La lezione dei cae dicembre 2014 ediesse

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Materiali

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La lezionedei Comitati aziendali europeia vent’anni dalla loro nascita

Una ricerca empiricain alcuni casi di CAE multisettoriali

a cura diSalvo Leonardi

prefazione diFausto Durante

presentazione diGabriele Guglielmi

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© Copyright by Ediesse, 2014Ediesse s.r.l.Viale di Porta Tiburtina, 36 - 00185 RomaTel. 06/44870283 - 06/44870325Fax 06/44870335

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Progetto grafico e immagine di copertina:Antonella Lupi

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Prefazionedi Fausto Durante 9

Presentazionedi Gabriele Guglielmi 17

PARTE PRIMALa ricerca

I Comitati aziendali europei:fra ricerca empirica e formazione dei delegatidi Salvo Leonardi 25

Il CAE di Keringdi Salvo Leonardi 69

Il CAE del Gruppo Volkswagendi Volker Telljohann 97

Il CAE di Jungheinrichdi Davide Dazzi 121

Il CAE della SAPdi Giorgio Verrecchia 139

Il caso Cremoninidi Paola Chiorrini 153

Indice

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PARTE SECONDAAnalisi e prospettive

I CAE: il livello più avanzato di coinvolgimentodei lavoratori nelle imprese multinazionali.Ma restano problemidi Claudio Stanzani 171

I CAE: profili normativi e aspetti problematicidi Giorgio Verrecchia 183

I CAE in una prospettiva di ricerca proattiva:l’esperienza e il modello del progetto europeo ICARUSdi Fabio Ghelfi 215

CAE, contrattazione transnazionale e formazionein FILCAMS: partire dai «lontani» per arrivare a tuttidi Gabriele Guglielmi 249

APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

Traccia di intervista semistrutturata a un membro del CAE 273

Traccia di intervista semistrutturata a funzionari sindacali 275Traccia di intervista semistrutturata a delegato sindacalein azienda 277Traccia di intervista semi-strutturata per studio di casodove il CAE non è stato costituito 278

Direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio 281

Decreto legislativo 22 giugno 2012, n. 113 303

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1. Nella riunione del 21 e 22 ottobre 2014, il Comitato esecutivodella Confederazione europea dei sindacati (CES) ha approvato undocumento riguardante i temi della democrazia nei luoghi di lavoroe dei diritti di informazione, consultazione e partecipazione dei lavo-ratori in Europa. Un documento che, sull’insieme di questi temi, re-clama un approccio coerente da parte di tutti gli attori sociali: nonsolo le organizzazioni sindacali, quindi, ma anche – e direi soprat-tutto – le associazioni dei datori di lavoro e le istituzioni europee. LaCGIL, insieme alle altre confederazioni sindacali italiane, ha soste-nuto l’adozione del documento in questione. Le ragioni sono diver-se; mi limiterò qui ad esporre quelle più importanti.

Il tema della democrazia nei luoghi di lavoro – ossia delle possibiliforme della partecipazione, della rappresentanza, del coinvolgi-mento dei lavoratori e dei loro sindacati rispetto alle scelte e ai pro-cessi decisionali delle imprese – è per noi una delle chiavi per rico-struire tra il mondo del lavoro e il processo europeo un rapporto po-sitivo. Se oggi l’Europa deve affrontare il rischio concreto di unadelegittimazione democratica e di una crisi di fiducia da parte deicittadini, allora il tema dei diritti e della rappresentanza sovranazio-nale del lavoro può rappresentare una iniezione di aria fresca e puranegli sclerotizzati e burocratici schemi di funzionamento dell’Unioneeuropea. Schemi dagli esiti fallimentari, lontani dai cittadini, causa

* Responsabile del Segretariato Europeo CGIL.

Prefazionedi Fausto Durante*

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prima di quella perdita di fiducia nel «sogno» europeo a cui i lavo-ratori hanno dato, negli anni, un contributo significativo.

Se si vuole invertire la tendenza all’appannamento e al declinodella prospettiva europea, quindi, uno dei terreni da coltivare è pro-prio quello dell’allargamento dei diritti, dell’estensione dei processipartecipativi a livello dell’impresa, del protagonismo del lavoro. Atutto ciò bisognerà, con la necessaria prudenza ma con ferma deter-minazione, aggiungere i temi della definizione di uno spazio euro-peo della contrattazione e dei suoi possibili attori e contenuti. Per fa-re ciò, occorre cominciare a ribaltare i paradigmi culturali e le scelteeconomiche e sociali della Commissione europea negli ultimi diecianni, gli anni di José Manuel Barroso e della torsione liberista impo-sta all’Europa. In tale arco temporale, sulle questioni di cui ci occu-piamo qui, l’attività dei decisori europei è stata pressoché esclusiva-mente improntata alla erosione del sistema dei diritti definiti e alladeregolamentazione.

La discussione sui Comitati aziendali europei (CAE), sulla direttivarelativa allo statuto della Società europea, sull’aggiornamento dellenorme esistenti circa informazione, consultazione e partecipazione, èavvenuta in un contesto nel quale da parte della Commissione euro-pea è stato mostrato un atteggiamento generalmente ostile ai lavo-ratori. La revisione della direttiva sui CAE è stata lunga e sfiancantee, alla fine, non ha prodotto un miglioramento significativo dalpunto di vista dell’incoraggiamento alla diffusione dello strumento ealla creazione di nuovi CAE, il cui numero effettivo continua ad esse-re lontano dal potenziale.

La stessa direttiva sullo statuto della Società per azioni europea,che prevede un quadro giuridico specifico per le aziende di dimen-sione comunitaria, è sostanzialmente rimasta lettera morta. Anchequi, rispetto al bacino di imprese potenzialmente coinvolte, il numerodi società europee costituite, con il relativo sistema di governance e dipartecipazione dei lavoratori, è drammaticamente basso e deludente.

L’insieme delle previsioni delle varie direttive che riguardano l’in-formazione e il coinvolgimento dei lavoratori si colloca in un quadronormativo molto debole, privo di una spinta politica forte verso l’im-plementazione e il rafforzamento. È il frutto amaro di un decennio

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nel quale l’attacco al modello sociale europeo, in particolare allapietra angolare di quel modello rappresentata dalla contrattazionecollettiva e dal riconoscimento del lavoro come forza motrice del-l’Europa, è stato particolarmente forte.

Ci sono due esempi che illustrano bene questa tendenza. Uno èquello relativo al regolamento Refit, attualmente in discussione a li-vello europeo. Con il pretesto della semplificazione burocratica e re-golamentare, della volontà di «rendere la vita più semplice» alle im-prese e all’attività economica, il regolamento Refit rischia di produr-re un significativo allentamento degli obblighi delle imprese in rela-zione ai processi di informazione delle rappresentanze dei lavoratorisulle materie relative a salute e sicurezza, oltre che all’uso di sostanzepericolose e nocive nei processi produttivi. Un significativo rischio diarretramento, contro il quale il sindacato in Europa si sta battendo,proprio su uno dei terreni su cui l’Europa ha sempre avuto una spic-cata e peculiare sensibilità.

Il secondo esempio, che spiega la tendenza delle imprese ad asse-condare le scelte europee di indebolire il quadro dei diritti su scalasovranazionale, è rappresentato dalla parabola triste di quello che asuo tempo era presentato come il caso da cui prendere esempio, lamigliore buona pratica in tema di partecipazione e coinvolgimentodei lavoratori in una impresa globale, il caso di Arcelor. All’iniziodello scorso decennio, questo gigante mondiale della siderurgia,frutto della fusione tra Arbed, Aceralia e Usinor, fu preso ad esem-pio dalla Federazione europea dei metalmeccanici come realtà in cuiil CAE aveva davvero un ruolo significativo e non formale. Addirittu-ra, in anticipo sull’entrata in vigore della direttiva sulla Società eu-ropea, Arcelor sperimentò la presenza dei rappresentanti dei lavo-ratori nel board, nel massimo organo decisionale dell’impresa.

Ecco, negli anni la forza di quella spinta si è esaurita, assecondan-do quel processo più generale favorito dalle scelte della Commissio-ne europea. E Arcelor è passata da caso emblematico, citato per isuoi aspetti virtuosi negli ambienti del sindacato europeo e della Or-ganizzazione internazionale del lavoro, a normale realtà aziendalenon differente dalle altre, nel trend generale verso l’attacco al lavoroe ai suoi diritti.

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Questa situazione complessiva richiama le organizzazioni dei lavo-ratori ad un compito preciso: capire bene cosa sta avvenendo nellerelazioni concrete tra impresa e lavoro, reagire sul piano dell’inizia-tiva sindacale, cambiare approccio e metodo di lavoro.

Oggi l’europeizzazione e l’internazionalizzazione dell’attività deisindacati diventano un imperativo. In questo senso, reagire e cam-biare marciano insieme. Se non si cambia rapidamente prospettiva,passando da una dimensione solo domestica di impresa e di territo-rio a una almeno europea, per i sindacati sarà sempre più difficilepoter reagire nel modo adeguato. Non solo per ciò che riguarda latenuta dei meccanismi di rappresentanza e di informazione, ma an-che e soprattutto per ciò che riguarda la capacità di negoziazione edi stipula degli accordi collettivi. Sarà sempre più in una dimensioneeuropea e internazionale che i sindacati potranno aspirare, nellacondizione data e con i rapporti di forza oggi disponibili, a rappre-sentare una controparte efficace rispetto al dominio delle impreseglobali e delle multinazionali, un elemento di bilanciamento controla pervasività del potere economico che non tollera controllo e op-posizione.

2. Per tentare di cogliere qualche risultato in questo senso, per in-vertire la tendenza al rinsecchimento dello spirito che ha portatonegli anni passati alla costituzione dei Comitati aziendali europei ealla firma di molti accordi quadro di natura transnazionale, abbiamodi fronte a noi alcuni ambiti fondamentali di intervento. Uno, e quisi ritorna alla recente proposta della Confederazione europea deisindacati, è quello di un quadro europeo omogeneo di normative etrattamenti nazionali per le imprese che ricadono all’interno delladirettiva sui CAE. Il rischio di una diminuzione permanente e nonrecuperabile della capacità di influenza dei sindacati su queste im-prese si combatte anche definendo regole comuni che, superando leprevisioni nazionali, elimino differenze e rischi di dumping. Quantoè ancora accettabile la presenza di 28 sistemi diversi di rappresen-tanza sindacale, di contrattazione collettiva, di leggi sul lavoro, di re-gole su appalti e subappalti, di ammortizzatori sociali, di norme suassunzioni e licenziamenti? Il tema della definizione di un quadro

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comune, per le imprese ricadenti nelle previsioni della direttivaCAE, può e deve essere uno degli obiettivi del sindacato europeo neiprossimi anni.

Un altro ambito riguarda «chi» svolge rappresentanza sindacalenelle imprese multinazionali e «come» questa attività si svolge, nelrapporto democratico e limpido con i lavoratori e nel quadro di unacorretta relazione con le diverse organizzazioni sindacali operantinell’ambito di quelle imprese. Non è un tema da poco. Infatti, se sivuole, come sarebbe necessario, attribuire alle strutture europee dirappresentanza sindacale poteri più ampi rispetto alla situazioneodierna, magari spingendosi verso compiti di vera e propria con-trattazione transnazionale, occorre definire regole più stringenti evincolanti, tanto per le modalità di composizione dei CAE (superan-do quei margini di ambiguità e discrezionalità di comportamentooggi presenti, che a volte possono consentire di nominare nei CAElavoratori non iscritti ad alcun sindacato e scelti direttamente dalledirezioni aziendali) quanto per la coerenza tra l’attività svolta nei CAEe gli orientamenti generali – sulla contrattazione e sui suoi contenuti– definiti dalle organizzazioni sindacali nazionali ed europee.

In questa direzione, e qui siamo ad un ulteriore ambito di lavoro,sarà necessario precisare i contorni e le materie di tale contrattazio-ne di livello europeo. La questione è delicata e controversa, ma per-sonalmente ritengo sia arrivato il momento di superare resistenze etimidezze forse comprensibili nel recente passato ma oggi probabil-mente superate dal corso degli eventi. Con la cautela e il realismodel caso, ma anche con spirito di innovazione e con capacità di visio-ne, troverei opportuno imboccare – nella piena consapevolezza del-l’irreversibilità di una scelta così impegnativa – la strada della pro-gressiva cessione di sovranità contrattuale agli organismi europei dirappresentanza dei lavoratori. In un processo che veda via via am-pliarsi le competenze e i temi della contrattazione, passando dagliattuali e tradizionali contenuti (generiche intese quadro su temi co-me la responsabilità sociale, l’informazione preventiva, il rispettodelle convenzioni internazionali sui più svariati argomenti) ad argo-menti direttamente collegati alla prestazione lavorativa. Penso chesia l’essenza della condizione di lavoro, il tema della dimensione la-

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vorativa rispetto e di fronte all’impresa, ciò che deve gradualmenteentrare nelle dinamiche europee della contrattazione: la gestionedegli orari, dell’organizzazione del lavoro, delle modalità di effettua-zione della prestazione. E, di conseguenza, la gestione delle politichesalariali.

Mi pare che la consapevolezza della complessità dei problemi at-tuali e della difficoltà di farvi fronte con le sole certezze del passatopossano consentire al movimento sindacale di avviare la discussionesu questo argomento così impegnativo.

Lo scorso anno, la scelta del sindacato tedesco DGB di rompereuno dei suoi più granitici tabù e di dire sì all’introduzione del salariominimo – facendone anzi uno degli elementi delle sue rivendicazionial momento della composizione del nuovo governo di grande coali-zione formato da Angela Merkel con la SPD – ha provocato la ria-pertura della discussione su questo argomento e, più in generale,sulla dimensione europea delle scelte nazionali in tema di politichesalariali, da parte sia dei sindacati sia dei governi. Le ragioni dellascelta dei nostri compagni tedeschi sono legate alla constatazione dicome diventi agevole, nell’apertura di strappi sempre più larghi trale maglie della copertura contrattuale causata dalla diffusione di la-vori precari e non standard, la fuoriuscita di lavoratori e imprese dalsistema generale del contratto nazionale. Fenomeno che, certamen-te, non riguarda la sola Germania.

Ora, è chiaro che questo tema non riguarda direttamente i CAE,ma sollecita una riflessione sulla possibilità di avviare nell’ambitodella Confederazione europea dei sindacati la discussione su unostrumento salariale minimo di livello europeo, come mezzo per ri-prendere un processo, per quanto lento e graduale, di convergenzadelle politiche dei salari e delle condizioni retributive dei lavoratoriin Europa. Un tema che non potrà non avere nelle grandi impreseglobali e nelle multinazionali un primo terreno di iniziativa e, qualo-ra si decidesse di intraprendere questa nuova strada, di sperimenta-zione.

Certo, non si tratta di scelte da prendere a cuor leggero e con di-sinvoltura. E, tuttavia, la rapidità dei processi, la pervasività del po-tere economico e imprenditoriale, le difficoltà a reagire che il movi-

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mento sindacale sta sperimentando in tutto il mondo ci chiamano aresponsabilità nuove e stringenti, anche temporalmente. L’assun-zione di queste responsabilità può essere, nel vivo della battaglia po-litica che stiamo conducendo per il cambiamento delle politicheeconomiche e sociali in Europa, la leva per scongiurare il rischio dideclino dell’efficacia dell’azione sindacale che molti nostri interessatinemici preconizzano e pregustano. E, del resto, la nostra storia ci in-segna che i lavoratori e i sindacati, per raggiungere grandi risultati,devono correre qualche rischio. Per noi, quel tempo è adesso.

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1. Il tema dei fabbisogni formativi in materia di Comitati aziendalieuropei e di aziende multinazionali, in una categoria sindacale comequella della FILCAMS CGIL, si colloca in una posizione relativa-mente meno preminente e più tardiva rispetto a quella già svilup-pata in altri settori. In particolare fra i metalmeccanici, che in Euro-pa e nel mondo – fra i primi – hanno dovuto fare i conti con le sfidedella nuova economia globale. Le loro federazioni (la FEM prima eoggi, dopo la fusione coi chimici, IndustriALL) sono da anni impe-gnate a configurare strategie organizzative (comprese quelle forma-tive) e pratiche negoziali, strategicamente centrate intorno ai temidell’informazione e consultazione da un lato e della contrattazionetransnazionale di gruppo dall’altro.

I sindacati del terziario, da questo punto di vista, sono partiti do-po; non solo – va detto – in Italia, ma anche fra le altre federazioninazionali ed europee che rappresentano i settori del commercio, tu-rismo e servizi.

Quando ci troviamo a confrontarci nelle sedi europee e internazio-nali – si tratti di un CAE o di un consesso che veda rappresentati sin-dacalisti di varia provenienza settoriale – abbiamo spesso l’impressio-ne di dover salire su un treno già partito, che corre troppo veloce-mente e che sta saltando alcune stazioni per noi fondamentali.

«Fermiamoci un attimo!», ci siamo detti. Cerchiamo innanzituttodi capire meglio quali sono le nostre caratteristiche; facciamoci l’esa-

* Coordinatore delle Politiche Internazionali della FILCAMS CGIL.

Presentazionedi Gabriele Guglielmi*

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me del sangue per poter diagnosticare meglio i nostri problemi escegliere la terapia a noi più adatta.

Diciamoci la verità: le delocalizzazioni sono divenute – per tuttinoi che facciamo sindacato, nell’industria come nei servizi, per lagente che rappresentiamo – un autentico spauracchio. Una spada diDamocle che, comprensibilmente, ci terrorizza. Non si tratta di unfantasma o di una ossessione infondata. Ci sono dati precisi che ri-velano la natura reale e insidiosissima di questo fenomeno. Nel suoampio e approfondito capitolo introduttivo, Salvo Leonardi cita unafrase estremamente efficace, tratta dall’ultimo lavoro del sociologoinglese David Harvey: «Il capitale – scrive – non deve mai fare i conticoi suoi difetti sistemici, perché li sposta continuamente a livellogeografico». Quel continuo spostamento del livello geografico dellacrisi, da parte del capitale, è da noi che sfugge. Ed è a noi che togliein continuazione il terreno sotto i piedi.

La chiusura di una fabbrica, il suo trasferimento in un altro paesedove i costi del lavoro sono più bassi che da noi, colpisce gli operaidell’industria – certo – ma anche un pezzo del nostro mondo di rife-rimento. Ad esempio gli addetti ai servizi di mensa o quelli che si oc-cupano delle pulizie. Il rischio delocalizzazione rappresenta un «ter-rore» che si sovrappone al «mostro» dei cambi di appalto che, come irinnovi dei contratti di concessione, modificano costantemente e sen-za tregua il perimetro aziendale/sindacale. Mutamenti strutturali erapidissimi che sono comuni un po’ a tutti i nostri settori. I vecchi pe-rimetri fra manifattura industriale e servizi del terziario divengonosempre più sfumati all’interno di uno stesso sito produttivo o nellacatena del valore, dove pure la rappresentanza associativa e contrat-tuale resta spesso distinta. Ciò fa sì che, all’interno di grandi holding ogruppi multinazionali, la rappresentanza in un Comitato aziendaleeuropeo si diano fianco a fianco delegati che non solo provengono dadiversi paesi, ma anche da diversi settori e ambiti della rappresentan-za sindacale. Un’ulteriore sfida, per noi, a sapere raccordare, unifica-re, ciò che il sistema produttivo e distributivo frammenta, spariglia.

2. È con questa consapevolezza che ha preso forma la ricerca chepresentiamo. Il progetto che lo ha animato nasce da questa intuizio-

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ne: capire i nostri fabbisogni, specie quelli formativi, a partire dal ti-po di situazioni che ci vedono impegnati, le problematiche che ci in-dicano, le strade che ci suggeriscono di percorrere.

Grazie al sostegno del CEMU e sotto il coordinamento dell’Asso-ciazione Bruno Trentin (ABT), con l’importante coinvolgimento del-l’IRES Emilia-Romagna, nonché di altri amici ed esperti da anni im-pegnati sui nostri temi, è stato possibile produrre un lavoro impor-tante e utile – oltre che in termini generali – per l’apprendimento ela pratica negoziale dei nostri quadri e delegati sindacali.

Siamo partiti da quanto avevamo già percepito e imparato, dalleesperienze maturate in precedenti ricerche, per fare ulteriori passi inavanti. Andare a guardare meglio dove ancora non lo avevamo fattocon altrettanta cura. Ad esempio, nell’ambito di CAE a composizionemultisettoriale, o dove un CAE non c’è, eppure, ai sensi della nor-mativa vigente, dovrebbe poter esserci. Abbiamo iniziato a speri-mentare le nostre peculiarità riferite proprio ad aziende complessedel settore come ad esempio Cremonini (di cui si tratta anche in que-sta ricerca), dove stanno dentro – oltre al commercio – i sindacati del-l’agro-industria e dei trasporti. Nel libro se ne tratta diffusamente inalcuni contributi.

La casistica di cui ci riferiscono i cinque studi empirici contenuti inquesto volume offrono uno spaccato alquanto diversificato. Abbiamosituazioni di indubbia eccellenza, come quella della Volkswagen, chein Italia riguarda un paio di marchi industriali (Lamborghini e Du-cati) ma anche una vasta rete commerciale di concessionari. Ebbene,qui un sistema avanzato persino rispetto al già molto strutturato si-stema tedesco della partecipazione estende a tutte le realtà mondialidel gruppo – attraverso una intensa contrattazione transnazionale digruppo – diritti che non si limitano alla sola informazione e consul-tazione ma che si espandono e arricchiscono fino a una vera e pro-pria codeterminazione, quanto meno su alcuni significativi aspettidella condizione di lavoro.

Abbiamo un CAE come quello del gruppo Kering, anch’esso ingrado di trascendere i diritti di informazione e consultazione nelladirezione di veri e propri accordi negoziati a livello europeo. Unaesperienza giudicata positivamente dai nostri delegati, che in esso

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stanno scoprendo prospettive e pratiche sindacali internazionali, ingrado di arricchirne le capacità negoziali. Uno di loro racconta:«Come Gucci possiamo certamente considerarci un’eccellenza a li-vello sindacale nazionale. Ma se guardo a cosa accade in Germania,se sento cosa ci raccontano i colleghi di quel paese rispetto alla loropresenza nei consigli di sorveglianza, penso che ci siano ancora li-velli più avanzati, rispetto ai quali abbiamo da apprendere per pote-re migliorare il nostro modello».

Aspetti chiaroscurali emergono nel caso di Jungheinrich e di SAP.Ci sono questioni che riguardano i rapporti fra i delegati nel CAE,italiani e stranieri, e fra gli italiani, fra quelli che appartengono al ter-ziario e quelli che rappresentano l’industria. C’è il problema dei rap-porti fra i delegati e i lavoratori, nonché quello coi delegati aziendalie/o funzionari sindacali di settore o territorio. Questioni sulle quali laricerca ci fornisce interessanti spunti di approfondimento e riflessione.

Ipotizzando le aziende che sarebbero state incluse fra gli studi dicaso della ricerca ABT, avevamo inizialmente individuato la COIN.Ancora nel 2010, il Gruppo COIN (OVS) poteva vantare oltre 70 ne-gozi all’estero, di cui oltre 30 in Europa. Ebbene, oggi COIN ha ne-gozi diretti pressoché esclusivamente in Italia. L’ipotesi di procederealla costituzione di un CAE è così sfumata, essendo nel frattempovenuti meno quei requisiti di transnazionalità previsti condizional-mente dalla direttiva CAE 45/94/CE.

Situazioni di questo tipo sono tutt’altro che infrequenti nei nostricomparti. I nostri delegati e funzionari devono farci i conti tutti igiorni. Un problema per certi versi analogo, in questa ricerca, lo ab-biamo riscontrato per il caso Cremonini. Se in un gruppo di quelledimensioni si fatica a fare sindacato nelle singole aziende, l’oppor-tunità di un CAE di gruppo potrebbe aprire strade nuove di relazio-ni sindacali; forse di contrattazione transnazionale. Quel caso ciparla degli appalti nella «ristorazione bordo treno» (Chef Express),negli Autogrill sulle autostrade e negli aeroporti. Le gare sulle con-cessioni modificano continuamente l’elastico perimetro dell’azienda;verso l’alto, ma anche verso il basso. A volte si scavalcano le sogliedimensionali e transnazionali previste dalla normativa europea, mada un mancato appalto può accadere che si ricada presto sotto quelle

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soglie. Vanificando di conseguenza le possibilità di costituzione, senon anche di sussistenza, di un CAE di gruppo. Il management, dalcanto suo, fa di tutto per rallentare, ostruire, la nascita e il consoli-damento di una rappresentanza di tipo sindacale a livello transna-zionale. La difficoltà a costituire tanti CAE riflette indubbiamentequesta sostanziale riluttanza datoriale. Claudio Stanzani, nel suo con-tributo al volume, si chiede giustamente quale sia la cultura di rela-zioni umane e sindacali della multinazionale.

Tutto ciò deve in ogni caso indurre un sindacato come il nostro adavere un punto di osservazione diverso. Di sicuro sappiamo ormaiche la dimensione multinazionale può costituire una opportunitàaggiuntiva a disposizione del sindacalista.

È nella quotidianità dell’attività sindacale che la FILCAMS e laCGIL raccolgono la sfida affinché cresca il numero di rappresentantisindacali dei lavoratori preparati e competenti nelle delegazioni spe-ciali di negoziazione, nei CAE, nelle federazioni internazionali dicategoria, nelle alleanze sindacali a supporto delle negoziazioni diaccordi con le imprese multinazionali.

3. Fra i risultati indubbiamente positivi prodotti dalla ricercadell’ABT – oltre a quelli di migliorare la nostra conoscenza in mate-ria di CAE, aggiornandola dal punto di vista normativo (si veda a ri-guardo il contributo di Giorgio Verrecchia) ma anche e soprattuttodella realtà concreta di alcuni casi nei quali siamo direttamente im-pegnati – vi è stato anche quello di preparare il terreno a due pro-getti europei, appena approvati, che ci consentiranno di passare dal-l’analisi dei processi e del fabbisogno alla formazione sindacale mi-rata. Si chiamano To.Be.e EWC1 e ITEM2, e partiranno all’inizio del20153. Obiettivo: alzare l’asticella delle competenze sia dei sindacalistiche dei componenti CAE della FILCAMS e dei partner di progetto.

1 Towards a better employee involvement in undertakings: roles and tasks of themain actors in establishing and improving European Works Councils.

2 Fostering employee involvement at company level by training the main actorsdealing with European multinationals.

3 Finanziati dalla Commissione Europea per 24 mesi 2015-2016.

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Negli scorsi anni la FILCAMS aveva già partecipato ad alcuni pro-getti europei, guidati da chi ha maturato una esperienza maggiore –teorica, empirica, sindacale – su questa materia (ad esempio l’IRESEmilia-Romagna). I sindacati europei di categoria (EFFAT, UNI Eu-ropa), la nostra confederazione, i suoi istituti di ricerca. Pensiamo alprogetto MuMMIA, sul percorso di costruzione del CAE in aziendemultinazionali/multisettoriali, tipiche di settori che rappresentano,come nel nostro caso, l’ultimo stadio di produzione del valore. O alprogetto Local Site Bargaining sulla contrattazione d’anticipo nellaprogettazione/costruzione di un centro commerciale. Obiettivo: ne-goziare preventivamente gli spazi, gli orari e i servizi necessari primae dopo l’avvio dell’attività.

Coi due nuovi progetti che partiranno nel 2015 intendiamo dareseguito, sviluppandola ulteriormente, a questa intensa attività di ricer-ca e formazione che ci ha visti impegnati come sindacato di categoria.

Nel primo caso (To.Be.e EWC) standardizzare il più possibile leconoscenze minime dei rappresentanti dei lavoratori. Fornire aognuna delle figure coinvolte, e per i diversi gradini del percorso,un’informazione base di conoscenza comune e di verifica attraversosnelli manuali; filmati multilingue; «giochi di ruolo», «check list» dicontrollo; con approfondimenti mirati. Materiali liberamente acces-sibili in rete, destinati a diventare percorsi di training on line.

Nel secondo caso (ITEM) specializzare maggiormente i delegati.Servirà infatti formare e mantenere aggiornato un adeguato numerodi specialisti dell’azione sindacale, per poter intervenire tempesti-vamente e con competenza laddove servirà l’apporto di figure quali:organizzatori, esperti, coordinatori (ma non solo), utilizzando modu-li/modelli di training, in aule omogenee per ruolo (mono-lingua omulti-lingue), per gruppi e per fasi di percorso.

In questa nuova e stimolante prospettiva europea, la ricerca con-tenuta in questo volume offre strumenti conoscitivi e analitici indi-spensabili, proiettando già in avanti – nella sfera della formazionesindacale – il suo naturale follow-up.

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PARTE PRIMA

La ricerca

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1. Scenari globali e relazioni industriali

Le vicende che negli ultimi tempi hanno investito, e in molti casiterremotato, numerosi sistemi nazionali delle relazioni industriali, lacentralità che essi hanno assunto – per lo più strumentalmente – neidisegni della governance europea, pongono, insieme a viarie altre, l’e-sigenza e l’urgenza di: a) approfondire la conoscenza di queste ri-forme e, prima ancora, dei sistemi su cui impattano; b) rafforzare edespandere qualunque strumento possa favorire un maggiore coordi-namento sovra e transnazionale delle politiche sindacali1.

Il contesto nel quale matura questa sfida è globale ed è dunque inquest’ambito, con una prospettiva multilivello, che essa deve essereletta e interpretata. L’impennata nel volume degli investimenti direttiall’estero, insieme alle strategie di delocalizzazione, hanno creato uninedito divario di governance e sovranità tra le dinamiche dell’econo-mia e le istituzioni della politica. Al netto di alcuni pur incontestabiliprogressi – in molti paesi in via di sviluppo e, da noi, sul terreno dei

* Ricercatore presso l’Associazione Bruno Trentin.1 M. Keune, V. Schmidt, Global Capital Strategies and Trade Union Responses: to-

wards Transnational Collective Bargaining?, in International Journal of Labour Research,I, n. 2, 2009; W.E Lecher, H.W. Platzer, European Union – European Industrial Rela-tions? Global Challenges, National Developments and Transnational Dynamics, Routledge,1998; W. Kowalski. P. Scherrer (eds.), Trade unions for a change of course. The end of acosy relationship, ETUI, 2011; V. Glassner, P. Pochet (2011), Why Trade Unions Seek toCoordinate Wages and Collective Bargaining in the Eurozone: Past Developments and Fu-tures Prospects, ETUI, Working Paper, n. 3.

I Comitati aziendali europei:fra ricerca empirica e formazione dei delegati

di Salvo Leonardi*

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processi di cognitivizzazione e femminilizzazione del lavoro – il saldocomplessivo è critico e, temiamo, non congiunturale. La sua cifra ri-siede, a nostro avviso, in una sostanziale svalorizzazione del lavoro,sotto ognuno dei profili che ne avevano a lungo determinato il signifi-cato: identità, integrazione, emancipazione e regolazione sociale.

Welfare state e relazioni industriali, che del modello europeo sonostati l’incarnazione più matura, sono sotto attacco. E pur rimanendoda noi più solidi che in qualunque altra parte del mondo, patisconoun grave logoramento che la crisi di questi ultimi anni, e le nefastepolitiche che ne sono seguite, rischia di precipitare fatalmente. Sen-za ritorno. Lo Stato nazionale ha perso buona parte della sua tradi-zionale sovranità sulle politiche economiche e sociali. Questo poneuna pluralità di sfide anche ai sistemi di relazioni industriali, datoche lo Stato – anche in paesi dove si era mantenuto meno interventi-sta, come da noi – ha sempre esercitato un ruolo chiave. Si pensi soloal metodo della concertazione tripartita o – in campo economico –all’uso della svalutazione competitiva e del debito sovrano per alleg-gerire i carichi di stress accumulati in ambito socio-produttivo.

Lungi dall’aver avuto uno sviluppo naturale o spontaneo, comeforse si sarebbe portati a credere, questo modello a noi pare delibe-ratamente promosso e controllato da alcuni attori economici e politi-ci; una transnational capitalist class – come l’ha definita Luciano Galli-no2 –, composta da una top manager e da una élite finanziaria e poli-tica, liberamente operante su scala globale. Al centro di questi pro-cessi si colloca indubbiamente l’impresa multinazionale3. Fra globa-lizzazione e innovazione tecnologica, essa si pone oggi nella condi-zione di svincolarsi da qualunque residuo ancoraggio al contesto so-cio-normativo di un territorio concreto. Come ha scritto di recenteDavid Harvey: «Il capitale non deve mai fare i conti coi suoi difettisistemici, perché li sposta continuamente a livello geografico»4. Gra-

2 L. Gallino, L’impresa irresponsabile, Einaudi, 2005; La lotta di classe dopo la lotta diclasse, Laterza, 2013.

3 Y. Dezalay, I mercanti del diritto: le multinazionali del diritto e la ristrutturazionedell’ordine giuridico internazionale, Giuffrè, 1997.

4 D. Harvey, Le diciassette contraddizioni e la crisi del capitalismo, Feltrinelli, 2014, p. 158.

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zie all’inaudita contrazione spazio-temporale favorita oggi dalla ri-voluzione nelle tecnologie dell’informazione e dei trasporti, l’impresaè in grado come non mai di eludere ed aggirare i luoghi e i processicanonici delle relazioni industriali – un tempo eminentemente nazio-nali e aziendali – attraverso una duplice strategia di «fuga»: a) versol’alto: nella transnazionalizzazione della sua sfera d’azione, posta perlo più in essere attraverso un inestricabile sistema societario di sca-tole cinesi della proprietà; b) verso il basso: sia nella ricerca di formedirette e a-sindacali della partecipazione, postulate dai nuovi modellisocio-tecnici della produzione, sia attraverso il ricorso massiccio aforme di esternalizzazioni, delocalizzazioni, subappalto, sino alla scis-sione fra la titolarità formale e sostanziale del rapporto di lavoro,come nel caso del lavoro somministrato tramite agenzia5.

Nuove e preoccupanti prospettive potrebbero scaturire dal miste-rioso negoziato commerciale fra UE e Stati Uniti, noto con l’acro-nimo di TTIP6.

Oltre che sul terreno economico, la globalizzazione sortisce i suoieffetti sui sistemi normativi nazionali, attraverso il ruolo sempre piùpervasivo svolto dalle organizzazioni internazionali, spesso in sensorestrittivo (Banca Mondiale; FMI; OCSE; agenzie di rating), ma anchein senso positivo7, in forme che possono consistere, ad esempio, nelleConvenzioni e nelle Raccomandazioni dell’ILO, nelle linee guida perle multinazionali della stessa ILO e dell’OCSE, nelle clausole socialiinserite nei trattati commerciali, in alcuni articoli dei Trattati dell’UEe della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, nelle direttive sociali.

In questi anni queste istituzioni hanno esercitato, ed esercitanotuttora, un ruolo sempre più preponderante nella trasformazione deisistemi occupazionali e sociali su scala globale. In special modo nelcontesto, istituzionalmente più integrato e giuridicamente cogente,

5 S. Leonardi, Globalizzazione, sindacati e contrattazione transnazionale, in Quaderni dirassegna sindacale, n. 3, 2013.

6 Fra i primi commenti, v. L. Compa. H. Meyer, A social dimension for TransatlanticEconomic Relations, London Cornell University, 2010; C. Scherrer (ed.), The Trans-atlantic Trade and Investment Partnership (TTIP): Implications for Labor, München, Rai-ner Hampp Verlag, 2014.

7 A. Perulli, Diritto del lavoro e globalizzazione, Cedam, 1999.

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dell’UE. Una cross-fertilization favorita per varie vie dall’ordinamentoeuropeo8, sia nelle sue forme più canoniche di hard law (Trattati, Re-golamenti, Direttive e Decisioni comunitarie), sia, e oggi in misuracrescente, nelle sue forme di soft law, mediante una sequenza di ap-procci e misure, apparentemente prive di quella cogenza giuridicapropria delle regolazione normativa precedente, ma tutt’altro cheprive di una capacità di impatto sui sistemi nazionali. Dal metodoaperto di coordinamento, in voga ancora pochi anni fa, si è passatialla nuova governance economica europea9, di cui il Fiscal compact –coi suoi corollari applicativi (dai severissimi Memorandum of under-standing che hanno afflitto e sfiancato paesi come la Grecia, il Porto-gallo o l’Irlanda, ai Country Specific Recommandations, recapitati qua elà nell’ambito del cosiddetto Semestre europeo) – costituisce oggi laprincipale fonte di interventismo e indirizzo strategico con cui l’UEorienta e condiziona pesantemente le scelte dei governi nazionali, edi quelli dell’area periferica più in crisi, in modo particolare.

Sebbene espressamente escluse dalle competenze istituzionali del-l’UE (art. 153.5 TFUE), le tematiche salariali e contrattuali – conte-stualmente a quelle del risanamento macro-economico degli squilibridi bilancio – sono divenute il maggiore obiettivo del nuovo interven-tismo europeo. Esse si riassumono in una strategia volta a recuperidi competitività, da conseguire essenzialmente attraverso una politi-ca di deflazione salariale che colpisce il lavoro sia sul terreno delrapporto individuale (rendendo più flessibili assunzioni e licenzia-menti), sia e forse soprattutto su quello collettivo della contrattazionesalariale, smobilitando il livello nazionale e settoriale ad esclusivo

8 B. Caruso, M.G. Militello, L’Europa sociale: il contributo del metodo comparativo,Working Paper C.S.D.L.E. «M. D’Antona», n. 94, 2012.

9 S. Smismans (ed.), The European Union and Industrial Relations. New Procedures,New Context, Manchester University Press, 2012; W. Koll, The new economic govern-ance arrangements and autonomous collective bargaining in the European Union, IMK -Hans Boeckler Foundation, n. 30, 2013; K. Busch, C. Hermann, K. Hinrichs, T.Schulten, Euro Crisis, Austerity Policy and the European Social Model How Crisis Policiesin Southern Europe Threaten the EU’s Social Dimension, Friedrich-Ebert-Stiftung, W.P.,2013; C. Hermann, Crisis, Structural Reform and the Dismantling of the European SocialModel(s), Berlin School of Economics and Law, Working Paper, n. 26, 2013.

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vantaggio di quello aziendale10. Negli ultimi anni, sotto la pressionedi questa strumentazione, 18 paesi su 27 hanno messo mano a ri-forme in tema di salari e contrattazione. Si sono imposti tagli e/ocongelamenti dei salari minimi e di quelli del pubblico impiego; an-nullati o congelati – dove vigevano ancora – i sistemi di indicizzazio-ne salariale; bloccati gli interventi amministrativi di estensione ergaomnes dei contratti nazionali; favorite, in tutti i modi, le clausole diuscita e derogabilità in pejus dal contratto nazionale, di fatto abro-gato ormai in parecchi paesi dove pure aveva giocato un ruolo cen-trale. L’Italia è rimasta tutt’altro che immune da questa ondata diprovvedimenti regressivi, venendo chiamata ripetutamente a fare isuoi «compiti a casa», dolorosi, in tema di età pensionistica, bloccodella contrattazione e dell’anzianità nel pubblico impiego, obbligo dipareggio in bilancio in Costituzione, ulteriore flessibilizzazione deirapporti di lavoro, aziendalizzazione della contrattazione collettiva,come nel maldestro ma insidiosissimo disegno contenuto nell’art. 8della legge n. 148 del 2011.

2. Il ruolo dei Comitati aziendali europei

Dinanzi a questa molteplicità di sfide e insidie, potenzialmente su-scettibili di riportare a una sorta di anno zero decenni di faticoseconquiste del movimento sindacale europeo, non sono molte le occa-sioni e le leve internazionali ed europee mediante le quali esercitareun’azione di argine e contenimento minimamente adeguato.

La globalizzazione dei mercati sta inevitabilmente stimolando, senon anche imponendo, la ricerca di una nuova e più efficace dimen-sione transnazionale nelle relazioni industriali11. Un’internazionaliz-

10 T. Schulten, T. Muller, L’impatto della governance europea sui salari e sulla con-trattazione collettiva, in Quaderni di rassegna sindacale, n. 3, 2013; P. Marginson, Coordi-nated bargaining in Europe: From incremental corrosion to frontal assault?, in EuropeanJournal of Industrial Relations, 2014.

11 Sull’argomento, fra gli altri, M. Carrieri e T. Treu (a cura di), Le nuove relazioniindustriali, Il Mulino, 2013; S. Sciarra, L’Europa e il lavoro. Solidarietà e conflitto intempo di crisi, Laterza, 2013.

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zazione che ha assunto forme relativamente più avanzate nel conte-sto europeo – in virtù delle peculiarità, anche positive – del suo mo-dello istituzionale e sociale, comprensivo di assetti e procedure digovernance sovranazionale sconosciuti in altri contesti macro-regio-nali12. Un sistema tuttora unico nel suo genere, come unico – nellascena globale – è quel «modello sociale europeo» di cui i diritti col-lettivi di informazione e consultazione nei Comitati aziendali euro-pei (CAE) rappresentano un pilastro fra i più significativi e qualifi-canti, insieme al dialogo sociale inter-settoriale e settoriale a livelloeuropeo e alla partecipazione nell’ambito della Società europea13.

La nostra attenzione, nella ricerca che abbiamo realizzato per ilCEMU e la FILCAMS – di cui in questo volume riportiamo i risultati– si concentra sull’esperienza dei CAE nonché, eventualmente, sullacontrattazione transnazionale da alcuni di essi realizzata.

Degli istituti e dei temi che maggiormente qualificano il dirittocomunitario del lavoro, nessun altro ha probabilmente raccolto inquesti anni l’interesse, le speranze ma anche le delusioni suscitatedai CAE, istituiti dalla direttiva 94/45/CE. Giorgio Verrecchia e Clau-dio Stanzani ne parlano diffusamente nella seconda parte di questovolume.

Nell’arco di un ventennio ormai, l’esperienza dei CAE ha avutomodo e tempo di mostrare le sue potenzialità e i suoi limiti, a partiredall’esperienza concreta, oltre che dalle norme14. La loro nascita ediffusione rappresenta tuttora, pur – come vedremo – fra tante diffi-coltà e impasse, una delle poche acquisizioni certe e operative in unoscenario altrimenti segnato da un’erosione, aggressiva e senza pre-

12 A. Baylos Grau, B. Caruso, M. D’Antona, S. Sciarra (a cura di), Dizionario di di-ritto del lavoro comunitario, Monduzzi, 1996; B. Bercusson, Labour law and Social Eu-rope, ETUI, 2009; A. Supiot (a cura di), Il futuro del lavoro, Carocci, 2003; M. Roc-cella e T. Treu, Diritto del lavoro dell’Unione Europea, Cedam, 2012.

13 B. Cattero, Tra diritto e identità. La partecipazione dei lavoratori nel modello europeo,in Lavoro e Partecipazione. Sociologia del Lavoro, n. 123, 2011; La Revue de l’IRES, Laparticipation des salariés au niveau européen, numéro spécial, IRES, n. 71, 2011; A.Alaimo e B. Caruso, Dialogo sociale e negoziazione collettiva nell’ordinamento europeo, inArgomenti di diritto del lavoro, I, II, 2012.

14 R. Jagodzinski, EWC after 15 Years – Success or Failure? in Transfer, n. 2, 2011.

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cedenti, dei diritti sociali e sindacali. Innumerevoli studi giuridici ericerche empiriche ne hanno monitorato e approfondito assetti, pra-tiche e vita interna sotto il profilo del loro funzionamento concreto15.Di essi si è certamente riconosciuto e apprezzato l’importante con-tributo nell’avere favorito lo sviluppo di un embrionale sistema direlazioni industriali di livello sopranazionale. Del processo che do-vrebbe portare ad una reale europeizzazione delle relazioni indu-striali16, i CAE costituiscono e «sono destinati a confermarsi un pila-stro imprescindibile della rappresentanza transnazionale dei lavo-ratori nelle imprese»17. Sono lo strumento meglio in grado di istitui-re «dal basso» – nell’impresa – quel sistema di relazioni industrialiche, nel corso di un secolo, si è faticosamente riusciti ad edificareentro i confini degli Stati nazionali europei. Attualmente sono all’in-circa mille le imprese multinazionali che, sulla base dei requisiti fis-sati dalla direttiva del 1994, hanno costituito un proprio CAE18. Sistima che circa 18 milioni di lavoratori siano coperti da questo siste-ma sopranazionale di informazione e consultazione. Una leva im-portante di delegati e quadri sindacali, provenienti da tutti gli Statimembri dell’UE (e non solo), ha vissuto in questi anni una straordi-naria esperienza di apprendistato e pratica sindacale in ambiti e li-velli fino a poco tempo fa sconosciuti.

15 Fra i tanti segnaliamo J. Wills, Great expectations: three years in the life of a Euro-pean Works Council, in European Journal of Industrial Relations, n. 6, 2000; J. Wad-dington, How EWC members see it, in Mitbestimmung, n. 8, 2006; M. Whittall, H.Knudsen, F. Hilijngen, Towards a European Labour Identity: the case of the EuropeanWorks Councils, Routledge, 2007; G. Barbucci e G. Arrigo, I Comitati aziendali euro-pei: tra vecchio e nuovo diritto, Ediesse, 2010; J. Waddington, EWC: the challenge for la-bour, in Industrial Relations Journal, n. 6, 2011, C. Stanzani (a cura di), ComitatiAziendali Europei in Italia: analisi e prospettive, CNEL, 2010; M. Monaco, Multinationalcompany restructuring: European Works Councils and anticipation of change, SDA asbl,Brussels, 2011; M. Gold, C. Rees, What makes an effective EWC? Consideration based onthree case studies, in Transfer, n. 4, 2013.

16 R. Hoffman, Proactive Europeanization of Industrial Relations, and Trade Unions,in W. Kowalsky, P. Scherrer (eds.), Trade Unions for a Change of course in Europe,ETUI, 2011.

17 G. Arrigo, L’azione del Comitato aziendale europeo alla prova del... «nuovo» dirittodell’Unione, in G. Barbucci e G. Arrigo, op. cit., p. 42.

18 ETUI, EWC Database, http://www.ewcdb.eu.

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Si calcola che l’impegno nei CAE abbia finora riguardato diretta-mente qualcosa come 24.000 delegati di tutta Europa (e non solo).Un patrimonio di relazioni ed esperienze, un’autentica infrastrutturadi soggettività organizzative, che non potrà che contribuire favore-volmente alla maturazione di una identità e di una cittadinanza eu-ropea nel campo del lavoro e dei diritti sindacali. Culture e prassisindacali nazionali si sono intensamente confrontate e conosciute,operando verso un auspicabile superamento delle barriere politiche,oltre che geografiche e linguistiche, che impediscono alle organizza-zioni del lavoro di tenere il passo con l’impresa globale. Da questopunto di vista, possiamo descrivere quella del CAE come una im-portante «esperienza cognitiva»19, propedeutica a qualunque altroavanzamento sulla strada di un’autentica europeizzazione delle rela-zioni industriali.

Oltre a promuovere uno scambio transnazionale di informazionifra i lavoratori e i loro rappresentanti, i CAE contribuiscono a for-mare una sensibilità e una fiducia nella possibilità di instaurare for-me più ampie ed inclusive di solidarietà e coordinamento. A impara-re, se non immediatamente la pratica della transnazionalità, quantomeno la sua auspicabilità, e che l’Europa può essere anche uno spa-zio significativo e promettente di sviluppo e azione strategica per ilsindacato.

I CAE costituiscono una forma importante di partecipazione deilavoratori nell’impresa a livello sopranazionale20. Uno strumento in-dispensabile per qualunque sistema maturo di relazioni industriali.La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (nota comeCarta di Nizza) riconosce e sancisce con chiarezza, all’art. 27, il di-ritto di informazione e consultazione, che dovrà esercitarsi in tempoutile e dunque con finalità incisivamente preventive e di anticipazio-ne del cambiamento. Specie quando ciò dovesse provocare ripercus-sioni negative sulle condizioni dei lavoratori. L’ambito del coinvol-

19 M. Whittall et al., op. cit.20 A. Alaimo, Il coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa: informazione, consultazione e

partecipazione, in S. Sciarra e B. Caruso (a cura di), Il lavoro subordinato, Giappichelli,2009.

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gimento, tuttavia, resta limitato e circoscritto ai soli diritti di infor-mazione e consultazione a livello transnazionale, laddove invece re-stano ancora sullo sfondo altri tre strumenti cardine della tradizionegiuridica e sindacale moderna: lo sciopero, la contrattazione colletti-va, la codeterminazione a livello europeo e sopranazionale.

Ciò detto, è innegabile come il bilancio di questi venti anni attestianche gravi e perduranti elementi di criticità. A cominciare da quelliquantitativi. Si calcola che solo il 35% delle aziende che ne avrebberoi requisiti abbia effettivamente provveduto a costituire un CAE alproprio interno. L’Italia, che al recepimento aveva provveduto inmaniera estremamente tardiva21, si colloca più o meno intorno aquesta soglia, inferiore a quella del Belgio o dei paesi nordici, masuperiore a quella della Germania che ciononostante, col suo pre-ponderante numero di multinazionali (sarebbero circa 470 le impre-se con i requisiti della direttiva), risulta – con 131 aziende adem-pienti – in cima alla classifica dei paesi europei per numero assolutodi CAE esistenti22.

A questo gravissimo vulnus quantitativo, che interroga profonda-mente la natura del diritto sociale europeo, la sua forza e la sua esi-gibilità, se ne aggiunge un altro non meno preoccupante, che attieneai profili qualitativi. Deludente si è rivelata infatti l’esperienza realedi tanti che hanno vissuto in prima fila i limiti strutturali e funzionalidi questo modello. Molte ricerche, come alcune di quelle che citava-mo poc’anzi in nota, ne portano una scoraggiata testimonianza. Fra icommentatori più pessimisti, la normativa sui CAE non avrebbe de-terminato alcun reale potere di influenza sulle scelte delle aziende,specialmente in presenza dei casi più critici: ristrutturazioni su scalatransnazionale, con relative ricadute sull’occupazione. Vicende parti-colarmente clamorose – alla Renault di Vilvoorde, in Belgio, alla

21 In Italia, la direttiva n. 94/45 fu inizialmente e parzialmente trasposta con l’Ac-cordo interconfederale del 6 novembre 1996, laddove il suo pieno recepimento av-viene solo con il decreto legislativo n. 74 del 2 aprile 2002. Sul tema, G. Dondi,Comitati aziendali europei: il d.lgs. n. 74 del 2002 per l’attuazione della direttiva n.94/45/CE, in Argomenti di diritto del lavoro, 2003.

22 S. Lucking, R. Trinczek, M. Whittall, Closed Frontiers. Why German multinationaldon’t utilise the European Works Council Directive, Hans Bockler Stiftung, May, 2009.

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Ericsson di Bochum o all’Electrolux di Norimberga, in Germania,solo per fare alcuni esempi – hanno contribuito pesantemente, neglianni appena trascorsi, a scoraggiare entusiasmi eccessivi intorno alpotere reale dei CAE. Nei casi citati, peraltro, si trattava di aziendecon altissima sindacalizzazione e relazioni negoziali tradizionalmentesolide, a livello nazionale.

A determinare la scarsa effettività ed efficacia del ruolo dei CAEhanno certamente concorso alcuni difetti genetici di quell’impiantonormativo. Si tratta di aspetti ormai tante volte analizzati23, nonchéstigmatizzati, a commento della direttiva 94/45/CE. Ci limitiamo quia ricordarne alcuni:

• la mancanza di una definizione precisa del concetto di informazio-ne, laddove quella di consultazione (intesa come mero «dialogo escambio di opinioni») appare molto superficiale e assai meno inci-siva di quella contenuta nelle altre direttive partecipative, la di-rettiva n. 2001/86 (Società europea) e la n. 2002/14 (Normativaquadro sui diritti di informazione e consultazione a livello nazio-nale), per non parlare di quelle su licenziamenti collettivi e trasfe-rimenti di impresa, risalenti alla metà degli anni Settanta;

• il raggiungimento di un accordo in sede consultiva non è con-templato;

• l’assenza di una nozione chiara riguardo alla tempestività con cuioccorrerà coinvolgere il CAE;

• il mancato riconoscimento formale del ruolo del sindacato;• una nozione di riservatezza delle informazioni fortemente espo-

sta, come puntualmente si è verificato, a usi impropri e abusivi daparte delle imprese;

• l’insufficienza degli incontri ordinari;

Il combinato disposto di queste carenze è stato – come rivelanotanti studi di caso realizzati su questo tema, compresi ora i nostri –

23 A riguardo, fra i tanti, G. Arrigo, G. Barbucci (a cura di), Comitati Aziendali eu-ropei. Per una guida alle «buone prassi», Ediesse, 2007; G. Barbucci, G. Arrigo, I Co-mitati aziendali europei: tra vecchio e nuovo diritto, Ediesse, 2010.

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quello di non riuscire sempre e adeguatamente a imporre alle im-prese il pieno rispetto della direttiva; una composizione del CAE dinon sempre limpida genuinità rappresentativa; una informazionespesso insoddisfacente e tardiva; una consultazione molto rara e perlo più di facciata; un suo ruolo marginale nei processi di ristruttura-zione; un ricorso paralizzante all’obbligo della riservatezza; un pote-re esiziale nel sanzionare i comportamenti elusivi delle imprese.

Solo grazie alla giurisprudenza nazionale e soprattutto della Cortedi Giustizia europea da un lato, e a un certo numero di accordi isti-tutivi più avanzati dall’altro, è stato possibile acquisire maggiorechiarezza ed efficacia su alcuni di questi punti più controversi. LaCES, il Comitato economico e sociale europeo, il Parlamento Euro-peo ne hanno per anni denunciato i difetti, invocandone un rapidosuperamento mediante una robusta revisione della direttiva. Ciò erad’altronde quanto previsto dalla stessa direttiva 94/45, al traguardodel 1999, e che invece – a causa dell’opposizione e dell’ostruzionismodelle associazioni datoriali, nazionali ed europee – ha determinatoun ritardo di ben dieci anni con l’appuntamento previsto. L’adozio-ne della direttiva n. 38 del 6 maggio 2009, alla fine, rappresenta unsignificativo passo in avanti rispetto alla disciplina precedente. Netrattano più approfonditamente Claudio Stanzani e Giorgio Verrec-chia, in altri capitoli di questo libro24.

Già l’iter e la metodologia con cui si è giunti a questo risultato –dentro i processi co-decisionali, non di rado estenuanti, previsti daldiritto dell’UE – costituirebbero di per sé un argomento di interesse

24 Sull’argomento, A. Alaimo, La nuova direttiva sui comitati aziendali europei: un’oc-casione per ripensare la partecipazione dei lavoratori in Italia?, in Diritto delle relazioni in-dustriali in Italia, 2009; P. Dorssemont, T. Blanke, The recast of the European WorksCouncil Directive, International Specialized Book Service F. Incorporated, 2010; M.Corti, Informazione e consultazione in Italia, in M. Napoli (a cura di), L’impresa di fronteall’informazione e consultazione dei lavoratori, in Le nuove leggi civili commentate, 2008;G. Verrecchia (ed.), European Work Council and Sectoral Social Dialogue: going alongtogether to overcome the crisis, FABI, 2011; G. Arrigo, G. Barbucci (a cura di), Il nuovoquadro normativo dei Comitati aziendali europei. La direttiva n. 2009/38 alla prova dellelegislazioni nazionali, Ediesse, 2012; F. Pascucci, La partecipazione dei lavoratori, IP-SOA, 2013; F. Guarriello, I diritti di informazione e partecipazione, in M. Cinelli, G.Ferraro, O. Mazzotta (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro, Giappichelli, 2013.

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e di discussione. Essa è giunta dopo una fase di afasia e stallo nor-mativo da parte delle istituzioni europee che, sui temi sociali, è stataforse la più lunga dell’intera storia comunitaria negli ultimi 35 annie che, di fatto, perdura tutt’oggi. L’obiettivo, reso esplicito e forte-mente rivendicato dal fronte datoriale, era da subito quello di ridi-mensionare il più possibile ogni sostanziale soluzione di continuitàrispetto alla normativa precedente. Un effetto indiretto di questaostilità si riverbera nell’inedita formulazione che intitola la direttivanon a una finalità di revisione, bensì di «recasting», che in italiano sitraduce nel quasi incomprensibile termine di «rifusione».

La trasposizione nei diversi ordinamenti nazionali si è ormai com-pletata in tutti i paesi dell’UE (la scadenza prevista era infatti il 5giugno 2011), lungo un iter e con tempi diversi, come diverso è statoanche, fra i vari Stati membri, il grado di coinvolgimento delle partisociali nel percorso legislativo. La normativa italiana di recepimento,contenuta nel d.lgs. 113 del 22 giugno 2012, è stata preceduta da unavviso comune delle parti sociali25. Essa ripropone quasi alla lettera iltesto della normativa europea, dal momento che le associazioni da-toriali hanno rifiutato le richieste sindacali di trasferire nel testo dilegge italiano alcune clausole qualificanti che la direttiva relega fra iconsiderando. Qualche apertura si è registrata solo riguardo all’art. 6del testo comunitario (art. 9 di quello italiano), dove a proposito delcontenuto dell’accordo si rinvia alle parti la possibilità di definire lematerie della procedura d’informazione e di consultazione del CAE,nonché come queste si coordinano con l’informazione e la consulta-zione degli organi nazionali di rappresentanza dei lavoratori. Unarichiesta sindacale, che potrebbe consentire di dirimere meglio laquestione della «transnazionalità».

Per ciò che attiene al merito, la nuova normativa recepisce solo al-cune delle richieste, ma non certo tutte, che in questi anni eranostata avanzate dalle organizzazioni sindacali, dal Comitato economi-co e sociale europeo e dal Parlamento europeo. Alcuni dei suoi ele-

25 L’avviso comune porta la data del 12 aprile 2011 e fu firmato da CGIL, CISL,UIL e, per le imprese, da Confindustria, ABI, ANIA e Confcommercio, Impreseper l’Italia.

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menti forse più qualificanti e innovativi si ritrovano inoltre fra i ben49 considerando che introducono la direttiva, giuridicamente nonvincolanti (se non in chiave interpretativa), a fronte dei 14 articoliche compongono la parte normativamente più cogente del suo arti-colato.

La direttiva n. 2009/38 parla, nelle motivazioni, di necessità di«ammodernare la normativa comunitaria in materia di informazionee consultazione transnazionale dei lavoratori, ai fini di garantirnel’effettività, e di innalzare la percentuale di istituzione dei CAE [...]»(considerando 7). E in effetti alcune modificazioni sostanziali, nel testodella nuova direttiva, ci sono. Ci riferiamo ad una certa armonizza-zione con le altre direttive partecipative per ciò che concerne il chia-rimento di alcun definizioni fondamentali, come quelle di informa-zione, consultazione e transnazionalità; il riconoscimento del ruolodelle organizzazioni sindacali europee nella fase di negoziazione orinegoziazione degli accordi CAE; obblighi più precisi in capo all’im-presa riguardo all’avvio dei negoziati di un accordo istitutivo di unCAE; la previsione di un obbligo dei membri dei CAE di riferire airappresentanti dei lavoratori a livello locale riguardo alle proceduredi informazione e consultazione a livello europeo; l’obbligo di ade-guare gli accordi a «modifiche significative della struttura dell’im-presa»; il riconoscimento di un diritto alla formazione per i membridella delegazione speciale di negoziazione (DSN) e del CAE; il di-ritto di costituire un comitato ristretto, anche a prescindere dalledimensioni del CAE.

Nell’insieme si tratta di requisiti minimi, rispetto ai quali le legi-slazioni nazioni potranno, se lo vorranno, apportare eventuali modi-fiche che prevedano una maggiore protezione, compatibilmente coni trattati.

Restano tuttavia alcuni elementi di criticità. Ci limitiamo ad elen-carne alcuni, sia di carattere tecnico-giuridico che di natura politico-sindacale. Un primo riguarda le realtà a cui non si applica la nuovadirettiva, e cioè tutti quei CAE costituiti ex art. 13 (accordi volontari),nonché quelli istituiti fra la data del varo della nuova normativa e lasua completa entrata in vigore, dunque fra il 2009 e il 2011. Ne con-segue che, attraverso questo stratificato sistema di inclusione ed

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esclusione, si avranno svariati tipi di CAE (c’è chi ne ha calcolati set-te), a seconda del diverso regime normativo applicato, rendendo ilquadro ancora più confuso e incerto di quanto non accada già.

