il 20 gennaio 1946 fu espres-

samente capo di governo. Mantenne un

orientamento interno di cosiddetta destra

sociale: operò il miglioramento del welfa-

re, attuò delle nazionalizzazioni e inoltre

introdusse il suffragio femminile. Il golli-

smo non accetta in pieno la dottrina eco-

nomica liberista. Propone una terza via

che superi la contrapposizione tra sociali-

smo e capitalismo, non si colloca né a de-

stra né a sinistra e rifiuta l’ottica della

divisione sociale poiché le parti non ma-

nifestano l’impegno a curare il bene

dell’intera nazione. Prevede un approccio

ai fatti a prescindere da un punto di vista

obiettivo, propone di risolvere pragmati-

camente i problemi e privilegia la volon-

tà, determinante per agire a scapito

dell’attesa di fronte allo svolgersi degli

eventi o peggio ancora di una sottomis-

sione al cospetto di una forza ritenuta

superiore e a cui non sembra possibile

opporsi. De Gaulle dopo aver auspicato

negli ultimi anni di guerra un utopico e

circoscritto connubio tra Londra e Parigi

nei primi del dopoguerra avanzò il pro-

getto (bocciato dagli Inglesi) di una con-

federazione di Stati europei. Questa sa-

rebbe stata favorita dall’avvicinamento

tra la Francia, il suo fulcro, e la Germa-

nia libera: avvicinamento ricostruttivo

non solo in relazione all’allora recente

passato ma anche in rapporto alla divi-

sione nell’843 del Sacro Romano Impero

in tre Stati dalla quale sorsero le due mo-

derne nazioni. La confederazione sarebbe

stata da sostituirsi al poco incisivo Consi-

glio d’Europa, e da istituirsi attraverso

delle adesioni nazionali espresse da refe-

I

Page 33: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

31

rendum e poi con l’elaborazione di una

costituzione varata dal consesso delle

rappresentanze dei vari Paesi aderenti.

Gli Stati confederati uniti da un atto in-

ter-e-sovra-nazionale avrebbero perso

della propria sovranità la sola parte dele-

gata all’unione confederale europea, cui

sarebbe spettata la gestione delle materie

più importanti (commercio estero, difesa,

etc.). De Gaulle, che tra l’altro è stato

fautore della moneta unica, prospettava

come modello di amministrazione un con-

siglio dei capi di governo accanto a un

organo giudiziario e a due assemblee (un

classico parlamento e un altro di espres-

sione regionale e corporativa). Tuttavia

una Comunità europea di difesa (CED,

creata nel ’52), fallì ben presto a causa

del problema della ricostituzione di un

esercito della Repubblica federale tedesca.

La cosa era gradita agli USA in funzione

anticomunista nel conflitto di allora tra

le due Coree, però temuta dai gollisti che

in patria s’impegnarono a non far man-

tenere gli accordi di fondazione nel ’54.

De Gaulle lamentava pure l’ingerenza

della NATO e la mancanza di un valido

sostrato unitario europeo, necessario a

suo avviso nella creazione e nel mante-

nimento di una comune e autonoma forza

militare. Nel ’53 il generale si ritirò una

prima volta dalla politica spinto dal rifiu-

to dell’impianto costituzionale della IV

Repubblica, posizione che aveva fatto

passare il proprio partito dagli iniziali

successi a forti perdite di consensi. Nel

’57 nacque la CEE. Rientrò sulla scena, a

conclusione dell’incruenta evoluzione di

un golpe filogollista iniziato il 13 maggio

1958, il primo giugno dello stesso anno

quando, appoggiato dai sostenitori, as-

sunse la guida del governo francese in se-

guito alla crisi della IV Repubblica, im-

perniata sul parlamentarismo, che aveva

avuto nel ’46 una genesi travagliata e poi

espresso esecutivi deboli, per via del fra-

zionamento partitico, e prodotto conse-

guenti insuccessi (motivo del colpo di

mano) nel tentativo di mantenere i do-

mini coloniali: gli ultimi in Algeria (che

culmineranno nonostante tutto nel ’62

con la concessione dell’indipendenza).

