LA MAIOLICA ARCAICA SENESE: STUDIO ARCHEOMETRICO … · di una seconda scelta: i rivestimenti e la...

6
665 LA MAIOLICA ARCAICA SENESE: STUDIO ARCHEOMETRICO DEL CICLO PRODUTTIVO di FRANCESCA GRASSI *, CONSUELO FORTINA** ALESSANDRA SANTAGOSTINO B.** ISABELLA MEMMI TURBANTI ** * Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Università di Siena ** Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Siena PREMESSA In questo lavoro presentiamo i primi risultati di uno stu- dio archeometrico sulla produzione di maiolica arcaica a Siena, alla luce dei nuovi dati raccolti su questa classe ce- ramica utilizzando reperti che provengono da contesti di scavo cittadini. Su questi è stato impostato un progetto di lavoro archeometrico, svolto in collaborazione tra il Dipar- timento di Archeologia e Storia delle Arti e il Dipartimento di Scienze della Terra. Le analisi sono state condotte sui “biscotti” e sui prodotti scartati dopo la seconda cottura, campionati in base ai principali difetti riscontrati. In particolare i campioni utilizzati per lo studio sono relativi a un contesto che illustreremo brevemente. Il mate- riale proviene dalla svuotatura delle volte del complesso conventuale del Carmine, ubicato in Siena nella zona di Pian dei Mantellini (Fig. 1). Il ritrovamento casuale di alcune forme ceramiche nel corso del restauro architettonico degli ambienti del convento ha costituito l’avvio di un intervento archeologico finalizzato alla svuotatura di una porzione della volta interessata dai lavori. La cronologia del contesto è fissata da alcuni documenti scritti al primo decennio del XIV secolo, momento nel quale i monaci carmelitani del convento decidono di costruire le stanze la cui volta è stata svuotata. Nel complesso sono stati recuperati circa 400 pezzi interi insieme a moltissimi reperti frammentari ed in parti- colare 290 forme di maiolica arcaica di cui 239 boccali, 40 tazze ed 11 catini. La particolarità di tale ritrovamento consiste nel fatto che tutti i vasi recuperati sono scarti di fabbricazione, venduti agli operai che lavoravano alla rea- lizzazione delle volte in quanto non utilizzabili per la loro finalità originaria. Questi vasi rappresentano dunque un con- testo unico, soprattutto per lo studio delle interruzioni del ciclo produttivo della ceramica e per sviluppare una casi- stica dei problemi più comuni che si presentavano ai vasai. Questi dati, analizzati nella prospettiva di uno studio archeometrico, sono stati correlati infine alle conoscenze acquisite sulla maiolica arcaica senese nell’ultimo venten- nio dall’organizzazione del ciclo produttivo, alla disloca- zione delle fabbriche in ambito cittadino, all’organizzazio- ne del lavoro. Per quanto riguarda la maiolica arcaica, di cui Siena fu produttrice a partire dalla seconda metà del XIII secolo (BERTI et al. 1995, p. 270), il lavoro più completo rimane ad oggi lo studio complessivo di materiali ceramici recuperati in ambito cittadino e nel territorio (FRANCOVICH 1982). In se- guito (BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986) è stato proposto un quadro di sintesi, comprendente anche Siena, relativo ai cen- tri produttori maggiori e minori della Toscana con particola- re attenzione al flusso dei prodotti e delle maestranze nella regione. Il panorama morfologico è stato arricchito da una tesi di laurea confluita in un lavoro monografico sulla maio- lica arcaica (LUNA 1999) relativa ai materiali del pozzo di Butto nella Contrada della Civetta, ed in parte già pubblicati in un lavoro sulla ceramica senese dal XIII al XV secolo (CAP- PELLI 1990). Infine i materiali provenienti dal recupero del Convento del Carmine, stimolo per l’avvio e lo sviluppo di questo studio, permetteranno di ampliare le conoscenze com- plessive sulla produzione di questa classe ceramica (C’era una Volta 2002). LA TECNOLOGIA DELLE FORNACI DI CERAMICA A SIENA: DATI ARCHEOLOGICI E ARCHIVISTICI L’analisi di dettaglio della tecnologia usata nelle forna- ci da ceramica non può prescindere dal riprendere i dati archeologici e archivistici in nostro possesso relativi all’ubi- cazione delle officine all’interno del centro urbano. La to- pografia delle aree produttive appare caratterizzata da una forte tradizione urbana, con le botteghe ubicate in due poli specifici, quello dell’Abbadia Nuova e della zona compre- sa tra via Stalloreggi, via San Marco e Pian dei Mantellini (Fig. 1; BERTI et al. 1995). Nonostante le numerose lamen- tele dei cittadini che consideravano pericolosa la presenza di attività produttive legate al fuoco, sembra che sino a tut- to il XVI secolo perdurasse la presenza di fornaci in città (FRANCOVICH 1982, p. 44-51). Le zone a vocazione produt- tiva erano comunque poste ai margini del centro cittadino e caratterizzate da ampi spazi ortivi: furono comprese nella cerchia urbana solo dal XIV secolo (BALESTRACCI, PICCINNI 1977, p. 65). Proprio in queste zone sono emersi i resti delle fornaci finora indagate archeologicamente: si tratta della fornace di via delle Sperandie (BOLDRINI 1994) e della fornace della contrada del Nicchio (FRANCOVICH 1982, p. 199). Nel pri- mo caso lo scavo di emergenza effettuato in occasione di lavori edilizi ha permesso di ricavare la planimetria della camera di combustione, scavata nell’argilla e con le pareti foderate di mattoni, e di recuperare i materiali del riempi- mento della fornace che attestano la cronologia di abban- dono della struttura tra la metà del XV ai primi decenni del XVI secolo. Per quanto riguarda la fornace del Nicchio sono stati invece recuperati materiali pertinenti a scarti di cottura ed elementi relativi alla tecnologia del forno (zampe di gallo, muffole) dalla svuotatura di tre silos scavati nel tufo ed uti- lizzati come scarico della fornace: la grande maggioranza dei materiali era datata alla seconda metà del XV secolo (FRANCOVICH 1982, p. 199; CAPPELLI 1990, p. 332). Entrambe le fornaci erano rese particolari dall’ubicazione in grotte scavate nei banchi di argilla pliocenica: per questo tipo di struttura sono possibili i confronti con aree geologicamente simili a quella senese, come Deruta (NEPI et al. 1976; FRAN- COVICH 1982, p. 43). Queste fornaci non sembrano dissimili da quelle descrit- te nella trattatistica cinquecentesca da Cipriano Piccolpas- so (PICCOLPASSO, p. 126): sono formate da due camere di- stinte, una per la combustione del carburante ed una per la cottura dei materiali. Le divide un piano forato sul quale viene posto il vasellame. Ad una parte costruita scavando il tufo, come detto, si doveva aggiungere una porzione, forse la stessa camera di cottura, fabbricata in mattoni, come si desume dalla fodera di mattoni con tracce di vetrificazione delle pareti della fornace delle Sperandie (BOLDRINI 1994, p. 225). Il ritrovamento di zampe di gallo negli scarichi re- lativi all’impianto del Nicchio testimonia, il sistema di impilaggio dei materiali all’interno dei forni: non è certo però se venissero usate fornaci distinte per le prime e le seconde cotture (BOLDRINI 1994, p. 229; BERTI, GELICHI, MANNONI 1997, p. 389). Nel caso da noi analizzato la pre- senza di piombo nella composizione dei biscotti ci permet- te di ipotizzare l’uso di un solo apparato produttivo per en- trambe le fasi di cottura. Il reperimento delle materie prime è un dato sul quale le fonti scritte sono esplicite: le zone di Asciano, Trequanda e Quercegrossa vengono menzionate negli Statuti di Siena come i terreni più adatti per fare ceramica e per produrre i materiali necessari ai rivestimenti dei vasi (PICCINNI 1981,