Il richiamo alla tempestività della procedura compare nella diret-tiva laddove si dice che l’informazione e la consultazione avverranno«nei tempi, secondo modalità e con un contenuto appropriati» (art.2, lett. f, g). Solo nei considerando (n. 14) si richiama invece la nozione– espressa nelle altre direttive partecipative e nell’art. 27 della Cartadi Nizza – di «tempo utile», tale cioè da rendere possibile la formula-zione di un parere all’impresa. Principio già più preciso ma che – aldi là della sua più debole collocazione prescrittiva – rischia di essereimmediatamente svuotato dalla clausola successiva, secondo cui laprocedura non dovrà «rallentare il processo decisionale delle impre-se» (considerando 22). È evidente come le aziende potranno appellarsiad essa per giustificare l’aggiramento di ogni vincolo di tempestività.Un problema ben noto, questo, anche a livello nazionale, per le fa-mose prime parti dei nostri contratti collettivi.

Si effettua un richiamo alla formazione dei delegati, laddove si di-ce che «se e in quanto ciò sia necessario all’esercizio delle loro fun-zioni di rappresentanza in un contesto internazionale, i membri delladelegazione speciale di negoziazione e del Comitato aziendale euro-peo usufruiscono di formazione senza perdita di retribuzione» (art.10.4). Qui il problema che potrebbe insorgere riguarda il chi defini-sce questa necessità e il come, eventualmente, se ne viene a capoqualora insorgesse un contrasto interpretativo fra le parti negoziali.

Altro tema critico è quello che riguarda le sanzioni, la cui ineffetti-vità ha finora consentito pratiche largamente elusive della direttiva.Compare, insieme ad altri punti qualificanti del nuovo testo, nei con-siderando (n. 36). Si dice che, in caso di violazione degli obblighi de-rivati dalla direttiva, devono essere: «dissuasive, efficaci e proporzio-nate alla gravità delle infrazioni». Ma qual è, anche qui, la reale forzagiuridica di questa parte della direttiva, propedeutica ed esterna alvero nucleo prescrittivo del dispositivo normativo?

A fianco di questi problemi di natura eminentemente giuridica, sene pongono altri – non meno pregnanti – di carattere politico-sin-dacale. Non sono nuovi e attengono in definitiva al vero snodo pro-

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blematico di tutta quanta la materia che stiamo trattando. In chemodo il CAE può oggi costituire una sede nella quale ricomporreuna rappresentanza autenticamente solidale dei lavoratori europei,laddove crisi e ristrutturazioni colpiscono e dividono persino fra sta-bilimenti di uno stesso paese? Esiste la possibilità che i diritti di in-formazione e consultazione possano presto evolvere verso un sistemadi relazioni industriali efficace e dunque completo, anche sul ver-sante della contrattazione collettiva? La lettera delle direttive del1994 e del 2009, a riguardo, lo escluderebbe espressamente. Tutta-via, i soli diritti di informazione e consultazione – qualunque sia il li-vello in cui vengono riconosciuti ed esercitati – non bastano a rende-re sufficientemente efficace e incisivo un sistema maturo di relazioniindustriali. Sganciati da qualunque finalizzazione deliberativa, pri-vati cioè di uno sbocco che sia contrattuale e/o di codeterminazione,i diritti di informazione e consultazione rischiano di restare – cometante indagini empiriche testimoniano – un po’ troppo fini a se stes-si, un mero esercizio di stile dentro un rituale procedurale che – conNorbert Elias – potremmo definire alla stregua di una «società dellebuone maniere».

Attivando dinamiche e processi di tipo informale e «para-nego-ziale», numerosi CAE sono riusciti a ritagliarsi prerogative più am-pie, al di là dei dispositivi legali che ne configurano ruolo e poteri.In questi anni, infatti, una novantina di imprese con CAE hanno si-glato, su iniziativa di questi, un centinaio di accordi transnazionali digruppo (TCA)26. I temi trattati vanno dalle pari opportunità alla sa-lute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dalla formazione continua al-

26 In totale il numero di accordi attualmente censiti è pari a 267 (ottobre 2014),siglati in circa 170 multinazionali (Database on transnational company agreements) Suquesto tema, A. Lo Faro, La contrattazione collettiva transnazionale: prove di ripresa deldialogo sociale in Europa?, in Giornale di Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali, n.3, 2007; I. Schomann et al. (eds.), Transnational company bargaining at company level,ETUI, 2012; S. Leonardi (a cura di), Transnational company agreements: a steppingstone towards a true internationalization of industrial relations, Ediesse, 2013; il numeromonografico di Quaderni di rassegna sindacale, La contrattazione transnazionale, n. 3,2013; U. Rehfeldt, La posta in gioco nei canali multipli di rappresentanza. La contratta-zione collettiva aziendale transnazionale, in M. Carrieri, T. Treu (a cura di), op. cit.

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l’anticipazione del cambiamento, a vere e proprie ristrutturazioni27.Ciò ha generato un dibattito, fra gli studiosi e in seno al sindacatoeuropeo, inerente al ruolo e alle prerogative di cui possono e devonogodere i CAE in rapporto a questa sostanziale capacità negoziale28.Molti CAE presentano una composizione sindacale adeguata, genui-na; sono cioè già dotati di tutti i requisiti propri di un organismonegoziale indipendente e affidabile. Ma vi sono anche CAE con unacomposizione interna sospetta di ingerenze datoriali, specie in alcu-ne realtà dell’Europa centro-orientale. Il carattere formalmente a-sindacale di questi organismi, forgiati un po’ sul modello tedesco delconsiglio aziendale (Betriebsrat), suscita inoltre diffidenze in quei pae-si in cui rappresentanza aziendale e contrattazione sono prerogativeesclusivamente sindacali (paesi latini e scandinavi; del Regno Unito;dell’Europa centro-orientale). Da qui una certa riluttanza delle fede-razioni sindacali europee a lasciare mano libera ai soli CAE, rivendi-cando per sé un ruolo primario di coordinamento e gestione nego-ziale. Fu la federazione dei metalmeccanici europei (FEM) a dotarsiper prima, nel 2005, di precise regole di condotta, fondate su unchiaro mandato a opera delle organizzazioni sindacali, con la federa-zione europea di categoria nel ruolo di agente negoziale e firmata-rio. I sindacati italiani hanno avallato con convinzione questo ap-proccio. Seppure con meno enfasi della FEM (oggi IndustriALL),anche altre federazioni europee di categoria hanno deciso di assu-mersi un ruolo primario, stilando anch’esse linee-guida per la con-trattazione sovranazionale (Uni-Europa, 2008; EPSU, 2009) e isti-tuendo coordinamenti sindacali di gruppo. Non mancano del restoquanti, nell’articolata geografia del sindacato europeo, rimarcano ilvalore e la duttilità dei CAE. Ad esempio in termini d’impulso nego-ziale, di conoscenza specifica dell’azienda, di gestione effettiva delfollow-up degli accordi.

Oggi la posizione della Confederazione Europea dei Sindacati è

27 A. Alaimo, Dialogo sociale e accordi transnazionali d’impresa e I. Da Costa, U.Rehfeldt, Gli accordi transnazionali d’impresa sulle ristrutturazioni a livello di UE, en-trambi in Quaderni di rassegna sindacale, n. 3, 2013.

28 R. Jagodzinski, EWC and transnational company agreements, in I. Schomann, op. cit.

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quella di attribuire al CAE una funzione fondamentale di affianca-mento in tutte le fasi del processo negoziale e poi nel follow-up, con unchiaro mandato da parte dei sindacati nazionali, salvo però riservarealle sole federazioni europee il potere di firma. Questa centralizzazio-ne avrebbe senz’altro il pregio, per i sindacati ma anche per le azien-de, di rafforzare il coordinamento unitario di una pluralità di istanze erappresentanze dei lavoratori, all’origine di molte impasse, specie neinegoziati nazionali dei grandi gruppi francesi. Ai primi del 2014, laCES inoltre ha adottato una risoluzione che recepisce le proposte diuna commissione di studio, appositamente commissionata e presie-duta dalla nostra Silvana Sciarra29, in cui si persegue una soluzione giu-ridica opzionale, da attuarsi tramite una Decisione della Commissione(ex art. 288.4 TFUE), in modo da vincolare gli Stati membri alla suatrasposizione. Le parti manterrebbero la piena facoltà di intraprende-re liberamente un percorso negoziale, ma con vincoli normativi piùstringenti di oggi qualora optassero per una forma che si vincolassealla piena implementazione, secondo il modello della Decisione.

3. La ricerca

Sulla base di questi presupposti, grazie al supporto del CEMU e inrelazione costante con la FILCAMS CGIL nazionale, l’AssociazioneBruno Trentin (ABT), ha realizzato un’indagine in materia di CAEche potesse interessare una federazione di categoria, quella del ter-ziario, sempre più attraversata da processi di internazionalizzazione,nella sfera proprietaria e dunque anche in quella sindacale. Anche inItalia esiste ormai una notevole mole di ricerche su questi temi, al-cune delle quali patrocinate direttamente in ambito CGIL30, dellesue federazioni di categoria, con la FILCAMS già molto impegnata

29 S. Sciarra, M. Fuchs, A. Sobczack, Verso un quadro giuridico opzionale per gli ac-cordi societari stipulati da imprese transnazionali, Bruxelles, 2013. Di prossima pubbli-cazione in Quaderni di rassegna sindacale, n. 4, 2014.

30 Ci riferiamo in particolare al meritorio lavoro di costante monitoraggio svoltoin questi anni dal Segretariato Europeo della CGIL e dei lavori realizzati a cura diGiulia Barbucci e Gianni Arrigo.

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su alcuni progetti di forte respiro europeo (ICARUS; MuMMIA). Neparleranno diffusamente Fabio Ghelfi e Gabriele Guglielmi nei lororispettivi capitoli.

Il nostro progetto si è proposto di analizzare il funzionamento deiCAE in alcune multinazionali a composizione multisettoriale, con l’o-biettivo di esplorare i seguenti aspetti:

a) le novità introdotte dalla direttiva 2009/38: le potenzialità e i li-miti, e come essa stia trovando applicazione nella concreta attivitàdei membri CAE;

b) i rapporti fra i membri CAE al suo interno, fra delegati italiani estranieri anche di diversa appartenenza settoriale, coi rappresen-tanti sindacali aziendali, coi funzionari sindacali nazionale e ter-ritoriali di categoria, coi lavoratori nazionali del gruppo;

c) l’attività (para-)negoziale del CAE e l’implementazione di accorditransnazionali, se ve ne sono stati;

d) le esigenze conoscitive e il fabbisogno formativo dei funzionariterritoriali e dei delegati sindacali, aziendali e nei CAE, rispetto aiCAE e alla dimensione europea delle relazioni industriali.

Sotto il profilo metodologico, abbiamo proceduto attraverso larealizzazione di alcuni studi di caso presso gruppi, italiani e stranieri,a composizione multisettoriale, con sedi e siti nel nostro paese. Susuggerimento della FILCAMS nazionale, le cinque aziende coinvoltesono state: Kering, Jungheinrich, Volkswagen, SAP, Cremonini. Quat-tro con CAE già in essere e una, Cremonini, in cui da anni è in corsoun serrato confronto per istituirlo. Per ciascun caso trattato, abbiamoraccolto ed elaborato ogni informazione utile rispetto al funziona-mento pratico dei rispettivi CAE (dove già costituiti).

La ricerca sul campo è stata condotta attraverso interviste semi-strutturate e focus group con testimoni privilegiati; rappresentantiCAE in carica, delegati RSU, funzionari sindacali territoriali, respon-sabili europei e coordinatori nazionali di categoria per le cinquemultinazionali coinvolte. In appendice si possono vedere le tracce im-piegate per le nostre interviste. L’obiettivo è stato quello di prenderein esame una serie di temi come: la conoscenza delle norme; la prassi

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effettiva; i rapporti fra i vari livelli in cui si esercita la rappresentan-za; la comunicazione; le criticità, le prospettive per una contrattazio-ne collettiva transnazionale, la definizione dei fabbisogni formativi.

La ricerca, che si è svolta fra aprile e settembre 2014, è stata coor-dinata dall’ABT (nella persona del sottoscritto e di Paola Chiorrini,esperta di formazione sindacale), in collaborazione con l’IRES Emilia-Romagna (Volker Telljohann e Davide Dazzi). Due istituti, l’ex IRESnazionale e quello emiliano-romagnolo, da sempre attenti alle que-stioni che concernono le relazioni industriali, con particolare riguar-do alla loro dimensione europea ed internazionale. CEMU e FIL-CAMS nazionale hanno partecipato alle progettazione, alla selezionedei casi e alla ricerca dei contatti per l’effettuazione del lavoro dicampo. Altri amici e colleghi ricercatori si sono poi aggiunti al mo-mento della stesura finale del rapporto, arricchendolo del grossobagaglio di conoscenze ed esperienze maturate nel corso degli annisui temi che stavamo trattando. Giorgio Verrecchia, che è un giusla-vorista, ci aiuta a capire meglio i profili normativi della disciplina deiCAE, seguita alle modifiche apportate dalla nuova direttiva del 2009.Fabio Ghelfi, dell’ufficio internazionale della CGIL Lombardia, hacondiviso con noi i risultati – per molti versi inediti – di una impor-tante ricerca europea (ICARUS) condotta sui CAE. Claudio Stanzani,dell’istituto europeo di ricerche Sindnova, è stato un autentico pio-niere fra gli esperti italiani di questa materia. Per anni, dal suo uffi-cio a Bruxelles, ha monitorato genesi e funzionamento di questi or-ganismi, offrendo consulenza – per il tramite del suo istituto e diun’agenzia specializzata (lo SDA) legata alla Confederazione europeadei sindacati (CES) – a quanti, nelle aziende e nei settori, chiedevanolumi su come far nascere e/o migliorare ruolo e funzioni del CAE.Gabriele Guglielmi, che della FILCAMS può essere considerato unasorta di memoria storica sui temi europei, porta al nostro lavoro latestimonianza del protagonista, artefice di numerosi negoziati istitu-tivi di CAE settoriali o multisettoriali, nonché del formatore, offren-do nel suo contributo una panoramica del vasto lavoro sin qui com-piuto al fine di elevare la consapevolezza e le competenze specifichedi quanti, nelle aziende e in categoria, si occupano di CAE e di affarieuropei. In prefazione accogliamo un contributo di Fausto Durante,

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responsabile del Segretariato europeo della CGIL, con una riflessio-ne sullo stato dell’arte delle relazioni industriali nell’Europa dellacrisi e delle strategie del sindacato europeo dinanzi alle sue mortife-re politiche di austerità.

L’insieme di questi apporti, al contempo teorici ed empirici, con-corre ad offrire – speriamo – una ricca panoramica di quanto sta ac-cadendo, fornendo materiali e spunti di approfondimento che ci au-guriamo possano aiutare tutti coloro che, nel sindacato, operano alfine di sviluppare forme sempre più estese ed efficaci di interventocollettivo e transnazionale sulle scelte dell’impresa.

3.1. Le aziende

Come dicevamo, l’indagine empirica ha riguardato cinque studiaziendali di caso. Quali erano, innanzitutto, le loro caratteristiche?Kering, Volkswagen, Jungheinrich, SAP e Cremonini sono grossemultinazionali specializzate nella produzione e commercializzazionedi beni e servizi, tutti diversi fra loro. Kering è una holding franceseche opera nel ramo lusso, sport e lifestyle; Volkswagen è il noto mar-chio tedesco leader mondiale nella produzione di auto; Jungheinrich,anch’esso tedesco, è uno dei tre maggiori fornitori a livello mondialedi carrelli elevatori, logistica di magazzino e tecnica del flusso di ma-teriali; anche la società SAP ha il suo quartier generale in Germaniaed è leader mondiale nel campo del software per le imprese e serviziconnessi al software; Cremonini, infine, è il gruppo italiano a cui fan-no capo aziende specializzate nella produzione di carni bovine, nelladistribuzione commerciale e nella ristorazione a bordo treno e nelleprincipali stazioni ferroviarie, aeroportuali e autostradali.

In tutti e cinque i casi abbiamo dunque a che fare con multina-zionali di prima grandezza, ramificate in una complessa rete di mar-chi e aziende controllate, anche in Italia, con volumi di affari e livellioccupazionali davvero imponenti. La loro presenza si dirama oggi inuna vasta geografia europea ma ormai sempre più globale.

Dal punto di vista sindacale e contrattuale, la loro composizione èmultisettoriale, riguardando sempre una dimensione produttiva dibeni e/o servizi (sistema moda, metalmeccanica, ICT, agro-alimen-

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tare, ristorazione) ed una legata alla commercializzazione. Ciò ha ri-percussioni sulla sfera della rappresentanza associativa e negoziale;sia a livello nazionale che europeo. I delegati italiani saranno di voltain volta afferenti alle diverse federazioni dell’industria (ad es.: FIOMCGIL, FIM-CISL, UILM-UIL; FLAI CGIL, FAI-CISL, UILA-UIL;FILCTEM CGIL, FEMCA-CISL, UILTA-UIL) e, sul versante deiservizi privati e del ramo commerciale, le rispettive associazioni dicategoria (FILCAMS CGIL, FISASCAT-CISL, UIL-UILTUCS).

3.2. I CAE: genesi e composizione

Quattro dei cinque casi esaminati hanno un CAE. L’eccezione, daquesto punto di vista, è la Cremonini, dove da alcuni anni ormai è inatto un difficile confronto che oppone i sindacati all’azienda, al fineproprio di avviare e concludere un negoziato istitutivo di questo or-ganismo.

Ognuno dei CAE esaminati vanta una storia complessa, fruttodelle specifiche vicende societarie che – fra fusioni, acquisizioni e di-smissioni – li hanno attraversati. Emblematico il caso di Kering, il cuiattuale CAE eredita, adattandolo anche statutariamente, l’organismoche era già appartenuto alla francese Pinault Printemps Redoute(PPR) e all’italiana Gucci. Questo continuo mutamento del perime-tro societario pone ricorrenti problemi di adeguamento numerico edella composizione geografica dei CAE. Anche la data di costituzionerisente di queste vicende, ma in questo caso possiamo dire che i la-voratori italiani nell’attuale Kering dispongono di un CAE dal 1999;quelli della Volkswagen (da sempre presente nel ramo commerciale,laddove in quello industriale ha fatto seguito alle più recenti acquisi-zioni di Lamborghini e Ducati) dal 1992; quelli della Jungheinrich,che in Italia è presente soltanto nel ramo commerciale, dal 1999;quello della SAP dal 2010, a distanza di ben sedici anni dal suo rag-giungimento, accertato, della dimensione comunitaria. Da segnalarela peculiarità di Volkswagen, che fra i casi esaminati è l’unico ad ave-re anche un CAE mondiale di gruppo.

A seguito dell’entrata in vigore della direttiva 2009/38, tutti equattro i CAE in questione hanno provveduto ad emendare i prece-

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denti statuti, inserendovi le modifiche apportate dalla nuova nor-mativa.

Tre CAE su quattro hanno una composizione in rappresentanzaesclusiva dei lavoratori, laddove nel caso della SAP esso prevede lapresenza stabile del management, a cui spettano due dei sette seggi inseno al comitato ristretto.

La composizione, per numero totale e ripartizione geografica, ri-flette evidentemente le caratteristiche dimensionali e dell’insedia-mento dei relativi Gruppi. Il più grande di tutti, come era prevedibileattendersi, è il CAE di Volkswagen, che conta all’incirca 70 membri;quello di SAP ne ha 24; 20 quello di Kering; 17 Jungheinrich. Dele-gati italiani sono presenti in tutti questi organismi, con una inciden-za che varia fra i cinque della Kering, i due di Jungheinrich, unodella Volkswagen e della SAP. I delegati italiani del terziario sonopresenti in Kering, Jungheinrich e SAP, laddove in Volkswagen se neconta uno in un sotto-comitato europeo che fa riferimento ad Audi.Ci stanno da soli, in Jungheinrich e SAP, o insieme ai loro colleghidell’industria, in Volkswagen e Kering. In tutti i casi esiste, per sta-tuto interno, un comitato ristretto, fra i cinque membri di Junghein-rich e di Kering, i sette di SAP, i dodici di VW. Esso ha di norma ilcompito di tenere vivi i rapporti fra un incontro annuale e un altro,nonché di prepararli per tempo.

La genuinità della rappresentanza non sembra in discussione, es-sendo per lo più il frutto della designazione delle organizzazionisindacali presenti nei diversi siti di ciascun gruppo. In realtà, cometestimoniano i delegati che abbiamo intervistato, la situazione si ri-vela spesso poco chiara nel caso dei rappresentanti dei paesi del-l’Europa centro-orientale. Ma anche in quelli presuntivamente piùsolidi, sindacalmente parlando, come nel caso della Jungheinrich.Qui gli intervistati riferiscono di alcune ingerenze dell’azienda nellaselezione dei delegati CAE. Il metodo di designazione nel nostropaese è per lo più di competenza dei sindacati di categoria, in pro-porzione ai voti conseguiti nelle elezioni delle RSU. In concreto perònon è raro che vi siano modalità democraticamente opache, nellequali si opera per cooptazione o con criteri di rotazione fra sigle,senza che vi sia mai un vero pronunciamento elettivo ad opera dei

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colleghi. Un dato che, presumibilmente, indebolisce a monte l’auto-revolezza e la riconoscibilità – a partire da chi ne viene incaricato –del CAE e delle sue funzioni.

Il ricorso a un esperto è previsto alla VW, laddove nel caso di Ke-ring la legislazione francese di recepimento della direttiva CAE, sindal 1994, consente il diritto ad avvalersi della competenza di una so-cietà di consulenza specializzata.

In tutti i casi è contemplata la possibilità di tenere, oltre l’incontroordinario annuale, anche un incontro straordinario, se eventi parti-colari dovessero renderlo necessario e se da parte dei delegati vi fos-se una richiesta in tal senso. Ogni incontro dura di norma due gior-ni, uno dei quali destinato ai soli rappresentati dei lavoratori, chepossono così mettere a punto una comune strategia di richieste edinterventi.

3.3. Funzioni e poteri

Le materie oggetto di informazione e consultazione sono, canoni-camente, quelle previste dalla normativa comunitaria, aggiornataalla revisione del 2009, secondo le rispettive legislazioni nazionali direcepimento. Nei nostri casi, tedesca e francese. Dunque normativemediamente più avanzate, che si innestano su una più ampia tratta-zione delle relazioni industriali, in cui i diritti di informazione e con-sultazione trovano un ampio riconoscimento di fonte legale, primaancora che a livello di contrattazione collettiva. È un dato, questo,che non passa inosservato fra i delegati italiani, che in più casi –nelle interviste – hanno colto e lamentato il relativo scarto che li di-stingue e li distanzia negativamente dai colleghi tedeschi e francesi.Ma al contempo li stimola ad apprendere e a importare suggestionie modelli, giudicati più avanzati di quelli nostrani. In questo solofatto si rinviene già un elemento da giudicare positivamente, inquanto l’esperienza dei CAE concorre a sprovincializzare le culturesindacali locali, aprendole a modelli e prospettive evolutive più arti-colate. Un delegato CAE del terziario, intervistato, dice: «Abbiamonotato come i delegati tedeschi, forti della loro tradizione di code-terminazione aziendale, siano quelli più reattivi affinché il CAE non

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si limiti a ratificare in maniera quasi notarile le decisioni dell’azien-da. Loro vogliono contare veramente, e per noi questo costituisceuno stimolo importante».

L’informazione e la consultazione possono – in base ai rispettivistatuti – riguardare la struttura del gruppo, la situazione economicae finanziaria, l’evoluzione probabile delle attività, produzione e ven-dite, la situazione ed evoluzione probabile dell’occupazione, gli inve-stimenti, i cambiamenti fondamentali relativi all’organizzazione, l’in-troduzione di nuovi processi produttivi e di lavoro, il trasferimentodelle imprese, di stabilimenti e di parti importanti degli stessi, non-ché trasferimenti di produzione, le fusioni e divisioni delle imprese edegli stabilimenti, la diminuzione delle dimensioni o chiusura delleimprese, stabilimenti o parti importanti di essi.

Raro il caso in cui si realizza effettivamente un coinvolgimento inconcomitanza di gravi criticità, come quelle di ristrutturazioni che ri-chiedono tagli occupazionali, dismissioni, o addirittura chiusure diinteri siti. A fronte di una informazione per lo più ineccepibile, è laconsultazione reale – da intendersi come effettivo e tempestivo scam-bio di vedute – che lascia spesso a desiderare. L’accordo di SAP pre-vede una informativa in caso di «mass redundancies», ma in concreto lagestione di questa materia non è mai passata per il CAE. Alla Kering,problematiche di questa natura – complessivamente contenute –hanno visto il management opporre al CAE il carattere nazionale diqueste vicende, come tali escluse dall’ambito transnazionale pre-scritto dalla direttiva.

Nel caso del CAE di Jungheinrich il confronto si è esteso, trasfor-mando quella sede in una sorta di «cassa di risonanza» di vicendenazionali, in grado però di suscitare interesse fra i colleghi degli altrisiti. Si trattava di un determinato sistema premiante correlato alfatturato, adottato in Germania, sulla base del quale il CAE tutto hatentato di forzare l’azienda a un’applicazione generalizzata, che ineffetti è avvenuta l’anno dopo, nel 2013. Altri temi di raffronto, par-ticolarmente sentiti e sollecitati nel CAE, riguardano l’età mediadella forza lavoro nelle varie sedi e gli infortuni, in relazione all’età ealle mansioni di chi li ha subiti.

Un segretario provinciale della FILCAMS, sul cui territorio opera-

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no alcune grosse multinazionali della grande distribuzione commer-ciale, dotate di CAE, lamenta la scarsa incidenza di questo organi-smo, di fatto privo del potere di condizionare realmente le politichedel management globale. E di conseguenza di ottenere quei migliora-menti per i lavoratori che rappresenta. Realtà un tempo sindacal-mente forti si vedono oggi restringere – giorno dopo giorno – l’agi-bilità negoziale, con ripetute disdette unilaterali dei contratti inte-grativi. E ciò proprio in questi contesti caratterizzati da una forte di-mensione transnazionale, dove peraltro si vanno diffondendo semprepiù super hard discount, fortemente intrisi di cultura anti-sindacale.

A volte, però, il confronto col management internazionale può for-nire significative occasioni di verifica rispetto alle decisioni del pro-prio management locale, alla loro effettiva coerenza con quanto decisoin ambito di gruppo. Si dice «ce lo chiede Parigi», salvo poi scoprireche questo non è vero. E ciò fornisce al sindacato argomenti impor-tanti a livello di negoziato nazionale.

Un tema della massima importanza è quello che configura unaevoluzione dei diritti di informazione e consultazione verso veri epropri accordi a livello transnazionale di gruppo (TCA). Fra i casiesaminati ciò è accaduto alla Volkswagen e in Kering. Il caso Volks-wagen, da questo punto di vista, costituisce una sorta di eccellenzafra i circa 267 TCA siglati finora. Si è già accennato al fatto che qui ilCAE non esaurisce la rappresentanza transnazionale, essendoveneanche un altro di dimensione mondiale. Due strutture che operanoin stretta sinergia e grazie alle quali, a partire dal 2002, è stato pos-sibile siglare ben cinque accordi transnazionali di gruppo, grazie aiquali il «modello Volkswagen», che sinanche in Germania è ritenutopeculiarmente avanzato, ha potuto parzialmente estendere le sue ca-ratteristiche in tutti i siti mondiali, industriali e commerciali, in cuiopera questo colosso dell’automotive. La Carta dei rapporti di lavorodel 2009, in particolare, prevede una precisa elencazione delle mate-rie oggetto di un diritto collettivo, a seconda dei casi, all’informa-zione, alla consultazione e addirittura alla codeterminazione. Netratta ampiamente Telljohann nel suo capitolo. L’ultimo TCA (2012)ha riguardato il ricorso al lavoro somministrato tramite agenzia, po-stulando una piena equiparazione di trattamento coi lavoratori in

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organico stabile del gruppo, e definendo una soglia percentuale peril loro impiego nei luoghi di lavoro.

Anche in Kering sono stati siglati TCA. Due «Carte», nel 2010 enel 2013, aventi come oggetto a) la qualità della vita sul lavoro e perla prevenzione dello stress lavoro-correlato (2010), b) le condizionidi lavoro dei lavoratori senior (2013), al fine di prevenirne qualsiasiforma di discriminazione, favorendone al contempo integrazione eaggiornamento professionale. Un altro testo è in cantiere e riguardauna possibile Carta su seniority e problemi di disabilità. Va anchedetto che, a fronte di questi pur meritori documenti, la pratica con-creta sembra in qualche caso disattenderli. Come nel caso dellostress lavoro-correlato, che da un focus group è emerso come uno deiproblemi più avverti dai lavoratori, a causa dell’organizzazione degliorari e dei turni – spesso disagiati – nei punti vendita e nella gestio-ne dei magazzini. Una criticità che fa il paio con i casi di part timeutilizzati di fatto a tempo pieno.

Sempre in tema di CAE che si proiettano nella sfera della negozia-zione transnazionale, ci pare il caso di segnalare quanto rilevato inJungheinrich, dove il delegato italiano avrebbe eccepito rispetto auna evoluzione di questo tipo, a fronte invece di una presidenzafrancese, molto incline a sviluppare le capacità negoziali del CAE,anche su questioni che per il nostro rappresentante rientrano nellasfera esclusiva della contrattazione nazionale. Un dato, questo, chesembrerebbe contraddire lo slancio con cui il sindacato italiano hasposato la causa di un forte ampliamento della negoziazione trans-nazionale di gruppo.

3.4. Comunicazione e relazioni

Un tema al quale abbiamo riservato uno spazio importante ri-guardava il rapporto – orizzontale e verticale (sia bottom-up che top-down) – fra CAE e management, fra i delegati nel CAE, fra questi e lestrutture sindacali nazionali e locali, coi lavoratori. Su questo deli-cato e cruciale tema ne è emerso un quadro particolarmente chiaro-scurale. Ricordiamo come su questo punto la nuova direttiva abbiaintrodotto una variazione importante rispetto all’originario testo del

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1994, estendendo le possibilità di far circolare la comunicazione, purnei limiti consentiti dall’apposizione di un eventuale obbligo di ri-servatezza.

Il rapporto fra CAE e management – nei casi esaminati – apparecomplessivamente ispirato a un dialogo collaborativo. Le informa-zioni vengono giudicate sostanzialmente soddisfacenti laddove piùproblematico si mostra il piano della consultazione. Un fattore im-portante, nelle parole dei delegati intervistati, può essere il profilosoggettivo della dirigenza aziendale, il suo stile gestionale, la suaspecifica cultura delle relazioni industriali. Un vertice piuttosto cheun altro – lo si era visto anche in altre analoghe ricerche – può farela differenza fra l’avere un CAE e il non averlo; l’avercelo funzio-nante o puramente pletorico; per fare accordi transnazionali di grup-po, o piuttosto non farli. Anche la presidenza e la vicepresidenza delCAE, però, hanno la loro importanza. Stili più conflittuali o inveceispirati alla collaborazione e alla fiducia sono considerati un ele-mento chiave, secondo i nostri interlocutori, per i destini di un CAE.Ma c’è anche una questione di autonomia. Nel caso della SAP gli in-tervistati stigmatizzano la prassi del comunicato congiunto fra CAE eazienda, perché – si dice – ciò lede l’autonomia dei rappresentantidei lavoratori di esprimere liberamente le proprie opinioni, essendonecessario un accordo previo con il datore di lavoro. Non manca chidichiara la propria frustrazione riguardo alla natura delle riunioni,al suo valore aggiunto, giudicato pressoché nullo. «L’azienda cisommerge di dati, molti dei quali, peraltro, già noti. Di fatto non c’ènessuna vera interazione. Si pongono questioni di confidenzialità,che è poi l’azienda per prima a non rispettare coi suoi comunicatistampa. A volte ho avuto la tentazione di non andare più».

Per ciò che attiene alla comunicazione in seno al CAE, abbiamogià detto delle riunioni che si tengono nell’immediata vigilia delconfronto col management. I delegati si incontrano il giorno primadella riunione col management, quando ci si accorda sul cosa dire ecosa chiedere. Nel caso di Kering, dove i delegati appartengono siaal ramo industria sia a quello commerciale, si sono trovati momentidi incontro per concordare posizioni comuni. Ad esempio fra i dele-gati CGIL di FILCAMS e FILCTEM.

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Diverso il discorso rispetto ai rapporti fra i rappresentanti dei diversipaesi. Confermando una criticità emersa già in altre ricerche, il CAErischia spesso di trasformarsi in un forum nel quale promuovere gliinteressi del proprio sito/paese. Ognuno sembra interessato esclusiva-mente a quello che avviene e/o si prospetta nel proprio paese, se nonanche al proprio luogo di lavoro. Un fatto che rinvia alla sostanzialemancanza di una identità sentita come comune fra i delegati del CAE.

Un problema importante riguarda spesso il lungo lasso di tempoche intercorre fra un incontro e un altro. Una delegata CAE del ter-ziario sottolinea come, nella sua esperienza concreta, persista un defi-cit di sinergia e coesione. «Fra noi – dice – non si riesce a fare rete.Manca un adeguato sistema informativo. Quello che so lo apprendoda Internet. Non c’è coinvolgimento. A dirla tutta, ho anche la sensa-zione che alcuni delegati utilizzino l’occasione dei due giorni di tra-sferta annuale con uno spirito principalmente turistico». Ma, per for-tuna, non è dappertutto così. Nel caso di Jungheinrich, il vicepresi-dente del CAE fornisce a tutti i membri dell’organismo relazioni tri-mestrali per ogni singola tipologia di prodotto e livello di produzionedi ogni stabilimento. Il caso Kering ci dice di una comunicazione par-ticolarmente intensa fra i (5) delegati italiani (industria e commercio).Ciò avviene tramite «WhatsApp», praticamente tutti i giorni. «Osereidire che siamo diventati amici», ci riferiva un delegato. Positivo vienegiudicato anche il rapporto coi delegati stranieri, quanto meno conquelli che, alla stregua dei nostri, fanno parte del comitato ristretto.

Quella delle nuove opportunità offerte dall’ICT, della e-comuni-cation, costituisce uno snodo chiave nella vita di un CAE e, in pro-spettiva, della sua futura evoluzione. Ne tratta anche Claudio Stan-zani nel suo contributo in questo volume. Tutti i nostri casi ci parla-no di sviluppi interessanti su questo terreno. Alla SAP se ne sta di-scutendo, laddove l’accordo Kering, ad esempio, prevede che l’a-zienda doti i delegati di un cellulare dedicato e regolarmente ricari-cato, per l’espletamento di tutte le funzioni e fra tutti i membri delCAE; non soltanto quelli del comitato ristretto. Stesso discorso per laposta elettronica. Siti web dedicati, links, posta elettronica, cellulari,social networks offrono occasioni di contatto un tempo impensabili.Da questa via passano, in buona parte, le opportunità di mettere

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adeguatamente a frutto le potenzialità dei CAE quali strumenti peruna reale europeizzazione delle relazioni industriali.

Il rapporto fra i delegati del CAE e i lavoratori dei siti del propriopaese è per lo più mediato dalle rappresentanze sindacali aziendali(RSU) e/o di categoria, nazionali e/o territoriali. Lo strumento piùcomune è il verbale delle riunioni, con una minuta dell’incontroCAE, redatta a cura dei delegati che vi hanno preso parte. In Keringi delegati italiani hanno proposto di costruire un link interamentededicato al CAE e alle sue attività, con i nomi e i recapiti e-mail ditutti i membri. Ciò renderebbe sicuramente più agevole il contattofra i singoli lavoratori e i propri rappresentanti. In più casi, comun-que, si lamenta un sostanziale difetto di comunicazione multilivello.Sia nella fase discendente, quella cioè che dovrebbe trasmettere gliesiti di una discussione europea alla base dei lavoratori del propriopaese, sia nella fase ascendente, per ragioni che possono essere sog-gettivamente imputate a questo o a quel delegato, e al suo personalemodo di intendere il mandato, ma che possono anche riflettere unamancanza di interesse verso la vita del CAE, il suo (scarso?) attesovalore aggiunto. Una delegata della multinazionale belga della birra,AbInBev-Miller, incontrata in un focus group con esponenti dellaFILCAMS della provincia di Varese, ci riferiva che, in vista di unaimminente riunione del CAE di cui fa parte, contatta sempre i lavo-ratori e delegati della sua mailing list. Li prega di inviarle segnalazio-ni o richieste da trasmettere ai capi. «Avevo pure predisposto unquestionario, a tal fine. Ma ho capito che non gliene importa nientea nessuno». Un quadro particolarmente critico, questo, ma con moltaprobabilità non isolato. Anche in Jungheinrich, emerge un quadronel quale attività e funzionamento del CAE risultano poco o pernulla conosciuti non soltanto fra i lavoratori, ma anche fra altri dele-gati della RSU. Per i primi anni, quando la rappresentanza italiana(esclusivamente commerciale) era circoscritta a un solo delegato, lavita di quel CAE era pressoché sconosciuta. Le cose sono miglioratequando si è passati a due, nel 2003. Questo obiettivo difetto di co-municazione può risultare particolarmente diffuso nelle realtà delcommercio, caratterizzate da una forte polverizzazione dei puntivendita, da cui non risulta mai agevole – anche a livello nazionale –

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esercitare quel raccordo sinergico, possibile soprattutto quando illuogo di lavoro favorisce la formazione di una certa massa critica.

Vi è poi il capitolo dei rapporti fra i delegati e il sindacato nazio-nale e territoriale di categoria. Anche in questo caso, trattandosi dipoche individualità, il profilo soggettivo del delegato, il suo grado diinserimento nella vita della sua organizzazione sindacale, può fare ladifferenza. Il sindacato, dal canto suo, nomina dei coordinatori na-zionali incaricati di seguire determinati gruppi di media-grossa di-mensione, a cominciare dalle multinazionali. Coordinatori nazionalidi questo tipo, la FILCAMS ne aveva uno per ciascuno dei gruppiche abbiamo studiato e con cui ci siamo relazionati sia per ottenerenomi e riferimenti per le nostre interviste in azienda, sia intervistan-doli direttamente. Ne abbiamo ricavato la sensazione di un buon li-vello di attenzione e informazione, grazie al rapporto che ciascunodi loro tende a instaurare con alcuni delegati nei CAE. I nostri, nondimentichiamolo, erano principalmente gruppi specializzati nellaproduzione industriale, col ramo commerciale coinvolto nella sfera,decisiva, dei punti vendita e della rete della distribuzione. Si pensisolo al peso che ciò riveste fra i concessionari Volkswagen o nei ne-gozi mono-marca della moda e dell’abbigliamento. Nel caso di Ke-ring, siamo ad esempio in presenza di una realtà che – inglobandoalcuni campioni nazionali di ciò che un tempo definivamo made inItaly – ha sempre ricevuto la massima attenzione da parte del sinda-cato. Basti pensare a Gucci, alla sua centralità a tratti persino esem-plare, nelle relazioni industriali del settore moda, coi suoi contrattiintegrativi, i suoi codici di condotta, il suo welfare aziendale, il suomodello partecipativo. Ma anche, sul versante commerciale, la suastrategia per le vendite, l’attenzione al cliente, il label, lo stile, l’am-biente di un marchio del lusso di fama mondiale.

Ciò detto, non sempre l’attenzione che il sindacato ritiene di rivol-gere a queste importanti realtà, anche per ciò che attiene ai rispettiviCAE, viene corrisposta nella percezione di chi nel CAE ci opera per-sonalmente. I delegati, che pure si relazionano ai loro coordinatorinazionali, lamentano a volte uno scarso sostegno esterno in relazioneal loro impegno nel CAE. Esso si traduce solitamente nell’offerta diqualche occasione di approfondimento seminariale o formativo, o in

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funzione di cerniera in fase di negoziato per un contratto integrativoaziendale. Qui, peraltro, alcuni problemi si manifestano in relazionealla scarsa chiarezza sul monte-ore a disposizione dei delegati CAE.In Jungheinrich, dove pure non sono mancati i problemi e i giudizicritici (proprio sulla gestione di questo monte-ore), si riconosce chequesti flussi possono rivelarsi molto utili, in quanto dotano i rappre-sentanti sindacali di una base informativa superiore a quella di cui di-sporrebbero altrimenti, sulla base di una interlocuzione esclusiva-mente nazionale/aziendale. Alla Gucci, l’esperienza nel CAE di Ke-ring ha portato elementi di comparazione utili nel confronto nego-ziale che riguarda il rinnovo – controverso per vari aspetti – dell’in-tegrativo per il ramo commerciale. Ad esempio, rivelando i vari si-stemi premianti adottati nei diversi contesti nazionali.

Nel complesso, la nostra ricerca suggerisce come nella maggiorparte dei casi vi sia ancora bisogno di investire nel miglioramento deirapporti multilivello fra i vari attori della rappresentanza. Questo èparticolarmente importante nell’ottica di voler costruire una rete in-tegrata, specie in quelle aziende o gruppi la cui diversificazione pro-duttiva implica una corrispondente articolazione multisettoriale, an-che per ciò che attiene alla rappresentanza sindacale di categoria.

3.5. La formazione

Fra gli obiettivi della nostra indagine vi era quello di verificare ilgrado di conoscenza sindacale intorno al tema dei CAE, analizzandoal contempo – attraverso una sezione specifica delle interviste – ilfabbisogno formativo di delegati e quadri sindacali. Ne è emersa unaforte richiesta, in questa direzione, lungo percorsi individuali e col-lettivi relativamente differenziati. Ciò è in alcuni casi il risultato diun incarico assunto solo di recente, e dunque di un’esperienza chedeve ancora maturare in tutte le sue componenti.

Si prenda il caso del delegato Gucci/Kering per FILCAMS. Finoall’assunzione del nuovo incarico europeo, appena un anno fa, nonaveva neppure sentito parlare di questi organismi della rappresen-tanza sovranazionale. «Non sapevo cosa fossero», dice. Non c’erastata nessuna formazione specifica e neppure un contatto con chi

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aveva ricoperto quell’incarico prima di lui. «Sono stato buttato in ac-qua ma non ho avuto paura; avevo già i braccioli e le esperienzenuove mi entusiasmano. Certo, per poter nuotare ho dovuto impara-re rapidamente. E così mi sono messo a studiare; mi sono docu-mentato prima a livello generale (che cos’è un CAE; quale la sua ge-nesi, le sue finalità, ecc.), poi in modo più specifico, con riferimentoa quello della mia azienda». La partecipazione a un seminario inter-nazionale dalla federazione sindacale europea (UNI), insieme al re-sponsabile dell’ufficio internazionale della FILCAMS nazionale, èstata l’occasione per introdurre il futuro delegato ai temi e alle pro-blematiche dei CAE. La sua prima vera tappa di avvicinamento alnuovo incarico, frutto di una convergenza fra l’azienda e la respon-sabile nazionale FILCAMS per Gucci. La principale fonte d’informa-zioni è stata sin da principio Internet, «un bacino spettacolare» –come viene definito – da cui attingere per colmare rapidamente ildeficit conoscitivo riguardo ai profili normativi e contrattuali ine-renti al nuovo incarico. Questa modalità vale anche ora che l’inca-rico è stato assunto e rispetto al quale non si è mai posta – a detta deldelegato – l’esigenza, il bisogno di doversi confrontare col sindacatodi categoria (territoriale o nazionale) per dirimere un dubbio e in-traprendere un percorso. L’approccio formativo, l’aggiornamento,restano appannaggio di un fai-da-te, favorito da un lato dallo scam-bio orizzontale fra colleghi delegati, dall’altro dall’immancabile rete.Ciò non significa che vi sia sfiducia o indifferenza rispetto alla possi-bilità di intraprendere percorsi formativi mirati. Anzi! Una richiestain tale senso è giunta da parte di tutti i nostri interlocutori interpel-lati. L’accordo CAE di Kering prevede già che l’azienda provveda intal senso, con riguardo ad alcuni assi tematici definiti nel testo. Laformazione linguistica, con 40 ore di corso, a carico dell’azienda, cheil delegato lombardo sta effettivamente seguendo, per l’apprendi-mento della lingua francese. O su alcune tematiche di economia fi-nanziaria, gestiti questa volta da Kering per il tramite dei suoi esper-ti. «Personalmente sono un assoluto entusiasta e promotore dei corsidi formazione: sono l’unico modo per affinare le nostre capacità e ti-rare fuori il meglio del talento individuale, da spendere al serviziodella propria categoria e dei colleghi che rappresentiamo».

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Il delegato Gucci del ramo produzione (FILCTEM), benché an-ch’egli di recentissima nomina nel CAE, dichiara di avere già parte-cipato a due livelli di formazione in CGIL. Li ha organizzati la Ca-mera del Lavoro di Firenze (Borgo de Greci). Un primo corso diformazione per delegati di prima nomina e uno di livello avanzatosulla contrattazione aziendale e tecniche di comunicazione. Dice: «Icorsi di formazione sulle tecniche di comunicazione e contrattazionesono stati molto utili e stimolanti, perché si sono svolti in sessioni dipiù giorni continuativi. Ho apprezzato anche l’idea del ritiro di tregiorni, che ha creato un confronto molto positivo coi delegati dellealtre categorie e ha permesso un’interazione molto efficace utilissimasia a livello didattico sia interpersonale».

Per il delegato FILCAMS di Varese, si potrebbe adottare un ap-proccio integrato, multisettoriale, come quello già sperimentato daalcuni delegati del commercio, chiamati a partecipare ad eventi for-mativi di livello europeo da alcune federazioni sindacali internazio-nali, tipo EFFAT, IndustriALL o UNI, a cui erano presenti sia dele-gati del ramo industria che di quello commerciale.

La formazione che si richiede è a tutto campo; dalla lettura deibilanci, competenze interculturali, conoscenza delle relazioni indu-striali nei paesi rappresentati in seno al CAE, alle competenze lin-guistiche, fino a quelle negoziali e di coordinamento e networking.

Dalle interviste in Jungheinrich emerge una valutazione a riguar-do negativa. Due appaiono gli elementi di maggior criticità. In pri-mo luogo la durata e la necessità di più pernottamenti. In secondoluogo la generalità dell’informazione. In risposta alle prime criticità,il delegato CAE propone di sviluppare maggiormente l’utilizzo dellaformazione attraverso i canali elettronici o comunque prevedere cor-si di formazione concentrati su un numero ridotto di giornate da at-tribuire ad un monte ore dedicato specificamente al CAE, ovvero unnumero di ore sindacali da aggiungere – e non sottrarre – al monteore sindacale nazionale. Relativamente alla seconda criticità, il dele-gato CAE propone di costruire percorsi di formazione specifica-mente costruiti sui delegati di un solo CAE, in quanto ogni singoloorganismo è il risultato di storie, relazioni e dinamiche assolutamenteuniche a cui un corso di formazione trasversale non sarebbe in grado

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di offrire una risposta adeguata. Un’attività così strutturata è stataorganizzata da IG Metall in cui un formatore/esperto si è dedicatoper tutta la durata del corso al singolo CAE Jungheinrich trattandotemi e dinamiche relazionali specifici. «Sarebbe più importante averelezioni su come si fa il delegato CAE. Un corso l’abbiamo fatto orga-nizzato da IG Metall, con un istruttore che si è dedicato a noi, unasola persona che si impegna per trattare tutti i temi che sono interes-santi per la tua azienda, mentre in CGIL ci saranno 100 persone e,veramente utili, 15 minuti a testa. Occorre fare corsi più approfon-diti e specifici sul singolo CAE, organizzare meglio il tempo».

L’intervista, inoltre, suggerisce la costruzione di un portale webcome risposta alle due criticità rilevate. La predisposizione di unportale a cui tutti i delegati sindacali possono accedere, porre do-mande, raccontare la propria esperienza sindacale, cercare soluzioniorganizzative ed operative alle diverse problematiche che insorgononell’attività del CAE. Tale portale potrebbe essere il luogo in cui de-positare le diverse esperienze individuali a cui il singolo delegatopuò accedere attraverso una interrogazione di un motore di ricercadedicato. Unitamente al motore di ricerca, il portale dovrebbe pre-vedere un servizio di «esperto on line» per le tematiche più di carat-tere tecnico e legislativo.

Oltre ad un potenziamento delle capacità linguistiche, il delegatoCAE ritiene di prioritaria importanza assumere le competenze tecni-che e metodologiche per riuscire a gestire una trattativa, compren-dere le dinamiche di gruppo e gestire tecnicamente il confronto conla parte aziendale. Si riconosce infatti che, mentre la parte aziendaleha «fatto corsi per aggredire», la parte sindacale non ha «fatto corsiné per aggredire né per difendersi».

4. I CAE mancanti

Al momento di progettare gli obiettivi specifici della ricerca, i no-stri committenti ci hanno espresso l’esigenza di selezionare un paiodi casi nei quali, pur essendovene le condizioni formali previste dallanormativa comunitaria, non si è ancora riusciti a procedere alla co-

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stituzione di un CAE. È noto infatti come, fra i punti di maggiore eperdurante criticità, vi sia l’insoddisfacente diffusione dei CAE fra letante, troppe aziende che ne avrebbero i requisiti. Se ne accennavaall’inizio: perché, a vent’anni dalla loro previsione, tanti CAE man-cano ancora all’appello? Quello del non rispetto della direttiva, daparte delle aziende, costituisce un tema poco battuto nell’altrimentiricchissimo panorama internazionale delle ricerche empiriche inquesto campo. Una carenza presumibilmente dovuta a un problemadi fattibilità, con cui anche noi abbiamo dovuto fare i conti. Nellanostra ricognizione teorica e comparativa, nella letteratura interna-zionale, ne abbiamo trovate appena un paio, realizzate in Portogalloe in Germania31, e soprattutto da quest’ultima – quantitativa – ab-biamo tratto utilissimi spunti, sia nella creazione di una traccia parti-colareggiata per interviste ad hoc semistrutturate, sia nel confrontarealla fine le loro ipotesi conclusive con le nostre.

Affrontare tramite studi di caso il problema del CAE che non c’è, eche invece dovrebbe esserci, non è un compito semplice. È stata unasfida difficile, con la quale abbiamo comunque deciso di cimentarci,traendone alla fine spunti molto interessanti, seppure molto limitatinella loro valenza campionaria, su quello che forse rimane il mag-giore tasto di criticità di un sistema che, dopo vent’anni, mostra an-cora tanti, troppi vuoti.

L’obiettivo che ci eravamo inizialmente posti era quello di effet-tuare un paio di studi di caso ad hoc. In corso d’opera – in uno deidue casi individuati (riguardava COIN) – abbiamo dovuto registrarecome, malgrado la segnalazione ricevuta, nel caso in questione nonsussistessero le condizioni affinché un CAE (e prima ancora una de-legazione speciale di negoziazione) potesse essere avviato.

Ci è rimasto il solo caso della Cremonini, in cui da tempo è in cor-so un braccio di ferro, che non si sblocca, per avviare la costituzione

31 S. Lucking, R. Trinczeck, M. Whittall, Closed Frontiers. Why German multination-als don’t utilize the European Works Council directive, Hans Boeckler Stf/University ofMunich, 2012. Un’altra ricerca, relativa al Portogallo, H. Costa, P. Araijo, Europeancompanies without European Works Councils. Evidence from Portugal, in European Indus-trial Relations Journal, n. 14, 2008.

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di un CAE. Una holding multinazionale italiana che, tramite propriecontrollate, opera in tre settori produttivi: la produzione di carnebovina, salumi e snack (agro-industria), la distribuzione (commercio),la ristorazione ferroviaria e presso autostrade ed aeroporti (traspor-to). Un perimetro societario e geografico in costante mutamento,con acquisizioni e dismissioni che – insieme al ricorso massiccio alsubappalto – rende estremamente complessa la ricostruzione esatta etempestiva dell’ambito esatto entro il quale rinvenire la presenza deirequisiti minimi di transnazionalità, previsti dalla normativa CAE.Un sistema proprietario di scatole cinesi grazie al quale – emblema-ticamente – un gruppo multinazionale può ostruire e ritardare la ri-chiesta dei propri dipendenti di avviare un percorso negoziale peristituire diritti di informazione e consultazione a livello europeo.

Un fattore di ostacolo, in questo come in casi analoghi, può esserecostituito dal deficit conoscitivo in materia, da parte di quanti po-trebbero e/o dovrebbero avviare un percorso costituente nella dire-zione di un proprio CAE. Tale deficit può essere, e di norma è, l’ef-fetto del combinato disposto fra le reticenze manageriali, la loro de-liberata intenzione di nascondere il proprio effettivo perimetro in-ternazionale e occupazionale, ma anche, in qualche caso, un certodisinteresse dei delegati sindacali a insistere affinché tale informativasia appropriatamente condivisa. Ricordiamo che nel caso Bofrost laCGE – interrogata sulla possibilità che una qualunque filiale (e nonnecessariamente la direzione centrale) di un’impresa di dimensionicomunitarie fosse obbligata a fornire le informazioni necessarie al-l’avvio dei negoziati per la costituzione di un CAE – ha riconosciuto edefinito chiaramente quest’obbligo preliminare, ispirandosi al prin-cipio dell’effetto utile del diritto comunitario32.

Il management può adottare un atteggiamento neutrale, nel sensodi non promuovere certo di propria iniziativa la creazione di un CAEma neppure di osteggiarlo apertamente se dei rappresentanti dei la-voratori, nel rispetto delle modalità previste, facessero un primo pas-so in tale direzione. Alcuni ne intravedono un fattore di dialogo, in

32 Causa C-62/99, decisa con sentenza del 29 marzo 2001.

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grado di accreditare una responsabilità sociale in capo all’azienda.Ma in generale, l’atteggiamento che prevale è di riluttante collabora-zione, quando non anche di aperto ostruzionismo. A partire da quan-do gli viene richiesta una informativa circostanziata sulle propriedimensioni e caratteristiche globali. Il caso Cremonini rientra certa-mente in questa fattispecie: ha fatto di tutto pur di mettere il bastonefra le ruote di quanti, fra i sindacati, ne chiedevano uno sblocco.

«La mia azienda rientra nell’ambito di applicazione della direttivaCAE?»; questa è la prima domanda da cui ogni delegato di posto dilavoro, e il sindacalista che eventualmente lo consiglia, dovrebbeprendere le mosse per avviare un percorso negoziale in vista dellacostituzione di un CAE. Alla Cremonini, come in tanti altri casi simi-li, il calcolo dei dipendenti computabili, in virtù dei diversi regimicontrattuali di lavoro, risulta essere particolarmente complicato. Neconsegue che sapere se essa abbia in totale 1.000 dipendenti, di cuialmeno 150 in due differenti paesi dello spazio economico europeo,può rivelarsi un ostacolo difficilmente sormontabile. Qui, come al-trove, la struttura proprietaria si è fatta oggi particolarmente com-plessa, e lo stesso significato giuridico e societario di un gruppo dinon facile decifrazione. Il ricorso sistematico al sistema degli appaltirende sempre mobili i confini geografici ed occupazionali del grup-po, e questo non solo compromette la costituzione di un CAE, ma,una volta costituito, ne minaccia costantemente il decadimento persopravvenuta mancanza dei requisiti numerici previsti. Un problemache tende a porsi non tanto in quelle imprese dal forte e ben notoprofilo internazionale, quanto in quelle aziende di media grandezza,in cui tale internazionalizzazione non ha ancora assunto tratti chia-ramente spiccati. L’ostacolo rischia di diventare insormontabile se,come nel nostro caso, l’azienda sceglie da subito di non collaborareabbastanza su questo terreno.

Alla Cremonini si sarebbe potuto ipotizzare un CAE multisetto-riale, ma – dati aziendali alla mano – si è dovuto prendere atto del-l’assenza dei requisiti necessari nel ramo della produzione e inquello della distribuzione. A fronte di ciò, i delegati intervistati han-no voluto sottolineare la grossa difficoltà che, in casi del genere, su-bentra quando c’è da mettere insieme – soltanto in Italia – tre sinda-

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cati di settore, moltiplicati per le tre sigle che operano in ciascuno diessi. Ciò richiede che, prima di potere avanzare una piattaformaall’azienda, ci si sia messi d’accordo fra nove sigle. Più le RSU.

Restava in ogni caso la ristorazione, il solo ambito nel quale i requi-siti normativi ci sono tutti. La perdita di un importante appalto nelramo della ristorazione ferroviaria ha fatto temere una loro evapora-zione, ma grazie a una presenza sufficientemente transnazionale, al-l’interno delle stazioni, in Spagna, Francia e Gran Bretagna, oltre chein Italia, la porta resta aperta a un’evoluzione negoziale possibile.

Il caso negativo di Cremonini ci offre lo spunto per svolgere altreipotesi interpretative sul perché, oltre alle ragioni emerse in quel ca-so, in tante multinazionali – che pure ne avrebbero formalmente l’ob-bligo – non si procede alla costituzione di alcun CAE o di una proce-dura di informazione e consultazione su base transnazionale.

Una, che non si può mai escludere, è l’ignoranza che può ancorainvestire la normativa europea, trasposta nazionalmente, su questamateria. Più probabile fra i lavoratori e i loro delegati, essa ci apparedecisamente più improbabile o, peggio, imperdonabile, nel caso deifunzionari sindacali di categoria. A distanza di venti anni, riteniamoinfatti che tale eventualità – per quanto non peregrina – si sia via viaridotta, anche grazie allo sforzo informativo e formativo condotto dasindacati come quello italiano.

Un altro elemento di criticità risiede nella scarsa percezione diutilità che può ingenerarsi su ambo i versanti del potenziale nego-ziato. Dal punto di vista del management, esso è chiaramente desumi-bile. Un CAE comporta certamente costi monetari diretti (le sue riu-nioni annuali; le traduzioni; la formazione). Se ne teme l’appesan-timento burocratico, la riduzione di autonomia manageriale a livellolocale, ma soprattutto il rischio di coalizzare attori e istanze sulla cuiframmentazione e debolezza l’azienda ha architettato le sue strategieproduttive di dislocazione fra i vari siti e sistemi normativi locali. Piùinteressanti e meno prevedibili sono le ragioni per le quali tale per-cezione prende vita dal lato sindacale. Nei paesi più robustamentedotati di solide relazioni industriali – che è poi il caso dei paesi dovehanno in maggioranza sede i centri societari di controllo – l’impres-sione relativa ai CAE può essere quella di poterne trarre scarso valo-

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re aggiunto rispetto a quanto già consentito dal diritto e dalla prassisindacale nazionale. Questo potrebbe spiegare il moderato impegno,se non la scarsa convinzione con cui, in Germania, si è procedutoalla costituzione dei CAE. In un paese nel quale vigono intensi e benrodati diritti di consultazione e codeterminazione, finanche in senoai vertici societari, i diritti e i poteri di cui risulta dotato un CAE pos-sono in definitiva apparire di poco o nessun interesse. Analogo di-scorso si potrebbe fare per la Svezia, dove non a caso i sindacatihanno in più occasioni mostrato una scarsa predilezione per la di-mensione transnazionale delle relazioni industriali. Forti del loromodello nazionale, non di rado si è lasciato che le ristrutturazionidei propri campioni nazionali avvenisse su base nazionale, lasciandogli altri siti al loro destino. Il caso dell’Electrolux e del suo CAE ne èsolo l’esempio più noto e clamoroso. Ma non si pensi che un atteg-giamento di questo tipo sia estraneo ai nostri delegati e quadri sin-dacali. Anche nella nostra indagine abbiamo potuto riscontrare que-sta sorta di disincanto diffuso rispetto all’utilità effettiva di tale stru-mento. Nei momenti più difficili – crisi, ristrutturazioni, licenzia-menti – è al diritto nazionale che si deve fare appello. Quello difonte legale (procedure, integrazione ordinaria e straordinaria, mo-bilità, ecc.) e quello di fonte contrattuale, nazionale e aziendale, colricorso alle cosiddette prime parti contrattuali in tema di diritti diinformazione e consultazione. Insomma, il rischio del disinteresseper la dimensione transnazionale di gruppo può essere il frutto siadi un freddo calcolo razionale riguardo allo strumento ritenuto, atorto o a ragione, più efficace. O anche di un atteggiamento distampo corporativo e provinciale, incapace di concepire forme dellarappresentanza degli interessi e della solidarietà che travalichino lapiù prossima e immediata costituency di riferimento. Dinanzi alle sfi-de più dure, l’azione sindacale si rinazionalizza, sino ad aziendaliz-zarsi in una logica del si salvi chi può – certamente comprensibile –ma sulla quale la proprietà e il management possono più agevolmenteperpetrare le loro politiche di divide et impera.

