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“LA MENTE AL DI LÀ DELLA RETE” Protocolli di mental training applicati al tennis di vertice Autori: A. Cannavacciuolo, B. Corolli, A. Rubino Corso Nazionale di Specializzazione per tecnici FIT (equivalente al IV Livello Europeo) Scuola dello Sport CONI Roma, 26/27 Novembre 2007 Supervisore: Prof. M. Di Paolo

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“LA MENTE AL DI LÀ DELLA RETE”

Protocolli di mental training applicati al tennis di vertice

Autori: A. Cannavacciuolo, B. Corolli, A. Rubino

Corso Nazionale di Specializzazione per tecnici FIT (equivalente al IV Livello Europeo)

Scuola dello Sport CONI

Roma, 26/27 Novembre 2007

Supervisore: Prof. M. Di Paolo

Ringraziamenti

Il gruppo di lavoro composto in occasione di questo project work coglie

l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la creazione

di questo testo, ed in particolare il Professor Massimo Di Paolo, nella veste

di tutor assegnatoci dalla commissione dei docenti della Scuola Nazionale

Maestri, e di supervisore nel corso dello svolgimento dell’intero nostro

operato.

Un ulteriore e sentito ringraziamento è doveroso porlo a tutti i giocatori ed

allenatori che hanno supportato materialmente il project work attraverso le

loro dichiarazioni raccolte nelle interviste, vera spina dorsale di tutto il

nostro lavoro.

A nome di tutti i componenti del gruppo, che ha redatto questo project

work, un sentito ringraziamento a tutti.

Indice

Introduzione p. 1

Capitolo 1 - Cenni storici e introduzione all’allenamento

mentale p. 3

Capitolo 2 - Studi e applicazioni del mental training

al tennis

2.1 Le caratteristiche del tennis p. 13

2.2 Le abilità mentali nello sport del tennis p. 14

2.3 Il controllo delle emozioni p. 18

2.4 Il controllo dei pensieri p. 23

2.5 L’attribuzione di causalità p. 24

2.6 Il controllo dell’attenzione p. 26

2.7 Le abilità immaginative p. 31

Capitolo 3 - Tecniche di mental training

3.1 Rilassamento p. 34

3.2 Self talk p. 38

3.3 Goal setting p. 40

3.4 Pensiero positivo p. 42

3.5 Training autogeno p. 44

3.6 Concentrazione – Gestione dell’arousal p. 50

3.7 Visualizzazione e imagery p. 54

3.8 Biofeedback p. 59

3.9 Automatizzazione delle strategie p. 62

Capitolo 4 – Una ricerca sul mental training

4.1 Obiettivi della ricerca p. 64

4.2 Presentazione dello strumento p. 66

4.3 Caratteristiche degli intervistati p. 67

4.4 Elaborazione dei dati: tabelle e grafici p. 69

Conclusioni p. 98

Appendice

Bibliografia

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Capitolo I

Cenni storici e introduzione all’allenamento mentale

Con un notevole anticipo rispetto ai suoi tempi, De Coubertin, ha

sentito il bisogno di applicare la psicologia allo sport. Già nel 1900,

infatti, aveva pubblicato un articolo intitolato: “La psicologia dello

sport”. Tutte le metodiche inerenti alla suddetta disciplina vennero in

seguito prese in considerazione da numerosi paesi soprattutto dopo la

prima guerra mondiale, quando cioè l’espansione dell’attività sportiva

ebbe la sua definitiva affermazione. Bisogna però citare alcuni autori

che per primi hanno svolto un lavoro sistematico condotto presso

l’istituto di educazione fisica di Leipzig, sia prima che dopo la prima

Guerra mondiale: Scultz, Sippel, Giese, Klem, Krueger; in questo

periodo si vede l’influenza della teoria Gestalt. In un secondo periodo,

Leipzig ha sentito l’influenza di alcuni psicologi sovietici, interessati

più ai problemi relativi alle competizioni di alto livello. Numerosi

ricercatori testimoniano che l’importanza sia stata data su problemi

immediati della competizione e della vittoria da conseguire, più che su

quelli dell’individuo alle prese con sé stesso. Il proposito iniziale

quindi è quello di determinare in modo preciso le caratteristiche della

psicomotricità, della percezione, dell’emozione e dell’intelligenza

richieste nelle varie attività sportive al fine di conseguire le migliori

prestazioni. Il problema però nella maggior parte dei paesi rimaneva,

in quanto gli allenatori continuavano a ritenere che la vittoria nello

sport dipendesse dall’intensità dell’allenamento e dalle capacità

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superiori dell’atleta piuttosto che da una attenta valutazione delle

condizioni emotive dell’ambiente in cui si svolge la preparazione, o

dai tratti della personalità dell’atleta stesso (Most, 1983).

In Italia, l’approfondimento della conoscenza dei fattori psicologici e

pedagogici che informano lo sport e la competizione in atto ad opera

di numerosi specialisti, avviene nel 1965, a Roma dove si tiene il

primo congresso internazionale di psicologia. L’International Society

of Sport Psicology (ISSP), costituita in occasione del congresso,

originò, a sua volta, nel mondo una sessantina di società nazionali, di

cui una ventina in Italia. In alcuni Paesi la psicologia dello sport (PdS)

veniva identificata con gli studi di psicomotricità e di motor skill atti a

realizzare prestazioni atletiche migliori, mentre in altri si dava

maggior spazio allo studio delle motivazioni, all’assistenza

psicologica per un miglior equilibrio dell’uomo atleta (Tamorri,

2000). Se all’inizio della sua storia la psicologia dello sport si era data

come obiettivo quello di studiare la personalità degli atleti, ricercando

modelli cognitivi e comportamentali utili a differenziare le

caratteristiche degli atleti dagli altri uomini e sviluppando un ampio

spazio all’interno della psicodiagnostica, oggi l’ obiettivo della

psicologia dello sport risulta molto cambiato. Ora il quesito più

impellente posto dai tecnici e dagli atleti è: “come posso compiere

prestazioni sempre più eccellenti?”. In tale contesto la psicologia

dello sport si è trovata a passare da un livello teorico alla pratica,

divenendo in tal modo operativa. Oggi, ogni atleta sa quanto sia vero

che il primo reale nemico da battere è il fantasma della paura,

dell’insicurezza, della bassa stima di sé, prima ancora dell’avversario.

Lo scontro con l’avversario è episodico, un momento nella vita

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dell’atleta; per tutto il resto del tempo ciò che conta è una lineare e

continua crescita fisica e mentale, attraverso un lavoro che dura anni,

per tutta la carriera agonistica dell’atleta. Dunque, essere operativi

nell’ambito dello sport significa sviluppare un programma di

allenamento per la mente, al pari di programmi di allenamento fisico;

l’agonista non è un robot, non è un gigantesco meccanismo sostenuto

dagli sponsor e da complesse manovre di tipo economico, bensì è un

uomo che ha scelto di sfidare sé e gli altri, con i suoi punti deboli e le

sue illimitate potenzialità. Lo psicologo dello sport deve tenere bene

in mente che dedicherà il suo sostegno ed il suo contributo in primis

all’uomo e in secondo luogo all’atleta che c’è in lui, il quale

rappresenta solo una parte della sua complessità. La psicologia dello

sport è una disciplina giovane, che ha la possibilità di apportare validi

contributi sia nello sport di alto livello che nelle fasi di apprendimento

di una attività. È possibile definire la psicologia dello sport come una

psicologia dell’azione che si pone come obiettivo la comprensione a

360° dell’uomo e del suo essere atleta. Per questa ragione, il primo

punto da fissare con l’atleta è la meta che questi desidera raggiungere.

Per poter lavorare con un atleta è fondamentale fissare un obiettivo

che abbia determinate caratteristiche:

A) Definito in positivo, nel senso di considerarlo come qualcosa a

cui tendere e non da cui allontanarsi, in un esempio si potrebbe

dire “voglio smettere di essere ansioso ed agitato “, anziché

“voglio imparare ad essere tranquillo e determinato”

B) Verificabile. Imparare ad essere tranquillo e determinato,

nell’esempio appena riportato, non risulterà verificabile fino a

quando non si sarà riusciti a tradurre la tranquillità e la

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determinazione in comportamenti ed atteggiamenti esaminabili,

in altre parole risponderà alla domanda: “come saprò di aver

raggiunto il mio obiettivo, come lo sapranno gli altri?”

C) Specificato rispetto a:

- chi (quali sono le persone coinvolte nel mio obiettivo?)

- come (quali comportamenti produrranno il mio

cambiamento?)

- quando (quali tempi scandiranno il passaggio dal mio

stato presente a quello desiderato?)

- dove (quali saranno i luoghi entro i quali produrrò il mio

cambiamento?)

- perché (quali sono le motivazioni di cui dispongo per

poter realizzare il mio cambiamento?)

D) Ecologico (l’obiettivo scelto dall’atleta sarà accettato dalle

persone per lui significative? Tale obiettivo gli procurerà dei

vantaggi?)

Una volta centrato l’obiettivo, è possibile procedere con l’atleta

nella costruzione di quegli aspetti della sua personalità

indispensabili per lo sviluppo della sua carriera.

Naturalmente, per lavorare sull’obiettivo concordato occorre

instaurare un buon rapporto con l’atleta. La psicologia non

possiede altro strumento che quello di operare sul livello

organizzativo della mente dell’atleta, agendo attraverso la

comunicazione. È fondamentale incontrare l’atleta sul suo terreno,

cogliendo gli elementi più significativi dell’esperienza da lui

narrata, annotando tutto ciò che è possibile osservare, ascoltare, e

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percepire durante il colloquio. La persona deve sentirsi rispettata in

ciò che considera importante: le sue credenze, le sue convinzioni

sul mondo e sulla vita. Il primo passo da fare, dunque è trovare il

modo per sintonizzarsi con lui, utilizzando il più possibile il suo

stesso linguaggio che rappresenta il modo attraverso cui l’atleta si

raffigura il mondo e lo connota di significati. Solo in un momento

successivo ci si adopererà a fornire una guida ragionata in

direzione di nuovi orizzonti, incentivi e risorse utili all’atleta per

raggiungere i propri risultati. La prima fase dell’incontro è tutta

orientata a definire un terreno d’accordo e di intesa con il mondo

interiore dell’atleta. Questo tipo di approccio non è solo retaggio

dello psicologo dello sport, ma offre un’utile base per uno sviluppo

costruttivo del colloquio, sia in ambito clinico che formativo. Se si

pensa all’impegno che si chiede ad un’atleta, il miglioramento

continuo e costante che deve riuscire a dare durante gli allenamenti,

in un ambiente spesso poco gratificante, in cui solo alcuni sport

sono altamente riconosciuti e premiati, ci si spiega quanto sia

fondamentale il “perchè” che l’atleta si costruisce, che costituisce

la motivazione principale a continuare la sua carriera agonistica. La

motivazione è strettamente collegata alla direzione e alla intensità

di un comportamento, è dunque fondamentale in un momento in

cui l’atleta lavora sulla propria costruzione fisica e psicologica. La

motivazione costituisce la chiave d’accesso ai risultati: essa lavora

attraverso i bisogni dell’atleta, gli stimoli positivi, l’interesse e il

divertimento, la ricerca di affiliazione verso i compagni e

l’allenatore, il bisogno di affermazione e di riuscita.

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La base, però, di tutto l’intervento psicologico è il linguaggio. Nel

suo utilizzo quotidiano non ci rendiamo conto dell’uso che

facciamo delle parole, del loro peso, del significato che con queste

creiamo. Ad esempio il linguaggio usato dall’atleta nel suo dialogo

interno è di fondamentale importanza, infatti i messaggi che questi

manda a sé stesso sono basilari per la riuscita della sua prestazione.

La mente ha una grande abilità che può risultare un forte limite,

quella di orientarsi, spesso in modo inconsapevole, in funzione dei

propri pensieri. È il “sistema attivante reticolare“, in particolare,

che si interessa di mettere in collegamento la mente (i pensieri) con

il corpo (le abilità percettive), orientando in tal modo l’attenzione

del soggetto sulle cose per lui più significative. Ora, dinnanzi ad

uno stesso stimolo è possibile reagire in modo positivo (ottimistico)

o negativo (pessimistico), a seconda di come vengono interpretati i

fatti, dal momento che il sistema percettivo è in grado di analizzare

solo la quantità di uno stimolo e non la qualità, che viene decisa dal

sistema cognitivo. È dunque essenziale che l’atleta utilizzi una

sorta di “dieta mentale”, attraverso la quale nutrirsi di parole che

gli diano la giusta carica, e gli permettano di essere ottimista,

convinto e determinato in rapporto alle sue risorse. Il nostro

vocabolario presenta una netta preponderanza di parole a

connotazione negativa nella descrizione delle emozioni. La lingua

inglese ad esempio contiene circa un migliaio di parole per

esprimere emozioni positive, mentre sono ben duemila le parole

che esprimono emozioni negative. Si pensi a quanti vocaboli

vengono usati da psichiatri e psicologi per descrivere le varie forme

di patologia mentale, e quanti pochi vocaboli vengono usati per

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descrivere gli stati di benessere. Una persona sana, che sta bene, è

una persona che “sta bene e basta”, non esistono particolari modi

per descrivere lo stato di benessere. Culturalmente siamo plasmati

dal nostro linguaggio: le parole modellano le nostre convinzioni,

influenzano i nostri stati

d’ animo e dirigono le nostre azioni. L’atleta, come tutte le altre

persone, va aiutato a comprendere il proprio linguaggio, a porsi le

domande corrette, ad entrare nel significato che dà alle cose, per far

luce sulle opinioni, le credenze e le convinzioni che lo orientano

nelle scelte. Un modo utile di considerare l’atleta è quello di

vederlo proiettato all’interno del suo sistema di riferimento,

prendendo in considerazione il contesto, l’ambiente sociale in cui

vive (società sportiva, team tecnico, amicizie, famiglia), per

valutare nel sistema di appartenenza quale ruolo gioca, come si

trova inserito, quali risposte sta dando, come reagisce alle richieste,

implicite o esplicite, delle persone di riferimento. È sorprendente

come molte risposte ad eventuali difficoltà, verso la realizzazione

di certi progetti, vadano ricercate nella famiglia, o nel sistema di

riferimento, piuttosto che nel singolo individuo. Spesso si riscontra

incongruenza e ambiguità nei i messaggi dei due genitori, o

addirittura atteggiamenti di svalutazione diretti allo sport intrapreso

dal loro figlio. Al contrario, spesso è possibile rilevare una grande

intesa con il proprio partner affettivo, associata ad una grande

volontà di riuscita, nel realizzare il proprio obiettivo. La famiglia

costituisce uno dei pilastri di sostegno per un’atleta, se viene a

mancare il suo apporto il rischio è quello che la situazione entri in

stallo, che si creino dubbi sulla motivazione e si abbia un crollo di

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rendimento. Spesso la società sportiva, i compagni, l’allenatore

sostituiscono la partecipazione e l’affetto della famiglia; è

sorprendente vedere come i nuovi legami affettivi siano in grado di

restituire l’identità a ragazzi altrimenti confusi e sbandati.

L’organizzazione del lavoro va dosata in tutte le attività che

compongono la vita di un soggetto. Non è possibile immaginare

una giornata totalmente orientata agli impegni: la scuola, gli

allenamenti, il lavoro, la famiglia, ecc., senza lasciare altro spazio

alla persona. Agendo in tal modo si rischia di impoverire gli altri

aspetti della vita, e di inimicarsi una parte dell’atleta maggiormente

orientata al divertimento, allo svago e alla creatività. Spesso ci si

trova dinanzi dei ragazzi completamente assorbiti dalla loro

quotidianità, dalle loro abitudini, senza più la forza di affermare in

prima persona cosa desiderano veramente. Esiste uno sviluppo

fisiologico nella vita mentale di ogni individuo che richiede

un’attenzione particolare. Se si perde di vista il senso delle

proporzioni e del tempo si rischia di creare degli automi che, ben

presto, abbandoneranno lo sport considerandolo un impegno troppo

oneroso, che chiede tanto e dà poco. Un atleta ha bisogno di

pensare, sognare e costruire la propria storia. Costa molto essere

protagonisti in un mondo che, troppo spesso, ci abitua alla

passività; costa molto ed è difficile motivare un individuo a

conquistare il proprio valore, attraverso la costruzione della propria

persona. È più semplice offrire dei surrogati legati maggiormente

all’immagine in contrapposizione alla sostanza, che non offrire

degli spazi entro cui una persona, rappresentando se stessa, è in

grado di realizzarsi. All’interno della carriera di molti atleti sono

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molti i momenti dedicati ad anticipare ciò che avverrà nell’

immediato futuro, risulta quindi utile costruirsi delle “profezie”

vincenti, e dare così spazio a idee e pensieri orientati al futuro nel

modo in cui egli desidera vederlo realizzato. L’atleta ha

essenzialmente bisogno di costruirsi uno stato mentale, un preciso

equilibrio psico-fisico di pensieri e sensazioni che gli consenta,

durante tutto l’arco di una prestazione, ed in particolare nei

momenti maggiormente significativi, di avere la massima

concentrazione, determinazione, e prontezza di esecuzione. Tutto

ciò è racchiuso in uno stato d’allerta in cui ogni cosa attorno

sbiadisce, dove il tempo ha un’altra dimensione, dove il controllo è

totale, non si tratta più di un individuo capace di eseguire e

sviluppare l’azione, ma di un essere in grado di fondersi

nell’azione stessa. Questo è un “momento magico”, il momento in

cui muta la percezione del soggetto che sviluppa l’azione. Solo

nell’istante in cui l’arciere si sente un tutt’uno con il proprio arco,

ed è in completa armonia con se stesso, può percepire quando

scoccare la freccia, sicuro che questa raggiungerà il bersaglio.

Lo sport è un rito costruito attraverso il proprio corpo, portato

avanti per un tempo sufficientemente lungo da permettere di

identificarsi completamente in ciò che si fa. Potrebbe risultare

interessante l’accostamento di questo aspetto dello sport a molte

tecniche meditative caratterizzate da azioni ripetute per un lungo

tempo, fino ad essere in grado di calarsi completamente in ciò che

si fa; per questa ragione si sposa in pieno l’idea che lo sport, sia

professionistico che quello dilettantistico, rappresenti un intenso

momento meditativo per la mente. Ed è a questo livello di sport

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come meditazione che il lavoro dello psicologo risulta più

attinente, dal momento che, l’atleta sviluppando doti strettamente

correlate al lavoro mentale, entra in uno stato di trance, uno stato,

cioè, di coscienza alterato, differente da quello legato alla routine

quotidiana, in cui l’Io esercita delle capacità e delle doti che

oltrepassano i limiti della propria coscienza. Questo stato mentale

è quello che si desidera raggiungere e mantenere quando ci si trova

a lavorare con un atleta; la parte difficile del lavoro, infatti, non è

tanto raggiungere di tanto in tanto un tale livello, quanto mantenere

ed attivare questo stato mentale, ottimale per la prestazione, tutte le

volte che se ne ha bisogno. Entrano in gioco un insieme di energie

che l’atleta deve essere in grado di gestire per tutta la durata della

prestazione, solo attraverso una precisa modulazione

dell’allenamento mentale è possibile garantire un quadro stabile e

duraturo.

“Siamo quello che pensiamo. Tutto ciò che siamo nasce dai nostri

pensieri. (…) Noi creiamo il nostro mondo.” (Buddha)

In realtà il grosso limite, e insieme la prima opportunità che dimora

in ognuno di noi è proprio costituita dai pensieri, i quali

rappresentano ciò che possiamo conoscere, e con cui possiamo

misurarci. Consentire all’atleta di esprimere il proprio stile e le

proprie abilità nel modo migliore, aprire la strada a nuovi traguardi,

dove l’uomo mette costantemente alla prova sé stesso, in una danza

continua che rappresenta la vita, è la pura espressione della

psicologia nell’ambito dello sport!

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Capitolo II

Studi e applicazioni del mental training al tennis

2.1 Le caratteristiche del tennis

Per le sue caratteristiche il tennis è senz’altro uno tra gli sport più

logoranti dal punto di vista psicologico. Infatti il tennis è:

• un’attività “open skill”, in cui le situazioni sono altamente

imprevedibili e variabili. Variano gli avversari, le superfici di

gioco, il tipo di palle, la durata della partita (3 o 5 set)

• uno sport individuale, non ci sono sostituzioni e il giocatore è solo

ad affrontare lo stress della gara

• uno sport dove nella maggior parte dei tornei non esiste la

possibilità di avere l’allenatore in panchina, in campo il giocatore è

solo a decidere la tattica e la strategia da adottare

• uno sport dove non esiste mai una seconda oppotunità, dal campo

si esce vincitori o vinti

• uno sport dove non esistono limiti di tempo e non c’è la possibilità

di chiedere un time-out

• uno sport dove ci sono molte interruzioni dovute alle regole del

gioco (attualmente sono il 20% circa della durata totale del match)

• uno sport in cui soprattutto a livello professionistico si gioca tutto

l’anno, e in tutti i continenti con pochi e brevi periodi da dedicare

al recupero e agli allenamenti

• uno sport in cui gli spettatori duarante gli scambi assistono in

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silenzio, ampliando le sensazioni di “solitudine” dei giocatori

2.2 Le abilità mentali nello sport del tennis

La ricerca ha dimostrato come gli allenatori siano sempre più

consapevoli dell'importanza delle abilità mentali per raggiungere la

prestazione ottimale.