Transcript of LA MAIOLICA ARCAICA SENESE: STUDIO ARCHEOMETRICO … · di una seconda scelta: i rivestimenti e la...

665

LA MAIOLICA ARCAICA SENESE:STUDIO ARCHEOMETRICODEL CICLO PRODUTTIVO

diFRANCESCA GRASSI*, CONSUELO FORTINA**

ALESSANDRA SANTAGOSTINO B.**ISABELLA MEMMI TURBANTI**

* Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Università di Siena** Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Siena

PREMESSA

In questo lavoro presentiamo i primi risultati di uno stu-dio archeometrico sulla produzione di maiolica arcaica aSiena, alla luce dei nuovi dati raccolti su questa classe ce-ramica utilizzando reperti che provengono da contesti discavo cittadini. Su questi è stato impostato un progetto dilavoro archeometrico, svolto in collaborazione tra il Dipar-timento di Archeologia e Storia delle Arti e il Dipartimentodi Scienze della Terra. Le analisi sono state condotte sui“biscotti” e sui prodotti scartati dopo la seconda cottura,campionati in base ai principali difetti riscontrati.

In particolare i campioni utilizzati per lo studio sonorelativi a un contesto che illustreremo brevemente. Il mate-riale proviene dalla svuotatura delle volte del complessoconventuale del Carmine, ubicato in Siena nella zona di Piandei Mantellini (Fig. 1). Il ritrovamento casuale di alcuneforme ceramiche nel corso del restauro architettonico degliambienti del convento ha costituito l’avvio di un interventoarcheologico finalizzato alla svuotatura di una porzione dellavolta interessata dai lavori. La cronologia del contesto èfissata da alcuni documenti scritti al primo decennio delXIV secolo, momento nel quale i monaci carmelitani delconvento decidono di costruire le stanze la cui volta è statasvuotata. Nel complesso sono stati recuperati circa 400 pezziinteri insieme a moltissimi reperti frammentari ed in parti-colare 290 forme di maiolica arcaica di cui 239 boccali,40 tazze ed 11 catini. La particolarità di tale ritrovamentoconsiste nel fatto che tutti i vasi recuperati sono scarti difabbricazione, venduti agli operai che lavoravano alla rea-lizzazione delle volte in quanto non utilizzabili per la lorofinalità originaria. Questi vasi rappresentano dunque un con-testo unico, soprattutto per lo studio delle interruzioni delciclo produttivo della ceramica e per sviluppare una casi-stica dei problemi più comuni che si presentavano ai vasai.

Questi dati, analizzati nella prospettiva di uno studioarcheometrico, sono stati correlati infine alle conoscenzeacquisite sulla maiolica arcaica senese nell’ultimo venten-nio dall’organizzazione del ciclo produttivo, alla disloca-zione delle fabbriche in ambito cittadino, all’organizzazio-ne del lavoro.