Perciò il governo gollista propose un di-

verso disegno costituzionale approvato

dall’85,1% dei votanti al referendum del

28 settembre. Il gollismo predilige uno

schema politico bipolare e un’architettu-

ra dello Stato in cui l’organo di governo,

legato alla figura del presidente della re-

pubblica (eletto in maniera diretta dai

cittadini), abbia larghi poteri allo scopo

di privilegiare un legame verticale “ba-

se/leader”). In base a questa nuova costi-

tuzione il capo dello Stato, che non è

chiamato politicamente a rispondere del

suo operato davanti al parlamento: no-

mina (e revoca) come “luogotenente”,

allorché vi abbia il sostegno della mag-

gioranza, il capo dell’esecutivo (le cui

riunioni presiede comunque e che entra in

carica subito senza voto di fiducia); ha la

possibilità di indire elezioni di rinnovo

dell’Assemblea nazionale (la quale ha il

potere di sfiduciare il governo) scioglien-

dola anticipatamente; indica il presidente

della corte costituzionale e gode, mentre è

in carica, della temporanea sospensione

di eventuali procedimenti giudiziari a suo

Page 34: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

32

carico. L’esecutivo può pure proporre

delle leggi ai deputati per mezzo di una

procedura particolare in funzione della

quale queste si intendono approvate se

non sono respinte da sfiducia al governo.

Quindi alla fine del ’58 de Gaulle fu eletto

col 78,5 % dei voti primo presidente della

V Repubblica, ma indirettamente da

80.000 grandi elettori (parlamentari e

consiglieri di vari livelli amministrativi):

verrà rieletto a suffragio universale diret-

to, al ballottaggio, nel ’65 dopo la contra-

sta innovazione da lui voluta nel ’62.

Nell’uso delle notevolissime prerogative

presidenziali, previste dalla costituzione,

oltre a usare in questo citato caso la fa-

coltà di presentare referendum legislativi

(art. 11) in modo inappropriato e far in-

trodurre l’avversata norma non ordinaria

(il cui varo avrebbe necessitato dell’ap-

provazione parlamentare stando a quan-

to dettato dall’art. 89), in precedenza nel

’61 aveva esercitato per alcuni mesi leciti

poteri dittatoriali, in virtù dell’art. 16, al

fine di sventare l’attuazione di un colpo

di Stato. Questo autoritarismo democra-

tico fu agevolato da un lato dall’impossi-

bilità costituzionale dei cittadini a pro-

muovere referendum (attenuata nel 2008)

e dall’altro dal sistema elettivo dei depu-

tati basato su un maggioritario a doppio

turno con soglia di sbarramento al primo

(in luogo del proporzionale della IV Re-

pubblica) che contribuì a ridurre la rap-

presentanza parlamentare delle sinistre e

a far scomparire molti partiti dallo scena-

rio. Negli affari esteri de Gaulle manife-

stò in principio la volontà di seguire il

cammino comunitario europeo a dispetto

della contrarietà di una parte dei gollisti

che paventavano la cancellazione

dell’identità e della sovranità francesi. Fu

dell’inizio degli anni ’60 una proposta di

ulteriore associazione politica, denomina-

ta “piano Fouchet”, non andata in porto.