La figura1 indica quali sono, secondo gli allenatori le abilità mentali

più importanti nel tennis e quali di queste sono più difficili da

sviluppare (Gould e al., 2001 ; Moran 1995)

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Le abilità mentali più importanti Quelle più difficili da sviluppare

piacere

fiducia in se stessi

motivazione /passione

essere positivi/dialogo interno

gestione positiva degli errori

attenzione/concentrazione

controllo delle emozioni

onestà/integrità

intensità negli allenamenti

controllo delle emozioni

gestione positiva degli errori

gestione dei momenti di crisi

immaginazione/visualizzazione

autostima

gestione del tempo

motivazione

Figura 1 - Le abilità mentali più importanti nel tennis e quelle più difficili da sviluppare

secondo gli allenatori.

La figura2 indica quali sono secondo i giocatori professionisti le

abilità mentali più importanti per il raggiungimento della migliore

prestazione e quali siano mancate durante i match persi (Jones e Terry

,1994; Young, 1998 ).

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Abilità mentali ritenute

importanti dai giocatori per la

loro performance

Abilità mentali che sono mancate

durante i match persi

Determinazione/impegno

concentrazione/fiducia in se stessi

credere nelle proprie capacità

abilità nel controllo dell'ansia

amore e interesse verso il tennis

Perdita di concentrazione

nervosismo

ansia

mancanza di motivazione

mancanza di fiducia

Figura 2 - Le abilità mentali più importanti nel tennis e quelle che determinano le

sconfitte secondo giocatori professionisti.

Vealey (1988) suddivide le abilità mentali in abilità di base, di

prestazione e facilitatorie.

Nella schema seguente sono riportate le abilità mentali secondo

Vealey (1988).

Abilità mentali

Abilità di base Volizione

Consapevolezza di sè

Autostima

Fiducia in sè

Abilità di prestazione Arousal fisico ottimale

Arousal mentale ottimale

Attenzione Ottimale

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Abilità facilitatorie Abilità interpersonali

Gestione dello stile di vita

Martens (1987) propone invece 5 abilità mentali di base:

• controllo dell'attenzione

• gestione dello stress

• controllo delle immagini

• modulazione dell'arousal

• formulazione degli obiettivi

Bisogna inoltre aggiungere anche il “controllo dei pensieri” per

integrare il modello di Martens.

Ora cercheremo di approfondire alcuni concetti e ci soffermeremo

su alcune delle abilità sopra menzionate che riteniamo più importanti

nel tennis.

La motivazione. Cos’è quella volontà che spinge un’atleta ad

allenarsi duramente ogni giorno per mesi, o quei processi che ci hanno

fatto scegliere il tennis anzichè un altro sport?

Weinberg e Gould (1995) considerano la motivazione come quel

complesso di processi mentali che determina la direzione e l’intensità

dello sforzo.

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Le teorie attualmente più accreditate che cercano di dare una

spiegazione di cosa sia la motivazione sono quattro:

• la teoria della riduzione della tensione

• la teoria dell’auto affermazione

• la teoria cognitiva

• la teoria della meta

La teoria della riduzione della tensione si riferisce a stati interni di

tensione che spingono gli individui ad agire per ridurre quelle

spiacevoli sensazioni che turbano il loro benessere.

La motivazione sarebbe dunque la molla che spinge a soddisfare certi

bisogni interiori.

La teoria dell’autoaffermazione, invece, pone l'accento sulla

tendenza dell’ individuo a realizzare il proprio potenziale anche a

costo di un aumento della tensione .

La teoria cognitiva sostiene che l’individuo sia animato da bisogni di

coerenza, prevedibilità e conoscenza; questo spiega il perchè molti

sportivi, pur non ottenendo grossi risultati, nè fama nè denaro,

continuino a giocare, sentano cioè la necessità di mantenere un quadro

coerente di sè.

La teoria della meta infine, vede l’individuo fortemente interessato a

raggiungere gli obiettivi e i traguardi prefissati.

2.3 Il controllo delle emozioni

Il controllo delle emozioni, durante una partita di tennis è di

fondamentale importanza per raggiungere la massima prestazione.

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Parlando di emozioni e stati d’animo è utile introdurre i concetti di

arousal, ansia e stress.

Arousal

L'arousal viene considerato come una funzione che permette l’accesso

alle risorse energetiche dell'organismo per prepararlo all'azione. Ogni

atleta per rendere al massimo deve avere la capacità di autoregolarsi e

di tenere sotto controllo il livello di attivazione necessario che come

vedremo non dovrà essere nè troppo basso nè troppo alto, ma dovrà

avere un valore medio.

Esistono alcune teorie che mettono in relazione l'arousal con la

prestazione.

Drive theory. Questa teoria sostiene che ci sia una relazione

direttamente proporzionale tra arousal e prestazione, cioè

all’aumentare della prima aumenta anche la seconda o al diminuire

della prima diminuisce anche la seconda. Questa teoria però non

convince perchè molto spesso atleti iperattivati non riescono a

raggiungere la prestazione ottimale. La suddetta teoria, leggermente

modificata, asserisce che nelle abilità già ben acquisite o in compiti

motori molto semplici l’aumento dell'arousal corrisponde a

un'aumento della prestazione, al tempo stesso, nell'esecuzione di

abilità complesse o durante le prime fasi di apprendiment , l’aumento

dell’arousal si rivela dannoso per la prestazione.

Inverted-U theory. Questa teoria afferma che l’aumento dell’arousal

sia legato ad un progressivo miglioramento della prestazione fino a un

punto ottimale oltre il quale l’incremento si accompagna invece allo

scadimento della prestazione. Il grado di attivazione ottimale varia da

uno sport all’altro, negli sport più complessi in genere l'attivazione

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deve essere minore.

Figura 3 - Relazione ad U-inversa fra arousal e prestazione.

Per determinare la complessità del compito vanno considerati i fattori

decisionali, percettivi e motori. Landers e Boutcher (1986).

La figura 4 mostra la ad U-inversa tra arousal e prestazione in compiti diversi.

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Figura 4 - Relazione ad U-inversa fra arousal e prestazione in compiti diversi.

Bisogna sottolineare che con l’aumento dell’arousal si determina un

restingimento del focus attentivo. Ad un livello basso corrisponde una

percezione ampia e poco selettiva rispetto agli stimoli; con

l’aumentare dell’arousal entro la gamma di attivazione ottimale, la

selettività percettiva sugli indizi importanti aumenta, a vantaggio della

prestazione; andando oltre una certa soglia di attivazione si ha un

ulteriore restringimento percettivo con l’esclusione sia di stimoli

importanti che irrilevanti a scapito della prestazione. Lo stato di

ottimale di arousal dipende inoltre dalle caratteristiche individuali e

dalle abilità del soggetto.

Ansia. Weinberg e Gould (1995) definiscono l’ansia come uno stato

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emozionale negativo accompagnato da nervosismo, preoccupazione,

oppressione associati ad un aumento dell’attivazione corporea.

Spielberger (1966) distingue l’ansia di stato e l’ansia di tratto. L’ansia

di stato è concettualizzata come una condizione dell’organismo

transitoria e specifica in un particolare momento. L’ansia di tratto

invece è una caratteristica stabile e duratura della personalità, una

predisposizione a reagire a molte situazioni con un alto livello di ansia

di stato. Una seconda distinzione prende in considerazione le

manifestazioni soggettive degli stati ansiosi. L’ansia cognitiva è la

componente mentale che origina da attese negative, paura delle

conseguenze, scarsa fiducia.L’ansia somatica è la componente

collegata all’attivazione dell’organismo e si manifesta con risposte

fisiologiche quali l’incremento del battito cardiaco, dispnea,

sudorazione, tensione muscolare. Si può parlare anche di ansia

competitiva di stato che è l’insieme di risposte fisiologiche e psichiche

dell’organismo in situazioni competitive come reazione a percezioni

di pericolo o danno potenziali o reali. L’ansia competitiva di tratto

invece è la tendenza a percepire situazioni competitive come paurose

o pericolose e a rispondervi con ansia di stato.

Stress. È un processo derivante dalla percezione di un sostanziale

squilibrio fra richieste ambientali e capacità di risposta dell'individuo,

che sente questa sua inadeguatezza potenzialmente pericolosa,

incrementando così i livelli di ansia di stato.

Per misurare questi stati emozionali sono stati studiati diversi tipi test

tra questi: lo STAI (State Trait Anxiety Inventory ; Spielberger 1970)

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che è l'autovalutazione più usata, lo SCAT (Sport Competition

Anxiety Test ; Martens 1977) che misura l’ansia competitiva di tratto,

e lo CSAI (Competitive State Anxiety Inventory Martens 1990) e lo

SCAT 2 (Martens 1982) che misura l’ansia competitiva di tratto.

Pressione. Pressione è un termine molto usato tra giocatori e

allenatori (soprattutto nel tennis) per definire lo stress. Questa

pressione non causa automaticamente un decremento della

prestazione, dipende molto dall’interpretazione del giocatore sulla

situazione di stress.

2.4 Il controllo dei pensieri.

Controllare gli aspetti cognitivi del comprtamento è fondamentale

anche per ottenere un’alta prestazione nel tennis.

Ora concentreremo maggiormente l’attenzione su alcune abilità

mentali: credere in sè (self-efficacy) e attribuzione di causalità.

Credere in sè (self efficacy).

Bandura (1977) ha introdotto il concetto di self-efficacy per definire la

fiducia nelle capacità personali di eseguire un compito con esito

positivo attraverso l’espressione di abilità. Diversi studiosi hanno

analizzato la relazione tra self-efficacy e prestazione e la possibilità di

incrementare tali aspettative tramite quattro fonti principali: la

realizzazione di prestazioni (le esperienze vissute come successo

aumentano la self-efficacy, quelle negative la fanno abbassare),

esperienze sostitutive (osservando dei modelli o delle dimostrazioni),

persuasione verbale (spesso gli allenatori ricorrono a questi tipi di

rinforzi per influenzare positivamente il comportamento dell'atleta,

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possono essere utili come stimolo iniziale ma perdono di efficacia se

vengono usati a sproposito), arousal emozionale (percezioni

dell’arousal possono influenzare dei comportamenti alterando le

aspettative di efficacia). Molte ricerche hanno valutato la self-efficacy

nei tennisti; il metodo più usato per misurarla è il PSE (Physical Self

Efficacy Scale) di Ryckman (1982).

2.5 L’attribuzione di causalità

Weiner (1985) postula la teoria dell'attribuzione, affermando che gli

individui valutano i propri risultati in termini di causalità e considera

l’influenza che tali valutazioni hanno sulle reazioni emotive e sui

comportamenti futuri. Gli atleti ad esempio per spiegare una loro

prestazione positiva o negativa, possono adottare diverse ragioni: la

bravura dell'avversario, la fortuna o la sfortuna, l’arbitro ecc. Esse

sono incluse in tre dimensioni fondamentali:

• direzione. Le ragioni di successo o insuccesso sono individuati

nelle proprie capacità (attribuzione interna) oppure sono attribiute

ad altri fattori non collegati alla persona (attribuzione esterna);

• stabilità. La causa della prestazione è considerata più o meno

stabile nel tempo;

• controllabilità. La persona sente di poter controllare o meno i

fattori che determinano la sua prestazione.

Le reazioni emotive agli eventi sono in genere precedute da una

valutazione cognitiva di quanto è accaduto o del risultato; cioè

l’indivuduo cerca di darsi una spiegazione dei fatti attribuendoli a

cause specifiche e di conseguenza si generano paricolari risposte

25

emotive. La direzione di causalità in genere comporta emozioni

autodirette collegate all'autostima, il controllo invece genera

sentimenti diretti verso gli altri negativi o positivi, la stabilità sembra

generi stati emotivi legati al tempo (speranza , paura).

Figura 5 - Attribuzione di causalità ( Biddle e Fox , 1988 modificato).

26

2.6 Controllo dell'attenzione.

La concentrazione è un’abilità che si compone di diversi elementi, può

sinteticamente essere definita come la capacità di focalizzare

l’attenzione su un compito per un certo periodo di tempo senza essere

influenzati da stimoli non pertinenti. Le operazioni cognitive in

sintesi sono costituite da:

- raccolta di informazioni esterne e interne attraverso gli organi di

senso (analizzatori) importanti per il movimento (visivo, uditivo,

cinestesico, vestibolare e tattile);

- elaborazione delle informazioni (confronto delle informazioni in

entrata con quelle già depositate in memoria; attivazione di processi

decisionali, scelta e programmazione della risposta);

- esecuzione e controllo della risposta.

Le connessioni tra prestazione e attenzione sono state approfondite da

due teorie, quella cognitivista si è occupata degli aspetti cognitivi

dell'attenzione (selettività, capacità, automatismo) e quella

psicosociale che ha studiato le caratteristiche individuali e

dell’ambiente che influiscono sull’attenzione.

Teoria cognitivista. In situazioni sportive quindi anche nel tennis

l’atleta è continuamente bombardato da una grande quantità di stimoli

che però non possono essere recepiti ed elaborati tutti

contemporaneamente dato che le capacità umane sono ridotte, quindi

attraverso la selettività solo alcuni stimoli interni o esterni verranno

considerato a scapito di altri che saranno ignorati. La selettività

dell’attenzione qundi è una caratteristica cognitiva molto importante

ed è quella che contraddistingue il giocatore esperto da quello

27

dilettante. Parlando di elaborazione delle informazioni possiamo

anche considerarle in termini di capienza o spazio di elaborazione,

date le scarse capacità dei processi attentivi, la possibilità di svolgere

più compiti contemporaneamente dipende da quanto spazio viene

occupato da ogni singolo compito. Ad esempio un tennista esperto che

esegue un attacco e una discesa a rete, eseguirà il colpo d’approccio in

maniera quasi automatica mentre la sua attenzione sarà rivolta alla

tattica da eseguire, alla posizione dell’avversario ecc. Nel tennista

dilettante, invece, i processi elaborativi saranno quasi completamente

impegnati nell’esecuzione del colpo e poco spazio sarà dato per la

componente tattica e strategica del colpo.

Teoria psicosociale. L’interesse di queste teoria è rivolto allo studio

sull'influenza di fattori cognitivi sulla prestazione come la

preoccupazione, l’eccessiva analisi, le caratteristiche individuali e

quelle relative all’ambiente. Le azioni o programmi motori

consolidati sono guidati da processi elaborativi automatizzati e un uso

inappropriato di processi cognitivi coscenti produce effetti deleteri

sulla prestazione; quest’ultimi, infatti, non contengono informazioni

inerenti le contrazioni muscolari e la coordinazione motoria. Allo

stesso modo, pressione, paura, timore dell’insuccesso, sono fattori che

inducono l’atleta a “controllare” la prestazione e inducono a pensieri

negativi con il risultato di peggiorare la performance. Secondo

Nideffer (1976) ogni persona possiede una particolare stile attentivo

abbastanza stabile nel tempo, poco modificabile; tuttavia vi sono poi

aspetti dell'attenzione che sono specifici alle situazioni sportive su cui

si può lavorare.

28

Nideffer (1986, 1989, 1993) ha individuato due dimensioni

dell’attenzione:

– l’ampiezza, che definisce l’attenzione lungo un continuum ampio-

ristretto con possibili variazioni tra i due estremi

– la direzione che può essere interna o esterna rispetto all’individuo

29

Figura 6 - Dimensioni dell'attenzione (Nideffer 1976, 1978 modificato)

Ogni sport richiede una particolare combinazione di ampiezza e

direzione. In generale, in discipline open, con situazioni sempre

diverse e rapidi cambiamenti, l’atleta ha bisogno di uno stile attentivo

esterno ampio o ristretto; in discipline closed, invece, assume più

importanza la dimensione interna dell’attenzione.

Molti sport come il tennis invece richiedono che l’atleta sappia

modificare spesso e molto rapidamente il focus attentivo sia in

ampiezza che in direzione.

Nella figura 7 Prapavessis (1993) propone tre categorie di fattori

distraenti l’attenzione nei tennisti.

30

Figura 7 - Fattori distraenti nel tennis (Prapavessis ,1993)

L'attenzione è anche in stretto collegamento con il livello di arousal

dell’atleta: a un basso livello di attivazione corrisponde un’attenzione

molto ampia che lascia passare sia stimoli pertinenti che irrilevanti, a

un livello di attivazione medio invece l'attenzione si restringe per

captare solo le informazioni pertinenti, aumentando ulteriormente

l’arousal si restringe di molto il campo percettivo con il risultato di

perdere anche stimoli rilevanti.

31

Figura 8 - Ricezione degli stimoli e relazione arousal-prestazione

(Landers, 1980, modificato)

Per misurare lo stile attentivo dell'atleta Nideffer propone il

TAIS(Test of Attentional and Interpretation Style) ma non essendo

specifico per nessuno sport non ha un grande valore predittivo.

Van Schoyk e Grasha (1981) hanno elaborato una versione del TAIS

specifica per i tennisti per misurare la loro capacità di concentrazione.

Modalità alternative di indagine prevedono la verbalizzazione dei

pensieri durante la prestazione, l’analisi dei tempi di reazione in

compiti complessi, la registrazione dei movimenti oculari ed il

monitoraggio di parametri fisiologici.

2.7 Le abilità immaginative.

Gli atleti utilizzano spesso e senza che nessuno abbia insegnato loro

particolari tecniche, attività immaginative per anticipare, rivedere o

32

correggere la loro prestazione. In uno studio condotto da Hall,

Rodgers e Barr (1990) su molti atleti di diverse discipline si notava

come la maggior parte di essi impiegava immagini specifiche per

prepararsi mentalmente, e più alto era il livello tecnico dell’atleta, più

spesso venivano impiegate. L’immaginazione è considerata come la

riproduzione parziale o globale, con un certo grado di realismo, di una

precedente esperienza percettiva in assenza della stimolazione

sensoriale originale. Le immagini possono essere di tre tipi (Hove

1991):

– riproduttive, quando evocano un’azione già eseguita

– creative, quando rappresentano un comportamento non ancora

attuato

– emotive, quando generano sensazioni collegabili con il movimento

Frester (1984) definisce le funzioni della pratica immaginativa:

– programmatoria, per la scelta di un programma motorio da

svolgere attraverso l’immagine ideale dell’azione;

– allenante, per il perfezionamento e la stabilizzazione del gesto;

– regolatoria, nel controllo e nella correzione del movimento

Ipotesi teoriche. Molte ricerche e studi sono stati fatti da diversi

autori, ma i risultati non sempre hanno dato risposte conclusive o

soddisfacenti.

Teoria psiconeuromuscolare. Secondo questa teoria le attività

motorie immaginate vividamente producono impercettibili

stimolazioni nervose, registrabili con elettromiografo, ai muscoli

coinvolti nell’attività ed altri tipi di risposte a livello cardiocircolatorio

e respiratorio, simili a quelli dell'esecuzione reale. Questi minuscoli

33

impulsi consoliderebbero la traccia di memoria del movimento

determinando un transfer positivo alle situazioni pratiche. In altre

parole le visualizzazioni attiverebbero allora, preparandole, le vie

nervose successivamente coinvolte nella trasmissione dell'impuso

motorio.

Teoria dell'apprendimento simbolico. Secondo questa teoria la

funzione principale della pratica mentale è di rafforzare gli aspetti

cognitivi del movimento. L’immaginazione agisce come un sistema di

codifica per comprendere e acquisire schemi di movimento; aiuta

l’atleta ad esaminare e capire meglio la prestazione e a modificarla

quando necessario.

34

Capitolo III

Tecniche di mental training

3.1 Rilassamento

All’interno di un protocollo di mental training è difficile non includere

un fase detta di “rilassamento”, in cui, attraverso specifiche

esercitazioni l’atleta raggiunge uno stato di equilibrio psico-fisico che

gli consente di addentrarsi in altre tecniche, o semplicemente di

beneficiare degli effetti di questo status psichico.

L'obiettivo del rilassamento è controllare il livello di attivazione al

fine di gestire stati d'ansia e di tensione psicofisica. Il rilassamento è,

probabilmente, tra le tecniche di preparazione mentale, quella più

conosciuta ed accettata. Nonostante ciò, tale pratica ancora troppo

spesso viene lasciata alla libera iniziativa del singolo atleta (che ne

sente il bisogno) e stenta a far parte sistematica dell'allenamento

psicofisico dell'individuo. I benefici che ne possono derivare sono

notevoli: dal miglioramento della qualità di tutto il periodo di

allenamento alla gestione ed ottimizzazione delle ore pre-gara fino

alla creazione di una base solida su cui instaurare un serio progetto di

preparazione mentale. Ecco riassunta una tabella che ne enuncia

alcune caratteristiche peculiari:

1. rallentamento della frequenza respiratoria e

regolarizzazione dei cicli respiratori

35

2. riduzione del consumo di ossigeno 3. rallentamento della frequenza cardiaca 4. aumento della resistenza cutanea 5. diminuzione del tono della muscolatura

scheletrica 6. vasodilatazione periferica 7. aumento della sincronizzazione dell'EEG cioè,

aumento della percentuale di onde alfa

La caratteristica fisiologica della reazione di rilassamento consiste

fondamentalmente in un abbassamento generale dell'intensità di

eccitazione della componente simpatica del sistema nervoso

autonomo ed in un aumento dell'attività della componente

parasimpatica che si manifesta attraverso:

variazione delle funzioni autonome (diminuzione pressione

arteriosa e della frequenza cardiaca, riduzione del diametro

pupillare, diminuzione della sudorazione e aumento dell'attività

motoria e secretoria del sistema gastrointestinale)

variazioni nervose centrali (aumentate sincronizzazioni dell'EEG e

ipotonia della muscolatura scheletrica)

variazione del comportamento, del vissuto e della coscienza

(inattività, obnubilamento e stato ipnagogico).

Le complesse reazioni fisiologiche che si manifestano durante il

rilassamento non devono essere confuse con quelle caratteristiche del

36

sonno. L'insieme delle risposte che costituiscono lo stato rilassamento

sono opposte rispetto alle reazioni di emergenza tipiche dei riflessi di

lotta e di fuga. Il rilassamento si identifica quindi attraverso una

riduzione della prontezza di eccitazione del tono simpatico.