Per quanto riguarda la maiolica arcaica, di cui Siena fuproduttrice a partire dalla seconda metà del XIII secolo(BERTI et al. 1995, p. 270), il lavoro più completo rimane adoggi lo studio complessivo di materiali ceramici recuperatiin ambito cittadino e nel territorio (FRANCOVICH 1982). In se-guito (BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986) è stato proposto unquadro di sintesi, comprendente anche Siena, relativo ai cen-tri produttori maggiori e minori della Toscana con particola-re attenzione al flusso dei prodotti e delle maestranze nellaregione. Il panorama morfologico è stato arricchito da unatesi di laurea confluita in un lavoro monografico sulla maio-lica arcaica (LUNA 1999) relativa ai materiali del pozzo diButto nella Contrada della Civetta, ed in parte già pubblicatiin un lavoro sulla ceramica senese dal XIII al XV secolo (CAP-PELLI 1990). Infine i materiali provenienti dal recupero del

Convento del Carmine, stimolo per l’avvio e lo sviluppo diquesto studio, permetteranno di ampliare le conoscenze com-plessive sulla produzione di questa classe ceramica (C’erauna Volta 2002).

LA TECNOLOGIA DELLE FORNACI DI CERAMICAA SIENA: DATI ARCHEOLOGICI E ARCHIVISTICI

L’analisi di dettaglio della tecnologia usata nelle forna-ci da ceramica non può prescindere dal riprendere i datiarcheologici e archivistici in nostro possesso relativi all’ubi-cazione delle officine all’interno del centro urbano. La to-pografia delle aree produttive appare caratterizzata da unaforte tradizione urbana, con le botteghe ubicate in due polispecifici, quello dell’Abbadia Nuova e della zona compre-sa tra via Stalloreggi, via San Marco e Pian dei Mantellini(Fig. 1; BERTI et al. 1995). Nonostante le numerose lamen-tele dei cittadini che consideravano pericolosa la presenzadi attività produttive legate al fuoco, sembra che sino a tut-to il XVI secolo perdurasse la presenza di fornaci in città(FRANCOVICH 1982, p. 44-51). Le zone a vocazione produt-tiva erano comunque poste ai margini del centro cittadino ecaratterizzate da ampi spazi ortivi: furono comprese nellacerchia urbana solo dal XIV secolo (BALESTRACCI, PICCINNI1977, p. 65).

Proprio in queste zone sono emersi i resti delle fornacifinora indagate archeologicamente: si tratta della fornacedi via delle Sperandie (BOLDRINI 1994) e della fornace dellacontrada del Nicchio (FRANCOVICH 1982, p. 199). Nel pri-mo caso lo scavo di emergenza effettuato in occasione dilavori edilizi ha permesso di ricavare la planimetria dellacamera di combustione, scavata nell’argilla e con le paretifoderate di mattoni, e di recuperare i materiali del riempi-mento della fornace che attestano la cronologia di abban-dono della struttura tra la metà del XV ai primi decenni delXVI secolo.

Per quanto riguarda la fornace del Nicchio sono statiinvece recuperati materiali pertinenti a scarti di cottura edelementi relativi alla tecnologia del forno (zampe di gallo,muffole) dalla svuotatura di tre silos scavati nel tufo ed uti-lizzati come scarico della fornace: la grande maggioranzadei materiali era datata alla seconda metà del XV secolo(FRANCOVICH 1982, p. 199; CAPPELLI 1990, p. 332). Entrambele fornaci erano rese particolari dall’ubicazione in grottescavate nei banchi di argilla pliocenica: per questo tipo distruttura sono possibili i confronti con aree geologicamentesimili a quella senese, come Deruta (NEPI et al. 1976; FRAN-COVICH 1982, p. 43).

Queste fornaci non sembrano dissimili da quelle descrit-te nella trattatistica cinquecentesca da Cipriano Piccolpas-so (PICCOLPASSO, p. 126): sono formate da due camere di-stinte, una per la combustione del carburante ed una per lacottura dei materiali. Le divide un piano forato sul qualeviene posto il vasellame. Ad una parte costruita scavando iltufo, come detto, si doveva aggiungere una porzione, forsela stessa camera di cottura, fabbricata in mattoni, come sidesume dalla fodera di mattoni con tracce di vetrificazionedelle pareti della fornace delle Sperandie (BOLDRINI 1994,p. 225). Il ritrovamento di zampe di gallo negli scarichi re-lativi all’impianto del Nicchio testimonia, il sistema diimpilaggio dei materiali all’interno dei forni: non è certoperò se venissero usate fornaci distinte per le prime e leseconde cotture (BOLDRINI 1994, p. 229; BERTI, GELICHI,MANNONI 1997, p. 389). Nel caso da noi analizzato la pre-senza di piombo nella composizione dei biscotti ci permet-te di ipotizzare l’uso di un solo apparato produttivo per en-trambe le fasi di cottura.

Il reperimento delle materie prime è un dato sul qualele fonti scritte sono esplicite: le zone di Asciano, Trequandae Quercegrossa vengono menzionate negli Statuti di Sienacome i terreni più adatti per fare ceramica e per produrre imateriali necessari ai rivestimenti dei vasi (PICCINNI 1981,

666

p. 595; BERTI et al. 1995, p. 271). Questi dati hanno trovatouna prima conferma dall’analisi effettuata su alcuni cam-pioni di maiolica arcaica provenienti dalla fornace del Nic-chio. Anche in questo caso si è riscontrato l’uso di argilleplioceniche cavate nelle vicinanze di Siena. Inoltre furonoeffettuate alcune prove di cottura su manufatti moderni fog-giati con argille locali, privi di rivestimento e si indicò in750-800 gradi la temperatura necessaria per ottenere un bi-scotto perfetto (FRANCHI, MANGANELLI DEL FA’ 1982, p. 329).Ulteriori riscontri sono stati fatti nel corso del nostro cam-pionamento, prelevando argille provenienti da Serre di Ra-polano (vedi infra).