Motivi ostacolanti furono i rifiuti tran-

salpini della NATO, dell’ingresso inglese

nella CEE e del verticismo antinazionale

degli organi della Comunità: in particola-

re Londra, che rifiutava l’idea confedera-

tiva di de Gaulle, era giudicata rappre-

sentante delle convenienze proprie e ame-

ricane. Tale piano contemplava in più

alla guida un collegio presidenziale (com-

posto da capi di Stato e primi ministri)

supportato da tre commissioni ministe-

riali (formate dagli incaricati di difesa,

esteri e istruzione per una gestione unifi-

cata delle materie), da un consiglio di bu-

rocrati dei vari ministeri degli esteri e da

un parlamento dotato di poteri consulti-

vi. Malgrado il fallimento un accordo tra

Parigi e Bonn nel ’63 ne mise in atto

l’aspirazione verso alcuni aspetti. De

Gaulle nel ’65 si oppose ad alcuni ade-

guamenti degli organi della CEE già pre-

visti che, secondo lui, avrebbero ridimen-

sionato il ruolo della Francia e la tutela

di qualsiasi parte a beneficio di un’artifi-

ciosa sfera di potere sovranazionale e di

un meccanismo integrativo che avrebbe

appiattito le specificità popolari di natu-

ra culturale e spirituale. Il confronto si

ricompose all’inizio dell’anno seguente

grazie all’adozione di misure che mitiga-

vano la precedente programmazione co-

munitaria: l’auspicio gollista era una con-

federazione di Stati, in linea formale col

Page 35: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

33

pensiero esposto nel tempo di un’Europa

unita a due livelli (la singola componente

statale-nazionale legata agli altri da

un’egida). L’ambizione di un’Europa che

diventasse coesa (dall’Atlantico agli Ura-

li, con la Germania riunificata) e ago del-

la bilancia nella politica mondiale (auspi-

cato terzo polo a vocazione anticomuni-

sta, autonomo rispetto agli Stati Uniti)

portò le forze militari francesi, a gradi tra

il ’59 e il ’66, fuori dell’inquadramento

nelle strutture della NATO (ci sono ritor-

nate nel 2009) e l’Eliseo a dotarsi di sue

armi nucleari. Un piano segreto franco-

italo-tedesco, stipulato nel ’56, volto a

produrre armi atomiche a difesa di questi

Paesi, non era andato più avanti a causa

della diffidenza e della defezione del ri-

tornato de Gaulle. Il settore industriale

nazionale però non era così sviluppato al

punto di accompagnare le mire del gene-

rale conquistando significativi e ampi

spazi economici all’estero che ne avrebbe-

ro meglio sostenuto la strategia interna-

zionale. I progetti di innovazione interna

della seconda metà degli anni ’60 che

contemplavano una scuola più professio-

nalizzata e tagli per i lavoratori animaro-

no un grande moto di contestazione che

toccò l’apice nel maggio del ’68. Superò

abilmente quel momento di difficoltà e

sciolta l’Assemblea nazionale ottenne un

successo elettorale a giugno. La personale

parabola neocesariana del generale, accu-

sato di antisemitismo d’occasione all’epo-

ca della guerra dei sei giorni (fu ostile a

Israele, alleato degli USA, cui aveva ap-

plicato l’embargo nel ’67) si concluse con

le dimissioni il 28 aprile 1969 – che aveva

prospettato in caso di esito negativo – a

seguito della sconfitta in un referendum

legislativo che avrebbe trasformato il se-

nato francese (eletto da un corpo di gran-

di elettori costituito da deputati e pub-

blici amministratori) in una camera cor-

porativa delle regioni e decentrato delle

funzioni agli enti amministrativi regiona-

li.

8. KENNEDY E IL MURO DI BERLINO

el secondo dopoguerra Berlino

Ovest, posta nel cuore della fra-

zione di Germania comunista,

aveva rappresentato una costante preoc-

cupazione per i Sovietici, che ambivano

al riconoscimento della Repubblica demo-

cratica tedesca sorta nell’ottobre del ’49.

