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1 LA MINISTERIALITÀ NELLA CHIESA introduzione Nella Chiesa-comunione, mirabilmente tratteggiata dal Concilio, ogni “pietra vivente” concorre con il suo “specifico” alla costruzione del Regno di Dio già a partire da questa terra. Il “fedele cristiano laico”, in particolare, concorre a questa costruzione con la sua specificità, che è quella di rimanere “nel secolo” e “nel terrestre”, per orientare proprio il temporale ed il terrestre a Dio e contribuire per la sua parte, al ritorno di ogni cosa al Padre in Cristo. Ne deriva per i laici una spiritualità peculiare che non può scimmiottare, né imitare la spiritualità propria delle altre figure ecclesiali, cioè quella dei presbiteri, dei diaconi e quella delle persone di vita consacrata. La Chiesa del Concilio ha avvertito la necessità e l'urgenza di riscoprire il pluralismo delle forme ministeriali, di cui era ricca e che per vari motivi erano cadute in oblìo. La Chiesa si riscopre tutta ministeriale, popolo sacerdotale, che esercita i ministeri in forza del sacerdozio battesimale-cresimale (cfr. Lumen Gentium 10). A più riprese il Vaticano II ha parlato del sacerdozio comune dei fedeli, che è partecipazione radicale al sacerdozio di Cristo per il battesimo e il dono dello Spirito Santo nella confermazione. Il sacerdozio comune dei fedeli è esistenziale e liturgico in quanto il battezzato-cresimato è messo in grado di offrire a Dio sacrifici spirituali partecipando al culto della Chiesa. L'esortazione apostolica Christifideles laici del 1988 afferma: «I pastori, pertanto, devono riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento

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LA MINISTERIALITÀ NELLA CHIESA

introduzione

Nella Chiesa-comunione, mirabilmente tratteggiata dal

Concilio, ogni “pietra vivente” concorre con il suo “specifico” alla

costruzione del Regno di Dio già a partire da questa terra. Il “fedele

cristiano laico”, in particolare, concorre a questa costruzione con la

sua specificità, che è quella di rimanere “nel secolo” e “nel

terrestre”, per orientare proprio il temporale ed il terrestre a Dio e

contribuire per la sua parte, al ritorno di ogni cosa al Padre in

Cristo. Ne deriva per i laici una spiritualità peculiare che non può

scimmiottare, né imitare la spiritualità propria delle altre figure

ecclesiali, cioè quella dei presbiteri, dei diaconi e quella delle

persone di vita consacrata.

La Chiesa del Concilio ha avvertito la necessità e l'urgenza di

riscoprire il pluralismo delle forme ministeriali, di cui era ricca e che

per vari motivi erano cadute in oblìo. La Chiesa si riscopre tutta

ministeriale, popolo sacerdotale, che esercita i ministeri in forza del

sacerdozio battesimale-cresimale (cfr. Lumen Gentium 10).

A più riprese il Vaticano II ha parlato del sacerdozio comune dei

fedeli, che è partecipazione radicale al sacerdozio di Cristo per il

battesimo e il dono dello Spirito Santo nella confermazione. Il

sacerdozio comune dei fedeli è esistenziale e liturgico in quanto il

battezzato-cresimato è messo in grado di offrire a Dio sacrifici

spirituali partecipando al culto della Chiesa.

L'esortazione apostolica Christifideles laici del 1988 afferma: «I

pastori, pertanto, devono riconoscere e promuovere i ministeri, gli

uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento

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sacramentale nel battesimo e nella confermazione, nonché, per

molti di loro, nel matrimonio [...].

In seguito al rinnovamento liturgico promosso dal Concilio, gli

stessi fedeli laici hanno acquisito più viva coscienza dei loro compiti

nell'assemblea liturgica e nella sua preparazione, e si sono resi

ampiamente disponibili a svolgerli: la celebrazione liturgica, infatti,

è un'azione sacra non soltanto del clero, ma di tutta l'assemblea

[...].

Durante i lavori del Sinodo, i Padri hanno dedicato non poca

attenzione al lettorato e all'accolitato. Mentre in passato

esistevano nella Chiesa latina soltanto come tappe spirituali

dell'itinerario verso i ministeri ordinati, con il Motu proprio di Paolo

VI Ministeria quaedam (15 agosto 1972), essi hanno ricevuto una loro

autonomia e stabilità, come pure una loro possibile destinazione

agli stessi fedeli laici, sia pure soltanto uomini» (Christifideles laici, n. 23).

Sulla base di questo insegnamento del Concilio, si può

vedere l'assemblea liturgica come tutta ministeriale. In essa lo

Spirito del Risorto suscita una straordinaria ricchezza di ministeri

e di servizi, richiesti e valorizzati dalla riforma liturgica post-

conciliare, che riscoprendo questa ricchezza vitale della Chiesa,

ha meglio mostrato la sua vocazione alla diaconia, al servizio

sull'esempio dello Sposo che si è fatto servo (cfr. Lc 22, 27).

Dal Concilio Vaticano II a Ministeria quaedam e Ad pascendum

Il Concilio si era limitato ad una indicazione assai generica

riguardo ai ministeri: «Il Rito delle Ordinazioni sia riveduto quanto

alla cerimonia e quanto ai testi» (Sacrosanctum Concilium 76). Si rendeva

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necessario e urgente il lavoro di revisione riguardante l'esercizio dei

ministeri che apparivano come reperti archeologici e pertanto poco

rispondenti. all'ecclesiologia inaugurata dal Vaticano II.

Una commissione di esperti propose l'abolizione degli ordini mi-

nori, valorizzando i ministeri del lettorato e dell'accolitato. Questi

orientamenti diverranno norme per tutta la Chiesa con la pubblica-

zione dei due motu proprio di Paolo VI: Ministeria quaedam e Ad pa-

scendum del 1972, l'uno per regolare la nuova disciplina della

Chiesa latina per i ministeri e l'altro per il diaconato.

Con i due motu proprio, Paolo VI adempie il desiderio del

Concilio di rivedere i riti delle ordinazioni. La riforma voluta dal

Papa, pur risolvendo alcuni problemi urgenti inerenti alla

questione degli ordini minori, non si esaurisce in un presente

immediato ma nella capacità che avrà ogni Chiesa locale di

scoprirsi comunità tutta ministeriale.