TESTIMONIANZE DELLA TECNOLOGIA DELLA FOR-NACE: ANALISI MACROSCOPICHE

Una prima analisi macroscopica delle caratteristichetecnologiche dei reperti di maiolica arcaica considerati perquesto studio è risultata fondamentale per evidenziare levariabili peculiari della produzione senese e per effettuareuna suddivisione dalla quale scegliere la campionatura perle analisi di laboratorio.

La maiolica arcaica senese presenta generalmente smaltibianchi e vetrine di colore trasparente o marrone chiaro-gial-lo. In alcuni casi, nell’analisi dei prodotti scartati, abbiamoconstatato che le vetrine apparivano sempre in tonalità scure,tendenti al verde. Un dato molto importante sulla tecnologiaproduttiva è quello riguardante le modalità con cui venivanostesi i rivestimenti. A Siena, da una prima analisi, veniva ste-sa prima la vetrina sulla superficie secondaria e dopo lo smaltosu quella primaria. Nei punti di contatto tra i due rivestimentisi nota che uno spesso strato di smalto ricopre il rivestimentovetroso. Si tratta di un dato non secondario, poiché si conno-ta come un elemento di distinzione dalle produzioni pisane,nelle quali invece il procedimento avviene al contrario (BER-TI 1997, p. 69). Analogamente a quello che succede nella pro-duzione pisana invece vi sono molti manufatti con alcuneparti prive di rivestimento, soprattutto nei punti di contattotra smalto e vetrina, anche nelle produzioni della fase piùantica (BERTI 1997, p. 69).

Passiamo all’analisi dei prodotti nelle fasi del loro ci-clo produttivo. Tra le forme analizzate una grande attenzio-ne è stata riservata ai biscotti: la selezione per la scelta deiprodotti che venivano rivestiti e sottoposti alla seconda cot-tura era molto rigida ed è stata nostra cura quantificare lemotivazioni che potevano condurre allo scarto. Su 330 for-me minime i difetti riscontrati sono legati in percentualidiverse alle varie fasi produttive (Tab. 1; foggiatura, essic-cazione, cottura). Il 26 % dei reperti presenta difetti di fog-giatura dovuti probabilmente ad una miscelazione non cor-retta delle argille (argille troppo plastiche). Questo com-porta principalmente una mancata tenuta del biscotto chedurante l’essiccazione si deforma e, se portato a cottura, sifrattura nella fornace. Con lo stesso difetto di miscelazionedelle argille troviamo una percentuale di vasi (14 %) che sicaratterizza per avere un impasto molto poroso e morbidoal tatto, facilmente sfaldabile. Infine si riscontra una picco-la percentuale (7 %) che presenta alcune parti del corpo nonben foggiate (anse attaccate storte, piedi di boccali moltopiccoli e fuori misura).

La fase dell’essiccazione sembra essere sulla totalitàdei reperti quella più delicata e che determina il maggiorerischio di scarto. Il 52 % dei biscotti presenta fessurazioni efratture in varie parti del corpo, principalmente nella metàsuperiore del vaso, dovute ad un’evaporazione troppo re-pentina dell’acqua contenuta nell’impasto. Si può anchepensare che la fessurazione si sia creata una volta inseritiquesti manufatti nel forno.

Si rileva inoltre una minima percentuale di manufatti(1 %) che presenta difetti creatisi nella fase di cottura, acausa di una temperatura troppo elevata del forno.

Una percentuale pari al 16 % dei biscotti presenta inoltre

sulle superfici schizzi di ingobbio bianco o vetrina che sem-brano casuali e potrebbero essere causati dall’impilaggio deimateriali per l’essiccazione in un luogo prossimo a quellodove avvenivano le fasi del rivestimento.

Passando ai materiali che hanno superato la prima cot-tura e sono arrivati alla fase di rivestimento, mostriamo an-che in questo caso alcune quantità legate ai maggiori difettiriscontrati. Su 237 forme minime riconosciute (Tab. 2), cir-ca il 15 % presenta problemi legati ad una seconda cotturaeffettuata a temperatura troppo elevata (scarti tecnologici,vedi infra); in alcuni casi i vasi si presentano fusi l’uno conl’altro così come si trovavano nella fornace o inglobati amattoni e frammenti di fornace (Fig. 3). Circa il 55% delleforme presenta delle caratteristiche che potremmo definiredi una seconda scelta: i rivestimenti e la cottura sono benfatti, ma il decoro si presenta con linee poco nette, come sefosse “colato” (scarti di dubbia origine, vedi infra). Le se-conde scelte erano sicuramente commerciabili, dunque loscarto deve essere stato provocato da un’altra causa, forseanche in questo caso da rottura casuale, come nel grupposeguente. Sulle restanti forme (30 %) infatti non sono statiriscontrati difetti particolarmente vistosi che possano farpensare ad errori di cottura (scarti post-cottura, vedi infra).L’ipotesi formulata è in questo caso di rotture accidentali.

F.G.

ANALISI ARCHEOMETRICHE. DESCRIZIONE E SE-LEZIONE DEI CAMPIONI

Le analisi archeometriche sono state condotte susessantanove frammenti ceramici selezionati in base allamorfologia (boccali, forme aperte, catini e ciotole) e allafase produttiva a cui è stato possibile attribuire i frammenti.Secondo quest’ultimo criterio i reperti vengono suddivisiin semilavorati non rivestiti e prodotti finiti rivestiti.

I semilavorati, cosiddetti “biscotti”, presentano corpiceramici rossastri-rosati, ben cotti e privi del rivestimento.I prodotti finiti invece possono essere suddivisi in tre grup-pi, in base alle caratteristiche macroscopiche degli smalti edei corpi ceramici: scarti tecnologici, scarti post cottura escarti di dubbia origine (scarti tecnologici o post cottura).