Quello dell’effettività delle norme costituisce da sempre una preoc-cupazione particolarmente avvertita nel campo dei diritti individualie collettivi dei lavoratori. Anche la nuova direttiva si pone il proble-

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ma di «garantire l’effettività» di questi diritti e «risolvere i problemiconstatati nell’applicazione pratica della direttiva». «Migliorare»,«potenziare» questi diritti. Nell’economia globale il problema dellaeffettività dei diritti si pone in termini particolarmente insidiosi, pervia della sostanziale difficoltà del sindacato a porre in essere queglistrumenti di solidarietà/autotutela con cui, a livello nazionale, si è riu-sciti ad impedire le pratiche più elusive/eversive da parte imprendi-toriale. Quegli strumenti sono stati il conflitto industriale e la magi-stratura. Due canali su cui solo ora, e molto timidamente, si cerca diporre in essere azioni di livello europeo e sopranazionale. Pensiamoal ruolo della Corte di giustizia europea da un lato e delle Federa-zioni sindacali di categoria dall’altro.

In una stagione nella quale si fa un gran parlare di soft law e moda-lità opzionali e volontarie di riconfigurazione del diritto sociale euro-peo, la vicenda dei CAE – e con ancora maggiore valenza chiarifica-trice, quella della Società europea33 – rivela come persino un dirittoderivante dal metodo normativo comunitario, in questo caso tramitedirettiva, possa rimanere lettera morta, se altre ed efficaci leve – insede sanzionatoria – non ne riescono a garantire l’effettività.

Pur fra tanti limiti che abbiamo provato ad esaminare, sia struttu-rali che funzionali, i CAE contengono un potenziale che oggi, a ventianni di distanza dalla loro istituzione, non è stato ancora pienamentesfruttato. La crisi che stiamo attraversando da ormai sei anni, e chenon mostra di recedere, avrebbe potuto e dovuto fare di questi orga-nismi uno snodo fondamentale della strategia sindacale a livello eu-ropeo. Come anche la contrattazione transnazionale di gruppo. E in-vece in nessuno di questi due ambiti si è registrato quel salto di li-vello che sarebbe stato vitalmente necessario. Un’impasse che interro-ga certamente i legislatori europei – ad esempio sul terreno di unanormativa quadro per la negoziazione aziendale transnazionale – maforse e in definitiva soprattutto, la capacità del sindacato ad adegua-re la sua capacità di rappresentanza alle nuove sfide che ci ponequest’epoca difficile.

33 J. Cremers et al., A decade of experience with the European Company, ETUI, 2013.

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1. Il Gruppo

Kering è una holding multinazionale francese specializzata nelladivisione lusso, sport e lifestyle. Fondata dall’imprenditore FrançoisPinault, da cui ha ereditato il marchio Pinault-Printemps-Redoute(PPR), la sua storia è contrassegnata da un complesso e stratificato

* Ricercatore, Associazione Bruno Trentin.Per effettuare il nostro studio di caso, abbiamo effettuato alcune interviste con

delegati e funzionari sindacali, a vario titolo interessati o attenti al CAE Kering e,più in generale, al sistema delle relazioni industriali aziendali e territoriali in Guc-ci. Soprattutto nel ramo della commercializzazione, ma anche, inevitabilmente, inquello della produzione. Luca De Zolt, coordinatore nazionale FILCAMS CGIL peril Gruppo Gucci. Norman Di Lieto, RSA di FILCAMS presso il punto vendita diGucci all’aeroporto di Malpensa e delegato CAE dal novembre 2013, di cui èmembro del Comitato ristretto. L’incarico in seno al CAE, ci spiega, è maturato diconcerto con il coordinamento nazionale della FILCAMS, che cercava un sostitutoper rimpiazzare il suo precedente rappresentante. Samantha Caviggioli, iscrittaFILCAMS presso il punto vendita della Gucci all’aeroporto di Malpensa. AlessioVannucci, RSU per la FILCTEM CGIL presso la sede Gucci di Firenze, è anch’eglidelegato nel CAE Kering, in rappresentanza del ramo produttivo Gucci. Pino Piz-zo, segretario provinciale della FILCAMS Varese; nel suo territorio sono presentivari grandi gruppi multinazionali, i maggiori dei quali operano nella GDO (Me-tro, Carrefour, Conforama, Billa, Lidl); di questi, solo Carrefour dispone di unCAE. Antonella Fantino, delegata FILCAMS presso la RSU dell’Anauser-Busch, inprovincia di Varese, e presso il CAE di ABinBEV. Abbiamo inoltre partecipato, loscorso luglio, a un attivo in videoconferenza del coordinamento nazionale delleRSU di Gucci.

Il CAE di Keringdi Salvo Leonardi*

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processo di acquisizioni, cessioni e fusioni1. Oggi Kering è un colossomondiale del settore, con poco meno di 10 miliardi di fatturato, e untotale di occupati pari, a fine 2013, a 31.414 unità2, distribuiti in 63paesi.

A Kering fanno capo 22 marchi. Al ramo lusso, che ricopre il 67%del volume delle attività della holding, appartengono Gucci, BottegaVeneta, Saint Laurent, Alexander McQueen, Balenciaga, Brioni,

1 Nel 2006, PPR compie un certo numero di cessioni; vende il 51% di FrancePrintemps (con marchi come Made in Sport e Citadium) a RREEF e al GruppoBorletti, così come l’azienda di lingerie Orcanta, acquisita da Chantelle. Nel frat-tempo, Redcats (che comprende La Redoute e altre società di vendita a distanza)acquisisce Sportman Guida Inc. Con l’acquisizione di una parte delle partecipazionidi Puma nel 2007 (del 27,1%) e successivamente del 62,1%, il gruppo consolida lasua posizione nel settore Sport & Lifestyle. Nel marzo 2007, PPR vende Kadéos adAccor Group. Nel 2008 PPR vende YSL Beauté a L’Oréal per 1,15 miliardi di euro.Nel 2009, Gucci Group vende Bedat & Co, e poco dopo PPR emette e vende inBorsa titoli della sua filiale CFAO, cedendone il controllo (58%). Il 9 dicembre2010, PPR annuncia di essere in trattativa esclusiva con la società sudafricanaSteinhoff per la cessione di Conforama. Nel 2011, il gruppo completa la cessione diConforama a Steinhoff International, segnando una nuova tappa verso l’evolu-zione del gruppo focalizzato sulle divisioni Lusso e Sport & Lifestyle. PPR, attraver-so la controllata Puma, acquista Wilderness Safaris, società sudafricana specializzatanel turismo di lusso ecologico (sulla base dell’immagine dell’azienda è stata lanciatauna linea di abbigliamento equo-solidale), e nel 2011 acquista Cobra, azienda pro-duttrice di attrezzature da golf.. Il 3 maggio 2011, PPR lancia un’offerta per Vol-com, società specializzata in sport d’azione. Questa acquisizione rafforza il posizio-namento della nuova PPR. Come François-Henri Pinault ha affermato: «PPR Sport& Lifestyle è ben posizionata per svilupparsi nel segmento dello sport d’azione,grazie a un marchio straordinario come Volcom dotato di una forte identità e di unpatrimonio unico». Nel luglio 2011, PPR prende il controllo del Gruppo Sowind,alta orologeria svizzera, i cui marchi includono Girard-Perregaux e JeanRichard.Nel novembre 2011, PPR annuncia di aver firmato un accordo con gli azionisti diBrioni (azienda) per rilevare il 100% del capitale della società. Nell’agosto 2012,PPR e YOOX hanno costituito una nuova società partecipata rispettivamente al51% e al 49% con sede in Italia, per la gestione degli store on line mono-marca didiversi brand. A novembre 2012 PPR vende FNAC Italia al fondo Orlando, la ces-sione verrà finalizzata a gennaio 2013 mettendo in liquidazione l’azienda. A gen-naio 2013, il gruppo ha annunciato la partnership con Christopher Kane. Nell’aprile2013 assume il controllo di Pomellato.

2 Alla fine degli anni Duemila, prima di una serie di cessioni, il Gruppo PPR erapresente in 90 paesi e contava all’incirca 90.000 dipendenti.

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Christopher Kane, McQ, Stella McCartney, Tomas Maier, SergioRossi, Boucheron, Dodo, Girard-Perregaux, JeanRichard, Pomellato,Qeelin. Al ramo sport & lifestyle: Puma, Volcom, Cobra, Electric andTretorn.

Fra i marchi di punta del gruppo, nella divisione lusso, vi è certa-mente quello storico e italiano di Gucci. Si tratta di uno dei brandspiù importanti e conosciuti nel mondo per la qualità e lo stile deisuoi prodotti, fortemente legati alla grande storia dell’artigianato edel made in Italy nel campo della moda e del lusso. Da solo producepoco meno di 4 miliardi del fatturato totale di Kering; con quasi unterzo di tutti i dipendenti (9.415) e una rete di vendita con 474 storesmono-marca, direttamente controllati.

L’impresa Gucci nasce nel 1921 a Firenze per volontà del suo fon-datore Guccio Gucci. Sin da allora adotta una strategia che colloca alcentro dell’attenzione la qualità del prodotto. Realizza articoli inpelle e cuoio avvalendosi dell’esperienza e abilità degli artigiani to-scani a cui aggiunge però una forte componente moda. La formula sirivela vincente e appena trascorsi dieci anni dalla sua costituzioneviene fatta una scelta di commercializzazione diretta. Già nel 1938 laGucci allarga il suo sistema distributivo, investendo in un punto ven-dita a Roma da aggiungere a quello storico di Firenze. Nel 1953, si èal primo passaggio generazionale, scompare il suo fondatore GuccioGucci e il controllo della società passa ai suoi tre figli. Le principalinovità strategiche che vengono apportate sono: l’internazionalizza-zione; la diversificazione del prodotto anche attraverso il sistemadelle licenze; l’apertura verso canali distributivi non diretti. Vengonoaperti importanti punti vendita negli Stati Uniti, Francia, HongKong e Giappone, e inizia la distribuzione di scarpe, foulard, cra-vatte, abbigliamento e orologi. Nonostante la validità della sceltastrategica, si commette un errore di sovraesposizione del marchio siain termini di distribuzione che di tipologia di prodotto. Questo pro-duce una perdita significativa di qualità, contenuto moda e immagi-ne, tale da indebolire gravemente la redditività del marchio.

Dal 1989, in una fase di gravi difficoltà economico finanziarie, ini-zia una nuova importante fase. Si delinea infatti il superamento dellaGucci come impresa familiare. In cinque anni il controllo della so-

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cietà passa alla finanziaria anglo-araba Investcorp a cui i diversimembri della famiglia vendono il 100 per cento delle azioni. Succes-sivamente, tra l’ottobre 1995 e il marzo 1996, viene modificato anco-ra un’altra volta l’assetto azionario con la nuova Gucci Group N.V.,che diventa una public company, le cui azioni sono quotate alle BorseValori di New York e di Amsterdam. Trascorsi altri tre anni dal nuo-vo assetto, nel 1999, avviene un altro fondamentale cambiamento,con un trasferimento azionario a favore della multinazionale france-se Pinault-Printemps-Redoute (PPR), che acquisisce il 60% del capi-tale sociale di Gucci. La delicata gestione di quella fase, che agli inizidegli anni Novanta vede uno dei più prestigiosi gruppi italiani dellamoda sull’orlo della liquidazione, è affidata a Domenico de Sole eTom Ford, rispettivamente amministratore delegato e direttore crea-tivo. La nuova impostazione strategica che si sceglie per rilanciare ilgruppo può essere sintetizzata nei seguenti titoli: concentrazione sulsegmento del lusso, riconoscimento della centralità del core businessdi origine (quello degli accessori in pelle) e del marchio Gucci; svi-luppo attraverso acquisizione di importanti società di moda interna-zionali; diversificazione merceologica organizzata su un sistema coe-rente di prodotto e brand; forte impegno sulla distribuzione e comu-nicazione.

Grazie a quel piano strategico, il gruppo ridiventa uno dei princi-pali leader nel settore del lusso, sia in termini dimensionali che diredditività. Il suo ruolo e il suo peso, all’interno della holding Kering,rimane preminente, concorrendo – insieme a quello degli altri brandsitaliani – a conferire al nostro paese una quota pari a circa la metàdel totale delle attività del gruppo.

A Gucci, in Italia, fa oggi capo il ramo che riguarda la produzione,i cui siti sono quelli di Firenze e Novara, e il ramo della commercia-lizzazione, attraverso una rete di punti vendita sparsi sul tutto il ter-ritorio nazionale.

Sindacalmente parlando, il primo fa capo alle federazioni che rag-gruppano il tessile-abbigliamento-calzaturiero (TAC) e la pelletteria;il secondo a quelle del commercio. Le federazioni di categoria dellaCGIL, rispettivamente FILCTEM (prima FILTEA) e FILCAMS, sonoquelle che vantano il maggior numero di iscritti e delegati.

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La storia sindacale di Gucci, nel ramo commercio, rappresentaun’anomalia. Le relazioni sindacali hanno vissuto sempre molto po-co nei punti vendita e nel territorio, concentrandosi sul piano nazio-nale. Il livello nazionale quindi si trova a gestire sia le relazioni indu-striali relative alla contrattazione integrativa, ai diritti di informazio-ne e al confronto sulle politiche di sviluppo, sia problemi di organiz-zazione di lavoro e di relazioni sindacali tipicamente territoriali (ora-ri di lavoro, mansioni, relazioni fra RSU e dirigenza).

Il sistema delle relazioni industriali alla Gucci è da sempre im-prontato a uno spirito di collaborazione e di partecipazione che faci-lita il dialogo e la ricerca di soluzioni comuni. Tale evoluzione è an-che strettamente connessa alla globalizzazione dei mercati, agli svi-luppi tecnologici e alle innovazioni di processo, che cambiano la lo-gica e il modo di lavorare, l’organizzazione del lavoro in fabbrica e ilmodo di sentire del singolo lavoratore. Nel 1996 Gucci aveva sotto-scritto una prima bozza di codice etico, maturato ulteriormente nel2005-06, quando veniva costituito un Comitato etico di gruppo perla responsabilità sociale d’impresa3. Un approccio che ritroviamointegralmente anche in Kering4. Secondo un’indagine sulla respon-sabilità sociale dell’impresa realizzata in Francia dal Group Alpha,una società di studio e consulenza specializzata nell’assistenza deiCAE nei gruppi a controllo francese, delle 34 multinazionali prese in

3 A livello di brand, Gucci ha sviluppato con un proprio budget una metodologiaper ridurre l’impatto ambientale del processo di conciatura. Come gruppo invece agiugno è stato creato a Novara, dove opera lo stabilimento dedicato allo sviluppodei prodotti di abbigliamento, il Materials Innovation Lab, un archivio/laboratoriodi materiali sostenibili dove, per la prima volta in assoluto, i tecnici operano insie-me ai designer per identificare nuovi materiali e tessuti più eco-compatibili, lavo-rando a stretto contatto con i reparti di sourcing, progettazione e produzione.

4 Col proprio Codice Etico, il Gruppo Kering e i diversi marchi che lo compon-gono dichiarano «il proprio impegno a rispettare le disposizioni dell’Organizza-zione Internazionale del Lavoro (ILO), e in particolare le convenzioni tese all’eli-minazione del lavoro dei bambini e all’abolizione della schiavitù e del lavoro for-zato e obbligatorio. Il gruppo ricorda, inoltre, di aver sottoscritto dal 2008 il PattoMondiale (Global Compact) e sottolinea con tale adesione di difendere i 10 princi-pi sanciti da tale Patto».

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considerazione nel biennio 2010-125, era l’ottava per la qualità delleinformazioni fornite, in tema di ristrutturazioni, ventesima in temadi sub-contracting e diciottesima in tema di informazione sui dirittifondamentali (ILO e ONU).

Un forte impegno si registra sulla parità di genere. Entro il 2016,il 50% dei dirigenti di Kering, il 40% dei membri del consiglio diamministrazione e il 40% dei comitati direttivi dei marchi di Kering,dovranno essere donne. Un programma di mentoring prevede di af-fiancare dirigenti (sia uomini sia donne) a donne con alto potenziale,dando loro supporto per lo sviluppo del talento professionale e per-sonale.

2. Il CAE

2.1. Struttura e funzionamento

Kering ha un Comitato aziendale europeo (CAE), frutto dell’ere-dità stratificata di analoghi organismi in capo ad altri marchi, primache i nuovi assetti proprietari della holding assumessero l’attuale con-figurazione.

Al gennaio 1999 risale il primo accordo istitutivo del CAE PPR(Pinault Printemps Redoute), successivamente rinegoziato il 25 giu-gno 2009, in ragione del susseguirsi di cessioni e acquisizioni.

Nella genealogia dell’attuale CAE del gruppo, un ruolo chiave loha certamente svolto l’antesignano di Gucci. L’accordo che ne avevasancito la nascita era del 30 novembre 2000, laddove l’insediamentoeffettivo avveniva il 2 ottobre del 2001. La costituzione del CAEall’interno di Gucci ha rappresentato una naturale prosecuzione diuna cultura del gruppo che oltre ad accettare l’esercizio sindacale nericonosce una funzione utile alla sua strategia di sviluppo. L’accordoCAE di Gucci, negli anni in cui operò quell’organismo, presentavaalcune caratteristiche di innovazione, soprattutto in relazione al nu-mero di componenti, alla formazione dei delegati e alle attività, con

5 Groupe Alpha, la Lettre, CRS Indicators: corporate communication or social issue?,n. 14, 2014.

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la possibilità di andare alla costituzione del comitato di impresamondiale e il coinvolgimento in primo luogo delle organizzazionisindacali di USA e Giappone. L’obiettivo del CAE Gucci era quello diassicurare una più ampia informazione dei dipendenti del gruppo edei loro rappresentanti riguardo agli obiettivi strategici a livello eu-ropeo e di instaurare un metodo di concertazione che coinvolgesse idipendenti delle società del comitato. I membri che rappresentavanoi dipendenti del gruppo erano allora 26, con una nettissima egemo-nia italo-francese, essendovi 12 delegati italiani, 12 francesi e unospagnolo.

Il passaggio sotto il controllo dei francesi di PPR prima e Keringpoi, ma soprattutto il complesso processo di cessioni e acquisizioni,hanno negli anni mutato sostanzialmente gli equilibri originari al-l’interno del nuovo CAE.

Come si accennava in principio, Kering è una holding specializzatanella produzione e nella commercializzazione del ramo lusso e sportlife-style. Del primo ramo, Gucci e Yves Saint Laurent sono i duemaggiori fiori all’occhiello, a cui si è aggiunta Bottega Veneta, lad-dove Puma lo è del secondo. Questa nuova focalizzazione strategicada parte della MNC ha implicato un processo di dismissioni e acqui-sizioni che, mutando il perimetro del gruppo, si è inevitabilmenteripercosso sul CAE e sulla sua composizione; sia in termini di nazio-nalità che di marchi rappresentati. Ne è seguito un sostanziale ri-cambio fra i membri delegati – alcuni dei quali appartenenti adaziende cedute (Conforama; FNAC) – a vantaggio di nuove realtà dipiù recente acquisizione. A cominciare dalla tedesca Puma, che oggicontende il vecchio primato italo-francese in seno al CAE Gucci pri-ma e PPR poi. La scelta di affiancare la tradizionale opzione per illusso con quella per l’abbigliamento sportivo di marca, ha compor-tato uno spostamento del baricentro verso l’Europa centro-setten-trionale, dove oggi si concentra una grossa quota dell’insediamentocomplessivo di Kering

Oggi il CAE – che come si accennava, è multisettoriale – è compo-sto da 20 membri, di diversa nazionalità. I delegati italiani sono 5; 3sono della CGIL (2 FILCTEM; 1 FILCAMS), 1 CISL (FEMCA) e 1UIL (UILTUCS).

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Esiste un comitato ristretto, col compito di fare da trait d’union tra ilCAE e il management di Kering. Esso è composto da 5 membri: un se-gretario (sempre francofono), 1 vicesegretario e 3 membri effettivi.Ad oggi il segretario è dipendente della Boucheron di Paris, il vicese-gretario è tedesco ed è dipendente della Puma in Germania, gli altri3 membri sono il delegato italiano della FILCAMS che lavora daGucci, una lavoratrice francese della fabbrica di Saint Laurent e undipendente inglese della Puma del Regno Unito.

In generale, il CAE Kering ha il compito di analizzare le varie di-namiche che ogni singolo brand in ogni paese europeo si trova a ge-stire in un determinato periodo di tempo, portando così all’attenzio-ne del gruppo le criticità che le singole marche di Kering stanno vi-vendo in una determinata fase storica al fine di sensibilizzare ilgruppo stesso ad intervenire con i vari brand sui temi e sulle questio-ni poste dal Comitato aziendale europeo.

Il CAE Kering, in base al suo accordo istitutivo e in sintonia conquanto a riguardo prevede la legislazione francese di recepimentodella direttiva in materia, gode del diritto di avvalersi di una societàspecializzata di consulenza per le problematiche economiche e nor-mative che ineriscono alla vita di questo organismo.

Fra gli argomenti più discussi in occasione degli ultimi incontri colcomitato ristretto, vi è stata la dismissione da parte di Kering di unasocietà del gruppo, rispetto alla quale – formalmente – il managementfrancese ha chiesto il parere alla rappresentanza del CAE.

2.2. Gli accordi transnazionali di gruppo

Alla stregua di quanto si va registrando anche in altri grandi gruppimultinazionali, dotati di un proprio CAE, anche in Kering si registra– al di là dei diritti di informazione e consultazione a livello transna-zionale – anche la stipula di accordi, volti a sancire l’adozione condi-visa di alcuni impegni in ambiti specifici relativi alle condizioni di la-voro dei propri dipendenti. Di testi del genere – intitolati «Carte» –in Kering se ne contano al momento due e sono stati redatti, rispet-tivamente, nel 2010 e nel 2013.

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Nel primo caso, il 27 luglio 2010, il management internazionale diKering e il suo CAE, nelle vesti del suo comitato ristretto, hanno sot-toscritto una Carta di impegni relativa alla qualità della vita al lavoroe per la prevenzione dello stress lavoro-correlato (Charter framework ofcommittments on quality of life at works and prevention of work-relatedstress). Esso appartiene alla categoria degli accordi transnazionali digruppo e si applica a tutte le aziende che in Europa fanno capo allaholding francese. In base ad esso, ogni azienda del gruppo dovrà iden-tificare i fattori di rischio psico-sociale, concepito come «squilibrio(imbalance) fra la percezione del lavoratore riguardo alle richiestedell’ambiente di lavoro e l’abilità del lavoratore/trice a venirne a ca-po». I loro effetti non sono soltanto di natura psicologica, ma possonoanche ripercuotersi negativamente sulla salute psichica, sul benesseree sulla produttività del lavoratore/trice che ne fa esperienza. Al fine diprevenire e combattere tali rischi, la Carta dispone tre principi fon-damentali: 1) identificare e classificare i fattori di stress lavoro-corre-lato, specifici per ogni ramo di business e organizzazione; 2) predi-sporre misure preventive al fine di migliorare la qualità della vita allavoro e ridurre i fattori suddetti di rischio; 3) informare e ascoltare ariguardo i lavoratori. Su quest’ultimo punto, in particolare, le aziendedel Gruppo Kering dovranno fare in modo di acquisire le percezionidei lavoratori in merito al loro ambiente di lavoro e alle condizioniche lo caratterizzano, adoperando anche nuovi strumenti comunicativi.A riguardo si fa riferimento all’indagine che il gruppo svolge sin dal2001 fra i propri dipendenti (What’s the weather like where you are?), ta-standone con questionari anonimi l’opinione sul clima lavorativo esulla sua qualità. Nella versione italiana Che tempo che fa?, si attendo-no i risultati dell’ultima indagine realizzata fra il 2013 e il 2014.

La Carta a favore dell’occupazione delle persone disabili riaffermal’attenzione dell’azienda per le pari opportunità e la promozione delladiversità, e definisce regole e impegni comuni per l’intero Gruppo.Questa Carta è in linea con il forte impegno assunto dal gruppo do-po la firma del primo accordo di partenariato con la AGEFIPH1 nel2005, e poi del secondo nel 2007.

L’altro testo si intitola Senior Citizen Charter e porta la data del 17dicembre 2013. Sottoscritta da Kering e dal suo CAE, tramite il suo

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comitato ristretto, la Carta si occupa in questo caso dei diritti dei la-voratori più anziani, in tutte le fasi che attengono alla gestione delpersonale, dall’assunzione ai percorsi di carriera, alla formazione eall’aggiornamento professionale, ai processi di ristrutturazione, finoad alcune misure di welfare aziendale e cure mediche. L’obiettivocomplessivo, che si articola in sei temi specifici, consiste nell’adottaretutte quelle misure e quegli accorgimenti che, in ogni singola azien-da e unità lavorativa, possano prevenire qualunque forma di discri-minazione dei lavoratori più anziani. Al contempo, si raccomanda aivari management locali di intraprendere azioni che possano positiva-mente favorire una maggiore e migliore integrazione di questa ti-pologia di lavoratori nei rispettivi ambienti di lavoro e nelle diversecircostanze a cui si debba fare fronte: formazione e aggiornamento,orari di lavoro ed ergonomia, soluzioni che facilitano il rientro al la-voro dopo periodi prolungati di assenza, visite mediche periodiche apartire dal compimento dei cinquant’anni di età.

Alla luce dei nuovi brand acquisiti da Kering, e di quelli che nelfrattempo sono stati dismessi, il comitato ristretto del CAE e il mana-gement stanno predisponendo una nuova Carta globale nei confrontidei lavoratori Kering su seniority e disabilità all’interno del gruppo.

Questi documenti stabiliscono una serie di norme e linee guidache devono definire l’azione delle aziende e dei marchi in questi set-tori. Essi mirano anche a estendere l’impegno del gruppo a livelloeuropeo, per aiutare a far crescere la sensibilizzazione dei dipen-denti su questi temi, e, infine, garantire un follow-up dell’attuazionelocale degli impegni assunti. Carte come quelle siglate in Kering nel2010 e nel 2013 rivelano il tentativo, oggi sempre più diffuso fra igrandi gruppi multinazionali e i loro CAE, di fare evolvere l’attivitàinformativa e consultiva verso forme di intese transnazionali, che inalcuni casi possono arrivare a configurare una vera e propria attivitànegoziale da parte di questi organismi, che pure formalmente nonne avrebbero titolarità. Un segnale interessante, sulla cui effettivaimplementazione occorrerà effettuare un opportuno monitoraggio.Resta infatti da verificare l’effettività con la quale testi di questo tipovengono implementati e resi operativi nelle realtà lavorative a cui siindirizzano.

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Da questo punto di vista, la situazione lamentata dai lavoratori èben diversa, specie per ciò che attiene ai temi dello stress lavoro-cor-relato. I delegati RSU di alcuni importanti punti vendita di Roma,Firenze, Milano, Varese-Malpensa6 riferiscono del disagio con cuimolti addetti alla vendita vivono il sistema degli orari e dei turni,sempre più stressanti e incompatibili con un’adeguata conciliazionefra lavoro e vita familiare. Il lavoro al sabato e alla domenica, in par-ticolare (long week), ha assunto caratteristiche ritenute molto gravose.Gli straordinari sono tanti e i lavoratori a part time si trovano spessoa svolgere il loro lavoro con orari da tempo pieno. Ad accrescere lostress si aggiunge l’adozione di sistemi premianti individualizzati, le-gati al numero di prodotti venduti. Un elemento che penalizza cas-siere o magazzinieri, e che pesa sempre di più sulla retribuzione, odal quale – come a Firenze – si pretende di far derivare un sabato li-bero in più. Da qualche tempo si registra un fenomeno che, secondoalcuni delegati sindacali, non ha precedenti: quello delle dimissionidi lavoratrici e lavoratori, indisponibili alle condizioni di lavoro im-poste oggi nei punti vendita del gruppo. Un dato che ha assuntodimensioni tali da indurre il management francese – lo riferiva il de-legato CAE – a chiedere spiegazione ai rappresentanti italiani in se-no a quell’organismo.

3. Comunicazione e relazioni

Alla luce dei nostri colloqui, vi è una valutazione diffusamente po-sitiva per ciò che attiene all’arricchimento dei rapporti con altre real-tà, esperienze e culture della rappresentanza sindacale. Il contattodiretto con delegati che provengono da sistemi come quello france-se, sindacalmente debole ma normativamente supportato da una ro-busta legislazione di sostegno in materia di diritti di informazione econsultazione, o soprattutto con quello tedesco, col suo modello dicodeterminazione sia a livello aziendale che di organismi societari,

6 Ne abbiamo incontrati alcuni in occasione di una videoconferenza organizzataa Roma dal coordinamento nazionale FILCAMS delle RSU di Gucci.

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costituisce un importante stimolo a far crescere una maggiore con-sapevolezza della pluralità di approcci alla pratica sindacale e dellerelazioni industriali.

A giudizio dei delegati che abbiamo intervistato, il carattere multi-settoriale del CAE Kering – fra produzione e commercializzazione –non ha finora causato particolari problemi di funzionamento inter-no. Il confronto emerge solitamente nella fase preliminare delle riu-nioni, quando tutti i membri del CAE si ritrovano e concordano lecose da dire e le domande da porre ai referenti del management, chesvolgeranno i loro interventi il giorno dopo. Per il funzionario na-zionale FILCAMS che segue Gucci:

Periodicamente facciamo un aggiornamento generale con la FILCTEMdi Firenze, che segue il pezzo dell’industria, ma non vi sono relazionistrutturate né luoghi di confronto in cui siedano entrambe le categorie.Non ci sono rapporti con la FILCTEM nazionale.

In preparazione dell’ultimo incontro, i due delegati italiani Gucciper FILCAMS e FILCTEM si sono confrontati per cercare spunticomuni, da riportare in seno al CAE. E questo terreno è stato indivi-duato nel welfare aziendale di gruppo, immaginando di generalizza-re alcune esperienze già avviate in tal senso, ad esempio in tema diconciliazione e asili per i figli dei dipendenti e sanità integrativatramite fondi bilaterali di settore (Fondo EST; Unisalute). Dunqueun pacchetto di misure da sottoporre al vaglio del CAE, provando aottenere dal gruppo una copertura, anche finanziaria, per alcune diqueste iniziative, a vantaggio di tutti i dipendenti del gruppo Kering.La cosa, per il momento, non ha avuto seguito ma l’intenzione – daparte italiana – sarebbe quella di ripresentarla in occasione del pros-simo incontro.

Un altro tema sollecitato dai delegati italiani del commercio èstato quello di utilizzare il portale del gruppo per favorire percorsieuropei di mobilità professionale, incrociando – per tutti gli addettialla vendita del gruppo a livello mondiale – opportunità lavorative eprofili curriculari secondo una modalità, già nota in Gucci sotto lavoce job posting e ora ribattezzata talent acquisition management.

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Fra le questioni più dibattute di recente dal CAE – a parte la tradi-zionale esposizione dei trend economici ed occupazionali del gruppo,delle sue linee-guida strategiche – la situazione più critica ha riguar-dato il versante francese di Kering, dove già nel 2009 il CAE avevarigettato alcune ipotesi di ristrutturazioni che implicavano tagli delpersonale, e dove entro la fine del 2013 Kering aveva annunciato iltaglio di 700 posti a La Redoute (ma anche alla Redcats) e di 180 allaFNAC. Il livello europeo del confronto, nel CAE, si è però limitatoall’informazione, non sussistendo in questo caso quei tratti di trans-nazionalità della crisi che autorizzano, in base alla normativa euro-pea, una reale consultazione. La vertenza ha invece avuto un suo svi-luppo nazionale, secondo la legislazione e le prassi contrattuali vi-genti in Francia, in caso di licenziamenti collettivi.

In Italia, qualche anno fa, la situazione più critica aveva riguardatola dismissione di Conforama da parte di Kering, ceduta a un grupposudafricano, con alcuni contraccolpi occupazionali che hanno ri-guardato – fra le altre – anche la provincia di Varese.

Per il resto non ci sono al momento grossi problemi legati alleprospettive occupazionali. Il ramo lusso, di cui i marchi italiani rap-presentano un pilastro nella strategia della holding, non ha subito fi-nora i contraccolpi di una crisi che ha invece colpito molto dura-mente altri comparti dell’industria e della distribuzione commercia-le. Non vi sono state spinte significative verso delocalizzazioni e for-me particolarmente spinte e incontrollate di contoterzismo. Le ec-cellenze della produzione italiana, dei suoi distretti altamente spe-cializzati, come quello di Firenze, hanno retto bene, e anche il setto-re della commercializzazione ne ha tratto beneficio. Una catena delvalore certificata, a livello globale, sia sul versante della sostenibilitàsociale che di quella ambientale, ad esempio con riguardo ai mate-riali – soprattutto la pelletteria – utilizzati per la produzione.

C’è una certa ansia di non riuscire a interpretare e rappresentareadeguatamente le aspettative che i lavoratori da un lato e il propriosindacato dall’altro ripongono nell’opportunità di avere un propriocollega in seno al CAE o, addirittura, come nel caso del delegatoFILCAMS in Kering, direttamente all’interno del suo comitato ri-stretto. Per questo motivo, tutti concordano sulla necessità di miglio-

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rare la qualità della comunicazione che il rappresentante deve esserein grado di instaurare, sia in senso ascendente (dai lavoratori e sin-dacati nazionali al CAE) che discendente (dal CAE ai lavoratori e alsindacato nazionale).

C’è, ugualmente indispensabile, una comunicazione orizzontaleche va alimentata fra delegati, di tutto il CAE, nonché fra quelli delproprio paese. Nel primo caso, quello ascendente, la modalità piùcomune sembra consistere nella ricerca di contatti coi propri colle-ghi di lavoro, e soprattutto con gli altri delegati italiani del gruppo.A tal fine, il delegato CAE FILCAMS intrattiene un rapporto quasiquotidiano con gli altri delegati italiani che in seno al CAE di Keringrappresentano altri brands del gruppo, siano essi della commercializ-zazione che della produzione, di tutte le sigle sindacali. Abbiamo giàdetto dei contatti fra ramo industria e ramo commercio, per unaproposta comune sui temi del welfare contrattuale aziendale.

Ci avvaliamo delle nuove opportunità offerte dalle nuove tecnologiedell’ICT; comunichiamo tramite what’s app e oserei dire che siamo di-ventati amici.

Per ciò che attiene ai rapporti coi delegati stranieri, la comunica-zione principale e più assidua avviene con gli altri membri del co-mitato ristretto e in particolare col suo vicesegretario, un tedesco cheproviene da Puma. Kering, nel suo accordo, ha previsto il diritto deidelegati a dotarsi di un cellulare, regolarmente ricaricato, perl’espletamento delle funzioni di rappresentanza, e tutti i membri delCAE possono comunicare fra di loro avvalendosi di un indirizzo per-sonale di posta elettronica dedicato.

Alla domanda su quali strategie occorra mettere in campo per mi-gliorare la comunicazione tra i membri CAE e i lavoratori, il coordi-natore nazionale del gruppo ha risposto:

Credo che il punto non sia la comunicazione, ma il come interpretia-mo la dimensione internazionale nel nostro fare sindacale. Se si conti-nuano a vedere i due piani in modo distinto, la comunicazione puòanche essere migliorata ma è fine a se stessa. Se invece io imposto lamia strategia sindacale includendo da subito la dimensione interna-

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zionale come asse di azione, creerò subito interesse, aspettativa, parte-cipazione, e quindi comunicazione.

I delegati italiani hanno chiesto che, sulla piattaforma intranet delportale di Kering, sia inserito un link interamente dedicato al CAEdel gruppo, con la possibilità innanzitutto di sapere che cos’è unCAE; di conoscere gli accordi istitutivi, sin dai tempi di Gucci e diPPR; mettere l’elenco dei nomi e dei recapiti e-mail di tutti gli at-tuali membri del CAE. Ciò renderebbe sicuramente più agevole ilcontatto fra singoli lavoratori e delegati, laddove oggi la comunica-zione si limita a interessare solo un numero ristretto di sedi più gros-se, dove esiste una RSU dotata di un proprio indirizzo e-mail.

Quello che servirebbe, infatti è un modello di informazione multilivelloche faccia arrivare le cose che facciamo a livello di CAE fino all’ultimonegozio, in un quartiere delle nostre città (delegato FILCAMS).

L’ideale sarebbe un contatto diretto, in assenza del quale la stru-mentazione dell’ICT può fornire il succedaneo più appropriato.

Il rapporto col sindacato esterno di categoria avviene essenzial-mente con quello territoriale a cui si afferisce in rapporto al proprioluogo di lavoro, e ha di norma i connotati del contatto informale, colfunzionario che segue più da vicino la MNC. Esiste una mailing list ditutti i delegati RSU/RSA del gruppo in Italia, ed è con essi che i de-legati mantengono rapporti più costanti. Ad esempio inviando lorodei verbali contenenti una sintesi delle questioni discusse durante leriunioni del CAE.

Più sfumato, o quanto meno più sporadico, sembrerebbe agli occhidei delegati il coinvolgimento del sindacato nazionale di categoria,da un lato, e di quello europeo dall’altro, che pure organizza ditanto in tanto delle utili occasioni di incontro fra delegati CAE deivari gruppi MNC che afferiscono al suo perimetro di rappresentan-za. La federazione di categoria a livello nazionale si dichiara tuttaviamolto attenta a quanto accade nelle realtà territoriali del gruppo.

Il nostro delegato – riferisce il coordinatore nazionale FILCAMS delgruppo – mi aggiorna telefonicamente e prepara dei report per il coor-

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dinamento nazionale dei delegati presieduto da CGIL CISL UIL. Lapresenza di un nostro delegato al CAE – prosegue – è utile soprattuttoad avere informazioni sulle strategie e sulle valutazioni di Kearingsull’operato di Gucci Italia, sia rispetto alle politiche industriali, siasu taluni aspetti relativi al rapporto tra il gruppo e l’azienda italianache possono essere utili nelle dinamiche negoziali.

E prosegue:

L’impegno nel seguire Gucci è costante nel livello nazionale, inquanto storicamente le relazioni sindacali sono centralizzate. Si svol-gono almeno due incontri annuali con la delegazione aziendale e co-ordinamenti nazionali dei delegati utili alla gestione dell’attività ordi-naria. A questo si aggiungono i contatti per vie brevi su svariate pro-blematiche.

Secondo il delegato CAE FILCAMS sarebbe molto utile e oppor-tuno costituire un coordinamento sindacale non circoscritto al soloramo di categoria, bensì con una partecipazione multisettoriale, ingrado di favorire uno scambio di esperienze e vedute maggiore conchi sperimenta altri modelli e approcci.

4. Valutazioni e criticità

La valutazione positiva intorno al CAE può essere quella sinteti-camente espressa dal delegato FILCAMS: «È un terreno fertile su cuilavorare». E il motivo con cui ciò viene argomentato è che, grazie adesso:

Si esce da una esperienza locale e localistica. Relativamente chiusa.Per accedere a un universo molto più complesso, di cui apprendi nessie articolazioni che non potevi vedere dal tuo punto di vista esclusiva-mente territoriale (DCAE1).

La FILCAMS ritiene prioritario lo sviluppo dei CAE e delle nego-ziazioni transnazionali.

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Il lavoro su questo piano in questi anni è stato intenso, anche se anco-ra non vi è una prassi diffusa di relazione tra il piano nazionale equello transnazionale (FS1).

Un punto fondamentale, ricorrente nelle valutazioni degli intervi-stati, è rappresentato dallo scambio di esperienze sindacali coi colle-ghi stranieri. Andare a confrontarsi con realtà e culture sindacali di-verse dalle nostre viene visto come una straordinaria opportunità disviluppo sia individuale che organizzativo nell’esperienza della rap-presentanza sindacale. Il modello tedesco, in particolare, coi suoi di-ritti di codeterminazione in sede aziendale e di organismi societari, èquello che riscuote maggiore interesse e apprezzamento. Viene con-siderata una esperienza sindacale all’avanguardia, rispetto alla qualesi interroga la possibilità di importarne l’ispirazione, se non anche idispositivi normativi. Anche il modello francese viene consideratocon molto interesse. Non dimentichiamo che la holding ha sede nelpaese transalpino e che è francese la legislazione a cui fa richiamol’accordo costitutivo del CAE Kering. In ragione di ciò, e della com-posizione complessiva dei membri CAE, i delegati francesi svolgonoun ruolo particolarmente rilevante, accentuato da alcuni casi recenti– discussi anche in seno al CAE – che hanno criticamente riguardatoalcuni siti di quel paese, con l’annuncio di tagli del personale.

Quello che colpisce di queste esperienze è il ruolo attivo che, perlegge e/o cultura sindacale, la rappresentanza dei lavoratori puòesercitare all’interno dell’impresa. Un ruolo e un riconoscimento, èil corollario più o meno esplicito, che anche in Italia bisognerebbeacquisire. Italia di cui si apprezza comunque ciò che più validamentecostituisce l’architrave del sistema delle relazioni industriali. Adesempio, l’esistenza di un doppio livello contrattuale, che consentedi mutuare duttilmente le esigenze di una solidarietà ampia e inclu-siva, a livello nazionale, con la necessità di tener conto delle diffe-renze e delle specificità relative dei singoli contesti locali e aziendali.Un’articolazione che tende a distinguerci da altri modelli, che ildoppio livello non ce l’hanno, sebbene anche da noi esso sia tut-t’altro che generalizzato. Gucci, da questo punto di vista, ha un suointegrativo di gruppo, mentre non è così per altri competitors nazio-nali (Prada, Trussardi, Fratelli Rossetti, D&G) e, in generale, per la

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stragrande maggioranza delle aziende del commercio, dove si appli-ca soltanto il contratto nazionale di categoria.

Gucci, ci è stato ripetuto da più fonti, è un’azienda con un approc-cio tradizionalmente aperto sul terreno delle relazioni industriali.Ha sperimentato su svariati terreni, dalla responsabilità sociale allacertificazione di qualità (SA8000), dai due livelli contrattuali a unostile manageriale sostanzialmente partecipativo. Ha innovato in ma-teria di welfare contrattuale aziendale. Dunque offre condizioni re-lativamente migliori per fare avanzare il confronto anche in sede eu-ropea, in seno al CAE Kering, dove coesistono altre culture e prati-che sindacali, altrettanto promettenti. La sintesi, nelle parole del de-legato CAE di FILCAMS, è che:

Come Gucci possiamo certamente considerarci un’eccellenza a livellosindacale nazionale. Ma se guardo a cosa accade in Germania, senti-re cosa ci raccontano i colleghi di quel paese rispetto alla loro presenzanei consigli di sorveglianza, penso che ci siano ancora livelli piùavanzati, rispetto ai quali abbiamo da apprendere per potere migliora-re il nostro modello.

L’Europa, da questo punto di vista, non sarebbe solo quella tantovituperata dagli odierni populismi montanti, ma anche un certo mo-dello sociale, attento ai temi della solidarietà, di cui anche i CAErappresentano uno sviluppo molto positivo. Un’opportunità per fareavanzare, fra diritti sovranazionali inediti e mutuo scambio di cono-scenze e di pratiche sociali a livello orizzontale fra attori nazionali, idiritti e i poteri dei lavoratori.

Il CAE può svolgere una funzione particolarmente utile in una sta-gione tanto critica come quella attuale. Ad esempio rispetto ai gi-ganteschi processi di fusioni, acquisizioni e dismissioni, muta di con-tinuo il perimetro dei grandi gruppi MNC. Con quello che da ciò di-scende in termini di occupazione e di relazioni industriali. Ma anchenello specifico, con riguardo alle vicende sindacali e contrattuali na-zionali e locali. Nel caso Gucci, ad esempio, questa intuizione è ricor-sa più volte in relazione al recente rinnovo dell’integrativo di gruppoper il ramo commerciale. «Potrebbe essere un’opportunità interes-sante, specie in questa fase di difficoltà dovuta alla gestione di un ap-

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pena rinnovato integrativo nazionale di gruppo che ha provocatonon pochi malumori fra i lavoratori e i delegati» (FS2). Tale accordoprevede infatti un sistema della variabilità premiante nel quale ven-gono accentuati i tratti di individualizzazione, a discapito di quellicollettivi. L’azienda ha in questo caso mostrato di ispirarsi a modellidiversi (si sono persino evocati gli esempi dei negozi a Dubai o in Ci-na), senza tenere nel dovuto conto le caratteristiche sia del mercatoche delle relazioni industriali in Italia e nel nostro gruppo». Del re-sto, già nel solo ambito Gucci, un forte ruolo di condizionamento loesercita il raffronto con le politiche, anche gestionali, adottate dacompetitors come Prada o Vuitton. Con quest’ultimo che, dopo averesperimentato forme spinte di premialità individuale, sembra essersiricreduto, optando nuovamente per forme collettive di parametra-zione. Il rinnovo in corso dell’ultimo contratto integrativo siglato –non senza malumori – nel 2012, verte ancora molto sul sistema dellepremialità, con l’azienda che intende rimediare alle perdite degli ul-timi tempi, utilizzando fatturato e volumi di vendita come unici pa-rametri a cui ancorare il salario variabile.

Una scelta che – secondo il coordinatore nazionale FILCAMS perGucci – aumenta i fattori di stress, dal momento che le prestazioni delsingolo lavoratore diventano di fatto l’unica carta da giocare nel rap-porto col cliente. Ci sono invece altri elementi che possono incisiva-mente concorrere al successo delle politiche di vendita.

Da questo punto di vista, un tavolo europeo come quello del CAEpuò forse favorire un confronto più aperto, potendo ad esempioraffrontare le politiche del personale che il gruppo porta avanti a li-vello complessivo, negli altri paesi e siti in cui è presente ed esercitaun controllo. Possono emergere contraddizioni, come quello in capoa un management locale, che usa lo schermo della transnazionalità delgruppo («ce lo chiede Parigi»), per avallare scelte che invece, comepuò risultare poi in sede CAE, appaiono esclusivamente sue. L’enfasieccessiva su una premialità tutta declinata in chiave individuale ri-schia inoltre di determinare forti divaricazioni nei livelli retributivi,che oggi per figure analoghe possono variare fra i 25 e i 35 mila euro.

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A Parigi – dice il delegato CAE – non vogliono che ci siano troppisquilibri nelle retribuzioni del personale.

La dimensione sempre più internazionale dei mercati in cui ope-rano i singoli marchi impone nuove sfide rispetto alle quali anche ilCAE, sul versante della rappresentanza transnazionale dei lavoratori,può svolgere un ruolo di utile ausilio. In quella sede si possono co-gliere alcune linee di tendenza che orientano la strategia del gruppoa livello globale, con le sue possibili ripercussioni a livello di singolipaesi, marchi e siti sia della produzione che della commercializza-zione. Un altro sindacalista ci dice che:

... in termini generali sia molto utile adottare un’ottica transnazionalee che l’attivazione dei CAE sia una strada da seguire. Credo inoltreche sia necessario individuare le modalità per esercitare un ruolo ne-goziale maggiormente coordinato tra i livelli, superando anche alcunilimiti della normativa costituiva dei CAE. Per quanto riguarda Ke-ring, la nostra rappresentatività è molto limitata nelle altre aziendedel gruppo, gli accordi sinora raggiunti riguardano elementi sui qualiabbiamo incontrato interesse da parte del gruppo in relazione a aspettietici: salute e sicurezza, protezione dei lavoratori più deboli ecc. Nonesiste una dinamica propriamente negoziale, quanto piuttosto la co-struzione di intese su temi che rappresentano di per sé, per il portatovaloriale ed etico, un terreno comune.

Detto ciò, non mancano certo le criticità. In seno al CAE un pro-blema è certamente rappresentato dall’esigenza di realizzare unamigliore sintesi fra le varie istanze nazionali e locali. Ciascuna dellequali espressione di una determinata realtà, o di una specifica preoc-cupazione, senza che vi sia una previa assunzione complessiva, unavisione d’insieme, da parte di tutti i membri del CAE. La riunione ilgiorno prima dell’incontro col management, la costituzione di un co-mitato ristretto, i contatti più o meno frequenti fra tutti i delegati,non paiono in definitiva sufficienti a colmare questo scollamento. Ildelegato FILCAMS che abbiamo intervistato, nel sottolineare questasituazione, suggerisce di lavorare meglio alla piattaforma di temi daportare all’attenzione dell’azienda, selezionandone magari un nume-

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ro minore ma con la richiesta di un migliore approfondimento, nellaprospettiva di svolgere un condizionamento più effettivo sul mana-gement, in vista di miglioramenti conseguibili in quell’ambito cosìspecifico, in termini di diritti e poteri, qual è oggi il CAE.

Come ci è stato riferito, i delegati tedeschi, forti delle loro prero-gative nazionali in termini di diritti e poteri di codeterminazione, sa-rebbero quelli che nel CAE più si battono affinché questo organismoeviti di attestarsi su mere funzioni «notarili», sostanzialmente ridottead un ascolto passivo e fuori tempo utile («a cose già fatte»), per tro-vare un riconoscimento più autenticamente attivo, in chiave di veraconsultazione e proposta, con la possibilità di esercitare un parerevincolante. Ma, nella testimonianza di quanti abbiamo sentito, il ri-schio che ci si limiti a una mera informativa, per giunta parziale eintempestiva, resta una percezione molto forte.

Questa preoccupazione è forte anche sul versante italiano delCAE. Anche qui, l’idea è che: «Se esso diviene soltanto un mero luo-go dove ci si incontra, giusto pour parler, senza un effettivo scambiodi vedute, senza che si riesca ad esercitare alcuna influenza sulle sceltedell’azienda, allora il CAE fallisce la sua ragion d’essere» (DCAE1).Da sottolineare come le richieste avanzate dai delegati italiani – ri-spetto a un migliore utilizzo del portale intranet del gruppo sia ascopi professionali (il talent acquisition per la mobilità internazionaledei venditori) sia sindacali (con links specificamente rivolti al CAE;natura, composizione, funzionamento) – siano state finora disattese.E ciò con il pretesto di altre priorità, reali – come nel caso delle con-seguenze occupazionali della dismissione di alcuni marchi in Francia– e che tuttavia, questa volta con la scusa di interessare un solo pae-se, hanno ricevuto una trattazione del tutto insoddisfacente. Da quil’insistenza, concertata con tedeschi e francesi in seno al comitato ri-stretto, affinché l’azienda riconosca al CAE un reale diritto di con-sultazione, da intendere come scambio di vedute reciproco nel qualealla rappresentanza dei lavoratori è offerto il riconoscimento di unpotere di esprimere attivamente pareri che abbiano un impatto sullescelte del gruppo. È qui, in definitiva, che si gioca la partita fonda-mentale intorno alla natura e all’utilità più profonda del CAE comestrumento per una reale europeizzazione delle relazioni industriali.

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A questo problema, che attiene al livello propriamente europeo osovranazionale del CAE, se ne aggiunge un altro che riguarda la sfe-ra dei rapporti con il livello nazionale e locale della rappresentanza.Manca, in molti casi, il dovuto raccordo. Si agisce cioè in ordinesparso, senza produrre le necessarie sinergie. Riferendo ad esempiodel controverso rinnovo del contratto integrativo Gucci, settore com-mercio, il funzionario provinciale del sindacato lamentava un certodifetto di coordinamento.

Mi rendo conto – dice – che a volte rischiamo di operare tutti comeun’armata Brancaleone. E ciò ci rende più deboli dinanzi al mana-gement locale.

Per il funzionario nazionale incaricato di seguire il gruppo:

Il forte coordinamento centralizzato rende rigide le relazioni sindacalie rallenta i processi di individuazione di soluzioni condivise sulle pro-blematiche quotidiane e rende difficile la gestione dei problemi in otticagenerale. Non assistiamo tanto a una concorrenza, quanto a unacommistione di livelli, che coinvolge anche il rapporto con il CAE.

Con l’ammissione finale che:

in generale, in Gucci, esistono forti problemi di comunicazione tra ladelegazione trattante e i lavoratori. È un limite della nostra rappre-sentanza sindacale e delle relazioni sindacali impostate come sopra de-scritto (FS1).

Piuttosto critica la valutazione che dei CAE offre il segretario pro-vinciale della FILCAMS Varese. L’idea che ne ha tratto dai suoi tra-scorsi in Carrefour, ma soprattutto nei resoconti raccolti fra quantinel territorio di sua competenza vi operano personalmente, fra cuiGucci, è che in generale non si tratti di esperienze particolarmenteesaltanti. Il loro limite consisterebbe «nel non avere la capacità dicondizionare realmente le politiche del management globale, e diconseguenza di ottenere miglioramenti significativi per i lavoratoriche dovrebbero poter rappresentare».

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Il panorama odierno di queste realtà, specie nella grande distribu-zione (GDO), si è fatto particolarmente critico. Insediamenti tradi-zionalmente solidi sotto il profilo della rappresentanza sindacale edella contrattazione collettiva di gruppo affrontano oggi un graveprocesso di logoramento, attestato da un impegno ridotto che causaperdite occupazionali e un clima delle relazioni industriali inaspritodal reiterarsi di disdette degli integrativi aziendali a opera del mana-gement di alcuni di questi gruppi. Crescono invece gli hard-discount,dove però il sindacato è quasi del tutto assente.

Particolarmente caustica la valutazione di chi per la FILCAMS va-resina, ma in un altro CAE7, ha maturato una esperienza di alcunianni ormai. Dice:

Ad essere sincera, sono stata più volte tentata di non partecipare piùalle sue riunioni. Noi andiamo lì con uno spirito positivo. Cerchiamodi riflettere su come andare avanti, specie dove ci sono siti produttivi(che non è il caso dell’Italia dove, occupandoci solo di commercializza-zione, non abbiamo finora avuto problemi). Ma il risultato di quelleriunioni è sempre deludente. Il giorno prima ci si vede fra noi delegatiper formulare di solito domande che non richiedono una preparazioneparticolare. Poi il giorno dopo ci incontriamo con l’azienda, che cisommerge di dati e numeri. Molti dei quali, peraltro, già a noi noti.Nessuna vera interazione. Si pongono questioni di confidenzialità cheè poi l’azienda, per prima, a non rispettare, coi suoi comunicati.

A questi problemi, che originano sul versante datoriale, altri e nonmeno gravi se ne aggiungono su quelli interni al CAE e al suo rap-porto coi lavoratori a cui dovrebbe fare riferimento.

Il CAE pecca nella fase della comunicazione – prosegue la dele-gata. – Fra i delegati della produzione non c’è un confronto ade-guato; non si riesce a fare veramente rete. Manca un adeguato siste-ma informativo. Ci vediamo una volta l’anno. Poi il nulla. Quelloche so, lo apprendo spesso da Internet. Non c’è coinvolgimento. Il se-

7 Si tratta della AbInBev-Miller, la multinazionale belga, leader mondiale nellaproduzione e vendita di birra.

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gretario del CAE, lo stesso comitato ristretto, non svolgono adegua-tamente il loro ruolo. A dirla tutta, ho anche la sensazione che vi sia-no delegati nel CAE che utilizzano l’occasione dei due giorni di tra-sferta con uno spirito principalmente turistico [...] Insomma, restosempre con una sensazione di profonda insoddisfazione, e me ne tor-no a casa più arrabbiata di prima.

In questa ricostruzione, le carenze comunicative attengono ancheal versante «ascendente», quello grazie al quale un delegato dovreb-be poter rappresentare in seno a un CAE le istanze delle realtà cherappresenta. Qui non è così.

In vista di una imminente riunione, io li contatto e li prego di in-viarmi le loro richieste. Ricevo al massimo una risposta. Avevo purepredisposto un questionario per capire ed operare meglio. Ma ho ca-pito che al sindacato non gliene frega niente. Alle riunioni della RSUsi stila un verbale, che poi viene inviato ai dipendenti. Io faccio al-trettanto quando ritorno dalla riunione annuale nel CAE, ma noncolgo alcuna ricaduta utile dell’attività del CAE su quella della RSU.Il rapporto con la FILCAMS nazionale non c’è. C’è invece, e lo riten-go utile, quello con la categoria a livello territoriale.

5. La formazione

Fino all’assunzione del nuovo incarico europeo, il delegato CAEnon aveva mai sentito parlare di questi organismi della rappresen-tanza sovranazionale. «Non sapevo cosa fossero», dice. Non c’era statanessuna formazione specifica e neppure un contatto con chi aveva ri-coperto quell’incarico prima di lui.

Sono stato buttato in acqua ma non ho avuto paura; avevo già i brac-cioli e le esperienze nuove mi entusiasmano. Certo, per poter nuotareho dovuto imparare rapidamente. E così mi sono messo a studiare; misono documentato prima a livello generale (che cos’è un CAE; quale lasua genesi, le sue finalità, ecc.), poi in modo più specifico, con riferi-mento a quello della mia azienda.

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La partecipazione a un seminario organizzato a Granada dalla fe-derazione sindacale europea UNI, insieme al responsabile dell’uffi-cio internazionale della FILCAMS nazionale, è stata l’occasione perintrodurre il futuro delegato ai temi e alle problematiche dei CAE.La sua prima vera tappa di avvicinamento al nuovo incarico, fruttodi una convergenza fra l’azienda e la responsabile nazionale FIL-CAMS per Gucci.

La principale fonte d’informazioni è stata sin da principio Inter-net, «un bacino spettacolare» – come viene definito – da cui attingereper colmare rapidamente il deficit conoscitivo riguardo ai profilinormativi e contrattuali inerenti al nuovo incarico.

Questa modalità vale anche ora che l’incarico è stato assunto e ri-spetto al quale non si è mai posta – a detta del delegato – l’esigenzadi doversi confrontare col sindacato di categoria (territoriale o na-zionale) per dirimere un dubbio e intraprendere un percorso. L’ap-proccio formativo, l’aggiornamento, restano appannaggio di un fai-da-te, favorito dallo scambio orizzontale fra colleghi delegati, oppuredall’immancabile rete.

Ciò non significa che vi sia sfiducia o indifferenza rispetto allapossibilità di intraprendere percorsi formativi mirati. Anzi! Una ri-chiesta in tale senso è giunta da parte di tutti i nostri interlocutoriinterpellati. L’accordo CAE di Kering prevede già che l’azienda prov-veda in tal senso, con riguardo ad alcuni assi tematici definiti nel te-sto. La formazione linguistica, con 40 ore di corso, a carico dell’a-zienda, che il delegato lombardo sta effettivamente seguendo, perl’apprendimento della lingua francese. O su alcune tematiche dieconomia finanziaria, gestite questa volta da Kering per il tramitedei suoi esperti.

Il delegato Gucci del ramo produzione, malgrado anch’egli di re-centissima nomina nel CAE, dichiara di avere già partecipato a duelivelli di formazione in CGIL. Li ha organizzati la Camera del Lavo-ro di Firenze (Borgo de Greci). Un primo corso di formazione perdelegati di prima nomina e uno di livello avanzato sulla contratta-zione aziendale e tecniche di comunicazione. Dice: «I corsi di forma-zione sulle tecniche di comunicazione e contrattazione sono statimolto utili e stimolanti, perché si sono svolti in sessioni di più giorni

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continuativi. Ho apprezzato anche l’idea del ritiro di tre giorni, cheha creato un confronto molto positivo coi delegati delle altre catego-rie e ha permesso un’interazione molto efficace utilissima sia a livellodidattico sia interpersonale».

Per il delegato FILCAMS di Varese, si potrebbe adottare un ap-proccio integrato, multisettoriale, come quello già sperimentato daalcuni delegati del commercio, chiamati a partecipare ad eventi for-mativi di livello europeo da alcune federazioni sindacali internazio-nali, tipo EFFAT, IndustriALL o UNI, a cui erano presenti sia dele-gati del ramo industria che di quello commerciale.