Dopo l’elezione presidenziale di John Fi-

tzgerald Kennedy (insediatosi il 20 gen-

naio 1961) fu reso noto da Nikita Chru-

scev che l’URSS avrebbe lasciato alla

RDT la sua formale sovranità di Stato, di

conseguenza trasferendo apparentemente

il problema della gestione berlinese ai Te-

deschi orientali. Il cancelliere della Re-

pubblica federale tedesca (nata nel maggio

del ’49), il democristiano Konrad Ade-

nauer, si oppose alla formalizzazione del-

N

Page 36: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

34

la divisione della Germania, ma il presi-

dente statunitense Kennedy accettò, e

per evitare l’impressione internazionale

che gli USA subissero il corso degli eventi

– era reduce dal fallito tentativo di aprile

del ’61 di rovesciare il governo castrista

con lo sbarco armato promosso alla Baia

dei porci di 1.400 fuoriusciti cubani – si

schierò in difesa della sua accessibilità

territoriale: incontrò infruttuosamente

Chruscev a Vienna (2-4 giugno 1961). La

situazione precipitava: dalla RDT, in sta-

to di disagio economico (dal ’55 faceva

parte del Patto di Varsavia e del COME-

CON), fuggivano verso la RFT sempre di

più (nel 1960 la media quotidiana fu di

1.500 transfughi, nel 1949-61 furono

complessivamente circa 2.500.000). Co-

sicché il Cremlino accondiscese al proget-

to dei Tedeschi orientali di circoscrivere e

interdire la zona berlinese occidentale: fra

il 12 e il 13 agosto 1961 comparve un pre-

sidio militare con disposizione di uccidere

i fuggiaschi; nei giorni immediatamente

seguenti sarà completata entro il 17

l’opera di erezione del muro divisorio, al-

to sui 3 m, accompagnato da campi mi-

nati e barriere di filo spinato. I costrutto-

ri lo definirono muro della pace (la sua de-

nominazione ufficiale era barriera di pro-

tezione antifascista), ma passò alla storia

come muro della vergogna. La Casa Bianca

rispose inviando un reggimento di fante-

ria a Berlino Ovest. Circa 50.000 Berline-

si orientali persero così il lavoro che svol-

gevano nella libera Berlino, il cui borgo-

mastro, il socialdemocratico Willy

Brandt, guidò una giornata di protesta

che riunì 300.000 cittadini. La città as-

surse a simbolo di quella guerra fredda

combattuta tra l’Occidente e il blocco

comunista. Saranno quasi un milione i

Tedeschi della RDT che riusciranno a

scappare nell’epoca del muro sino alla sua

caduta (9 novembre 1989) oltre la cortina

di ferro. Gli uccisi nel tentativo di oltre-

passare il muro a fronte di circa 5.000 fu-

ghe riuscite saranno più o meno 200. Il

confronto fra il mondo comunista e quel-

lo liberale produsse nella RFT degli anni

’60 la comune adesione allo schieramento

occidentale dei due principali e rivali par-

titi politici, quello democristiano e il so-

cialdemocratico (quest’ultimo prospetta-

va la riunificazione territoriale tedesca).

In questo sfondo si pose la visita di Ken-

nedy a Berlino nel 1963 durante il suo

giro europeo di giugno-luglio. Dopo la

conferenza del ’54 tra i ministri degli af-

fari esteri francese, inglese, statunitense e

sovietico, per trattare il futuro della

Germania, Berlino ritornava sulla scena

della politica internazionale. Kennedy

aveva acceso un moto di aspettative spe-

ranzose con il suo concetto di nuova fron-

tiera esposto all’atto del suo insediamen-

to: «Io vi dico che noi ci troviamo di

fronte alla nuova frontiera, lo vogliamo o

no. Al di là di essa si estendono i campi

inesplorati della scienza e dello spazio, i

problemi non risolti della pace e della

guerra, le sacche dell’ignoranza e del pre-

giudizio non ancora eliminate e le que-

stioni ancora senza risposta della povertà

e della sovrapproduzione». Mirava a una

concreta e pacifica coesistenza con Mo-

sca. Tra il 16 e il 28 ottobre 1962 la ten-

sione USA-URSS era salita al massimo:

Page 37: La morte delle ideologie

LA MORTE DELLE IDEOLOGIE Danilo Caruso

35

l’installazione di una prima serie di missi-

li atomici da parte del Cremlino a Cuba,

decisa nel luglio precedente, aveva pro-

vocato il blocco navale americano

dell’isola. La guerra nucleare fu evitata

quando Chruscev ordinò il rientro delle

navi che trasportavano altre testate mis-

silistiche e fece smantellare le precedenti,

da basi non ancora operative, in cambio

dell’impegno di Washington a non inter-

venire in qualsiasi modo in armi contro il

regime di Fidel Castro. A questo si ag-

giungeva in quegli anni l’impegno degli

USA per la lotta nel Vietnam del sud

contro i rivoltosi comunisti (Viet Cong)

ostili alla dittatura filostatunitense, lotta

che il presidente americano volle sostene-

re con una maggiore presenza militare.

Nel giugno del ’63 Kennedy prima di

Berlino Ovest era passato da Bonn, Colo-

nia e Francoforte parlando alle platee (e-

ra stato più volte in Europa negli anni

’30 e a Berlino già nell’estate del 1945).

Tenne il 26 giugno 1963 davanti al muro

un discorso, divenuto famoso, a una ma-

rea di gente radunatasi nella Rudolph

Wilde platz di fronte al Rathaus Schöne-

berg. La folla lo aveva accolto con accla-

mazioni festose dopo che ebbe fatto un

sopralluogo a uno degli allora più noti

punti di attraversamento del muro, il

Checkpoint Charlie. Oltre il muro anche

gruppi di Berlinesi orientali lo ascoltaro-

no sotto il controllo vigile della polizia

che impediva qualsiasi esternazione po-

polare. Più volte gli applausi degli astanti

intercalarono il suo intervento. Pronun-

ciò la celebre frase: «Ich bin ein Berli-

ner». Nella Germania Ovest l’arrende-

volezza americana nel periodo dell’edifi-

cazione del muro non era piaciuta, perciò

questa sua dichiarazione di essere Berli-

nese mirante anche a riacquistare le sim-

patie dell’opinione pubblica tedesca. Il

suo discorso al di fuori dell’opportunismo

d’occasione fu molto profondo e significa-

tivo: «La libertà ha molte difficoltà e la

democrazia non è perfetta, ma noi non

abbiamo mai dovuto mettere un muro

per tenere dentro la nostra gente, per im-

pedire di lasciarci. […] Il muro è la dimo-

strazione più evidente e vivida dei falli-

menti del sistema comunista. […] Tutti

gli uomini liberi, ovunque essi vivano,

sono cittadini di Berlino, e, quindi, come

uomo libero, sono orgoglioso delle parole

“Ich bin ein Berliner”». Suppergiù l’80%

dei Berlinesi occidentali era per le strade

ad ascoltarlo. I rintocchi della campana

della libertà posta nel palazzo municipale

suggellarono quelle parole in quella stori-

ca giornata. L’anniversario del 2004 è

stato celebrato a Berlino con una mostra

fotografica, tenuta nel giugno-settembre

e allestita alla Cameraworks, dal titolo

The Kennedys.

Page 38: La morte delle ideologie

INDICE

Introduzione pag. 1

1. La moralità della politica pag. 3

2. La crisi del capitalismo pag. 5

3. L’eredità del marxismo pag. 7

4. La fabbrica del male pag. 9

5.1. La democrazia corporativa pag. 13

5.2. L’utopia della RSI pag. 16

6.1. Il giustizialismo peronista pag. 21

6.2. La Fondazione “Eva Perón” pag. 26

7. Il gollismo pag. 30

8. Kennedy e il muro di Berlino pag. 33

Page 39: La morte delle ideologie

Palermo

dicembre 2011