Interessante è il fatto che il documento non parla più di ordini

ma di ministeri; pertanto al termine ordinazione si sostituisce il

termine istituzione. In pratica nei riti delle istituzioni non si ha una

esplicitazione del sacramento dell'Ordine, ma semplicemente una

deputazione ecclesiale per esercitare un ministero a favore della

comunità.

In realtà i ministeri sono dei sacramentali. Ne deriva, come

conseguenza, la possibilità di conferire questi ministeri ad ogni

battezzato. Infine, Paolo VI conserva solo quei ministeri che

hanno effettivamente una funzione ecclesiale. Naturalmente nella

scelta hanno giocato non solo considerazioni storiche, ma anche

valori ecumenici.

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I ministeri, dunque, non vengono più qualificati come “ordini

minori”: e non si tratta solo di una variazione terminologica! La

nuova dizione segna il tramonto di una visione ministeriale

eccessivamente ed esclusivamente clericale. I ministeri, pertanto,

non sono più considerati soltanto tappe verso il presbiterato;

difatti, oramai sono accessibili anche ai laici. Sono “istituiti” o “di

fatto”: istituiti quando sono conferiti mediante un atto liturgico; di

fatto quando sono esercitati con un mandato temporaneo, ad

actum.

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Il ministero del lettore Il lettorato è il primo dei ministeri istituiti. Afferma il motu proprio

di Paolo VI: «Esso ha radici molto remote e il suo esercizio apre

prospettive nuove all'impegno di annuncio del Vangelo, che la

Chiesa del nostro tempo riscopre come prioritario ed essenziale

nella sua missione di servizio al mondo». Conviene ripercorrerne

brevemente la storia.

Nel mondo greco-romano le scuole erano molto diffuse ma le

classi più povere della società ne rimanevano escluse. Molti

dovevano essere quindi gli analfabeti (agràmmatoi), quelli cioè che

non sapevano né leggere né scrivere. Ma come vi erano gli scrivani

di professione, così dovevano esserci dei lettori di professione.

Per gli ebrei la lettura della Sacra Scrittura era uno dei requisiti

alla base della loro religione. Il servizio sinagogale comportava la

lettura della legge mosaica e dei profeti (cfr. At 13,27; 15,21; 2Cor 3,15).

Emblematico è l’episodio narrato da Luca 4,16-22 che descrive con

molti particolari un servizio liturgico del sabato. Gesù è presentato

nella funzione di lettore e predicatore. Luca annota anche le

posizioni assunte da Gesù: «in piedi» per la lettura, «seduto» per il

commento. Viene anche menzionato un inserviente, a cui Gesù

consegna il rotolo biblico dopo la lettura. Non c’erano lettori ufficiali;

anche i visitatori occasionali potevano essere invitati dal capo della

sinagoga a fare una lettura e a prendere la parola (cfr. At 13,15).

In Ap 1,3 è espressa quella che potrebbe chiamarsi la

“beatitudine del lettore”, formulata assieme a quella degli ascoltatori

della parola profetica: «Beato chi legge e beati coloro che ascoltano

le parole di questa profezia e mettono in pratica le cose che vi sono

scritte. Perché il tempo è vicino».

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Nelle prime comunità cristiane vi era dunque l’esigenza che ci

fossero persone capaci di leggere nelle riunioni comunitarie sia le

Scritture dell’Antico Testamento, sia le nuove Scritture, come le

lettere degli apostoli (cfr 1Ts 5,27; Col 4,16) e i vangeli. Probabilmente

questo compito all’inizio fu svolto dai didàskaloi, i dottori o maestri, i

quali leggevano e poi anche esortavano o spiegavano il testo,

attualizzandolo alla luce dei nuovi eventi. Gli stessi apostoli,

presentati in At 4,13 come uomini senza istruzione e quindi incapaci

di leggere e scrivere, dovevano ricorrere ad amanuensi (per

scrivere) e a lettori (per leggere). Anche chi, come Paolo, era in

grado di farlo, ricorreva ugualmente ad un segretario scrivano, a cui

dettava il testo.

Una traccia sicura dell'esercizio di questo ministero la si trova

nella I Apologia di Giustino (II secolo - verso il 150) che descrivendo

l'assemblea liturgica domenicale dice: «Si fa la lettura delle memorie

degli apostoli e degli scritti dei profeti sin che il tempo lo consente.

Quando il lettore (anaginóskon = colui che legge) ha terminato, colui

che presiede tiene un discorso per ammonire ed esortare

all'imitazione di questi buoni esempi». In Giustino il lettore appare

quindi come una figura distinta da chi presiede e fa l’esortazione;

ma è sempre una espressione generica che non fa essere sicuri che

quello del lettore fosse un ufficio vero e proprio.

La prima menzione letteraria sicura del lector è verso l'anno

200 in Tertulliano, il quale parla del lettore come di un ministero

proprio e stabile, così come ufficio proprio e determinato hanno il

vescovo, il presbitero e il diacono.

Un'altra esplicita testimonianza del lettore ci viene fornita dalla

Traditio Apostolica attribuita a Ippolito Romano, nella quale il

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lettorato viene considerato una funzione permanente; vi si afferma

che «il lettore è costituito nell’atto in cui il vescovo gli consegna il

libro, infatti non gli sono imposte le mani (cioè egli non è ordinato)».

Verso la metà del secolo III, a Cartagine e a Roma, l'ufficio di

lettore è diventato ordine del lettorato. A Cartagine è il vescovo e

martire Cipriano (249-258) a testimoniare l'esistenza dell'ordine del

lettore nella sua Chiesa.

Esistevano due gradi di lettore: i lectores doctorum audientium,

cioè i lettori che coadiuvavano i presbiteri-catechisti nella

preparazione dei catecumeni; e i lectores veri e propri, che erano

istituiti dal vescovo con il parere di tutta la comunità e quindi

facevano parte del clero e ricevevano il sostentamento della Chiesa.

Alcuni lettori venivano istituiti però con l’intenzione di un futuro

passaggio al grado di presbiteri.

Altra testimonianza è quella di papa Cornelio, che in una lettera

del 351 a Fabio, vescovo di Antiochia, scrive: «A Roma, vi sono

quarantasei presbiteri, sette diaconi, sette suddiaconi, quarantadue

accoliti e cinquantadue esorcisti, lettori e ostiarii». È una rapida

radiografia, alla metà del sec. III, dell'ordinamento ministeriale a

Roma, comprendente anche il lettorato.