Rispetto alle tematiche da trattare e approfondire, spicca quello ditipo comparativistico. L’interesse suscitato dal contatto con modelli epratiche diverse di relazioni industriali – su tutte, quella francese equella tedesca – suggerisce di dedicare alla conoscenza comparatadei vari modelli nazionali di rappresentanza, contrattazione e parte-cipazione una parte importante della formazione sindacale.

Un delegato Gucci del ramo produzione (FILCTEM) indica comemaggiore carenza conoscitiva quella di carattere economico-fiscale,«anche se il Gruppo Kering – precisa – ci ha fatto una sessione diformazione dedicata. La comunicazione con i colleghi di altri paesi eaziende non del polo lusso è sicuramente più difficile, non ultimoper la differenza culturale e di realtà sociale che viviamo». Il dele-gato FILCAMS, dal canto suo, rivela: «Sono un assoluto entusiasta epromotore dei corsi di formazione: sono l’unico modo per affinare lenostre capacità e tirare fuori il meglio del talento individuale, daspendere al servizio della propria categoria e dei colleghi che rap-presentiamo.

La formazione che si richiede è a tutto campo; dalla lettura deibilanci, competenze interculturali, conoscenza delle relazioni indu-striali in essere nei paesi rappresentati in seno al CAE alle compe-tenze linguistiche, fino a quelle negoziali e di coordinamento e net-working.

È indispensabile che i membri del CAE approfondiscano tutte questetematiche; con particolare attenzione alla conoscenza della realtà la-vorativa dei vari paesi dell’Unione Europea che essi rappresentano.

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Questo si rifletterebbe positivamente anche nell’attività sindacale in-terna alle proprie aziende.

Un’istanza, espressa dal delegato FILCAMS del CAE, riguarda lapossibilità di migliorare la capacità di interpretare in modo più inte-grato ed efficace i diversi ruoli che in vari casi fanno capo allo stessorappresentante: membro CAE (a volte pure del suo comitato ristret-to), nonché RSA (o RSU) a livello aziendale. Evitare che si operi se-condo competenze rinchiuse, come per compartimenti stagni.

Come si fa a legare, ad armonizzare, questi diversi ruoli e livelli delproprio incarico? Come faccio a fare arrivare il mio impegno europeoanche all’addetto dell’ultimo negozio Gucci? Azienda e sindacati do-vrebbero trovare una intesa, e un interesse, per metterci nella condi-zione di far conoscere sul territorio quello che facciamo.

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1. Introduzione

Il gruppo Volkswagen costituisce un autentico gigante mondialenel settore della produzione di auto. Possiede dodici marchi prove-nienti da sette diversi paesi europei: Volkswagen, Audi, SEAT, Ško-da, Bentley, Bugatti, Lamborghini, Veicoli Commerciali Volkswagen,Scania, MAN, Porsche e Ducati. Ciascun marchio ha le sue caratteri-stiche peculiari e opera autonomamente sul mercato. Il GruppoVolkswagen gestisce novantasei siti produttivi in diciotto paesi euro-pei e otto paesi tra America, Asia e Africa. Nel mondo circa 570.000addetti lavorano per la Volkswagen. Negli ultimi anni la presenzadel gruppo Volkswagen è aumentata anche in Italia considerevol-mente. Ormai sei dei dodici marchi del gruppo sono presenti in Ita-lia. Si tratta di Lamborghini, Italdesign, Volkswagen Group Italy,MAN, Scania e Ducati.

Mentre il gruppo negli ultimi venti anni ha portato avanti il pro-cesso di standardizzazione dei sistemi produttivi su scala mondiale, ilComitato aziendale europeo e il Comitato aziendale mondiale dellaVolkswagen hanno spinto affinché questo processo venisse accompa-gnato anche da una standardizzazione dei modelli sociali sia attra-

* IRES Emilia-Romagna.Per effettuare lo studio sul funzionamento del CAE della Volkswagen sono state

realizzate interviste a Floriano Zanoni, segretario generale della FILCAMS di Ve-rona, e Roberto Ramella, RSU e ex membro del CAE per la FILCAMS così come aAndrea Turchetti, Claudio Aloisi, Federica Leoni, Patrizio Avesani e Alessandro Ri-go, delegati RSU per la FILCAMS.

Il CAE del Gruppo Volkswagendi Volker Telljohann*

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verso la loro attività di rappresentanza, sia attraverso una serie diAccordi transnazionali di gruppo (TCA) che possono essere recepitie implementati presso tutti i siti appartenenti al gruppo Volkswagen.I TCA possono, quindi, essere utilizzati a seconda dell’utilità attri-buita loro nei rispettivi contesti di relazioni industriali. In Europa,l’Italia è forse fra i paesi in cui i TCA hanno avuto un impatto mag-giore sulle relazioni industriali a livello aziendale. In seguito cerche-remo di analizzare più in dettaglio le attività del CAE e del CAM e ilruolo che la negoziazione dei TCA ha avuto nell’ambito delle loroattività. Inoltre analizzeremo l’impatto, sia delle attività del CAE edel CAM, sia dell’applicazione dei TCA per lo sviluppo delle rela-zioni industriali al Volkswagen Group Italia con sede a Verona.

2. Volkswagen Group Italia

Volkswagen Group Italia oggi è considerato un’affermata realtàcommerciale. La consociata italiana del Gruppo Volkswagen è distri-butore degli autoveicoli Volkswagen, Škoda, Audi, SEAT e Volkswa-gen Veicoli Commerciali. Storicamente la società nacque con il nome«Autogerma S.p.A.».

Già nel 1951 la società importò le prime Volkswagen e nel 1954,ratificato il contratto come importatore generale di autoveicoliVolkswagen in Italia, fu fondata la Autogerma, che ha costituito neglianni una vera e propria rete commerciale e di assistenza.

La metà degli anni Sessanta ha visto due importanti momenti dicrescita della Autogerma, la realizzazione nel 1965 del magazzinocentrale di ricambi a Verona e, nel 1966, la ratifica del contratto co-me importatore generale di autoveicoli Audi NSU in Italia. Neglianni successivi, l’Azienda ha conosciuto uno sviluppo deciso e conl’inizio degli anni Settanta altre novità hanno movimentato la vitadella Autogerma. Innanzitutto, nel 1973 ci fu la trasformazione insocietà per azioni, importatrice per l’Italia di Volkswagen, Audi,NSU e Porsche. Poi, l’anno successivo, è stata la volta del trasferi-mento da Bologna a Verona e dell’unificazione delle Reti commer-ciali Volkswagen e Audi.

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Già nel 1970 la Autogerma ha consegnato in Italia 81.997 vetturema è del 1981 il traguardo delle 100.000 unità Volkswagen e Audivendute in un anno. Nel 1985 la Società è diventata al 100% la Con-sociata italiana della Volkswagen AG, mentre l’ascesa delle venditeha portato nel 1989 a 208.386 auto vendute fra Volkswagen e Audi,con una quota di mercato dell’8,8%.

Nel 1990, la quota di mercato della Autogerma ha superato per laprima volta il 10% (241.718 vetture) e l’anno successivo, che ha vistoanche la creazione della Società Fingerma (Servizi Finanziari, oggiribattezzata Volkswagen Bank), le vetture vendute sono state 250.000e la quota di mercato 10,3%. La costituzione della Società Škoda Ita-lia e l’inizio della costruzione della nuova sede hanno caratterizzatoil 1992 assieme alla commercializzazione di oltre 300.000 vettureVolkswagen, Škoda e Audi (12,3% del mercato).

Due anni più tardi, ci sono stati altri avvenimenti molto importantiper la Autogerma. Dopo il trasloco nella nuova sede – quella attuale– che comprende anche il grande Centro Distribuzione Ricambi consuperficie di 52.000 metri quadrati, sono state incorporate le SocietàŠkoda Italia e SEAT Italia.

Dal 1° gennaio 2007, la Autogerma ha assunto la nuova denomi-nazione Volkswagen Group Italia S.p.A. Il nuovo nome è stato con-cepito al fine di rappresentare appieno la dimensione internazionaledell’azienda che è sempre cresciuta, sia in termini di vendite, sia intermini di quote di mercato.

La crescita dell’azienda è stata accompagnata anche da un costanteincremento nel settore dell’occupazione, con un numero di dipen-denti che nel 2010 si attestava attorno alle 1.000 unità. In seguitoalla crisi i livelli occupazionali sono scesi a circa 870 dipendenti allafine del 2013. Le altre due aziende che operavano nel settore delladistribuzione erano la Volkswagen Group Firenze S.p.A. con 179 di-pendenti e la Volkswagen Group Milano S.r.l. con 16 dipendenti.Nel frattempo la Volkswagen Group Milano è stata chiusa. Comples-sivamente, il numero dei dipendenti di tutte le aziende facenti partedel Gruppo Volkswagen in Italia si attestava alla fine del 2013 attor-no alle 4.300 unità.

Le relazioni industriali alla Volkswagen Group Italia, con sede a Ve-

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rona, vengono descritte come costruttive e cooperative. Nonostantele buone relazioni industriali e nonostante i risultati significativi nel-l’ambito della contrattazione aziendale negli ultimi quattro anni, iltasso di sindacalizzazione è rimasto fermo al 10%. C’è una distribu-zione abbastanza equilibrata fra la FILCAMS CGIL e la FISASCAT-CISL.

Le RSU di Volkswagen Group Italia godono di una forte autono-mia. Visto che le relazioni industriali a livello aziendale sono di tipocooperativo il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali territo-riali è abbastanza limitato.

3. Il Comitato aziendale europeo

Il Comitato aziendale europeo (CAE) del Gruppo Volkswagen si ècostituito nel 1990, quindi quattro anni prima dell’adozione della di-rettiva 94/45/CE da parte del Consiglio dell’Unione Europea. Ottoanni dopo, nel 1998, è stata creata una struttura di rappresentanzaanche a livello mondiale, ovvero il Comitato aziendale mondiale (CAM)del Gruppo Volkswagen.

I delegati del CAE Volkswagen sono eletti e designati dai rappre-sentanti dei lavoratori al loro interno, oppure, in mancanza di questerappresentanze, da tutti i lavoratori, conformemente al diritto e alleconsuetudini dei singoli Stati membri. Nel 2014 il CAE Volkwagenera composto da circa 70 delegati mentre il Comitato mondiale eracomposto da circa 100 delegati.

Nel 2013 nel CAE erano rappresentati 12 paesi dell’Unione Europea.

1. Germania (gli stabilimenti della Volkswagen a Wolfsburg, Hanno-ver, Braunschweig, Kassel, Emden e Salzgitter; gli stabilimenti del-l’Audi a Ingolstadt e Neckarsulm; la Volkswagen Sachsen a Zwickaue Chemnitz; la Sitech Sitztechnik, lo stabilimento della Porsche; lostabilimento della MAN e la Financial Services);

2. Spagna (gli stabilimenti di Seat Martorell e Volkswagen NavarraPamplona);

3. Belgio (lo stabilimento di Audi Bruxelles);

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4. Repubblica Ceca (gli stabilimenti di Mladá Boleslav, Vrchlabí,Kvasiny);

5. Slovacchia (gli stabilimenti di VW Slovakia - Martin);6. Polonia (gli stabilimenti della Volkswagen a Poznań e di VW Mo-

tor Polska Polkowice);7. Inghilterra (lo stabilimento della Bentley Motors Crewe);8. Portogallo (lo stabilimento di VW Autoeuropa Palmela);9. Ungheria (lo stabilimento di Audi Hungaria Györ);10. Italia (lo stabilimento di Automobili Lamborghini Sant’Agata Bo-

lognese);11. Svezia (lo stabilimento di Scania Södertälje);12. Francia (lo stabilimento di Bugatti Molsheim).

Il CAE si incontra almeno una volta all’anno. All’interno del CAEviene eletto un comitato ristretto nel quale tutti i paesi devono essererappresentati con almeno un delegato. Per poter svolgere le sue atti-vità il CAE ha diritto a un budget annuale da erogare dal managementcentrale.

Nel comitato mondiale sono rappresentate anche:

• Volkswagen Messico,• Volkswagen Brasile,• Volkswagen Argentina,• Volkswagen Sudafrica,• Volkswagen India.

Anche il CAM si riunisce almeno una volta all’anno. Il CAM ha glistessi diritti di informazione e consultazione del CAE e anche il CAMha diritto a un budget annuale da erogare dal management centrale.Nel caso del CAM nel comitato ristretto devono essere rappresentatii marchi Volkswagen, Audi, Seat e Skoda così come le regioni NordAmerica e Sud America/Sudafrica.

Alle riunioni del CAM vengono invitati come osservatori anche rap-presentanti di Volkswagen Cina, Volkswagen Russia e VolkswagenUSA. Fino alla fine del 2013 in questi paesi non esistevano ancorastrutture di rappresentanza elette dai dipendenti.

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Visto l’elevato numero di partecipanti alle riunioni dei rispettivicomitati e la molteplicità delle imprese rappresentate diventa diffi-cile affrontare tutte le istanze portate avanti dai rappresentanti deivari siti. Per questo motivo negli ultimi dieci anni è avvenuto un pro-cesso di ulteriore articolazione delle strutture di rappresentanza a li-vello transnazionale.

Oltre al CAE e al CAM sono stati creati sei comitati che si occupa-no di:

• rami specifici all’interno del gruppo;• determinati marchi che hanno un forte peso all’interno del gruppo;• specifiche aree regionali.

In particolare si tratta dei comitati per:

1. il settore dell’industria meccanica;2. il settore della produzione di camion;3. le attività finanziarie e di distribuzione;4. l’America;5. la Cina;6. il gruppo Audi.

Il Comitato del gruppo Audi di cui fa parte la maggioranza delleaziende italiane è composto come segue:

• Audi Ingolstadt (3);• Audi Neckarsulm (3);• Audi Bruxelles (3);• Audi Ungheria (3);• Lamborghini (1);• Ducati (1);• Italdesign Giugiaro (1);• Volkswagen Group Italy (1).

Questa distribuzione dei seggi determina che Italia (4 seggi) è ilsecondo paese dopo la Germania (6 seggi). All’interno del Comitato

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viene eletto un portavoce. Alle riunioni del Comitato del gruppoAudi vengono anche invitati il presidente del Consiglio di fabbricagenerale della Audi S.p.A. e un rappresentante del CAE del GruppoVolkswagen. Il Comitato Audi come anche gli altri comitati si incon-tra almeno una volta all’anno. Questi comitati permettono ai rispet-tivi delegati di approfondire dei temi specifici legati alla loro realtà edi coordinarsi in modo più efficace con il CAE e il CAM. Per garanti-re il coordinamento fra le attività dei vari comitati e le attività delCAE e del CAM è previsto che i comitati ristretti del CAE e del CAMsi incontrino tre volte all’anno con rappresentanti dei sei comitati.

Le attività del Comitato del gruppo Audi sono fortemente orien-tate ai vari accordi globali firmati dal CAE e dal CAM del GruppoVolkswagen. In particolar modo, si fa riferimento alla Carta sui rap-porti di lavoro, alla Dichiarazione sui diritti sociali e le relazioni in-dustriali nel Gruppo Volkswagen, alla Dichiarazione sulla sostenibi-lità nei rapporti con i fornitori, la carta sul lavoro a termine e lacarta su salute e sicurezza.

4. Ruolo e funzionamento del CAE per la Volkswagen Group Italia

La Volkswagen Group Italia di Verona è rappresentata con undelegato nel Comitato per le attività finanziarie e di distribuzionecosì come nel Comitato del Gruppo Audi. Dal 1998 al 2002 il rap-presentante della VGI di Verona veniva espressa dalla FILCAMSCGIL. Attualmente il rappresentante della VGI nel Comitato per leattività finanziarie e di distribuzione e nel Comitato del Gruppo Au-di è un delegato iscritto alla FISASCAT-CISL.

La VGI è, quindi, presente in due Comitati ma non è invece pre-sente né nel CAE, né nel CAM. Nelle ultime due strutture di rappre-sentanza a livello transnazionale è rappresentata la Lamborghini.Per ottenere informazioni sull’andamento e sui risultati delle riunio-ni del CAE e del CAM possono tornare utili le riunioni del Coordi-namento Nazionale del Gruppo Volkswagen. A questo livello le in-formazioni circolano infatti senza grossi problemi, sia fra le diversesigle sindacali, sia fra le due categorie.

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Il CAE e il CAM così come i due Comitati vengono percepiti sicu-ramente come delle strutture utili per ottenere delle informazioni.C’è inoltre da constatare che i flussi di comunicazione fra il membrodel CAE e i delegati delle RSU di Volkswagen Group Italia sonobuoni. Ci sono invece delle lacune per quanto riguarda l’informa-zione delle organizzazioni sindacali territoriali. Comunque, nono-stante la riconosciuta utilità del CAE, del CAM e dei vari comitati pa-re che queste strutture di rappresentanza a livello transnazionale ab-biano sempre un valore molto relativo per le relazioni industriali alivello aziendale.

Questa valutazione è probabilmente anche dovuta al fatto che leRSU di Volkswagen Group Italia siano riuscite a stabilire un rap-porto diretto con il consiglio di fabbrica generale presso la sede digruppo attraverso un delegato di origine italiana. Attraverso questocanale riescono a ottenere informazioni, consigli e soluzioni in modoveloce e informale. Questo approccio si è rivelato per le RSU più ef-ficace della partecipazione agli incontri a livello transnazionale.

Ma come già menzionato esistono anche strutture di comunicazio-ne più formalizzate.

Il crescente numero di acquisizioni del Gruppo Volkswagen in Ita-lia, il sempre maggiore coinvolgimento dei delegati italiani nelle va-rie strutture di rappresentanza del Gruppo Volkswagen a livellotransnazionale e la progressiva produzione di accordi globali da re-cepire nel contesto delle relazioni industriali nazionali hanno por-tato le RSU delle varie aziende del Gruppo Volkswagen in Italia a la-vorare per la costituzione di un coordinamento di gruppo. Così nelsettembre del 2009 è stato costituito a Verona il Coordinamento Na-zionale del Gruppo Volkswagen (CNGVW).

Alla sua costituzione il CNGVW includeva i delegati sindacali delleseguenti aziende italiane del Gruppo Volkswagen:

• Automobili Lamborghini S.p.A.;• Italscania S.p.A.;• Volkswagen Group Italia S.p.A., Verona;• Volkswagen Group Firenze S.p.A.;• Volkswagen Group Milano S.r.l.

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Dopo l’acquisizione di Italdesign Giugiaro nel maggio del 2010 edella Ducati nell’aprile del 2012 anche queste due aziende sono rap-presentate nel CNGVW.

Per quanto riguarda la struttura e l’operatività del CNGVW, nel-l’Accordo interaziendale Coordinamento Nazionale del Gruppo Volks-wagen (ACNGV) viene stabilito che i componenti del CNGVW ven-gono scelti all’interno delle RSU o RSA facenti parte del coordina-mento. La presenza delle RSU/RSA all’interno del CNGVW si basasulla rappresentatività di ogni singola azienda. L’Accordo interazien-dale stabilisce anche che il CNGVW è intenzionato a collaborare e aconfrontarsi con le strutture sindacali territoriali e/o regionali e lesegreterie nazionali sugli obiettivi del Coordinamento stesso.

Gli obiettivi del CNGVW sono, da un lato, l’analisi e la socializza-zione dei temi delle diverse unità produttive e, dall’altro lato, loscambio di informazioni sulle ipotesi di piattaforma per la contratta-zione con ogni singola unità produttiva.

Il CNGVW è composto di norma da due delegati come rappre-sentanza per ogni unità produttiva con più di 30 dipendenti e undelegato per le unità produttive che hanno fino a 30 dipendenti.Sulla base di questo criterio il CNGVW nel 2013 era composto da 13componenti:

• Automobili Lamborghini (2);• Italscania (2);• Italdesign Giugiaro (2);• Ducati (2);• Volkswagen Group Italia, Verona (2);• Volkswagen Group Firenze (2);• Volkswagen Group Milano (1).

Nel caso di Volkswagen Group Italia, Verona, i due componentivengono espressi dalla FILCAMS CGIL e dalla FISASCAT-CISL.

L’ACNGV prevede anche l’elezione di un presidente che ha ilcompito di organizzare le attività del CNGVW (ad es.: le convocazio-ni, le comunicazioni, la logistica, ecc.). Il vicepresidente ha il com-pito di collaborare con il presidente nell’organizzazione delle attività

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del CNGVW, di sostituire il presidente in caso di assenza e di verba-lizzare gli incontri del CNGVW. La durata degli incarichi di presi-dente e vicepresidente è di tre anni. Le decisioni del CNGVW sonodeterminate dal voto a maggioranza.

Il CNGVW è l’interlocutore riconosciuto per il Gruppo Volkswa-gen in Italia. Le attività del Coordinamento sono considerate a tuttigli effetti ore lavorative.

Per quanto riguarda la periodicità degli incontri sono previsti treincontri annuali salvo convocazioni straordinarie motivate da pro-blematiche comuni alle unità produttive.

È da sottolineare che nel caso del CNGVW si tratta di un coordi-namento multisettoriale e unitario. Finora la cooperazione fra sinda-cati di diverse categorie e diverse sigle viene valutato positivamente.Le tensioni fra le confederazioni e i sindacati di categoria a livellonazionale non hanno mai avuto un impatto negativo sul funziona-mento del CNGVW.

Anche dal punto di vista dei risultati prodotti il CNGVW viene con-siderato una sede utile. Il coordinamento ha per esempio favorito unprocesso di armonizzazione fra le diverse aziende del Gruppo Volks-wagen in Italia per quanto riguarda l’erogazione di alcuni benefit.

L’esperienza del CNGVW viene valutata in modo molto positivonon solo dagli attori italiani ma anche dal sindacato metalmeccanicotedesco. Secondo l’IG Metall il CNGVW rappresenta per quanto ri-guarda il Gruppo Volkswagen la più avanzata esperienza di coordi-namento nazionale fuori dalla Germania.

5. Gli accordi transnazionali di gruppo (TCA)

Per quanto riguarda i contenuti delle attività del CAE e del CAM ilvero salto di qualità è avvenuto a partire dal 2011 quando le RSU diVolkswagen Group Italia si sono impegnate ad implementare laCarta sui rapporti di lavoro. Questo accordo globale, firmato sia dalCAE sia dal CAM, veniva considerato un’occasione per spingere dipiù nella direzione di relazioni industriali aziendali ancora più par-tecipative.

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I TCA sono stati promossi dal CAM, ma nella fase di implementa-zione, applicazione e monitoraggio anche il Comitato aziendale eu-ropeo (CAE) assume un ruolo importante. Grazie alla sua cresciutaimportanza, l’Italia oggi è rappresentata sia nel CAM, sia nel CAE.Visto che Volkswagen Group Italy, Lamborghini, Ducati e Italdesignfanno parte di Audi, una delle controllate del gruppo Volkswagen,rappresentanti di queste quattro imprese italiane sono coinvolti an-che nel Comitato europeo dell’Audi che poi supporta e si coordinacon il CAE della Volkswagen.

Per quanto riguarda i TCA dal 2002 ad oggi ne sono stati firmatisei. Nel 2002 il management centrale, il Comitato aziendale mondialedel Gruppo e la Federazione Internazionale dei Sindacati Metalmec-canici (FISM) hanno firmato una Dichiarazione sui Diritti Sociali e leRelazioni Industriali in Volkswagen (Carta Sociale). Questa Dichiarazio-ne fa riferimento alle Convenzioni dell’Organizzazione Internazio-nale del Lavoro. L’ambito di autorità di questo accordo è costituitoda tutti i paesi e le regioni rappresentate nel Comitato aziendalemondiale del Gruppo Volkswagen. I diritti sociali fondamentali e iprincìpi descritti in questa dichiarazione rappresentano la base dellapolitica aziendale di Volkswagen. Una versione rivista della Carta So-ciale è stata siglata l’11 maggio 2012: per quanto riguarda le retribu-zioni in questa versione si specifica che in assenza di un regolamentolegislativo o di categoria vengono prese come riferimento le normali«retribuzioni di settore in uso nella regione, che assicurino un ade-guato livello di vita ai dipendenti e alle loro famiglie». In più nel2004 è stato siglato un accordo sulla Politica di Salute e Sicurezza, se-guito nel 2005 da una Dichiarazione d’intenti relativa alla cooperazione eagli scambi d’informazioni con i rappresentanti dei lavoratori di VolkswagenCina.

Nel 2006 fu siglato un accordo sui Requisiti per uno sviluppo sosteni-bile in rapporto alle relazioni con i partner in affari: in questo caso l’am-bito di riferimento è rappresentato da tutti i fornitori di primo li-vello del Gruppo Volkswagen. L’accordo prevede che i fornitori ab-biano l’obbligo di garantire misure adeguate di protezione ambien-tale e degli standard per quanto riguarda i diritti dei lavoratori. Ilcontenuto di questi requisiti per i fornitori, relativi a uno sviluppo

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sostenibile, è basato sulle linee guida interne al gruppo, sulle politi-che ambientali e sui conseguenti obiettivi ambientali, sulla politica inmateria di salute e sicurezza e sulla dichiarazione sui diritti sociali ele relazioni industriali.

Poi nel 2009 è stata siglata la Carta Globale dei Rapporti di Lavoro,finalizzata allo sviluppo delle relazioni industriali a livello aziendale.Infine, nel 2012 è stato firmato un altro accordo transnazionale sultema di somministrazione di lavoro, la Carta sul lavoro a tempo deter-minato nel Gruppo Volkswagen.

È importante notare che in generale tutte le negoziazioni avven-gono a livello globale e pertanto gli accordi sono siglati dalla Fede-razione Internazionale dei Sindacati Metalmeccanici e dal 2012 daIndustriALL Global Union. Gli organi di rappresentanza dei lavo-ratori che siglano gli accordi sono il CAM e il CAE.

Visto che il processo di negoziazione a livello transnazionale fra il2002 e il 2012 ha prodotto sei testi possiamo concludere che nel Grup-po Volkswagen le negoziazioni transnazionali siano diventate un’atti-vità consolidata. È inoltre necessario sottolineare come il contenutodegli accordi, nel corso degli ultimi dieci anni, sia diventato semprepiù specifico. Partendo da una dichiarazione sui diritti sociali fon-damentali, gli accordi successivi hanno trattato questioni più parti-colari quali la salute e sicurezza dei lavoratori, i rapporti con i part-ner commerciali, la partecipazione e infine la somministrazione dilavoro. Sono infatti questi gli accordi che nel contesto italiano hannotrovato maggiore applicazione. In seguito approfondiremo l’analisidell’impatto della Carta dei rapporti di lavoro e l’accordo globalesull’utilizzo del lavoro a termine.

5.1. La Carta globale dei rapporti di lavoro

La Carta globale dei rapporti di lavoro, siglata il 29 ottobre 2009 nelGruppo Volkswagen, rappresenta oggi un pilastro importante per lerelazioni industriali in varie affiliate del gruppo Volkswagen in Italia,poiché vi si stabiliscono dei diritti di partecipazione di vasta portataper i rappresentanti dei dipendenti. La Carta stabilisce le linee guidadella partecipazione degli organi di rappresentanza dei lavoratori in

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tutti i singoli stabilimenti dell’intero gruppo. Concordata tra gli or-ganismi di rappresentanza dei dipendenti a livello europeo e globa-le, il management centrale e la Federazione Internazionale dei Sinda-cati Metalmeccanici la Carta è stata siglata nel corso del meeting delComitato globale del gruppo.

I diritti di partecipazione sono articolati su tre livelli: il diritto a ri-cevere informazioni, i diritti di consultazione e i diritti di codetermi-nazione, definiti come segue.

Secondo la Carta il diritto all’informazione significa che i rappre-sentanti locali dei lavoratori hanno diritto a ricevere informazioniesaurienti e tempestive in maniera da essere in grado di assimilare ifatti di una data circostanza e formarsi un’opinione in merito. «Tem-pestivamente» significa che le informazioni devono essere fornite al-l’inizio di un qualsiasi processo di pianificazione, mentre «esauriente»significa che tutti gli aspetti e i dati rilevanti debbono essere trasmessiin forma comprensibile. Le informazioni, inoltre, debbono esserestate fornite preventivamente, vale a dire prima che una qualsiasi mi-sura sia applicata.

Il diritto alla consultazione si riferisce alla necessità di un dialogoattivo tra i rappresentanti locali dei lavoratori e il management. Loscopo della consultazione è di fornire ai rappresentanti dei lavorato-ri la possibilità di prendere iniziative o di contestare una data que-stione, argomento o circostanza e, se del caso, discutere su comeprevenirne gli effetti negativi. La consultazione deve avvenire primache una qualsiasi misura sia applicata.

Il diritto alla codeterminazione significa che i rappresentanti localidei lavoratori possono approvare, controllare e prendere delle ini-ziative nell’ambito di qualsiasi attività decisionale o responsabilitàcondivisa. L’approvazione deve essere richiesta prima che una qual-siasi misura sia applicata.

Al fine di garantire dei reali processi di partecipazione, l’azienda ètenuta a fornire informazioni regolari e tempestive ai rappresentantidei lavoratori relativamente a situazione economica, pianificazionedelle strategie, singolo prodotto, programmazione a medio termine,prodotti e investimenti.

L’accordo prevede inoltre delle assemblee annuali nelle varie sedi,

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dove il management e i rappresentati dei lavoratori discutono dello svi-luppo dello stabilimento in questione rispetto al periodo di program-mazione e con particolare riferimento alle prospettive occupazionali.

La Carta Globale dei Rapporti di Lavoro stabilisce i diritti di parteci-pazione degli organismi di rappresentanza dei lavoratori nelle se-guenti aree:

• risorse umane e questioni sociali;• organizzazione del lavoro;• sistemi salariali;• informazione e comunicazione;• formazione professionale e corsi di aggiornamento;• sicurezza e salute;• controlling;• sostenibilità sociale ed ecologica.

È necessario sottolineare che relativamente ai primi sei punti, inrelazione agli argomenti specifici, la Carta prevede altresì diritti dicodeterminazione. Solamente ai punti sette e otto la partecipazioneè limitata a diritti di informazione e consultazione.

Per garantire dei processi di partecipazione basati su delle com-petenze, la Carta prevede anche il diritto dei consigli di fabbrica diavvalersi di consulenze esterne. Inoltre garantisce agli organi di rap-presentanza dei lavoratori il diritto a tenere delle assemblee con i la-voratori fino a un massimo di quattro volte l’anno. In almeno uno diquesti incontri il management è tenuto a informare i lavoratori relati-vamente alla situazione economica, allo sviluppo del sito in questio-ne e agli sviluppi sui temi delle risorse umane e delle questioni so-ciali.

Tutte le spese relative all’attuazione e all’applicazione della Cartadebbono essere sostenute dall’azienda, inclusi i costi del materiale edelle attrezzature necessarie alle strutture di rappresentanza, com-presi i costi di formazione e i servizi di consulenza esterna ai delegati.

Sebbene non ci sia l’intenzione di esportare il modello tedesco dicodeterminazione, pare che ci sia almeno l’intenzione di promulgar-ne lo spirito. La Carta fornisce una struttura vincolante entro la

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quale sviluppare ulteriormente le relazioni industriali esistenti inuno spirito di gestione collaborativa del conflitto, partendo dal pre-supposto che i rappresentanti del management e quelli dei lavoratorisi impegnano da un lato ad accettare responsabilità condivise e dal-l’altro a esercitare una partecipazione basata sulla fiducia.

In quest’ottica si riconoscono e si prendono in considerazione i le-gittimi interessi di entrambe le parti per stabilire forme di collabora-zione fattibili. Questo criterio implica inoltre che entrambe le parti incausa debbano avere un approccio costruttivo con l’obiettivo di per-seguire da un lato il successo economico e dall’altro la sicurezza occu-pazionale e il welfare dei lavoratori. In questo contesto la Carta sotto-linea l’importanza del ruolo di una politica di consenso sociale e dellanecessità di risolvere i problemi attraverso processi di negoziazione.

5.2. L’implementazione della Carta Globale dei Rapporti di Lavoro

Nelle varie sedi del gruppo la Carta è applicata sulla base di ac-cordi specifici raggiunti tra il management e i rappresentanti dei lavo-ratori dello stabilimento in questione. In questo contesto è impor-tante sottolineare che le parti in causa riconoscono le tradizioni sin-dacali specifiche dei rispettivi paesi all’interno del gruppo. Vale a di-re che non c’è l’intenzione di limitarsi a esportare tout court il mo-dello tedesco di codeterminazione.

La procedura di negoziazione di tali accordi contempla cinque pun-ti fondamentali. Il primo passo prevede che i rappresentanti dei la-voratori e il management di quello specifico stabilimento debbanoformulare una valutazione dello stato attuale di cooperazione, com-presi i diritti e i doveri esistenti per entrambe le parti. Sulla basedella valutazione i rappresentanti dei lavoratori debbono identificarei diritti di partecipazione che desiderano siano inclusi nelle negozia-zioni relative all’accordo di partecipazione per quello stabilimento spe-cifico.

I lavoratori in forza ai vari stabilimenti debbono essere informatisui contenuti della Carta e dell’accordo di partecipazione concordatilocalmente. Per informare le maestranze le strutture di rappresen-tanza degli interessi dei lavoratori hanno la possibilità di tenere e

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presiedere delle riunioni di informazione alle quali partecipa ancheil management.

Al fine di monitorare il processo di implementazione si prevede lacostituzione di un gruppo di controllo che comprende il presidente eil segretario generale del Comitato aziendale europeo e del Comi-tato aziendale mondiale, il direttore del lavoro (ovvero il responsa-bile del personale e degli affari sociali nel Consiglio di amministra-zione del gruppo) e il direttore delle risorse umane a livello interna-zionale. Il compito principale del gruppo di controllo è di assicurareun sistema di resoconti regolari sui progressi nei siti e nei vari paesi.Inoltre, il gruppo di controllo sostiene il processo di implementazio-ne mediante l’organizzazione di misure di formazione e l’installazio-ne di una piattaforma elettronica sulla quale vengono postati gli ac-cordi siglati e i regolamenti di ciascuna sede.

Nel 2010 in alcune sedi si è iniziato ad elaborare dichiarazionid’intenti e bozze di accordi di implementazione tra il management e irappresentanti dei lavoratori. In questi casi i soggetti della contratta-zione collettiva locale concordarono un’implementazione gradualedelle bozze in questione, garantendo in questo modo che i diritti allapartecipazione stabiliti nella Carta potessero entrare in vigore.

In Italia, Volkswagen Group Italia, Lamborghini e Italdesign han-no iniziato a mettere in atto la Carta Globale dei Rapporti di Lavoro,con il risultato che nel maggio del 2010, in un incontro tra il Comi-tato aziendale europeo e i manager delle risorse umane per l’Europadel Gruppo Volkswagen, entrambe le parti hanno giudicato positi-vamente il progresso di implementazione della Carta. Nel caso dellaDucati che è stata acquisita dalla Volkswagen solo nel 2012, il pro-cesso di implementazione della Carta ha avuto inizio nell’ambitodella contrattazione aziendale del 2014.

In Italia il processo di implementazione della Carta ha riguardatoin una prima fase Volkswagen Group Italia, l’organizzazione di ven-dita con sede a Verona, e l’azienda produttrice di automobili Lam-borghini a Bologna. Vale a dire che si sono coinvolte sia le organiz-zazioni sindacali dei metalmeccanici che quelle del commercio.

Nel caso della Volkswagen Group Italia il processo è iniziato conuna disamina approfondita della Carta nella quale sono state inte-

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ressate sia la Rappresentanza sindacale unitaria (RSU), sia le orga-nizzazioni sindacali esterne. L’obiettivo era comunque di sviluppareulteriormente le relazioni industriali introducendo i principi dellaCarta.

Per preparare e facilitare i processi negoziali si è deciso di orga-nizzare corsi di formazione per tutti i rappresentanti dei lavoratoridel Gruppo Volkswagen in Italia. Durante la formazione, che ha avutoluogo all’inizio del 2011, i rappresentanti tedeschi del Comitatoaziendale mondiale hanno illustrato nel dettaglio ai sindacalisti edelegati italiani i contenuti e lo spirito della Carta.

Nel caso di Volkswagen Group Italia il contratto collettivo azien-dale per il periodo 2011-2013 ha contribuito all’implementazionedella Carta Globale dei Rapporti di Lavoro e a estendere i diritti dipartecipazione.

Nel febbraio del 2012 Volkwagen Group Italia aveva firmato ilContratto Integrativo di Partecipazione Aziendale (CIPA) con le or-ganizzazioni sindacali. Secondo gli attori coinvolti nella negoziazioneil contratto integrativo ha dato il via a una nuova era per le relazionidi lavoro all’interno di Volkswagen Group Italia. Quanto sottoscrittosi basa infatti sulla Charta dei rapporti di lavoro, in linea con quantodefinito tra il Gruppo Volkswagen e il CAM e il CAE.

Secondo il management:

La declinazione italiana della Charta introduce i diritti di partecipa-zione delle rappresentanze dei lavoratori: diritto di informazione, diconsultazione e di cogestione. Partecipazione significa coinvolgimentoattivo dei collaboratori nel processo di sviluppo dell’Azienda e il nuovodocumento regola le questioni normative e la condivisione delle sceltestrategiche con le rappresentanze sindacali.

Il modello, ispirato alla codeterminazione, prevede che il lavoro diazienda e rappresentanze sindacali, fianco a fianco, sia principal-mente svolto da cinque commissioni paritetiche, quindi con ugualenumero di membri per ciascuna delle due parti.

La componente più innovativa è certamente rappresentata dal La-boratorio per le Relazioni di Lavoro, che ha il compito di formulare o

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valutare proposte innovative e condurre sperimentazioni in tema dirapporti di lavoro.

La Commissione Organizzazione Aziendale garantisce il diritto di par-tecipazione relativamente alle attività riferite a sistemi di retribuzio-ne, organizzazione aziendale, informazione e comunicazione, sicu-rezza sul lavoro e tutela della salute, analisi e controllo dei processiaziendali, nonché sostenibilità sociale ed ecologica.

Ancora più importante è l’attività della Commissione Tecnica Produt-tività che valuta le performance del personale del Centro di distribu-zione ricambi ai fini dell’assegnazione del premio individuale di pro-duttività. Questa gestione personalizzata dell’importo del bonus (cheprima prevedeva una cifra uguale per tutti i collaboratori), è unadelle novità introdotte dal contratto integrativo che, inoltre, ha con-fermato i due premi di produttività annuali, collettivo e individuale,per il Personale degli uffici.

La Commissione Conciliazione Lavoro e Famiglia è dedicata ai temidella differenza di genere e delle pari opportunità tra uomini e don-ne. Esisteva già da diversi anni una Commissione Pari Opportunità,ora la focale si allarga alle nuove forme di flessibilità dell’orario dilavoro (la banca tempo in VGI è già in vigore da dieci anni) e di parttime, ai programmi di supporto ai genitori, al telelavoro e, in gene-rale, alla pianificazione di interventi a favore del corretto equilibriotra vita privata e vita professionale dei collaboratori. A tal proposito,va sottolineato l’aumento del fondo istituito nel 2006 a supporto delcosto che i collaboratori sostengono per l’asilo nido (attualmente so-no 23 le strutture convenzionate con l’Azienda).

La Commissione per il Lavoro in Somministrazione, infine, annoveratra i compiti principali l’equiparazione assoluta dei lavoratori interi-nali con i dipendenti dell’azienda. Viene attivato un monitoraggioper individuare i settori in cui si fa maggiore ricorso al lavoro insomministrazione, occupandosi anche di definire percorsi di stabiliz-zazione e valutare la congruenza tra inquadramenti e mansioni ef-fettivamente svolte.

Il CIPA prevede inoltre un programma di corsi di formazione spe-cifico sulle relazioni industriali e sindacali, avvalendosi anche dell’of-ferta formativa delle organizzazioni sindacali stesse. In relazione alla

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Carta sui rapporti di lavoro sono poi stati organizzati due corsi nellaprima metà del 2014. Mentre il primo seminario era indirizzato alleRSU di Volkswagen Group Italia il secondo ha visto la partecipazioneanche del management. Per i due corsi di formazione i relatori eranorappresentanti del consiglio di fabbrica generale della Volkswagen.Le RSU hanno valutato i risultati dei due corsi molto positivamente.Il secondo seminario è stato particolarmente importante perché hacontribuito ad una maggiore sensibilizzazione del management perquanto riguarda l’implementazione dei diritti di partecipazione a li-vello aziendale.

6. Partecipazione e formazione

Dal punto di vista dei delegati e dei sindacalisti la Carta ha contri-buito in tutti i casi in cui è già stata implementata a rafforzare la po-sizione dei rappresentanti dei lavoratori a livello locale. In questocontesto è stato anche sottolineato come questo rafforzamento fossemotivato anche dal notevole sostegno che le RSU e i sindacati italia-ni avevano ricevuto dai rappresentanti dei lavoratori della sede cen-trale in Germania.

È diventato anche chiaro che quando si arriva a un crescente coin-volgimento dei lavoratori nei processi di cambiamento a livello azien-dale si crea una maggiore necessità di capacità di sviluppare com-petenze trasversali, quali pensiero critico, risoluzione dei problemi,creatività, capacità di lavorare in team, competenze interculturali elinguistiche oltre che capacità di innovazione. Tuttavia, l’estensionedei diritti di partecipazione richiede non solo un livello maggiore dicompetenze, ma anche che si instauri tra tutte le parti in causa unnuovo rapporto basato sulla fiducia reciproca.

Il caso Volkswagen conferma, quindi, che oggi la competitività eu-ropea dipende da una forza lavoro altamente qualificata e forme in-novative di partecipazione dei lavoratori. Rapporti di ricerche pub-blicate, ad esempio, dalla Fondazione Europea per il Miglioramentodelle Condizioni di Vita e di Lavoro sottolineano come in futuro sa-ranno richiesti sempre maggiori competenze e un aggiornamento

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continuo da parte dei lavoratori. Una forza lavoro altamente qualifi-cata sarà sempre di più di fondamentale importanza per il successodi processi di cambiamento. Riconoscere l’importanza strategica dellecompetenze dei lavoratori implica altresì, tra l’altro, la necessità diinvestire sulla forza lavoro per tutta la durata della vita lavorativa e ilcoinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti nella gestio-ne dei cambiamenti. Pertanto è necessario che i lavoratori siano coin-volti a livello aziendale attraverso forme avanzate di partecipazione,un altro aspetto che caratterizza una strategia basata sulla qualità dellavoro.

7. Conclusioni

Il caso Volkswagen Group Italia rappresenta il caso di un’aziendadi distribuzione all’interno di un grande gruppo automobilistico conchiara predominanza – anche in Italia – di siti produttivi organizzatidai sindacati del settore metalmeccanico. Questo aspetto della multi-settorialità non ha prodotto effetti negativi per quanto riguarda lapresenza nelle strutture di rappresentanza a livello transnazionale.In più, anche i processi di comunicazione fra i delegati metalmecca-nici e quei del commercio possono essere considerati soddisfacentigrazie alle strutture di coordinamento.

Anche se il delegato fa parte di due comitati a livello transnazio-nale rimane comunque il fatto che Volkswagen Group Italia non èrappresentata né nel CAE, né nel CAM. Comunque, anche questamancanza non viene considerata un grave problema visto che sonoprevisti momenti di coordinamento fra i rispettivi Comitati e CAE eCAM. Inoltre vale anche in questo caso che la struttura nazionale dicoordinamento può contribuire a ridurre il gap di informazione.

Si può quindi concludere che dal punto di vista delle strutture dipartecipazione e comunicazione il modello del CAE/CAM Volkswagene le strutture di coordinamento nel contesto italiano rappresentanouna buona pratica.

C’è, comunque, un altro motivo ancora perché non venga conside-rato un grave problema che Volkswagen Group Italia non è presente

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né nel CAE, né nel CAM. Il motivo consiste nel fatto che le RSU diVolkswagen Group Italia si sono create un canale alternativo di co-municazione con il consiglio di fabbrica generale presso la sede delGruppo. Il rapporto stretto e informale con il delegato in Germaniadi origine italiana si è dimostrato una strategia molto efficace perpoter ricevere risposte ed informazioni in tempi molto brevi. Pertutti questi motivi la partecipazione alle riunioni dei rispettivi Co-mitati ha un’importanza relativa.

Per quanto riguarda le attività del CAE/CAM soprattutto gli accor-di globali che poi possono essere recepiti a livello locale sono consi-derati un vero valore aggiunto. Dopo la firma della Carta Globale deiRapporti di Lavoro sono stati siglati diversi accordi a livello aziendaleal fine di implementare la Carta a livello decentrato. Questi accordihanno contribuito a sviluppare e a estendere diritti e pratiche di co-determinazione a livello delle realtà locali.

Dal 2011 l’implementazione della Carta nelle affiliate italiane haimplicato un miglioramento dei diritti di partecipazione. Il lavorodei rappresentanti dei lavoratori oggi è coordinato e sviluppato an-che all’interno delle commissioni bilaterali, assicurando così che i di-ritti di partecipazione stabiliti nella Carta siano resi più efficaci.

Il caso Volkswagen Group Italia dimostra che la Carta ha il poten-ziale per migliorare gli standard delle relazioni industriali. Il fattoche il management, i rappresentanti dei lavoratori e i sindacati nego-zino sul futuro delle relazioni industriali in questi tempi di crisi eco-nomica dimostra l’importanza che entrambe le parti attribuiscono aqueste questioni.

La Carta può essere considerata un’espressione della particolarecultura di codeterminazione in Volkswagen, cultura che, a giudiziodelle parti in causa, ha contribuito al successo del Gruppo Volkswa-gen. Sebbene la Carta sia caratterizzata da un forte imprinting delmodello tedesco di codeterminazione, non si è mai cercato di esporta-re tout court il modello tedesco. I processi di implementazione sonosempre stati caratterizzati dal rispetto delle relazioni industriali na-zionali.

I casi di implementazione della Carta hanno altresì dimostrato l’im-portanza della forza del consiglio di fabbrica della sede centrale a

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Wolfsburg nel sostenere i rappresentanti dei lavoratori fuori dallaGermania.

Un altro fattore di grande rilevanza è stata la formazione. Vistoche i rapporti bilaterali fra le RSU di Volkswagen Group Italia e ilconsiglio di fabbrica generale della Volkswagen vengono consideratipiù importanti delle attività svolte a livello dei due comitati a livellotransnazionale si dà un’importanza relativa al ruolo della formazionenell’ambito dei comitati europei, ovvero del comitato per le attivitàfinanziarie e di distribuzione e del comitato del gruppo Audi. Ven-gono invece considerate più importanti le misure di formazione mi-rate a sostenere l’implementazione degli accordi transnazionali. Larealizzazione di corsi di formazione viene facilitata dal fatto che tuttele spese relative all’attuazione e all’applicazione della Carta debbonoessere sostenute dall’azienda, inclusi i costi del materiale e delle at-trezzature necessarie alle strutture di rappresentanza.

Questo diritto fu utilizzato per la prima volta all’inizio del 2011.Per preparare e facilitare i processi negoziali si decise di organizzarecorsi di formazione per tutti i rappresentanti dei lavoratori delGruppo Volkswagen in Italia. In quell’occasione furono illustrati piùin dettaglio ai sindacalisti e delegati italiani i contenuti e lo spiritodella Carta.

L’importanza della formazione viene poi messa in evidenza anchedal CIPA, che prevede infatti un programma specifico di corsi di for-mazione sulle relazioni industriali e sindacali. In relazione alla Cartasui rapporti di lavoro questo diritto è stato utilizzato per organizzaredue corsi di formazione nella prima metà del 2014. Per i due corsi irelatori erano rappresentanti del consiglio di fabbrica generale dellaVolkswagen che facevano anche parte del gruppo di controllo che èprevisto dalla Carta. Il compito del gruppo di controllo è infatti an-che di sostenere il processo di implementazione mediante l’organiz-zazione di misure di formazione.

Nel caso di Volkswagen Group Italia queste misure di formazionelegate alla Carta sui rapporti di lavoro si sono dimostrate uno stru-mento importante a sostegno del processo della sua implementazio-ne. Mentre il primo seminario era indirizzato alle RSU di Volkswa-gen Group Italia il secondo ha visto la partecipazione anche del ma-

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nagement. Le RSU hanno valutato i risultati dei due corsi molto posi-tivamente perché i seminari hanno contribuito ad una maggiore sen-sibilizzazione del management per quanto riguarda l’implementazionedei diritti di partecipazione a livello aziendale.

Nell’ambito della contrattazione per il rinnovo del CIPE nel 2014le RSU chiedevano di nuovo il diritto alla formazione sindacale inmateria di relazioni industriali e sindacali. Visto che è previsto unulteriore approfondimento delle esperienze di informazione, con-sultazione e partecipazione nell’ambito delle commissioni pariteti-che, la formazione dovrebbe essere ancora legata all’implementa-zione della Carta sui rapporti di lavoro. L’obiettivo consisterà, quin-di, nel garantire le necessarie competenze per poter esercitare inmodo effettivo i diritti previsti dal CIPE. Ciò significa che la forma-zione sarà soprattutto a sostegno di un nuovo modello di relazioniindustriali a livello aziendale.

Concludendo, si può sostenere che le condizioni relativamente fa-vorevoli per promuovere nuove esperienze di partecipazione sonolegate fortemente alla realtà della Volkswagen che probabilmenteanche a livello internazionale rappresenta una delle esperienze piùavanzate in materia di codeterminazione.

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1. Il gruppo

Il Gruppo Jungheinrich è uno dei tre maggiori fornitori a livellomondiale di carrelli elevatori, logistica di magazzino e tecnica delflusso di materiali. A fine luglio 2013 il mercato mondiale dei mezzidi movimentazione interna è cresciuto del 5%, spinto principalmentedalla crescita della Cina (+10%) e dal mercato nordamericano (+11%),raggiungendo un volume di oltre 590 mila mezzi mentre in Europala domanda è rimasta leggermente al di sotto di quanto registratol’anno precedente (-1%). A sua volta però, la domanda europea portaal suo interno delle distinzioni: al crescere del 6% del mercato nel-l’Europa orientale corrisponde un calo del 2% nell’Europa occiden-tale. In termini di prodotto, i dati mostrano come a luglio 2013 adaumentare siano complessivamente i carrelli da magazzino (+6%)mentre rimane stabile la domanda di carrelli elettrici a contrappeso,registrando perfino contrazioni negative nel mercato europeo.

Nel ranking europeo, il Gruppo Jungheinrich è in seconda posi-zione mostrando una solida capacità competitiva sia sul mercato eu-ropeo che sul mercato internazionale. Con circa 2.300 milioni di eu-ro di vendite nel 2012 il gruppo è superato solo dal gruppo Toyota(con 5.650 milioni di euro, leader mondiale) e da Kion (4.700 milio-ni di euro). I dati a luglio 2013 sembrano confermare il fatturato del-l’anno precedente, con performance più positive dei settori noleggio e

* IRES Emilia-Romagna.

Il CAE di Jungheinrichdi Davide Dazzi*

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DAVIDE DAZZI

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usato (+7%) e servizio assistenza (+4%) rispetto al settore «Nuovo»,ovvero prodotti di nuova fabbricazione.

Il portafoglio ordini rispetto al mercato del «Nuovo» a fine luglio2013 ammonta a 406 milioni di euro, con un incremento del 36% ri-spetto al dato registrato nel 2012. Relativamente allo stesso riferi-mento temporale, il volume di produzione conta 40,5 mila mezzi,inferiore del 9% al 2012. La lettura congiunta dei livelli produttivi edegli ordinativi lascia presumere che le accelerazioni di domandanel secondo semestre del 2013 mitigheranno i rallentamenti pro-duttivi rilevati nella prima parte dell’anno.

Dal 1953, il gruppo, che ha sede ad Amburgo, offre prodotti esoluzioni complete e «su misura» nei settori della logistica, stoccag-gio e movimentazione merci. Il gruppo non fornisce solo flotte dicarrelli e sistemi di stoccaggio ma anche servizi di assistenza, pianifi-cazione, automazione, formazione e consulenza per l’efficientamentodei servizi di magazzino e di logistica. Il gruppo tedesco conta com-plessivamente 5 siti produttivi in Germania, 1 nel Nord America e 1in Cina e una fitta rete di punti di vendita e assistenza che garanti-scono una copertura commerciale in circa 100 paesi nel mondo.

A chiusura del 2013, il gruppo conta 11.840 addetti in tutto ilmondo mostrando una crescita costante almeno dal 1993. La crescitapiù importante si registra tra il 1993 ed il 1998, periodo nel quale laforza lavoro cresce di oltre il 40%, e tra il 2003 ed il 2008, periodonel quale, invece, l’incremento si attesta intorno al 16%. Nell’ultimoquinquennio il numero di occupati cresce di circa il 9%: a spiegare larecente crescita occupazionale concorrono in particolar modo le as-sunzioni delle società di vendita, soprattutto in Asia. Alla fine del2013, il gruppo conta 401 lavoratori interinali, mostrando una so-stanziale stabilità rispetto al 2012.

Nel 2013 la quota di lavoratori del gruppo assunti al di fuori deiconfini tedeschi arriva al 55%, in costante crescita negli ultimi 10anni. Anche una lettura in dinamica mostra come, anche nell’ultimoquinquennio, la quota di lavoratori all’estero mostri tassi di crescitapiù dinamici rispetto ai lavoratori assunti in Germania: se i lavorato-ri all’estero crescono di oltre l’11%, l’occupazione in Germania siferma al 7%.

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IL CAE DI JUNGHEINRICH

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Figura 1 – Occupazione a livello di gruppo e quota di occupazione all’estero

Fonte: Jungheinrich

Dal punto di vista strettamente sindacale l’articolazione del grup-po vede una rappresentanza sindacale metalmeccanica per la parteproduttiva e una rappresentanza sindacale dei servizi per la partecommerciale, progettuale e di assistenza post vendita.

In Italia, Jungheinrich si insedia nel 1958 attraverso la fondazio-ne di «Ameise Italiana» a Milano, città nella quale sarà poi apertanel 1964 la prima filiale, a cui seguirà subito dopo quella di Torinonel 1967. È solo con il cambio della ragione sociale del 1970 che l’a-zienda assume il nome di Jungheinrich Italiana S.r.l. ed apre unanuova filiale a Padova. Ad oggi la filiale Jungheinrich Italiana con-sta di 7 filiali dirette (alle prime filiali di Milano, Torino e Padova siaggiungono successivamente quelle di Firenze, Imola, Brescia eRoma) e 2 centri regionali (Bari e Palermo, facenti capo alla filialedi Roma).

Presente ormai da più di 50 anni in Italia, l’azienda si è trasfor-mata da impresa di costruzione macchine a gruppo che fornisce pre-stazioni di servizio, con un programma per una completa logistica di

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Occupazione Quota all’estero

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magazzino, dai mezzi di movimentazione interna ai sistemi di scaf-falatura, dai traslo-elevatori automatici ai sistemi di trasmissione datiwireless e software di warehouse management. La Divisione Sistemi Lo-gistici per la consulenza, progettazione e realizzazione di magazzini«chiavi in mano» si mostra, con oltre 400 specialisti, capillarmentedistribuita e organizzata.

In base a quanto confermato dalla interviste, in Italia il gruppo te-desco ha solo filiali commerciali e di assistenza ma non unità pro-duttive. Il gruppo in Italia conta 805 addetti al 2014, concentratiprincipalmente nel Centro-Nord Italia, ha una quota di mercato su-periore al 25% (2012) e un fatturato intorno ai 230 milioni di euro,in leggera contrazione negli ultimi 2 anni, a fronte della crisi. Nono-stante la flessione del fatturato, il numero di occupati continua a mo-strare una tendenza crescente: le interviste, infatti, sottolineano lavolontà aziendale di procedere verso nuove assunzioni per rafforzarel’organico esistente.

In linea con gli obiettivi del Codice Etico, in cui si definiscono ivalori e i principi di condotta a cui l’impresa si ispira e si ribadisce ilforte legame valoriale con la cultura aziendale della casa-madre te-desca, Jungheinrich Italiana S.r.l. ha adottato un percorso di certifi-cazione volto alla valorizzazione della qualità di prodotto, del servi-zio (ISO 9001), della salute e sicurezza sul lavoro (OHSAS 18001) edella tutela ambientale (ISO 14001).

2. Struttura di rappresentanza sindacalee clima di relazioni industriali

Le strutture di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro ve-dono sia la presenza di RSU che la presenza di RSA a seconda del-l’unità aziendale di riferimento. Solo la filiale di Brescia, al mo-mento dell’intervista, non conta nessun rappresentante sindacale.Le interviste mostrano come le strutture di rappresentanza sianostate tutte in capo alla CGIL fino alle ultime elezioni, durante lequali è entrato un delegato in forza CISL su pressione del manage-ment in occasione dell’ultimo accordo aziendale. A livello nazionale

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esiste un coordinamento sindacale della CGIL. Il tasso di sindacaliz-zazione si ferma intorno al 5%. I delegati sindacali interpellati nonrivestono nessun altro incarico sindacale a livello territoriale o dicategoria.

Le interviste restituiscono un clima sindacale caratterizzato da ten-sioni esercitate su un doppio canale relazionale. In prima battuta, sirileva come dentro la stessa struttura di rappresentanza sindacale visiano contrapposizioni tra centro e periferia e tra accentramento edecentramento dei rapporti di rappresentanza. La crescita del grup-po in Italia ha portato all’elezione di organismi di rappresentanza aldi fuori dei centri di più lunga storia aziendale (Milano e Torino),rompendo un sistema di relazioni industriali fortemente accentrato.Le nuove strutture di rappresentanza hanno incontrato la resistenzasia delle singole Direzioni di filiale che della stessa struttura di rap-presentanza della sede centrale, abituata a gestire, come evidenzianole interviste, le relazioni con l’azienda su base personalistica e a cen-tralizzare i processi decisionali. Le interviste, inoltre, mettono in lucecome alcuni delegati CGIL siano espressione più del punto di vistadell’azienda che dei lavoratori, imponendo un uso discriminatoriodel flusso informativo per impedire all’azienda posizioni di vantag-gio. La natura «aziendalista» della rappresentanza sindacale ha pro-dotto, negli anni, anche profonde lacerazioni tra la struttura di rap-presentanza aziendale e l’organizzazione sindacale territoriale (FIL-CAMS Milano e Lombardia) arrivando alla richiesta di ritiro dellatessera per alcuni delegati sindacali, da una parte, e all’aver favoritola presenza di «delegati senza tessera», dall’altra.

In seconda battuta, si evidenzia come l’impresa agisca nell’inten-dimento di esacerbare le distanze presenti all’interno della strutturadi rappresentanza spingendo per un indebolimento del ruolo dellarappresentanza CGIL. Nel momento del rinnovo dell’ultimo con-tratto integrativo è la stessa azienda a spingere per un irrigidimentodelle relazioni con la parte sindacale minacciando di firmare l’ac-cordo anche senza il consenso della parte maggiormente rappre-sentativa, ovvero la CGIL. Sotto la minaccia di una esclusione daltavolo, i delegati CGIL hanno siglato l’accordo chiedendo di passarecomunque dalla consultazione con i lavoratori: attraverso il referen-

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dum la maggioranza dei lavoratori ha accettato il contenuto del-l’accordo.

3. Il Comitato aziendale europeo

3.1. Genesi e composizione

Il Comitato aziendale europeo del gruppo Jungheinrich si è co-stituito nel 1999, in applicazione della legge tedesca (1996) di rece-pimento della direttiva europea costitutiva dei Comitati aziendali eu-ropei. L’accordo di costituzione è poi stato rinnovato nel 2005 inconformità con la legge tedesca.

I delegati del CAE Jungheinrich sono eletti e designati dai rappre-sentanti dei lavoratori al loro interno, oppure, in mancanza di questerappresentanze, da tutti i lavoratori, conformemente al diritto e alleconsuetudini dei singoli Stati membri.

Il numero dei delegati è strettamente legato al livello occupazio-nale del gruppo nei diversi stati ed è normato dalla legge tedesca suicomitati aziendali (art. 22 comma 3, legge EBRG):

• un delegato dove il numero dei lavoratori supera le 50 unità a li-vello nazionale;

• due delegati nel caso in cui il numero di lavoratori superi le 700unità su base nazionale.