Nel gruppo degli scarti tecnologici rientrano le cerami-che scartate per un errato controllo della tecnologia del fuo-co. I reperti mostrano le evidenze di una cottura effettuata atemperature troppo elevate: gli smalti sono rugosi e/o bol-losi, le vetrine e i corpi ceramici hanno colorazioni brunetendenti al verde, i vasi sono deformati e mostrano fratturecon bordi arricciati.

Il gruppo degli scarti post cottura include i reperti chenon mostrano caratteristiche tali da far pensare ad un’erro-nea tecnologia di produzione. Probabilmente tali reperti sonostati scartati in seguito a rotture accidentali o a decori sba-gliati.

Il gruppo degli scarti di dubbia origine, infine, com-prende i reperti che si differenziano da quelli precedente-mente descritti sostanzialmente per l’aspetto dello smalto.In questo caso, lo smalto si presenta sbiadito con decorisfumati dai colori tenui, le vetrine sono trasparenti, senzagrinze o bollosità, il corpo ceramico presenta una colora-zione omogenea rosata. I reperti attribuiti a questo gruppopresentano quindi delle caratteristiche intermedie rispettoagli altri due gruppi ma la sola osservazione macroscopicanon permette di comprendere se queste caratteristiche sia-no legate ad un errato controllo del fuoco o ad una erratatecnologia nella miscelazione e/o nell’applicazione dei ri-vestimenti.

Al fine di individuare la provenienza delle materie primeimpiegate per la fabbricazione dei corpi ceramici, sono statianalizzati alcuni campioni di argilla. I sedimenti sono stati pre-levati all’interno del bacino di argille plioceniche affiorantipresso la vecchia fornace situata nel comune di Serre di Rapo-lano (Fig. 2). In tale territorio i documenti scritti collocano le

667

Fig. 1 – Siena, ubicazione del convento del Carmi-ne (1) e delle fornaci oggetto di indagine archeolo-gica (2 e 3).

Fig. 2 – Zona di campionamento dell’argilla (indicata con il cerchio).

DIFETTO QUANTITA’(numero minimo)

Cattiva foggiatura, deformato primadella cottura, fessurato

26%

Impasto morbido 14%Ansa attaccata storta 3%Dimensioni non conformi 4%Essiccazione troppo veloce, fessurato 52%Attacco in cottura, stracotto, rottura 1%

DIFETTO QUANTITA’(numero minimo)

Seconde scelte (scarti di dubbia origine) 55 %Scarti tecnologici, cotture elevate 15 %Rotture post cottura 30 %

Tab.1 – Difetti riscontrati sui biscotti.

Tab.2: – Difetti riscontrati sui prodotti finiti.

Tab.3 – Composizione chimica dei manufatti (MACA 22-CAR 76biscotti; CAR 32-MACA 19 prodotti finiti ai quali sono stati tolti irivestimenti per le analisi) e dell’argilla (RAP 1).

Fig. 3 – Diagramma binario relativo alla concentrazione degliossidi (espressi in Wt%) nei manufatti e nell’argilla.

zone di approvvigionamento utilizzate nel corso del XIV se-colo dai ceramisti senesi (FRANCOVICH 1982, p. 49).

RISULTATI E DISCUSSIONE. CORPI CERAMICI EARGILLA

Le indagini condotte mediante microscopia ottica han-no dimostrato che sia i biscotti, sia i prodotti finiti hannoimpasti omogenei, a grana fine e tessitura seriale. Gli impa-sti presentano percentuali costanti di scheletro (10-15 %),in cui i granuli mostrano forma da arrotondata a spigolosa edimensioni non superiori a 0,3 mm. La composizione è pre-valentemente quarzoso-feldspatica ma sono presenti fillo-silicati e calcite secondaria in quantità più modeste. La cal-cite secondaria è particolarmente diffusa nei bordi di ritiro,all’interno dei pori o all’interno dei microfossili. La micro-fauna è principalmente rappresentata da foraminiferibentonici, i cui gusci sono frequentemente sostituiti da piri-te. La matrice fine è prevalentemente costituita da frazioneargillosa.

Queste caratteristiche tessiturali e mineralogiche sonostate osservate in tutti gli impasti analizzati, eccezion fattaper gli scarti tecnologici.

668

Fig. 4 – Immagine SEM in elettroni retrodiffusi del corpo cerami-co e dello smalto del gruppo degli scarti tecnologici di alta tempe-ratura.

Fig. 5 – Immagine SEM in elettroni retrodiffusi del corpo cerami-co e dello smalto del gruppo degli scarti post cottura.

Fig. 6 – Immagine SEM in elettroni retrodiffusi del corpo ceramico edello smalto del gruppo degli scarti di dubbia origine.

Fig. 7 – Immagine SEM in elettroni retrodiffusi del corpo cerami-co e della vetrina del gruppo degli scarti post cottura.

Gli impasti degli scarti tecnologici mostrano una matri-ce di colore grigiastro in cui pochi minerali sono ancorariconoscibili. I minerali presentano caratteristiche ottichealterate, in seguito ad un eccessivo aumento della tempera-tura all’interno della fornace ed al conseguente collasso dellaloro struttura cristallina. Tali fasi hanno per lo più una for-ma arrotondata e, a nicols paralleli, mostrano un pleocroismomarrone scuro.