I lettori, dunque, ricevono una speciale ordinazione, riferita

anche dai libri liturgici del tempo di Gregorio Magno (sec. VII-VIII) che di

certo riferiscono tradizioni liturgiche più antiche.

L'Ordo romanus 35 (XI sec.) ci riporta la benedizione con la

quale il papa benedice un fanciullo per conferirgli il ministero di

lettore. Per il compimento del loro ufficio i lettori spesso

conoscevano a memoria tutta la Bibbia, erano custodi dei libri sacri

e degli archivi in cui erano conservati; spesso erano gli scrittori del

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vescovo e insegnavano ai catecumeni. «I lettori possono essere

(considerati) pastori, perché nutrono il popolo che ascolta»: è il loro

più alto elogio.

Una causa di decadenza di questo ministero è dovuta proprio al

fatto dell’immissione di bambini tra i lettori e della riduzione del

lettorato a semplice tappa per il presbiterato. Infatti col procedere

del tempo molte delle funzioni del lettore furono attribuite o assorbite

da altri ministri della celebrazione; ad esempio il vangelo, dapprima

proclamato anche dal lettore, viene riservato al presbitero e al

diacono, mentre le altre letture sono fatte dal suddiacono.

Quando, a partire dall’alto Medioevo, la celebrazione della

messa cosiddetta “privata” si generalizza, il sacerdote celebrante

assomma tutte le funzioni e “recita” tutte le parti, comprese le

letture.

Il lettorato rimane come una funzione nominale e un “grado

inferiore” della gerarchia, riservato ai candidati al presbiterato e

conferito come una tappa per accedere al sacerdozio ministeriale,

tappa che poteva durare anche pochi giorni, se non addirittura pochi

minuti. Conseguenza di ciò è la svalutazione completa del lettorato

come ordine a se stante, anzi il suo annientamento come ordine

reale al quale corrisponde una funzione specifica nella pratica

concreta della liturgia.

La figura del lettore fu volentieri vista come la porta di ingresso

nel clero e quindi la via di accesso a ulteriori gradi, in particolare

quello del presbiterato. Anche se vi furono lettori che probabilmente

rimasero tali per tutta la vita, tuttavia era normale che, quando nel

presbiterio si aveva un posto vacante, il candidato a occuparlo fosse

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scelto tra i lettori, ben conosciuti dalla comunità e dotati di una

buona conoscenza delle Scritture, derivante dal loro stesso ufficio.

Questa comprensione del lettorato come tappa verso il

presbiterato si è mantenuta fino al ricordato motu proprio di Paolo VI

Ministeria quaedam che lo configurai come un “ministero”

permanente ed istituzionalizzato che può essere conferito anche ai

fedeli laici in un’apposita celebrazione ecclesiale che li “istituisce” al

servizio della parola di Dio da proclamare nella liturgia, ma anche da

annunciare nella catechesi e in altre forme di annuncio.

In altri termini, il lettore è a servizio della Parola, chiamato a

dare voce alla Scrittura nell'azione liturgica. L'annuncio è essenziale

alla fede, è il mezzo di cui si serve Dio per dire al suo popolo

“Ascolta!”. L'annunzio è quindi un servizio preziosissimo, un

ministero indispensabile perché la Parola di Dio giunga a tutti e da

tutti venga accolta qual è veramente Parola che salva e santifica.

Per la sua importanza non può essere affidata «a un membro

qualsiasi dell'assemblea e, soprattutto, non all'ultimo momento. Non

si può improvvisare una lettura così impegnativa». Il lettore

attraverso il suo ministero dà corpo alla Parola scritta

trasformandola in Parola viva; difatti quando essa risuona nella divi-

na liturgia è Cristo stesso che parla (Sacrosanctum Concilium 7).

Il ministro si fa icona della Chiesa che annunzia ancora e

sempre la Parola. Dunque, il lettore presta la sua voce al Signore e

annunzia all'assemblea l'oggi della Parola di Dio, perché è Parola

efficace e vitale in quanto trova nella divina liturgia la sua piena

attualizzazione. La presenza del Signore nella Parola è sottolineata

dagli onori che nella celebrazione vengono resi all'Evangeliario:

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acclamazione, processione, luci, incenso, bacio, ostensione e

benedizione.

Il ministero del lettore, perciò, non può prescindere da una

teologia della liturgia della Parola. Diversamente si corre il rischio di

considerare il lettore solo a livello tecnico e funzionale, il che

avviene puntualmente quando si isola il lettore dal contesto

teologico-celebrativo della Parola.

Il ministero del lettore si comprende pienamente quando si

considera l'importanza della Parola di Dio nella vita della Chiesa e la

sua riscoperta operata dal Vaticano II, tanto da parlare di primato

della Parola.

La Costituzione Sacrosanctum Concilium 51 riconosce che

«massima è l'importanza della Sacra Scrittura nella celebrazione

liturgica» ed esorta ad aprire «con maggiore abbondanza i tesori

della Bibbia». La Chiesa ha la primarietà del ministero della Parola

(cfr. At 6, 2-4), anzi la sua predicazione è «la prima carità» (cfr. Lumen

Gentium 27; 41).

Anche il nuovo Ordo Missae e l'Ordo Lectionum Missae

hanno ampiamente sottolineato il primato della Parola nella

celebrazione liturgica. La liturgia, difatti, è impregnata di Sacra

Scrittura: biblico è il contenuto, il linguaggio delle preci, delle

orazioni e degli inni liturgici (cfr. Sacrosanctum Concilium 24) .

Tale primato è culminante nella vita della Chiesa. La Parola dà

vita, suscita la fede e nutre la Chiesa. Pertanto la proclamazione

della Parola nella liturgia si fa evento di salvezza, realizza e

comunica quanto viene proclamato. La Parola celebrata e procla-

mata apre la Chiesa alle infinite ricchezze del mistero nascosto da

secoli (Ef 3, 5) e rivelato in Cristo (cfr. Presbiterorum Ordinis 13). A Dio che

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parla «il popolo a sua volta risponde con il canto e con la preghiera» (Sacrosanctum Concilium 33).

La risposta dell'assemblea liturgica, rivela la struttura dialogica

della liturgia della Parola, si sviluppa e si amplifica in diversi

elementi rituali: innanzitutto la contemplazione silenziosa e

adorante, il salmo responsoriale, la professione di fede e la

preghiera universale.