In applicazione della legge tedesca, l’accordo di rinnovo del CAEJungheinrich prevede che ogni due anni vi sia un accertamento dellacoerenza della composizione del CAE ai criteri di rappresentanzaprevisti, a cui lo stesso CAE sarà chiamato a provvedere effettuandonuove nomine. Sempre in applicazione della legge tedesca, l’accordoprevede che le rappresentanze dei lavoratori o i lavoratori dei paesimembri non rappresentati direttamente nel CAE vengano inclusi inun processo d’informazione e consultazione.

In base alle nostre interviste, risulta che attualmente i membri delCAE siano 17 di cui 4 tedeschi, 2 italiani, 2 francesi, 2 per la Gran

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Bretagna, 1 per la Spagna, 1 per il Belgio, 1 per la Svizzera, 1 perl’Austria, 1 per la Norvegia e 1 per l’Irlanda. La composizione perPaese suggerisce come l’accordo preveda che l’ambito di applicazio-ne sia rivolto a tutti gli Stati dell’Unione Europea e dello SpazioEconomico Europeo (SEE). Al momento della costituzione l’Italiaaveva diritto ad un solo posto in quanto la base occupazionale nonsuperava le 700 unità (circa 450 nel 1999) ma con il processo diespansione del gruppo tedesco in territorio italiano i delegati nomi-nati sono al momento due: un delegato di Milano e una delegata diPadova, entrambi delegati sindacali in forza FILCAMS CGIL. A talproposito, le interviste sembrano evidenziare come una più ampiaconsapevolezza dell’esistenza del CAE si abbia solo con l’acquisizionedel diritto al secondo delegato.

Il presidente del CAE è francese sulla base, a quanto risulta dallainterviste, di un principio di anzianità interna al CAE: il precedentepresidente tedesco è stato sostituito da chi, la delegata francese perl’appunto, ai tempi del passaggio vantava la più alta anzianità dirappresentanza all’interno del CAE.

In merito alla composizione, le interviste sollevano due criticità. Inprimo luogo, l’approccio conflittuale mostrato dalla presidente delCAE che, a giudizio del delegato italiano CAE interpellato, cerca dispingere verso un ruolo negoziale un organismo deputato a diritti diinformazione e consultazione e di introdurre anche temi di caratterenazionale:

in Francia è valida e rispettata, è molto combattiva, ma il CAE nonha possibilità di fare una negoziazione, una rivendicazione, queste co-se le devi fare a casa tua... se vuoi trattare un certo tema del CAE, sevuoi avere un rapporto conflittuale [...] l’azienda non è tenuta a sen-tirti... il CAE ti serve per raccogliere informazioni e costruire un rap-porto migliore con la tua direzione nel tuo paese

In secondo luogo, i membri del CAE scontano la stessa contraddi-zione riscontrata nella struttura di rappresentanza nazionale: cosìcome in Italia, anche nel CAE alcuni delegati, come quello svizzero,sono espressione più dell’azienda che dei lavoratori.

L’accordo prevede la costituzione di un Comitato ristretto in cui

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oltre alla presidente partecipano un delegato tedesco, come vicepre-sidente, un delegato italiano, un inglese e un belga. Il Comitato ri-stretto incontra la Direzione Centrale al massimo 3 volte l’anno e incaso di circostanze eccezionali. Gli incontri durano circa 2 giorni dicui mezza giornata è dedicata alla visita di uno degli stabilimentiproduttivi tedeschi ed alla discussione sulle questioni specifiche diquello stabilimento con il management locale, sindacato locale e rap-presentanti dei lavoratori.

In base ai contenuti dell’accordo, il Comitato ristretto provvede inparticolare alla preparazione e alla valutazione delle riunioni, allacomunicazione e al mantenimento di una relazione con anche quellestrutture di rappresentanza non incluse nel CAE.

La presenza del delegato italiano all’interno del Comitato ristrettosostituisce quella del rappresentante norvegese, in virtù di una cre-scita occupazionale importante dell’azienda in Italia. È stato lo stessodelegato italiano a candidarsi come rappresentante nel Comitato ri-stretto, riconoscendo l’importanza strategica e sindacale di esercitareuna pressione sulla scelta degli argomenti di discussione da presen-tare nei diversi incontri con la Direzione Centrale di Gruppo.

3.2. Informazione e consultazione: ambito di competenza

Le procedure di informazione e consultazione si differenziano inbase al carattere ordinario o straordinario dell’incontro. La durata ditutte le riunioni è di due giornate con due pernottamenti: è possibileun’estensione al terzo giorno solo nel caso in cui si riesca a rimanerein budget contenuti. L’accordo prevede che prima e dopo la riunioneordinaria il CAE abbia diritto a tenere un incontro preparatorio eduno successivo.

Nel caso di incontro ordinario, l’accordo prevede un’assembleaplenaria annuale in cui la Direzione Centrale di gruppo è chiamata ainformare e consultare il CAE sullo sviluppo della situazione com-merciale e le prospettive di impresa, presentando in tempo utile (duesettimane prima dell’incontro) la documentazione necessaria nellediverse lingue nazionali. In particolare i temi oggetto delle procedu-re di informazione e consultazione sono così indicati:

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• struttura del gruppo;• situazione economica e finanziaria;• evoluzione probabile delle attività, produzione e vendite;• situazione ed evoluzione probabile dell’occupazione;• investimenti;• cambiamenti fondamentali relativi all’organizzazione;• introduzione di nuovi processi produttivi e di lavoro;• trasferimento delle imprese, stabilimenti e di parti importanti de-

gli stessi, nonché trasferimenti di produzione;• fusioni e divisioni delle imprese e degli stabilimenti;• diminuzione delle dimensioni o chiusura delle imprese, stabili-

menti o parti importanti di essi;• licenziamenti collettivi.

Durante le riunioni del Comitato ristretto si lavora per raccogliere,elaborare e distribuire informazioni sui temi che in plenaria vengonoritenuti importanti per il CAE. In plenaria, diversamente, si raccol-gono i pareri sui temi importanti e si restituiscono i risultati del lavo-ro svolto dal Comitato ristretto. Prima di una riunione plenaria, ilComitato ristretto prepara una bozza dell’ordine del giorno ovverouna lista di temi su cui tutti i delegati CAE sono chiamati a reperireinformazioni nelle proprie strutture di rappresentanza nazionali onel confronto con le proprie Direzioni aziendali.

Ogni delegazione nazionale presente all’interno del CAE è cosìchiamata a stendere una relazione in cui indicare, in forma sinteti-ca, la situazione economica del proprio paese e tutti i temi che po-trebbero interessare il dibattito interno al CAE: criticità, rivendica-zioni, trattative, progetti, pareri, soluzioni attivate a livello nazio-nale. La relazione deve essere inviata seguendo delle linee guidapredefinite circa 4 settimane prima della plenaria, allo scopo dipermettere a tutti di avere una panoramica su cosa succede neglialtri paesi e quali potrebbero essere eventuali convergenze trattatein seno al CAE.

Oltre all’incontro annuale di carattere ordinario, l’accordo CAEprevede incontri straordinari con il solo Comitato ristretto. Il carat-tere straordinario è conferito in funzione del tema trattato e del-

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l’impatto provocato. In particolare i temi che costituiscono «circo-stanze eccezionali» sono:

• trasferimento o chiusura di imprese, stabilimenti o parti impor-tanti di stabilimenti;

• licenziamenti collettivi;• fusioni o divisioni;• cambiamenti organizzativi e di scopo;• introduzione di metodi di lavoro e processi produttivi nuovi.

Rispetto all’impatto, una circostanza risulta eccezionale qualora leripercussioni che ne scaturiscono interessino almeno due nazioni ecoinvolgano almeno il 10% degli occupati di una nazione. Le intervi-ste rilevano come le imprese e gli stessi membri del CAE siano moltoattenti a trattare all’interno del CAE solo temi di carattere interna-zionale (almeno due imprese o stabilimenti in paesi membri diversi).A tal proposito, il membro italiano del CAE interpellato sottolineacome l’atteggiamento di alcuni delegati, in particolar modo la stessapresidente del CAE, sia orientato a portare questioni nazionali den-tro il dibattito europeo, suscitando le rigidità della Direzione Cen-trale ed inasprendo il rapporto con il management.

Nel corso della riunione con il Comitato ristretto le procedure diinformazione e consultazione subiscono un iter straordinario per ac-celerare il flusso informativo dal management al Comitato e per favo-rire la consultazione del Comitato da parte del management. Il mana-gement spiega a voce le misure pianificate per l’incontro nel corsodella prima mezza giornata offrendo al Comitato ristretto il tempodi preparare una dichiarazione scritta che sarà la base per la con-sultazione del giorno successivo.

3.3. Oltre le procedure di informazione e consultazione

Sebbene si sottolinei come l’impresa sia particolarmente attenta aconfinare il confronto nel CAE alle tematiche di carattere stretta-mente internazionale e a non andare oltre i diritti di informazione econsultazione, le interviste riportano un caso in cui il CAE stesso ha

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agito da «cassa di risonanza» per la distribuzione di un premio mo-netario per tutti i lavoratori del gruppo.

Nel corso del 2012, infatti, i delegati tedeschi comunicano al CAEl’ottenimento di un premio di produzione pari a 1.000 euro in virtùdelle ottime performance del fatturato di gruppo. Consapevoli che ledinamiche di fatturato dipendono sia dalla produzione (principal-mente in Germania) che dalla rete di vendita e di servizio postvendita, il CAE avanza alla Direzione centrale la richiesta di esten-sione di un premio di produzione a tutti i lavoratori del gruppo perun valore pari a 2.011 euro, calcolato come il 50% dell’utile annualedi gruppo da destinare in quota lavoro e non capitale (azionisti).Una volta rientrati dal CAE, inoltre, i diversi delegati avviano unapetizione raccogliendo adesioni a livello nazionale. Nonostante idiversi tentativi, la Direzione centrale non concede nell’immediatoun’estensione del premio di produzione per evitare, come sottoli-neano le interviste, di creare un «precedente negoziale» nell’ambitodel CAE.

La richiesta però produce qualche effetto. Nel corso del 2013, ov-vero l’anno successivo alla richiesta presentata in sede CAE, il grup-po concede per la prima volta un premio di 300 euro a tutti i lavo-ratori del gruppo non in funzione del fatturato, che avrebbe ricono-sciuto un ruolo negoziale al CAE, ma come elemento premiale inconcomitanza del 60° anniversario della casa madre, e quindi riba-dendo la natura episodica ed occasionale del provvedimento (unatantum):

L’azienda non avrebbe mai potuto dire sì al CAE perché avrebbecreato un precedente. Avevamo chiesto 2011 euro, ovvero una cifracalcolata prendendo l’utile e suddividendolo nel 50% agli azionisti e50% ai lavoratori... impresa ci ha detto di no, però è successo che nel2013 l’azienda ci ha dato un premio di 300 euro e non era mai suc-cesso prima. Con la scusa dell’anniversario dei 60 anni ci è stato con-cesso... secondo me ha spinto [il CAE] in questa direzione e se avessedetto sì con il CAE sarebbe stato un problema grosso per l’azienda...l’azienda evita i casi singoli, bisogna evitare di caricare su queste te-matiche nazionali ma utilizzare il CAE per raccogliere informazioniutili a portare le vertenze a livello nazionale.

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3.4. Le informazioni nel CAE: quale vantaggio nazionale?

Il contenuto informativo raccolto nel CAE assume particolare si-gnificato anche dentro un contesto di relazioni sindacali a livello na-zionale.

Noi all’interno delle nostre nazioni ci occupiamo del passato e del pre-sente, per pensare al futuro devi farlo nel CAE. Puoi avere una visio-ne di insieme dell’azienda, abbiamo piani da qui al 2020... quale saràla visione... nel 2015 saremo o una delle 3-4 rimaste o verremo as-sorbite da qualcun’altra.

In particolare, come sottolinea l’intervista al delegato CAE, ilruolo del vicepresidente tedesco, l’assenza prolungata del presidentefrancese e il subentro del nuovo direttore del personale di gruppohanno favorito un migliore scambio informativo costruito su unacultura collaborativa.

In particolare, il delegato CAE evidenzia come il venir meno del-l’approccio conflittuale del presidente francese e la collaborazionecon la nuova Direzione del personale permetta al vicepresidente te-desco del CAE di inviare trimestralmente, a volte anche settimanal-mente, ai membri del CAE il resoconto dell’entrata ordini di tutti ipaesi per ogni singola tipologia di prodotto e il livello di produzionedi ogni stabilimento. Questa mole di informazioni assume un ruolostrategico per il sindacato nazionale perché consente di raccogliereuna base informativa superiore a quanto si disporrebbe dalla Dire-zione nazionale.

La nuova cultura collaborativa instauratasi in particolare tra Co-mitato ristretto e nuova Direzione aziendale ha permesso di compie-re dei passi avanti nella raccolta delle informazioni, superando le re-sistenze e reticenze delle Direzioni aziendali nazionali e rafforzandola capacità consultiva del CAE. Per la prima volta, ricorda il delegatoCAE, si è cominciato a parlare in seno al CAE di un confronto del-l’età media dell’occupazione nei singoli paesi mettendolo in relazio-ne con la strategia di crescita occupazionale del gruppo. Queste in-formazioni consentono una più attenta calibratura delle politiche diassunzione delle singole realtà aziendali nazionali.

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Nei prossimi incontri, annuncia il delegato CAE, ci si porrà l’o-biettivo di analizzare le casistiche d’infortunio in relazione all’età ealla mansione e giungere alla riduzione degli eventi infortunistici.

4. I rapporti di relazione con il CAE

4.1. Relazione tra CAE e strutture di rappresentanza nazionali

Le interviste al membro italiano del CAE e ai delegati sindacalinon facenti parte attualmente del CAE mostrano come l’attività ed ilfunzionamento dell’attività dello stesso organismo europeo siano po-co o per nulla conosciuti. Il limite principale sollevato nel corso delleinterviste è da ricondursi ad un accentramento delle relazioni sinda-cali di gruppo su singole figure di delegati più attente a mantenereuna condizione di rapporto privilegiato con la direzione aziendaleche a sviluppare una cultura della partecipazione.

Fino a pochi anni fa, infatti, le relazioni con la Direzione nazionalee centrale di gruppo erano soggette ad un forte accentramento su al-cune figure sindacali, limitando il flusso di informazione dal centroverso la periferia della struttura di rappresentanza nazionale, sia sutematiche di carattere nazionale sia, a maggior ragione, su questioniin ambito transnazionale. Sebbene infatti la costituzione del CAE ri-salga al 1999, il delegato CAE ha conoscenza dell’esistenza del Co-mitato aziendale europeo solo dal 2003, evidenziando come per cir-ca 4 anni l’attività dell’organismo di rappresentanza europeo siastata patrimonio informativo di una ristretta cerchia di persone. Ve-rosimilmente, solo con l’acquisizione del diritto ad un secondo dele-gato nel CAE (700 addetti) si è assistito ad una maggior visibilità delCAE stesso.

Le interviste infatti restituiscono come nei primi anni di vita delCAE, la figura del delegato italiano al CAE, successiva a colui che neha seguito l’insediamento, non sia passata da un processo democrati-co. Solo recentemente si è arrivati a nominare i delegati CAE attra-verso una votazione per ristabilire un principio democratico e sot-trarre il CAE dal processo di accentramento di rappresentanza ca-

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ratterizzante il sistema di relazioni industriali del gruppo in Italia.L’elezione di nuovi organismi di rappresentanza nelle filiali italianedel gruppo ha rotto dunque gli equilibri rappresentativi non solo sulpiano nazionale ma anche su quello europeo: ad oggi i due delegatiCAE sono espressione delle rappresentanze sindacali di Firenze ePadova scardinando l’asse Milano-Torino. A tal proposito, è emble-matica l’intervista al membro RSU non facente parte del CAE. Purvantando circa 16 anni di anzianità lavorativa ed essendo delegatoproprio nella sede centrale del gruppo in Italia, il delegato sindacaledice di aver sentito parlare di CAE solo negli ultimi mesi.

Come introdotto nei paragrafi precedenti, inoltre, alcuni dei dele-gati sindacali in forza CGIL sono percepiti più come espressionedella Direzione aziendale che rappresentanti dei lavoratori. Questoimpone un utilizzo cauto e parsimonioso delle informazioni raccoltenel CAE per evitare, come sottolinea il delegato CAE, di mettere laDirezione nella condizione di conoscere in anticipo le «mosse» delsindacato. A tal proposito il delegato CAE sottolinea come spesso siacostretto a combinare informazioni formali ed informali (verbali) permeglio governare il flusso informativo verso il coordinamento sinda-cale nazionale:

a volte sembra di giocare una partita a scacchi [...] Qui subentra unpo’ di politica [...] Ci sono alcuni temi che vogliamo far uscire all’ul-timo momento, evito di fare delle relazioni con questi temi per evitaredi dare un preavviso alla direzione amministrativa, mentre delle voltefaccio l’opposto per far credere che mi sto muovendo su alcuni temi.

In particolare, le informazioni in plenaria vengono disseminatepiù liberamente, anche perché poi saranno contenute nel verbale(che esce solitamente dopo 3 mesi dall’incontro), mentre le informa-zioni emerse all’interno del Comitato ristretto, se sensibili, sono di-stribuite con maggiore cautela per evitare di offrire un vantaggio allaDirezione aziendale nazionale. Solitamente al termine del Comitatoristretto, il delegato italiano prepara una sintesi e la distribuisce allestrutture di rappresentanza, riservandosi la facoltà di gestire il flussocomunicativo per i temi più sensibili.

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La discrezionalità della distribuzione delle informazioni non sem-bra essere percepita positivamente dagli altri delegati sindacali nonmembri del CAE che, al contrario, propongono un maggior utilizzodella bacheca Internet disponibile in azienda. A tal riguardo, ilmembro del CAE mostra qualche perplessità in quanto la pubblica-zione dei documenti usciti dal CAE nella bacheca Internet rischie-rebbe di formalizzare le posizioni di altri delegati sindacali, «con ilrischio di metterli in difficoltà».

4.2. Relazione tra CAE e sindacato esterno

Sebbene l’azienda italiana sia seguita contrattualmente a livellonazionale da un coordinatore FILCAMS, il membro del CAE sottoli-nea come la stessa categoria offra un supporto debole in relazionealle attività del CAE.

Non c’è una grande assistenza dal sindacato. Almeno io non mi sentomolto assistito. Anche se devo riconoscere che organizzano dei corsi,seminari formativi...

Non sono mai stato contattato per capire cosa si discute nel CAE. Sa-rebbe un po’ stressante, trattiamo spesso cose delicate... trattiamo datiche non devono uscire fuori dal CAE e quindi non do ai miei colleghii dati in maniera ufficiale perché ho l’obbligo di riservatezza... e quin-di anche per la FILCAMS avrei questo tipo di vincolo.

Si evidenzia infatti come manchi del tutto un’attività di assistenzasindacale sulle questioni relative al CAE e gli unici sforzi offerti dallacategoria sindacale siano riconducibili a seminari formativi ed in-formativi per i quali, oltretutto, non si raccolgono valutazioni pie-namente positive:

Portano via dei giorni ma non portano molto valore aggiunto, ho poilasciato perdere.

Le interviste però sembrano restituire un elemento contradditto-rio. Pur riconoscendo la mancanza di un ruolo del «sindacato ester-

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no», il delegato CAE non auspicherebbe un più intenso intervento diun coordinatore FILCAMS sulle dinamiche del CAE in quanto moltedelle informazioni ricevute sono soggette al vincolo di segretezza.Ne emerge, dunque, un quadro in cui il ruolo del «sindacato ester-no» comporterebbe un aumento di responsabilità individuale deldelegato CAE in tensione tra un vincolo aziendale e una richiestasindacale.

In particolare le interviste lamentano una mancanza di chiarezzasul monte ore a disposizione dei delegati CAE, non tanto per lapartecipazione alle riunioni ordinarie e straordinarie, quanto per laformazione specifica, la riqualificazione e la gestione dell’informazio-ne e comunicazione alle strutture di rappresentanza sindacale nazio-nale. Ad oggi il delegato CAE è costretto ad attingere dal monte oresindacale a livello nazionale quote di tempo da dedicare alla prepa-razione degli incontri del CAE, alla disseminazione delle informa-zioni emerse e ai percorsi di qualificazione/formazione specifica.

Di quanto tempo si ha a disposizione come delegato CAE nessuno misa rispondere e quindi anche questi corsi non si sa... l’azienda non dàniente a parte il tempo per le riunioni e quindi mi tocca utilizzare ipermessi sindacali che mi servirebbero però per attività sindacale qui[in azienda] e non per il CAE

5. Le criticità del delegato CAE: quali spazi di rivendicazione?

L’accordo del CAE prevede che i membri del CAE e del Comitatoristretto siano esonerati dal lavoro per le riunioni ordinarie e straor-dinarie (compresi il viaggio di andata e ritorno) continuando a per-cepire la retribuzione. Si specifica, inoltre che «l’esonero dal lavoroavverrà secondo i principi della necessità, in particolare per quantoriguarda il tempo necessario per l’informazione delle rappresentan-ze nazionali dei lavoratori e/o dei lavoratori nazionali» e «per situa-zioni e mansioni straordinarie si concorderà con la Direzione Cen-trale, in base alle necessità, il tempo necessario».

Sebbene non si individui specificamente un monte ore per il CAE,l’accordo prevede che l’esonero dal lavoro per le attività relative al

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CAE non pregiudica il monte ore sindacale nazionale e si esplicitasecondo un principio di necessità.

Questo spazio di rivendicazione potrebbe rappresentare una ri-sposta alla necessità sollevata dal membro italiano del CAE di bene-ficiare di un monte ore specifico per le attività relative al CAE. L’in-tervista, infatti, evidenzia come spesso la stesura dei verbali successivialle riunioni del CAE o del Comitato ristretto e, in generale, l’attivitàdi informazione delle strutture di rappresentanza sindacali nazionalisottraggano tempo al già limitato monte ore sindacale esigibile a li-vello nazionale.

Non posso fare il presidente [del CAE], non ho tempo per poter dedi-care a questa attività [...] mentre la francese fa quello come rappre-sentante così come il tedesco... io sono pagato per fare ripartire lemacchine, il mio tempo è determinato dalla normativa italiana suipermessi sindacali, ho poco tempo, tutto quello che faccio deriva daltempo libero.

Sebbene i «principi della necessità» rappresentino un criteriopiuttosto vago ed incerto, l’accordo riconosce la possibilità di stabili-re «un tempo», aggiuntivo al monte ore nazionale, da dedicare inparticolar modo alla diffusione delle informazioni alle rappresentan-ze nazionali, e quindi anche italiane, e ai lavoratori nazionali.

Tra le pieghe dell’accordo del CAE si coglie, infine, una possibilerisposta ad un fabbisogno formativo sollevato dal delegato italianodel CAE. Le difficoltà imputabili a questioni linguistiche e ad unascarsa conoscenza dei diversi sistemi nazionali di relazioni industrialipotrebbero trovare risposta nel supporto di esperti o nelle misure diriqualificazione, ovvero elementi contenuti nell’accordo CAE.

Proprio in virtù della partecipazione al Comitato ristretto, oltre-tutto, il delegato italiano CAE potrebbe beneficiare del trattamentodi favore concesso dall’accordo stesso in termini di riqualificazione:«È possibile la partecipazione a una misura di qualificazione instretta relazione con un compito specifico di un membro del Comi-tato Esecutivo», tenendo anche conto «della competenza specialisticadegli esperti per questioni specifiche».

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6. Proposte per nuovi strumenti di informazione e formazione

Nel corso dell’intervista al membro del CAE emerge una valuta-zione sostanzialmente negativa della formazione ricevuta ad oggi suitemi relativi al CAE da parte della FILCAMS nazionale. Due ap-paiono gli elementi di maggior criticità. In primo luogo la durata ela necessità di più pernottamenti. In secondo luogo la generalità del-l’informazione. In risposta alle prime criticità, il delegato CAE pro-pone di sviluppare maggiormente l’utilizzo della formazione attra-verso i canali elettronici o comunque prevedere corsi di formazioneconcentrati su un numero ridotto di giornate da attribuire ad unmonte ore dedicato specificamente al CAE, ovvero un numero di oresindacali da aggiungere – e non sottrarre – al monte ore sindacalenazionale.

Relativamente alla seconda criticità, il delegato CAE propone dicostruire percorsi di formazione specificamente costruiti sui delegatidi un solo CAE, in quanto ogni singolo organismo è il risultato distorie, relazioni e dinamiche assolutamente uniche a cui un corso diformazione trasversale non sarebbe in grado di offrire una rispostaadeguata. Un’attività così strutturata è stato organizzata da IG Metallin cui un formatore/esperto si è dedicato per tutta la durata del corsoal singolo CAE Jungheinrich trattando temi e dinamiche relazionalispecifici.

Sarebbe più importante avere lezioni su come si fa il delegato CAE...un corso l’abbiamo fatto organizzato da IG Metall... con un istruttoreche si è dedicato a noi, una sola persona che si impegna per trattaretutti i temi che sono interessanti per la tua azienda, mentre in CGIL cisaranno 100 persone e veramente utili 15 minuti a testa [...] fare corsipiù approfonditi e specifici sul singolo CAE [...] organizzare il tempo.

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1. Il Gruppo

La SAP è una multinazionale leader mondiale nel campo del soft-ware per le imprese e i servizi connessi al software. Nata nel 1972, siè velocemente sviluppata costituendo in tutto il mondo filiali ammi-nistrative, operative e laboratori per la ricerca e lo sviluppo. La sedestorica è a Walldorf, in Germania, dove rimane il suo quartier gene-rale, ma le sedi controllate sono ormai sparse in più di 130 paesi nelmondo. Sono oltre 260.000 le aziende, in più di 190 paesi, che pos-siedono installazioni di software SAP; 3.500 in Italia. Più dell’80%delle installazioni riguardano la sfera delle piccole e medie aziende.Secondo dati pubblicati dalla stessa azienda (2014), SAP conta nelmondo un organico di oltre 65.000 persone, di cui circa 580 personein Italia. Ristrutturazioni aziendali hanno di recente comportato unacontrazione di circa il 3% della forza lavoro.

L’azienda si è recentemente costituita come Società Europea (SE),ai sensi del Regolamento 2157/2001. Di conseguenza – essendo dicasa madre tedesca – applicherà le regola sul coinvolgimento dei la-voratori ai sensi della direttiva 2001/87. Il meeting costituente delCAE SAP è stato il 19 settembre 2012 dopo una negoziazione ini-ziata nel giugno 2010. Il meeting costituente del Comitato aziendaledella SE sarà a novembre 2014, al termine di una negoziazione ini-ziata nel settembre 2013.

* Ricercatore incaricato del progetto.

Il CAE della SAPdi Giorgio Verrecchia*

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2. Il CAE

2.1. Genesi

Nonostante l’impresa oggetto della presente analisi avesse da lun-go tempo dimensioni comunitarie il meccanismo di attivazione delCAE è stato innescato con notevole ritardo solo nel 2010. Questodato è ancora più rilevante se riflettiamo sui meccanismi di coinvol-gimento dei lavoratori differenti tra normativa CAE e SE. Bisognaperò segnalare che anche il Consiglio di sorveglianza, con la parte-cipazione dei lavoratori, previsto dalla legge tedesca, è stato costi-tuito solo nel 2006, a seguito di un’azione legale. Prove, queste, diuna certa riluttanza di questa azienda ad intavolare relazioni indu-striali più strutturate, anche quando previste dalla normativa nazio-nale ed europea.

La normativa europea prevede che per la costituzione di un CAEla direzione centrale avvii la negoziazione per l’istituzione di un Co-mitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e laconsultazione, di propria iniziativa o previa richiesta scritta di alme-no 100 lavoratori, o dei loro rappresentanti, di almeno due impreseo stabilimenti situati in non meno di due Stati membri diversi. In al-tre parole la decisione sull’istituzione di una rappresentanza europeadei lavoratori è demandata ai lavoratori che devono attivare il mec-canismo di costituzione. Il risultato è, pertanto, legato alla consape-volezza dei lavoratori dei diritti di coinvolgimento loro spettanti perlegge nonché alla più o meno attiva collaborazione del datore di la-voro. Al contrario, nella direttiva sulla SE il trigger mechanism finaliz-zato alla creazione di un organo di rappresentanza dei lavoratori èdi esclusiva pertinenza del datore di lavoro. Stabilisce difatti l’art. 3della direttiva 2001/86 che «quando gli organi di direzione o di am-ministrazione delle società partecipanti stabiliscono il progetto di co-stituzione di una SE, [...] o dopo l’approvazione di [...] trasformazio-ne in una SE, essi prendono le iniziative necessarie [...] per avviareuna negoziazione con i rappresentanti dei lavoratore delle societàsulle modalità del coinvolgimento dei lavoratori nella SE». La diffe-renza di approccio tra la prima e la seconda direttiva citate (rispet-

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tivamente la 94/45 e successive modifiche operate con la direttiva2009/38 e la 2001/86) è evidente nel caso SAP, in cui la costituzionedel CAE (assoggettata all’impulso dei lavoratori) è avvenuta ben se-dici anni dopo aver raggiunto la dimensione comunitaria, mentre lanegoziazione per l’istituzione di un organo di rappresentanza è stataavviata tempestivamente al momento della decisione di trasforma-zione in SE (l’annuncio della trasformazione è stato dato nel 2013 econtestualmente sono state avviate le trattative per la costituzionedell’organo di rappresentanza), così come emerge dall’intervista almembro italiano del CAE SAP.

Come ci è stato riferito:

Il fatto di non demandare all’azienda l’innesco della negoziazione CAEha comunque dei risvolti positivi. In teoria infatti sarebbe possibilenonché consigliabile costruire alleanze sindacali PRIMA di innescarela negoziazione CAE al fine di entrare in negoziazione avendo giàuna DSN con maggioranza sindacale/sindacalizzata.

Dalle informazioni ottenute, la DSN ha concluso l’accordo per lacostituzione di un organo di rappresentanza ai sensi della direttiva2001/86. Si precisa, pertanto, che, come previsto dall’art. 13 della di-rettiva citata, alla società costituita in SE non è più applicabile la di-rettiva 94/45 e successive modifiche, sicché il CAE SAP verrà prestosostituito dall’organo di rappresentanza costituito.

Tornando alla costituzione di un CAE, i membri italiani della de-legazione speciale di negoziazione (DSN) sono stati designati dalleorganizzazioni sindacali, congiuntamente con le rappresentanze sin-dacali unitarie dell’impresa o del gruppo di imprese. Nel caso SAP èaccaduto che il delegato in seno alla DSN fosse eletto nel 2010 dailavoratori della filiale italiana. La modalità di designazione sembraispirarsi all’art. 6 del d.lgs. 113/2012 (già art. 6 d.lgs. 74/2002), cheprevede che, se in uno stabilimento o in un’impresa manchi unapreesistente forma di rappresentanza sindacale, le organizzazionisindacali convengono con la direzione centrale le modalità di con-corso dei lavoratori di detto stabilimento o detta impresa alla desi-gnazione dei rappresentanti della delegazione. Infatti la delegata in

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seno alla DSN, dipendente SAP, in mancanza di rappresentanza sin-dacale interna è stata eletta dai colleghi di SAP Italia per rappre-sentarli nel comitato negoziale per il CAE. A ottobre 2011, la stessadelegata è stata nominata RSA FILCAMS CGIL e, in seguito, da feb-braio 2012 rappresentante del CAE per l’Italia.

Per la composizione del CAE, i rappresentanti dei paesi più sinda-calizzati (BBTK-ABVV Belgio, FIECI-CFE-CGC Francia, FILCAMSCGIL Italia) si sono inizialmente uniti in un’alleanza che è andata viavia coinvolgendo rappresentanti di altri paesi (Spagna, Polonia, Ro-mania, Bulgaria, Finlandia, Svezia, Portogallo, Grecia, Slovacchia),fino ad arrivare a costituire una maggioranza interna al CAE che haportato all’elezione di un Deputy Chair person, affiliato ai sindacati, loscorso giugno.

Nel CAE SAP si registra una certa divisione tra i rappresentantidei lavoratori che non rispecchia le differenze di appartenenza geo-grafica, ma riguarda il modo in cui i paesi intendono le relazioni in-dustriali. Infatti, i paesi che a livello nazionale hanno un canale sin-dacale unico di stampo più contrattuale e rivendicativo, sono più in-clini a considerare il CAE come una istanza rappresentativa con unruolo negoziale. Qui le richieste mirano a un trattamento uniforme alivello europeo. Dove invece vige invece un modello di stampo par-tecipativo e cogestionario, con un doppio canale di rappresentanzanei luoghi di lavoro (come ad esempio nel caso tedesco), si tende alimitare il ruolo negoziale del CAE, circoscrivendolo a quello più ca-nonico dell’informazione e consultazione, preferendo così non tra-slare a livello europeo le problematiche che le rappresentanze af-frontano singolarmente nel proprio paese.

Purtroppo, la maggioranza all’interno del CAE si è raggiunta solo direcente e grazie ad anni di lavoro.

2.2. Composizione

Il CAE di SAP copre oggi tutte le filiali aventi sede nell’area eco-nomica europea, per un totale di circa 22.854 dipendenti. Il CAE ècomposto da 24 rappresentanti dei lavoratori, ma comprende anche

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alcuni rappresentanti del management. Un dato, questo, comune an-che ad altre realtà europee, che pone alcune problematicità, rilevatesia in ambito sindacale che fra gli studiosi di questa materia. Lo spi-rito della direttiva europea, infatti, non sembra quello di inserire ilmanagement in un organo di rappresentanza dei lavoratori, giacchégli interessi del primo potrebbero divergere – e in alcuni casi sicu-ramente è così, si pensi alle ipotesi dei licenziamenti collettivi – daquelli dei lavoratori. Probabilmente sarebbe stato più opportunoevitare che nel CAE entrassero i rappresentanti del management. Ildelegato italiano che abbiamo intervistato osserva che:

Piuttosto sarebbe stato utile avere una qualche clausola che regolassediversamente la composizione del CAE – evitando che il CAE fosse co-gestito con il management in co-charing, e che tra i 24 rappresentantidei lavoratori entrassero management e riporti diretti alle risorseumane. In merito sarebbe stato utile avere anche una clausola che di-cesse che in caso di mancanza di rappresentanti sindacali interni a li-vello locale il rappresentante CAE di quel paese dovesse essere unounion officer perché una scatola di cartone per votare il rappresen-tante CAE che sta due settimane nell’ufficio delle risorse umane di unpaese non è una pratica accettabile per delle elezioni locali

2.3. Il comitato ristretto

Nell’accordo istitutivo del CAE SAP è stata prevista la presenza diun comitato ristretto composto da sette membri, di cui cinque sonorappresentanti dei lavoratori provenienti da paesi diversi (tra i qualiil portavoce dei rappresentanti dei lavoratori) e due rappresentantidel management (tra i quali il portavoce del management)1.

1 Come noto, l’art. 6 della direttiva in materia prevede che nell’accordo debbaessere specificato quali sono le imprese che fanno parte del gruppo di imprese didimensioni comunitarie o gli stabilimenti dell’impresa di dimensioni comunitarieinteressate dall’Accordo, la composizione del CAE, in numero di membri, la distri-buzione dei seggi e la durata del mandato, le attribuzioni e la procedura d’infor-mazione e di consultazione del CAE, il luogo, la frequenza e la durata delle riunio-ni del CAE, le risorse finanziarie e materiali da attribuire al CAE, la durata dell’Ac-cordo e la procedura per rinegoziarlo.

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Dall’intervista emerge come non sia stato adottato un adeguatoregolamento interno al comitato ristretto.

Il CAE SAP ha adottato delle «Rules of Engagement» per la gestionedel CAE e del comitato ristretto, ma entrambe non erano certamenteadeguate a garantire trasparenza e coerenza nel rispetto del mandato.

La necessità, invece, della presenza di regole interne al CAE / alcomitato ristretto è ben presente nell’animo della rappresentanteCAE per l’Italia che abbiamo intervistato, secondo la quale dovreb-bero essere adottate regole che assicurino la trasparenza della co-municazione con il comitato ristretto, nonché la coerenza dei com-portamenti:

Tutti i membri CAE dovrebbero ricevere in copia le e-mail scambiatetra il management e il comitato ristretto, ed essere informati degli in-contri e dei contenuti degli incontri tra comitato ristretto e manage-ment. Lo stesso dicasi per quanto attiene agli scambi di informazionitra portavoce del CAE e management. [...]. Mediante la sostituzionedi quei membri del comitato ristretto che non consultino il CAE quan-do bisogna prendere delle decisioni e mediante la loro rimozione nelcaso in cui essi non agiscano tempestivamente e/o rispettando la vo-lontà del CAE.

All’interno del comitato ristretto non è stata prevista la presenzapermanente di esperti.

Sarebbe utile che all’interno del CAE fossero presenti due esperti per-manenti entrambi di nomina sindacale: un rappresentante di settoredi un’alleanza europea (per esempio IndustriALL) e un legale conesperienza nel paese in cui il CAE ha sede (sempre di scelta sindacale).Avere un rappresentante permanente appartenente ad un’alleanzasindacale europea consentirebbe di poter emettere comunicati sindacalicongiunti (anche su Internet) in inglese in tempo ridotto; avere un le-gale consentirebbe una pronta reazione nei confronti dell’azienda reti-cente a rispettare l’accordo CAE e lo spirito della direttiva.

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2.4. Gli obblighi di segretezza e di riservatezza

Nell’accordo CAE è previsto che le informazioni devono esseretrasferite al CAE dalla direzione centrale salvo che non ci siano «pe-ricoli» per i segreti commerciali del gruppo. I rappresentanti dei la-voratori non possono infatti utilizzare i segreti d’affari di cui vengo-no a conoscenza a causa della loro appartenenza al SAP CAE e chesono stati esplicitamente designati come riservati dalla DirezioneCentrale. Ciò vale anche dopo che hanno lasciato il CAE SAP o laSocietà. In caso di violazione dell’obbligo di segretezza e di quellodella riservatezza la Direzione Centrale ha il diritto di chiedere il ri-sarcimento dei danni nei confronti di coloro che hanno commessole violazioni2. Le informazioni anche riservate di cui i membri delCAE sono venuti a conoscenza possono essere trasmesse agli organidi rappresentanza nazionale sicché l’obbligo di riservatezza si appli-ca anche a questi ultimi. È previsto infatti che: «I rappresentanti[CAE, n.d.r.] possono comunicare le informazioni ricevute agli or-gani di rappresentanza del rispettivo Paese. Se l’informazione èstata classificata come ‘SAP confidenziale’, tale classificazione deveessere mantenuta e rispettata anche dagli organi rappresentativi na-zionali».

Le informazioni confidenziali, pertanto, possono essere trasferitealle rappresentanze sindacali aziendali con l’obbligo di mantenere la

2 Come previsto dall’articolo 21 dell’accordo CAE SAP, rubricato Secrecy Confi-dentiality, «The Central Management’s duty to inform and consult the SAP EWC orthe Select Committee on subject matters under Articles 14 and 15 above shall onlyapply as far as business secrets of the SAP Group, the Central Management orSAP companies are not endangered thereby. The Employee Representatives andthe Substitutes Employee Representatives shall not disclose or use any business se-crets which come to their attention as a result of their membership in the SAPEWC and which have been explicitly designated as confidential by the CentralManagement. This shall also apply after they have left the SAP EWC or the Com-pany. This obligation applies also to an expert called upon according to Article 18above. In case of violations against the above obligations the Central Managementis entitled but not limited to pursue damage claims against those who committedthe violations».

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clausola di riservatezza. Tuttavia, dalle interviste risulta che la clau-sola di riservatezza è stata usata impropriamente dal managementgiacché:

SAP identifica come «strictly confidential» ogni informazione cheviene condivisa con il CAE, anche se le stesse informazioni sono pre-senti nella intranet aziendale con la dicitura «solo per uso interno –internal».

Secondo i membri intervistati, una soluzione potrebbe esserequella di mettere una clausola temporale che imponga il decaderedella confidenzialità dopo il trascorrere di un certo lasso di tempo.

2.5. Le sanzioni applicabili

I meccanismi sanzionatori previsti dalla normativa di recepimentodell’accordo CAE, cioè quella tedesca, prevedono che l’azienda pa-ghi 15.000 euro come sanzione amministrativa in caso di soccom-benza davanti alla corte di Mannheim. Dalle interviste è emerso chequesta sanzione ammnistrativa è utile a creare un danno d’imma-gine all’azienda, ma non è affatto «dissuasiva» di comportamentinegativi futuri. È stato, infatti, sostenuto che 15.000 euro è una som-ma insignificante per una multinazionale che ha miliardi di fattu-rato.

In proposito, la legge nazionale applicabile individua il legittimatoattivo ad agire in giudizio nel caso di controversia tra CAE e azienda:«According to German labor law only the European / SE works coun-cil or the managing committee are authorized to initiate a court ap-peal due to violation of the agreement. The managing committeehas to be authorized by the works council to do so. Only if the rightsof a single member of the European / SE works council are impinged,the member can go to court; for example, when the member is notinvited to the meeting».

A fronte di quanto sopra risulta evidente che solo nei CAE dove c’èuna maggioranza sindacale/izzata si riuscirà a portare l’azienda incausa.

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Viene, infine, percepito un timore di ritorsioni contro i rappre-sentanti del CAE che decidono di agire in giudizio. Questo timorenon appare, tuttavia, giustificato, giacché la protezione offerta dallalegge è la stessa riconosciuta a livello nazionale ai rappresentanti deilavoratori.

3. Il funzionamento del CAE

Per quanto riguarda il funzionamento del CAE, dalle nostre inter-viste è emerso che l’alleanza che si è formata tra i paesi in cui il ca-nale di rappresentanza è prevalentemente sindacale comunica congrande efficienza con scambio d’informazioni volte a supportare a li-vello territoriale i rappresentanti dei lavoratori locali.

Secondo l’accordo istitutivo del CAE SAP (art. 15), il CAE vienecoinvolto in riunioni straordinarie solo in caso di «circostanze ecce-zionali», quali:

• Chiusure di imprese e stabilimenti.• Licenziamenti di massa nei paesi che rientrano nell’ambito di ap-

plicazione del presente accordo.• La delocalizzazione delle imprese [...]

Il comitato ristretto può sollevare domande e commenti riguar-danti la relazione speciale entro un periodo di tre settimane dopo lapubblicazione della relazione speciale sulla piattaforma IT CAE e,comunque, fino a quando, se richiesta, ha luogo una riunione straor-dinaria del comitato ristretto (cosiddetta «Assemblea Straordinaria»).Nell’accordo viene previsto che la Direzione centrale deve fornire ri-sposte alle questioni sollevate.

Nondimeno, una riunione straordinaria può essere richiesta daentrambi i presidenti, anche in maniera disgiunta. Tutte le domandedevono ottenere risposte scritte e i due presidenti possono deciderequale di queste domande dovrebbe essere discussa nell’AssembleaStraordinaria.

L’informazione fornita in caso di riunioni straordinarie riguarda:

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• i paesi colpiti,• il numero di dipendenti coinvolti per paese,• i tempi previsti per l’attuazione delle misure.

Tuttavia, nella pratica, dall’inizio del mandato solo in un caso ilCAE è stato coinvolto in caso di ristrutturazioni.

In pratica il CAE viene raramente coinvolto in caso di ristrutturazio-ni in quanto non è definito nell’accordo cosa si intenda per «ridon-danze di massa» e non è specificata una soglia per la quale è necessa-rio coinvolgere i membri del CAE. Inoltre l’accordo CAE, così com’èscritto, dacché richiede in caso di circostanze straordinarie il coinvol-gimento del CAE solo a numeri fatti (ovvero quando l’azienda sa giàquante persone e in che area licenziare), di fatto rende nulla qualun-que possibilità di effettiva consultazione o di capacità di influenzare ledecisioni di SAP (ormai già prese) da parte dei membri CAE.

Interpretando l’accordo CAE utilizzando i canoni della buona fede ecorrettezza, l’azienda sarebbe tenuta a una completa e corretta infor-mazione nei confronti del CAE ogni qualvolta intenda procedere ai li-cenziamenti collettivi così come definiti dall’art. 1 della direttiva 98/59.

Tuttavia, la questione principale rimane quella della transnazio-nalità perché, come noto, solo le problematiche aventi caratteretransnazionale vengono portate a conoscenza del CAE. Pertanto, sele questioni che sul piano strategico dell’azienda sono transnazionalivengono invece trattate singolarmente – paese per paese – e non,quindi, con uno sguardo di insieme, ne consegue che il diritto di in-formazione e consultazione del CAE viene frustrato nel suo esercizio.

La SAP ha coinvolto i paesi impattati da licenziamenti collettivi con-vocando per tali paesi un extraordinary meeting, ma ristrutturazioniaventi numeri inferiori o condotti con la tecnica a salame o ad ondenon fanno scattare le «condizioni straordinarie» per cui la SAP è te-nuta a convocare un meeting straordinario.

Inoltre l’accordo CAE, così com’è scritto, richiede il coinvolgi-mento del CAE solo quando l’azienda sa già quante persone e in che

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area licenziare. Ciò, di fatto, rende nulla qualunque possibilità dieffettiva consultazione o di capacità di influenzare le decisioni di SAP(ormai già prese) da parte dei membri CAE. In altre parole, il dirittodel CAE ad essere consultato viene svuotato di ogni significato3.

I deficit comunicativi dell’azienda e lo scarso rispetto dei diritti dicoinvolgimento dei lavoratori vengono solo in parte calmierati dal-l’intervento dei rappresentanti del CAE:

Giacché in queste circostanze l’alleanza tra paesi ha continuato co-munque a funzionare e il consenso si è allargato.

4. Le relazioni e la comunicazione fra CAE e sindacati nazionali

Dalle interviste è emerso uno stretto legame tra il membro italianodel CAE e le federazioni firmatarie del contratto collettivo per tuttele problematiche legate al CAE. Infatti, si conferma che indipen-dentemente dall’appartenenza sindacale dei membri del CAE questicomunicano e informano le rappresentanze aziendali sindacali.

Per quanto attiene all’Italia, in qualità di Rappresentante Italiana inCAE e contemporaneamente nella veste di RSA CGIL, provvedo adinformare la/le altre RSA UILTUCS.

Viene fortemente stigmatizzata la prassi del comunicato congiuntotra CAE e azienda perché lede l’autonomia dei rappresentanti deilavoratori di esprimere liberamente le proprie opinioni essendo ne-

3 Ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2009/38, infatti, per consultazione si intende:«l’instaurazione di un dialogo e lo scambio di opinioni tra i rappresentanti dei lavo-ratori e la direzione centrale o qualsiasi altro livello di direzione più appropriato,nei tempi, secondo modalità e con contenuti che consentano ai rappresentanti deilavoratori, sulla base delle informazioni da essi ricevute, di esprimere, entro untermine ragionevole, un parere in merito alle misure proposte alle quali la consul-tazione si riferisce, ferme restando le responsabilità della direzione, che può esseretenuto in considerazione all’interno dell’impresa di dimensioni comunitarie o delgruppo di imprese di dimensioni comunitarie».

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cessario un accordo con il datore di lavoro che non sempre riesce aconcretizzarsi. È prevista, però, la possibilità che, in mancanza di ac-cordo con il datore di lavoro, un diverso comunicato venga votato amaggioranza all’interno del CAE. La procedura appare tuttavia far-raginosa e non consente di assicurare la trasparenza delle posizionidei membri del CAE4.

Dalle intervista risulta, inoltre, che vengono impedite le comuni-cazioni tra CAE e lavoratori mediante l’uso della posta elettronica.Appare, infine, singolare che non vengano utilizzati sistemi di video-conferenza per supplire alle impossibilità/difficoltà di partecipazionealle riunioni del CAE e per la comunicazione con i rappresentantidei lavoratori e con i lavoratori a livello locale.

I membri del CAE (soprattutto quelli dei paesi con un canale uni-co di rappresentanza) stanno cercando di trovare una soluzione aquesto problema proponendo l’opportunità di creare un sito su cuipubblicare le informazioni per tutti i colleghi SAP e per gli esterniSAP anche per quanto attiene alle tematiche discusse all’interno delfuturo Comitato d’impresa della SE (sembra, infatti, che l’accordoratificato per il SE WC non differisca molto da quello CAE quanto acomunicazione verso i lavoratori).

4 Secondo l’articolo 22 dell’accordo CAE SAP, infatti, alla fine di ogni riunioneviene preparato un comunicato concordato dal presidente del management e dalpresidente dei dipendenti. Nel comunicato ci sarà la dichiarazione concordata tra idue presidenti. In caso di disaccordo, viene emesso un comunicato separato cheviene votato dalla maggioranza dei Rappresentanti dei Lavoratori del CAE. Oltre alcomunicato, i rappresentanti dei lavoratori possono comunicare le informazioni ri-cevute ai loro organi di rappresentanza nazionali. Come si è avuto modo di accen-nare sopra, se l’informazione è stata classificata come «SAP confidenziale», tale clas-sificazione deve essere mantenuta e rispettata anche dagli organi rappresentativinazionali. Nei paesi in cui non esiste un organo di rappresentanza nazionale, il ri-spettivo rappresentante dei lavoratori, in conformità con le leggi e le prassi locali econ l’eccezione delle informazioni riservate può comunicare le informazioni rice-vute ai dipendenti del suo paese.

Una pagina del portale SAP CAE fornisce ai dipendenti le informazioni sul CAE(come ad esempio l’elenco dei paesi, i membri del CAE e dei loro indirizzi e-mail,la descrizione generale dei ruoli e del funzionamento del CER, le date delle riu-nioni del CAE e il comunicato, con l’eccezione dei documenti riservati SAP).

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5. La formazione

Dalle interviste è emerso come l’aspetto formativo sia una compo-nente essenziale e fondamentale da preservare e promuovere per imembri del CAE e per coloro che appartengono a una DSN di unCAE. Sino ad oggi sono stati organizzati un paio d’incontri di forma-zione per il CAE SAP – uno preparatorio alla negoziazione e uno permigliorare lo svolgimento delle attività del CAE – entrambi avvenutidopo circa un anno dalla costituzione del CAE.

Tuttavia, singolarmente i membri del CAE partecipano a incontriformativi organizzati dai sindacati nazionali.

Ho partecipato, infatti, in qualità di RSA FILCAMS al ProgettoMuMMIA e al seminario ETUI «Building trade union alliances inmultinational companies».

La necessità di percorsi formativi è pertanto presente. In partico-lare, le esigenze formative emerse riguardano:

Una prima formazione mirata sulla trasposizione della legge del paesein cui avrà sede il CAE, organizzata in collaborazione con gli altrisindacati a livello europeo. In altre parole, se la sede principale del-l’azienda è in Francia la formazione dovrà essere fatta sulla leggefrancese che traspone la direttiva europea, se la sede principale del-l’azienda è in Germania sulla legge tedesca che traspone la direttivaeuropea.

Esistono delle traduzioni (almeno verso l’inglese) di queste traspo-sizioni che ne aiutano la comprensione, ma sono di difficile reperi-mento. Sarebbe utile, pertanto, secondo i membri del CAE, che cifosse un sito dal quale le trasposizioni della direttiva europea in tuttele legislazioni fossero tradotte in tutte le lingue per dare la possibilitàa tutti di comprendere i dettagli delle varie leggi di trasposizione.

Nelle interviste è emersa, inoltre, l’importanza che nella sede diformazione mirata venga spiegato e chiarito che la trasposizionedella direttiva europea costituisce la base da cui partire per la nego-ziazione; che non si può e non si deve, pertanto, scendere al di sotto

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di quanto offerto dalle prescrizioni accessorie in caso di mancatoraggiungimento dell’accordo.

La formazione mirata consentirebbe anche di far comprendere aimembri del CAE che è possibile un utilizzo più «furbo» delle prescri-zioni accessorie nel caso di mancato raggiungimento dell’accordo.

Inoltre, la formazione dei membri della DNS CAE deve essere an-che orientata a fornire quei contatti necessari affinché sia loro possi-bile sapere in quali paesi i sindacati possono intervenire e nominareun rappresentante CAE o DSN (full time union officer) anche in assen-za di rappresentanza locale, in quali paesi i sindacati possono inter-venire una volta che ci sia un volontario fidato in azienda disponibilea essere da loro nominato, in quali paesi i sindacati possono interve-nire con forme di controllo (vetting) sulle modalità di svolgimentodelle elezioni locali.

Una seconda fase di formazione dovrebbe essere svolta su unabozza ideale di accordo e sulle regole di ingaggio. Dalle interviste èemerso che sarebbe utile preparare una sessione di formazione in cuiesaminare assieme ai futuri rappresentanti DNS CAE una bozza diaccordo da conoscere prima di entrare in negoziazione. Questa boz-za di accordo dovrebbe prendere spunto dai migliori accordi redattiin quel paese dove la negoziazione ha luogo e non dovrebbe scenderesotto le soglie stabilite dalle prescrizioni accessorie in caso di man-cato raggiungimento di un accordo.

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1. Premessa

La storia e la struttura del Gruppo Cremonini sono state analizzateuna prima volta in occasione dell’indagine curata dall’IRES Emilia-Romagna e realizzata nell’ambito del progetto europeo intitolatoVerso la costituzione del CAE nel Gruppo Cremonini. La struttura del grup-po e le relazioni sindacali. Tale progetto, iniziato nel dicembre 2012 econclusosi nel dicembre 2013, aveva come fine l’avvio delle negozia-zioni per la costituzione del CAE. Considerato il perimetro settorialee geografico del Gruppo Cremonini, il progetto ha visto il coinvol-gimento di sindacati appartenenti a diversi settori (agro-industria,commercio, ristorazione, trasporti) provenienti da Italia, Spagna,Inghilterra, Francia e Belgio.

Quell’indagine aveva l’obiettivo di raccogliere e mettere a sistemaun’ampia rosa di informazioni necessarie per l’avvio, appunto, deilavori finalizzati alla costituzione del CAE di gruppo. Sono statequindi tracciare le caratteristiche strutturali nonché delle relazioniindustriali del gruppo stesso. In particolare, essendo il gruppo Cre-monini caratterizzato da una struttura complessa e di natura trans-nazionale, al fine della costituzione del CAE è stato necessario com-prendere ed evidenziare il più chiaramente possibile come si com-pone tale gruppo in termini di numero e tipologia di società che viappartengono, struttura proprietaria, aree di business, mercati di ri-ferimento, stabilimenti produttivi, marchi utilizzati ed infine, natu-

* Associazione Bruno Trentin.

Il caso Cremoninidi Paola Chiorrini*

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PAOLA CHIORRINI

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ralmente, caratteristiche dell’occupazione e delle relazioni industria-li. Tale operazione, come vedremo, non è risultata semplice, e ciò inragione della complessa articolazione in analisi ed è stata ulterior-mente complicata dal fatto che il Gruppo Cremonini è caratterizzatoda una costante variabilità perimetrale poiché da un lato si contrad-distingue per una crescita per acquisizione molto attiva, soprattuttonel settore della ristorazione e distribuzione, e dall’altro una parteimportante del fatturato deriva da attività in concessione, in parti-colare nel caso della ristorazione a bordo treno. Le attività in conces-sione vengono acquisite attraverso la partecipazione a bandi di garae mantenute, in caso di aggiudicazione, per periodi relativamentebrevi, di circa 4 anni. Le attività «a gara» sono di grandissima rilevan-za per il fatturato del gruppo, cosicché l’esito di una di esse può ave-re delle ripercussioni sulle società del gruppo ed evidentemente sullivello di occupazione.

Il nostro studio ha inteso quindi porsi in continuità con quelloprecedente, approfondendo gli sviluppi più recenti1.

2. Il Gruppo

Il Gruppo Cremonini – con sede legale a Castelvetro in provinciadi Modena – opera nel settore della produzione di carni bovine, sa-lumi e snack (Inalca e Italia Alimentari nata dalla fusione di MontanaAlimentari e Ibis), nel settore della distribuzione commerciale(MARR) e nella ristorazione a bordo treno e nelle principali stazioniferroviarie, aeroportuali e autostradali (Chef Express e RoadhouseGrill).

La storia dell’azienda Cremonini ha inizio nel 1966, con la crea-zione da parte di Luigi Cremonini (attuale presidente) e di due soci,dell’Inalca S.r.l., specializzata nella lavorazione di carni bovine. Ne-

1 Per effettuare lo studio della realtà Cremonini sono state realizzate interviste aMarco Gentile, FLAI nazionale; Sandro Pagaria, FILCAMS nazionale (segue da po-co l’azienda in esame); Umberto Franciosi, FLAI Emilia-Romagna; MassimilianoGabrielli, FILCAMS CGIL Rimini.

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gli anni Settanta l’azienda si amplia acquisendo e avviando alcuneconsociate nella lavorazione delle carni bovine e suine oltre alla Eu-ropork e alla MARR azienda distribuzione di prodotti alimentari dalGruppo Montedison. Negli anni Ottanta viene acquisita la Montorsie nel 1985 il gruppo entra nel settore ristorazione fast food con le ca-tene «Italy&Italy» e «Burghy». Negli anni Novanta la catena Burghyviene venduta a McDonald’s con un accordo per la fornitura di ham-burger. Nel 1998 la Cremonini S.p.A. viene quotata in borsa fino al2008 quando viene revocata la quotazione. Nel luglio 2000 viene si-glato un accordo di joint venture con l’americana Roadhouse GrillInc. per far nascere la catena di steack house in Europa. Sempre neglianni Duemila viene ceduto un terzo di MARR ad investitori istitu-zionali, vengono acquistati altri stabilimenti e il 100% di Moto (oraChef Express). Nel marzo 2008 il Gruppo Cremonini ed il Gruppobrasiliano JBS (principale operatore mondiale nel settore delle carnibovine) perfezionano un accordo che ha determinato l’assunzione daparte di JBS S.A. di una quota del 50% della Inalca. Nel marzo 2011Cremonini riacquista questa quota per lo stesso valore tramite unpool di 6 banche, portando l’indebitamento finanziario del gruppo a907,2 milioni di euro a dicembre 2011 (+ oltre 300 milioni dall’an-no precedente).

Oggi il gruppo impiega oltre 9.000 dipendenti in tutto il mondo, enel 2013 ha realizzato ricavi per 3.496,7 milioni di euro, in crescitadel 2,1% rispetto all’anno precedente. Il fatturato deriva per il 44%dalle attività di produzione (carni bovine, salumi e snack), per il 38%dal settore della distribuzione e il rimanente 18% dalle attività di ri-storazione. Il gruppo realizza il 35% del proprio fatturato all’estero2.

2.1. La produzione

Per quello che concerne la produzione le attività del gruppo ri-guardano la macellazione, la trasformazione e la commercializzazio-ne di carni bovine e prodotti a base di carne. Nell’area Produzionevanno indicate tre società, Montana Alimentari, Ibis (che si fondono

2 Dati tratti dal sito ufficiale della Cremonini.

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nel 2012 in Italia Alimentari) e Salumi d’Emilia che si occupanodella produzione di salumi e snack. L’intero settore3 può contare inItalia su 10 stabilimenti (6 dedicati alla produzione di carni bovine e4 attivi nell’area salumi e snack e gastronomia pronta). All’esteroInalca è presente con 20 piattaforme logistico-distributive dislocatetra Russia e Africa, nelle piattaforme di Luanda, Kinshasa e Algeri.Inalca possiede impianti per la lavorazione e trasformazione di pro-dotti a base di carne, mentre a Odintsovo, alla periferia di Mosca, èpresente uno stabilimento per la produzione di hamburger.

Gli stabilimenti di Inalca in totale trasformano e commercializzanooltre 500.000 tonnellate di carne bovina all’anno, sia a marchio pro-prio che per conto terzi, di cui 100.000 tonnellate pari a un miliardodi hamburger e una capacità produttiva di 200 milioni di scatolettepari a circa 50.000 tonnellate ogni anno. Per quanto riguarda i sa-lumi e gli snack, la produzione comprende prodotti DOP e IGP comeil Culatello di Zibello DOP, il salame Felino IGP e la Bresaola dellaValtellina IGP oltre alla produzione di vaschette di pre-affettato (chearrivano a 100 milioni di vaschette all’anno) e di sandwiches (che ar-rivano a 12 milioni all’anno). I dipendenti del settore della produ-zione secondo il gruppo sono circa 3.000, di cui 1.000 tra Russia eAfrica ed il rimanente in Italia. La tabella nella pagina accanto4 ri-porta la lista degli stabilimenti produttivi del Gruppo Cremoninipresenti sia in Italia che all’estero, con i dati relativi al numero di di-pendenti quando disponibili.