L’analisi dei sedimenti, ovvero della frazione tal qualee delle tre frazioni separate, ha indicato una composizionemineralogica simile a quella dei corpi ceramici. L’unica ec-cezione è rappresentata dalla presenza di clorite e calciteprimaria nelle argille, la cui assenza nello scheletro deimanufatti è ben argomentabile sulla base delle alte tempe-rature di cottura dei manufatti (clorite e calcite si decom-pongono a partire dai 700-750°C, PETERS, IBERG 1978).

Ulteriori indagini archeometriche sono state eseguitemediante diffrattometria di raggi X e microscopia elettro-nica a scansione. I dati relativi alle fasi mineralogiche pre-senti hanno confermato l’omogeneità composizionale siadell’argilla, sia dei manufatti. Le uniche differenze che èstato possibile osservare nei reperti ceramici riguardano lapresenza e/o l’assenza di minerali quali gehlenite (mineraledi neoformazione), diopside (minerale di neoformazione),feldspati e mica/illite che, tra l’altro, rappresentano degliutili indicatori per ricostruire la temperatura di cottura rag-giunta all’interno della fornace. I risultati ottenuti medianteXRD, ad esempio, suggeriscono che gli scarti tecnologicisiano stati cotti a temperature maggiori di 1000°C per l’as-senza della mica/illite (si decompone completamente a

950°C, PETERS, IBERG 1978) e della gehlenite (inizia a de-comporsi al di sopra dei 900°C, PETERS, IBERG 1978) e perla presenza di abbondante diopside (inizia a formarsi tra gli850°C e i 900°C, PETERS, IBERG 1978). L’indagine condottamediante SEM ha fornito una conferma a quest’ipotesi, evi-denziando un alto grado di sinterizzazione della matrice,all’interno della quale è possibile osservare i ponti di inter-connessione tra i minerali costituenti lo scheletro e la com-ponente amorfa. L’alta temperatura ha inoltre modificato lacomposizione e la tessitura dei minerali, a tal punto che, infase analitica, è stato possibile ottenere un dato chimico emineralogico attendibile solo per alcuni feldspati e fillosili-cati. La presenza di quarzo con bordi e isole di reazionecon la matrice circostante fornisce infine un’ulteriore con-ferma di alte temperature.

I dati diffrattometrici relativi agli scarti post cottura indi-cano una temperatura di cottura intorno ai 1000°C, in baseall’assenza della mica, alla presenza di diopside ed alla spo-radica presenza di gehlenite (si forma attorno agli 850°C,PETERS, IBERG 1978). L’analisi effettuata mediante SEM, an-che in questo caso, ha confermato l’ipotesi formulata sullabase dei dati ottenuti mediante XRD. Oltre all’identificazio-ne di fasi mineralogiche, l’indagine SEM ha infatti permessodi osservare l’assenza di bordi di reazione e ponti di inter-connessione con la matrice circostante.

Negli scarti di dubbia origine e nei biscotti l’associazio-ne mineralogica suggerisce di ipotizzare temperature di cot-tura attorno ai 900°C, principalmente in base alla presenzadella mica/illite e della gehlenite e alla rara presenza di diop-side (identificato esclusivamente in tre campioni di biscotti).

669

Le immagini al SEM mostrano, per entrambe le tipologie,una matrice non sinterizzata e minerali privi di bordi di rea-zione o ponti di interconnessione con il materiale circostan-te. Sulla scorta di questi risultati è inoltre possibile ipotizzareche la scarsa qualità dello smalto (scarti tecnologici o postcottura) sia dovuta ad una temperatura di cottura troppo bas-sa che ha impedito al colore di fissarsi.

L’omogeneità composizionale dei manufatti osservatasinora è ulteriormente confermata dai risultati delle analisichimiche su sessantasei campioni (Tab. 3). Come raffigu-rato nel diagramma binario in Fig. 3 i contenuti degli ossidisono molto simili in tutti i campioni ed il range di variabili-tà è molto ristretto. L’unica differenza è rappresentata daidiversi tenori di CaO (9.27-14.99%) che sono tuttavia con-dizionati dalla presenza di calcite secondaria e sono quindilegati al seppellimento del manufatto. Si osserva inoltre chele maioliche arcaiche sono state realizzate con impasti ric-chi in calcio, in accordo con i dati chimici ottenuti median-te le analisi del materiale geologico di riferimento.

L’omogeneità chimica riscontrata tra la composizione deicampioni ceramici e quella dei sedimenti campionati con-sente quindi di concludere che quest’ultimi sono perfetta-mente compatibili con la produzione ceramica analizzata.

Un altro dato estremamente interessante, ottenuto me-diante lo studio delle composizioni chimiche (Tab. 3) è lapresenza di un elevato contenuto di PbO (valore medio =610 ppm) nei biscotti. Tale valore può essere attribuito adun fenomeno di contaminazione dovuto all’utilizzo dellostesso impianto per entrambe le cotture (biscotti in primacottura e ceramiche rivestite in seconda cottura).

RIVESTIMENTI: SMALTI E VETRINE

I rivestimenti delle maioliche arcaiche sono stati ana-lizzati mediante microscopia elettronica a scansione asso-ciata a microanalisi (SEM-EDS). I dati tessiturali, minera-logici e chimici hanno confermato la suddivisione inizialedei campioni.

Lo smalto degli scarti tecnologici di alta temperatura sipresenta bolloso e fratturato ed ha uno spessore variabiledai 200 mm (scarti bollosi) ai 400 mm (scarti rugosi). L’in-terfaccia tra smalto e corpo ceramico non è ben definita(Fig. 4). Le fasi mineralogiche relitte sono il quarzo, di for-ma arrotondata e dimensioni variabili, e il biossido di sta-gno, prismatico, di dimensioni pari a qualche micron, men-tre i minerali di neoformazione sono il K-Pb feldspato e ilCa-pirosseno, entrambi di dimensioni estremamente ridot-te (qualche micron). Sono state individuate altre fasi di neo-formazione, che per la tipica tessitura a raggiera e per lacomposizione possono essere ricondotte alla cristobalite(minerale di alta temperatura).