A livello psicologico il rilassamento si manifesta mediante:

1. sensazione soggettiva di tranquillità e distensione 2. diminuzione della vigilanza 3. marcata indifferenza di fronte a stimoli interni ed

esterni

A livello neurofisiologico, durante lo stato di rilassamento è possibile

registrare una riduzione dell'attività della formazione reticolare e un

equilibrio tra il sistema reticolare (intensità) e quello limbico

(qualitativo-emozionale).

E’ importante sottolineare che lo stato di rilassamento non consiste

nel ridurre al massimo le funzioni fisiologiche, bensì nel

mantenere una condizione di equilibrio della loro interazione.

Vi sono molti metodi per ottenere una buon rilassamento: dal training

autogeno, al rilassamento di Jacobson, yoga, zen, ecc. Per effettuare

un buon rilassamento dobbiamo tener presente tre fasi da sviluppare e

successivamente abbinare tra loro. I modi con si può ottenere un buon

rilassamento sono diversi, basti pensare al Training Autogeno di

Schultz (in cui il termine Autogeno vuole mettere in risalto come le

modificazioni psichiche e somatiche vengono provocate

autonomamente dal praticante, adattando il metodo alle proprie

esigenze), al Rilassamento Progressivo di Jacobson (che prevede un

37

rilassamento generale dell'intero corpo ed un rilassamento

differenziale col quale si insegna, nei gesti della vita quotidiana, ad

utilizzare solo i muscoli impegnati in posture o movimenti, lasciando

rilasciati gli altri) o alle tecniche di origine orientale (quali lo joga e lo

zen). La cosa importante è che, a prescindere dalla tecnica utilizzata, il

soggetto deve raggiungere bene l'obiettivo: il controllo del livello di

attivazione psicofisica.

Le tecniche di rilassamento fisico e mentale consentono all'atleta non

solo di gestire l'ansia in vista della gara o durante questa, ma anche di

essere maggiormente presente e concentrato sulla competizione,

potendo accedere a tutte le sue risorse spesso bloccate da un eccesso

di tensione.

Una procedura di rilassamento può prevedere tre fasi differenti da

svilupparsi progressivamente:

1. Esercizi di contrazione-decontrazione di alcuni gruppi muscolari,

mantenendoli in tensione isometrica per alcuni secondi e

successivamente rilasciarli;

2. Concentrarsi sulla frequenza respiratoria, cercando di diminuirla,

con inspirazioni brevi ed espirazioni lente, con movimento

diaframmatico e respirazione addominale. Difatti. una

respirazione lenta segnala al cervello un momento di tranquillità,

con conseguente diminuzione delle funzioni vitali; al contrario,

se avessimo una respirazione veloce e frequente, il cervello

interpreterebbe lo stimolo come una situazione di pericolo, non

ideale quindi per rilassarsi;

38

3. Abbinare gli esercizi di contrazione-decontrazione muscolare

alla respirazione: partendo dalla parte bassa del corpo,

inspirando si contrae la muscolatura ed espirando la si rilassa.

Infine, è doveroso porre l'attenzione a quei soggetti affetti da disturbo

d'ansia generalizzata, disturbo da attacchi di panico, “depressione

mascherata”, claustrofobia, fobia specifica poiché il “settino” del

rilassamento potrebbe causare un certo disagio; in tale occasione (non

così rara anche in ambito sportivo) uno psicologo sportivo, con

competenze anche cliniche, troverà insieme all'atleta un modo

“personalizzato” per raggiungere, comunque, il controllo dello suo

stato di attivazione che rimane possibile e che, anzi, in queste persone,

assume una doppia valenza: terapeutica e di preparazione mentale.

3.2 Self talk

Self-Talk tradotto alla lettera vuol dire: ascoltare se stessi.

Durante un match, l'atleta parla a se stesso e, molto spesso, la natura di

questi dialoghi influenza l’esito della sua prestazione. Risulta dunque

necessario, innanzitutto imparare a riconoscere questi flussi di pensieri

negativi che impediscono la totale concentrazione sulla competizione,

per poi gestirli con opportune tecniche che permettono di bloccarli e

trasformarli.

Un’ulteriore definizione di Self Talk inteso come sub-vocalizzazione,

consiste nell’individuazione e nell’utilizzo mirato di parole stimolo

volte a favorire nel giocatore l’ottimizzazione dell’ esecuzione del

gesto tecnico della “self efficacy”(autoefficacia), e del livello ottimale

39

di performance di allenamento e gara. La struttura ed il contenuto di

alcuni specifici pensieri influenzano la prestazione in modo più

marcato rispetto ad altri. Il self talk, secondo questa definizione,

spinge l’atleta durante la gara ad evocare consapevolmente stati

psicologici positivi e produttivi che comportano una percezione di

autocontrollo e una sensazione di autoefficacia.

Generalmente viene considerato che parole, frasi o immagini di natura

positiva possono svolgere una funzione positiva sulla percezione di

efficacia che l'atleta ha di se stesso in una determinata situazione

sportiva. In effetti, è ragionevole credere che la struttura e i contenuti

di specifici pensieri influenzino la prestazioni più di altri:

1. affermazioni rilevanti per il compito (aspetti tecnico-tattici);

2. parole chiave riguardanti l'umore (singole parole a forte

contenuto emotivo-affettivo);

3. affermazioni positive (parole significativamente positive).

Nell’applicare questa tecnica, i "promemoria psicologici" consistono

quindi in simboli o parole chiave il cui scopo funzionale è quello di

richiamare sensazioni associate a ciò che si intende pensare, sentire o

fare. Il self talk viene quindi suggerito attraverso apposite parole-

stimolo che aiutano l'atleta a focalizzare l'attenzione su aspetti chiave

della prestazione, nel caso specifico, durante l’andamento di un match,

e ad evocare volontariamente stati chiave psicologici positivi e

produttivi, comportando una percezione di autocontrollo e di

autoinduzione emotiva. La procedura consiste nel definire ed

evidenziare un simbolo (una parola specifica o una frase), annotarla,

cercare di visualizzarla, e tenerla impressa nella mente. Ogni qual

volta che si indirizza la propria attenzione al simbolo o si pensa alla

40

parola presa in considerazione, verranno sperimentati i pensieri e le

azioni associate allo stato che si vuole raggiungere. La reiterazione e

l’intensità delle sensazioni che si associano allo specifico simbolo o

parola, renderanno quest'ultimo un efficiente promemoria.

In tal modo, si intuisce come il self talk, da una parte, possa costituire

una forma di controllo attentivo, e indirizzi l'attenzione verso segnali

più inerenti e rilevanti rispetto al compito, dall'altra, sia inscildibile

dalla corretta applicazione del “pensiero positivo” assieme al quale

trova la massima espressione.

3.3 Goal setting

Goal setting vuol dire formulazione degli obiettivi.

Durante il susseguirsi delle stagioni di competizione e di preparazione,

la mole degli impegni diviene consistente, ed in alcuni casi l’atleta

finisce per smarrire le giuste coordinate stabilite a priori per il

raggiungimento degli obbiettivi finali.

Frequentemente gli atleti non sono in grado di definire accuratamente

un'adeguata scala degli obiettivi da perseguire durante il corso della

stagione agonistica. Questa difficoltà nel pianificare gli specifici

standard di abilità da raggiungere in un compito, ed in sostanza nel

valutare il giusto livello di performance da ottenere, può

compromettere l'esito di una stagione, con la possibilità di

ripercuotersi sul resto della carriera. La suddetta programmazione

degli obiettivi deve essere suddivisa in sub-obiettivi a breve, medio e

lungo termine, motivando l’atleta ad un miglioramento graduale della

prestazione.

41

I livelli di motivazione, determinazione, impegno, perseveranza e

coinvolgimento di un atleta sono strettamente correlati alla natura e al

tipo di obiettivi che si è posto, in particolare dal loro essere più o

meno generici e più o meno significativi per l'atleta stesso. Gli

obiettivi, infatti, focalizzano l'attenzione, facilitano la concentrazione,

motivano alla performance, creano la sfida e forniscono un'occasione

per analizzare e valutare le proprie abilità.

Attraverso la tecnica del goal setting diverrà possibile la

pianificazione non solo degli obiettivi generici, bensì dei "buoni

obiettivi", caratterizzati da fattori determinati. Gli obiettivi specifici e

significativi per l'atleta, capaci di catalizzare la motivazione che si

trasforma in determinazione, e di dare forma e direzione all'azione

concreta.

Nell’applicazione di questa tecnica, è possibile definire differenti

tipologie di obbiettivi:

OGGETTIVI: cioè misurabili, come ad esempio vincere un

determinato numero di matches, o raggiungere una determinata

posizione in classifica ecc.

SOGGETTIVI: non misurabili (divertirsi, compiere il gesto tecnico il

più preciso possibile, ecc …)

Ed inoltre, il passo successivo alla definizione degli obbiettivi

riguarda il loro indirizzo:

al risultato: vincere una gara;

al miglioramento della performance;

Inoltre possono essere indirizzati:

a. sul piano individuale (per esempio all’incremento di parametri

come: resistenza, velocità, esecuzione del gesto tecnico…)

42

b. del team (facendo riferimento ad un contesto di squadra che

però poco si addice al tennis, che rappresenta in modo

emblematico un esempio di sport individuale)

Nell’organizzare questa “tabella” di obbiettivi è necessario riscontrare

un’ulteriore sfaccettatura:

Specificità (pianificando cosa deve essere fatto);

Realismo (alla portata delle nostre capacità);

Valutabilità (potendo quantificare gli obiettivi);

Timely (mettendo una scadenza per raggiungere determinati

obiettivi a breve-medio – lungo termine);

Strategia (riguardante aspetti puramente tecnico-tattici).

Vi possono essere dei momenti meno consoni al raggiungimento dei

goal prestabiliti; questi devono essere individuati e possono essere di

tipo:

Psicologico (mancanza di sicurezza o di impegno);

Motivazionale (perdita di interesse);

Fisico (infortuni, malattie);

Esterno (variabilità atmosferica, problemi familiari).

3.4 Pensiero positivo

Ogni individuo osserva e vive la realtà di tutti i giorni interpretando le

situazioni quotidiane secondo il proprio punto di vista. I meccanismi

che rendono possibile la continua categorizzazione di fatti e eventi

sono influenzati dalla propria matrice visiva, che imprime la sua

personale impronta, positiva o negativa, ad ogni nuova circostanza. Il

modo di osservare un dato evento assume quindi un carattere di

43

assoluta individualità, e succede che ciò che, inizialmente, sembra

essere solo una predisposizione poi diventa inevitabilmente

un'abitudine. E' proprio così, nella grande differenza interindividuale,

c'è chi spontaneamente, aprendo la porta di una stanza sconosciuta

(come la vita), guarda (o cerca) prevalentemente gli oggetti, gli arredi,

le cose piacevoli e chi, invece, altrettanto naturalmente, guarda (o

cerca) prevalentemente gli oggetti, gli arredi, le cose spiacevoli. Il

perché di questa visione della realtà è, certamente, radicato su

dinamiche psicologiche complesse che, a seconda dei casi, poi trova

conferme e/o disconferme nell'esperienza della quotidianità. Una

verità maggiormente eclatante è che in ogni individuo,

inequivocabilmente, il positivo c'è. In alcune persone risulta essere

palese, evidente ed in bella mostra, in altri individui emerge solo dopo

un accurato lavoro d’indagine, ma risulta comunque presente. Il

pensiero positivo, quindi, prima ancora di essere una tecnica di

preparazione mentale, si può considerare una “filosofia di vita”.

Ignorando quest’approccio interiore, senza cioè ricercare il positivo

esistente negli altri, diviene complesso e probabilmente improduttivo

l’utilizzo di questa tecnica di mental training. Si cadrebbe,

empaticamente, in contraddizione.

La tecnica. Per riuscire a mettere in atto questa tecnica, è

fondamentale il ruolo dello psicologo sportivo, che deve conoscere

profondamente l'atleta al fine di comprendere meglio quale sia la sua

predisposizione iniziale "a pensare positivo". Bisogna intuire come

l'individuo, che si accinge a prepararsi, vive gli eventi positivi e quelli

negativi, è necessario quindi riuscire a scorgere il suo stesso punto di

vista, interpretando empaticamente la realtà. In seguito a cosa, a suo

44

avviso, si è vinto o perso. Bravura, fortuna, fatalità? Anche attraverso

l’osservazione e l’analisi di questi piccoli elementi lo psicologo può

valutare il livello di autostima dell'atleta e l'autoefficacia (autostima

gesto-specifica)partendo dall’assunto che chi pensa spesso in negativo,

probabilmente, ha un basso livello di autostima. Attraverso un dialogo

psicologo/atleta diviene possibile aiutarlo a cercare ciò che di lui è

positivo per poi cominciare a "tirarlo fuori". E' un allenamento

continuo: spostare e allontanare il negativo, vedere e pensare positivo,

annientare i pensieri neri, ponendo risalto solo a quelli chiari.

Al termine di questa pratica, applicata tenendo conto di tutti i fattori

l'atleta scopre di aver appreso a pensare positivo. E siccome il

pensiero positivo è "contagioso", senza rendersene pienamente conto,

l'atleta comincia ad insegnare a pensare in positivo a chi sta accanto a

lui. L’avverarsi di questa circostanza funge da prova finale per lo

psicologo nella valutazione dell’efficacia del suo intervento.

3.5 Training autogeno

Il training autogeno è una tecnica di rilassamento. Fu sviluppato nel

corso degli anni Trenta da Johannes Heinrich Schultz, psichiatra

tedesco, che nei suoi precedenti studi aveva profondamente analizzato

l’ipnosi. Il training autogeno ha lo scopo di rendere i propri pazienti

indipendenti dal terapeuta per sviluppare il proprio benessere. Il

termine training, dall’inglese, significa esercizio; infatti è solo

esercitandosi che si riescono a raggiungere il vero rilassamento

corporeo. Il termine autogeno indica, invece, come i cambiamenti

psichici scaturiscano dal praticante stesso e non sono generati da

45

un'operatore (psicologo/psicoterapeuta/medico), se non in fase iniziale

di apprendimento della tecnica. Lo scopo principale di questa tecnica

di mental training è l'eliminazione dello stress, dell'ansia, scaricare la

tensione e favorire il recupero delle energie. Questa tecnica è indicata

per atleti e sportivi in genere in quanto favorisce il recupero di energie

permettendo una migliore gestione delle proprie risorse, migliora la

concentrazione e contribuisce al conseguimento di alte prestazioni.

Proprio enunciando queste caratteristiche risulta assolutamente

appropriato abbinare questo strumento di preparazione mentale ad uno

sport così intenso, dal punto di vista psichico, come il tennis.

Il training autogeno agisce come strumento di cambiamento a tre

livelli:

1. A livello fisiologico, favorendo un riequilibrio del Sistema

Nervoso Vegetativo e del Sistema Endocrino, entrambi in stretta

correlazione con gli aspetti emotivi;

2. A livello fisico, incrementando lo stato di benessere e di salute

generale;

3. A livello psicologico, aiutando a ristrutturare le proprie reazioni

negative e migliorando alcuni vissuti psicologici.

Attraverso il training autogeno si crea un crescente equilibrio

psicofisico, soprattutto su quelle funzioni psicosomatiche che sono

mediate dal cosiddetto Sistema Nervoso Autonomo. Gli esercizi infatti

tendono a mettere a riposo quella parte di tale struttura che garantisce

l’attivazione psicofisiologica e diminuiscono quegli eccessi di alcuni

ormoni, come l’adrenalina, che si riversano nel sangue in condizioni

di stress.

46

Allo stesso modo l’allenamento autogeno permette di passare

gradualmente ad una maggiore consapevolezza (e una conseguente

possibilità di controllo) delle attività muscolari involontarie (es.

respirazione), liberandole sempre di più del controllo volontario

negativo che costringe a stati di stress alcuni muscoli volontari.

Il carico di tensioni fisiche e psicologiche accumulate viene scaricato

attraverso le cosiddette “scariche autogene”, ossia quei fenomeni

transitori di origine psicologica o somatica che tendono a manifestarsi

in modo decrescente fino a sparire completamente nel corso

dell’allenamento autogeno e che sono connesse alla possibilità del T.A.

di liberare e decongestionare le aree cerebrali sovraccaricate dallo

stress. Per questo spesso, nelle fasi iniziali dello svolgimento degli

esercizio di training autogeno, si possono verificare scariche motorie

(movimenti involontari, tosse, riso, spasmi), scariche uditive (ronzii,

fischi, rumori), scariche vestibolari (vertigini, senso di galleggiamento)

o ancora scariche affettive (emozioni di vario tipo positive o negative).

Di qualunque tipo siano le scariche autogene esse in genere

interessano aree somatiche (muscoli, vista, ecc.) o aree psicologiche

(affetti, pensieri, ecc.) sovraccariche di tensione che in tal modo viene

diminuita gradualemente.

Altri processi neuropsicologici importanti sembrano inoltre intervenire

nella fase di allenamento al cambiamento psicofisico prodotta

attraverso il “training autogeno”.

Esercizi e utilita’ del training autogeno

Gli esercizi del training autogeno

vanno distinti in due categorie:

1. Training Autogeno Inferiore

47

2. Training Autogeno Superiore

Nella prima area rientrano sei esercizi di base, due fondamentali e

quattro complementari, tutti eseguiti dopo l’esercizio propedeutico.

1. “l’esercizio della calma” - fase propedeutica, di introduzione

agli altri esercizi. Attraverso il raggiungimento di uno stato

iniziale di “calma” in cui si riesce a mettere da parte ogni

preoccupazione ed ogni pensiero diviene possibile sperimentare

in modo adeguato ed efficace gli altri esercizi.

Tale esercizio risulta molto utile per imparare a controllare stati di

ansia generalizzata o di confusione e panico poiché consente di

accrescere la capacità di convogliare all’interno quelle energie mentali

che tendono a disperdersi verso l’esterno, guidate da forze centripete

che catturano l’attenzione su elementi che alimentano vissuti e

pensieri negativi.

2. “esercizio della pesantezza” - rappresenta un utile strumento

per ottenere uno stato generale di rilassamento muscolare e

consente di prendere consapevolezza di tensioni muscolari

inconsapevoli e di vissuti psicologici che tendono a crearle e

quindi a generare delle problematiche psicosomatiche quali

dolori, crampi. Esso, pertanto, risulta estremamente utile per

affrontare problematiche del dolore, cefalee muscolo-tensive,

disturbi da stress, vertigini derivanti da tensioni accumulate sul

collo o per combattere l’insonnia.

3. “esercizio del calore” - consente di ottenere dei cambiamenti a

livello della circolazione nei vari distretti muscolari,

approfondendo lo stato di rilassamento che è possibile ottenere

attraverso il precedente esercizio, poiché accresce il

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rilassamento e anche la mobilità muscolare. Questo esercizio è

utile per coloro che soffrono di disturbi legati alla cattiva

circolazione e può essere un valido strumento di riscaldamento

mentale dei muscoli che devono essere impegnati in uno sforzo

fisico.

4. “esercizio del cuore” - ci si mette in contatto con il proprio

ritmo interiore di vita e con la parte che simbolicamente viene

designata come “il centro delle emozioni”. E’ un esercizio non

sempre facile da eseguire e strettamente importante per favorire

il contatto e la graduale accettazione sia della propria vita

affettiva-emotiva, sia della natura umana. I risultati che possono

essere ottenuti praticandolo correttamente hanno importanti

ricadute positive nell’alleviare le somatizzazioni che riguardano

problematiche circolatorie centrali, come la tachicardia, che

nascono da situazioni ansiogene e che sono una delle

componenti fondamentali del cosiddetto Disturbo da Attacchi di

Panico.

5. “esercizio del respiro” - si impara a lasciare che la funzione

respiratoria non venga influenzata da aspetti psicologici che

tendono a modificarla alterandola. Anche questo esercizio è

molto utile in caso di problemi somatici legati all’ansia, poiché

questi ultimi tendono sempre a manifestarsi con una ricaduta sul

ritmo respiratorio che in genere viene accelerato, producendo

scarsa ossigenazione e sintomi conseguenti come capogiri o

sensazione di svenire.

6. “esercizio del plesso solare” - è un esercizio coinvolge molti

organi interni quali intestino, fegato, pancreas, milza, rene e

49

surrene, che convogliano tutti verso lo stesso ganglio nervoso

che media il loro funzionamento. Eseguito con una mano sul

ventre fino alla parte finale dello sterno per aumentare il

contatto e la consapevolezza della zona su cui si lavora, questo

esercizio consente sia di lavorare per favorire un migliore

funzionamento degli organi vitali coinvolti, che per ridurre le

tensioni di natura psicologica che spesso sono alla base di

gastriti e problemi digestivi.

7. “esercizio della fronte fresca” - che completa efficacemente

un rilassamento generalizzato, consente di lavorare sia sulle

problematiche somatiche connesse alla cattiva circolazione

cerebrale, poiché agevola una vasocostrizione e quindi un

controllato afflusso del sangue al cervello, sia su quelle

problematiche psicologiche che sono avvertite e vissute come

“calore e sovraccarico della mente”.

Il passo successivo alla fase riguardante tutti gli esercizi del Training

Autogeno Inferiore, è possibile eseguire un’ulteriore parte di specifici

esercizi che appartengono al Training Autogeno Superiore.

Per apprendere correttamente questa tecnica si può ricorrere ad un

operatore specializzato, nel caso specifico, di uno psicologo sportivo.

Infine, esiste anche la possibilità di seguire un vero e proprio percorso

psicoterapeutico con specialisti che utilizzano la cosiddetta

“psicoterapia autogena”.

50

Ambiti di applicazione della tecnica

L’approfondimento della conoscenza degli esercizi di base del

Training Autogeno permette di comprendere meglio le innumerevoli

possibilità applicative che sono state sviluppate rispetto all’uso

originario di tale metodo.