Ciò vuol dire, in concreto, che la liturgia della Parola, in ogni

celebrazione sacramentale, non è soltanto un elemento didattico o

una preparazione a ciò che avviene più tardi, ma entra come costi-

tutivo nell'atto di culto e quindi partecipa delle finalità di esso: è glo-

rificazione di Dio e sorgente di salvezza e di santità per gli uomini.

Questo dato, che appartiene alla fede della Chiesa, ha delle con-

seguenze pastorali notevoli.

Vale la pena ricordarne almeno due: anzitutto la necessità per

la comunità cristiana di recuperare una viva esperienza della

presenza del Signore nella sua Parola, anche attraverso

l'importanza e lo spazio da restituire all'ascolto-adesione del

messaggio che essa reca; e poi l'attenzione che occorre attribuire

alla sua proclamazione da parte di coloro che se ne fanno portavoce

nell’assemblea liturgica.

Ciò che qualifica il lettore è, dunque, l’essere mediatore, non

protagonista. Egli è semplicemente un mediatore tra Dio, che rivolge

la sua Parola, e la comunità cristiana che l’ascolta e la fa propria. E

questo non è poco. Non trasmette ai fratelli una parola sua e

neppure della Chiesa, ma la parola di Dio. Il lettore non legge per

sé: compie un servizio per tutta la comunità, ma da parte di Dio. Dio

si comunica oggi, non per mezzo di rivelazioni o di angeli, ma

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attraverso il ministero concreto di chi si fa annunciatore della sua

parola. Nei Principi e norme per l’uso del Messale Romano al n. 34 si

dice che «secondo la tradizione l’ufficio di proclamare le letture non

spetta al presidente ma ad uno dei ministri». In linea di principio non

deve essere il presidente a proclamare le letture nella celebrazione,

eccettuati i casi in cui nessun altro lo possa fare. Sempre secondo la

tradizione, la proclamazione del vangelo è riservata ai ministri

ordinati per la loro configurazione speciale a Cristo nel sacramento

dell’ordine. Le altre letture vengono proclamate dai laici.

Ogni comunità cristiana, nella sua articolazione ministeriale,

deve avere un gruppo di lettori istituiti, capaci di adempiere questo

ministero a servizio della comunità.

Conviene approfondire brevemente il significato del compito

proprio del lettore che è quello di proclamare la Parola di Dio. Cosa

vuol dire proclamare? Non significa solo leggere ad alta voce, pur

avendo questo significato, ma certamente il significato è più ampio e

preciso. Significa e comporta più aspetti: rendere pubblico, cioè far

conoscere ai presenti ciò che si legge; acclamare, in quanto le

parole pronunziate sono Parole di Dio; rivelare, perché ogni volta

che la Parola viene proclamata è una nuova rivelazione;

proclamazione misterica, cioè efficace, in quanto rende presente

ciò che proclama; memoria, perché presenza di ciò che viene

ricordato; annunzio gioioso, in quanto ha in sé una forza di

salvezza.

Il lettore chiamato a proclamare la Parola deve far vivere il

testo, diventa profeta, e questo richiede la fede non solo

dell'assemblea che ascolta ma anche del lettore che proclama.

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Unitamente alla fede, necessita la preghiera e la preparazione

tecnica.

Nel proclamare la Parola, il lettore, diviene strumento di Cristo

nell'attualizzazione della sua Parola. Allora non si tratta tanto di

leggere, quanto di proclamare cioè promulgare in maniera solenne

la Parola di Dio dinanzi all’assemblea liturgica in ascolto di Dio che

parla. Dunque un servizio per tutta la comunità compiuto da parte di

Dio, che oggi vuole parlare attraverso il ministero dei lettori.

Il lettore è l'ultimo anello in una catena di trasmissione: il profeta

o l'apostolo parlavano molti secoli fa, le loro parole furono fissate nel

libro ispirato, altri le hanno tradotte e preparate per la celebrazione,

e ora un determinato lettore le proclama alla comunità. Per quanto

sia sublime la teologia di Isaia o di Giovanni o di Paolo, se il lettore

non la comunica in modo efficace o se il microfono non funziona,

sarà difficile che si stabilisca un dialogo pieno di vita tra Dio e la sua

comunità.

In conseguenza di quanto finora detto, il campo di azione del

lettore istituito è molto vasto: va dalla proclamazione della parola

alla catechesi; dalla preparazione degli stessi lettori a quella del

luogo della proclamazione della parola. I suoi compiti vengono precisati nello stesso documento di

Paolo VI Ministeria quaedam in questi termini: «Il lettore è

costituito per l’ufficio, a lui proprio, di leggere la parola di Dio

nell’assemblea liturgica. Pertanto, nella Messa e nelle altre

azioni sacre proclami dalla sacra Scrittura le letture (ma non il

vangelo); in mancanza del salmista legga il salmo interlezionale;

quando non è disponibile il diacono o il cantore proponga le

intenzioni della preghiera universale (o preghiera dei fedeli);

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diriga il canto e guidi la partecipazione dei fedeli; istruisca i

fedeli a ricevere degnamente i sacramenti. Egli potrà anche – se

necessario – curare la preparazione degli altri fedeli, i quali

abbiano ricevuto temporaneamente l’incarico di leggere la sacra

scrittura nelle azioni liturgiche».

Il documento emanato dall’episcopato italiano nel 1977,

Evangelizzazione e ministeri, dà ancora grande risalto al tema dei

ministeri istituiti, ribadendo quanto già detto nei documenti già citati,

ma affrontando anche alcune questioni circa i ministeri: nozione di

ministero non ordinato; ministeri e religiosi; ministeri e laici; ministeri

e famiglie; ministeri e donne; ministeri e movimenti apostolici.

Volendo quindi esplicitare, in forma più organica, i compiti del

lettore, si possono delineare i suoi “spazi” d’intervento ministeriale:

innanzitutto la proclamazione della parola di Dio nell’assemblea

liturgica (è questa la sua funzione primaria e originale, come ho già

cercato di evidenziare); e poi, fuori del contesto cultuale-celebrativo,

anche il compito di catechista ed educatore nella fede dei suoi

fratelli. In forza del ministero ricevuto il lettore diventa il promotore e

l’animatore di centri di ascolto della parola di Dio, di gruppi del

vangelo o di iniziative analoghe all’interno della comunità

parrocchiale.