Lo smalto degli scarti post cottura, meno bolloso e frat-turato rispetto al precedente, ha uno spessore non superioreai 260 mm e un’interfaccia netta (Fig. 5). Le fasi mineralo-giche sono quelle individuate negli smalti degli scarti tec-nologici di alta temperatura, se si esclude la cristobalite e siincludono cristalli relitti di K-feldspato.

Nel gruppo degli scarti di dubbia origine lo smalto, piùsottile dei precedenti (<100 mm), è bolloso e fratturato epresenta un’interfaccia particolarmente spessa (Fig. 6). I mi-nerali identificati sono il quarzo, il biossido di stagno, il K-Pb feldspato ed il Ca-pirosseno.

La composizione chimica degli smalti è generalmentemolto simile ma i contenuti di vetrificanti, fondenti e stabi-lizzanti rappresentano un ottimo parametro di distinzioneper i tre gruppi (Tab. 3).

Scarti tecnologici di alta temperatura e scarti post cot-tura si differenziano tra loro per i contenuti di ossidi alcali-ni e stabilizzanti. Gli scarti di dubbia origine, invece, si di-scostano dagli altri per le percentuali di ossido di piombo esilice, rispettivamente più alte e più basse. Nei tre gruppil’agente opacizzante è presente in contenuti variabili (< 4%).

Le analisi chimiche condotte sui colori dello smaltohanno evidenziato che le decorazioni verdi e marroni sonostate ottenute utilizzando piccole percentuali di ossidi diferro e di rame (FeO+CuO<3%) e ossido di manganese(1%<MnO<4%).

Per quanto riguarda le vetrine, invece, esse presentanole stesse caratteristiche tessiturali e mineralogiche all’in-terno dei tre gruppi e non forniscono pertanto discriminantiutili per la caratterizzazione dei vari prodotti (Fig. 7). Leanalisi chimiche, infine, confermano la suddivisione deicampioni in tre gruppi anche se, in questo caso, la distin-zione risulta meno netta. (Tab. 4).

C.F., A.S.B., I.M.T.

DISCUSSIONE DEI DATI

Caratterizzazione interna della produzione

Le analisi archeometriche hanno evidenziato una buo-na omogeneità composizionale dei manufatti oggetto di stu-dio, testimonianza dell’utilizzo della stessa materia primaper l’intero contesto archeologico. Le analisi chimiche hannoevidenziato che l’argilla veniva utilizzata senza aggiunte odepurazioni e confermato le zone di estrazione indicate neidocumenti. Gli studi condotti sui rivestimenti hanno mo-strato che le ceramiche sono state scartate in seguito a tem-perature di cottura inadeguate ad eccezione degli scarti postcottura. Questi manufatti venivano cotti a temperature at-torno ai 1000°C e scartati in seguito a rotture accidentali odecorazioni sbagliate. I dati ottenuti indicano una buonatecnologia sia nella preparazione degli impasti sia nellamiscelazione e applicazione dei rivestimenti. Pertanto i re-perti ceramici appartenenti a questo gruppo possono consi-derarsi prodotti di prima scelta ed essendo rappresentatividi una produzione locale sono gli unici adatti per eventualiconfronti con contesti ceramici provenienti da altre offici-ne.

LA PRODUZIONE DI MAIOLICA ARCAICA A SIENA:QUESTIONI APERTE

In questa prima e sintetica analisi in chiave tecnologicadella maiolica arcaica abbiamo esposto elementi che carat-terizzano ed in alcuni casi diversificano la produzione se-nese da quella di altre città toscane. Un dato da approfondi-re, per quanto riguarda la caratterizzazione della produzio-ne, dovrà essere senz’altro l’analisi della maiolica arcaicanella sua diacronia produttiva, dato che il campione a no-stra disposizione è al momento relativo ad una fase che pos-siamo definire matura (metà XIV secolo).

Un altro fattore che ci sembra fondamentale è il con-fronto con le città toscane che produssero maiolica arcaica.Occorre in sostanza capire in quale modo si sia irradiata laconoscenza dai centri che per primi ne furono produttori,Pisa innanzitutto, alle altre città. Dato che la trasmissionetecnologica avviene mediante la circolazione di maestran-ze (BERTI, GELICHI, MANNONI 1997, p. 383), possiamo ipo-tizzare l’arrivo di manodopera che possieda il sapere tecni-co necessario o da Pisa, che avrebbe giocato il ruolo di in-termediario, o direttamente dalle zone di origine (Spagnasud-orientale o Baleari, vedi BERTI, GELICHI, MANNONI 1997,p. 398).

Proprio in funzione di questi interrogativi ci sembra es-senziale affiancare alle informazioni documentarie sullacircolazione di manodopera, (molto labili per il XIII secolo,vedi BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986), il bagaglio di in-formazioni archeometriche raccolto sulle argille ed in mi-sura maggiore sui rivestimenti per arrivare a delineare i trattidistintivi della maiolica arcaica senese.

F.G., C.F., A.S., I.M.T.

670

APPENDICE

Si ringrazia la Dott.ssa Graziella Berti per l’attenta letturadel testo e per i preziosi consigli.

Per il Dipartimento di Archeologia il coordinatore del pro-getto è il Prof. Riccardo Francovich; per il Dipartimento di Scien-ze della Terra la Prof.ssa Isabella Memmi Turbanti.