Il training autogeno, infatti, nasce originariamente in campo clinico

psicologico e psicosomatico per affrontare problematiche quali:

disturbi funzionali e somatizzazioni di tipo neurovegetativo(cefalee,

tachicardie, problemi circolatori e respiratori, disturbi digestivi);

fobie e disturbi d’ansia;

tic o balbuzie;

disturbi del sonno (insonnia, apnee).

Attualmente uno dei campi più importanti di applicazione di questa

tecnica è quello della psicologia dello sport e della preparazione

mentale degli atleti (Bassi G.B., Bonfanti M., Arcelli E.) che riguarda

sia intere squadre sportive (di calcio basket, pallacanestro, pallanuoto)

che atleti che praticano sport individuali in cui alcuni esercizi risultano

utilissimi sia alla performance che alla riduzione che al recupero di

alcuni infortuni. È il caso del tennis, in cui si rivela efficacissima

anche per il controllo della concentrazione.

3.6 Concentrazione - Gestione dell’arousal

Esistono due tipi di concentrazione:

51

• l’attenzione spontanea (involontaria), che è catturata da ciò che

si muove nell’ambiente esterno attorno all’atleta;

• l’attenzione conativa (volontaria), focalizzata su un

determinato stimolo, ed è proprio questa seconda tipologia che

bisogna sviluppare e ottimizzare per la performance nella gara.

Riguardo all’argomento sono stati condotti diversi studi, in

particolar modo lo stile attentivo ha interessato Neideffer che,

nell’anno 1993 ha elaborato un importante modello riportato nella

figura 1

52

Il Focus attentivo può essere:

- ESTERNO AMPIO (Aware) specifico dei giochi di squadra e/o

delle categorie "open skill";

- ESTERNO RISTRETTO (Focused) tipico delle discipline o delle

azioni motorie "closed skill";

- INTERNO AMPIO ( Strategic) caratteristico delle pianificazioni di

gara o di determinate tipologie di pausa all'interno della stessa;

- INTERNO RISTRETTO (Systematic) tipico dell'allenamento

ideomotorio.

Mantenere un buon livello di concentrazione vuol dire controllare i

processi motori di pensiero, dirigere e conservare l'attenzione su un

determinato compito per una esatta esecuzione potenziando le capacità

53

di selezionare gli stimoli su cui focalizzare l'attenzione, escludendo

quelli ininfluenti; dirigere l'attenzione al momento appropriato verso

le informazioni pertinenti; mantenere l'attenzione sugli stimoli

rilevanti.

Il perfezionamento e la gestione volontaria della capacità di

concentrazione si ottengono attraverso il training propriocettivo e le

procedure di rilassamento, andando così a costituire un insieme di

abilità sinergiche ed interconnesse e rappresentando le condizioni

necessarie per la buona riuscita delle successive fasi di visualizzazione

e ripetizione ideomotoria.

Gestione dell'Arousal (Gestione dell'attivazione fisiologica)

Con il termine arousal è indicata in psicofisiologia l'intensità

dell'attivazione fisiologica e comportamentale dell'organismo: quando

l'organismo deve effettuare una prestazione deve attivarsi, cioè

mettere in moto una serie di processi caratteristici dello stato di

arousal quali l'aumento della vigilanza e dell'attenzione, l'attività dei

muscoli che si preparano allo sforzo ed il cuore e i polmoni che si

preparano al dispendio di energia. E' di fondamentale importanza per

un atleta raggiungere e mantenere il suo livello ottimale di attivazione

psicofisiologica in ogni circostanza, allenandosi con delle semplici

tecniche di attivazione o disattivazione secondo le esigenze.

Focalizzazione dell'attenzione e concentrazione (Focusing)

La concentrazione è la capacità di focalizzare l'attenzione su un

compito per un determinato periodo di tempo, senza essere distolti da

54

fattori distraenti interni (ad es. pensieri negativi) ed esterni (ad es. il

rumore della folla). Incremento della motivazione e dell'autostima.

L'acquisizione di fiducia in sè è la vera chiave della motivazione: se

l'atleta ha fiducia in sè e in quello che è in grado di fare non solo è

motivato, ma accresce le sue probabilità di avere successo. Fino a

quando l'atleta cercherà solo nell'ambiente esterno di soddisfare i suoi

bisogni di sicurezza, stima ed approvazione, la vittoria gli sfuggirà,

poichè il suo senso di identità personale sarà dipendente da fattori

esterni di cui avrà bisogno. Il passaggio avviene quando l'atleta inizia

a scoprire queste qualità dentro di sè. Invece di cercare approvazione

trova il suo senso di intimo valore. Diventa abbastanza sicuro di sè da

essere in grado di comprendere di essere un giocatore valido anche se

commette degli errori.

3.7 Visualizzazione e imagery

“Se vuoi essere un campione, devi aver vinto nella tua mente ogni tua

gara, cento volte prima vincerla nella realtà!” (Marti Liquori)

Tra le tecniche più adottate in psicologia dello sport, per incrementare

la performance degli atleti, una delle più interessanti è l'imagery, che,

analizzando semplicemente il significato del termine inglese, si basa

sulle immagini usate per allenare l'atleta mentalmente. Prima di tutto

l'imagery è definita come una visualizzazione o ripetizione o

immaginazione che può coinvolgere uno o più sensi (Liggett &

Hamada).

Secondo Cei (1987) immaginare è un'attività che coinvolge non solo

la vista ma anche il tatto, l'udito, i muscoli, insomma “è un pensiero di

55

tutto il corpo”.

Nel loro articolo del 1993, Liggett e Hamada, fanno una distinzione

tra imagery mentale ed imagery cenestesica. L'imagery mentale

consiste nel vedersi da soli eseguire la prestazione, nel caso degli atleti,

come se si stesse guardando un film o un video della loro stessa

prestazione. Nell'imagery cenestesica, l'immaginazione diventa più

intensa o più profonda, l'atleta sente realmente il movimento nei

muscoli e sperimenta le emozioni della performance; rispetto a quella

mentale, l'imagery cenestesica è più efficace a causa degli impulsi, più

intimamente confrontabili a quelli dell’evento reale che vanno ai

muscoli.

Frester (1984) chiama allenamento ideomotorio "…tutte quelle forme

di esercitazione nelle quali si ha un'autorappresentazione mentale,

sistematicamente ripetuta, e cosciente dell'azione motoria che deve

essere appresa, perfezionata, stabilizzata o precisata, senza che si

abbia un'esecuzione reale, visibile esternamente, di movimenti parziali

o globali." Il funzionamento dell'allenamento ideomotorio si basa sul

fenomeno, noto anche come “effetto Carpenter” che a sua volta, si

fonda sul fatto che immaginare un movimento determina una

stimolazione, seppure molto lieve, dei muscoli interessati dall'attività

immaginativa. Le stimolazioni non arrivano ad una contrazione

esternamente visibile ma possono essere registrate attraverso il

potenziale elettrico muscolare (EMG). Il risultato sarebbe un rinforzo,

un consolidamento della traccia mnestica nella memoria del

movimento, il che faciliterebbe la successiva esecuzione concreta

Le tecniche di visualizzazione e di allenamento ideomotorio

consentono all'atleta di rilassarsi e di apprendere nuovi gesti o

56

perfezionare quelli già appresi. Poiché questi esercizi richiedono

all'atleta di riuscire a mantenere delle immagini mentali stabili o a

seguire il loro corso nell'esecuzione mentale di un gesto, intervengono

anche nel miglioramento della concentrazione durante l'esecuzione del

gesto stesso.

Gli atleti vengono progressivamente allenati alla rappresentazione

mentale di immagini visive, inserendovi stimoli immaginativi

polisensoriali e favorendo in questo modo un maggiore

coinvolgimento emozionale e cognitivo da parte del soggetto. La

capacità di visualizzare comprende alcune attività applicabili allo

sport, fra cui l'osservazione di altri atleti in azione (dal vivo o

videoregistrati) seguita dalla ripetizione immaginata delle sequenze

motorie (allenamento ideomotorio); il passo successivo consisterà

nell'esecuzione pratica dell'atleta del movimento prima osservato e poi

visualizzato. La tecnica dell'Imagery, preceduta sempre da una breve

seduta di rilassamento, viene anche utilizzata prima della gara come

momento di concentrazione e di visualizzazione del percorso

tecnico/tattico.

Definizione. Rappresentazione mentale sistematicamente ripetuta e

cosciente dell'azione motoria (Frester, 1985)…che deve essere appresa,

perfezionata o stabilizzata, senza che vi sia una esecuzione reale,

visibile esternamente, di movimenti parziali o globali (Corbin,

1972).Un'altra definizione è quella di Richardson (1969): l'imagery si

riferisce a tutte quelle esperienze quasi-sensoriali e quasi-percettive di

cui siamo coscienti e che per noi esistono in assenza di quelle

condizioni di stimolo che realmente determinano quelle specifiche

reazioni sensoriali e percettive.

57

Le caratteristiche principali, quindi dell'allenamento ideomotorio

sono:

capacità individuale di provare sensazioni in assenza di stimolo

consapevolezza nell'esecuzione di questa attività mentale

assenza di movimenti visibili, durante tale attività

L'allenamento ideomotorio:

1. facilita-supporta l'apprendimento del movimento

2. ottimizza l'esecuzione motoria

La teoria. Fondamentalmente sono cinque le teorie che tentano di

spiegare il perché dell'efficacia dell'allenamento ideomotorio:

1. la teoria

psiconeurosensoriale (Carpenter, 1894; Jacobson, 1934; Suinn, 1972,

1976; Jowdy e Harris, 1990) secondo la quale la ripetizione

ideomotoria provoca una ridotta, ma misurabile attivazione

neuromuscolare specifica (distretti muscolari interessati all'azione);2.

la teoria dell'attivazione("arousal") (Schimidt, 1982; Feltz &

Riessinger, 1990) secondo la quale l'imagery favorisce l'insorgere di

livelli di attivazione adeguati alle richieste (attivazione

neuromuscolare generalizzata);3. la teoria dell'apprendimento

simbolico (Fitts, 1964; Feltz & Landers, 1983; Hall & Erffmeyer,

1983) secondo cui tale pratica fornisce al soggetto l'opportunità di

allenare gli elementi simbolici di un compito motorio e di

preparare/pianificare mentalmente la prestazione (Bandura, 1969);4. la

teoria bioinformazionale (Lang, 1977; Bird, 1984) secondo cui al

variare dell'immagine mentale varia anche il comportamento reale,

entrambi in stretta correlazione.

5. teoria del modello triplo codice (Ahseen, 1984; Murphy e Jowdy,

58

1992) secondo la quale l'efficacia dell'imagery subisce l'influenza di

tre fattori interagenti: il realismo sensoriale delle immagini, le

modificazioni fisiologiche prodotte dalle immagini e il significato

delle immagini che deve essere soggettivamente significativo.

La tecnica. Dopo aver definito la sequenza motoria specifica, si

procede alla sua sistematica ripetizione a livello immaginativo, in

parallelo all'allenamento effettuato sul campo (esecuzione pratica).

Ogni gesto tecnico è composto da una sequenza di movimenti

consecutivi: per la realizzazione della pratica ideomotoria occorre

focalizzare l'attenzione, per ogni step motorio della sequenza, solo sul

movimento del proprio corpo e, una volta memorizzata la sequenza

corretta, anche sulle sensazioni e sui pensieri che lo accompagnano e

sul ritmo respiratorio. Per aiutare l'atleta nell'acquisizione della

sequenza motoria corretta e nell'elaborazione di immagini mentali

appropriate, la rappresentazione mentale viene fatta precedere dalla

visione di un filmato del gesto tecnico. Successivamente, dopo aver

raggiunto lo stato di rilassamento in tempi brevi, si introducono

visualizzazioni polisensoriali riguardanti il setting abituale, al cui

interno si rappresenta mentalmente la sequenza ideomotoria del gesto

atletico, rispettandone i parametri spazio-temporali. La sequenza

ideomotoria deve essere ripetuta da tre a cinque volte, ma nel caso

subentri un calo della concentrazione va sospesa immediatamente per

passare all'esecuzione pratica.

È stato dimostrato che l’allenamento fisico è maggiormente efficace

se accompagnato dall’allenamento ideomotorio e che gli atleti

infortunati che si allenano mentalmente, una volta superati i problemi

fisici, recuperano più in fretta una buona condizione tecnica.

59

3.8 Biofeedback

Il biofeedback (tradotto dall'inglese: retroazione biologica) è

conosciuto nell’ambito del mental training come biofeedback

training. Questa tecnica possiede palesi caratteristiche derivanti dalla

psicoterapia, ed in particolare si fonda sulla teoria comportamentista.

Lo scopo principale di questo strumento terapeutico e quello di aiutare

il paziente/atleta a prendere coscienza e controllo del suo

comportamento. Il biofeedback nacque con la diffusione negli anni '60

della meditazione trascendentale negli USA. Si osservò, utilizzando

un EEG, che nello stato di meditazione il cervello aumenta la

produzione di particolari segnali detti onde alfa, che stanno ad

indicare uno stato di rilassamento psico-fisico del soggetto.

Addestrando il soggetto sulla sua produzione di onde alfa si può

aumentarne la produzione ed aumentare così il rilassamento. Da quei

primi studi, il passo evolutivo della psicologia sportiva ha condotto

questa tecnica a nuovi sbocchi applicativi, nell’ambito di numerose

discipline sportive, tra cui il tennis.

L'organismo umano interagisce costantemente con la realtà circostante

attraverso l'elaborazione di un comportamento adattativi, che spesso

viene attuato automaticamente ed in modo inconscio, come

meccanismo di autoregolazione. Questo tipo di strategia

comportamentale è la risultante del lavoro sinergico di più sistemi di

controllo interagenti e legati tra di loro. Alcuni di questi meccanismi

sono regolati dai sistemi neurovegetativo, endocrino ed immunitario.

Quando l’atleta percepisce dei segnali che provengono dall’interno del

60

suo corpo, ad esempio la frequenza cardiaca in aumento dopo una

corsa affannosa, può agire per modificarli, formando un sistema

elementare di biofeedback. Il biofeedback è l'applicazione di queste

osservazioni con le tecnologie opportune. Questo tecnica nella suo

utilizzo terapeutico coinvolge tre differenti discipline : psicologia,

fisiologia ed elettronica.

Con il biofeedback, una certa funzione corporea come la tensione

muscolare o la temperatura cutanea viene monitorata con l'uso di

elettrodi o di trasduttori applicati sulla pelle del paziente. I segnali

captati vengono amplificati ed usati per gestire segnali acustici o visivi.

Attraverso questo accurato sistema di monitoraggio, l’atleta può

tentare consciamente di utilizzare delle strategie per imparare a

controllare volontariamente la funzione presa in esame.

Il biofeedback consente al coach di ottenere un ulteriore

approfondimento nella valutazione globale dell'atleta, e la possibilità,

quindi, di individuare il suo specifico profilo di attivazione,

identificando la quantità di energia reclutata nel corso della sua

performance di allenamento e di gara. Attraverso il monitoraggio

fornito dalle specifiche apparecchiature psicofisiologiche diviene

possibile per l'atleta di imparare ad auto-regolare:

• gli eventuali stati di ipoattivazione o iperattivazione

(disfunzionali alla performance)

• gestire gli eventi stressanti e recupero dall'over training

• gestione degli stati ansiosi

• migliorare la capacità concentrazione

61

Un’altra tecnica del tutto simile al Biofeedback nei canoni principali,

da cui differisce solo per lievi sfumature procedurali è detta “Training

propriocettivo”.

Anche nell’utilizzo di questo tipo di strumento risulta importante il

messaggio che il nostro corpo invia all’individuo stesso, attraverso i

canali fisiologici, da cui egli può trarne vantaggi e benefici fuori e

dentro la performance sportiva in termini di autocontrollo.

L'obiettivo del training propriocettivo è quello di portare l'individuo

ad apprendere ed affinare gradualmente le capacità di autopercezione,

autoispezione e raggiungere una migliore consapevolezza corporea.

Esso può considerarsi come un prerequisito al training di rilassamento

psicofisico vero e proprio. Il sistema principale nell’attuazione di

questo training consiste nell’”ascoltare” il proprio corpo. La

condizione necessaria ascoltare per accedere all’ascolto, risiede

innanzitutto in uno stato silenzioso. Successivamente bisogna

impararne la “lingua”, s’intende tutti gli strumenti di decodifica dei

vari tipi di messaggio: il ritmo cardiaco, la frequenza respiratoria, le

contrazioni e decontrazioni, posture, massa, elasticità, forza, potenza,

e tutta una serie di sensazioni che, ad un attento ascoltatore,

comunicano qualcosa. Il corpo non smette mai di comunicare e,

pertanto, appare riduttivo prestargli attenzione solamente in caso di

dolore, fatica e/o limitazione funzionale.

La tecnica per mettere in pratica questa tipologia di preparazione

mentale si articola attraverso esercizi che favoriscono una progressiva

acquisizione della capacità di concentrazione e presa di coscienza

corporea in relazione a specifiche parti dell'organismo

(rappresentazione mentale, autopercezione, esplorazione,

62

autoinduzione di sensazioni di pesantezza e calore). Naturalmente

risulta più semplice per l’atleta cominciare dalla percezione dei

segnali corporei più evidenti (come frequenza cardiaca e respiratoria),

per poi giungere alla percezione di sensazioni corporee conseguenti ad

un determinato movimento fino ad arrivare a riconoscere i segnali

connessi ai gesti più fini. Allenare il “giocatore di tennis” ad ascoltare

il proprio corpo dà all'atleta stesso una maggiore sensazione di

controllo del movimento e, di conseguenza, ne aumenta la sicurezza

durante l'esecuzione dei gesti tecnici o delle sequenze tattico-

strategiche.

Gli esercizi di training propriocettivo hanno inoltre l'obiettivo di

aumentare la capacità di reazione dinamica rispetto a sollecitazioni

potenzialmente lesive.

Da questa prospettiva, la suddetta tecnica rappresenta un valido

complemento all’interno della programmazione d’allenamento e nella

prevenzione degli infortuni.

Nell’affermare ciò, risulta scientificamente evidente che a livello del

complesso articolare, legamenti, muscoli e tendini si trovano dei

recettori di diverso tipo che svolgono la funzione di informare

costantemente il Sistema Nervoso Centrale sulla posizione e sullo

stato di tensione delle diverse strutture (informazioni propriocettive).

3.9 Automatizzazione delle strategie

Tra gli obiettivi principali della preparazione mentale vi è senza alcun

dubbio quello di rendere l'atleta autonomo. Per far sì che ciò avvenga,

63

però, è necessario disporre di validi maestri e di diversi anni di

allenamento, sia fisico che mentale. In questo processo di formazione

del giocatore, l’apporto che può dare l'allenamento mentale, è quello

di una maggiore conoscenza e cognizione delle risorse di cui l'uomo

per natura è dotato, ma che non sempre riesce ad utilizzare pienamente.

Difatti, essere in grado di orientare la propria mente al pensiero

positivo, sapersi concentrare, avere degli obiettivi, ascoltare il proprio

corpo, imparare a rilassarsi, avere fiducia e stima di se stessi, ripetere

a mente il gesto atletico perfetto, sono tutti strumenti utili a indurre

ogni individuo a usufruire di tutte le energie più profonde e nascoste

che ogni essere umano possiede. Quella marcia in più che fa la

differenza. Seguire un programma che metta in atto le succitate

tecniche, porta l’atleta ad acquisire quelle capacità necessarie ad

affrontare e gestire nel miglior modo possibile l’intero periodo della

preparazione di un grande evento, le fasi di attivazione

immediatamente precedenti la gara, la gara stessa ed il dopo gara, in

maniera completa e matura.

Il miglior auspicio, che si possa fare ad un atleta è di quello di

saggiare, quanto il più a lungo è possibile, la gioia ed il piacere di

"guidare" il proprio corpo attraverso il pieno utilizzo e controllo delle

sue attività mentali. I successi che, immancabilmente, vivrà faranno da

lieto contorno a quello che sarà l'equilibrio di un atleta perfetto.

64

Capitolo IV

Una ricerca sul mental training

4.1 Obiettivi della ricerca

Il seguente capitolo mira alla comprensione di alcuni aspetti che

riguardano il mental training, il quale si realizza attraverso svariate e

differenti tecniche, in relazione al tennis di alto livello. Nel corso di

questi ultimi anni, in cui il tennis ha proseguito a ritmo incalzante nel

suo processo di evoluzione, si è ulteriormente evidenziata

l’importanza di una programmazione di preparazione e di attività di

competizioni, sempre più consistente e, soprattutto, completa, che

possa venire incontro alle svariate e differenti esigenze del giocatore.

Al di là delle variegate ipotesi e supposizioni, che in modo

semplicistico, si possono inferire, resta da circoscrivere un quadro

obiettivo e veritiero su quali possano essere le esigenze prioritarie che

hanno una diretta correlazione con la prestazione di alto livello, e

quindi, probabilmente, maggiore incidenza per coaches e giocatori.

Tutte le osservazioni che riguardano il tennis in generale, vengono

fatte esclusivamente osservando i giocatori, e i loro matches.

Attraverso questa prima e superficiale analisi risulta particolarmente

facile affermare che tutti i giocatori “giocano bene”, nel senso che

sono dotati di capacità tecniche e fisiche che consentono loro di

competere a quel livello. Partendo da questo facile assunto: “perché

alcuni giocatori sono più vincenti di altri”? La risposta a questo banale

65

quesito risiede nella moltitudine di variabili interconnesse che

incidono sulla prestazione, e che possono influenzare il corso di un

intera carriera.

Gli aspetti di natura psicologica racchiudono molte di queste variabili.