Nel 20135 il settore produzione del gruppo ha realizzato ricavitotali per 1.558,8 milioni di euro, in crescita dello 0,8% rispetto al-l’anno precedente. Il 91% del fatturato deriva dalla produzione, tra-sformazione e commercializzazione delle carni bovine, mentre il 9%dalla produzione e lavorazione di salumi e snack. Oltre il 50% delfatturato di Inalca è realizzato all’estero.

3 Dati tratti dal sito ufficiale della Cremonini.4 Dati tratti dal Rapporto Verso la costituzione del CAE nel Gruppo Cremonini. La

struttura del gruppo e le relazioni sindacali, anno 2013.5 Dati tratti dal sito ufficiale della Cremonini.

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Stabilimento DipendentiITALIA – Macellazione e trasformazione

carne bovina

Castelvetro di Modena (MO)

658 dipendenti Inalca + circa 400dipendenti di cooperative

(BOING - Consorzio Euro2000, FoodPlacet, SLC, La Ghirlandina)

Ospedaletto Lodigiano (LO)135 dipendenti Inalca e GES.CAR. + 514

dipendenti di cooperative (Universal, Iridee King - Consorzio Euro 2000)

Rieti58 dipendenti Inalca + 110 dipendenti dicooperative (BOING - Consorzio Euro2000

e Caleman - Consorzio Euro2000)Roveleto di Cadeo (PC) n.d.

Flumeri (AV) n.d.Capo d’Orlando (ME) n.d.

ITALIA – Salumi, snack e gastronomia prontaGazoldo degli Ippoliti (MN) 220 dipendenti

Paliano (FR) 36 dipendentiPostalesio (SO) n.d.

Busseto (PR)82 dipendenti diretti + 20 dipendentidi cooperative (Il Colle e Must Service)

RUSSIAOdentsovo n.d.

Fonte: R&S e FLAI CGIL

2.2. La distribuzione

Nel settore della distribuzione, il Gruppo Cremonini attraversoMARR opera in Italia nella commercializzazione e distribuzione diprodotti alimentari alla ristorazione extra-domestica (foodservice).MARR agisce da intermediario tra produttori o trasformatori e ope-ratori della ristorazione di varia natura e acquista e distribuisceun’ampia gamma di prodotti alimentari. MARR serve ogni anno ol-tre 38.000 clienti della ristorazione commerciale e collettiva, con unassortimento di 10.000 prodotti alimentari e dispone di un’organiz-zazione di oltre 700 venditori, una rete logistico-distributiva che co-pre l’intero territorio nazionale con 33 centri di distribuzione e 750automezzi.

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Dal giugno 2005 MARR è quotata sul segmento STAR di BorsaItaliana ed è controllata da Cremonini S.p.A. con una quota del50,4%. Tra gli altri azionisti figurano numerosi fondi istituzionaliitaliani ed esteri.

Nel 20136 la società ha realizzato ricavi totali per 1.364,7 milionidi euro (+8,3%). Il 61,3% del fatturato di MARR deriva dalla ristora-zione commerciale, il 22,5% dalla ristorazione collettiva e il rima-nente 16,2% dai grossisti di generi alimentari. Il 94% del fatturato diMARR è realizzato in Italia.

Il gruppo MARR7 si avvale di circa 1.000 dipendenti (metà operaie metà prevalentemente impiegati), di cui circa 400 in provincia diRimini, dove possiede 5 magazzini di distribuzione, con più di 650addetti alle vendite e una rete trasportatori con oltre 700 automezzi.In Italia possiede un totale di 30 stabilimenti in 12 regioni, di cui 12in Emilia-Romagna.

I magazzini di distribuzione presenti su territorio di Rimini hannospecializzazioni diverse, che vanno dalla vendita all’ingrosso ad al-bergatori alle spedizioni all’estero. Il numero dei dipendenti direttitende a calare nel tempo perché progressivamente molte attività nei5 magazzini di distribuzione sono state esternalizzate a compagnie difacchinaggio e logistica.

2.3. La ristorazione

Per ciò che attiene al settore della ristorazione, il gruppo opera abordo treno e gestisce attività di ristorazione di tipo commerciale,con ristoranti e gestione di servizi di ristorazione in stazioni ferrovia-rie, aeroporti e lungo la rete autostradale.

Cremonini è oggi uno dei maggiori operatori europei nella risto-razione a bordo treno in sei paesi europei. I contratti siglati in Euro-pa con i vari operatori ferroviari sono gestiti da società controllatedalla holding Cremonini S.p.A. nelle diverse capitali europee: a Lon-

6 Dati tratti dal sito ufficiale della Cremonini.7 Dati tratti dal Rapporto Verso la costituzione del CAE nel Gruppo Cremonini. La

struttura del gruppo e le relazioni sindacali, anno 2013.

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dra, attraverso la società Momentum Service Ltd, a Bruxelles conRailrest S.a., a Parigi tramite Cremonini Restauratiòn S.a.s., e in O-landa con Rail Express Service B.v. In questo modo il gruppo è pre-sente sui treni inglesi Eurostar che collegano Londra, Parigi e Bru-xelles attraverso il tunnel sotto la Manica; sui treni belgi Thalys chepercorrono le tratte Bruxelles, Parigi, Colonia, Dusseldorf e Amster-dam; sui treni francesi ad alta velocità IDTGV e sui treni italiani adalta velocità Italo, dove svolge tutta la logistica. Oltre ad effettuare iservizi di ristorazione a bordo treno, il gruppo gestisce le Vip Loun-ge delle principali stazioni europee di Parigi, Bruxelles e Londra.

A giugno 2014 la Cremonini ha siglato un accordo con FerrovieRusse che le garantisce l’appalto per sviluppare i servizi di ristora-zione nel settore. Grazie a questo accordo l’azienda avrà la possibilitàdi sviluppare i servizi nella ristorazione a bordo dei treni ad alta ve-locità russa e poi sulle linee a lunga percorrenza, pianificare la crea-zione di un network di centri logistici in tutta la Russia per servire ilcatering on board, e realizzare una rete di punti vendita nelle stazioniferroviarie russe. Un’opportunità enorme se si considera che le Fer-rovie Russe sono una delle più grandi compagnie di trasporto almondo e la più importante azienda in Russia, con una rete ferrovia-ria di 85.200 km, oltre 1 milione di dipendenti, 1 miliardo di pas-seggeri all’anno e 1,2 miliardi di tonnellate di merci trasportate (il42,3% del traffico merci complessivo della Russia).

Cremonini opera inoltre nel settore della ristorazione in conces-sione, gestendo molteplici formule di ristoro. Attraverso la societàcontrollata Chef Express UK, il gruppo è recentemente entrato nelmercato inglese delle stazioni ferroviarie con l’acquisizione dellanota catena «Bagel Factory». Cremonini, inoltre utilizza per la risto-razione in concessione sia marchi propri quali Chef Express, Mokà,Mr. Panino, Gourmè, Gusto Ristorante e Bagel Factory, sia marchi inlicenza come McDonald’s e Rosso Sapore. Cremonini nel 2001 hafondato inoltre la prima catena di steakhouse in Italia col brand Road-house Grill.

Nel 20138 il fatturato del settore ristorazione del gruppo si è

8 Dati tratti dal sito ufficiale della Cremonini.

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attestato a 642,8 milioni di euro. Il 53,5% del fatturato deriva dalleattività di ristorazione a bordo treno, il 36,2% dalle attività in stazioni,aeroporti e autostrade, mentre il 10,3% è realizzato nelle steakhouse.Oltre il 50% del fatturato della ristorazione è realizzato in Europa.

I dipendenti del settore ristorazione del gruppo in Europa sonooltre 5.000, dei quali più di 3.200 in Italia.

3. Le relazioni industriali

Il tema delle relazioni industriali costituisce uno snodo centrale epropedeutico rispetto al processo che dovrebbe condurre alla costi-tuzione di un CAE. Ciò è quanto emerso sia nel rapporto Verso la co-stituzione del CAE nel Gruppo Cremonini. La struttura del gruppo e le rela-zioni sindacali, sia dalle interviste che abbiamo realizzato,

3.1. La produzione

Nel settore della produzione, l’azienda viene descritta come «un’a-zienda ermetica», in quanto preferisce stabilire rapporti locali e rela-zioni nazionali ma solo a livello di informazione e non di trattativa odi contrattazione. È un’azienda gestita dall’anziano proprietario, chenon ha ancora fatto il salto da una gestione artigianale («manage-riale familiare») ad una gestione più industriale che la realtà richie-derebbe: «manca un salto culturale per quello che concerne le rela-zioni industriali».

Anche la responsabile delle HR è legata ad un modello di relazio-ni industriali anni Settanta.

Le relazioni sindacali sono comunque soddisfacenti. Il fatto di costrui-re relazioni che siano più pregnanti... siamo ancora distanti.

Il sindacato può fare di più? La Cremonini, ci è stato detto:

È un’azienda che avvolge il lavoratore in una logica familiaristica. Il la-voratore è infatti attento alle decisioni della famiglia e quindi non si e-spone facilmente su tematiche sindacali.

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L’avvicinamento sindacale, in questa realtà aziendale, non è quin-di facile. L’azienda infatti vede il sindacato prevalentemente rispettoad una logica conflittuale «Il sindacato non viene visto come un sog-getto che fa accordi [...] l’azienda non è che non ti riconosce, ma tiriconosce nel conflitto».

Nel caso di Modena e dell’intera regione Emilia-Romagna, nelleinterviste, emerge come «manchino relazioni sindacali all’avanguar-dia». Gli accordi sindacali vengono fatti, ma corrispondono princi-palmente ad una traduzione di quello che l’azienda stabilisce: «io stoparlando del nostro mondo, poi gli atteggiamenti che hanno nellaristorazione e altro... non so se hanno lo stesso rapporto».

Vengono ricordati i conflitti tra le organizzazioni sindacali che sisono generati nel corso degli anni (viene riferito di un referendumsu un accordo nella struttura di Modena; tale accordo non trovava ilriscontro positivo della CGIL). La presenza di conflitti tra le orga-nizzazioni sindacali rappresenta, chiaramente, un elemento di osta-colo a processi di confronto e unitariamente propositivi.

Dal punto di vista delle relazioni industriali, attualmente si puòparlare di una realtà sufficientemente tranquilla, anche se l’aziendatenta di spingere in altra direzione. Negli ultimi tempi, il settoredella carne (con stabilimenti solo in Italia e con grandi commessecome McDonald) sta cercando di uscire dal CCNL: «questo crea unaserie di preoccupazioni».

3.2. La distribuzione

Nel settore della distribuzione, dove è alto il livello di terziarizza-zione di attività all’interno dei magazzini, una provincia crucialenella mappa occupazionale del gruppo – Rimini – fa registrare unanetta predominanza della CGIL, con 60 iscritti alla FILCAMS e lapresenza di una RSU, appena rinnovata (giugno 2014), composta da9 delegati, di cui 8 FILCAMS CGIL e 1 FISASCAT CGIL, in rappre-sentanza 5 magazzini di distribuzione

Sempre rispetto al territorio di Rimini, la contrattazione integrati-va attualmente non è presente; il contratto territoriale è scaduto daanni ma c’è un protocollo sugli appalti, siglato alla fine degli anni

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Novanta, che non è stato disdettato, che vincolerebbe la MARR adun confronto preventivo ogni volta che si ipotizzi l’esternalizzazionedi parti di attività, protocollo che però non ha trovato applicazionenei tempi recenti. Le esternalizzazioni di mansioni/attività produttivevengono compiute individualmente, senza mediazione collettiva, coni lavoratori, ai quali viene direttamente proposto di proseguire ilproprio impiego presso l’azienda mediante l’assunzione da parte diuna società terza.

Viene infatti adottata la politica dei piccoli passi: la graduale esterna-lizzazione di alcuni reparti, un po’ alla volta. Viene detto ai lavoratoriche troveranno le stesse condizioni nelle società terze, ma così non è,perché le società terze sono società piccole, dove non sono presenti lestesse tutele presenti nella MARR, come ad esempio la CIG.

Quindi sono presenti sempre più appalti con tutte le problemati-che connesse. Nella provincia di Rimini emerge l’esistenza di rela-zioni sindacali che possono essere descritte come «fredde» dove l’a-zienda tende a dare risposte parziali e «con il contagocce» alle richie-ste sindacali e in tempi spesso molto lunghi. Le relazioni sindacali sisono poi irrigidite dopo il licenziamento da parte di MARR di undelegato FILCAMS, membro della segreteria e rappresentante deilavoratori sulla sicurezza; successivamente ad esternazioni sulla sicu-rezza a mezzo stampa, l’azienda lo ha licenziato per motivi discipli-nari. La vicenda ha avuto delle ricadute sia sul tasso di sindacalizza-zione sia sul livello di coinvolgimento dei lavoratori, che hanno pau-ra di vivere simili situazioni.

Dalle interviste emerge come «le relazioni sindacali, dall’azienda,non siano vissute come un valore aggiunto per fare un salto di qua-lità», tanto che i contratti vengono letti in sede di incontri tra sinda-cati e parte datoriale, come leggi, senza cogliere gli intenti delleparti contenuti nel contratto stesso.

Un ulteriore esempio di un approccio rigido dell’azienda rispetto aquestioni delicate, che possono riguardare anche eventuali violazionialla legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), è dato da un evento cheriguarda il posizionamento di telecamere all’interno di uno dei ma-gazzini di distribuzione in assenza di un previo accordo con le RSU.

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3.3. La ristorazione

Per quello che concerne la ristorazione – considerata l’articola-zione di questa area di business, con i due comparti distinti (ristora-zione on board e ristorazione commerciale) e la presenza in diversipaesi europei – è possibile segnalare come tutti questi paesi siano ac-comunati dal recepimento della direttiva europea Working conditionsof mobile workers engaged in interoperable cross-border services in the railwaysector9, normativa che disciplina appunto le condizioni dei lavoratoriimpegnati nei servizi a bordo treno a livello transnazionale, che fungeda «base» per gli accordi e contratti sviluppati nei singoli paesi.

In tutti gli Stati si assiste ad un graduale peggioramento dei capi-tolati d’appalto delle gare, soprattutto a causa di un forte conteni-mento dei costi che porta spesso alla vittoria della proposta econo-micamente più vantaggiosa, premiando quindi il meccanismo delmassimo ribasso. È evidente come questa tendenza abbia già avutoimportanti ripercussioni sulle condizioni di lavoro nei diversi paesi.

4. Il tentativo di costituzione di un CAE

Per quello che concerne le aree direttamente investigate con leinterviste realizzate a luglio 2014, e precisamente l’area produzionee l’area distribuzione, la situazione risulta immutata rispetto a quantoemerso dall’indagine realizzata nell’ambito del progetto europeoVerso la costituzione del CAE nel Gruppo Cremonini. La struttura del grup-po e le relazioni sindacali.

Sulla base delle informazioni raccolte in sede FLAI CGIL, è possi-bile riferire che – a conclusione del progetto europeo – è stata re-datta una lettera (condivisa dalle varie categorie CGIL coinvolte), dainviare al Gruppo Cremonini, per avviare una negoziazione relati-vamente al CAE. Rispetto a questa lettera, mentre scriviamo questenote, non è ancora pervenuto alla CGIL un feedback da parte di FAI-CISL e UILA-UIL.

9 http://europa.eu/legislation_summaries/employment_and_social_policy/employment_rights_and_work_organisation/l24266_en.htm.

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Viene evidenziato come, al momento, l’unico settore che potrebbeavviare un processo di apertura per la costituzione del CAE, potreb-be essere quello della ristorazione. La FLAI infatti copre la parteproduttiva che è presente solo in Italia, quindi non sono presenti irequisiti per la creazione di un CAE.

L’informazione è che Cremonini avrebbe perso la ristorazione abordo treno perché assegnata, tramite bando, a un’altra società, Iti-nere. L’azienda, oltre a mantenere in Italia una serie di servizi di lo-gistica all’interno delle stazioni, resta presente in Spagna, Inghilterrae Francia. «Questo ci darebbe la possibilità di costituire un CAE», di-cono al sindacato (FILT), sebbene essa rimanga ancora condizionatadall’acquisizione o perdita degli appalti.

Nelle interviste che abbiamo effettuato ci è stato sottolineato comela presenza del commercio, della ristorazione e della produzione ri-chiederebbe, solo in Italia, l’accordo di nove strutture di categoria:processo non facile: «questo per quanto riguarda l’Italia. Poi neglialtri paesi potrebbe esserci una composizione sindacale diversa».

La posizione dell’azienda, dal canto suo, è molto chiara, ed è discarsa disponibilità.

È vero che c’è un obbligo da parte della normativa europea, e che nonpotrebbero dire no alla costituzione del CAE, ma le cose sono più com-plicate. Anche se riuscissimo a trovare un accordo tra noi, ci sarebbeuna forte resistenza da parte dell’azienda.

L’ampliamento che si profila coi recenti accordi con la Russia noncontribuisce in alcun modo alla costituzione di un CAE, trattandosidi un paese fuori dai confini dell’UE. Fornisce però delle informa-zioni rispetto alle struttura complessa dell’azienda; «quindi è moltocomplicato sia da un punto di vista sindacale sia da un punto di vistaaziendale perché l’azienda non si è mai spesa in queste cose».

La FLAI, ad esempio, non è mai riuscita a fare neppure un accor-do di gruppo.

Viene inoltre ricordato, in termini generali, che sarebbe «un CAEsoggetto alle gare di appalto, e quindi nel rischio di decadere da unmomento all’altro», e che nella Cremonini ogni stabilimento è una

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realtà a sé stante. La maggior parte della manodopera (settore pro-duzione) è in appalto sotto un unico consorzio (Euro 2000), con ilquale la FLAI sta lavorando per raggiungere un accordo sulle rela-zioni sindacali.

In tutti gli stabilimenti ci sono accordi di secondo livello stipulaticon l’azienda, ma non è stato mai stato firmato un accordo di grup-po «e quindi la costituzione del CAE è l’ultimo dei loro pensieri».

La sensazione è che «se i rapporti sindacali sono forieri per la co-stituzione di un CAE, in questa realtà è difficile avviare un processoutile alla realizzazione di tale Comitato».

Si conferma così che «le condizioni che giocano nel meccanismoper la costituzione di un CAE sono davvero moltissime, per lo meno,visto dalla parte produzione».

L’interlocuzione con la FILCAMS, per la parte della distribuzione,conferma quanto descritto dagli interlocutori FLAI.

La cosa straordinaria è che siamo di fronte alla proposta di un nego-ziato CAE multisettoriale. Questa è un’azienda che ha delle specificità,quindi il CAE diventa multisettoriale, perché abbraccia più categoriedi lavoratori [...]. Quando ci sono più settori, e quindi il coinvolgi-mento di CISL e UIL su più settori, si apre uno scenario di dinamichepiù complesse. La partita si rallenta notevolmente.

Un aspetto che viene evidenziato riguarda, anche qui, i rapporticomplessi con la parte imprenditoriale MARR S.p.A. Realtà difficile,nella quale di recente vi è stato il licenziamento di un RLS ancoranell’esercizio delle sue funzioni.

Viene inoltre evidenziato come il forte nucleo italiano rende la si-tuazione diversa da quelle più diffuse.

Siamo in una condizione diversa da quelle in cui il controllo è digruppi non italiani. In questo caso, invece, il pezzo più grande è inItalia. E quindi anche nel campo delle relazioni industriali è la politi-ca italiana che fa da traino rispetto agli altri paesi.

Rispetto al futuro viene riferito che:

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negli incontri che periodicamente tentiamo di tenere, cerchiamo di fareun passo in avanti [...]. Ma è sempre terribilmente difficile. La com-plessità dell’azienda e le sue dimensioni, il coinvolgimento delle altresigle sindacali, la presenza di appalti, e quindi la mobilità della po-polazione aziendale, una gestione molto tradizione dell’azienda, tuttoquesto tende a ostacolare la partenza di un CAE. Fare una previsione,in questo momento, è un azzardo.

5. La formazione

I delegati, per la parte FLAI, sono informati relativamente allanormativa, e ciò anche grazie al breve percorso formativo realizzatonell’ambito dell’indagine sopra indicata. Una iniziativa durante laquale è stata sottolineata l’importanza del nesso fra le relazioni sin-dacali di livello nazionale e quelle di livello internazionale. Anchenell’ambito di un’azienda come la Cremonini.

I delegati FLAI coinvolti sono quindi mediamente consapevoli del-l’opportunità che un CAE potrebbe offrire.

Abbiamo cercato di far capire l’importanza di avere relazioni più alte,sia per quanto riguarda i ritorni sulla propria attività territoriale onazionale, sia per scambiare esperienze con altri lavoratori di altripaesi. Abbiamo cercato di far capire l’importanza dell’informazione inuna azienda come la Cremonini, ramificata in tutto il mondo. I nostridelegati sono consapevoli di questa opportunità. È interesse di tutticapire le strategie del gruppo.

Anche in FILCAMS, fra i delegati della categoria, abbiamo ri-scontrato una diffusa consapevolezza riguardo al valore aggiuntorappresentato dalla possibilità di avere un CAE. Qualche differenzadi approccio sembra legata alla provenienza geografica. I nostri in-tervistati ci riferiscono ad esempio di una maggiore consapevolezzaal Nord:

il problema è anche in base alle aree geografiche. Ci sono aree geo-grafiche dove hanno una consapevolezza maggiore del ruolo e in altre

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meno. Al Nord è politicamente, tra virgolette, più elevata la consape-volezza. Sicuramente più elevata è la consapevolezza del ruolo, mag-giormente viene valutata l’importanza della costituzione di un CAE.Anche perché le direttive provengono dalla Corporate e quindi nono-stante Cremonini sia italiana, siamo in una fase diversa rispetto aquello che sono solitamente i CAE. Le aziende nascono in altri paesidel mondo e poi l’Italia è un pezzo mentre il pezzo più grande, in que-sto caso, è italiano e di conseguenza quello che fa da traino è la politi-ca italiana rispetto agli altri paesi [...]. Qualche mese fa è stato fattoun momento di formazione per i delegati Chef Express e quindi imma-gino sia stata veicolata anche l’importanza del CAE. [...] Del ruolo sene parla nelle assemblee, ma al momento sono pressanti altre proble-matiche».

Grazie alla presenza di nuove RSU, viene sottolineata la necessitàdi un processo di sensibilizzazione sul tema dei CAE.

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PARTE SECONDA

Analisi e prospettive

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1. Premessa

Nel settembre del 1994, dopo un duro confronto tra le parti so-ciali ed un iter legislativo durati oltre due decenni, fu adottata la di-rettiva europea relativa alla costituzione dei Comitati aziendali euro-pei (CAE) in imprese multinazionali operanti nell’Unione Europea,anche se con casa madre extraeuropea.

Jacques Delors, presidente della Commissione Europea dal 1985al 1995, fin dall’avvio del suo mandato aveva dato impulso ad unarinnovata dimensione sociale nella costruzione europea, ritenendoche quest’ultima non potesse limitarsi alla sola realizzazione di ungrande mercato unificato, ma che, al contrario, vi fosse un legameinscindibile tra aspetti economici e sociali. L’entrata in vigore nelnovembre 1993 del Trattato di Maastricht portava a compimento ilprogetto, avviato nel 1957 col Trattato di Roma, di un grande mer-cato europeo all’interno del quale – unificando le regole economichee sociali – fosse possibile la libera circolazione e mobilità dei cittadi-ni, dei beni e delle imprese, riconoscendo alle organizzazioni euro-pee (interprofessionali e settoriali) delle parti sociali uno spazio edun ruolo fondamentali d’informazione, consultazione e negoziazionecollettiva. Alla Commissione era assegnato il compito di favorirequesto processo, sostenendo lo strumento del dialogo sociale tra leorganizzazioni datoriali e sindacali – a livello europeo, nazionale e

* Direttore del SINDNOVA; esperto e consulente di Comitati aziendali europei.

I CAE: il livello più avanzato di coinvolgimentodei lavoratori nelle imprese multinazionali.

Ma restano problemidi Claudio Stanzani*

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CLAUDIO STANZANI

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d’impresa – al fine di superare ogni ostacolo alla coesione economicae sociale ed alla realizzazione del mercato interno.

La CES, Confederazione Europea dei Sindacati, negli anni Ottantaed ancor più negli anni Novanta, con la segreteria di Emilio Gaba-glio, era finalmente un attore ed un partner fondamentale di questastrategia che nel giro di poco più di un decennio portò alla emana-zione di fondamentali direttive in materia di diritti d’informazione econsultazione dei lavoratori nelle imprese ed alla definizione di nuo-ve basi giuridiche per una dimensione negoziale europea.

In questo quadro s’inserì l’emanazione della direttiva 94/45/CE del22 settembre 1994, istitutiva dei Comitati aziendali europei o di unaprocedura per l’informazione e consultazione dei lavoratori nelleimprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie. Allorafu fortemente voluta dal sindacato europeo, soprattutto nella suacomponente francese e tedesca, sebbene vista con qualche diffidenzada quelle culture sindacali che vedevano in questi organismi europeiun rischio di indebolimento per le tradizionali relazioni e rappre-sentanze a livello locale.

Agli inizi degli anni Novanta, e nei mesi che seguono Maastricht,la situazione economica e sociale appare profondamente sbilanciata,se non aggravata, a favore delle imprese, che nel nuovo mercato in-terno e globale possono approfittare al meglio della libertà di delo-calizzare e riorganizzare i propri centri di attività produttiva e serviziin ciascuno dei paesi membri dell’Unione.

A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, in alcune multi-nazionali – soprattutto francesi e tedesche (Thomson, Danone, Volks-wagen, ecc.) – i Comitati aziendali centrali a livello di gruppo sento-no il bisogno di prepararsi e di allargare alla dimensione transna-zionale il confronto con le direzioni aziendali. Chiedono dunque ilcoinvolgimento e la partecipazione, a questi organismi, anche dirappresentanti di lavoratori provenienti da unità produttive di altripaesi europei. Con apposite intese sindacali, il perimetro dei comi-tati centrali si allarga, e si anticipa così la possibilità di accordi vo-lontari che, successivamente, la direttiva del ’94 renderà ammissibiliper due anni ancora, fino al completamento delle trasposizioni deiCAE nelle legislazioni nazionali.

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In Italia, nei gruppi ENI, Ferrero, Pirelli ed altri si costituiscono, apartire dal ’90, i primi coordinamenti europei dei lavoratori che an-ticipano un’esperienza d’informazione e consultazione in attesadell’emanazione della direttiva.

Nel ’93, però, la direttiva non vede ancora la luce ed il sindacatoeuropeo fatica a ricevere le deleghe necessarie dalle organizzazioninazionali, perplesse – se non preoccupate – di perdere prerogative.

Nella primavera del 1993 scoppia l’affaire Hoover. La multinazionaleamericana annuncia di voler chiudere il suo stabilimento di produzio-ne in Francia e di trasferire le attività in Scozia, per profittare deimaggiori vantaggi fiscali e contrattuali offerti da questa regione. Lacomunicazione, data dai giornali, provoca la collera dei lavoratori edei sindacati francesi, perché la scelta dell’impresa non era stata co-municata preventivamente e nessuno scambio d’informazioni era statopossibile tra i rappresentanti dei lavoratori a livello sovranazionale.

L’affaire Hoover mostrava la debolezza del progetto di mercato uni-co delle imprese, privo di un bilanciamento di garanzie e di diritti afavore dell’informazione e consultazione preventiva dei lavoratoriinteressati e di uno strumento efficace di collegamento e scambio so-lidale transnazionale tra i lavoratori coinvolti.

In questo quadro, e come risposta al clamore suscitato dalla vicendadella multinazionale americana, la Commissione Europea – dopo untentativo fallito di negoziato tra CES e UNICE (oggi Business Euro-pe)1 – riprese il progetto e portò a compimento la direttiva 94/45/CEistitutiva dei Comitati aziendali europei o di procedure d’informazio-ne e consultazione in imprese multinazionali.

2. L’informazione e consultazione dei dipendentinelle imprese multinazionali

In estrema sintesi, i CAE previsti dalla direttiva e soprattutto dagliaccordi costitutivi sono organi di rappresentanza dei lavoratori in

1 Il tentativo di accordo, secondo il protocollo sociale di Maastricht, fallisce allavigilia della Pasqua 1993, per l’intransigente opposizione del padronato britannico.

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imprese o gruppi d’imprese con più di mille dipendenti nel perime-tro dell’Unione Europea ed almeno centocinquanta in due Statimembri. I rappresentanti dei lavoratori, designati dal sindacato oeletti direttamente dai lavoratori2, siedono nei CAE ed hanno il di-ritto a riunirsi almeno una volta l’anno e di essere informati e con-sultati preventivamente dalla direzione centrale in merito alla situa-zione e agli sviluppi dell’impresa, come pure con riferimento a qua-lunque decisione significativa che possa comportare conseguenze, inalmeno due paesi, sulla forza lavoro del gruppo multinazionale.

La direttiva del ’94 è stata modificata nel 2009 (direttiva 2009/38/CE).Il nuovo testo ha rafforzato le definizioni d’informazione e di con-sultazione, il rapporto col sindacato, la comunicazione con i lavora-tori dei singoli siti produttivi, la formazione dei membri e l’assi-stenza di esperti.

I diritti di informazione e consultazione dei lavoratori costituisconoelementi essenziali non solo dei sistemi nazionali di relazioni indu-striali ma dello stesso modello sociale europeo. È bene però chiarireesattamente cosa intende la direttiva europea per informazione e perconsultazione e, inoltre, a cosa può servire l’esercizio di questi diritti.La direttiva 2009/38/CE ci offre, all’art. 2, le seguenti definizioni:

f) «informazione», la trasmissione di dati da parte del datore di lavoroai rappresentanti dei lavoratori per consentire a questi ultimi di pren-dere conoscenza della questione trattata e di esaminarla. L’informa-zione avviene nei tempi, secondo modalità e con un contenuto appro-priati che consentano ai rappresentanti dei lavoratori di procedere auna valutazione approfondita dell’eventuale impatto e di preparare,se del caso, la consultazione con l’organo competente dell’impresa didimensioni comunitarie o del gruppo di imprese di dimensioni comu-nitarie;g) «consultazione», l’instaurazione di un dialogo e lo scambio di opi-nioni tra i rappresentanti dei lavoratori e la direzione centrale o qual-siasi altro livello di direzione più appropriato, nei tempi, secondo mo-

2 A seconda delle legislazioni o prassi nazionali in materia di rappresentanza deilavoratori nelle imprese.

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dalità e con contenuti che consentano ai rappresentanti dei lavoratori,sulla base delle informazioni da essi ricevute, di esprimere, entro untermine ragionevole, un parere in merito alle misure proposte allequali la consultazione si riferisce, ferme restando le responsabilitàdella direzione, che può essere tenuto in considerazione all’interno del-l’impresa di dimensioni comunitarie o del gruppo di imprese di dimen-sioni comunitarie; [...]

Da due decenni ormai, i CAE rappresentano in Europa uno stru-mento indispensabile ed insostituibile della strategia di relazionisindacali nelle imprese multinazionali.

La competizione globale, l’aggravarsi della situazione economica edella crisi industriale hanno comportato un’impennata dei processidi ristrutturazione delle imprese. Le procedure di informazione econsultazione svolte attraverso i CAE hanno agevolato, in tante si-tuazioni, una gestione solidale e contrattuale delle situazioni di mag-giore difficoltà, permettendo al sindacato locale di collocare, spessoanticipando, il confronto con la direzione del gruppo al livello cen-trale.

In tante, troppe situazioni, i sindacati nazionali non hanno mo-strato, o non mostrano ancora, di comprendere o, peggio, di volereutilizzare questo strumento per un qualche timore.

3. I CAE: un laboratorio di comunicazione transnazionale

3.1. I soggetti coinvolti

Oggi sono costituiti e funzionanti oltre 1.000 CAE, in rappresen-tanza di circa 18 milioni di lavoratori. Se si considera che in ogniCAE siedono in media 20 membri, attualmente oltre 24 mila rappre-sentanti di lavoratori provenienti da tutti i paesi membri dell’U-nione, ma in molti casi anche da paesi candidati ed extra UE, sonocoinvolti in procedure e incontri a carattere transnazionale.

Per i partecipanti, e non solo per loro, i CAE rappresentano unaesperienza straordinaria e un laboratorio di comunicazione unico,nel suo genere, per importanza.

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Tra i soggetti coinvolti nel funzionamento di un CAE gli intreccirelazionali e comunicativi sono molteplici e fortemente condizionatida fattori oggettivi e soggettivi.

3.2. La qualità comunicativa del management

La qualità della comunicazione è fondamentale al buon funziona-mento dei CAE e riguarda il management (centrale e locale), i membridel CAE, il sindacato e l’insieme dei lavoratori del gruppo multina-zionale. Si tratta di condividere o celare informazioni, di includere odiscriminare, di dialogare o confliggere, di superare o costruire pre-giudizi, ecc.

Nel successo e nell’efficacia di un CAE, il management del gruppomultinazionale gioca un ruolo importante. Ma qual è la cultura direlazioni umane e sindacali della multinazionale? Questa cultura puòfacilitare o impedire – con politiche paternalistiche o autoritarie –nel management dell’impresa il dialogo con i rappresentanti dei lavo-ratori. Importanti, nella qualità della comunicazione, sono le politi-che premianti e di carriera dei manager, la trasparenza e la gerar-chia di comando nei processi decisionali, ecc. Le direzioni aziendalinon possono sapere tutto, e spesso i lavoratori conoscono cose che ilmanagement dovrebbe conoscere, ma non conosce. Organismi di rappre-sentanza dei lavoratori, come i CAE, possono raccogliere e aggrega-re informazioni, valutazioni e aspettative dei lavoratori, che sonospesso inaccessibili al management e la cui ricerca costerebbe, comun-que, oneri economici importanti per l’azienda. Pensiamo, ad esem-pio, ai temi della valutazione dei posti di lavoro e dei rischi lavorati-vi, ai processi d’innovazione tecnologica ed organizzativa, ai bisognidi formazione, ecc.

Le decisioni aziendali migliorano se queste devono essere comuni-cate e giustificate ad un ben informato e attrezzato organismo dirappresentanza dei lavoratori. Di norma, la presa di decisioni secon-do procedure di democrazia industriale prende più tempo. Alla fine,però, i risultati sono migliori. Il management, che deve informare econsultarsi con i rappresentanti dei lavoratori, è costretto a conside-rare e valutare prima tutte le alternative, in modo da soddisfare, poi,

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eventuali domande e obiezioni. Questo eviterà un maggior rischiod’errore, favorirà il consenso, la prevenzione del conflitto e daràmaggiori garanzie sui risultati. Se un’azienda può dimostrare di es-sere in una crisi profonda e che è disposta a gestire con i lavoratorila necessità di equi sacrifici, può contare sul senso di responsabilità esul sostegno dei rappresentanti dei lavoratori in cambio di un loromaggior controllo sulle misure di aggiustamento concordate (au-mento della produttività, gestione degli esuberi, riduzione dell’ora-rio di lavoro, ecc.).

Oggi si richiede nelle imprese un decentramento delle competen-ze (post-fordismo); la responsabilità, l’auto-motivazione e l’autocon-trollo nel lavoro richiedono un’identificazione con l’organizzazione,che non può essere imposta, ma solo negoziata e praticata con laqualità della comunicazione e con il consenso.

3.3. Le difficoltà interculturali dei rappresentanti dei lavoratori nel CAE

Non poche sono le barriere culturali e linguistiche tra i membridel CAE. Pochi rappresentanti dei lavoratori, infatti, possiedonoabilità linguistiche ed esperienza internazionale; a queste difficoltà,superabili, in via pratica, con interpreti, traduttori e corsi di lingue,si sommano stereotipi e pregiudizi legati anche alla comunicazionenon verbale. Senso della puntualità e rispetto dei tempi, chiarezzaespositiva, postura nelle riunioni, atteggiamento d’ascolto, gestualità,ecc. concorrono fortemente a creare un clima di rispetto o di diffi-denza nella comunicazione e nell’ascolto dell’informazione e delpunto di vista altrui.

Questi aspetti non vanno sottovalutati e, di norma, costituisconouno dei primi argomenti di formazione dei nuovi membri di unCAE. Le barriere culturali dipendono, inoltre, dalle diverse motiva-zioni e interessi che ciascuno mette nella sua presenza nel CAE. Ilrappresentante dei lavoratori proveniente dal paese o dal centro diattività della casa madre del gruppo multinazionale è portato a rite-nersi un po’ più uguale degli altri ed a far valere la sua vicinanza con ilquartier generale del management (anche perché spesso la linguaprincipale di lavoro è la sua). Il rappresentante proveniente da un

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centro di attività di recente acquisizione o geograficamente periferi-co, è portato a marginalizzarsi oppure ad assumere toni conflittuali.

Questi ed altri problemi nella comunicazione, per essere superati,hanno bisogno di strategie formative, favorite dalla cultura azienda-le, e da un lavoro attento di facilitatori esperti.

3.4. La diversità dei modelli e delle prassi nazionali di relazioni industriali

L’Europa sociale è una realtà con molte acquisizioni comuni, mache vive ancora delle singole tradizioni sociali e, in materia di rela-zioni industriali, di differenti modelli nazionali (es. sindacato unico opluralismo sindacale, sindacato ideologico e/o confessionale o sinda-cato professionale, rappresentanze nei posti di lavoro solo sindacalio universali, livelli della contrattazione collettiva e strumenti di par-tecipazione nelle imprese, ecc.). La scarsa o nulla conoscenza del mo-dello altrui può generare incomprensione tra i componenti del CAE.

I membri del Comitato devono apprendere ad avere fiducia reci-proca, ma per questo devono saper ascoltare e comunicare. Spesso illoro atteggiamento, nei confronti dei differenti modelli di rappre-sentanza e di relazioni industriali in Europa, è simile a quello di tifo-si di calcio, convinti ciascuno che il proprio campionato sia il miglio-re e il più competitivo. Ma il motivo di questo atteggiamento è checonoscono solo quello! Comunicare, in questo caso, significa spiega-re ai proprio colleghi nel CAE, in modo semplice e comprensibile,strutture contrattuali oppure procedure di gestione dei conflitti spes-so molto complesse.

Ancora una volta fondamentali sono la formazione dei membri edil ruolo dell’esperto. A regime e superata la fase di conoscenza reci-proca, la comunicazione riguarderà lo scambio d’informazioni suitemi specifici, ad esempio: la gestione di un processo di ristruttura-zione, la sperimentazione di una nuova organizzazione del lavoro,l’avvio di politiche di tutela ambientale di sviluppo sostenibile se-condo codici di condotta condivisi, ecc. Ancora la qualità della co-municazione è fondamentale; questa deve servire a confrontareesperienze ed a decodificare lessici – il «sindacalese» – spesso intra-ducibili o con significati che possono essere fuorvianti.

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3.5. I tempi e le modalità della comunicazione

La comunicazione tra i membri di un CAE deve servire: a indivi-duare le priorità da sottoporre alla direzione, a scambiare informa-zioni ed a condividere un punto di vista, a definire un’opinione eduna strategia comune per influenzare il processo decisionale del ma-nagement, ad allertarsi reciprocamente in caso di necessità. Per farequeste cose occorre costruire, come si è detto, un livello alto di fidu-cia reciproca tra i membri del CAE e disporre di strumenti di comu-nicazione tempestivi, continui, autonomi (dalla direzione) ed affida-bili. La qualità di lavoro di un CAE non si giudica solo sul numero esui risultati degli incontri annuali, ma anche, e forse soprattutto,sulla qualità e l’intensità degli scambi che avvengono tra i membritra una riunione e l’altra; questi scambi sono favoriti da strumentiche la direttiva europea indica solo in modo generico, ma che gli ac-cordi costitutivi dei CAE possono specificare anche attraverso unproprio regolamento. Molti CAE dispongono di strumenti di comu-nicazione tradizionali (telefono, fax), altri di siti web dedicati, di in-tranet, di reti collegate in facebook o twitter, altri ancora di newsletter ovideoconferenze.

Questi strumenti, spesso non di uso comune a tutti, sono fonda-mentali e il loro onere economico è a totale carico della direzionedel gruppo multinazionale.

La e-comunication è la nuova frontiera nel lavoro dei membri deiCAE e le esperienze si vanno diffondendo in modo interessante. At-traverso questi strumenti è possibile condividere informazioni, do-cumenti, ma anche consenso su posizioni ed accrescere la democra-zia nel funzionamento interno del CAE.

4. Conclusioni

I CAE sono uno strumento fondamentale, se non unico, per la di-fesa sindacale degli interessi dei lavoratori nelle imprese multinazio-nali. Questo strumento è spesso poco conosciuto e compreso, però,nel perimetro di lavoro sindacale col rischio di spingere questi orga-

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nismi verso forme d’isolamento autarchico o di subordinazione alledirezioni aziendali.

La gestione della comunicazione rappresenta ancora una sfida im-portante per i membri dei CAE, sia dal lato dei lavoratori stessi chedel sindacato. Un adeguato e continuo canale di sostegno e di scam-bio tra il sindacato (europeo, nazionale, locale) ed i membri dei co-mitati è indispensabile al fine di adempiere pienamente i diritti d’in-formazione e consultazione previsti dalle direttive europee 94/45/CEe 2009/38/CE e dare un quadro strategico coerente all’azione sinda-cale di anticipazione solidale dei processi di ristrutturazione e mobi-lità dei gruppi multinazionali.

La difesa degli interessi locali, le diverse tradizioni di relazioni in-dustriali e le differenze culturali fanno spesso barriera ed impedi-scono la ricerca, specie nelle situazioni di crisi, di soluzioni condivise.

C’è ancora un enorme bisogno di formazione sindacale per raffor-zare nei dirigenti sindacali la conoscenza delle basi legali e dellebuone pratiche in materia di CAE e per ridurre i rischi di pregiudi-zio o diffidenza, legati, ad esempio, alla mancanza di competenzelinguistiche od alla non comprensione dei diversi sistemi di rappre-sentanza o di relazioni industriali.

La presenza di esperti, nel funzionamento del CAE, nella relazio-ne col sindacato e nella progettazione dell’attività di anticipazione egestione delle informazioni è fondamentale.

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1. Il quadro normativo di riferimento

L’idea d’impresa europea1 si muove sulle libertà fondamentali (li-bera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali, delle persone)previste dal Trattato CE, e trova nei diritti di coinvolgimento dei la-voratori, diritti sociali fondamentali, lo strumento correttivo delle ri-cadute sociali negative sui lavoratori che le vicende delle impresepossono produrre2. Il diritto sociale fondamentale dei lavoratori aessere informati e consultati mira a coinvolgerli nella gestione delleimprese anche al fine di anticipare il cambiamento e i rischi3. I Co-mitati aziendali europei svolgono questa precipua funzione, come ènoto, nelle imprese di dimensioni comunitarie.

Queste ultime, per la loro dimensione e articolazione, sono le piùinclini a usufruire dei vantaggi della libera circolazione4. Tuttavia,tali vantaggi non devono creare disuguaglianze di trattamento dei

* Giuslavorista; ricercatore incaricato del progetto.1 Sul punto più diffusamente S. Leonardi nel capitolo introduttivo di questo vo-

lume.2 Sul punto sia consentito il rinvio a G. Verrecchia, Informazione e consultazione dei

lavoratori: i minimi inderogabili nel d.lgs. 25 del 2007, in Diritti Lavori e Mercati, n. 2,2008, pp. 339 e ss.; G. Verrecchia (ed.), European Work Council and Sectoral SocialDialogue: going along together to overcome the crisis, FABI, 2011.

3 Sul punto cfr. G. Arrigo, G. Casale, La partecipazione dei lavoratori, Ediesse,2011, pp. 7 e ss.

4 Si veda il contributo di G. Guglielmi in questo volume nella parte relativa alleTNC che eludono l’applicazione della direttiva CAE.

I CAE: profili normativi e aspetti problematicidi Giorgio Verrecchia*

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GIORGIO VERRECCHIA

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lavoratori sui quali incidono le decisioni dell’impresa. Sono questi itermini di confronto tra impresa e lavoro nella direttiva 2009/38.

Dal punto di vista tecnico-giuridico, deve essere osservato che lascelta di procedere alla «rifusione»5 è una soluzione affatto scontatagiacché l’organizzazione europea dei datori di lavoro (prima UNI-CE, ora Business Europe) spingeva per una revisione su base nego-ziale di ogni singolo aspetto della direttiva 94/45/CE. Come noto, la«rifusione» è una procedura legislativa che consente di pervenireall’approvazione della direttiva in tempi più brevi6 limitando la pro-posizione di emendamenti da parte del Parlamento europeo e delConsiglio alle sole parti da modificare della direttiva precedente. Larifusione, infatti, consiste nell’adozione di un nuovo atto normativoche integra in un unico testo le modificazioni sostanziali che intro-duce in un atto precedente e le disposizioni lasciate immutate diquest’ultimo. Per l’approvazione del nuovo atto normativo (che, per-ciò, sostituisce e abroga il precedente) si segue il normale iter legi-slativo comunitario sulla base della procedura indicata nell’Accordointeristituzionale del 28 novembre 2001 «ai fini di un ricorso piùstrutturato alla tecnica della rifusione degli atti normativi»7.

Come noto, la direttiva 2009/38 modifica in più punti la prece-dente direttiva8, sicché le lacune che erano state evidenziate dalladottrina9 e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia10 sono state

5 G. Arrigo, Dalla «revisione» alla «rifusione» della direttiva 94/45, in G. Barbucci, G.Arrigo (a cura di), I Comitati aziendali europei tra vecchio e nuovo diritto, cit., p. 44.

6 S. Picard, Straightjacketing, time travelling and unifying: the multiple impact of the re-cast European works council Directive, in F. Dorssemont, T. Blanke (eds.), The recast ofEuropean works council Directive, Social Europe Series, n. 22, Intersentia, Antwerp -Oxford - Portland, 2010, p. 280.

7 Su cui v. l’Accordo interistituzionale del 28 novembre 2001 ai fini di un ricorsopiù strutturato alla tecnica della rifusione degli atti normativi (2002/C 77/01).

8 Per esigenze di «economia» nel presente contributo, non si procederà a com-mentare le disposizioni della direttiva di rifusione ma solo a proporre alcune osser-vazioni utili ai fini dell’analisi del recente recepimento italiano della direttiva citata.Per un commento della direttiva 2009/38 si rinvia, tra i tanti, ivi per ulteriori rife-rimenti bibliografici.

9 G. Dondi, Comitati aziendali europei: il d.lgs. n. 74 del 2002 per l’attuazione della di-rettiva n. 94/45/CE, in Argomenti di diritto del lavoro, 2003, p. 135.

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colmate, sebbene un nuovo punto critico emerga in relazione allanozione di transnazionalità da ultimo introdotta dal legislatore co-munitario.

Senza aver la pretesa di esaurire in queste poche righe il dibattitosulla transnazionalità11, si vuole solo sottolineare che la direttiva del2009 limita l’attività dei Comitati aziendali europei alle materie trans-nazionali. Così recitano, infatti, i considerando n. 15 e n. 16 della di-rettiva citata:

Ai lavoratori e ai loro rappresentanti devono essere garantite l’infor-mazione e la consultazione al livello pertinente di direzione e di rap-presentanza, in funzione della questione trattata. A tal fine la compe-tenza e l’ambito d’intervento del Comitato aziendale europeo devonoessere distinti da quelli degli organi di rappresentanza nazionali e de-vono essere limitati alle questioni transnazionali.

Prosegue il considerando n. 16:

È opportuno che il carattere transnazionale di una questione vengadeterminato prendendo in considerazione la portata degli effetti poten-ziali della questione medesima e il livello di direzione e di rappresen-tanza coinvolto. A tal fine sono considerate transnazionali le questioniche riguardano l’impresa o il gruppo nel suo complesso o almeno dueStati membri. Esse comprendono le questioni che, a prescindere dalnumero di Stati membri coinvolti, sono importanti per i lavoratori eu-ropei in termini di portata dei loro effetti potenziali o che comportanoil trasferimento di attività tra Stati membri.

L’art. 1 par. 3, della direttiva 2009/38, inoltre, prevede che:

10 Su cui sia consentito rinviare a G. Verrecchia, Il ruolo della direzione centrale pre-sunta e delle altre imprese del gruppo nella procedura di costituzione di un comitato azien-dale europeo, in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza sociale, II, 2004, pp. 826-847 e ivi per ulteriori riferimenti bibliografici.

11 Sul punto si rinvia a S. Leonardi (a cura di), European Action on TransnationalCompany Agreements: a stepping stone towards a real internationalisation of industrial rela-tions?, Ediesse, 2013.

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l’informazione e la consultazione dei lavoratori avvengono al livellopertinente di direzione e di rappresentanza, in funzione della questio-ne trattata. A tale scopo la competenza del Comitato aziendale europeoe la portata della procedura per l’informazione e la consultazione deilavoratori disciplinata dalla presente direttiva sono limitate alle que-stioni transnazionali.

La nozione di transnazionalità è data dal successivo par. 4 che sta-bilisce che:

Sono considerate questioni transnazionali quelle riguardanti l’impresadi dimensioni comunitarie o il gruppo di imprese di dimensioni comu-nitarie nel loro complesso o almeno due imprese o stabilimenti dell’im-presa o del gruppo ubicati in due Stati membri diversi.

Come noto, la direttiva 94/45 nel testo originario regolava le que-stioni transnazionali nelle disposizioni di riferimento: l’art. 6 faceva,infatti, riferimento »in particular to transnational questions which signifi-cantly affect workers’ interests». In altre parole, nella versione del 1994la questione transnazionale poteva essere considerata come un mini-mum minimorum, nel senso che operava solo in caso di applicazionedelle disposizioni di riferimento e la sua elencazione era da conside-rarsi esemplificativa.

Nella direttiva del 2009/38, invero, il riferimento alle questionitransnazionali è nel corpo della direttiva (cfr. art. 1 par. 3 secondocui «the competence of EWC [...] shall be limited to transnational issues»)che non ripropone la disposizione contenuta nel 16° considerando re-lativa alle questioni che, «a prescindere dal numero di stati membricoinvolti, sono importanti per i lavoratori europei» in termini diportata dei loro effetti potenziali o che comportano il trasferimentodi attività tra Stati membri12.

Se, da un lato, appare meritevole la scelta di disciplinare i rapporti

12 In questo senso è auspicabile l’intervento interpretativo della Corte di Giusti-zia che potrebbe aiutare a comprendere meglio la contraddizione tra la nozioneampia contenuta nei considerando e la versione più limitata di cui all’art. 1 della di-rettiva.

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tra i diversi livelli delle procedure di informazione e consultazionepresenti nella stessa impresa secondo un principio di sussidiarietàgiacché il livello competente è quello più vicino alla questione trat-tata, dall’altro lato (e conseguentemente) si restringe la competenzadel Comitato aziendale europeo e la portata della procedura per l’in-formazione e la consultazione de qua alle sole «questioni transnazio-nali» così come definite nell’art. 1 par. 4 della direttiva 2009/38/CE.

In conclusione, a mio parere, la limitazione delle materie a quelledi rilievo transnazionale (secondo la definizione della direttiva) co-stituisce una «riduzione» della competenza contrattuale delle parti.

È anche vero che l’ambito di competenza dei CAE potrebbe essereallargato, includendo le questioni che, a prescindere dal numero diStati membri coinvolti, sono importanti per i lavoratori europei intermini di portata dei loro effetti potenziali o che comportano il tra-sferimento di attività tra Stati membri di cui al considerando n. 16. Ciòpotrebbe avvenire mediante il coordinamento degli organismi dirappresentanza dei lavoratori nazionali con l’organismo transnazio-nale di rappresentanza.

Come noto, il 12 aprile 2011 Confindustria, ABl, ANIA e Conf-commercio - Imprese per l’Italia, da un lato, e CGIL, CISL, UIL,dall’altro, firmavano l’Avviso comune da sottoporre al Governo e alParlamento italiano, contenente la posizione condivisa dalle Parti so-ciali in merito all’attuazione delle disposizioni contenute nella diret-tiva 2009/38/CE, auspicando che il testo legislativo da approvare fos-se «conforme al testo tra esse [le parti sociali, n.d.r.] concordato».

Le parti stipulanti riconoscono che «l’informazione e la consulta-zione che si svolgono nell’ambito dei Comitati aziendali europei co-stituiscono un elemento di successo per affrontare tempestivamente iprocessi di adattamento alle nuove condizioni indotte dalla globaliz-zazione dell’economia, perché favoriscono un clima di reciproca fi-ducia e rispetto tra impresa e lavoratori. I Comitati aziendali euro-pei, infine, possono contribuire a creare un confronto positivo tra ledifferenti pratiche di relazioni industriali presenti nei paesi dell’U-nione, rafforzando lo sviluppo di un approccio condiviso nell’affron-tare le sfide che hanno di fronte le imprese e i lavoratori nei semprepiù rapidi e intensi processi di internazionalizzazione».

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L’avviso comune suggerisce una serie di «emendamenti» al decretolegislativo n. 74 del 2002 (che aveva recepito la direttiva 94/45/CE),elencando, di conseguenza, sostituzioni e addenda al testo normativodel 2002. Dal punto di vista strutturale, pertanto, l’avviso comune ri-spetta pienamente il d.lgs. n. 74/2002 (sotto il profilo dell’articola-zione numerica del testo) proponendo le medesime modifiche eabrogazioni di cui alla direttiva recast inserite nei relativi articoli deltesto normativo interno.

Sotto un profilo di merito, l’avviso comune del 12 aprile 2011 co-glie tutti gli emendamenti di cui alla direttiva 2009/38, raccoman-dando di dare attuazione a tutte le modifiche con la stessa intro-dotte.

Tuttavia, in alcuni punti l’avviso comune tace: si tratta della defi-nizione di «impresa controllante» di cui all’art. 3 della direttiva.

È possibile intuire il motivo per il quale l’avviso comune non si oc-cupa della definizione tecnica di impresa controllante (di cui, invece,all’art. 3 d.lgs. n. 113/2012). Infatti, le parti sociali si concentranosulle materie strettamente legate alle relazioni industriali e su tuttiquegli aspetti che consentono al CAE di svolgere efficacemente edeffettivamente la sua attività. Come noto, i criteri di cui all’art. 3 delladirettiva appena citata riguardano profili di diritto commerciale13

che non si iscrivono nelle normali dinamiche delle relazioni sindacali.Nel caso di specie l’avviso comune si premura di assicurare che la

direzione centrale presunta sia obbligata alla trasmissione delle in-formazioni ai rappresentanti dei lavoratori lasciando al legislatorenazionale il compito di definire i criteri di individuazione dell’im-presa controllante in attuazione dell’art. 3 della direttiva 2009/38.

La direttiva in esame è stata attuata in Italia con il decreto legisla-tivo n. 113/2012 di implementazione della direttiva 2009/38. Tutta-via l’analisi deve, a mio parere, partire dalla legge che ha delegato ilGoverno all’attuazione della norma comunitaria. Come noto, nor-

13 Nell’art. 3 par. 4 della direttiva sono stati così inseriti gli estremi del regola-mento n. 139/2004 che ha operato la rifusione del regolamento n. 4064/89 in ma-teria di controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese.

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malmente il legislatore adotta la legge cosiddetta comunitaria laddo-ve vengono indicati i criteri e i principi direttivi che devono informa-re l’attuazione interna delle direttive comunitarie.

In questo caso, è interessante dare conto dei criteri specificati nellalegge comunitaria giacché l’art. 2, comma 1, lett. g) della legge 4giugno 2010, n. 96, nel delegare l’esecutivo alla predisposizione deidecreti legislativi, uno relativo anche alla direttiva recast, introduceun riferimento di particolare interesse per gli studiosi di diritto dellavoro.

Il testo normativo citato, difatti, fa menzione delle esigenze di coor-dinamento tra le norme previste nelle direttive medesime e quantostabilito dalla legislazione vigente, con particolare riferimento allanormativa in materia di lavoro e politiche sociali, per la cui revisioneè «assicurato il coinvolgimento delle parti sociali interessate, ai finidella definizione di eventuali specifici avvisi comuni e dell’acquisi-zione, ove richiesto dalla complessità della materia, di un pareredelle stesse parti sociali sui relativi schemi di decreto legislativo». Sitratta di una esplicita citazione degli avvisi comuni che per un certoperiodo non erano stati menzionati dal legislatore per il timore cheil recepimento del contenuto di un contratto collettivo in un testo dilegge fosse in contrasto con l’art. 39 della Costituzione. Sembra ac-colta l’interpretazione dell’art. 39 Cost. proposta in dottrina14 secon-do cui la lettera dell’articolo della nostra Costituzione sulla contrat-tazione collettiva non è ostativa al recepimento di una direttiva me-diante contratto collettivo15. Per un lungo periodo di tempo, infatti,il legislatore aveva omesso tutti i riferimenti agli accordi delle partisociali che si occupavano di dare una base negoziale al recepimentoper via legislativa della direttiva.

Il decreto legislativo in esame, invece, specifica nel preambolo ladicitura «visto l’avviso comune sottoscritto in data 12 aprile 2011 tra

14 M. D’Antona, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, ripubblicato inContrattazione, rappresentatività, conflitto, Ediesse, 2000, pp. 108 e ss.

15 Il problema rimane quello dell’efficacia di tale contratto collettivo. Come noto,la fonte contrattuale non è efficace erga omnes. È per tale motivo che è necessariol’ulteriore passaggio legislativo.

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le parti sociali ai fini del recepimento della predetta direttiva, ancheai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera g, della legge 4 giugno2010, n. 96». Invero, l’utilizzo della locuzione «anche ai sensi» sem-bra voler suggerire che l’indicazione dell’avviso comune tra le basinormative che giustificano l’adozione del decreto (gli articoli 76 e 87Cost., la legge comunitaria citata, la direttiva 2009/38/CE, la direttiva94/45/CE, il decreto legislativo n. 74/2002) non sia solo per adem-piere al criterio direttivo specificato dalla legge comunitaria ma an-che perché l’avviso comune costituisce una base giuridica propria inquesta materia e, come tale, ha lo stesso valore interpretativo dellefonti normative comunitarie (la direttiva 94/45 e la direttiva 2009/38)e nazionali (il d.lgs. n. 74/2002) citate nel preambolo. Questa conclu-sione confermerebbe quanto sopra affermato in merito alla possibi-lità di recepire mediante contratto collettivo una direttiva comunita-ria, salvo poi l’ulteriore consueto passaggio legislativo.

Il decreto legislativo n. 113/2012 è interessante anche se osservatodal mero punto di vista strutturale. Il decreto in commento, infatti,abroga il decreto legislativo del 2 aprile 2002 n. 74 dal momentodella sua entrata in vigore (11 agosto 2012), fatto salvo quanto di-sposto dall’art. 15 del d.lgs. n. 113/2012 in commento in materia diaccordi in vigore (su cui torneremo infra).

Pertanto, in luogo della tecnica degli emendamenti si è preferitostrutturare un nuovo testo legislativo che, pur riproponendo le di-sposizioni di cui al decreto legislativo precedente (laddove non mo-dificate dalla direttiva recast) e inserendo le modifiche introdottedalla direttiva citata, propone una diversa (rispetto a quella del d.lgs.n. 74/2002) sistemazione interna del decreto migliorando, per alcuniversi, la lettura del medesimo.

Nella versione attuale, il decreto si divide in due Titoli, rubricati,rispettivamente, «disposizioni generali» e «istituzione di un Comitatoaziendale europeo ovvero di una procedura per l’informazione e laconsultazione dei lavoratori». Nel primo titolo sono contenute le di-sposizioni in materia di oggetto (art. 1), definizioni (art. 2), impresacontrollante (art. 3), nel secondo titolo trovano spazio le disposizioniin materia di istituzione del CAE o di una procedura per l’informa-zione e la consultazione dei lavoratori e del suo funzionamento (art.