Per compiere queste funzioni si richiedono al lettore determina-

te qualità: acquistare una sempre maggiore conoscenza della

Scrittura con l'ausilio di sussidi idonei; meditare la Sacra Scrittura;

dedicare tempo alla preghiera; impegnarsi in una coerente

testimonianza di vita; assicurare continuità e disponibilità

nell'esercizio del ministero.

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Significative, in proposito, le espressioni dell'omelia per la

istituzione dei lettori: «è necessario che, mentre annunzia agli altri la

Parola di Dio, (il lettore) sappia accoglierla con piena docilità allo

Spirito Santo; meditarla ogni giorno per acquistare una conoscenza

sempre più viva e penetrante, ma soprattutto renda testimonianza

con la sua vita al nostro Salvatore Gesù Cristo».

Per completezza di trattazione non si possono non citare due

altri documenti normativi in campo liturgico: l’Ordo Lectionum

Missae, ossia l’Ordinamento Generale delle Letture della Messa,

promulgato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei

sacramenti nel 1981, e l’Institutio Generalis Missalis Romani.

Nell’Ordo Lectionum Missae al capitolo III si parla degli Uffici e

ministeri nella celebrazione della liturgia della Parola intra missam.

Dopo aver trattato sui compiti di colui che presiede, dai numeri 44 a

57 si parla del compito dei fedeli, e tra questi quelli del lettore. Così

è detto al n. 51: «il lettore ha nella celebrazione eucaristica un suo

ufficio proprio, che deve esercitare lui stesso, anche se sono

presenti ministri di ordine superiore. Il ministero del lettore vien

conferito con rito liturgico: deve quindi essere tenuto in onore. I

lettori istituiti, se presenti, compiano il loro ufficio almeno nelle

domeniche e nelle feste, specialmente durante la celebrazione

principale. Si potrà affidar loro anche il compito di dare un aiuto nel

predisporre la liturgia della parola, e, se necessario, di preparare gli

eventuali altri fedeli che per incarico temporaneo dovessero

proclamare le letture nella celebrazione della messa». Il lettore ha,

dunque, una fisionomia ministeriale ben precisa che non è lecito

ignorare e trascurare; al lettore bisogna assicurare una certa dignità

e stabilità ministeriale.

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E tale fisionomia impone che il lettore abbia alcuni requisiti.

L’Ordo Lectionum Missae al n. 52 recita: «L’assemblea liturgica non

può fare a meno dei lettori, anche se non istituiti per il loro compito

specifico. Si cerchi dunque di avere a disposizione alcuni laici, che

siano particolarmente idonei e preparati a compiere questo

ministero». E al n. 55: «Perché i fedeli, con l’ascolto delle divine

letture, maturino nel loro cuore un soave e vivo amore della Sacra

Scrittura, è necessario che i lettori incaricati di tale ministero, anche

se non ne hanno ricevuto l’istituzione, siano veramente idonei e

seriamente preparati».

Si insiste, dunque, sulla “idoneità” e preparazione dei lettori.

Questa preparazione è spessissimo disattesa (dagli stessi pastori

delle comunità), sia per frettolosità, sia per un voler rendere

partecipi tutti di questo servizio. È invece uno dei rischi peggiori.

Sembra si segua a volte un criterio democratico e familiare nelle

parrocchie quando si invita a leggere un volontario o uno qualunque

a recarsi all’ambone: non è segno di rispetto né verso la parola di

Dio né verso la comunità che vuole incontrare Dio nella sua parola.

La delicatezza del ministero del lettore deve scoraggiare ogni im-

provvisazione e tendere invece ad una formazione attenta e

accurata, che si articola su un duplice registro: quello spirituale e

quello tecnico.

La preparazione spirituale comprende la dimensione biblica e

quella liturgica. La formazione biblica deve portare i lettori a

familiarizzare con il linguaggio della Bibbia, a saper inquadrare le

letture nel loro contesto e a cogliere il centro dell'annunzio rivelato

alla luce della fede.

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Dal momento che i libri della Bibbia sono diversi tra loro e che

in uno stesso libro esistono generi letterari diversi: storia, lettere,

profezia, poesia... esistono diversi modi di esprimersi: affermazioni,

professioni di fede, racconti, parabole. Conoscere i generi letterari,

l'autore e l'epoca di composizione, il luogo e la situazione socio-

religiosa in cui è stato redatto il testo biblico favorisce la

comunicazione e facilita la comprensione del testo proclamato.

Perciò conoscere e rispettare il genere letterario dei testi biblici è il

modo migliore per mettersi al servizio della Parola.

E la formazione liturgica deve introdurre il lettore a percepire il

senso e la struttura della liturgia della Parola e anche la risonanza

che una determinata pagina biblica può avere nella festa e nel

tempo dell’anno liturgico in cui è proclamata; Naturalmente il lettore

deve conoscere bene, o almeno averne un’idea chiara,

l'ordinamento delle letture e dei lezionari e la struttura del Messale.

Si deve anche curare la preparazione tecnica: educare la voce,

saperla impostare rettamente; fare un buon uso dei mezzi di

amplificazione, conoscere le eventuali difficoltà testuali (nomi e

vocaboli prettamente biblici). E qui dovrei inoltrarmi in un campo

assai utile ma molto vasto e tecnico, per cui mi limito solo a qualche

rapida osservazione.

Ad esempio bisogna curare l'accesso all'ambone, che deve

essere sempre dignitoso: è bene non avviarsi prima che il sacerdote

abbia terminato la colletta, nel caso della prima lettura, o che sia

concluso il salmo responsoriale nel caso della seconda. Bisogna

anche prestare la debita attenzione all'atteggiamento del corpo, che

deve evitare ogni forma di teatralità, come anche l’eccessiva

timidezza o l’incerto incedere.

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L’assemblea “sente” il lettore, ma lo “vede” anche. Prima di

iniziare la proclamazione, il lettore attende che tutti seggano e si

crei il clima di silenzio e di ascolto. Durante la proclamazione, il

busto sia eretto e il volto non piegato sul libro.

E vorrei aggiungere alcuni suggerimenti per una buona

proclamazione. Bisogna imparare a dominare il respiro per

"generare" una voce ricca di suono e sostenere una buona dizione.

La materia prima per un buon servizio alla Parola di Dio è la voce.