Essendo uno sport individuale, il tennis pone il singolo individuo ad

affrontare una serie di problemi, legati al gioco, verso i quali è solo

nel ricercare le soluzioni che possano indirizzarlo al successo. Questa

tipologia specifica di “problem solving”, che avviene sia in modo

conscio che in modo inconsapevole, è a sua volta strettamente

correlata alle emozioni.

L’obiettivo della ricerca è comprendere la reale importanza delle

componenti di natura psicologica nel tennis di alto livello, e

successivamente, attraverso un’indagine, capire: se, e come si “allena”

la mente.

Gli obiettivi principali della ricerca sono:

• Accertare l’importanza degli aspetti di natura psicologica

all’interno della prestazione di alto livello.

• Identificare gli eventuali aspetti che hanno una particolare

incidenza sulla prestazione.

• Verificare l’utilizzo o meno di tecniche per la preparazione

mentale. Se sì, menzionare le tecniche utilizzate.

• Verificare se la proposta di mental training passa attraverso la

consulenza di uno psicologo, o soltanto attraverso il coach.

Le ipotesi da cui scaturisce questa ricerca sono:

66

• Gli aspetti psicologici hanno una grande importanza, anche in

rapporto alle altre caratteristiche specifiche (doti fisiche,

qualità tecniche e tattiche, ecc.).

• Ad alto livello, appare indispensabile curare ogni dettaglio

della preparazione, incluso il supporto psicologico del mental

training.

• Nel tennis di vertice, molti coach si occupano direttamente

della gestione degli aspetti psicologici del giocatore.

4.2 Presentazione dello strumento

Per l’attuazione della ricerca è stato utilizzato come strumento

un’intervista, strutturata allo scopo di conoscere particolari dettagli

specifici riguardanti gli aspetti psicologici, e il mental training. Essa è

rivolta in egual modo a giocatori, e a coaches di alto livello.

L’intervista è composta da 11 quesiti a risposta aperta, in cui

l’intervistato è libero di esprimere la propria opinione e il proprio

punto di vista riguardo all’argomento in questione.

INTERVISTA

1) Quanta importanza ricoprono per Lei gli aspetti mentali

all’interno di un match?

2) Quali sono le componenti di natura mentale che dal Suo punto

di vista maggiormente influiscono all’interno della prestazione?

3) Utilizza strumenti o tecniche per la gestione o per la

preparazione delle suddette capacità mentali?

67

4) Quali tecniche e quali interventi?

5) In che modo si articola questo tipo di intervento?

6) Si avvale anche della consulenza di uno psicologo sportivo?

7) Secondo la Sua esperienza, come si pone il mental training

all’interno del binomio coach/giocatore?

8) Esiste un momento o una condizione particolare nella stagione

competitiva, in cui si avverte maggiormente l’esigenza di un

supporto psicologico?

9) Riesce a riscontrare benefici “oggettivi” dall’utilizzo di queste

tecniche?

10) Quali strumenti di valutazione ha a disposizione?

11) Volgendo lo sguardo a 360°, in che percentuale (o quantità) i

Suoi colleghi utilizzano tecniche di mental training?

4.3 Caratteristiche dei soggetti intervistati

L’intervista è stata somministrata a 30 soggetti, suddivisi in due

gruppi di giocatori ed allenatori che rappresentano in modo

emblematico l’attuale tennis di alto livello. Il primo gruppo è

composto da 10 giocatori che militano tra i top 200 della classifica

ATP, tra cui, per menzionarne qualcuno, Filippo Volandri, Potito

Starace, Uros Vico, ed altri; da 5 coaches che allenano giocatori dello

stesso livello, come Alberto Castellani, Fabrizio Fanucci, ecc..

Il secondo gruppo è composto da 10 giocatori che militano nel gradino

immediatamente al di sotto di quello dei precedenti, e che quindi

svolgono sia attività a livello nazionale, che a livello internazionale

68

ITF e ATP. La restante parte di intervistati del secondo gruppo è

costituita da 5 coaches che allenano giocatori di questo rango.

Le risposte dei soggetti intervistati verranno catalogate e classificate,

al fine di estrarne i dati numerici riguardanti: percentuale e media.

I dati numerici raccolti di ogni singolo gruppo saranno

successivamente messi a confronto all’interno di una tabella di

comparazione. Il passo finale della ricerca avverrà con il confronto dei

dati dei due gruppi messi in comparazione, al fine di comprenderne le

eventuali differenze da cui trarne gli aspetti salienti.

69

4.4 Elaborazione dei dati: tabelle e grafici Domanda 1. Quanta importanza ricoprono per Lei gli aspetti

mentali all’interno di un match?

Quadro Complessivo

Risposta Totale % Importanza maggiore delle altre componenti 7 23,34 Molta importanza 7 23,34 Importanza pari alle altre componenti 14 46,66 Importanza inferiore ad altre componenti 2 6,66 30 100,00

Importanzamaggiore

Moltaimportanza

Importanzapari ad altrifattoriImportanzaminore

Attribuendo inoltre alle risposte valori convenzionali da 1 a 4,

utilizzando la seguente scala

Risposta Valore Importanza maggiore delle altre componenti 4 Molta importanza 3 Importanza pari alle altre componenti 2 Importanza inferiore ad altre componenti 1

70

notiamo come la media delle risposte si attesti sul valore 2,6,

rilevando così che gli aspetti mentali ricoprono un’importanza elevata,

tendenzialmente superiore alle altre componenti dell’attività

agonistica.

Gruppo 1

Risposta Totale % Importanza maggiore delle altre componenti 5 33,33 Molta importanza 4 26,66 Importanza pari alle altre componenti 4 26,66 Importanza inferiore ad altre componenti 2 13,35 15 100,00

Importanzamaggiore

Moltaimportanza

Importanzapari ad altrifattoriImportanzaminore

In questo caso, la media è 2,8, leggermente superiore al risultato

complessivo ottenuto prendendo in considerazione entrambi i gruppi.

Scomposizione del gruppo 1

Coach % Giocatori % Totale 4 80 1 20 100 0 0 4 100 100 0 0 4 100 100 1 50 1 50 100 5 10

71

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Importanzamaggiore

Moltaimportanza

Importanzapari ad altri

fattori

Importanzaminore

GiocatoriCoach

Gruppo 2

Risposta Totale % Importanza maggiore delle altre componenti 2 13,35 Molta importanza 3 20,00 Importanza pari alle altre componenti 10 66,65 Importanza inferiore ad altre componenti 0 0,00 15 100,00

Importanzamaggiore

Moltaimportanza

Importanzapari ad altrifattoriImportanzaminore

In questo ultimo caso, la media è 2,46, leggermente inferiore al

risultato complessivo ottenuto prendendo in considerazione entrambi i

gruppi.

72

Domanda 2. Quali sono le componenti di natura mentale che

dal Suo punto di vista maggiormente influiscono all’interno

della prestazione?

Quadro Complessivo

Risposta Totale % Gestione delle emozioni e dell’ansia 5 16,66 La concentrazione durante il match 3 10,00 Spirito di sacrificio 0 0,00 Una combinazione delle componenti su elencate 9 30,00 Conoscenza e memorizzazione tecnico-tattica / automatizzazione

4 13,34

Motivazione e sicurezza 3 10,00 Nessuna in particolare / tutte nella stessa misura 2 6,66 Equilibrio psico-fisico 4 13,34 30 100,00

Gestione ansia

Concentrazione

Sacrificio

Una combinazione

Automatizzazione

Motivazione

Nessuna in particolare

Equilibrio

Notiamo che all’interno del quadro complessivo, il 30% degli

intervistati afferma che il tennista di alto livello necessita della

combinazione di più aspetti o caratteristiche di natura psicologica. La

gestione dell’ansia rappresenta, per il 16%, l’elemento di natura

mentale che ha maggiore rilevanza all’interno della prestazione.

73

Gruppo 1

Risposta Totale % 1 Gestione delle emozioni e dell’ansia 3 20,00 2 La concentrazione durante il match 0 0,00 3 Spirito di sacrificio 0 0,00 4 Una combinazione delle componenti

su elencate 4 26,67

5 Conoscenza e memorizzazione tecnico-tattica / automatizzazione

3 20,00

6 Motivazione e sicurezza 2 13,33 7 Nessuna in particolare / tutte nella

stessa misura 2 13,33

8 Equilibrio psico-fisico 1 6,67 15 100,00

Gestione ansia

Concentrazione

Sacrificio

Una combinazione

Automatizzazione

Motivazione

Nessuna in particolare

Equilibrio

All’interno del gruppo 1, il valore relativo a “combinazione di più

componenti” si mantiene al di sopra degli altri (26,67%). Grossa

importanza ricoprono per il gruppo 1 anche altri due aspetti: “gestione

dell’ansia” (20%), e “automatizzazione di schemi e strategie” (20%).

74

Scomposizione del gruppo 1

Coach % Giocatori % Totale 1 0 0 3 100 100 2 0 0 0 0 100 3 0 0 0 0 100 4 2 50 2 50 100 5 1 33 2 67 100 6 1 50 1 50 100 7 0 0 2 100 100 8 1 100 0 0 100 5 10

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Gestione ansia Unacombinazione

Automatizzazione Motivazione Nessuna inparticolare

Equilibrio

GiocatoriCoach

Il grafico mostra che, all’interno del gruppo 1, per i giocatori, la

gestione dell’ansia è l’elemento che spicca maggiormente (100%) nel

quadro generale, mentre per i coaches è lo stato di “equilibrio” ad

assumere lo stesso valore percentuale (100%).

75

Gruppo 2

Risposta Totale % Gestione delle emozioni e dell’ansia 2 13,33 La concentrazione durante il match 3 20,00 Spirito di sacrificio 0 0,00 Una combinazione delle componenti su elencate 5 33,33 Conoscenza e memorizzazione tecnico-tattica / automatizzazione

1 6,67

Motivazione e sicurezza 1 6,67 Nessuna in particolare / tutte nella stessa misura 0 0,00 Equilibrio psico-fisico 3 20,00 15 100,00

Gestione ansia

Concentrazione

Sacrificio

Una combinazione

Automatizzazione

Motivazione

Nessuna in particolare

Equilibrio

La combinazione tra più componenti psicologiche (33,33%) risulta

essere la caratteristica preponderante anche per il gruppo 2.

Concentrazione (20%) ed equilibrio psico-fisico (20%) sono le altre

due componenti che spiccano maggiormente.

76

Domanda 3. Utilizza strumenti o tecniche per la gestione o per la preparazione delle suddette capacità mentali?

Quadro Complessivo

Risposta Totale % Sì, sempre 5 16,66 Sì, talvolta 1 3,34 Sì, in passato 9 30,00 No 15 50,00 30 100,00

Sì, sempreSì, talvoltaSì, in passatoNo

La tabella ed il grafico mostrano con evidenza che il 50% degli

intervistati non ha mai utilizzato tecniche per la preparazione mentale,

il 30% ha provato questa esperienza soltanto per un periodo limitato

nel passato. Il 16,66% utilizza attualmente il mental training come

strumento di preparazione mentale.

Gruppo 1

Risposta Totale % Sì, sempre 2 13,33 Sì, talvolta 1 6,67 Sì, in passato 6 40,00 No 6 40,00 15 100,00

77

Sì, sempreSì, talvoltaSì, in passatoNo

All’interno del gruppo 1 i valori percentuali in merito all’utilizzo o

meno del mental training rimangono del tutto simili. Da segnalare

soltanto il valore di coloro che hanno provato solo in passato il mental

training che aumenta al 40%.

Scomposizione del gruppo 1

Coach % Giocatori % Totale 1 50 1 50 100 1 100 0 0 100 0 0 6 100 100 3 50 3 50 100 5 10

78

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No

GiocatoriCoach

Nel gruppo 1, il 100% di coloro che utilizzano tecniche per la

gestione o per la preparazione degli aspetti psicologici è collocato

all’interno della categoria degli allenatori. Il 100% di coloro che

hanno provato in passato il mental training appartiene alla categoria

dei giocatori.

79

Gruppo 2

Risposta Totale % Sì, sempre 3 20,00 Sì, talvolta 0 0,00 Sì, in passato 3 20,00 No 9 60,00 15 100,00

Sì, sempreSì, talvoltaSì, in passatoNo

All’interno del gruppo 2, cresce del 20% il valore percentuale relativo

a coloro che non utilizzano tecniche di mental training (60%), rispetto

allo stesso valore del gruppo 1 (40%).

80

Domanda 4. Quali tecniche e quali interventi?

Quadro Complessivo

Risposta Totale % Training autogeno 3 15,79 Tecniche di rilassamento e respirazione 2 10,53 Le tecniche suddette combinate al visual training 8 42,10 Una molteplicità di tecniche combinate 2 10,53 Dialogo / comunicazione 3 15,79 Meditazione / riflessione 1 5,26 19 100,00

TrainingautogenoRilassamento erespirazioneAltre tecniche +visual trainingCombinazionedi tecnicheComunicazione

Meditazione

Il protocollo di tecniche di mental training maggiormente diffuso tra

gli intervistati (42,10%) prevede l’utilizzo di tecniche di rilassamento,

training autogeno e visual training in aggiunta.

Gruppo 1

Risposta Totale % Training autogeno 3 27,27 Tecniche di rilassamento e respirazione 0 0,00 Le tecniche suddette combinate al visual training

3 27,27

Una molteplicità di tecniche combinate 2 18,19 Dialogo / comunicazione 3 27,27 Meditazione / riflessione 0 0,00 11 100,00

81

TrainingautogenoRilassamento erespirazioneAltre tecniche +visual trainingCombinazionedi tecnicheComunicazione

Meditazione

All’interno del gruppo 1 risulta che il 27,27% degli intervistati

utilizza il training autogeno, il 27,27% basa tutta la propria gestione

mentale sulla comunicazione, e il 27,27% sceglie di utilizzare un

protocollo di tecniche (tecniche di rilassamento, training autogeno,

visual training).

Scomposizione del gruppo 1

Coach % Giocatori % Totale 0 0 3 100 100 0 - 0 - - 0 0 3 100 100 1 50 1 50 100 2 66,7 1 33,3 100 0 - 0 - - 3 8

82

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Training autogeno Altre tecniche +visual training

Combinazionetecniche

Comunicazione

GiocatoriCoach

Il grafico mostra come l’aspetto comunicativo abbia grossa rilevanza

per gli allenatori in modo particolare (66,7%).

Gruppo 2

Risposta Totale % Training autogeno 0 0,00 Tecniche di rilassamento e respirazione 2 25,00 Le tecniche suddette combinate al visual training

5 62,50

Una molteplicità di tecniche combinate 0 0,00 Dialogo / comunicazione 0 0,00 Meditazione / riflessione 1 12,50 8 100,00

TrainingautogenoRilassamento erespirazioneAltre tecniche +visual trainingCombinazionedi tecnicheComunicazione

Meditazione

Il 62,50% degli intervistati del gruppo 2 utilizza il protocollo di

tecniche di mental training sopra citato.

83

Domanda 6. Si avvale anche della consulenza di uno psicologo

sportivo?

Quadro Complessivo

Risposta Totale % Sì, sempre 6 21,43 Sì, in modo saltuario 2 7,14 Sì, in passato 8 28,57 No 12 42,86 28 100,00

Sì, sempreSì, talvoltaSì, in passatoNo

La fetta percentuale più cospicua è rappresentata da coloro che non si

avvalgono della consulenza dello psicologo (42,86%). Un numero

comunque consistente di intervistati, per la precisione il 28,57%, si è

avvalso di tale consulenza in periodi passati. Il 21,43% si avvale

attualmente della consulenza e del supporto dello psicologo.

84

Gruppo 1

Risposta Totale % Sì, sempre 3 21,43 Sì, talvolta 1 7,15 Sì, in passato 5 35,71 No 5 35,71 14 100,00

Sì, sempreSì, talvoltaSì, in passatoNo

Il gruppo 1 è caratterizzato, a differenza del quadro generale, da

coloro che hanno avuto in passato l’aiuto dello psicologo (35,71%), e

da chi assolutamente non ha all’interno del proprio staff tecnico la

figura dello psicologo.

Scomposizione del gruppo 1

Coach % Giocatori % Totale 1 33,3 2 66,7 100 1 100 0 0 100 1 20 4 80 100 2 40 3 60 100 5 9

85

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No

GiocatoriCoach

Il grafico mostra che sono particolarmente gli allenatori a richiedere

saltuariamente l’aiuto dello psicologo (100% degli allenatori alla

risposta “sì, talvolta).

Gruppo 2

Risposta Totale % Sì, sempre 3 21,43 Sì, talvolta 1 7,15 Sì, in passato 3 21,43 No 7 49,99 14 100,00

Sì, sempreSì, talvoltaSì, in passatoNo

86

Nel gruppo 2 il dato numerico maggiore, 49,99% dei soggetti

intervistati, fa comunque riferimento a coloro che non hanno a

disposizione l’aiuto dello psicologo. Il 21,43% dispone di tale

supporto costantemente nella stagione agonistica, ed il 21,43% ne

ha usufruito soltanto in passato.

87

Domanda 8. Esiste un momento o una condizione particolare

nella stagione competitiva, in cui si avverte maggiormente

l’esigenza di un supporto psicologico?

Quadro Complessivo

Risposta Totale % All’inizio della stagione dei tornei 1 3,33 Nell’ultima parte della stagione dei tornei 6 20,00 Dopo un infortunio o una sconfitta 7 23,33 Quando si è particolarmente in condizione di stress psico-fisico 11 36,68 Non esiste un momento particolare 5 16,66 30 100,00

Inizio stagione

Fine stagione

Infortunio / Sconfitta

Stress

Nessun momentoparticolare

Il 36,68% degli intervistati ritiene che i momenti di maggiore stress

rappresentino la condizione in cui si avverte l’esigenza di un supporto

psicologico.

Gruppo 1

Risposta Totale % All’inizio della stagione dei tornei 0 0,00 Nell’ultima parte della stagione dei tornei 3 20,00 Dopo un infortunio o una sconfitta 3 20,00 Quando si è particolarmente in condizione di stress psico-fisico 7 46,67 Non esiste un momento particolare 2 13,33 15 100,00

88

Inizio stagione

Fine stagione

Infortunio / Sconfitta

Stress

Nessun momentoparticolare

Lo stress psico-fisico rappresenta per il 46,67% degli intervistati del

gruppo 1, il momento indicato per un supporto psicologico.

Scomposizione del gruppo 1

Coach % Giocatori % Totale 0 0 0 0 - 0 0 3 100 100 1 33,3 2 66,7 100 3 42,9 4 57,1 100 1 50 1 50 100 5 10

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Inizio stagione Fine stagione Infortunio /sconfitta

Stress Nessun momentoparticolare

GiocatoriCoach

A fine stagione il 100% dei giocatori sente la necessità di un aiuto

esterno dal punto di vista psicologico.

89

Gruppo 2

Risposta Totale % All’inizio della stagione dei tornei 1 6,68 Nell’ultima parte della stagione dei tornei 3 20,00 Dopo un infortunio o una sconfitta 4 26,66 Quando si è particolarmente in condizione di stress psico-fisico 4 26,66 Non esiste un momento particolare 3 20,00 15 100,00

Inizio stagione

Fine stagione

Infortunio / Sconfitta

Stress

Nessun momentoparticolare

Dal gruppo 2 emerge un ulteriore punto di vista: il 26,66%

considera opportuno un supporto mentale negli attimi che seguono

particolari sconfitte, o nel recupero dagli infortuni fisici.

90

Domanda 9. Riesce a riscontrare benefici “oggettivi”

dall’utilizzo di queste tecniche?

Quadro Complessivo

Risposta Totale % Sì, maggiore sicurezza e positività 6 25,00 Sì, sollievo emozionale 1 4,16 Sì, sollievo dallo stress, migliore concentrazione 2 8,33 Sì, miglioramento in diversi aspetti 6 25,00 No 9 37,51 24 100,00

Sicurezza

Sollievo emozionale

Maggioreconcentrazione

Miglioramento indiversi aspetti

No

Il 37,51% nel quadro complessivo non riscontra nessun tipo di

beneficio dal mental training, mentre il 25% riscontra maggiore

sicurezza e positività.

91

Gruppo 1

Risposta Totale % Sì, maggiore sicurezza e positività 2 14,28 Sì, sollievo emozionale 0 0,00 Sì, sollievo dallo stress, migliore concentrazione 0 0,00 Sì, miglioramento in diversi aspetti 4 28,57 No 8 57,15 14 100,00

Sicurezza

Sollievo emozionale

Maggioreconcentrazione

Miglioramento indiversi aspetti

No

Nel gruppo 1, il dato percentuale, in relazione a coloro che non

riscontrano nessun beneficio dall’utilizzo del mental training, assume

un connotato ulteriormente consistente, aumentando al 57,15%

rispetto al quadro generale.

Scomposizione del gruppo 1

Coach % Giocatori % Totale 1 50 1 50 100 0 0 0 0 - 0 0 0 0 - 2 50 2 50 100 1 12,5 7 87,5 100 4 10

92

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Maggioresicurezza

Miglioramentoin diversi

aspetti

No

GiocatoriCoach

Il grafico relativo al gruppo 1, mostra con ulteriore chiarezza che

l’87,5% di chi non trova alcun beneficio dall’utilizzo di tali tecniche,

è relativo ai giocatori.

93

Gruppo 2

Risposta Totale % Sì, maggiore sicurezza e positività 4 40,00 Sì, sollievo emozionale 1 10,00 Sì, sollievo dallo stress, migliore concentrazione 2 20,00 Sì, miglioramento in diversi aspetti 2 20,00 No 1 10,00 10 100,00

Sicurezza

Sollievo emozionale

Maggioreconcentrazione

Miglioramento indiversi aspetti

No

Il gruppo 2 differisce in modo marcato dal gruppo 1, in quanto ben il

40% degli intervistati di questo gruppo avverte un senso di maggiore

sicurezza e positività.