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4 e art. 11), DSN (artt. 5, 6, 7, 8), contenuto dell’accordo (art. 9),informazioni riservate (art. 10), tutela e ruolo dei rappresentanti deilavoratori (art. 12), rapporti con altre disposizioni comunitarie e na-zionali (art. 13), «adeguamento» degli accordi e salvaguardia degliaccordi in vigore (rispettivamente art. 14 e art. 15), prescrizioni ac-cessorie (art. 16), sanzioni e procedura di conciliazione preventiva(rispettivamente, art. 17 e art. 18), clausole di salvaguardia e abroga-zioni (art. 19), clausola di invarianza finanziaria (art. 20).

Di seguito proveremo a tratteggiare, seppure per brevi cenni, nonun commento sistematico al d.lgs. n. 113/2012 ma le novità e i con-cetti più rilevanti, nonché gli eventuali scostamenti rispetto alla nor-mativa che recepisce e a quella previgente, del decreto legislativo n.113 del 2012 di attuazione della direttiva 2009/38/CE.

Così precisato il quadro normativo di riferimento, nelle pagineche seguono si intende dare conto degli aspetti più critici che sonoemersi nell’indagine portata avanti in questo progetto di ricerca perconcludere formulando alcune proposte di formazione dei membridel CAE.

2. Istituzione e composizione dei CAE

La norma sui CAE prevede che per realizzare l’obiettivo del CAEla direzione centrale avvia la negoziazione per l’istituzione di unComitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione ela consultazione, di propria iniziativa o previa richiesta scritta di al-meno 100 lavoratori, o dei loro rappresentanti, di almeno due im-prese o stabilimenti situati in non meno di due Stati membri diversi.In altre parole la decisione sull’istituzione di una rappresentanza eu-ropea dei lavoratori è demandata ai lavoratori che devono attivare ilmeccanismo di costituzione. Il risultato è, pertanto, legato alla con-sapevolezza dei lavoratori dei diritti di coinvolgimento loro spettantiper legge nonché alla più o meno attiva collaborazione del datore dilavoro. Al contrario, nella direttiva sulla SE il trigger mechanism fina-lizzato alla creazione di un organo di rappresentanza dei lavoratori èdi esclusiva pertinenza del datore di lavoro. Stabilisce difatti l’art. 3

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della direttiva 2001/86 che «quando gli organi di direzione o di am-ministrazione delle società partecipanti stabiliscono il progetto di co-stituzione di una SE, [...] o dopo l’approvazione di [...] trasformazio-ne in una SE, essi prendono le iniziative necessarie [...] per avviareuna negoziazione con i rappresentanti dei lavoratore delle societàsulle modalità del coinvolgimento dei lavoratori nella SE».

La differenza di approccio tra la prima e la seconda direttiva citate(rispettivamente la 1994/45 e successive modifiche operate con la di-rettiva 2009/38 e la 2001/86) è evidente nel caso SAP, in cui la costi-tuzione del CAE (assoggettata all’impulso dei lavoratori) è avvenutaben sedici anni dopo aver raggiunto la dimensione comunitaria,mentre la negoziazione per l’istituzione di un organo di rappresen-tanza è stata avviata tempestivamente al momento della decisione ditrasformazione in SE (l’annuncio della trasformazione è stato datonel 2013 e contestualmente sono state avviate le trattative per la co-stituzione dell’organo di rappresentanza), così come emerge dall’in-tervista al membro italiano del CAE SAP.

Come è noto per la costituzione di un CAE i membri della delega-zione sono designati dalle organizzazioni sindacali di cui all’articolo5, comma 1, congiuntamente con le rappresentanze sindacali unita-rie dell’impresa o del gruppo di imprese.

L’art. 5 della direttiva 2009/38/CE rubricato «delegazione specialedi negoziazione» è stato recepito con gli articoli 5, 6, 7 e 8 del de-creto legislativo n. 113/2012.

L’art. 7 del decreto in esame modifica i criteri per la composizionedella delegazione di negoziazione che non dovrà più essere necessa-riamente formata da un minimo di tre e da un massimo di diciassettemembri16.

Il nuovo sistema di nomina mantiene, invece, inalterati i principifondamentali della necessaria elezione di almeno un rappresentante

16 È stato quindi abrogato il comma 2 dell’art. 7 relativo ai seggi supplementaridi cui al d.lgs. n. 74/2002. Il c. 3 dell’art. 7 del d.lgs. n. 74/2002 è diventato il c. 2primo periodo dell’art. 7 del d.lgs. n. 113/2012. Il cpv del c. 2 dell’art. 7 deld.lgs. n. 113/2012 è una innovazione dettata dal recepimento della direttiva2009/38.

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per Stato membro in cui l’impresa svolga la sua attività produttiva edella proporzionalità tra il numero di rappresentanti supplementa-ri ed il dato occupazionale dell’impresa in un determinato Statomembro.

Infatti, se il riferimento alla «frazione» di cui all’art. 7 c. 1 (che re-cepisce l’art. 5 par. 1 lett. b della direttiva) salvaguarda l’obbligo dielezione di almeno un rappresentante per Stato membro, il meccani-smo di assegnazione di un seggio per quota (10% del dato occupa-zionale complessivo dell’impresa) è finalizzato a distribuire tra gliStati membri i seggi restanti.

Rilevante è la disposizione di cui all’art. 7 c. 2 del decreto in esame(che recepisce la lett. c dell’art. 5 della direttiva), secondo cui a se-guito della rifusione, le informazioni sulla composizione della dele-gazione speciale di negoziazione dovranno essere fornite anche alle«competenti organizzazioni europee dei lavoratori e dei datori di la-voro». Gli stessi destinatari dovranno inoltre essere informati dell’av-vio dei negoziati.

Infine, l’art. 8 c. 3 del decreto in esame riconosce ai membri delladelegazione il diritto di riunirsi tra loro prima di ogni riunione conla direzione centrale. Viene stabilito, infatti, che prima e a seguito diogni riunione con la direzione centrale, la DSN può riunirsi senza lapresenza dei rappresentanti della direzione centrale utilizzandoqualsiasi mezzo necessario.

Dallo studio empirico è emerso che in merito alla composizionedel CAE c’è una divisione tra i rappresentanti dei lavoratori che nonrispecchia le differenze di appartenenza geografica, ma riguarda ilmodo in cui i paesi intendono le relazioni industriali. Infatti, i paesiche hanno a livello nazionale un canale unico sindacale rivendicativobasato sul binomio contratto/conflitto sono più inclini a considerareil CAE come una istanza rappresentativa con un ruolo negoziale (sucui infra) in cui trovano spazio le richieste di trattamento uniforme alivello europeo. Dove c’è un canale partecipativo/codeterminativo ti-pico dei doppi canali di rappresentanza (come nel caso tedesco), sitende a limitare il ruolo negoziale del CAE poiché si preferisce nontraslare a livello europeo le problematiche che le rappresentanze af-frontano singolarmente nel proprio paese.

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3. I contenuti dell’accordo istitutivo

Come noto, l’art. 6 della direttiva in materia prevede che nel-l’accordo debba essere specificato quali sono le imprese che fannoparte del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie o gli stabili-menti dell’impresa di dimensioni comunitarie interessate dall’Accor-do, la composizione del CAE, in numero di membri, la distribuzionedei seggi e la durata del mandato, le attribuzioni e la procedura d’in-formazione e di consultazione del CAE, il luogo, la frequenza e ladurata delle riunioni del CAE, le risorse finanziarie e materiali daattribuire al CAE, la durata dell’Accordo e la procedura per rinego-ziarlo.

Come anticipato, le questioni di competenza del CAE sono limi-tate a quelle «transnazionali» (cfr. art. 1 c. 6 d.lgs. 113/2012). La ca-ratteristica della transnazionalità, in altre parole, identifica le infor-mazioni che devono essere trasmesse e su cui deve essere svolta laconsultazione. All’interno dell’area così delimitata, il contenuto del-l’informazione e della consultazione deve essere definito nell’accor-do di cui all’art. 9 c. 1 del d.lgs. n. 113/2012.

Fatta salva l’autonomia delle parti, inoltre, l’art. 16 del decreto incommento specifica il contenuto minimo dell’informazione e dellaconsultazione richiamando (seppure non direttamente) le macroareedi cui all’art. 4 della direttiva 2002/14. Come noto, quest’ultima sta-bilisce un diritto di informazione (e non anche di consultazione)17

sulle strategie dell’impresa e sulla situazione economica (lett. a), e undiritto di informazione e consultazione nei casi indicati alle lettere be c dell’art. 4, secondo cui l’informazione e la consultazione devonoavere ad oggetto la situazione presente e futura dell’occupazionenell’ambito dell’impresa, le eventuali misure di contrasto in caso dipericolo per il mantenimento delle soglie occupazionali e i muta-menti dell’organizzazione aziendale e dei contratti di lavoro18.

17 Vedi, però, la differente soluzione adottata dal legislatore italiano nel d.lgs. n.25/2007 in sede di attuazione della direttiva 2002/14.

18 Sull’art. 4 della direttiva 2002/14 v., per tutti, M. Corti, Informazione e consulta-zione in Italia, in M. Napoli (a cura di), L’impresa di fronte all’informazione e consulta-zione dei lavoratori, in NLCC, p. 884; sia consentito inoltre il rinvio a G. Verrecchia, I

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In effetti, l’art. 16 c. 2 del d.lgs. n. 113/2012 riprende il contenutominimo dell’informazione e della consultazione di cui alla direttiva2002/14/CE specificandone il valore di prescrizioni minime al disotto delle quali non è dato scendere. In altre parole, le parti po-tranno meglio specificare le materie ivi indicate oggetto di informa-zione e consultazione ovvero prevederne delle altre ma non potran-no eludere quelle specificate nell’art. 16 c. 2 del decreto in esame.

L’articolo citato prevede che oggetto della (sola) informazione delCAE siano «in particolare» la struttura, la situazione economico-finan-ziaria, la probabile evoluzione delle attività, la produzione e le venditedell’impresa o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie.

Sono, invece, oggetto sia di informazione che di consultazione «inparticolare» la situazione dell’occupazione e la sua probabile evolu-zione, gli investimenti, le modifiche sostanziali in merito all’organiz-zazione, l’introduzione dei nuovi metodi di lavoro o di nuovi proces-si produttivi, i trasferimenti di produzione, le fusioni, la riduzionedelle dimensioni o la chiusura di imprese, stabilimenti o loro partiimportanti e i licenziamenti collettivi.

L’utilizzo del termine «in particolare» rende l’elenco delle materiecontenuto nell’art. 16 del d.lgs. n. 113/2012, da un lato, meramenteesemplificativo e, dall’altro lato, non derogabile per via della specifi-cazione delle materie ivi contenuta.

Le parti dell’accordo potranno, pertanto, meglio precisare le mate-rie oggetto della procedura di informazione e consultazione di cui ald.lgs. n. 113/2012, nonché prevederne delle altre non specificamenteelencate nell’articolo citato purché finalizzate a equivalente obiettivo.

Inoltre, così come previsto dalla direttiva 2009/38/CE, l’art. 9 deld.lgs. n. 113/2012 amplia il contenuto obbligatorio dell’accordo sullemodalità di attuazione dell’informazione e della consultazione.

L’art. 9 c. 2 lettera b del decreto in esame introduce il principio diequa rappresentanza nella nomina dei membri del CAE. Tale sceltaappare tesa, non solo a perseguire una logica di parità e contrastoalla discriminazione, ma, soprattutto, a favorire la costituzione di un

diritti di coinvolgimento dei lavoratori dopo l’attuazione della direttiva 2002/14, cit., p. 119e ivi per ulteriori riferimenti bibliografici.

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CAE che possa essere un’effettiva camera di composizione dei diversiinteressi e delle diverse realtà presenti nell’azienda o nel gruppo diaziende di dimensioni comunitarie.

All’accordo viene inoltre affidato il compito di specificare e dareconcreta attuazione al principio di sussidiarietà tra procedure di in-formazione e consultazione: sarà quindi la stessa autonomia colletti-va a definire con maggior precisione gli ambiti di competenza dellediverse procedure presenti in azienda. Dispone, infatti, la lettera cdell’articolo in esame il principio del coordinamento tra CAE e or-gani di rappresentanza sindacale nazionali dei lavoratori19.

Rilevante anche la scelta del legislatore di imporre alla parti di di-sciplinare in maggior dettaglio il periodo di vigenza, le modalità dimodifica, cessazione e rinegoziazione dello stesso accordo (cfr. lett. f).

La lettera h, inoltre, consente al CAE di istituire al proprio internoun comitato ristretto. In tal caso, l’accordo di cui al presente articolodovrà specificarne: la composizione, le modalità di designazione, leattribuzioni e le modalità di riunione.

Tutto ciò precisato, nella pratica avviene che durante le trattativeper la costituzione del CAE emerga chiaramente che il contenutodell’accordo sarà al ribasso rispetto a quanto previsto dalla direttiva.Orbene, in questi casi sarebbe meglio interrompere le trattative echiedere l’applicazione delle prescrizioni accessorie che costituisconoil contenuto minimo (safety net) che consente al CAE di esercitare ap-pieno il suo ruolo. Pertanto, se è vero che la scelta delle prescrizioniaccessorie costituisce l’anomalia delle relazioni industriali perchécertifica il fallimento delle trattative tra le parti, è anche vero checonsente l’applicazione di default di regole giuridiche in grado di ga-rantire il funzionamento del CAE.

Proviamo a rendere in pratica quanto sinora teoricamente affer-mato. Come è a tutti noto, le prescrizioni accessorie di cui all’alle-gato I della direttiva 2009/38 specificano che l’informazione e laconsultazione devono essere garantite al CAE in occasione, tra glialtri, di collective redudancies. Nell’accordo istitutivo del CAE che ab-

19 Sul principio di coordinamento del livello nazionale ed europeo v., da ultimo,G. Arrigo, Dalla «revisione» alla «rifusione» della direttiva 94/45, cit., pp. 62-63.

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biamo avuto l’occasione di esaminare20, viene previsto che l’informa-zione e la consultazione devono essere fornite in occasione di massredudancies. La diversa terminologia utilizzata per descrivere il mede-simo fenomeno si presta all’interpretazione del datore di lavoro che,in queste occasioni, potrebbe negare l’informazione e la consultazio-ne al CAE sul presupposto che non si tratta di licenziamenti di mas-sa. La differenza sta nel fatto che nell’ordinamento giuridico comu-nitario esiste la nozione di licenziamento collettivo ma non è pre-sente quella di licenziamento di massa. Inserendo questa terminolo-gia il datore di lavoro potrebbe neutralizzare le richiese informativedel CAE semplicemente destreggiandosi con la qualificazione del li-cenziamento: in altre parole il datore di lavoro avoca a sé la qualifi-cazione giuridica del fenomeno evitando di utilizzare una nozione dilicenziamento positivizzata.

4. La nozione di informazione e consultazione

Come è noto, le nozioni di informazione e consultazione sonodettate dalla direttiva 2009/38 e, di conseguenza, nel diritto internodal d.lgs. n. 113/2012.

Sul punto, dobbiamo evidenziare che il precedente decreto legi-slativo n. 74/2002 definiva congiuntamente l’informazione e la con-sultazione come «la fornitura di dati, elementi, notizie, nonché loscambio di opinioni e la instaurazione di un dialogo tra i rappre-sentanti dei lavoratori e la direzione centrale o qualsiasi altro livellodi direzione più appropriato»; la direttiva 94/45/CE, invece, definivasolo la consultazione.

Il d.lgs. n. 113/2012 in commento separa le fattispecie definendol’informazione come «la trasmissione di dati da parte del datore dilavoro ai rappresentanti dei lavoratori per consentire a questi diprendere conoscenza della questione trattata e di esaminarla», spe-cificando, inoltre, le modalità in cui l’informazione deve essere tra-smessa: «L’informazione avviene nei tempi, secondo modalità e con

20 Si consenta il rinvio a G. Verrecchia, Il CAE SAP, in questo volume.

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un contenuto appropriati che consentano ai rappresentanti dei lavo-ratori di procedere a una valutazione e di preparare, se del caso, laconsultazione con l’organo competente dell’impresa di dimensionicomunitarie o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie»(cfr. art. 2 lett. g d.lgs. n. 113/2012)21. La definizione di informazioneè, pertanto, nuova e importante poiché chiarisce che i criteri di suffi-cienza ed adeguatezza sono principi ispiratori e limiti di tale oneredi comunicazione.

Il d.lgs. n. 113/2012 circoscrive, inoltre, la consultazione come«l’instaurazione di un dialogo e lo scambio di opinioni tra i rappre-sentanti dei lavoratori e la direzione centrale o qualsiasi altro livellodi direzione più appropriato», specificandone, anche in questo caso,le modalità in cui essa deve avvenire: «nei tempi, secondo modalità econ contenuti che consentano ai rappresentanti dei lavoratori, sullabase delle informazioni da esse ricevute, di esprimere, entro un ter-mine ragionevole, un parere in merito alle misure proposte allequali la consultazione si riferisce, ferme restando le responsabilitàdella direzione, che può essere tenuto in considerazione all’internodell’impresa di dimensioni comunitarie o del gruppo di imprese didimensioni comunitarie» (cfr. art. 2 lett. h d.lgs. n. 113/2012)22. Ilparere espresso in sede di consultazione dai rappresentanti dei lavo-ratori ha, quindi, carattere meramente consultivo. La direzione, ben-ché chiamata ad esprimere un parere in merito alle misure propostedai rappresentanti dei lavoratori, resta, quindi, l’unica titolare delpotere decisionale.

Orbene, le nozioni di informazione e di consultazione di cui ald.lgs. n. 113/2012 sono – nella sostanza – uguali a quelle contenutenel d.lgs. n. 25/2007. Ciò non sorprende tenuto conto del fatto che,come in altra sede si è sostenuto23, la direttiva 2002/14 e la relativa

21 La nozione di informazione di cui al d.lgs. 113/2012 costituisce una mera tra-duzione letterale della nozione di cui alla direttiva 2009/38/CE, art. 2 lett. f.

22 Anche in questo caso la definizione è una traduzione letterale di quella previ-sta nella direttiva 2009/38/CE, art. 2 lett. g.

23 Sia consentito il rinvio a G. Verrecchia, Informazione e consultazione dei lavorato-ri: i minimi inderogabili nel d.lgs. 25 del 2007, in Diritti Lavori e Mercati, n. 2, 2008, pp.339 e ss; e a G. Verrecchia, I diritti di coinvolgimento dei lavoratori dopo l’attuazione

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attuazione italiana costituiscono la norma cornice, rispettivamente,comunitaria e nazionale, di enunciazione dei diritti di informazionee consultazione.

I diritti di informazione e consultazione di cui al d.lgs. n. 113/2012si inscrivono, pertanto, nella cornice dettata dal d.lgs. n. 25/2007,presentano specifiche caratteristiche a garanzia dell’effettività dellaprocedura e richiedono per il loro esercizio uno spirito di coopera-zione che diventa il modus operandi delle parti coinvolte nella proce-dura. L’insieme di questi elementi determina l’effetto dell’informa-zione e consultazione che consiste nel sottoporre il potere decisio-nale del datore di lavoro ad un confronto con le rappresentanze deilavoratori nelle materie oggetto di informazione e consultazione enel potere delle rappresentanze stesse di esprimere un parere sullemedesime materie.

Si definisce, così, il «nucleo duro»24 dei diritti d’informazione econsultazione che si compone degli elementi della tempestività, della(pre)definizione del contenuto (le materie) dell’informazione e dellaconsultazione e della corretta individuazione dei soggetti legittimatia dare e a ricevere le informazioni e a effettuare la consultazione.

Infatti, le definizioni di cui all’art. 2 lettere g e h del d.lgs. n.113/2012, devono essere lette in combinato con l’art. 1 del d.lgs. n.113/2012, laddove viene previsto che «le modalità di informazione econsultazione sono definite e attuate in modo da garantirne l’effi-cacia e consentire un processo decisionale efficace nell’impresa o nelgruppo di imprese» e che «l’informazione e la consultazione dei la-voratori avvengono a livello pertinente di direzione e di rappresen-tanza, in funzione della questione trattata». Nonché, con riguardoalla sola consultazione, con l’art. 16 c. 2 del d.lgs. n. 113/2012 se-condo cui «La consultazione avviene in modo tale da consentire ai

della direttiva 2002/14, in S. Leonardi (a cura di), La partecipazione dei lavoratori nel-l’impresa, Ediesse, pp. 117-144.

24 In altra sede si è avuto modo di spiegare il motivo per il quale gli elementi so-pra indicati costituiscono un nucleo duro dei diritti di informazione e consultazioneche non può essere derogato. Per brevità sia consentito rinviare a G. Verrecchia,Informazione e consultazione dei lavoratori: i minimi inderogabili nel d.lgs. 25 del 2007, inDiritti Lavori e Mercati, n. 2, 2008, pp. 339 e ss.

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rappresentanti dei lavoratori di riunirsi con la direzione centrale e diottenere una risposta motivata ad ogni loro eventuale parere».

Rispetto alla formulazione di cui al d.lgs. n. 74/2002, pertanto, lanovità è che viene chiarito che i tempi e le modalità della proceduradevono essere adeguati a garantire un effettivo confronto delle partisul tema che ne è oggetto, restando, comunque, ferma la titolaritàdel potere decisionale in capo all’impresa o al gruppo di imprese in-teressate.

5. CAE e contrattazione collettiva transnazionale

Tra le competenze del CAE va, inoltre, annoverata la partecipa-zione di recente promossa nella contrattazione collettiva transnazio-nale. Come è noto, infatti, sia da parte sindacale che datoriale sonostate espresse riserve sul ruolo dei CAE nella procedura negoziale.Tuttavia, da un certo momento in poi, i CAE hanno cominciato anegoziare25, concludendo accordi di varia denominazione. Per lungotempo, infatti, i CAE sono stati gli unici attori istituzionali di rappre-sentanza dei lavoratori a livello transnazionale nelle compagniemultinazionali, solo da pochi anni affiancati dall’Organo di Sorve-glianza nelle Società Europee. Come affermato in letteratura26, in-fatti, al sindacato europeo non può riconoscersi il ruolo appena con-venuto al CAE giacché rappresenta tutti i lavoratori di tutti i settoridell’industria e non, come il CAE, i lavoratori di ogni singola societàmultinazionale. È perciò senza sorpresa alcuna che il CAE ha iniziatoa concludere accordi con il datore di lavoro. Il fenomeno appena de-scritto non rileva tanto per il numero degli accordi sottoscrittiquanto per le materie affrontate che vedono in prima fila le ristrut-

25 B. Caruso, A. Alaimo, op. ult. cit, p. 64; S. Scarponi, Gli accordi-quadro internazio-nali ed europei stipulati con le imprese transnazionali: quale efficacia? Atti del ConvegnoNazionale Nuovi assetti delle fonti del diritto del lavoro, http://caspur-ciberpublishing.it.

26 R. Jagodzinski, European Works Councils and transnational company agreements -balancing on the thin line between effective consultation and overstepping competences, in I.Schömann et al. (eds.), Transnational collective bargaining at company level. A new com-ponent of European Industrial Relations?, ETUI, Bruxelles, 2012, pp. 157 e ss.

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turazioni. Il legislatore comunitario ha dovuto prendere atto di que-sta prassi e, nel tentativo di conciliare le esigenze dei CAE e le pre-rogative del sindacato europeo, ha proposto nella stessa direttiva2009/38/CE un modello di distribuzione delle competenze dei diver-si attori come sopra individuati.

L’art. 12 della direttiva prevede, infatti, che:

L’informazione e la consultazione del Comitato aziendale europeo sonocoordinate con quelle degli organi nazionali di rappresentanza dei la-voratori, nel rispetto delle competenze e degli ambiti di intervento diciascuno e dei principi di cui all’articolo 1, paragrafo 3. Le modalitàdi articolazione tra l’informazione e la consultazione del Comitatoaziendale europeo e quella degli organi nazionali di rappresentanzadei lavoratori sono stabilite mediante l’accordo previsto dall’articolo 6.Tale accordo fa salve le disposizioni del diritto e/o della prassi nazio-nale in materia di informazione e consultazione dei lavoratori. GliStati membri dispongono che, qualora tali modalità non siano definitemediante accordo, il processo di informazione e consultazione avvenganel Comitato aziendale europeo e negli organi nazionali di rappre-sentanza dei lavoratori, laddove si prospettino decisioni in grado dideterminare modifiche importanti dell’organizzazione del lavoro o deicontratti di lavoro.

Si prospetta, come noto, un mutamento della visione del CAEnella legislazione comunitaria. Se, infatti, nella direttiva del 1994 ilCAE veniva visto come un organo di rappresentanza dei lavoratorisenza alcun legame con il sindacato, proponendosi quindi come uncanale «laico» di rappresentanza di lavoratori, perciò in linea con ilsistema sopra descritto, in un ipotetico doppio canale, nella direttivadel 2009/3827 la visione del CAE muta essendo il sindacato europeocompartecipe nella creazione del CAE stesso. Il sindacato europeo,infatti, a pieno titolo negozia la costituzione del CAE, facendogliperdere quel carattere a-sindacale prima descritto. Ciò consente alCAE di avere un ruolo nella contrattazione transnazionale. Come

27 G. Arrigo, in G. Verrecchia (ed.), European Work Council and Sectoral Social Dia-logue: going along together to overcome the crisis, Fabi, 2011.

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noto, il CAE partecipa alla eventuale negoziazione del contratto col-lettivo transnazionale nella sua qualità di unico organismo di rap-presentanza dei lavoratori giuridicamente codificato a livello euro-peo e anche perché può mettere a disposizione della contrattazionel’esperienza e le informazioni note giacché legittimato passivo dellainformazione e attivo della consultazione. Il CAE è, infatti, un orga-no nato solo per ricevere le informazioni e svolgere la consultazione.Perciò, gli eventuali poteri negoziali sono stati sviluppati sul campoma non gli sono riconosciuti ex lege. Tale ultima affermazione sem-bra confermare l’idea già espressa (vedi retro) secondo cui il ricono-scimento giuridico dell’organo di rappresentanza consente a quest’ul-timo di ritagliarsi un potere contrattuale.

In altre parole, il CAE non può negoziare in proprio ma può farlocon il sindacato transnazionale e nazionale. Sarebbe infatti un sog-getto troppo debole di fronte alla impresa multinazionale di dimen-sioni comunitarie.

Ma la sua presenza è necessaria per la garanzia del principio disussidiarietà e di vicinanza ai lavoratori, essendo il CAE organo didiretta emanazione dei lavoratori.

In conclusione, la letteratura specializzata ha sempre messo in luceche dove vi sono istanze rappresentative che non vengono indiriz-zate dalla legge con una rigida ripartizione delle competenze sicreano fenomeni di sovrapposizione e concorrenza nella contratta-zione con il datore di lavoro. È quello che è successo tra i CAE e ilsindacato europeo. Da un lato, la sola istanza rappresentativa soste-nuta ex lege dalle direttive si è naturalmente ritagliata un ruolo nego-ziale, dall’altro il sindacato europeo, soggetto deputato alla contrat-tazione per antonomasia, rivendica l’esercizio delle sue funzioni, manon riceve alcun sostegno normativo alla sua opera.

Il contraltare della situazione appena descritta è che il datore dilavoro è libero di scegliersi il soggetto con cui negoziare. Non devesorprendere, quindi, che il datore di lavoro propenderà per un mag-giore coinvolgimento negoziale del CAE quanto minore sarà la forzacontrattuale di quest’ultimo.

Emerge, pertanto, la necessità non solo che sia chiaramente indi-viduato il soggetto abilitato a contrattare a livello transnazionale ma

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anche che a questo vengano conferiti appositi poteri e precipue at-tribuzioni.

6. Le informazioni riservate

Di regola i membri del CAE informano i lavoratori delle notizieche il datore di lavoro ha l’obbligo di comunicare ai sensi delle nor-mative in esame. Ci sono, però, casi in cui il flusso di informazionitra titolari e beneficiari dei diritti si interrompe. In tali casi i rappre-sentanti dei lavoratori, i membri della DSN, nonché gli esperti cheeventualmente li assistono, non possono trasmettere a terzi le infor-mazioni a cui è stata apposta dal datore di lavoro la clausola di riser-vatezza28. L’interruzione riguarda solo il rapporto tra rappresentantie «terzi» e non anche il dialogo tra datore di lavoro e membro delCAE, che continuano a svolgere il ruolo loro riconosciuto e a eserci-tare le proprie prerogative nella fase consultiva.

Nel silenzio della direttiva, il decreto italiano di trasposizione pre-vede che le informazioni siano qualificate come riservate dalla Dire-zione centrale o dal dirigente deputato all’informazione e consulta-zione (cfr. art. 10 del d.lgs. 113/2012 che traspone l’art. 8 della diret-tiva 2009/38). La riservatezza delle informazioni, quindi, risponde adun interesse proprio dell’impresa in virtù del quale la stessa può qua-lificare le notizie o le informazioni a sua discrezione. Esiste, tuttavia,un meccanismo la cui attivazione scongiura l’uso pretestuoso da partedel datore di lavoro della clausola di riservatezza. Stabilisce, infatti,l’art. 18 del d.lgs. 113/2012 che «[...] le parti [...] prevedono la costi-tuzione di una commissione di conciliazione per risolvere in via pre-liminare e non contenziosa le controversie relative alla [...] natura ri-servata delle informazioni fornite e qualificate come tali [...], nonchéalla concreta determinazione dei criteri obiettivi per l’individuazionedelle informazioni suscettibili di creare notevoli difficoltà al funzio-namento o all’attività esercitata dalle imprese interessate o di arrecare

28 Su cui cfr. Guaglione, Il problema delle informazioni riservate, in M. Napoli,L’impresa di fronte all’informazione e consultazione dei lavoratori, cit., pp. 934 e ss.

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loro danno o realizzare turbative dei mercati; alla divulgazione di in-formazioni riservate in violazione del predetto articolo 10 comma 1».

La costituzione della Commissione di conciliazione deve essereprevista nell’accordo CAE oppure in un atto successivo. La valuta-zione del nesso fra legittimo interesse dell’impresa e apposizionedella clausola di riservatezza viene quindi demandata alla Commis-sione di conciliazione che ha il compito di verificare l’esistenza del-l’interesse e la sua legittimità. La Commissione di conciliazione ècomposta da tre membri di cui un componente in quota rappresen-tanti dei lavoratori (CAE, DSN o procedura di informazione e con-sultazione), un componente designato dalla Direzione centrale e uncomponente nominato di comune accordo tra le parti. Il verbaledella Commissione di conciliazione viene inviato alla Direzione ter-ritoriale del lavoro che provvede all’accertamento e all’eventuale ir-rogazione delle sanzioni sulla scorta dell’istruttoria compiuta dallaCommissione di conciliazione.

Accanto alla riservatezza, l’ulteriore caso in cui la route dell’infor-mazione e consultazione s’interrompe è quello del segreto29. Ai sensidell’art. 10 comma 2 d.lgs. 113/2012 (ovvero art. 8 comma 2 direttiva2009/38), il datore di lavoro non è obbligato a comunicare le infor-mazioni «che, sulla base di criteri obiettivi, siano di natura tale dacreare notevoli difficoltà al funzionamento o all’attività esercitatadalle imprese interessate o da arrecare loro danno ovvero da realiz-zare turbativa dei mercati».

7. La protezione e la formazione dei rappresentanti dei lavoratori

Come noto, la direttiva 2009/38/CE attribuisce ai membri del CAEil diritto di disporre dei mezzi necessari all’applicazione dei dirittiprevisti dalla direttiva ovvero di beneficiare di permessi retribuiti peracquisire la formazione necessaria e funzionale all’esercizio delle lo-

29 Sul rapporto tra privacy dell’impresa e obblighi di informazione e consultazionecfr. Troisi, La «partecipazione» sindacale alle informazioni dell’impresa, in Rappresentanzacollettiva dei lavoratori e diritti di partecipazione alla gestione delle imprese, cit., pp. 372 e ss.

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ro attribuzioni. In proposito il d.lgs. n. 74/2002 già prevedeva che aimembri della DSN, ai membri del CAE e ai dipendenti e ai rappre-sentanti dei lavoratori che operano nell’ambito della procedura diinformazione e consultazione spettassero permessi retribuiti in misu-ra non inferiore a otto ore trimestrali derogabili in melius dagli ac-cordi e, in considerazione della durata prevedibile degli incontri, del-l’oggetto e del luogo delle riunioni, ulteriori otto ore annuali (sem-pre da prevedere mediante accordo). In attuazione della direttiva, ilnuovo art. 12 del d.lgs. n. 113/2012 inserisce una dichiarazione/ma-nifesto al primo periodo del primo comma del seguente tenore lette-rale: «i membri del CAE dispongono, ai sensi dell’articolo 9, comma2, lettera e, dei mezzi necessari per l’applicazione dei diritti derivantidal presente decreto legislativo, per rappresentare collettivamentegli interessi dei lavoratori dell’impresa o del gruppo di imprese didimensioni comunitarie».

Particolarmente interessante appare anche il contenuto del nuovoarticolo 12 c. 4, del decreto n. 113/2012 in materia di formazione deimembri della DSN e del CAE. In particolare il primo periodo dellanorma citata prevede che: «se e in quanto ciò sia necessario all’e-sercizio delle loro funzioni di rappresentanza in un contesto interna-zionale, i membri della delegazione speciale di negoziazione e delCAE usufruiscono di formazione senza perdita di retribuzione.

L’allegazione del nesso di funzionalità tra l’esercizio delle propriefunzioni e la formazione comporta, pertanto, il diritto dei membridella DSN e del CAE di usufruire di formazione senza perdita di re-tribuzione, perciò a carico del datore di lavoro da cui dipendono. Èovvio che i soggetti competenti ad affermare il legame tra formazio-ne e possibilità di svolgere le proprie funzioni sono le organizzazionisindacali di cui all’art. 5 c. 1 del decreto n. 113/2012 (quelle cioè cheabbiano stipulato il contratto collettivo nazionale applicato nell’im-presa o nel gruppo di imprese) e le rappresentanze sindacali unitariedell’impresa o del gruppo di imprese30.

30 Sul punto è il caso di segnalare che potrebbe verificarsi quello che, a prima vi-sta, appare come un corto circuito del sistema nelle imprese o nei gruppi di impre-se nei quali non vengono elette rappresentanze sindacali unitarie ma vengono co-

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Infine, l’art. 12 c. 4, cpv, stabilisce una riserva assoluta in capo alladirezione centrale, al comitato ristretto o, ove esistente, al CAE perla determinazione dei contenuti della formazione. Tale autonomianella decisione dell’oggetto della formazione è subordinata al ri-spetto di due soli limiti: i soggetti citati devono «considerare» «gli ac-cordi in atto» e la decisione sui contenuti deve essere presa «con-giuntamente» tra i soggetti citati.

La necessità di percorsi formativi è pertanto presente. In particola-re, le esigenze formative da non sottovalutare riguardano la trasposi-zione della legge del paese in cui avrà sede il CAE, magari organizzatain collaborazione con gli altri sindacati a livello europeo, in modo dadare la possibilità a tutti di comprendere i dettagli delle varie leggi ditrasposizione. Nella sede di formazione mirata deve essere spiegato echiarito che la trasposizione della direttiva europea costituisce la baseda cui partire per la negoziazione; che non si può e non si deve, per-tanto, scendere al di sotto di quanto offerto dalla trasposizione.

La formazione mirata consentirebbe anche di far comprendere aimembri del CAE che è possibile un utilizzo più «furbo» delle prescri-zioni accessorie nel caso di mancato raggiungimento dell’accordo.

Inoltre, la formazione dei membri del CAE deve essere ancheorientata e specificamente finalizzata a comprendere le peculiarità

stituite le rappresentanze sindacali aziendali di cui all’art. 19 dello Statuto dei lavo-ratori. Il «nervo scoperto» sta proprio in questo punto: i soggetti nell’ambito deiquali possono essere costituite le rappresentanze sindacali aziendali sono le associa-zioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nellaunità produttiva. Qualsiasi livello di contrattazione collettiva: non necessariamentequello nazionale come richiesto dalla normativa in esame. Com’è evidente, ai finidella richiesta di formazione specifica (nonché per la richiesta di istituire un CAE,cfr. art. 5 c. 1 d.lgs. n. 113/2012), è necessario che l’organizzazione sindacale abbiafirmato un contratto collettivo di livello nazionale. La necessità del livello nazionaledel contratto collettivo applicato in impresa potrebbe comportare l’impossibilitàper i soggetti abilitati alla costituzione di RSA di cui all’art. 19 St. lav. di richiederel’istituzione del CAE così come la formazione specifica dei suoi membri. In realtàquello appena descritto non è un «corto circuito» ma, come chiarito dalla Corte Co-stituzionale proprio in tema di art. 19 St. lav. (e in tema di art. 28 St. lav.), si trattadi un sistema idoneo a bilanciare l’impegno economico richiesto al datore di lavo-ro, non la garanzia di effettività dell’organizzazione sindacale titolare dei diritti, nelcaso di specie, di informazione e consultazione.

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della realtà imprenditoriale in cui si inserisce. Appare, infatti, necessa-rio per i membri del CAE sapere in quali paesi i sindacati possono in-tervenire e nominare un rappresentante CAE o DSN anche in assenzadi rappresentanza locale, in quali paesi i sindacati possono intervenireuna volta che ci sia un volontario fidato in azienda disponibile a essereda loro nominato, in quali paesi i sindacati possono intervenire conforme di controllo sulle modalità di svolgimento delle elezioni locali.

Una seconda fase di formazione dovrebbe essere svolta su una boz-za ideale di accordo e sulle regole di ingaggio. Per esempio sarebbeutile preparare una sessione di formazione in cui esaminare assiemeai futuri rappresentanti CAE una bozza di accordo da conoscere pri-ma di entrare in negoziazione. Questa bozza di accordo, ovviamente,dovrebbe prendere spunto dai migliori accordi redatti in quel paesedove la negoziazione ha luogo.

8. La condotta antisindacale

In linea generale, come affermato in dottrina31, l’eventuale viola-zione delle disposizioni di legge sull’informazione e consultazionepuò legittimare gli organismi locali delle associazioni sindacali nazio-nali che vi abbiano interesse ad agire ex art. 28 St. lav. al fine di re-primere il comportamento del datore di lavoro che non trasmette leinformazioni dovute e non procede alla consultazione32. Se, quindi, laprocedura ex art. 28 St. lav. integra il sistema sanzionatorio, ciò si-gnifica che gli organismi sindacali hanno la possibilità di scegliere traagire ex art. 28 o seguire l’eventuale procedura specificata dalla legge.

Per poter utilizzare lo strumento dell’articolo 28 St. lav., come è a

31 F. Carinci, Diritto privato e diritto del lavoro: uno sguardo dal ponte, in WPC.S.D.L.E. «Massimo D’antona».IT, n. 57/2007, p. 63, anche in Diritto del Lavoro.Commentario, II ed., Utet, 2007; A. Alaimo, op. cit., pp. 663 e ss.

32 Come noto, peraltro, l’art. 47 della legge 428/1990 espressamente prevede ilricorso all’art. 28 St. lav. Cfr. Galantino, I diritti di informazione e consultazione nel tra-sferimento di azienda e di ramo di azienda, in DL, I, 2005, pp. 213 e ss., spec. 221 ss.; ingenerale sul ruolo del sindacato nelle procedure di trasferimento cfr. Passalacqua,Trasferimento di azienda e ruolo del sindacato, in DL, I, 2000, pp. 531 e ss.

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tutti noto, tuttavia, bisogna essere un organismo locale di un’associa-zione nazionale, sicché il CAE non rientra nella definizione di legitti-mato attivo. Ciò non significa, però, che il CAE non possa agire giudi-zialmente per il riconoscimento della condotta antisindacale perpe-trata a suo danno dal datore di lavoro. Come anche la giurisprudenzapiù recente ha chiarito, in questi casi può essere utilizzata la via ordi-naria presentando, quindi, un ricorso ai sensi dell’art. 414 c.p.c. e ss.La Corte di Appello di Torino, infatti, nella sentenza del 7 maggio2014, nel decidere su un giudizio presentato da FIOM CGIL (struttu-ra nazionale) contro CNH Industrial N.V. (società che ha incorporatoFIAT Industrial S.p.A.) ha affermato la sussistenza della condotta anti-sindacale di quest’ultima consistita nell’essersi ingerita nella designa-zione dei componenti italiani della DSN «pretendendo la sostituzione[in seno al CAE, n.d.r.] del componente appartenente alla FIOM conun soggetto appartenente ad altra organizzazione sindacale», e condi-zionando ad essa la prosecuzione delle trattative. La questione era,infatti, sorta poiché al momento della costituzione del CAE FIOMCGIL non era firmataria del contratto collettivo applicato in azienda.Tuttavia, ha chiarito il giudice, la designazione del membro apparte-nente alla sigla sindacale specificata era avvenuta congiuntamente daparte delle confederazioni e non era ascrivibile, come invece sostenutoda FIAT, alla FIOM, bensì si inseriva nei termini e nei limiti previstidalla legge. Per questo motivo, la pretesa di FIAT di scegliersi l’interlo-cutore costituisce comportamento antisindacale.

Si ritiene, pertanto, che l’azione giudiziale debba rientrare tra leprocedure attivabili per contrastare il comportamento scorretto delmanagement.

L’eventuale violazione delle disposizioni di legge sull’informazionee consultazione non può, infatti, che legittimare le associazioni sin-dacali nazionali che vi abbiano interesse ad agire al fine di reprimereil comportamento del datore di lavoro che non trasmette le informa-zioni dovute e non procede alla consultazione. L’interesse ad agire,come sancito dalla citata sentenza della Corte di Appello di Torino,è rappresentato dalla sussistenza di «uno stato di incertezza oggettivasull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta portata dei dirittie degli obblighi da esso scaturenti, costituendo la rimozione di tale

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incertezza un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conse-guibile se non con l’intervento del giudice». Applicando tale princi-pio generale alla fattispecie esaminata dalla Corte di Appello di To-rino, «risulta evidente la sussistenza di un interesse concreto e attualedella FIOM CGIL nazionale ad agire per ottenere dal giudice l’ac-certamento dell’illegittimità e dell’antisindacalità del comporta-mento datoriale concretizzatosi nel rifiuto, a danno del solo sinda-cato ricorrente, dell’instaurazione di trattative espressamente previ-ste da disposizioni di legge, deducendo che detto rifiuto si sia tra-dotto in una condotta ostile, oggettivamente discriminatoria, atta aincidere negativamente, con effetti perduranti nel tempo sulla stessalibertà del sindacato e sulla sua capacità di negoziazione, minandonela credibilità e l’immagine con l’indebolire agli occhi dei lavoratoril’incisività del movimento e dell’azione sindacale». La possibilità diagire giudizialmente, pertanto, integra il sistema sanzionatorio: ciòsignifica che gli organismi sindacali hanno la possibilità di agire invia ordinaria davanti al Tribunale competente e/o seguire una pro-cedura amministrativa regolata dal decreto n. 113/2012.

Qualora si propendesse per il canone inverso, vale a dire nell’im-possibilità per l’organizzazione sindacale di agire in giudizio, sareb-be prospettabile una inidoneità dell’apparato sanzionatorio a soddi-sfare i criteri, dettati dalla Corte di giustizia UE, della effettività, dis-suasività e proporzionalità delle misure adottate.

9. Le sanzioni applicabili in caso di violazione dell’informazionee consultazione

Con riguardo all’apparato sanzionatorio, il d.lgs. n. 113/2012 pro-pone una strutturazione diversa rispetto a quella in precedenzacontenuta nel d.lgs. n. 74/2002.

Come noto, il d.lgs. n. 74/2002 specificava nell’art. 17 le sanzioniapplicabili e prevedeva la possibilità di istituire una commissionetecnica di conciliazione nel caso di violazione degli obblighi in mate-ria di informazioni riservate e di clausola di segretezza (cfr. art. 11d.lgs. n. 74/2002).

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Il d.lgs. n. 113/2012 muta le disposizioni in materia di sanzionigiacché distingue le sanzioni applicabili distinguendole a secondadelle obbligazioni violate. In particolare:

• per i rappresentanti dei lavoratori nel caso di violazione della ri-servatezza delle informazioni si applica la sanzione amministrativapecuniaria non inferiore a 1.033 euro e non superiore a 6.198 eu-ro; a questa si potrebbe aggiungere la sanzione disciplinare se ilrappresentate, come spesso accade, è dipendente dell’impresa didimensioni comunitarie;

• per i datori di lavoro, la medesima sanzione (da 1.033 a 6.198 eu-ro) si applica nel caso di accertato utilizzo improprio del rifiuto dicomunicare le informazioni richieste per le ragioni specificatenell’art. 10 c. 2 d.lgs. n. 113/2012. Quest’ultima disposizione rap-presenta una novità che agevola la posizione dei datori di lavoroche oppongono il segreto in mancanza dei criteri obiettivi previstidalla norma. Nel diritto previgente, l’accertata illegittimità delcomportamento datoriale dava luogo a una sanzione amministra-tiva pecuniaria più severa (cfr. art. 17 c. 3). Oggi, la sanzionecreata ad hoc è identica a quella che si applica ai lavoratori cheviolano la clausola di riservatezza imposta dal datore di lavoro. Inaltre parole, al datore di lavoro converrà apporre la clausola disegretezza rispetto al non fornire le informazioni perché la san-zione per la prima fattispecie è più lieve rispetto alla seconda.

Quest’ultima, infatti, è anche quella applicabile alla violazione del-l’obbligo di informazione e consultazione previsto dall’articolo 4,comma 4, o degli obblighi di informazione e consultazione stabilitinell’accordo di cui all’articolo 9 o nelle prescrizioni accessorie di cuiall’articolo 16, o degli ulteriori obblighi stabiliti nell’accordo o nelleprescrizioni accessorie in ordine alla realizzazione delle condizioni edegli strumenti necessari al funzionamento del CAE o della proce-dura per l’informazione e la consultazione, previsti dall’articolo 1,comma 2. La sanzione amministrativa pecuniaria è, in questo caso,non inferiore a 5.165 euro e non superiore a 30.988 euro.

Si equipara, quindi, la sanzione inflitta al lavoratore alla sanzione

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inflitta a una multinazionale di dimensioni comunitarie. Vi è il dub-bio, però, che tale equiparazione non garantisca l’effettività del di-ritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori in caso diviolazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro.

L’art. 18 del d.lgs. n. 113/2012 disciplina, poi, la procedura diconciliazione preventiva e di irrogazione delle sanzioni in conse-guenza dell’accordo di conciliazione.

Rispetto al d.lgs. n. 74/2002, il nuovo decreto definisce chiara-mente il procedimento da attivare per risolvere in via preliminare –e non contenziosa – le controversie relative alle materie dettagliata-mente specificate nell’articolo in esame. In particolare, può esserecostituita una commissione di conciliazione33 nelle seguenti ipotesi:

a) per la violazione dell’obbligo previsto dall’articolo 4, comma 4, diacquisizione e comunicazione delle informazioni indispensabili al-l’avvio dei negoziati di cui agli artt. 5 e ss., in particolare quelleconcernenti la struttura dell’impresa o del gruppo e la sua forzalavoro, ivi incluse le informazioni relative al numero dei lavoratoridi cui all’articolo 2, comma 1, lettere b e d;

b) per la violazione degli obblighi di informazione e consultazionestabiliti nell’accordo di cui all’articolo 9 o nelle prescrizioni acces-sorie di cui all’articolo 16 e degli ulteriori obblighi stabiliti nell’ac-cordo o nelle prescrizioni accessorie in ordine alla realizzazionedelle condizioni e degli strumenti necessari al funzionamento delCAE o della procedura per l’informazione e la consultazione;

c) per la natura riservata delle informazioni fornite e qualificate co-me tali ai sensi dell’articolo 10, comma 1, nonché alla concretadeterminazione dei criteri obiettivi per l’individuazione delle in-formazioni suscettibili di creare notevoli difficoltà al funziona-

33 Come già previsto dal d.lgs. n. 74/2002, anche il d.lgs. n. 113/2012 stabilisceche la commissione tecnica di conciliazione è composta da tre membri di cui:

a) uno designato dal CAE o dalla delegazione speciale di negoziazione o dairappresentanti dei lavoratori che operano nell’ambito della procedura di informa-zione e consultazione;

b) uno designato dalla direzione centrale;c) uno designato dalle parti di comune accordo.

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GIORGIO VERRECCHIA

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mento o all’attività esercitata dalle imprese interessate o di arre-care loro danno o realizzare turbativa dei mercati;

d) per la divulgazione di informazioni riservate in violazione delpredetto articolo 10, comma 1;

e) per la fondatezza, alla luce dell’articolo 10, comma 2, delle ragio-ni del diniego opposto alla comunicazione di informazioni.

La specificazione dei casi in cui può essere costituita la commissio-ne di conciliazione sembra avere carattere tassativo, nel senso che pereventuali ipotesi che esulano da quelle dettagliate nella norma non siha la facoltà di attivare la procedura di conciliazione preventiva.

D’altro canto, la procedura di conciliazione preventiva non sembraavere carattere obbligatorio ma è lasciata alle parti la decisione diattivarla o meno. Se così non fosse, le sanzioni di cui all’art. 17 deldecreto in esame sarebbero una inutile ripetizione e, soprattutto, ildecreto non avrebbe dovuto lasciare alla parte «interessata» l’oneredi manifestare la propria «volontà» di procedere alla conciliazionepreventiva all’altra parte.

L’art. 18, cc. 3-5 del decreto in esame individuano, infatti, la pro-cedura che deve essere seguita per la conciliazione preventiva34.

In particolare, viene previsto che qualora insorga una delle contro-versie sopra specificate, «la parte interessata manifesta all’altra partela volontà di risolvere la contestazione mediante richiesta di espleta-mento del tentativo di conciliazione dinanzi alla commissione».

Pertanto, il procedimento non è obbligatorio ma è lasciato allavolontà della parte che ritiene sussista la violazione e che deve esseremanifestata tempestivamente all’altra parte. L’art. 18 c. 3, infatti,prevede che «le parti, nel termine di venti giorni dalla richiesta, no-minano i membri della commissione»35.

34 Il d.lgs. n. 74/2002 non era così puntuale prevedendo, in modo più generico,la possibilità di costituire la commissione di conciliazione senza specificare le ipote-si legittimanti la richiesta e la procedura da seguire.

35 In caso di mancata nomina entro il predetto termine del membro da designa-re dalle parti di comune accordo, quest’ultimo può essere nominato, su ricorsodella parte più diligente, dal presidente del tribunale nel cui circondario ha sede laDirezione territoriale del lavoro competente ad irrogare le sanzioni amministrative

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I CAE: PROFILI NORMATIVI E ASPETTI PROBLEMATICI

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Ai sensi di quanto disposto dall’art. 18 c. 4, d.lgs. n. 113/2012, lacommissione di conciliazione si riunisce nei venti giorni successivi eformula, a maggioranza, una proposta per la bonaria definizionedella controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essasono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espressedalle parti. Viene, inoltre, previsto che delle risultanze della propo-sta di conciliazione formulata dalla commissione e non accettata sen-za adeguata motivazione, il direttore territoriale del lavoro, o un suodelegato, tenga conto nell’applicazione delle sanzioni amministrativedi cui all’articolo 17 del d.lgs. n. 113/2012.

L’art. 18 c. 5 stabilisce, infine, che il verbale di mancata concilia-zione e la documentazione allegata sono trasmessi, a cura del mem-bro della commissione designato dalle parti di comune accordo, allaDirezione territoriale del lavoro competente.

È in materia di identificazione della direzione territoriale del lavo-ro competente che l’art. 18 del d.lgs. n. 113/2012 compie uno sforzonotevole. Infatti, sulla base delle violazioni contestate (quelle, in altreparole, specificate dallo stesso articolo al primo comma), l’art. 18 cc.6 e 7 stabilisce che:

All’accertamento e all’irrogazione della sanzione di cui all’articolo 17,comma 1, è competente la Direzione territoriale del lavoro della pro-vincia nel cui territorio è situato lo stabilimento dell’impresa di dimen-sioni comunitarie o l’impresa del gruppo di imprese di dimensioni co-munitarie cui è addetto il lavoratore che ha rivelato a terzi le informa-zioni riservate. Qualora la predetta violazione sia commessa da uno opiù esperti residenti in Italia ovvero da più lavoratori addetti a diffe-renti stabilimenti o imprese situati in più province, è competente laDirezione territoriale del lavoro della provincia nel cui territorio è si-tuata la direzione centrale o il dirigente delegato di cui all’articolo 4,comma 1. In mancanza, è competente la Direzione territoriale del la-voro della provincia nel cui territorio è situato lo stabilimento o l’im-presa con il maggior numero di lavoratori. All’accertamento e all’ir-rogazione delle sanzioni di cui all’articolo 17, commi 2 e 3, è compe-

per le asserite violazioni, in caso di esito negativo della procedura di conciliazione,individuata ai sensi dei commi 6 e 7 dell’articolo in esame.

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tente la Direzione territoriale del lavoro della provincia nel cui terri-torio è situato il soggetto che ha commesso la violazione.

Pertanto, la competenza è definita su base territoriale in relazioneal luogo dove è addetto o situato il lavoratore o il soggetto che hacommesso la violazione. Nel caso in cui tale soggetto siano più lavo-ratori addetti a differenti stabilimenti o uno o più esperti residenti inItalia, la direzione territoriale competente è quella del luogo in cui sitrova la direzione centrale o il dirigente delegato.

L’art. 18 cc. 8-10, del d.lgs. n. 113/2012, specifica, infine, la pro-cedura per l’irrogazione delle sanzioni. Così viene previsto che ilpersonale ispettivo della Direzione territoriale del lavoro compe-tente, compiuti gli opportuni atti di accertamento36, notifica, laddovene sussistano i presupposti, gli estremi della violazione agli interes-sati nel termine di novanta giorni37.

La sanzione prevista è quella del pagamento in misura ridotta38.La comunicazione della suddetta sanzione può essere impugnata

entro il termine di trenta giorni dalla data di notificazione della vio-lazione. A tal fine, gli interessati possono far pervenire al direttoreterritoriale del lavoro scritti difensivi e documenti e possono chiede-re di essere sentiti dal medesimo direttore (o un suo delegato) che,esaminati i documenti e gli argomenti esposti negli scritti difensivinonché nel verbale di mancata conciliazione, determina con ordi-nanza motivata la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge ilpagamento, insieme con le spese.

L’art. 18 c. 10 del d.lgs. n. 113/2012 prevede, a chiusura del siste-ma sin qui descritto, che per quanto non espressamente disciplinatosi applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge24 novembre 1981, n. 689 (cosiddetta legge di depenalizzazione).

36 Ai sensi dell’articolo 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689.37 Ai sensi dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689.38 Di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

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1. Premessa

Il coordinamento e la corretta implementazione delle proceduredi informazione e consultazione delle istanze di rappresentanza deilavoratori, a diversi livelli, rappresentano una priorità per i sindacatie per la loro azione di promozione e tutela dei diritti e degli interessidei lavoratori.

In particolare, è importante garantire procedure informative pro-attive e una valida consultazione nelle imprese multinazionali, attra-verso i Comitati aziendali europei (CAE). Ciò è possibile solo assicu-randosi che tali procedure europee traggano vantaggio dai risultatidelle prassi di informazione e consultazione a livello nazionale/localesu temi di rispettiva competenza. Al contempo, è ugualmente neces-sario che il flusso funzioni anche in senso inverso, dai CAE allestrutture e prassi sindacali nazionali e aziendali. Il diritto/dovere deimembri CAE di informare i lavoratori dopo ogni riunione del CAE èvolto proprio a consentire agli organismi nazionali di rappresentan-za dei lavoratori di sfruttare le informazioni su temi di interessetransnazionale.

Questa dinamica multilivello – fra attori e procedure nazionali edattori e procedure di livello europeo e internazionale – costituisceun’opportunità straordinaria ma si presta anche, inevitabilmente, adalcune criticità e intoppi.

* CGIL Lombardia, Ufficio Internazionale.

I CAE in una prospettiva di ricerca proattiva:l’esperienza e il modello del progetto europeo ICARUS

di Fabio Ghelfi*

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Il progetto europeo ICARUS, di cui qui riferiamo i risultati, si èconcentrato su alcune fasi critiche del coordinamento tra diversi at-tori che svolgono un ruolo di rappresentanza dei lavoratori nelleimprese multinazionali. L’iniziativa, nel suo sviluppo, ha affrontatodue questioni che, nel complesso dell’analisi sindacale sui CAE, ri-sultano cruciali per l’implementazione positiva di questi strumenti.In primo luogo l’innesco, nella mentalità dei membri CAE, ma so-prattutto delle organizzazioni sindacali, di un approccio proattivo,propositivo e strategico per pianificare interventi e progetti che raf-forzino le reti internazionali dei rappresentanti dei lavoratori e lacapacità dei membri dei CAE di «sfidare» il management delle impre-se, proponendo, chiedendo conto dei diritti e dinamizzando l’attivitàdel Comitato aziendale europeo.

In secondo luogo, il focus del progetto sui rapporti tra membriCAE, RSU e organizzazioni sindacali ha incrociato molti aspetti chespingono a riflettere sui motivi per cui, a vent’anni dal varo dellanormativa sui CAE, i lavoratori di circa la metà delle imprese multi-nazionali che potrebbero costituire un CAE ne sono ancora privi.

2. Il progetto ICARUS

Il progetto «ICARUS Information and Consultation: Approaches ofResearch coordinating good Union Standards», che in italiano si puòtradurre con Informazione e consultazione: approccio ad un’inchiestaper coordinare standard sindacali di buon livello, è il risultato del la-voro di un’ampia partnership internazionale ed è stato supportato dal-l’UE, attraverso i programmi di finanziamento volti all’implementa-zione di attività e conoscenze dedicate al dialogo sociale1.

Il progetto si è sviluppato tramite un network sindacale europeo,articolandosi tra ricerca e azione sindacale. Scopo dell’iniziativa eraquello di riuscire a coniugare i benefici dati da un’inchiesta qualitati-va e quantitativa con la capacità dei promotori del progetto di met-

1 Il progetto è stato finanziato sulla linea di bilancio 04030303 della Commissio-ne Europea, attraverso la Direzione Generale Occupazione ed Affari sociali.

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tere in campo tattiche e strategie di sindacalizzazione dei lavoratorinelle imprese multinazionali. Il cuore dell’inchiesta è stato quindi ilfunzionamento dei processi di informazione e consultazione, ma an-che il coordinamento dell’attività di rappresentanza dei lavoratorisvolta nell’ambito di imprese multinazionali da funzionari sindacali,delegati dei lavoratori e membri dei CAE.

Si è mirato all’individuazione di buone pratiche di funzionamento,ma anche di formazione dei rappresentanti dei lavoratori, sulla co-noscenza dei diritti di informazione e consultazione, sulle relazioniindustriali in contesto transnazionale e sulla natura economica e or-ganizzativa delle imprese multinazionali, nonché sul ruolo premi-nente di questi soggetti economici nel mercato globale.

Su questa tela di fondo, il progetto ha inteso soddisfare le seguentiesigenze delle organizzazioni sindacali partner:

a) Analizzare buone o anche cattive pratiche di reciproca informa-zione e cooperazione tra rappresentanti dei lavoratori negli stabi-limenti di imprese multinazionali, membri CAE, funzionari sinda-cali responsabili dell’attività sindacale nei siti locali di impresemultinazionali.

b) Provvedere a concepire una formazione, specifica e personalizzata,ai fini di una totale e corretta attuazione dei diritti di informazione econsultazione nelle imprese di livello UE. Una formazione che coin-volga rappresentanti dei lavoratori dei siti locali di imprese multina-zionali, delegati CAE, funzionari sindacali sul territorio responsabilidell’attività sindacale nei siti locali di imprese multinazionali.

c) Stabilire una rete coordinata di rappresentanti sindacali a diversilivelli, stimolare la fiducia reciproca e sfruttarne i vantaggi per ga-rantire maggior coordinamento tra diversi livelli di istanze di in-formazione e consultazione, oltre che coerenza dell’azione sinda-cale in una dimensione transnazionale con riferimento alla parte-cipazione dei lavoratori.