Intervento archeologico al complesso conventuale del Car-mine (Area di Archeologia medievale, direzione scientifica deilavori Prof. Riccardo Francovich, direzione del cantiere di sca-vo Prof. Marco Valenti): i materiali del recupero sono stati stu-diati durante l’inverno 2002 presso il Dipartimento di Archeo-logia e sono confluiti in una mostra a carattere tematico sullacittà, sul ritrovamento e sulla produzione di ceramica nel me-dioevo a Siena. La mostra ed il catalogo sono stati curati dalProf. Riccardo Francovich e dal Prof. Marco Valenti (C’era unaVolta 2002).

Metodologie d’indagine: corpi ceramici ed argille sono statistudiati con le stesse tecniche analitiche. Tessiture e composizio-ni mineralogiche sono state indagate mediante microscopia otticae microscopia elettronica a scansione associata a microanalisi(SEM-EDS). Ulteriori indagini mineralogiche sono state eseguitetramite diffrattometria di raggi X (XRD). L’analisi chimica è sta-ta ottenuta mediante la spettrometria ad emissione al plasma conaccoppiamento induttivo (ICP-OES). I rivestimenti (smalti e ve-trine) sono stati studiati mediante microscopia elettronica a scan-sione associata a microanalisi. L’analisi delle argille è stata ese-guita sia sul sedimento tal quale che sulle seguenti frazioni gra-nulometriche ottenute per setacciatura: sabbia, silt grossolano, siltfine e argilla. Le strumentazioni utilizzate sono le seguenti: SEMPhilips XL30, equipaggiato con uno spettrometro a dispersionedi energia (EDS) Philips EDAX DX4 (in dotazione presso il Di-partimento di Scienze della Terra – Università di Siena); Diffrat-tometro Philips PW 1710, con anodo di rame, in condizioni ditensione e corrente rispettivamente di 45kV e 25µA (in dotazionepresso il Dipartimento di Scienze della Terra di Siena); ThermoJarrell Ash Enviro II Inductively Coupled Plasma Optical EmissionSpectroscope (ICP-OES); Perkin Elmer Optima 3000 InductivelyCoupled Plasma Optical Emission Spectroscope (ICP-OES)(Activation Laboratories. Ontario, Canada).

BIBLIOGRAFIA

Aix-en-Provence 1997 = Actes du 6ème colloque sur la cérami-que médiévale en Méditerranée occidentale (Aix-en-Provence,13-18 Novembre 1995), Aix-en-Provence.

BALESTRACCI D., PICCINNI G. 1977, Siena nel Trecento. Aspetto ur-bano e strutture edilizie, Clust ed., Firenze.

BERTI G., 1997, Pisa. Le maioliche arcaiche. Secc. XIII-XV (Mu-seo Nazionale di San Matteo), Firenze.

BERTI G., GELICHI S., MANNONI T., 1997, Trasformazioni tecnolo-giche nelle prime produzioni italiane con rivestimenti vetrifi-cati (secc. XII-XIII), in Aix-en-Provence 1997, pp. 383-403.

BERTI G., CAPPELLI L., FRANCOVICH R., 1986, La maiolica arcaicain Toscana, in Siena 1986, pp. 483-511.

BERTI G. et al. 1995, Vasai e botteghe nell’Italia centro settentrio-nale nel basso-medioevo, in Rabat 1995, pp. 263-292.

BOLDRINI E. 1994, Una fornace da ceramica a Siena, «Archeolo-gia Medievale», XXI, pp. 225-531

C’era una Volta 2002 = FRANCOVICH R., VALENTI M. (a cura di),La ceramica medievale nel convento del Carmine, Santa Mariadella Scala, Siena.

CAPPELLI L. 1990, Siena. Aspetti della produzione ceramica fra XIIIe XV secolo, in BOJANI G.C. (a cura di), Ceramica Toscana dalmedioevo al XVII secolo, Monte San Savino, pp. 323-357.

FRANCHI R., MANGANELLI DEL FA’ C. 1982, Studio delle caratteri-stiche mineralogico-petrografiche e chimiche delle coperte edei biscotti di alcuni reperti provenienti da una fornace diSiena, in R. FRANCOVICH, La ceramica medievale a Siena enella Toscana meridionale, Firenze, pp. 323-332.

LUNA A., 1999, Nuove acquisizioni sulla maiolica arcaica sene-se: i dati dal pozzo della Civetta (Siena), «Archeologia Me-dievale», XXVI, pp. 411-427.

NEPI et al. 1976, Per lo studio della facies rupestre di Siena, «Ar-cheologia medievale», III, pp. 413-429.

PETERS T., IBERG R. 1978, Mineralogical changes during firing ofcalcium-rich brick clays, «Ceramic Bullettin», Vol. 57, No.5, pp. 503-509.

PICCINNI 1981, Per lo studio della produzione di ceramica e vetronella prima metà del Quattrocento: la committenza del Mo-nastero di Monte Oliveto presso Siena, «Archeologia Medie-vale», VIII, pp. 589-600.

PICCOLPASSO C. ms., Li tre Libri dell’Arte del Vasaio, prima edi-zione a stampa Roma 1857, (ed. italiana a cura di G. Conti,Firenze 1976).

Rabat 1995 = Actes du 5ème colloque sur la céramique médiévaleen Méditerranée occidentale, (Rabat, 11-17 Novembre 1991),Rabat.

Siena 1986 – La ceramica medievale nel Mediterraneo occiden-tale, Atti del III congresso internazionale (Siena, 8-13 otto-bre 1984), Firenze.