Si tratta di parlare ad alta voce, spingendo in avanti la voce, cioè

non si deve trattenere il suono in fondo alla gola, ma proiettarlo

lontano, davanti a sé, come quando si chiama qualcuno distante da

noi.

Va curata, inoltre, l'articolazione del testo: per una lettura che

faciliti la comunicazione, che realizzi, cioè, il duplice movimento di

andata e di ritorno, occorre parlare con molta chiarezza,

pronunciare con precisione e distintamente ogni sillaba e ogni

parola. Il movimento può essere riassunto in tre immagini: cuore,

labbra, orecchio, che sono i luoghi attraverso cui passa la parola e

si genera la comunicazione.

E non va trascurata l’attenzione al fraseggio, cioè al modo di

articolare in maniera espressiva le frasi di un brano. Questo

richiede di prestare attenzione: alle frasi che hanno un movimento

di crescita o di discesa; alle frasi secondarie; alla frase

interrogativa (evitare quel ridicolo e infantile caricamento della voce

nella parte finale della frase interrogativa); alla frase esclamativa; e

in particolare alla punteggiatura (stacchi, pause, allungamenti,

contrazioni... ).

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A questo aiuta molto il formato e l’uso del libro da cui si legge il

testo sacro che non può essere in nessun modo il foglietto. Un

lezionario ben stampato, a caratteri sufficientemente grandi e,

soprattutto, con una buona punteggiatura e disposizione sintattica

delle frasi (distinguendo, per esempio, con esattezza i dialoghi e i

racconti), favorisce una proclamazione migliore.

Ma favorisce un tale risultato anche e specialmente una buona

capacità del lettore a “interpretare” il testo. E per acquisire questa

capacità bisogna preparare la lettura, leggendo prima attentamente il

testo per recepirne il significato e il messaggio, cogliendone la

struttura e l'articolazione delle parti, individuandone i passaggi-

chiave e le parole-chiave per metterli in risalto nella proclamazione,

e infine determinandone il genere per regolare e modulare la voce,

la proiezione, il ritmo. Mi permetto suggerire di evitare alcuni scogli:

un tono cantilenante; un tono monocorde; la caduta della voce alla

fine della frase; la sveltezza.

Forse non è male aggiungere qualche osservazione sul modo

di usare il sistema di amplificazione. Ormai tutte le chiese sono

dotate di impianti di amplificazione: microfono unità di potenza,

diffusori. È necessario effettuare la registrazione dei volumi e dei

toni, operazione che richiede l’aula liturgica piena, in modo da

valutare l'assorbimento delle onde sonore da parte dell'assemblea.

Per regolare il volume bisogna tener conto dell'edificio; della

dimensione dell'assemblea e della potenza vocale di chi userà il

microfono. Il microfono più idoneo per la proclamazione della Parola

è quello direzionale che ha la capacità di accogliere solo i suoni

emessi davanti alla capsula. Sono da evitare i microfoni

omnidirezionali, più adatti per il coro e per un gruppo di persone.

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Comunque per una buona resa occorrono strumenti di qualità per un

suono pulito e gradevole.

Infine, mi si consenta di dire qualcosa sull’abito del lettore.

L’Ordo Lectium Misse al n. 54 dice: «Il sacerdote, il diacono e il

lettore istituito, allorché salgono all’ambone per proclamare la Parola

di Dio nella celebrazione della Messa con il popolo, devono

indossare la veste sacra propria del loro ufficio».

Per il lettore non istituito, uomo o donna, non c'è bisogno di una

veste speciale, «essi possono salire all'ambone in abito comune».

Quello della veste è un aspetto su cui spesso si preferisce

sorvolare, forse per paura di clericalizzazione dei laici; ma un buon

lettore lo si riconosce anche dal modo in cui si presenta

all’assemblea, specie se pensiamo che a volte si vedono lettori e

lettrici non sempre vestiti dignitosamente.

Lo Ordo Lectionum Misse al n. 52 parla della possibilità di

distribuire le letture a più lettori, evitando di far proclamare ad

un’unica persona sia la prima lettura, sia il salmo, sia la seconda

lettura.

È poi auspicabile che il salmista non sia la stessa persona che

ha proclamato la prima lettura, sia perché il salmista è un altro

ministero, sia perché l’indole propria del salmo ne richiede il canto e

quindi è più indicato che a cantare il salmo sia un cantore esperto

nell’arte del salmeggiare. Il lettore, poi, non deve dire «prima

lettura», «salmo responsoriale» e neppure leggere la frase

riassuntiva che precede il testo.

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Il ministero dell’accolito Questo ministero, nel suo concreto esercizio, è destinato a

mettere in risalto l'intimo legame che esiste tra la liturgia e la carità.

La celebrazione eucaristica, infatti, non solo presuppone la carità

verso i fratelli, come impegno di donazione e come volontà di

riconciliazione (cfr. Mt 5,23-24;1Cor 11,17 ss), ma implica, nell'atto in cui si

compie, un atteggiamento di amore che si esprime nei molteplici e

diversi compiti di accoglienza (cfr. Gc 2,1 ss), di solidarietà (cfr. 1Cor 11,29),

di comunione e di servizio con tutti, ma soprattutto con i più deboli

e con i più poveri.

La testimonianza di carità, offerta ai fratelli durante l'Eucaristia,

deve estendersi e prolungarsi dopo la celebrazione e diventare

sollecitudine verso i lontani, gli assenti, i malati, coloro che sono

nella difficoltà o nel bisogno. Solo così la partecipazione al

sacramento della carità diventa piena e autentica. Il ministero

dell'accolito acquista pienezza di significato e importanza notevole

proprio nel contesto di una Chiesa che vive il mistero della carità ed

è chiamata a svolgere nel mondo il ministero della carità.

Forse conviene anche per il ministero dell’accolito, dare

qualche breve informazione storica. Il termine «accolito» deriva da

un verbo greco che significa «seguire» o anche «servire». L'accolito

quindi è il ministero affidato a coloro che, nella Chiesa, sono

chiamati a seguire i pastori, cioè a collaborare strettamente con loro

nella specifica missione ad essi affidata e a offrire ai fratelli un

servizio ispirato ad una sincera carità, soprattutto nel momento in

cui questa carità si manifesta e si celebra, cioè durante la

celebrazione eucaristica.