94

Domanda 11. Volgendo lo sguardo a 360°, in che percentuale (o

quantità) i Suoi colleghi utilizzano tecniche di mental training?

Quadro Complessivo

Risposta Totale % Una larga maggioranza 12 40,00 Circa la metà 2 6,66 Una percentuale bassa 12 40,00 Minima parte (< 10 %) 2 6,67 Non saprei quantificare 2 6,67 100,00

LargamaggioranzaMetà

PercentualebassaMinima parte

Non saprei

Il dato numerico che fa riferimento alla diffusione o meno del mental

training nel tennis professionistico risulta essere contrastante: il 40%

degli intervistati afferma che una larga maggioranza dei giocatori del

circuito ne fa utilizzo, un altro 40% smentisce la prima ipotesi,

affermando che soltanto una piccola percentuale utilizza tecniche di

mental training.

95

Gruppo 1

Risposta Totale % Una larga maggioranza 6 40,00 Circa la metà 1 6,66 Una percentuale bassa 6 40,00 Minima parte (< 10 %) 1 6,67 Non saprei quantificare 1 6,67 15 100,00

LargamaggioranzaMetà

PercentualebassaMinima parte

Non saprei

Il gruppo 1 conferma in modo assolutamente preciso i dati percentuali

del quadro generale.

Scomposizione del gruppo 1

Coach % Giocatori % Totale 2 33,3 4 66,7 100 1 100 0 0 100 1 14,3 6 85,7 100 1 100 0 0 100 0 0 1 100 100 5 9

96

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Largamaggioranza

Percentualebassa

Non saprei

GiocatoriCoach

Gruppo 2

Risposta Totale % Una larga maggioranza 1 6,67 Circa la metà 2 13,33 Una percentuale bassa 9 60,00 Minima parte (< 10 %) 3 20,00 Non saprei quantificare 0 0,00 15 100,00

LargamaggioranzaMetà

PercentualebassaMinima parte

Non saprei

Nel gruppo 2 un numero maggiore di intervistati afferma che soltanto

una piccola percentuale di giocatori nel circuito internazionale utilizza

tecniche di preparazione mentale.

97

La decodifica delle svariate risposte ottenute dalle interviste conferma

soltanto una piccola parte delle ipotesi formulate inizialmente. In

modo specifico, si fa riferimento alla convinzione che gli aspetti di

natura mentale giocassero un ruolo di primaria importanza all’interno

della prestazione tennistica. Tutte le restanti supposizioni sono

risultate parzialmente confutate dalle risposte degli elementi

intervistati, riguardo all’utilizzo o meno di tecniche di mental training,

e riguardo all’eventuale intervento dello psicologo sportivo.

Questa parte finale pone il termine alla pura estrapolazione obiettiva

dei dati che effettivamente sono emersi dalle 30 interviste. Il seguente

capitolo è interamente dedicato all’interpretazione dei dati, attraverso

impressioni e commenti che rappresentano soltanto un punto di vista

da mettere in relazione a quello del lettore.

98

Conclusioni

Interpretazione dei dati. L’intervista risulta uno degli strumenti più

adeguati per compiere un’indagine approfondita su tematiche

particolarmente complesse da affrontare. Consente, infatti, di rilevare

l’opinione personale che il singolo individuo ha in merito

all’argomentazione trattata. In questo caso, attraverso i quesiti posti,

gli intervistati hanno avuto la possibilità di sviscerare le proprie

esperienze e impressioni riguardo a tutto ciò che è relativo alla

preparazione mentale applicata al tennis di alto livello. L’intervista

utilizzata per questa ricerca, è stata strutturata essenzialmente a tale

scopo. Ogni singolo quesito è stato formulato con l’intento di giungere

a tutti i soggetti interpellati, in modo chiaro, non invasivo, ed

assolutamente privo di ambiguità a livello interpretativo. Con questi

presupposti di base, è risultato maggiormente semplice per ogni

giocatore o allenatore intervistato compiere questo percorso di

autoanalisi e di introspezione, donando, come risultanza significativa

ed assolutamente emblematica, parte del loro bagaglio socio-culturale.

La condivisione delle idee, delle problematiche, dei sistemi di

programmazione dell’attività, consente potenzialmente di

comprendere i sottili processi che regolano gli equilibri psico-fisici dei

giocatori di alto livello, e di conseguenza, dona la chance

all’allenatore che si trova in fase di formazione, di vivere, anche se in

modo riflesso, l’avvincente realtà del tennis di vertice. L’insieme

delle risposte ottenute, contenute totalmente all’interno di

un’appendice posta a fine project work, necessita inizialmente di una

99

prima analisi, attraverso una lettura approfondita, dei testi delle

interviste.

Uno dei punti salienti dell’intero project work è il confronto fra i due

gruppi di giocatori e allenatori intervistati. Essi rappresentano in modo

certamente emblematico i due gradini finali della lunga scala, che ha

come punto di partenza la propria nascita tennistica, il momento in cui

si gioca per la prima volta, ed appunto, come passo finale (ma non

conclusivo) il professionismo, sia che si tratti di un giocatore che di un

allenatore.

Tra i due gruppi esistono delle sostanziali differenze che risulta

inevitabile prendere in considerazione. La prima oggettiva

disuguaglianza tra queste due categorie risulta di facile

individuazione, ma non di semplice lettura. I componenti del gruppo 1

fanno del professionismo il loro mezzo di sostentamento, rispetto ai

membri del gruppo 2, per i quali il sostentamento non deriva

dall’attività di competizioni. Questa circostanza appena descritta pone

in una condizione di favore la categoria dei professionisti, i quali

hanno probabilmente un’ulteriore motivazione di natura esterna che

possa spingerli alla ricerca della “massima prestazione”, e di

conseguenza, della cura di tutti gli aspetti, più o meno rilevanti, che la

compongono, tra cui quelli mentali. Il gruppo 2 contiene invece al suo

interno giocatori e allenatori che ambiscono ed aspirano al

professionismo, ma che al momento vedono la proporzione del

proprio investimento inferiore rispetto ai benefici ricavati. Questo

status potrebbe produrre maggiori difficoltà e svantaggi nell’ottica di

un quadro generale di attività agonistica, sia in termini economici che

in termini organizzativi.

100

Già inizialmente, dopo una prima lettura delle varie interviste, dalle

impressioni ricevute, era riscontrabile una discordanza tra le ipotesi

iniziali in rapporto ad alcune sorprendenti dichiarazioni. I dati

percentuali hanno confermato l’iniziale senso di dissonanza, chiarendo

il ruolo che talvolta ricopre la psicologia dello sport nel tennis di alto

livello, in alcuni casi, al di là delle rispettive motivazioni, del tutto

marginale rispetto alle altre componenti di cui ci si prende cura sia nel

periodo di preparazione che durante l’attività di competizioni.

Dopo la successiva elaborazione in dati numerici del nucleo delle

dichiarazioni, al di là di chiari risultati, emerge lo spunto per nuove

ed ulteriori riflessioni che verranno affrontate nel seguente paragrafo.

In alcuni punti in particolare sono emersi dati interessanti su cui poter

esprimere ulteriori impressioni, e sono i seguenti:

• Il 100% degli intervistati ritiene che gli aspetti di natura

psicologica hanno molta importanza, ed in particolare, il

93,44% sostiene che tali aspetti hanno maggiore importanza

rispetto a tutte le altre qualità o caratteristiche.

Il dato sopra riportato appare assolutamente ben definito. Risulta,

quindi, interessante correlare le cifre sopra citate con il seguente dato:

• Il 50% dei soggetti non utilizza nessun tipo di tecnica di mental

training, ed inoltre un ulteriore 30% ha utilizzato tecniche di

preparazione mentale soltanto per un periodo del passato.

Alla luce di entrambe le cifre percentuali, è ragionevole domandarsi

come mai, se si ritiene che gli aspetti mentali siano così importanti,

101

abbiano assoluta priorità all’interno della preparazione e dell’attività

tutt’ altri aspetti. La motivazione relativa a questo rapporto di

correlazione negativa potrebbe dipendere sia dalla mancanza di

conoscenze sul mental training, maggiormente da parte dei coaches,

sia dalla difficoltà di attuazione di tali tecniche, particolarmente da

parte dei giocatori, a causa dei costi, e del poco tempo a disposizione.

Un ulteriore spunto di riflessione scaturisce dall’osservazione della

tabella relativa alle tecniche di mental training utilizzate:

• Il 42% dei soggetti utilizza un protocollo di preparazione

mentale composto da tecniche di rilassamento, training

autogeno, e visual training.

• Il 15,79% utilizza soltanto il training autogeno.

• Il 10,53% adopera tecniche di rilassamento e respirazione

• Il 15,79% si affida al dialogo e alla comunicazione.

Le cifre percentuali sopra elencate forniscono la testimonianza su

quali possano essere le tecniche di mental training maggiormente

utilizzate. Una ulteriore impressione che scaturisce dall’osservazione

di questi dati, è che probabilmente la proposta di preparazione mentale

possa risultare troppo standardizzata, soprattutto in relazione

all’unicità dell’individuo, il quale necessita sicuramente di uno

screening diagnostico accurato, al solo scopo di fornirgli il giusto

supporto dal punto di vista mentale, attraverso il più giusto protocollo

di tecniche. L’impressione ricevuta è che talvolta, le tecniche

precedentemente citate, possano essere somministrate con troppo

semplicismo, e spesso, col solo intento di proporre un’innovazione,

102

senza badare minimamente all’eventuale efficacia. Risulta

emblematica la testimonianza di coloro che hanno vissuto soltanto una

breve esperienza di mental training in passato (30% dei soggetti

intervistati), che nella maggioranza dei casi ha abbandonato tale

pratica a causa della scarsità di risultati e benefici ottenuti.

Il successivo punto saliente che necessita un ulteriore

approfondimento riguarda la seguente questione:

• Il 21,43% dei soggetti intervistati si avvale del supporto o della

consulenza dello psicologo

Questo dato percentuale si pone in contrasto con il 42,86% relativo a

coloro che non utilizzano tale aiuto.

Le cifre percentuali sopra citate consentono di ipotizzare che in molti

casi la gestione delle componenti psicologiche resta nel binomio

coach/giocatore, spesso affidata al coach stesso, senza passare

attraverso la specifica competenza dello psicologo sportivo.

Al di là dei dati che riguardano il quadro generale degli intervistati, è

interessante evidenziare le differenze di opinione e di comportamento

che esistono tra i due diversi gruppi di giocatori e coaches messi a

confronto.

Le differenze maggiormente rilevanti tra i due gruppi risiedono

nell’utilizzo o meno di tecniche per la preparazione mentale:

• Nel gruppo 1, il 60% (13,33% sempre, 6,67% talvolta, 40% in

passato) utilizza, o ha utilizzato tali tecniche.

• Nel gruppo 2, soltanto il 40% (20% sempre, 20% in passato)

adopera, o ha adoperato mental training.

103

Molto probabilmente la diversità risiede anche nelle difficoltà

economiche ed organizzative, in relazione al gruppo 2, nell’attuare un

programma di preparazione mentale.

Una successiva importante differenza tra i due gruppi riguarda la

consulenza o meno dello psicologo nell’attuare il mental training:

• Nel gruppo 1, solo il 35,71% non si avvale di questo supporto.

• Nel gruppo 2, il 49,99% non è supportato dalla consulenza

dello psicologo.

I motivi che originano questa ulteriore diversità tra i due gruppi di

intervistati si basano (presumibilmente) sulle stesse argomentazioni

del precedente punto, cioè su problematiche economiche e di

programmazione.

Chiaramente il project work da noi redatto evidenzia principalmente la

situazione relativa al mental training nell’ambito del territorio

nazionale, ma risulterebbe di sicuro altrettanto interessante il

confronto, o la semplice comparazione, dei dati raccolti in queste

pagine, con la realtà tennistica di altre nazioni, ed in particolare di

quelle che attualmente hanno un numero consistente di giocatori nei

top 100 ATP o WTA. L’attenta osservazione dei modelli di

prestazione che riscontrano successo oggettivo, analizzandone i

singoli dettagli che ne garantiscono tale qualità, risulterebbe di

assoluta importanza, non nel tentativo di emulare le stesse gesta dei

104

giocatori in questione, che provengono da contesti socio-culturali,

probabilmente, troppo differenti dal nostro. La reale utilità

risiederebbe nella comprensione delle dinamiche, e dei meccanismi

che consentono di ottenere tali risultati.

Alla luce di tutti i risultati emersi dalla ricerca, e grazie anche alla

successiva interpretazione dei dati effettuata, è stato possibile dedurre

interessanti conclusioni.

Premettendo che i 30 soggetti intervistati rappresentano un campione

molto rappresentativo dal punto di vista qualitativo, e meno dal punto

di vista quantitativo, trattandosi di elite tennistica, è possibile

affermare che, nonostante gli aspetti di natura mentale sembrino

ricoprire un’importanza rilevante, non tutti i giocatori ed allenatori ne

hanno particolare cura attraverso l’utilizzo del mental training. Dalla

ricerca è emerso che buona parte di essi si basa sulla propria

esperienza, di giocatore o di allenatore, per gestire al meglio tutti

quegli aspetti che riguardano la psiche. In alcuni casi è emersa scarsa

fiducia nella psicologia dello sport, perché si è portati a soffermarsi su

“credenze popolari” in riferimento all’argomento, ignorando

completamente la scientificità della materia e le molteplici possibilità

applicative nel tennis.

Talvolta le motivazioni, che spingono allenatori e giocatori ad

ignorare la preparazione mentale, vanno ricercate a livello di

organizzazione.

Nell’affermare ciò, si fa riferimento a tutte quelle problematiche e

difficoltà che si possono incontrare se si decide di includere un

protocollo di mental training all’interno del programma di

preparazione e di attività.

105

In Italia, è nostra impressione, che non vi siano una grossa quantità di

strutture sportive sufficientemente capienti ed economicamente ricche

per supportare la consulenza di uno psicologo sportivo. In alcuni casi,

inoltre, subentrano politiche gestionali, all’interno delle suddette

strutture, che non favoriscono gli investimenti sul tennis agonistico, in

particolar modo se si tratta di alto livello. In questa rappresentazione

generale non del tutto positiva, il ruolo di “agnello sacrificale”, fra

tutti gli aspetti che sono implicati all’interno del quadro gestionale di

una struttura, spetta alla psicologia sportiva e alle relative tecniche,

che appaiono maggiormente sacrificabili rispetto a questioni valutate

come più pratiche e redditizie. Se questa impressione rispecchiasse

anche parzialmente la realtà, si tradurrebbe il tutto a svantaggio in

primo luogo dei giocatori, posti di fronte al bivio decisionale che li

pone: o di fronte ad ulteriori e consistenti spese, o alla rinuncia di un

qualcosa che loro stessi (vedi i dati scaturiti dalle interviste) ritengono

sia importante. Tutti gli allenatori, inoltre, sensibili alla tematica del

mental training, dovrebbero addossarsi l’onere relativo alla gestione

degli aspetti psicologici dei propri atleti, in molti casi, pur non

essendone sufficientemente preparati, sia a livello culturale che a

livello organizzativo.

È ragionevole pensare, inoltre, in rapporto a queste impressioni, che

si potrebbe intervenire anche nella formazione dei futuri coaches. In

particolare, basando questa ipotesi anche sulle preziose dichiarazioni

degli allenatori intervistati, potrebbe risultare utile potenziare, nel

periodo di formazione dell’allenatore, la proposta riguardo la

psicologia dello sport e il mental training, ed inoltre approfondire tutti

gli aspetti che riguardano la comunicazione.

106

Con l’aggiunta di queste utili e pratiche nozioni, unite alle capacità

tecniche e all’esperienza di gioco, gli allenatori avrebbero la

possibilità di seguire e supportare a tutto tondo il giocatore. Ciò non

significa che l’allenatore debba occuparsi praticamente di tutti gli

aspetti della preparazione dell’atleta, ma che debba avere l’esperienza

e la cultura necessaria a valutare sempre al meglio le molteplici

situazioni che si presentano, al fine di gestire e guidare in modo

efficiente l’attività del tennista di alto livello.

La conclusione finale di questo project work, pone a confronto le

nostre supposizioni ed ipotesi iniziali, con le preziose dichiarazioni dei

soggetti nelle rispettive interviste, e i dati da esse estrapolati.

1. Gli aspetti di natura psicologica, all’interno della prestazione

ad alto livello, sono di grande importanza.

Questo primo punto evidenzia che, all’interno di uno sport di

situazione come il tennis, in cui gli aspetti tecnico-tattici sono intrisi

dalla componente emotiva, la mente gioca un ruolo di primaria

importanza.

2. Una parte più o meno consistente di coaches e giocatori di alto

livello non utilizza nessun tipo di tecnica di preparazione

mentale.

A causa di svariate motivazioni, in molte situazioni, si ricorre alla

semplice esperienza “del campo”, anche per quanto riguarda la

gestione delle situazioni di natura psicologica, sia da parte dei

coaches, che da parte dei giocatori.

107

3. Le tecniche di mental training che appaiono più utilizzate nel

tennis di alto livello sono: tecniche di rilassamento, training

autogeno, visual training.

Il quadro generale dei dati ottenuti dalle interviste mostra un utilizzo

abbastanza standardizzato delle tecniche rivolte alla preparazione

mentale, probabilmente a causa della scarsità di conoscenze in

materia, da parte dei coaches, o altrimenti, a causa delle difficoltà

organizzative nell’applicare un protocollo di mental training

all’interno della struttura sportiva.

4. Molti giocatori ed allenatori, nel tennis di vertice, non si

avvalgono della consulenza dello psicologo sportivo.

Chiaramente, tutte le problematiche e le difficoltà citate nei

precedenti punti si ripercuotono anche in relazione alla scelta

dell’utilizzo o meno, nella propria preparazione, della consulenza

dello psicologo sportivo.

La risoluzione conclusiva del nostro lavoro, pone, in modo analitico, il

lettore di fronte alla profonda riflessione riguardo ad una tematica di

così complessa esplicazione.

Il nostro intento, attraverso questo percorso culturale, non risiede nella

prescrizione di soluzioni o rimedi “certi” per curare i mali del tennis

moderno, ma nell’idea che la formazione, sia che si tratti di un

giocatore o di un allenatore, sia un processo di continua e crescente

evoluzione.

Appendice

Interviste gruppo 1

Intervista – Accardo Alessandro

Class. Ita. 2/1 - Best ranking ATP 418 sing. – 490 doppio

1. Gli aspetti di natura mentale rivestono un’importanza

fondamentale, ma, secondo me, il livello del giocatore è

strettamente correlato con le sue qualità tecniche e fisiche.

2. Gestire lo stress e le emozioni durante il match, anche nelle

situazioni di punteggio più delicate.

3. Soltanto per un breve periodo

4. Training autogeno.

5. Ho utilizzato questa tecnica nel periodo di preparazione con

l’obiettivo (mai raggiunto per mancanza di pratica) di

riutilizzarla prima del match.

6. No, attualmente è l’allenatore a gestire anche gli aspetti

psicologici attraverso la sua esperienza.

7. Credo che coach e giocatore raggiungano una capacità di

comunicazione che sfiora la “telepatia”, nel senso che dopo un

certo periodo trascorso assieme si è in grado di comunicare

sensazioni, emozioni, pensieri in genere senza nemmeno

utilizzare parole. Partendo da questa considerazione risulta

chiaro che è il coach a comprendere e gestire gli aspetti mentali.

8. L’ultima parte della stagione rappresenta per me il momento più

critico, in cui sono spesso sotto stress.

9. In relazione a quella breve esperienza di mental training, nessun

beneficio in particolare.

10. No.

11. Esiste una percentuale di giocatori che si cimenta col

mental training.

Intervista – Castellani Alberto - coach

1. Ti rispondo con il sondaggio da me fatto su 30 giocatori

classificati top 100 e altrettanti coach di giocatori top 100: per

quasi tutti l'aspetto mentale è il più importante dei tre: fisico,

tecnico e mentale.

42% mentale, 32% fisico, 26% tecnico. Ho relazionato questi dati in

Francese, all’Insep a Parigi, alcuni anni fa, al “Congresso Mondiale

di Psicologia dello Sport”. Il paradosso è che pur riscontrando

maggiore importanza al mentale, alla domanda successiva rivolta ai

giocatori su che cosa facessero per allenare gli aspetti psicologici,

tutti o quasi, salvo pochissime eccezioni, hanno risposto “nulla, o,

quasi nulla”!!! Si possono trarne direttamente le conseguenze.

2. Dipende dai giocatori, statisticamente sono: il controllo dell’ansia

prima di un match, e la concentrazione durante il match; ma qui il

problema diviene filosofico: il 99% degli allenatori non conosce il

significato di concentrazione, e non ha un’ idea, insieme ai giocatori,

di come si alleni la concentrazione. Se si considera un campione di 10

giocatori e 10 allenatori, e si chiede loro cosa vuol dire

concentrazione, si otterranno 20 risposte diverse. Da qui, nasce

l’esigenza di dare una definizione precisa e scientifica al termine

“concentrazione”.

Allo stato attuale, se un allenatore dice al suo giocatore durante un

match ”concentrati!", rischia di metterlo seriamente in confusione in

quanto nessuno dei due sa cosa significhi.

3. Sì, ovviamente.

4. Tecniche di rilassamento, visualizzazioni polisensoriali, tecniche di

intervento brevi, tecniche di gruppo, bioenergetica, counseling, analisi

transazionale, colloquio, psicodramma, etc..

5. Tutti i giorni le tecniche di base seguendo programmi

personalizzati, alternando le altre tecniche quando ritengo necessario,

e quando richiesto dal piano di intervento.

6 . Sì.