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Da una notizia che si trova nel Liber pontificalis, pubblicato dal

Duchesse, sembra che l'istituzione di questo particolare ministero,

che non è conosciuto in Oriente, debba esser fatta risalire a papa

Vittore (+ 197); comunque risulta che al tempo di papa Cornelio gli

accoliti erano già in numero di 42, divisi secondo le sette regioni di

Roma.

Gli accoliti, chiamati dapprima «sequentes», sono anche

denominati «ceroferarii», in quanto avevano come funzione quella di

scortare con i ceri la processione d'ingresso del papa, durante la

messa, e quella del diacono al momento della proclamazione del

vangelo.

A partire dal IV secolo, infatti, e precisamente dopo la pace di

Costantino, il culto della Chiesa romana conosce uno sviluppo gran-

dioso: molti riti in uso presso la corte imperiale sono trasferiti nelle

azioni liturgiche presiedute dal papa. Si solennizzano cosi le

processioni, il papa viene accompagnato in segno di onore da 7

candelabri, rappresentanti le corrispondenti regioni della città di

Roma, mentre il popolo acclama e canta e il profumo dell'incenso

inonda la basilica. I sette candelabri, portati appunto dagli accoliti,

una volta che si è giunti all'altare vengono deposti sulla mensa o nei

pressi di essa. Uso, questo, che è rimasto in vigore, nella messa del

vescovo, fino alla riforma liturgica.

Nel secolo VI gli accoliti acquistarono a Roma un'importanza

ancora maggiore: aiutavano all'altare i diaconi e il presidente

dell'assemblea; portavano le offerte e i vasi sacri ed erano a loro

disposizione per il compimento dei servizi da prestare al popolo.

Oltre questi compiti, che si svolgevano nella celebrazione, gli accoliti

avevano anche altri compiti: accompagnavano il vescovo nelle sue

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visite, erano al suo servizio per compiere ambasciate e portare

ordini e avevano talora anche l'impegno di assicurare una certa

disciplina tra il popolo cristiano.

Finalmente, in forma straordinaria e come aiuto ai diaconi e ai

presbiteri, gli accoliti avevano anche il ministero della distribuzione

dell'Eucaristia. Erano loro, ad esempio, che portavano il fermentum,

una piccola parte cioè del pane consacrato dal papa nella sua

messa, alle varie chiese di Roma, quale segno di comunione tra il

vescovo di Roma e i presbiteri che celebravano i santi ministeri nelle

chiese succursali, chiamate tituli.

Come il lettorato, anche l'accolitato acquistò ben presto la

fisionomia di un grado inferiore della gerarchia. Sono noti i riti

dell'«ordinazione» degli accoliti dagli antichi documenti liturgici che

sono giunti fino a noi. Questa si svolgeva durante la messa: i

candidati erano rivestiti dell'abito loro proprio e veniva loro

consegnato un sacchetto di lino che era usato per portare

l'Eucaristia sia ai presbiteri, durante la concelebrazione, sia ai fratelli

assenti, una volta che la messa era terminata.

Col passar del tempo, e precisamente dall'alto medioevo, egli

diventò un semplice «inserviente» del prete che ormai celebrava da

solo, mentre nella celebrazione solenne mantenne l'incombenza di

portare i ceri e servire all'altare.

L'accolitato si è sempre conservato, analogamente al lettorato,

come un «ordine minore», cioè come un gradino previo, necessario

per accedere all'ordinazione sacerdotale, ma di fatto poco rilevante

come «ministero ecclesiale». Anch'esso è stato restituito alla Chiesa

come un servizio stabile dal motu proprio Ministeria quaedam e può

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quindi essere conferito anche a laici, con precise e significative

funzioni miranti all'edificazione del popolo di Dio. Tali funzioni sono descritte nel cap. VI di Ministeria quaedam in

questi termini: «L'accolito è costituito per aiutare il diacono e servire

il sacerdote. Pertanto è suo compito curare il servizio dell'altare,

aiutare il diacono e il sacerdote nelle azioni liturgiche, specialmente

nella celebrazione della messa; inoltre, distribuire, come ministro

straordinario, la santa comunione tutte le volte che i ministri

(ordinari)... non vi sono o non possono farlo, per malattia, per l'età

avanzata o perché impediti da altro ministero pastorale, oppure tutte

le volte che il numero dei fedeli, i quali si accostano alla sacra

mensa, è tanto elevato che la celebrazione della messa si

protrarrebbe troppo a lungo. Nelle medesime circostanze

straordinarie potrà essere incaricato di esporre pubblicamente la

Santissima Eucaristia e poi riporla; ma non di benedire il popolo.

Potrà anche, in quanto sia necessario, provvedere all'istruzione

degli altri fedeli che, per incarico temporaneo, aiutano il diacono e il

sacerdote nelle azioni liturgiche».

A questi compiti, quasi esclusivamente cultuali, i vescovi italiani,

nel documento già ricordato, I ministeri nella Chiesa, ne aggiungono

un altro che ha pure un retroterra nella storia e nell'esperienza della

Chiesa antica, quello precisamente di aver cura dei deboli e degli

infermi. Compito che va “letto” all'interno del significato e della

portata della celebrazione eucaristica, memoriale della carità di

Cristo.

Tenendo dunque presenti queste indicazioni magisteriali si

possono individuare, in maniera più completa e ampia, gli ambiti e le

funzioni specifiche dell'accolito. Innanzitutto egli è chiamato ad

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essere il promotore della vita liturgica di una comunità, non solo

prestando il suo servizio nella celebrazione, in modo che essa risulti

veramente un'azione comunitaria e partecipata, significativa dal

punto di vista dei diversi servizi che si compiono e pedagogicamente

efficace, ma anche prendendosi cura di quanti, in essa, svolgono

compiti liturgici: ministranti, cantori, lettori, ecc. Egli è quindi il

naturale animatore del “gruppo liturgico” della comunità e per questo

deve curare la formazione liturgica e biblica dei vari componenti,

preparare le celebrazioni, e guidarne lo svolgimento.

Come ministro straordinario dell'Eucaristia egli si affiancherà al

sacerdote e al diacono nella promozione e nell'animazione della

pastorale liturgico-eucaristica, non solo portando la santa comu-

nione ai malati, ma curando l'incremento e l'organizzazione del culto

eucaristico fuori della messa secondo le indicazioni del magistero e i

bisogni della comunità in cui vive ed esercita il suo ministero.