7. É fondamentale per la crescita personale del giocatore, per quella

dell’allenatore e per la relazione fra i due.

8. Sì, dopo le sconfitte.

9. Sì, ovviamente.

10. Esistono dei questionari valutativi che utilizzo di tanto in tanto, ma

il miglior riscontro positivo, e valutativo in generale sul lavoro

fatto, è fornito dai vissuti, e dal feedback del giocatore stesso.

11. Il 5 % , e moltissimi, non per altro, questa è la follia e il paradosso

del tennis mondiale.

Intervista – Cerovic Ivan (CRO)

Best ranking ATP 303 sing. – 228 doppio

1. Molta importanza, ad alto livello la stessa che ricoprono gli altri

aspetti più specifici.

2. La capacità di gestire le situazioni difficili, le emozioni e lo

stress.

3. No.

4. …

5. …

6. …

7. Risulterebbe utile che l’allenatore abbia competenza anche

nell’ambito psicologico.

8. Nei periodi in cui ho più tornei, e quindi più matches.

9. Il massimo beneficio lo riscontro quando riesco a superare delle

situazioni difficili, ed esco dall’esperienza maggiormente

rafforzato.

10. Valuto continuamente ed attentamente le mie prestazioni,

in allenamento ed in gara, così da trarne gli elementi per

migliorare ulteriormente.

11. Non molti giocatori utilizzano queste tecniche.

Intervista - Fanucci Fabrizio - coach

1. Ad alto livello contano maggiormente altri fattori, che

determinano la qualità e il conseguente livello del giocatore. La

componente mentale risulta più importante nel periodo in cui il

giocatore si sta formando sia dal punto di vista tecnico, che dal

punto di vista temperamentale.

2. Non una in particolare, ma il giusto equilibrio fra tutte.

3. Si, ma non in modo continuo. Ricerco questo tipo di aiuto in

presenza di qualche ostacolo da superare.

4. Soprattutto attraverso la comunicazione, il dialogo, risolvo le

difficili problematiche di natura psicologica.

5. …

6. Si, in modo saltuario. Come dicevo prima, ricorro alla

consulenza dello psicologo in presenza di una barriera da

superare.

7. Il mental training può essere d’aiuto, ma quando il rapporto è

profondo e duraturo, è bene provare a capirsi attraverso il

dialogo.

8. Non un momento in particolare, e soprattutto non lo stesso per

tutti. Ogni giocatore vive in periodi disparati della stagione, dei

momenti di difficoltà in cui potrebbe sentire questo tipo di

esigenza.

9. Lo sblocco delle situazioni in stallo.

10. No, nessuno a parte l’esperienza.

11. C’è una parte che ne fa utilizzo. Non tutti i progetti sul

mental training hanno buoni sviluppi finali.

Intervista – Giorgini Daniele

Class. Ita. 2/1 - best ranking ATP 293 sing. - 143 doppio

1. Molta importanza a tutti i livelli di gioco. Probabilmente in

modo più differente e raffinato in relazione al tennis di alto

livello.

2. Mantenere un alto livello di concentrazione, ed essere in grado

di dominare e gestire le emozioni.

3. Non attualmente. Fino a pochi anni fa utilizzavo un protocollo

di tecniche di mental training.

4. Tecniche di rilassamento e respirazione, training autogeno, e

sporadicamente visual training.

5. Una prima fase del periodo di mental training era dedicata

all’apprendimento delle tecniche. La successiva fase ne vedeva

l’utilizzo anche dopo l’allenamento in campo ed in vista dei

tornei.

6. Soltanto in quel periodo.

7. Mi piace pensare che il mio allenatore possa capirmi, al fine di

gestire anche tutti quei dettagli di natura psicologica.

8. La sconfitta è l’elemento che può mettere a nudo una qualsiasi

difficoltà, e che può far sorgere questo tipo di esigenza.

9. In passato, nulla in particolare.

10. No.

11. Una piccola parte.

Intervista - Mosè Navarra - coach

1. Gli aspetti mentali sicuramente fanno la differenza, la convinzione

dei propri mezzi è fondamentale nel tennis e in tutti gli altri sport.

2. La sicurezza, la capacità di cavarsela con i propri mezzi. In un anno

saranno 10 le partite dove va tutto bene, giochi bene e non ci sono

problemi. È nelle altre 60, 70 partite, dove non giochi al 100% che

devi essere convinto dei tuoi mezzi e devi essere pronto a reagire.

3. Strumenti purtroppo no, mi piacerebbe usare tecniche di mental

training o ricevere l’aiuto di uno psicologo.Quando sono stato

convocato in coppa Davis, ho potuto trarre benefici dall’aiuto di uno

psicologo, con una figura di questo tipo si ha la possibilità di sfogarsi,

anche per molti ragazzi sarebbe utile riuscire a sfogarsi. Io cerco di

trasmettere ai ragazzi le mie esperienze di giocatore professionista,

conosco le pressioni a cui si è sottoposti; cerco di far capire ai ragazzi

che bisogna conoscersi, bisogna conoscere i propri limiti e le proprie

potenzialità.

4. Ne abbiamo già parlato

5. Io lavoro sia in campo che fuori dal campo. Per esempio, quando ci

sono partite in televisione faccio notare ai ragazzi come si comportano

i professionisti, quali sono i loro atteggiamenti. Io ho lavorato molto

con ragazzi indiani e ho notato grosse differenze con gli italiani:

vengono da mondi completamente diversi. Ho notato che i ragazzi

italiani non sanno soffrire mentalmente, quando vanno in fatica non

riescono a essere lucidi, ad analizzare le situazioni. Io cerco di fargli

capire l’errore , di renderli autonomi in tutte le situazioni.

6. Purtroppo no , qui in accademia ne abbiamo uno ma non è uno

psicologo sportivo, sarebbe utile, sarebbe molto utile.

7. Io ho avuto la fortuna di allenare professionisti: Bhupati che era

numero uno nel doppio, Mirny che era 18° nel singolo, con questi

giocatori si parla solo di psicologia, per loro la condizione per rendere

è avere una grossa autostima, una grande sicurezza nei propri mezzi.

A volte dopo alcune sconfitte questa fiducia viene meno e il coach non

deve certo intervenire sul gioco, ma aiutarli a ritrovare quella fiducia e

quella sicurezza.

8. Può essere durante il periodo di allenamento quando il giocatore

sente molta stanchezza, oppure durante le gare dove si è di più sotto

stress; dipende molto dall’individuo e soprattutto dai risultati. Se tutto

va bene non serve alcun sostegno, se il giocatore perde 5 o 6 volte al

primo turno allora tutto diventa più difficile.

9. Sì le ho provate su me stesso, soprattutto quando giocavo in coppa

Davis, si lavorava molto in gruppo. Credo però che uno psicologo

serva soprattutto per i ragazzi, perchè sono in una fase di crescita e se

aiutati al momento giusto sicuramente tale apporto influirà sulla loro

carriera. Se aiutati nel modo giusto a costruire l'autostima e la fiducia

in se stessi saranno pronti ad affrontare in futuro qualsiasi tipo di

difficoltà.

10. Le mie capacità e la mia esperienza.

11. A livello professionistico tutti.

Intervista - Antonio Padovani - coach

1. Ricoprono, secondo me, molta importanza, non soltanto

osservando i singoli momenti o le singole prestazioni, ma in

relazione all’intera carriera. Le componenti di natura psicologica

rappresentano la differenza qualitativa, nel tennis di alto livello,

riscontrabile specialmente in giocatori che hanno una spiccata

“attitudine alla vittoria”.

2. Nella fase di formazione o preparazione è importante la

“conoscenza”, ossia l’apprendere e la successiva

“memorizzazione”. Questi due passaggi sono fondamentali per

realizzare il processo di automatizzazione che consente al

giocatore di risolvere problematiche di gioco nel modo più

rapido ed efficace possibile. Un’altra componente che risulta

molto correlata al match è la capacità di gestire la tensione. In

conclusione, ritengo che le qualità o i difetti dal punto di vista

mentale facciano parte delle caratteristiche individuali del

giocatore stesso, e come le altre caratteristiche siano allenabili,

anche se in piccola percentuale.

3. Per la preparazione dei giocatori che alleno mi affido molto alla

mia esperienza e alla mia sensibilità, quindi, non un vero

protocollo di tecniche.

4. Particolare attenzione è rivolta alla comunicazione. Utilizzo

tecniche per incrementare il livello di attenzione, e spesso faccio

ascoltare musica ai giocatori durante gli allenamenti.

5. Considero di importanza fondamentale la chiave comunicativa

che si sceglie di utilizzare, che deve necessariamente variare a

seconda dell’individuo con cui ci si rapporta. Nell’osservare le

attitudini psicologiche di un giocatore, credo che si debba partire

dal concetto di lateralità con cui esse sono strettamente

correlate, verificando la dominanza dei principali distretti

corporei. Mi piace inoltre introdurre la musica (a scelta del

giocatore stesso) all’interno di alcune sedute d’allenamento,

proprio per esaltare il processo di automatizzazione sopra citato.

Le tecniche per l’incremento del livello di attenzione sono più

importanti nella fase di apprendimento.

6. No, non mi avvalgo di alcuna consulenza. L’intervento di uno

psicologo può essere importante se ci si trova di fronte a casi di

natura patologica.

7. Nel mio caso, la gestione (mentale, tecnico-tattica e

organizzativa) è favorita dal tipo di rapporto che tento di

instaurare col giocatore. In genere, alla base del rapporto

coach/giocatore c’è la credibilità dell’ uomo-allenatore, fatta di

cultura ed esperienza. Lo scambio all’interno del binomio deve

necessariamente essere reciproco.

8. Ad alto livello noto una stretta correlazione tra il numero di

partite perse ed i livelli di stress, tensione o perdita di autostima.

Non c’è, quindi, per un giocatore di vertice un momento in

particolare nella stagione. La scelta e la programmazione dei

tornei può risultare lo strumento attraverso cui è possibile dare il

giusto slancio all’atleta.

9. Osservando in passato progetti di preparazione mentale non ho

mai riscontrato particolari risultati o benefici. L’approccio che

utilizzo, non di stampo puramente psicologico, mi ha dato fino

ad oggi dei buoni risultati.

10. No

11. Non molti utilizzano in modo particolare dei protocolli di

mental training. Ho osservato che gli investimenti in questo campo

non sono sempre effettuati nel modo giusto, sfavorendo in primo

luogo il giocatore, poi il professionista che fornisce la consulenza,

ed i risultati spesso sono scarsi, o del tutto impercettibili.

Intervista – Pastorino Antonio (ARG)

Class. Ita. 2/1 - best ranking ATP 239 sing. – 485 doppio

1. Molta importanza. Le qualità mentali possono evidenziare ed

esaltare le altre caratteristiche.

2. Tutte le componenti che esaltano gli aspetti tattici:

concentrazione, gestione delle emozioni, ecc.. Queste

caratteristiche sono più evidenti ad alto livello.

3. Attualmente vivo autonomamente la mia attività, senza

avvalermi di alcuna consulenza o collaborazione, ma negli anni

passati ho partecipato ad alcuni progetti con la federazione

argentina che includevano la preparazione mentale.

4. L’attività era totalmente improntata sul training autogeno.

5. Apprendevamo questo tipo di tecnica con l’aiuto dello

psicologo.

6. Attualmente no.

7. Il giocatore che ha raggiunto la maturità e l’equilibrio psico-

fisico può assolutamente essere in grado di auto-gestirsi. Non

credo quindi che sia una cosa indispensabile.

8. Quando avverto la sensazione di essere sovraccarico di attività,

e di conseguenza di stress.

9. No.

10. No.

11. Pochi giocatori utilizzano mental training.

Intervista – Giancarlo Petrazzuolo

Best ranking ATP 308 sing. – 212 doppio

1. In uno sport come il tennis, direi che sono fondamentali sia nei

momenti cruciali di un match sia nella gestione dell’intera partita.

2. Sicuramente: la tensione, l’emotività, l’insicurezza, la voglia di far

bene.

3. No, cerco solo di gestirle nei migliori dei modi.

4.....

5.....

6. No, solo parlare con il coach preparando bene la partita, in modo da

avere maggiore sicurezza in campo.

7. Direi che è un altro punto fondamentale l’avere fiducia nel proprio

allenatore, condividere le stesse idee sia tecniche che tattiche aiuta ad

essere tranquilli, e favorisce la concentrazione esclusivamente sul

match senza creare ulteriori tensioni. E poi il primo a dare fiducia e

motivazione al giocatore deve necessariamente essere il coach stesso.

8. Certamente. Con il passare dei mesi, ed al calare della condizione

fisica bisogna reclutare più energie psichiche, perciò una buona

condizione mentale aiuta certamente, e poi, anche nel caso che i

risultati non siano positivi, un aiuto mentale diventa indispensabile.

9.No, purtroppo non riesco a riscontrarne.

10.....

11. In Italia non c’è largo utilizzo di mental training, sono pochi i

giocatori che si avvalgono di questo tipo di preparazione, ed anche in

caso positivo, solo per brevi periodi di tempo.

Intervista – Rianna Umberto - coach

1. Un’importanza cruciale. Ad alto livello, tutti giocano bene, tutti

hanno un enorme bagaglio sia dal punto di vista fisico che

tecnico. Le doti mentali consentono al buon giocatore di fare il

salto di qualità, e farlo diventare un giocatore di alto livello.

2. La capacità di “gestire”: risorse energetiche, emozioni e stress,

situazioni specifiche di gioco. I giocatori più forti, che hanno

continuità nelle prestazioni sono assolutamente in grado di

gestire tutti questi aspetti.

3. Ho assistito, nel corso degli anni, all’evoluzione delle tecniche

di mental training, ed oggi anche basandomi su questo bagaglio

di esperienza, sono molto attento a leggere ed interpretare le

situazioni che si presentano. Non utilizzo nessun tipo di tecnica,

ma attraverso il dialogo, l’esperienza, ed il buon senso cerco di

indirizzare i giocatori che seguo verso la direzione più giusta.

4. …

5. L’approccio che utilizzo per gestire il giocatore anche dal punto

di vista psicologico si basa in larga parte sulla capacità di

comunicare. Dopo un po’ di tempo, essa diviene una

componente reciproca, attraverso la quale ci si riesce a

trasmettere in modo rapido e preciso le informazioni utili alla

ricerca della migliore prestazione.

6. In passato mi sono avvalso della consulenza di uno psicologo.

7. La gestione degli aspetti psicologici è un qualcosa che il

giocatore e il suo allenatore condividono in modo equo anche se

differente.

8. Avverto questa maggiore esigenza nei passaggi critici della

stagione: quando ci sono molti tornei, o quando si è reduci da un

ciclo non positivo.

9. Non posso rispondere in maniere diretta, ma secondo ciò che ho

visto i benefici nascono soltanto se il lavoro di preparazione

mentale è continuo nella stagione, e se il giocatore ha piena

fiducia su ciò che fa.

10. No.

11. Frequentemente, ma soltanto alcuni progetti di mental

training sono validi dal mio punto di vista.

Intervista – St

Starace Potito

Best ranking ATP 28 sing. – 68 doppio

1. Molta importanza, per me la componente “mente” rappresenta

lo slancio che ti consente di superare l’ostacolo, l’elemento che

può metterti, nel corso di un match combattuto, nella condizione

di avere la meglio sull’avversario.

2. Non vedo una o più componenti più importanti sulle altre,

secondo me la giusta combinazione tra esse può rappresentare la

ricetta vincente. Al di là delle singole componenti il giusto

equilibrio “mente-corpo” è la chiave attraverso cui sento piena

fiducia in me e nei miei mezzi.

3. No, non utilizzo nessun tipo di tecnica, soltanto sporadicamente

ho partecipato a sedute di mental training

4. Nelle rare volte che ho fatto mental training ho lavorato sulla

respirazione attraverso tecniche di rilassamento, e

successivamente anche training autogeno.

5. Non definirei questa mia esperienza un vero e proprio

intervento, ma soltanto un tentativo!

6. Attualmente è il mio allenatore (Rianna) a prendersi totalmente

cura di me. Per quanto riguarda il passato, mi è capitato solo di

rado, come dicevo prima, di instaurare un colloquio con uno

psicologo.

7. Il rapporto che si ha col proprio allenatore è alla base della

gestione del giocatore stesso, sia per quanto riguarda gli aspetti

tecnici, ma ad alto livello, anche gli aspetti psicologici.

8. Sento di avere bisogno del sostegno delle persone che mi

seguono, e che mi sono vicine nella mia attività, specialmente

quando sono in difficoltà: reduce magari da infortuni o sconfitte.

9. L’esperienza che ho vissuto riguardo il mental training non mi

ha lasciato nulla, nessun tipo di beneficio. In realtà non credo in

quel tipo di intervento, e preferisco scoprire autonomamente i

miei lati positivi ed i miei difetti.

10. Nessuno strumento.

11. Molti giocatori che conosco hanno vissuto la mia stessa

esperienza. Quasi tutti tentano, quantomeno, ad affacciarsi al

mental training.

Intervista – Tarantino Augustin (ARG)

Class. Ita. 2008 2/2 - best ranking ATP 307 sing. – 407 doppio

1. Sono importanti, ma riferendoci al tennis di alto livello, solo se

abbinate ad altre qualità.

2. Mantenere alto il livello di concentrazione, e saper gestire la

tensione e lo stress.

3. No.

4. …

5. …

6. …

7. Potrebbe rappresentare un’ulteriore strumento a disposizione del

coach, ed un ulteriore aiuto per il giocatore. Personalmente

sento maggiore sicurezza in campo quando all’esterno c’è un

allenatore che sa comprendere le mie esigenze, e che quindi sa

consigliarmi sempre la soluzione più giusta per me.

8. Quando avverto stanchezza. Quando sono reduce da troppi

tornei, o quando sono in recupero da infortunio.

9. …

10. No.

11. Solo una piccola percentuale utilizza in modo concreto il

mental training. Altri giocatori si limitano ad utilizzarlo in modo

molto superficiale.

Intervista – Vico Uros

Best ranking ATP 166 sing. – 80 doppio

1. Una notevole importanza, assieme agli aspetti fisici e

tecnico-tattici, che comunque, rispetto alla componente

mentale, Quanta importanza ricoprono per Lei gli aspetti mentali

all’interno di un match?

rivestono per me maggiore rilevanza.

2. Il “non pensare” inteso come automatizzazione, sia dal punto di

vista motorio, che dal punto di vista tecnico-tattico. Questo tipo di

“abilità”, durante un match, soprattutto se importante, risulta un

aspetto chiave per il successo finale.

3. Attualmente mi affido solo all’esperienza del mio coach, ma fino

a pochi anni fa, all’interno della mia programmazione quotidiana,

era prevista anche una sezione dedicata al mental training.

4. Il mio programma di mental training prevedeva sedute di

rilassamento, training autogeno, e più raramente visual training.

5. Ho utilizzato le tecniche di rilassamento prevalentemente

nel periodo di allenamento e prima di matches ritenuti

importanti; il training autogeno anche autonomamente durante

alcuni matches, al “cambio campo”; il visual training nei

periodi particolarmente stressanti, la sera, a letto, prima di

dormire.

6. Come dicevo prima, attualmente mi affido totalmente al

mio coach, ma negli scorsi anni, due psicologi si sono

avvicendati nel seguirmi dal punto di vista mentale.

7. Parlando della mia attuale esperienza, ritengo che il coach

ha l’importante ruolo di gestire il giocatore “a tutto tondo”, di

conseguenza deve necessariamente essere dotato di grossa

sensibilità per comprendere le sue esigenze, e poi agire al

meglio per il bene dell’atleta che segue.

8. Il momento in cui potrei sentirne il bisogno è di sicuro prima

di alcuni matches, e non deve trattarsi necessariamente di

partite importanti. Alcune volte mi capita di essere agitato

senza riuscire a trovarne la ragione, ed è lì che provo a

rilassarmi, ma nel tentativo finisco per sentirmi ancora più

stressato!

9. Non sempre, e non in modo così rilevante. Oggi sento di

avere maggiormente bisogno di focalizzare la mia attenzione

sulle motivazioni e sugli obiettivi,e non riuscirei sicuramente a

trovare benefici dalle tecniche che prima utilizzavo.

10. Nessuno.

11. Secondo me, tutti hanno quanto meno provato a far

qualcosa per la propria preparazione mentale, alcuni con il

supporto di psicologi, altri attraverso i propri allenatori.

Intervista – Volandri Filippo

Best ranking ATP 25 sing. – 120 doppio

1. Le qualità mentali sono molto importanti, secondo me,

soprattutto ad alto livello, anche in relazione alle altre

componenti. La gestione degli aspetti mentali risulta essere

fondamentale.

2. Molte sono le componenti di natura mentale. Per me, durante le

fasi di gioco è di primaria rilevanza condurre il match in modo

quasi automatico, lasciando al “pensiero consapevole” solo

poche decisioni. Automatizzare, a partire dall’allenamento può

consentire una maggiore fluidità nel mio gioco.

3. Ho utilizzato alcune procedure fino allo scorso anno. Ora mi

affido totalmente alla mia maturità, e all’esperienza del mio

coach (Fanucci).

4. Tecniche di rilassamento, training autogeno, visual training.

5. Provavamo ad utilizzare queste tecniche durante le giornate di

allenamento, e spesso in previsione di matches importanti, o

dopo alcune particolari sconfitte.

6. Fino allo scorso anno, ho lavorato con una psicologa a tempo

pieno, in quanto parte dello staff della struttura in cui mi alleno.

7. E’ importante il ruolo del coach, soprattutto quando gioco dei

match per me molto importanti. La presenza del proprio

allenatore fuori al campo, mentre giochi, può sicuramente

infonderti sicurezza e fiducia.

8. Il momento in cui ho bisogno di maggiore sostegno è

sicuramente a fine stagione, quando incomincio ad esaurire le

energie!