Emerge poi un altro compito dell'accolito: quello di un più vasto

e profondo esercizio della carità verso i poveri, i sofferenti, i malati,

gli emarginati. Dovrà essere l'accolito a suscitare e a curare nella

parrocchia o nei gruppi caritativi le molteplici forme di assistenza, di

aiuto, di promozione umana che oggi sono richieste ai credenti che

vivono nel mondo e che la Chiesa mette in cantiere per rispondere

alle numerose e svariate attese che si manifestano nei settori

dell'emarginazione, della povertà, della terza età, della malattia, ecc.

Egli sarà perciò il leader naturale di quelle associazioni o movimenti

che s'interessano di questo settore e, come tale, potrà rendere un

prezioso servizio di collaborazione all'opera caritativa dei pastori.

In conformità a questi compiti, si richiedono all’accolito alcuni

requisiti. Il primo è una robusta spiritualità eucaristica: «L'accolito

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eserciterà tanto più degnamente questi compiti, se parteciperà alla

ss. Eucaristia con una pietà sempre più ardente, si nutrirà di essa e

ne acquisterà una sempre più viva conoscenza.

L'accolito, destinato in modo speciale al servizio dell'altare,

apprenda tutte quelle conoscenze che riguardano il culto pubblico

divino e si sforzi di comprenderne l'intimo e spirituale significato: in

tal modo, ogni giorno potrà offrire interamente se stesso a Dio, nel

tempio essere di esempio a tutti per il suo comportamento serio e

rispettoso, e, inoltre, avere un sincero amore per il Corpo mistico di

Cristo, cioè il popolo di Dio, e specialmente per i deboli e i malati» (Ministeria quaedam VI).

L'esortazione che il vescovo rivolge agli accoliti, mentre

conferisce loro il ministero, è nella medesima linea: «L'esercizio di

questo ministero vi stimoli ad attingere dal sacrificio del Signore

una vita spirituale sempre più intensa, e a conformarvi sempre più

perfettamente a questo stesso sacrificio; procurate anche di

penetrare il senso intimo e profondo delle mansioni a voi affidate,

in modo da offrire ogni giorno voi stessi a Dio in sacrificio spirituale

a lui gradito, per Cristo Gesù. Questi vostri compiti vi ricordino che

dovete formare con i fratelli un solo corpo, come partecipare con

essi all'unico pane dell'Eucaristia. Amate di sincero amore il popolo

di Dio che è il Corpo mistico di Cristo, amate specialmente i deboli

e gli infermi: attuerete così il comando dato dal Signore agli

apostoli nell'ultima cena: amatevi l'un l'altro, come io ho amato

voi».

Da ciò che è stato detto fin qui scaturisce anzitutto che anche

agli accoliti è domandata una solida formazione liturgica e

spirituale. Essa deve essere ottenuta attraverso lo studio

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approfondito della genuina natura della liturgia, non come un puro

e semplice insieme di riti e di cerimonie, ma come il complesso dei

santi segni con cui Cristo risorto continua, nella Chiesa e attraverso

la Chiesa, il suo servizio sacerdotale per la gloria del Padre e la

santificazione dei fratelli: ma lo studio non basta: ad esso si dovrà

accompagnare una opportuna «iniziazione» al mistero liturgico.

Come potrà l'accolito inculcare nei suoi fratelli il gusto della

partecipazione alla liturgia se non vive egli stesso per primo quel

«mistero» che serve?

Per questo gli accoliti istituiti dovranno unire allo studio una

seria riflessione e meditazione della parola di Dio e dei testi

liturgici; dovranno fare ogni giorno una ricca esperienza della

preghiera liturgica, con la celebrazione almeno delle ore principali

dell'Ufficio divino, la partecipazione frequente ai sacramenti, ecc.

Sarà assai opportuno, poi, che essi studino attentamente le

Premesse dei nuovi libri liturgici, in modo da essere attenti alle

indicazioni e norme che questi forniscono per una celebrazione

degna e rispettosa sia degli orientamenti e delle direttive del

magistero sia anche delle attese e delle concrete possibilità

dell'assemblea.

Conclusione I ministeri del lettorato e dell'accolitato, anche se

profondamente radicati nell'esperienza più antica della Chiesa,

acquistano oggi dimensioni e prospettive nuove in una comunità

ecclesiale chiamata ad essere «serva» del Signore e degli uomini. Il

loro corretto e fedele esercizio suppone, pertanto, sempre una vita

di comunità molto dinamica. Anche se si integrano a vicenda, questi

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due ministeri sono distinti: il lettorato fa direttamente riferimento

all'annuncio della parola di Dio, mentre l'accolitato è più

specificamente orientato alla celebrazione liturgico-sacramentale e

all'impegno di carità e di promozione umana.

Ciò spiega, tra l'altro, l'inopportunità che vengano conferiti

insieme alla stessa persona. La Chiesa è comunità ministeriale,

nella quale lo stesso Spirito conferisce ai fedeli doni diversi per mini-

steri diversificati; non è opportuno quindi che una stessa persona

assommi più compiti, anche perché ciascuno richiede anche doti

umane particolari che non sempre sono simultaneamente presenti

nello stesso individuo; e poi anche perché, altrimenti, si ricadrebbe

in una nuova forma di “monopolio” del ministero che non è certo

rispettosa di una corretta ecclesiologia e che si risolverebbe a svan-

taggio di una pastorale articolata. Questi due ministeri sono però

espressione di carità ecclesiale e sono finalizzati all'edificazione

dell'unico Corpo di Cristo.

Preghiera finale O Padre che in Cristo tuo Figlio, hai dato all’uomo la verità che lo

illumina, la via che indica il cammino, la vita che continuamente lo

rinnova, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché cresciamo

ogni giorno nella conoscenza della nostra missione di collaboratori

di Dio nel suo amore e nella speranza del Regno. Per Cristo nostro

Signore.

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BIBLIOGRAFIA:

CONCILIO VATICANO II, Costituzione Sacrosanctum Concilium

PAOLO VI, Motiu proprio Ministeria quaedam

PAOLO VI, Motiu proprio Ad pascendum

GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Christifideles laici

PRINCIPI E NORME DEL MESSALE ROMANO

DIOCESI DI POZZUOLI, Direttorio pastorale

DIOCESI DI POZZUOLI, Il Libro del Sinodo