9. Quando mi preparavo anche con la psicologa, non riuscivo a

riscontrare dei benefici particolari.

10. No, non ho mai utilizzato particolari strumenti per valutare

la mia condizione psicologica. Riesco, con l’aiuto del coach a

capirmi anche interiormente, ed avere il controllo della

situazione.

11. Quasi tutti i giocatori che conosco credono

nell’importanza degli aspetti mentali, e per quanto ho visto,

preparano col proprio allenatore, il match da affrontare in ogni

aspetto.

Intervista - giocatrice top 100

Classifica WTA femm.

1. Molto importante anche perchè al giorno d’oggi tante partite si

giocano solo su qualche punto.

2. Motivazione, calma, conoscenza, chiarezza.

3. Sì

4. Lavoro specifico in campo per affrontare al meglio i momenti

delicati di una partita; conoscenza dei vari meccanismi che possono

succedere nei momenti delicati; pianificazione d una strategia da

eseguire sempre in quei momenti; consulenza con una psicologa

sportiva.

5. Vedi punto 4

6. Sì

7. Il coach può aiutare con degli esercizi concreti in campo. Il

mental training va eseguito da una persona competente che lo

fa di mestiere, ovvero lo psicologo sportivo.

8. No, l’esigenza è soggetta a una moltitudine di fattori variabili.

Personalmente non seguo una regola fissa.

9. Sicuramente sì.

10. Le proprie sensazioni. Il superare situazioni problematiche con

i nuovi mezzi a disposizione.

11. Ognuno è molto attento nel nostro ambiente a non fare

capire all’ altro che si ricorre all’ utilizzo di questi mezzi. (Per

tanto le sarei, anch’io, molto grata di mantenere la privacy di

questa intervista e soprattutto il mio nome).

Interviste gruppo 2

Intervista – Archip Oana (ROM)

Class. Ita. 2/5

1. Le componenti di natura psicologica ricoprono, secondo me, un

ruolo cruciale all’interno della prestazione, di maggiore

importanza rispetto alle altre caratteristiche.

2. Non esistono componenti che possano influire maggiormente

rispetto ad altre. Dal mio punto di vista, il giocatore di vertice

deve possedere il giusto equilibrio tra mente e corpo, per

raggiungere la massima prestazione.

3. Sì.

4. Tecniche di rilassamento, training autogeno, visual training.

5. Nella fase iniziale si apprendono le tecniche con l’ausilio dello

psicologo, ed in una fase successiva è possibile riprodurle anche

in maniera autonoma, così da averle sempre a disposizione,

pronte per essere utilizzate in un momento di necessità.

6. Si.

7. Si pone come ulteriore aiuto e sostegno, per il giocatore ed il

suo allenatore.

8. Personalmente, sento maggiormente l’esigenza di un sostegno

dal punto di vista psicologico nella stagione estiva, che si trova

in concomitanza con i tornei per me più importanti.

9. Si. Assoluta sicurezza e fiducia nelle mie potenzialità.

10. Mettere a confronto le prestazioni dei matches, e talvolta

anche quelle degli allenamenti. Questo sistema rappresenta il

mio sistema di valutazione.

11. Qualche altra giocatrice utilizza mental training, anche con

l’aiuto del proprio coach.

Intervista – Capone Massimo

Best ranking ATP 928 sing. – 743 doppio

1. Sentirsi in piena fiducia di sé, sentirsi sicuri nell’affrontare un

match, sono sicuramente dettagli di natura mentale di molta

importanza.

2. Gestire le emozioni, mantenere alto il livello di concentrazione.

Queste due componenti rappresentano per me la chiave per

raggiungere un buon livello di fiducia in sé.

3. No, non ne ho mai sentito una reale esigenza, anche se credo che

possano aiutare a migliorare in parte il proprio tennis.

4. …

5. …

6. No.

7. Attualmente sono abbastanza autonomo nella mia attività di

tornei, ma ho sempre considerato positiva la presenza

dell’allenatore durante il proprio match. Credo che il coach

possa mettere nella migliore condizione psicologica il proprio

giocatore, anche attraverso semplici parole.

8. Nei momenti in cui non si riesce a giocare al meglio, e si rischia

di smarrire sicurezza e fiducia in sé.

9. …

10. …

11. Non molti. La maggior parte di giocatori che vedo nel

corso dei tornei vivono la mia stessa realtà tennistica.

Intervista – Deighton Thomas (GBR)

Class.ita. 2/6 - Best ranking 302 ITF Junior World Ranking

1. Abbinate alle doti fisiche e tecniche, le qualità mentali hanno

una grandissima importanza.

2. La componente mentale che secondo me incide maggiormente,

per un giocatore di alto livello è la capacità di gestione dello

stress.

3. Sì, ma solo fino alla scorsa stagione, all’interno della struttura

in cui mi allenavo.

4. Tecniche di rilassamento, visual training e imagery, training

autogeno.

5. Durante la giornata di allenamento, attraverso apposite sedute

dedicate soltanto al mental training.

6. Ricordo che sia il coach che lo psicologo si occupavano del

mental training.

7. Anche in virtù del fatto che ho vissuto questo tipo di esperienza,

sono assolutamente convinto che l’allenatore ha anche il

compito di comprendere e mediare i processi di natura

psicologica.

8. Non un momento in particolare. Secondo me è necessario un

supporto costante, in tutto l’arco della stagione.

9. La percezione di sentirsi forti interiormente, l’attitudine a

“pensare in positivo”.

10. Ho utilizzato in passato anche dei test per la valutazione

della mia condizione mentale.

11. Una piccola percentuale.

Intervista – Marco Di Vuolo

Best ranking ATP 550 sing. – 859 doppio

1. Molta importanza, assieme alla tecnica ed alla preparazione

fisica.

2. La capacità di restare concentrati per lungo

tempo,l’automatizzazione degli schemi di gioco, e lo spirito di

sacrificio.

3. No.

4. …

5. …

6. No.

7. L’allenatore può infondere fiducia nel giocatore, consentendogli

così di esprimersi al meglio. Al contrario, quando il coach

mostra insicurezza o sfiducia rispetto al proprio giocatore, lo

pone in una condizione di forte negatività.

8. Quando si avverte maggiormente la fatica. Sia quando si

giocano molti match, ma secondo me, soprattutto quando si è

reduci da qualche brutta sconfitta.

9. Non saprei rispondere, ma tutte le volte che ho sentito l’esigenza

di essere sostenuto in momenti difficili, mi sono sentito

sicuramente meglio quando ho analizzato la situazione assieme

al mio allenatore.

10. No.

11. No, quasi nessuno. Nelle grosse strutture, in molti casi, è

presente lo psicologo all’interno dello staff tecnico, ma non

conosco nessun giocatore che ne abbia tratto particolari benefici.

Intervista – Fanucci Pietro

Class. Ita. 2/4 - Best ranking ATP 1369 sing. – 667 doppio

1. La componente mentale è, secondo me, di grande importanza, al

pari delle doti dal punto di vista fisico, e delle qualità di natura

tecnico-tattica.

2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione è

secondo me la componente psicologica che può avere maggior

peso nel tennis di alto livello.

3. Ho utilizzato, fino allo scorso anno un protocollo composto da

diverse tecniche di mental training. Attualmente è il mio

allenatore, che mi segue anche nella mia attività di tornei, ad

occuparsi della gestione degli aspetti psicologici.

4. Tecniche di rilassamento, visual training, visual training.

5. Utilizzavo queste diverse tecniche nel periodo di preparazione,

in momenti ben definiti della giornata d’allenamento.

Generalmente prima della seduta pomeridiana di allenamento in

campo.

6. Fino all’anno scorso sì. Come dicevo, ora è il mio allenatore che

si occupa anche di questi aspetti.

7. Per me, è molto importante che l’allenatore che mi segue nella

mia attività, abbia la competenza necessaria per guidare le mie

scelte anche dal punto di vista mentale.

8. Nel ritorno da infortuni, e dopo le sconfitte. Questi,per me sono

i due momenti più critici, in cui sento questo tipo d’esigenza.

9. Percepivo, dopo un ciclo di sedute di mental training, un

sensazione di maggiore sicurezza.

10. No.

11. Qualcuno utilizza il mental training. Credo che questo tipo

di pratica sia in costante aumento.

Intervista – Massimo Ghedin - coach

1. Ritengo che la componente mentale sia di fondamentale

importanza. Oggigiorno tutti i giocatori hanno una buona

preparazione tecnica, tattica, fisica; quindi, ciò che fa la

differenza è l’abilità mentale del giocatore.

2. Credo che la concentrazione sia la componente che

maggiormente influisca sulla prestazione; nell’allenamento,

invece è la motivazione dell’atleta che lo spinge a continuare ad

allenarsi.

3. Non proprio, personalmente ho ottenuto buoni risultati con

tecniche di respirazione e rilassamento prima del match. Non

ritengo queste tecniche molto sofisticate o elaborate perché

derivano dall’esperienza e dalla lettura di qualche testo

sull’argomento. Sarebbe comunque il caso di essere affiancati

da uno psicologo.

4. L’ho già detto, io durante l’allenamento curo molto la

respirazione, cerco di far coincidere l’espirazione con la fase

dell’impatto, perché credo che una buona respirazione consenta

di mantenere una certa rilassatezza muscolare. Cerco poi di non

perdere mai la concentrazione anche durante gli allenamenti,

soprattutto con quei giocatori che hanno alti e bassi durante gli

incontri.

5. L’ho appena detto.

6. No, in accademia viene in maniera occasionale uno psicologo

non sportivo, l’impedimento maggiore è di natura economica.

7. Il compito principale di un coach è quello di preparare l’atleta

nel miglior modo possibile dal punto di vista mentale. Nel tennis

ad alto livello, infatti, la funzione del coach sarà in minima parte

quella di migliorare l’atleta dal punto di vita tecnico e tattico. In

questo caso, l’aspetto mentale diviene un fattore fondamentale.

8. Sì, in particolar modo quando si affrontano periodi difficili, di

sconfitte; è in quei momenti che potrebbe risultare utile un

sostegno psicologico. Sono convinto, però anche che un

rapporto, solido con il proprio allenatore, certe volte, possa

essere di aiuto più di un supporto psicologico.

9. Sì, con le tecniche di respirazione ho ottenuto buoni risultati. Un

po’ meno con le tecniche di rilassamento (prima del match), ma

molto probabilmente perché non sono state eseguite in maniera

corretta, per la mancanza della guida di un professionista. E si

ritorna al discorso del budget.

10. Maggiormente l’osservazione sistematica, le reazioni

emotive dell’atleta durante la partita, l’esperienza

dell’allenatore poi è fondamentale.

11. Pochi. Soprattutto nei piccoli club. Nel tennis ad alto

livello, invece, alcuni allenatori le usano ottenendo buoni

risultati.

Intervista – Vincenzo Izzo - coach

1. Credo che la componente psicologica sia importante quanto

quella tecnico-tattica, e, nel tennis moderno, anche quanto

quella fisica.

2. Il salto di qualità molti giocatori lo fanno quando riescono a

trovare equilibrio psico-fisico, e continuità nella qualità delle

prestazioni, che in buona parte dei casi si traduce con continuità

di risultati.

3. No, cerco solo di interpretare nel modo migliore le situazioni di

gioco.

4. …

5. …

6. No.

7. Credo che se si instaura un buon rapporto tra il giocatore ed il

coach, diviene comunque più semplice lavorare per raggiungere

determinati obiettivi, e quindi più probabile raggiungere dei

buoni risultati.

8. Indubbiamente quando il giocatore è sotto stress, per la quantità

o per la tipologia di matches che ha o deve affrontare.

9. …

10. …

11. Solo alcuni, in situazioni ambientali differenti, e con

diversi risultati.

Intervista – Piero Melaranci - coach

1. Possono variare da soggetto a soggetto ma hanno importanza

pari alle capacità tecniche fisiche e tattiche.

2. Motivazioni, autostima, aspettative al successo, ansia da

prestazione.

3. Sì, utilizzo tecniche di attivazione e tecniche di rilassamento,

durante l’anno sotto forma di allenamento mentale sulla capacità

di concentrazione, di attivazione e di rilassamento.

4. Dopo una prima fase di apprendimento delle varie tecniche, si

passa all’applicazione e all’utilizzo delle stesse, sia durante il

periodo di preparazione (rafforzamento della capacità di

concentrazione, attivazione e di controllo) che durante le gare

(preparazione pre-gara, attivazione, gestione dell’ansia, ecc.).

5. Vedi punto 4.

6. Sì, nel mio staff è presente anche uno psicologo.

7. É un fattore catalizzante in quanto permette al coach di

conoscere profondamente il proprio giocatore e gli consente

quindi di intervenire nel modo più appropriato; accresce inoltre

la fiducia del giocatore verso il proprio coach, fattore

determinante per la riuscita del lavoro.

8. Molto dipende dall’andamento della stagione agonistica, una

delle fasi delicate è comunque l’inizio della stagione.

9. Sì, in diversi atleti il supporto di queste tecniche ha portato a

miglioramenti del rendimento.

10. Utilizzo tabelle di valutazione per verifiche periodiche,

unite all’intervento dello psicologo.

11. Credo che a livello internazionale si faccia un utilizzo di

mental training almeno per il 50% dei coach.

Intervista – Rubino Vittorio

Class. Ita. 2007 2/5 - best ranking ATP 1272 sing.

1. Gli aspetti mentali ricoprono, secondo me, una grande

importanza.

2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione, e di

gestire le pressioni che derivano dall’esterno.

3. No.

4. …

5. …

6. …

7. Il mental training può essere d’aiuto per interpretare le

situazioni di gioco e di vita quotidiana, e nella scelta della

migliore soluzione adatta al singolo individuo. Il sostegno

mentale può contribuire alla normale maturazione e crescita

dell’”uomo giocatore”.

8. Sicuramente se avessi la possibilità di ricorrere al mental

training, il momento più indicato sarebbe senz’altro al termine

della stagione, in vista degli ultimi tornei, che spesso si

affrontano in condizioni di stanchezza psico-fisica.

9. …

10. No.

11. Quasi nessuno. Quasi tutti i giocatori che mi capita di

vedere nel coro dei tornei, sono totalmente autonomi, Soltanto

una piccola percentuale di giocatori ha la possibilità del

sostegno dell’allenatore durante i tornei, e soltanto una

piccolissima parte di essi utilizza il mental training.

Intervista – Santangelo Leonardo

Class. Ita 2/4

1. Secondo me gli aspetti di natura psicologica hanno molta

importanza, al pari di tutte le altre caratteristiche che

compongono questo sport.

2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione è

secondo me una delle caratteristiche che incidono maggiormente

sull’esito della prestazione.

3. Sì, ma soltanto in passato, ed in modo molto sporadico.

4. All’interno delle sedute di mental training a cui ho partecipato

abbiamo utilizzato: tecniche di rilassamento, training autogeno,

visual training.

5. La seduta di preparazione mentale si articolava in modo

sostanzialmente schematico: gli esercizi di rilassamento,

attraverso cui si esercitava anche la respirazione, seguiti da

training autogeno o da visual training.

6. In quelle determinate occasioni era lo psicologo ad introdurci

queste tecniche.

7. Il mental training si pone come uno dei cardini del binomio

coach/giocatore, in quanto l’allenatore che segue un giocatore di

alto livello, deve essere in grado di gestirlo in ogni aspetto,

compreso quello psicologico.

8. Maggiormente nei momenti in cui lo stress crea confusione, e si

perde la lucidità necessaria a compiere scelte completamente

razionali.

9. Maggiore sicurezza nei propri mezzi e fiducia in sé.

10. No.

11. Solo qualcuno, in genere i giocatori che provengono dalle

grosse strutture d’allenamento che si avvalgono anche della

consulenza dello psicologo all’interno dello staff tecnico.

Intervista – Simoni Marco

Class. Ita. 2/2 - Best ranking ATP 1086 sing. – 1272 doppio

1. La componente “mente” è molto importante, soprattutto nel

tennis di alto livello. Io considero di uguale importanza la parte

mentale, la preparazione fisica, e le doti di natura tecnico-tattica.

2. Tutti gli aspetti specifici di natura mentale giocano il proprio

ruolo specifico all’interno del match. La condizione di equilibrio

rappresenta lo stato mentale ideale.

3. No.

4. …

5. …

6. No, non mi sono mai avvalso di tale consulenza.

7. Credo che l’allenatore, nell’ambito del tennis ad alto livello,

debba necessariamente conoscere approfonditamente le

dinamiche psicologiche che regolano il corso del match, con

l’obiettivo di comprendere e gestire in modo efficace il proprio

giocatore. Ricopre un ruolo di primaria importanza.

8. Molto dipende dalla mia condizione psicologica: alcune volte,

anche in momenti difficili o critici riesco autonomamente a

trovare la giusta soluzione!

9. …

10. No.

11. Mi è capitato di notare qualcuno che utilizza il mental

training. In genere sono coloro che provengono da grosse

strutture.

Intervista – Stebe Cedric (GER)

Best ranking 226 ITF Junior World Ranking

1. Molto importante soltanto se affiancati a specifiche qualità.

2. La capacità di mantenere il giusto focus attentivo per tutto

l’arco del match.

3. Sì, in Germania è una pratica discretamente diffusa

all’interno dei centri d’allenamento.

4. Training autogeno, visual training, pilates.

5. Nel periodo d’allenamento, sono ritagliati, all’interno della

giornata d’allenamento, specifici spazi interamente dedicati

al mental training.

6. Ho utilizzato le tecniche di mental training sia con l’aiuto del

coach che con lo psicologo.

7. All’interno del binomio è sicuramente d’aiuto: nella

comprensione di specifiche situazioni e nella successiva

elaborazione della strategia d’azione.

8. Nei momenti in cui si avverte maggiore stress psico-fisico.

9. Maggiore sensazione di controllo e calma, la capacità di

mantenere un buon livello di concentrazione.

10. No.

11. Nonostante l’importanza, solo una piccola percentuale

pratica mental training.

Intervista – Taycar Ian (SLO)

Best ranking 104 ITF Junior World Ranking

1. Molto importanti, in stretta correlazione con il livello in cui si

compete.

2. La capacità di mantenere a lungo la concentrazione, lo spirito di

sacrificio. Questi due dettagli rappresentano per me il giusto

riferimento da seguire per essere competitivi.

3. No.

4. …

5. …

6. No.

7. Immagino che possa essere d’aiuto nella gestione dell’attività di

preparazione e di tornei.

8. Il momento in cui sento questo tipo di esigenza corrisponde in

genere con l’ultima parte della stagione dei tornei, in cui si può

accumulare stress e stanchezza in maniera considerevole.

9. …

10. No.

11. Soltanto una minoranza di giocatori dispone di

quest’ulteriore aiuto.

Intervista – Teneriello Fabio

Class.ita. 2/2 - coach

1. Ricoprono secondo me, grande importanza, anche se ritengo che

debbano sempre essere abbinate alle altre specifiche qualità.

2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione, e di

gestione di emozioni e stress.

3. No.

4. …

5. …

6. No.

7. All’interno del binomio coach/giocatore è importante anche la

gestione degli aspetti psicologici. Non credo che il mental

training sia indispensabile in questo tipo di gestione. Un buon

allenatore riesce anche attraverso la sua esperienza ad occuparsi

degli aspetti di natura mentale.

8. Il momento maggiormente delicato, all’interno della stagione di

competizioni, coincide, nella maggioranza dei casi, con gli

ultimi tornei dell’anno.

9. No.

10. No.

11. La maggioranza no, ma sicuramente esiste una piccola

percentuale di giocatori e allenatori che utilizzano mental

training.

Intervista – Urbinati Omar - coach

1. Personalmente ritengo che il campione si riconosca dalla

sensibilità di braccio (il “tocco”) e dalla “testa”, vale a dire dalla

capacità di stare concentrato e di sentire il match. Ovviamente,

per questi motivi, nell’atleta sono da valorizzare al massimo

qualità come la creatività e la concentrazione. E ritengo che tali

qualità siano innate.

2. Tre sono le componenti che influenzano qualsiasi tipo di

prestazione: l’improvvisazione, l’adattamento e la volontà di

raggiungere uno scopo.

3. Non utilizzo strumenti diretti (come l’ausilio di uno psicologo

sportivo) perché sono tecniche che non condivido a livello

giovanile, cerco solo di tirare fuori da ciascuno dei miei allievi il

massimo affinché possano dirsi e sentirsi “uomini” in qualsiasi

campo dell’attività umana, nel gioco del tennis come nella vita

quotidiana. Diverso è il discorso per i coach che seguono

tennisti professionisti, per i quali ritengo necessario un certo tipo

di aiuto psicologico, ma solo se in sintonia con i propri

giocatori.

4. Spingo i miei allievi sempre e comunque a ragionare, perché nei

momenti di difficoltà emerge sempre colui che ha dalla sua parte

la ragione e l’esperienza.

5. Ogni giorno sul campo, cercando in allenamento di far

raggiungere un alto livello di “stress” fisico e mentale per poi

immediatamente far giocare alcune partite di allenamento,

analizzandole insieme al giocatore.

6. Solo a livello professionistico.

7. Come già detto, a livello professionistico mi avvalgo della

consulenza di psicologi esperti nell’ambito sportivo.

8. No, ritengo che qualsiasi periodo della stagione sia molto

importante.

9. Certo, sono convinto che la mia sia una strada che dovrebbe

percorrere ogni allenatore.

10. Gli unici strumenti di valutazione sono i riscontri che

danno i test in allenamento e le prestazioni durante i tornei.

11. Ritengo che i miei colleghi utilizzino in modo smodato le

tecniche di mental-training, quando secondo me ci si dovrebbe

impegnare maggiormente su questioni di tecnica, tattica e di

educazione allo sport.

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