L’obiettivo principale del progetto è stato quello di rafforzare e di-vulgare una migliore conoscenza e comprensione dei diritti di infor-mazione e consultazione stabiliti dalla Carta dei Diritti Fondamentali

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dell’Unione Europea e dalle direttive 2002/14/CE e 2009/38/CE, tra-sposte nelle legislazioni nazionali. Un’approfondita comprensionedei contenuti e l’attuazione nella pratica di queste direttive è stata ilperno dell’analisi e delle attività previste dal progetto.

Il progetto mirava dunque a:

• aggiornare le conoscenze dei delegati sindacali e dei rappresen-tanti dei lavoratori circa il potenziale dei nuovi provvedimenti in-trodotti dalla direttiva 2009/38/EC, rispetto a prospettive concrete;

• esplorare come i nuovi elementi introdotti dalla direttiva rifusa38/2009/CE trovino applicazione nella concreta attività dei mem-bri CAE e dei rappresentanti dei lavoratori a livello nazionale – equali siano i temi correlati;

• far collimare condizioni e procedure corrette ai fini di un’efficaceattuazione dei diritti di informazione e consultazione previsti dalladirettiva 2002/14/CE e dalla direttiva 2009/38/CE, per un’efficien-te rappresentazione degli interessi dei lavoratori nelle impresemultinazionali.

Obiettivi politici del progetto sono stati:

• rinforzare la partnership internazionale con altre organizzazioni eintervenire su questioni chiave di quasi tutti i mercati nell’eradella globalizzazioni: le dinamiche e le criticità per i lavoratori diimprese che hanno un peso specifico importante nei mercati in-ternazionali e nazionali di molti Stati;

• affrontare il tema dell’informazione data ai rappresentanti dei la-voratori dal management, il relativo utilizzo e le procedure di con-sultazione che ne possono scaturire;

• sviluppare una riflessione sull’importanza della reciproca infor-mazione e collaborazione tra i tre soggetti coinvolti (rappresen-tanti CAE, delegati sindacali e sindacalisti) sulla rappresentanza inun sito locale di una multinazionale.

Gli output, o risultati, generati da questo processo possono essereconsiderati la parte più visibile del successo che ha rappresentato lo

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svolgimento di un percorso comune e collettivo. L’ampia partnershipinternazionale è stata ancor di più un punto di forza per la parteci-pazione proattiva dei rappresentanti delle diverse organizzazionisindacali che vi hanno aderito. La concreta e produttiva attività dinetwork politico-sindacale che ha caratterizzato il raggiungimentodegli obiettivi posti, non è un fattore tecnico, ma al contrario ha co-stituito un arricchimento politico e la messa in atto di forme di coo-perazione fondamentali per sviluppare un’azione sindacale transna-zionale che divenga sempre più operativa e progettuale.

Le ricerche, la formazione, l’organizzazione del network transnazio-nale e degli eventi hanno visto un ruolo attivo e determinante di ognimembro del gruppo. Un buon progetto, insomma, grazie al lavoro disquadra e al contributo di tutti, è un lavoro collegiale e collettivo.

3. La realizzazione del progetto

3.1. Il partenariato

La CGIL Lombardia ha promosso e coordinato questo progetto, du-rato dodici mesi, al quale hanno partecipato le organizzazioni sindacaliregionali CFDT Rhônes Alpes (Francia), Comissiones Obreras de Ca-talunya e Union General de Trabajadores de Catalunya (Spagna), DGBNieder Sachsen (Germania), TUC Southern and Eastern England (Re-gno Unito), FRATIA CNSRL (Romania), CISL Lombardia (Italia) e siè avvalsa del supporto scientifico dell’IRES Emilia-Romagna (Italia)2.

2 Altrettanto importante è considerare che il lavoro di ICARUS è stato realizzatograzie al team multidisciplinare che si è costituito in CGIL. Volker Telljohann del-l’IRES Emilia-Romagna (co-autore di questo rapporto) e Umberto Bettarini hannolavorato alla raccolta e all’analisi della parte quantitativa della ricerca. Umberto Bet-tarini ha in seguito realizzato con il sottoscritto la parte qualitativa dei focus group. Sa-ra Rubino ha collaborato alla realizzazione in aula del modulo formativo, Luisa Ar-chetti e Maria Mangiaracina hanno reso possibile l’organizzazione e la buona riuscitadi eventi complessi, come lo sono conferenze e seminari di formazione transnaziona-li, e la diffusione ampia e internazionale delle informazioni e conoscenze generatedal progetto con un’attività preziosa di divulgazione ed utilizzo dei social network. Leelaborazioni statistiche sono state effettuate da Carlo Fontani di IRES Emilia-Romagna.

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Il gruppo di coordinamento del progetto era rappresentativo dinumerose e diverse culture sindacali europee: ciò è stato senza dub-bio un valore aggiunto perché un risultato indiretto del progetto ècertamente la reciproca conoscenza e l’arricchimento dato dalla re-ciproca contaminazione3. Un elemento di forza della realizzazionedelle azioni è senza dubbio stato la capacità di lavoro di gruppo e lacoesione che la partnership ha costruito e mantenuto in tutte le fasi diimplementazione di ICARUS.

3.2. Le azioni

Il progetto si è composto di molteplici azioni, di diverso tipo, chesi sono susseguite coerentemente lungo tutta la durata di ICARUS.Esse sono state:

a) l’Inchiesta quantitativa. La CGIL Lombardia ha organizzato, in col-laborazione con i suoi partner, una fase di inchiesta quantitativa rea-lizzata in sei stati dell’Unione Europea, sperimentando lo strumentodi un questionario a risposte chiuse rivolto a tre soggetti differenti:

• rappresentanti sindacali dei siti locali delle multinazionali,• funzionari sindacali competenti per il sito,• membri dei Comitati aziendali europei.

b) l’Inchiesta qualitativa. Sulla base dei risultati ottenuti è stata realiz-zata la seconda fase della ricerca, quella qualitativa, ovvero la pro-mozione di un focus group. Il risultato è l’analisi delle dinamiche direciproca informazione e cooperazione tra le tre tipologie di personeinterrogate col questionario quantitativo. Lo scopo di questa speri-mentazione è anche realizzare uno strumento operativo a disposi-zione dei lavoratori e del sindacato a diversi livelli, replicabile e spe-rimentabile da tutte le organizzazioni partner del progetto, affina-bile e collaudabile nel tempo.

3 Il gruppo di pilotaggio di ICARUS si è riunito cinque volta a Bruxelles, Bar-cellona, Bucarest, Ispra e Milano vedendo la partecipazione dei coordinatori ICA-RUS di tutti i partner della rete.

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c) La Formazione. L’ultima fase del progetto è stata dedicata allaformazione. Un modulo formativo composto da sessioni di aula e la-voro di gruppo della durata complessiva due giorni e mezzo di se-minario, oppure da scomporre in attività di sessioni più brevi. Sonostati coinvolti circa 40 sindacalisti provenienti dai sei paesi. Anchequesto modulo è concepito per essere replicato nei diversi contestinazionali. I temi della formazione si riferiscono, oltre che ai conte-nuti dei questionari, anche all’approfondimento di questioni-chiavedi ordine legale e contrattuale in tema di relazioni industriali nelleimprese multinazionali, delle strategie di sindacalizzazione in un con-testo multiculturale, su come affrontare le ristrutturazioni e le crisiindustriali e produttive.

3.3. Gli strumenti e la metodologia

Gli strumenti operativi (inchiesta e azione sindacale) realizzati edutilizzati nel progetto sono:

• il set di questionari esplorativi – una versione lunga per la ricercascientifica e una versione più breve a disposizione di stakeholdersindacali per mappare il contesto di intervento;

• la metodologia per condurre un focus group, utile all’inchiestaqualitativa e a supporto di riunioni sindacali volte all’armonizza-zione e implementazione della cooperazione tra gli stakeholderdella rappresentanza dei lavoratori nelle imprese multinazionali;

• i materiali di formazione, rivolti ai citati stakeholder, ma in una vi-sione più ampia, destinati anche a processi di sensibilizzazionealle strategie sindacali transnazionali.

Strumenti realizzati per azioni di inchiesta, formazione dei rap-presentanti degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, azionesindacale.

Focus groupLa metodologia per condurre i focus group è stata elaborata per ac-

compagnare riunioni sindacali nelle quali fosse possibile raggiunge-re due obiettivi:

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• creare processi di reciproca contaminazione tra i partecipanti (èimportante ricordare che il progetto coinvolge diversi stakeholder:membri CAE, rappresentanti dei lavoratori e funzionari sindaca-li), facendo emergere problemi e vantaggi, opportunità e criticità;

• impostare una riunione per analizzare situazioni specifiche edelaborare proposte, soppesando in modo condiviso gli aspetti po-sitivi e negativi.

È uno strumento concepito per essere partecipativo e fonda la suafunzionalità sul confronto cooperativo. Questa metodologia è quindiuno strumento di appoggio ad una pratica, quella della riunione tra irappresentanti dei lavoratori e funzionari sindacali, esistente nellacomune attività. Il valore aggiunto che si propone è l’adozione di unapproccio, schematico ma flessibile, che consenta di attuare un pro-cesso che includa:

• identificazione della questione;• messa in luce degli aspetti negativi e positivi;• identificazione di soluzioni o miglioramenti;• risorse necessarie alla realizzazione di quanto identificato;• strumenti operativi necessari;• attori coinvolti nell’operazione di soluzione o miglioramento.

QuestionariPer la fase di ricerca quantitativa sono stati costruiti tre diversi

questionari quantitativi. Questi sono stati creati per essere messi adisposizione di un’inchiesta e mappatura delle esperienze e delleconoscenze di coloro che si occupano di CAE, i funzionari sindacalilocali, i membri del CAE e i rappresentanti dei lavoratori di impresemultinazionali. L’utilizzo in parallelo dei tre questionari (funzionarisindacali, membri CAE, rappresentanti dei lavoratori) permette diraccogliere e analizzare informazioni sul funzionamento delle rela-zioni industriali in una data impresa, incrociando i dati emersi dallacompilazione effettuata dai tre stakeholder della rappresentanza degliinteressi dei lavoratori nel sito locale di una impresa multinazionale.L’applicabilità della ricerca consente di lavorare sia su settori specifi-

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ci che in specifici ambiti territoriali. Il dato rilevato fornisce una basedi informazione molto ricca e dettagliata. Lo strumento è adatto adinchieste tese a misurare in modo statistico un campione di medie eampie dimensioni.

I questionari qualitativi, invece, sono concepiti per raccogliere, inmaniera più immediata, informazioni in merito all’esperienza di sin-goli membri CAE, rappresentanti dei lavoratori e funzionari sindaca-li. I tre strumenti esplorano l’esperienza degli interpellati in meritoalla formazione, all’attività di networking (comunicazione e coordina-mento) e alle tematiche affrontate nell’attività di un CAE e la loroutilità ed efficacia rispetto all’azione locale di rappresentanza degliinteressi dei lavoratori. La raccolta di informazioni è più diretta, ledomande aperte permettono di ottenere risposte «narrate» e di co-struire una base di confronto con cui avviare un’attività di supportoda parte dei sindacati o di coordinamento di chi opera sui CAE.

4. L’inchiesta quantitativa

I «questionari lunghi», come venivano comunemente definiti daipartecipanti al progetto, costituiscono uno strumento articolato e ap-profondito di rilevazione di informazioni incrociate. Ne sono statepredisposte tre versioni rivolte ai delegati sindacali d’impresa, aimembri dei CAE e ai funzionari sindacali.

L’indagine condotta dai ricercatori del progetto ha messo in mo-stra la possibilità di effettuare con uno strumento come questo uncensimento approfondito dell’esperienza dei CAE.

La sperimentazione fatta con ICARUS ci fa dire inoltre che conuno strumento di questo genere e risorse non ingenti, sarebbe possi-bile effettuare una rilevazione periodica e definire un panel di con-fronto nell’arco di un periodo medio, se non medio-lungo, col risul-tato di avere una mappatura aggiornata e arricchita di elementi chequalifichino l’esperienza vissuta nel CAE con molteplici dettagli epratiche.

Come si spiegherà avanti, da questo questionario maggiore sonoscaturiti altri strumenti più sintetici e destinati ad altro scopo, di

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natura più operativa o per focalizzare alcuni aspetti specifici dellavita di un CAE. Il senso di moltiplicare sta nel volere strumenti a-datti non solo a fare inchiesta, ma anche a coniugare ricerca e azionecome nel caso dei questionari aperti, pensati per essere utilizzati alfine di mappare e coordinare un intervento su CAE e multinazionaleda parte di una struttura sindacale.

Gli attori intervistati sono stati nel complesso 158 di cui 79 mem-bri CAE, 45 rappresentanti dei lavoratori e 34 funzionari sindacali.Fra gli intervistati c’è una netta maggioranza di coloro che lavoranoin un paese diverso dalla sede centrale (86% contro 14%). Nel casodei rappresentanti dei lavoratori questa tendenza è ancora più mar-cata (92%). Netta è anche la sovrarappresentazione degli attori ita-liani che sul totale delle interviste pesano per il 58%. Anche in que-sto caso la tendenza è più marcata per i rappresentanti dei lavorato-ri. Mentre gli intervistati spagnoli pesano per il 17% tutti gli altripaesi (Francia, Germania, Romania e Regno Unito) hanno un pesoche si aggira fra 5 e 8%. Quasi la metà (44%) dei rappresentanti deilavoratori e dei CAE lavora in grandi gruppi multinazionali con piùdi 10.000 dipendenti.

4.1. Funzionamento dei CAE e criticità

Salta agli occhi che il 31,5% di questi attori aziendali non conosceil numero dei dipendenti della multinazionale per la quale lavora.Fra i rappresentanti dei lavoratori il valore raggiunge addirittura il60%, mentre sono il 15% dei membri CAE che non sanno i livelli oc-cupazionali del gruppo multinazionale. Questi dati sembrano indica-re che soprattutto i rappresentanti dei lavoratori non sono del tuttoconsapevoli della dimensione transnazionale del gruppo di cui faparte anche il loro stabilimento o la loro agenzia.

Rispetto al numero delle riunioni ordinarie tenute negli ultimi treanni più di un terzo dei delegati CAE dichiara di aver partecipato aduna riunione all’anno. Ci sono comunque anche alcuni dei delegati(8%) che hanno assistito a meno di tre riunioni negli ultimi tre anni.È interessante che quasi la metà dei delegati CAE dichiara di averavuto più di una riunione per anno e che il 35% ha partecipato ad

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almeno due riunioni all’anno. Inoltre, circa il 60% dei delegati CAEdichiara di aver partecipato ad almeno una riunione straordinarianegli ultimi tre anni. A questi incontri si aggiungono nel 70% dei ca-si almeno due incontri all’anno del comitato ristretto. Questi datisembrano indicare che l’attività dei CAE si stia tendenzialmente in-tensificando.

Per quanto riguarda il funzionamento dei CAE la stragrande mag-gioranza dei rispondenti (92,5%) conferma l’esistenza di un comitatoristretto. La redazione dei verbali delle riunioni con il management èaffidata prevalentemente al CAE.

In una minoranza dei casi è il management ad assumersi questa re-sponsabilità e in alcuni casi il verbale viene redatto congiuntamente.Ma in quasi tutti i casi (89%) i verbali sono concordati fra le due parti.I verbali sono redatti in modalità multilingua, nel 39% dei casi in tuttele lingue e nel 42% dei casi nelle lingue principali. Viceversa si po-trebbe anche dire che in circa il 60% dei casi ci sono delegati CAE acui i verbali non vengono forniti nella loro lingua e che quindi posso-no incontrare problemi nella comprensione dei documenti circolati.

Visto che secondo la direttiva europea il management dovrebbe for-nire ai membri del CAE le risorse e i materiali che sono necessari aifini dell’adeguato svolgimento delle sue funzioni sarebbe probabil-mente auspicabile ricevere traduzioni in tutte le lingue.

In media il 92% degli intervistati afferma che i risultati delle riu-nioni CAE vengono trasmessi. È comunque da sottolineare che fra irappresentanti dei lavoratori il 18% segnala di non ricevere i risultatidelle riunioni CAE. Questo dato conferma che ci sono ancora deiproblemi relativi alla trasmissione dei risultati a tutti i dipendenti intutte le strutture delle multinazionali.

Quando la trasmissione dei risultati avviene le modalità di comu-nicare l’esito delle riunioni CAE sono piuttosto varie. Le modalità piùdiffuse sono i verbali che vengono spediti via posta elettronica ai rap-presentanti dei lavoratori. Un’altra modalità molto diffusa è rappre-sentata dalle assemblee nello stabilimento dove lavora l’intervistato.Dopo troviamo incontri delle strutture di rappresentanza dei lavo-ratori con delegati CAE che hanno luogo al sito dell’intervistato. Se-guono la diffusione dei verbali via intranet e le riunioni delle struttu-

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re nazionali di coordinamento di gruppo alle quali partecipano an-che i delegati CAE. Poi c’è la diffusione dei risultati sul sito del CAEe attraverso incontri delle strutture di rappresentanza dei lavoratoricon delegati CAE che hanno luogo in tutti i siti del gruppo multina-zionale nel paese dell’intervistato. Infine c’è la modalità delle assem-blee in tutti i siti del gruppo nel paese dell’intervistato seguita dallenewsletter dei CAE.

Questi risultati dimostrano che l’utilizzo delle tecnologie di infor-mazione e comunicazione è ancora sottorappresentato.

4.2. I rapporti fra delegati CAE e organizzazioni sindacali

Per quanto riguarda i rapporti fra CAE e organizzazioni sindacalinel 56% degli intervistati si segnala la presenza di un funzionariosindacale responsabile, il 30% sostiene che non ci sia un sindacalistadi riferimento mentre il 14% non risponde o non sa rispondere alladomanda. Fra i rappresentanti dei lavoratori quest’ultimo valore èpiù elevato raggiungendo il 22%. Questo dato sembra confermare ilfatto che i rappresentanti dei lavoratori hanno delle lacune rispettoalle attività dei CAE.

La qualità dei rapporti tra delegati CAE e strutture sindacali se-gnalata dagli attori intervistati è significativamente soddisfacente conil 39,6% che ritiene i rapporti pienamente soddisfacenti e il 46,5%che considera i rapporti mediamente soddisfacenti. Il 14% degli in-tervistati denuncia invece una situazione più o meno insoddisfacenteo addirittura l’assenza di un qualsiasi rapporto fra CAE e sindacato.Questi dati indicano che per il 60% dei rispondenti il rapporto fra idue attori è migliorabile. Fra i rispondenti con un alto livello diesperienza è addirittura il 72% che pensa che i rapporti fra CAE esindacati possano essere migliorati.

Questi margini di miglioramento sembrano esistere in tutti i paesianalizzati. Questi dati sono in linea con il fatto che il 38% dei ri-spondenti segnala l’esistenza di rapporti regolari fra delegati CAE efunzionari sindacali, mentre il 15% segnala l’assenza di rapporti re-golari. È invece significativo che il 47% non risponda o non sappiarispondere alla domanda.

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Dai dati si può quindi dedurre che, da un lato, le strutture sinda-cali devono ancora investire in attività di sostegno e di coordina-mento con i CAE. Dall’altro lato, nella maggioranza dei casi in cuiun funzionario responsabile esiste già pare che ci sia comunque unbisogno di rendere i rapporti fra CAE e sindacati più efficaci.

In generale dai 79 delegati CAE intervistati emerge come la no-mina dei delegati avvenga principalmente, in ordine, attraverso de-signazione del sindacato (38%), elezione da parte dei rappresentantidei lavoratori (31%), designazione da parte della struttura di rappre-sentanza (17,7%) ed elezione da parte dei lavoratori (11%). Premessoche i questionari di provenienza italiana condizionano le tendenze,data la numerosità superiore, si registra una prevalenza dell’elezionedei delegati CAE da parte dei rappresentanti dei lavoratori per idelegati tedeschi e spagnoli, dell’elezione dai lavoratori nel RegnoUnito, e della designazione di origine sindacale in Francia e Roma-nia. Meno marcata ma nettamente più significativa è la designazionedei delegati di origine sindacale in Italia.

4.3. Risorse a disposizione dei delegati CAE

Dal punto di vista delle risorse a disposizione dei CAE non solodurante le riunioni con il management, ma anche fra le riunioni, glielementi di maggiore criticità si hanno rispetto alla presenza di un

Non ne dispongono Ne dispongonoSegretariato 60,6 39,4Traduzione 36,5 63,5Sovvenzionamento 75,0 25,0Permessi 20,2 79,8Accesso siti produttivi 45,2 54,8Esperti esterni 41,3 58,7E-mail 8,7 91,3Internet 29,8 70,2Intranet 34,6 65,4Sito web CAE 62,5 37,5Formazione 55,8 44,2Staff aggiuntivo 85,6 14,4

Fonte: Elaborazioni IRES Emilia-Romagna su dati CGIL Lombardia

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budget per le attività del CAE (il 75% ne denuncia l’assenza), staff ag-giuntivo (85,6%), sito web del CAE (62,5%), segretariato (60,6%) eformazione (55,8%). Elementi segnalati come forniti in modo ten-denzialmente più adeguato riguardano i permessi (79,8%), la comu-nicazione via e-mail (91,3%), l’accesso a Internet (70,2%) e intranet(65,4%), esperti esterni (58,7%), accesso a siti produttivi (54,8%) e lapossibilità di avvalersi di servizi di traduzione (63,5%).

Dal punto di vista del funzionamento dei CAE sarebbe sicura-mente auspicabile investire di più in strutture di segretariato che so-no una condizione necessaria per garantire l’operatività del CAE an-che fra le riunioni con il management.

Rispetto alla visibilità delle attività del CAE anche ulteriori sforziper garantire la presenza sul web attraverso propri siti Internet sem-brano indispensabili. Se poi è vero che il funzionamento dei CAEdipende in primo luogo dalle competenze a disposizione, sia la par-tecipazione a corsi di formazione, sia la possibilità di ricorrere adesperti esterni rappresentano due forme di risorsa che sicuramentedovrebbero essere usate in modo molto più estensivo, non ultimoperché si tratta di diritti stabiliti dalla direttiva europea.

I CAE che in passato hanno fatto ricorso ad esperti esterni hannousato questo diritto per garantire la presenza di sindacalisti durantele riunioni con il management. A parte i funzionari sindacali sono statiusati anche formatori, economisti e avvocati del lavoro.

4.4. La formazione

Per quanto riguarda la formazione emerge ancora una carenza diimpegno formativo. Il 16,9% dichiara infatti di non aver partecipatoa corsi di formazione, dato che appare più elevato per l’Italia dovequesta quota raggiunge il 23,3%.

L’assenza di formazione è minore nei gruppi caratterizzati da unalto livello di transnazionalità (11,4%) dove nei CAE sono coinvoltipiù di dieci paesi.

La formazione è organizzata prevalentemente dal sindacato e daiCAE, seguono attività organizzate dalle strutture nazionali di rap-presentanza e corsi di formazione organizzati dalle imprese. Per

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quanto riguarda il finanziamento si tratta di attività finanziate inprevalenza dalle imprese e dal sindacato; seguono le attività di for-mazione finanziate dalla Commissione europea e, solo in forma resi-duale, quelle finanziate dalla federazione europea.

I contenuti delle attività formative insistono su tematiche inerentialle relazioni industriali e alle strategie societarie, seguono lo svilup-po di competenze comunicative e linguistiche e infine lo sviluppo dicompetenze riguardanti la lettura di bilanci societari.

4.5. Valutazione delle attività dei CAE

Per quanto riguarda il rapporto con i dipendenti si registra unbuon livello di comunicazione con le maestranze. Il 77% dei delegatiCAE segnala infatti la presenza di una comunicazione diretta con idipendenti, con quote più elevate per Italia (88,6%) e Francia (83,3%).

Livelli pressoché analoghi si evidenziano per quanto riguarda latrasmissione dei risultati delle riunioni straordinarie alle strutturesindacali nazionali e locali. In questo caso il 74,2% afferma che av-viene una trasmissione dei risultati in tempi utili con maggior evi-denza per paesi come Francia e Germania. Il livello di comunicazio-ne sembra essere condizionato dal livello di transnazionalità per cuisi hanno livelli di comunicazione decrescenti al crescere dei paesicoinvolti dal CAE.

È interessante che la maggioranza dei delegati CAE (58,9%) af-fermi che ci sono state delle esperienze in cui il CAE è stato in gradodi fornire un sostegno positivo alle strategie dei sindacati locali e/onazionali. Particolarmente positivo è stato il ruolo dei CAE perquanto riguarda il sostegno al sindacato in Romania (100%) e Spa-gna (69,2%). È inoltre significativo il maggiore contributo dei CAEalle strategie sindacali nei paesi differenti dalla sede centrale. Questorisultato è infatti in linea con l’obiettivo originario della direttiva eu-ropea stessa. Allo stesso tempo si può osservare che il sostegno deiCAE alle strategie dei sindacati nazionali e locali è maggiore ingruppi con un alto livello di transnazionalità. A questa tendenza cor-risponde il fatto che i CAE riescono a contribuire di più alle relazioniindustriali nazionali con il crescere della dimensione del gruppo nel

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rispettivo paese. Viceversa si può infatti notare che esperienze di so-stegno alle strategie dei sindacati locali e/o nazionali sono sottorap-presentate nei casi in cui i livelli occupazionali non superano i 500dipendenti (28,6%).

Questi risultati potrebbero essere interpretati come una tendenzaverso il superamento di un ruolo solo simbolico e verso un ruolo piùefficace e di più forte impatto sulle relazioni industriali locali e na-zionali. Dall’altro lato, si può sostenere che i CAE stanno probabil-mente appena cominciando a contribuire in modo più significativoalle relazioni industriali nazionali e che tuttora rimangono ampi mar-gini per una migliore integrazione a questo livello.

L’indagine rivela anche che circa un quarto dei delegati CAE os-serva delle divergenze fra la strategia del suo CAE e le strategie delsindacato locale e/o nazionale. Queste divergenze sono più presentinei paesi dove c’è la sede del gruppo multinazionale.

Questo risultato in parte è forse dovuto al fatto che nel paese dellasede della multinazionale i rapporti fra sindacati e strutture di rap-presentanza aziendali sono più intensi e che, di conseguenza, anchela dialettica fra gli attori è più sviluppata. Ma il risultato potrebbeovviamente anche essere legato al fatto che le strategie non coinci-dono perché ci sono interessi divergenti fra i due attori come in pas-sato è successo frequentemente in casi di ristrutturazione in cui ilsindacato nazionale nel paese della sede della multinazionale cercadi sfruttare il suo rapporto privilegiato con il management centraleper difendere interessi nazionali a scapito di una strategia europea.

È anche interessante notare come la percezione di divergenze au-menti con il crescere dell’esperienza dei delegati CAE. Si passa dal22,2% nei casi di delegati con bassa esperienza al 37,5% nei casi didelegati con una elevata esperienza.

Sembra quindi che i delegati con una più elevata esperienza per-cepiscano le divergenze meglio dei loro colleghi con un’esperienzapiù bassa.

Il giudizio sulla qualità dei rapporti tra delegati CAE e strutturesindacali è in sostanza soddisfacente sul totale, il 31% dichiara di es-sere pienamente soddisfatto e il 53% dichiara di essere mediamentesoddisfatto. Nonostante il dato totale emergono comunque tendenze

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interne al campione osservato: i delegati italiani e francesi sono me-diamente meno soddisfatti di quelli degli altri paesi. Per Italia eFrancia pesano di più i soddisfatti solo mediamente. Inoltre si puònotare che si registrano livelli di soddisfazione inferiori al cresceredella dimensione aziendale e della transnazionalità del CAE. Infine,al crescere del livello di esperienza sembrano aumentare le risposteche segnalano un livello di soddisfazione delle relazioni meno ele-vato. Questo è probabilmente dovuto al fatto che i delegati con piùesperienza, da un lato, sono più esigenti e, dall’altro lato, sanno an-che meglio leggere le carenze nei rapporti con le strutture sindacali.

Il fatto che solo il 31% dei delegati CAE è pienamente soddisfattodei rapporti con le strutture sindacali indica in ogni caso che c’è an-cora bisogno di investire nel miglioramento dei rapporti fra i dueattori.

Per quanto riguarda le strutture di rappresentanza dei lavoratori irisultati dei questionari dimostrano che c’è ancora bisogno di miglio-rare la comunicazione fra loro e i CAE. Inoltre, i rappresentanti deilavoratori non sembrano avere sempre chiara la dimensione trans-nazionale del gruppo per il quale lavorano. Da un lato, si pone,quindi, la necessità di una più forte integrazione dei rappresentantidei lavoratori nella rete di informazione e comunicazione dei CAE,e, dall’altro lato, sarebbe auspicabile coinvolgere i rappresentanti deilavoratori in corsi di formazione sulla dimensione transnazionale delgruppo e sulle potenzialità dei CAE come strumento di rappresen-tanza degli interessi a livello europeo.

I CAE dovrebbero prima di tutto cercare di usare i loro diritti inmodo più deciso. Questo vale sia per l’uso di certe risorse e certi di-ritti previsti dalla direttiva sui CAE, sia per il diritto e il dovere diinformare tutti i dipendenti nei paesi membri sui risultati delle ri-unioni con il management. Per garantire una maggiore efficacia delleattività del CAE pare di particolare importanza un maggiore uso dellerisorse che possono contribuire al rafforzamento e accrescimentodelle competenze dei delegati CAE come l’uso di esperti esterni ecorsi di formazione.

Dal punto di vista del funzionamento dei CAE è inoltre indispen-sabile investire di più in strutture interne che possono contribuire a

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una migliore operatività dei CAE anche fra le riunioni con il mana-gement.

Per quanto riguarda una migliore visibilità delle attività dei CAEsarebbero auspicabili ulteriori investimenti in tecnologie dell’infor-mazione e della comunicazione. Un più estensivo uso di queste tec-nologie potrebbe probabilmente anche contribuire a una più capilla-re diffusione dei risultati delle riunioni con il management.

Per quanto riguarda il rapporto fra i CAE e le strutture sindacali alivello locale e nazionale i risultati dell’indagine indicano che c’è anco-ra bisogno di investire nel miglioramento dei rapporti fra i due atto-ri. Questo è particolarmente importante nell’ottica di voler costruireuna rete integrata degli attori a livello europeo. È comunque inco-raggiante che nella maggior parte dei casi i CAE già oggi riescono asostenere le strategie dei sindacati a livello locale e/o nazionale. Maanche in questo caso ci sono ancora ampi margini per una miglioreintegrazione e per un più efficace coordinamento a questo livello.

5. L’inchiesta qualitativa

Questo rapporto è basato sui risultati di undici focus group che so-no stati realizzati nei paesi dei partner del progetto; in tutti i paesi ilnumero dei partecipanti ai singoli focus group è oscillato fra 5 e 10persone.

Nella maggior parte dei casi hanno partecipato diversi tipi di atto-ri ai focus group, ovvero delegati CAE, membri delle strutture di rap-presentanza dei lavoratori a livello aziendale e sindacalisti che se-guono stabilimenti di gruppi multinazionali dove sia stato costituitoun CAE. Questa eterogeneità della composizione ha garantito dianalizzare le problematiche da differenti punti di vista, ma anche didiscutere problemi specifici dei rispettivi attori. In questo modo iproblemi di funzionamento del CAE e del coordinamento fra i diver-si livelli di rappresentanza sono stati affrontati da una pluralità diangolazioni.

I temi affrontati nei focus group riguardavano principalmente iproblemi di funzionamento dei CAE e l’efficacia del rapporto fra

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CAE, da un lato, e strutture di rappresentanza a livello aziendale eorganizzazioni sindacali, dall’altro. Per quanto riguarda la prima di-mensione di queste dimensioni, sono state affrontate in particolaredue tematiche: a) i rapporti fra CAE e management e l’efficacia delleprocedure di informazione e consultazione; b) le dinamiche interneal CAE, le sue risorse e i diritti di cui dispone.

5.1. Analisi e valutazioni riguardo ai CAE

Per quanto riguarda i rapporti fra i diversi attori è da sottolineareche ci sono delle aspettative da parte dei sindacalisti e dei rappre-sentanti dei lavoratori a livello aziendale nei confronti dei membridel CAE, ma viceversa ci sono anche le aspettative dei CAE nei con-fronti degli altri attori, in particolar modo nei confronti delle strut-ture sindacali. L’aver affrontato il problema dei rapporti fra i diversiattori da diversi punti di vista ha permesso ai focus group di sviluppa-re proposte concrete di miglioramento del coordinamento e dellacomunicazione tra delegati CAE, rappresentanti dei lavoratori a li-vello aziendale e strutture sindacali.

Secondo i partecipanti ad alcuni focus group, uno dei principali li-miti dei CAE consiste nella loro incapacità di andare oltre i processidi informazione. Viene, quindi, evidenziata la necessità dello svilup-po, da parte dei CAE, della capacità di imporre i loro temi durantele riunioni con il management centrale e di sviluppare richieste estrategie condivise. In alcuni focus group vengono riportate esperien-ze positive che dimostrano quanto un CAE possa ottenere risultatiimportanti a livello europeo con un impatto positivo a livello decen-trato nei diversi paesi.

Diventa invece più difficile per il CAE sviluppare proposte condi-vise in casi di ristrutturazione. In questi casi gli interessi nazionaliprendono spesso il sopravvento. Secondo alcuni partecipanti ai focusgroup queste divergenze possono essere superate solo attraverso unintervento da parte delle organizzazioni sindacali.

Una delle problematiche principali riguarda la ristrettezza dellerisorse dei CAE. Il fatto che i delegati CAE siano anche rappresen-tanti dei lavoratori a livello aziendale implica la riduzione del tempo

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a disposizione per occuparsi dei temi emersi nell’ambito dei CAE.Visto che, in genere, per le attività legate al CAE non sono previstedelle ore di permesso sindacale aggiuntive, queste attività spesso ven-gono gestite in poco tempo con evidenti ripercussioni sulla qualitàdell’azione a livello europeo.

Un altro elemento di difficoltà è dato dall’assenza di attività trauna riunione e l’altra. Il fatto che fra le riunioni dei CAE in molti ca-si si abbandoni la questione o la si tratti in maniera solo sporadicaimplica una certa discontinuità nelle attività dei CAE. Anche a causadi questa discontinuità il CAE viene percepito dalle maestranze comeun organismo poco efficace.

Per quanto riguarda il rapporto fra i CAE e le strutture di rappre-sentanza dei lavoratori a livello aziendale si evidenziano due tipi diinadeguatezze. Un primo limite consiste nel fatto che non tutti glistabilimenti di un gruppo multinazionale presenti in un paese ven-gano informati sui risultati delle riunioni dei CAE con il managementcentrale. Spesso solo in quegli stabilimenti nei quali sono presentidelegati CAE questa informazione avviene in modo adeguato. È in-teressante notare che questo problema si pone anche in un paesecome la Germania con un modello di rappresentanza degli interessimolto articolato e fortemente istituzionalizzato. Un secondo limiteviene identificato nel fatto che la comunicazione nella maggior partedei casi avviene in senso unico. Sono in genere i CAE che informanole strutture aziendali. Manca invece la possibilità per le strutture dirappresentanza a livello aziendale di fornire input precisi ai CAE e dichiedere loro di affrontare determinate tematiche durante le riunionidel CAE.

In sintesi, per quanto riguarda le problematiche evidenziate daparte dei partecipanti ai focus group nei vari paesi si può osservareuna certa convergenza: ci sono solo pochi temi che potrebbero esse-re legati alle caratteristiche di certi contesti nazionali di relazioni in-dustriali. Un esempio in questo senso è rappresentato dal problemadella ristrettezza delle risorse che si pone in modo più o meno ac-centuato a seconda della regolazione nazionale in materia di rappre-sentanza. I contesti nazionali di relazioni industriali determinanocomunque, in una certa misura, la valutazione generale dell’efficacia

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dei CAE. In paesi con diritti forti per i rappresentanti dei lavoratoriil CAE è tendenzialmente considerato un’istituzione ininfluente men-tre in paesi con diritti meno ampi i partecipanti ai focus group tendo-no a considerare il CAE un (possibile) valore aggiunto.

5.2. Le proposte emerse dai focus group

Anche le proposte sviluppate dai focus group riguardano il miglio-ramento sia del funzionamento dei CAE sia del coordinamento fra idiversi attori.

Il rapporto fra CAE e managementPer quanto riguarda la prima dimensione, una delle proposte più

ricorrenti riguarda la formazione per i CAE. Fra i temi avanzati tro-viamo la proposta di corsi di formazione che dovrebbero contribuirea incrementare le competenze dei membri CAE per rendere il rap-porto con il management più efficace. Non si tratterebbe solo di svi-luppare competenze giuslavoristiche e di economia aziendale, maanche competenze nel campo delle tecniche di comunicazione e dellagestione di riunioni.

In molti casi il successo delle riunioni dipende infatti anche dallacapacità dei delegati CAE di imporsi per quanto riguarda i temi daaffrontare e la gestione stessa delle riunioni.

In caso di conflitti, per esempio nell’ambito di processi di ristrut-turazione, si propone di usare in modo più offensivo i mass media edi creare anche in questo modo pressione sul management.

Dinamiche interneVengono proposti corsi di formazione che dovrebbero contribuire

al miglioramento delle dinamiche interne. In questo caso i corsi do-vrebbero vertere soprattutto sui diversi modelli di relazioni indu-striali visto che da quelli dipendono anche i modi di intendere ilruolo del sindacato.

Alcuni partecipanti ai focus group considerano indispensabile tesse-re una rete di rapporti informali in grado di creare un continuoscambio fra i delegati CAE.

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Questi processi dovrebbero essere sostenuti da tecnologie dell’in-formazione e della comunicazione in grado di favorire lo scambio didocumenti e la messa in rete di relazioni e verbali non solo delle riu-nioni plenarie, ma anche dei diversi organismi di coordinamentonazionale.

Viene inoltre sottolineata la possibilità di condividere a livello diCAE informazioni ottenute negli organismi di partecipazione a li-vello nazionale. Questo vale per esempio per informazioni ottenutenell’ambito di consigli di sorveglianza.

Alcuni focus group hanno anche ricordato che le riunioni del CAE,e in particolar modo le riunioni preparatorie, dovrebbero essere uti-lizzate in modo più mirato per promuovere uno scambio di informa-zione e soprattutto di buone pratiche fra i delegati dei vari paesi.

Il coordinamento fra i diversi attoriPer sviluppare invece la comunicazione fra i CAE e gli altri attori

si propone la redazione di newsletter e comunicati sindacali così comela creazione di un sito del CAE. Per diffondere i risultati delle riu-nioni dei CAE con il management si dovrebbe inoltre cercare di usaregli organismi di coordinamento nazionale in modo più efficace. Inpaesi dove tali strutture non esistono, o esistono solo in modo par-ziale, la necessità di diffondere i risultati delle riunioni del CAE po-trebbe essere usata come un’occasione per costituire organismi dicoordinamento a livello nazionale.

Anche per migliorare il coordinamento fra i vari attori la forma-zione è considerata uno strumento importante. Ma in questo caso laformazione dovrebbe essere indirizzata più ai rappresentanti dei la-voratori a livello aziendale. Per dare la possibilità alle strutture dirappresentanza a livello aziendale di fornire delle richieste concreteai delegati CAE sarebbe utile inserire la preparazione delle riunioniCAE nell’agenda degli incontri delle strutture di rappresentanza a li-vello decentrato.

Per quanto riguarda il dialogo con i dipendenti i risultati dei focusgroup sottolineano che occorre rafforzare i canali di informazione. Inquesto caso viene proposto da più di un focus group di ampliare leconoscenze dei lavoratori in merito ai lavori del CAE organizzando

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assemblee periodiche a rotazione nei diversi stabilimenti del gruppo.Queste misure dovrebbero contribuire a ridurre la distanza tuttoraesistente fra i dipendenti e i CAE.

L’apporto dei focus group all’indagineÈ importante sottolineare che, per quanto riguarda la domanda su

come migliorare il funzionamento dei CAE e il coordinamento fra ivari attori, il metodo dei focus group si è rivelato parte della risposta.

In vari casi i focus group sono serviti a mettere in contatto diversiattori e a farli discutere sul ruolo dei CAE. La composizione etero-genea dal punto di vista dei ruoli coperti in genere ha favorito unadiscussione più approfondita sulle possibilità di una migliore inte-grazione fra i diversi livelli di rappresentanza. In più di un caso i fo-cus group hanno portato a una continuazione dei rapporti fra diversiattori.

In altri casi è stato lo scambio fra delegati di diversi CAE ad essereconsiderato particolarmente stimolante perché ha permesso di im-parare dalle esperienze

6. La formazione per i CAE

L’altra direttrice del progetto, la formazione sindacale, è un ele-mento fondamentale di ogni strategia per affrontare e valorizzarel’utilizzo dei diritti di informazione e consultazione, le opportunitàdi fare rete offerte dall’esistenza di un CAE e l’esperienza, spessomolto ricca, che i delegati CAE possono condividere con la propriaorganizzazione sindacale.

Altrettanto però è da riconoscere che la formazione risulta uno deibisogni dei delegati CAE maggiormente espressi e di cui si sente lamancanza. Il volume e la qualità della formazione che ricevono imembri CAE nella percezione degli stessi non risultano adeguati.

I membri dei CAE interpellati nella ricerca chiedono a gran vocedi ricevere maggiore formazione per affrontare il proprio compito dirappresentanza in seno a questo organismo transnazionale.

Un maggiore numero di opportunità formative è senz’altro utile e

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necessario. Nondimeno però è importante sviluppare una riflessionesulla strategia che sottende un programma di formazione. Serve in-fatti inquadrare gli obiettivi del processo in funzione del fabbisognoespresso, ma anche dello sviluppo di una strategia di azione sinda-cale sui CAE e in senso più ampio sulle imprese multinazionali.

Diventa quindi molto importante rompere qualche schema e rac-cogliere la sfida di dare risposte innovative ad una serie di domandeed esigenze. Dunque, chi formare?, su cosa?, con quali tecniche for-mative? Da qui si può articolare una progettazione che, oltre ad al-largare molto l’ambito di intervento, spinge ad analisi e dettaglioqualitativo. Ragione di ciò è quella dimensione sistemica della rap-presentanza multilivello, internazionale e interculturale che derivadall’esistenza nell’UE dell’unica forma di rappresentanza transna-zionale dei lavoratori al mondo riconosciuta per legge. Va aggiuntoinoltre che saper identificare e valorizzare il network sistemico e mul-tilivello intorno al CAE è il naturale inizio per superare lo scettici-smo in merito all’utilità del CAE e nel contempo la sensazione diisolamento che vivono molti membri dei CAE rispetto all’attività dirappresentanza dei lavoratori nella propria impresa e rispetto all’or-ganizzazione sindacale di cui fanno parte.

Se dunque il primo gruppo di riferimento per la formazione sonogli stessi membri dai CAE, con le modifiche introdotte nel 2009 alladirettiva e per implementare la capacità di azione sindacale nei CAEe nelle multinazionali diventa opportuno ragionare di proporreformazione sui temi dei CAE ai delegati sindacali dei lavoratori nelleimprese multinazionali e ai funzionari sindacali che seguono l’im-presa a livello territoriale o come gruppo.

Questa pluralità di soggetti, attori nella dinamica dei CAE, si im-pone per poter concepire quel gioco sistemico che permetta di inte-grare l’attività del CAE nel sistema di rappresentanza dei lavoratoridi un’impresa multinazionale. A ciò si aggiungono però altri aspetticonseguenti di importanza per lo meno altrettanto rilevante. Quali?

• Questa integrazione virtuosa dell’azione di rappresentanza a piùlivelli può portare non solo a generare un supporto dato dal CAEall’attività sindacale locale o nazionale, ma potrebbe divenire fatto-

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re di sviluppo di strategia negoziale transnazionale, nell’insieme,per lo meno europeo, della multinazionale. Il CAE infatti non facontrattazione, ma i membri di un CAE possono fornire supportofondamentale a chi è titolato a farla grazie al rapporto con il ma-nagement europeo dell’impresa, alle informazioni che ricevono e alpotenziale ruolo di ponte che possono giocare i membri di un CAEfacilitando la costituzione di reti e il coordinamento sindacale.

• In una prospettiva sindacale europea, non deve essere sottovalu-tata invece la peculiarità dei CAE di fronte alla sfida di costruireun movimento sindacale europeo più coeso e capace di divenirenel tempo parte integrante dell’identità sindacale dei lavoratorinei paesi membri dell’UE. Laddove le organizzazioni sindacali la-vorano per coordinarsi e cercare vie comuni di azione su scala co-munitaria, i rappresentanti dei CAE (coloro che sono sindacalizzatiovviamente) costituiscono un avamposto potenziale della basedelle organizzazioni sindacali su dimensione europea. In altre pa-role, sono gli unici rappresentanti dei lavoratori che, ad oggi, pos-sono sedersi di fronte ad un management transnazionale, vivere l’at-tività di rappresentanza in un ambiente europeo e multiculturale,incontrandone le grandi difficoltà, ma anche il potenziale. Coltiva-re questa coesione e il potenziale di azione comune è possibile sel’attività dei CAE viene affrontata come parte integrante del siste-ma di relazioni industriali della multinazionale da parte di tutti gliattori sindacali in campo, attivisti delegati dei lavoratori, funziona-ri sindacali e naturalmente gli stessi membri del CAE.

• Accanto a questa prospettiva operativa e multilivello – di aggrega-zione, coesione e coordinamento – e di una formazione di caratte-re nozionistico, emerge la necessità di una formazione che si con-centri anche su attitudini e competenze trasversali, attenta a farcrescere la capacità operativa e prendere l’iniziativa, a coordinarsie costruire proposte e posizioni comuni, a comunicare e fare net-work, a progettare percorsi e darsi obiettivi insieme.

Deve essere dunque un apprendimento che favorisca la proattivitàe che metta al centro, anche della formazione, gli attori in campo.Con la loro partecipazione e attraverso l’esperienza di cui sono por-

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tatori, è possibile sfruttare il forte valore aggiunto di un apprendi-mento partecipativo. Questo è un approccio che permette di misu-rarsi col bisogno di iniziativa e innovazione, come, ma non solo, perquanto riguarda i CAE e l’azione sindacale transnazionale.

6.1. Il modulo formativo

Il progetto formativo sperimentato è stato costruito tenendo contodi due caratteristiche fondamentali: la sperimentazione del modelloe la modularità delle unità.

Gli obiettivi formativi sono: dare strumenti conoscitivi informativie di azione pratica ai membri CAE. Rispetto a tale obiettivo gli ar-gomenti proposti sono:

• il CAE in una prospettiva storica, il suo ruolo nelle relazioni indu-striali, la sua evoluzione e il suo sviluppo potenziale;

• il ruolo dei membri CAE, a livello transnazionale, nazionale e lo-cale;

• le multinazionali e la frontiera degli accordi quadro transnazio-nali – criticità e opportunità;

• livelli di negoziazione e il ruolo dei CAE come parte di un networkmultilivello;

• la dimensione multiculturale nel sindacalismo europeo;• la presentazione di buone pratiche;• la buona riunione dei CAE.

Il percorso è stato costruito in due giornate e mezzo d’aula, ogniargomento è stato definito come unità in modo da evidenziare la pos-sibilità di rimodulare l’intero percorso in base ai bisogni e alle esi-genze, tenendo ovviamente l’obiettivo formativo come linea guida.

Le metodologie utilizzate sono: relazioni di esperti sui vari argo-menti, dibattito e confronto guidati e lavori di gruppo. La scelta diutilizzare metodologie interattive è legata al fatto di creare un mag-gior numero di momenti di confronto e di discussione tra i parteci-panti, oltre a creare dei legami tra la teoria e la pratica.

Anche nella costruzione dei gruppi di lavoro è stata fatta una scelta

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metodologica precisa: in ogni gruppo vi erano partecipanti prove-nienti da diversi paesi. Questa scelta metodologica in alcuni casi hacomportato il problema delle barriere linguistiche ma rispecchia ilcontesto e la situazione che si vive facendo parte di un CAE.

La sessione delle buone pratiche e quella della buona riunioneCAE sono le due maggiormente legate all’attività pratica.

Durante la presentazione delle buone pratiche sono emerse espe-rienze e valutazioni riportate di seguito a titolo esemplificativo:

• fare dichiarazioni congiunte;• stare attenti ai diversi approcci (toni comunicativi);• anticipare e gestire i cambiamenti;• reagire alla carenza nei processi di consultazione: spesso di fatto si

fa solo informazione;• costruire percorsi formativi per i membri CAE, affinché cresca una

effettiva competenza nell’utilizzo delle prerogative sancite negli ac-cordi istituitivi dei CAE;

• considerare la motivazione personale quale fattore chiave per fareun buon lavoro all’interno di un CAE, dato che i membri dei CAEoperano di fatto isolati dal proprio contesto in questo ambitotransnazionale di rappresentanza e molto spesso si trovano a do-ver costruire processi di tessitura di alleanze e costruzione di coor-dinamento;

• creare una procedura standardizzata di informazione e consulta-zione fornisce un utile supporto all’attività (avere sempre informa-zioni disponibili e documentate, definire sempre i tempi, mettere adisposizione dei membri CAE una presentazione unica delle infor-mazioni da divulgare ai lavoratori e ai loro rappresentanti locali);

• una piattaforma web è un efficace strumento di scambio e lavoroin rete;

• coinvolgere costantemente le rappresentanze locali dei lavoratoriè utile e necessario.

Elementi di questo tipo hanno arricchito i contenuti dell’interopercorso, aggiungendo ulteriori informazioni, creando passaggio dipratiche utili all’intero gruppo dei partecipanti.

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Per quanto riguarda la valutazione del corso sono stati consegnatidue questionari; il primo da compilare all’interno dei gruppi valu-tando ogni singola unità, il secondo più generale da compilare sin-golarmente in forma anonima.

La scelta dei due questionari è stata fatta in funzione della speri-mentazione del corso, infatti il questionario di gruppo ha dato lapossibilità di analizzare tutte le unità dal punto di vista dei contenuti,dei materiali e dei laboratori esplicitando inoltre commenti, criticitàe suggerimenti sorti dal confronto tra i partecipanti.

6.2. Descrizione e istruzioni sull’utilizzo degli strumenti e follow-up

Le principali fasi delle azioni intraprese sono state articolate comesegue:

• elaborazione di una metodologia per l’analisi quantitativa e qua-litativa delle relazioni esistenti tra diversi livelli e istanze dellarappresentanza dei lavoratori nelle imprese multinazionali;

• raccolta ed elaborazione di informazioni quantitative e qualitativesul funzionamento pratico di un CAE e sull’attività di rappresen-tanza dei lavoratori a livello locale. La ricerca prevede, come det-to, l’utilizzo di due strumenti: questionario (raccolta dati quantita-tiva) e focus group (raccolta dati qualitativa).

• elaborazione dei risultati dell’analisi qualitativa e quantitativasotto forma di contenuti formativi da somministrare a un targetspecifico;

• organizzazione di un seminario di formazione transnazionale peruna migliore attuazione dei diritti di informazione e consultazio-ne nelle imprese multinazionali, e circa il know-how e le attivitàpratiche dei membri CAE;

• coordinamento e networking, focus sull’interscambio di buone pra-tiche di coordinamento per migliorare, a livello transnazionale, ilcoordinamento tra i diversi sindacati. La pagina web del progettoICARUS, che è una delle risultanze concrete, è concepita con loscopo di sostenere fortemente il coordinamento e il processo dinetworking;

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• divulgazione dei risultati del progetto come patrimonio di cono-scenza sindacale sui temi di coordinamento strategico delle prati-che d’informazione e consultazione nel contesto multidimensio-nale delle imprese multinazionali. I risultati del progetto – news-letter, sito web, video documentario – sono stati concepiti allo sco-po di rafforzare una conoscenza approfondita del progetto.

Conoscenza, formazione e azione sono quindi tre fattori metodo-logici che trovano un risultato coerente e completo in un medesimoprogetto. Coerentemente, la metodologia del progetto include ilconcepimento e la realizzazione dei core-tools utilizzati nelle varie fasi.Gli strumenti di ricerca, formazione e azione sindacale realizzati esperimentati nel corso del progetto ICARUS sono stati concepiti alloscopo di essere strumenti a disposizione di ulteriori iniziative succes-sive alla conclusione del progetto.

Tali strumenti, come gli strumenti ICARUS di divulgazione – sitoweb, videodocumentario, newsletter, sono a disposizione di futuri uti-lizzatori.

Ciò che caratterizza lo spirito di un progetto come ICARUS ècontribuire alla conoscenza collettiva e alla messa in circolazione diun contributo utile al miglioramento delle relazioni industriali a li-vello nazionale e transnazionale.

7. Considerazioni conclusive

Dal nostro progetto emerge con forza come il sindacato sia neces-sario per i CAE e il ruolo dei delegati CAE e che le prerogative deiCAE rappresentano uno strumento estremamente opportuno permettere in campo una strategia sindacale proattiva e offensiva nonsolo a livello aziendale ma anche settoriale e persino confederale. Perogni iniziativa sindacale transnazionale è un valore aggiunto prezio-so che un’organizzazione sindacale abbia tra i suoi attivisti rappre-sentanti di base con esperienza di relazioni industriali in un contestointerculturale e internazionale.

Si tratta di mettere in campo un gioco sistemico in cui, coordinan-

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dosi, ognuno fa la sua parte ed è portatore della propria esperienza,a contributo della strategia complessiva.

In un sistema di relazioni industriali complesso come quello euro-peo potersi avvalere di organismi che svolgano con efficienza le atti-vità di rappresentanza transnazionale loro attribuite diviene un fat-tore di prima importanza. Le relazioni industriali sovranazionali in-fatti trascendono i luoghi tradizionali dell’attività sindacale, ma nelcontempo legano tra loro le diverse situazioni locali e nazionali inEuropa.

Questa prerogativa, istituita dalla normativa europea, non è peròrisolutiva di per sé. Con la normativa sui CAE, laddove vi sono di-mensioni dell’impresa che lo consentono, se il CAE viene istituito efunziona, si incontra il management dell’impresa che effettivamentedecide, i delegati CAE dei diversi paesi possono conoscersi e collabo-rare grazie alle riunioni, vi è il diritto a ricevere informazioni e il di-ritto e dovere di trasmetterle ai rappresentanti locali e di raccogliereda essi come dai lavoratori quanto riportare in sede di riunione CAE.Quello che la normativa non darà mai, ma sempre sarà solo fruttodell’iniziativa sindacale sono la strategia e la progettualità per sfrut-tare questo diritto al fine di dispiegare azione sindacale, per esten-dere la rappresentanza transnazionale a quante più imprese possi-bile, per valorizzare il coordinamento tra sindacati e lavoratori di di-versi paesi, per prendere l’iniziativa e costruire proposte, rivendicaree sperimentare trattative per stabilire forme contrattuali aziendalieuropee e poi continuare a cercare strade per una contrattazionecollettiva europea.

Fare progetto, e basarsi sulla partecipazione di tutti gli attori coin-volti, può servire a lanciare offensive per la costituzione di nuoviCAE. Ciò deve essere sostenuto da capacità di ricerca per mappare isiti produttivi delle imprese multinazionali e formazione per dare airappresentanti dei lavoratori e ai sindacalisti non solo le nozionifondamentali da conoscere sul tema dei CAE, ma anche la possibilitàdi acquisire una visione e un saper fare operativo sul nuovo livellotransnazionale di azione sindacale. Ciò servirà per avviare i contatti estabilire relazioni con gli attivisti di altri paesi, con le organizzazionieuropee sindacali, per aiutare la propria organizzazione a stimolare

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la crescita del movimento sindacale europeo, contribuendo con of-fensive sulla rappresentanza transnazionale nelle imprese multina-zionali.

L’obiettivo della coesione del movimento sindacale europeo si po-ne ormai come uno dei cardini della tenuta delle organizzazioni deilavoratori nei diversi Stati membri. La priorità di un sindacato chepunta ad essere sempre più europeo diventa oggi la realizzazione diobiettivi comuni, in comunanza d’azione.

Questa coesione si genera anche in processi come ICARUS, per-ché le azioni di un progetto offrono ai rappresentanti sindacali dellenostre organizzazioni l’opportunità di lavorare insieme, misurandodifferenze culturali e imparando ad arricchirne le proprie compe-tenze politiche e professionali.

Un progetto internazionale è un’attività che arricchisce e supportaquesto obiettivo. Di contro, gli esiti di un’attività coordinata tra part-ner di paesi diversi sono tutt’altro che scontati. Numerose azioni einiziative programmate e realizzate a distanza, in un contesto multi-culturale quasi sempre non potendo utilizzare la rispettiva linguamadre rendono il lavoro molto complesso. Questa complessità è pe-rò anche testimonianza delle opportunità e del potenziale che le or-ganizzazioni che compiono questi percorsi possono cogliere.

Nell’attività internazionale la buona riuscita delle azioni pianifi-cate e l’ottenimento di risultati di qualità poggiano su fattori quali lacapacità di reciproca contaminazione e l’efficacia del lavoro di grup-po. In un progetto internazionale dalla tenuta del network dei part-ner dipende non solo l’elaborazione dei contenuti politico-sindacali,ma anche l’organizzazione pratica di ogni singola azione prevista.

Accanto ai contenuti politici sviluppati, l’aspetto meramente orga-nizzativo, che apparentemente può essere visto come esclusivamente«tecnico», in realtà si rivela come portatore di un importante valoreaggiunto per delle organizzazioni nazionali.

La riuscita diviene quindi un successo per due ragioni: il conse-guimento degli obiettivi del progetto e la realizzazione di una buonapratica di cooperazione intersindacale a livello europeo.

Il tema centrale del progetto ICARUS, i processi di informazione ecoordinamento tra rappresentanti dei lavoratori nelle imprese mul-

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tinazionali, è di certo una sfida per il movimento sindacale. Il coor-dinamento dei sindacati a livello europeo e le relazioni industrialinell’era della globalizzazione rappresentano un ampliamento, benpiù che solo spaziale, dell’intervento sindacale a tutela degli interessie dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Non cambia la naturadella missione delle organizzazioni dei lavoratori, ma questa nuovafrontiera richiede la messa a punto di strumenti e modalità operativespecifiche ed efficaci.

L’esigenza da cui è nato questo progetto è mettere a disposizionedegli attivisti, dei sindacalisti e dei rappresentanti dei lavoratoristrumenti e conoscenze a supporto dell’attività sindacale nelle im-prese multinazionali. La concretezza e l’approccio pragmatico, co-stante in tutto il progetto, hanno fatto sì che la strategia che ne hagenerato la concezione e la realizzazione sia ora supportata da nu-merosi strumenti e da un’analisi accurata. Ciò è stato possibile graziea piani di ricerca e confronto generati nel corso dei dodici mesi diattività dalla vasta partnership del progetto.

Gli obiettivi politico-sindacali del progetto ICARUS sono stati in-centrati sulle priorità proposte dalla Commissione europea per losviluppo di azioni volte al rafforzamento del Dialogo Sociale, senzadubbio tra i maggiori pilastri dell’idea di Europa su cui è stata creatal’Unione e su cui si fonda la natura stessa delle istituzioni comunita-rie. Nella crisi economica e di fronte alla difficoltà di affermare unaidea forte di Europa sociale per organizzazioni come i sindacati ri-sulta necessario rafforzare il valore e la pratica di questo principio diconfronto democratico.

Gli obiettivi strategici raggiunti sono stati molteplici e rispondonoa numerose esigenze legate all’attività sindacale. Hanno riguardatolo sviluppo dei processi di informazione e consultazione dei lavora-tori e il coordinamento tra rappresentanti dei lavoratori a livellotransnazionale, nonché tra il livello sovranazionale e i livelli locali dirappresentanza degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici. Laquestione è nevralgica in quanto l’efficacia di queste relazioni è de-terminante per il dialogo sociale, di cui lavoratori e organizzazionisindacali devono sentirsi a pieno titolo protagonisti, promotori e so-stenitori anche nella sua dimensione transnazionale.

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A partire dalle normative europee in materia di rappresentanzatransnazionale dei lavoratori, è stato sviluppato un piano di lavoroper supportare chi si occupa di CAE nelle nostre organizzazioni eprodurre proposte per affrontare le criticità di questa tipologia diattività sindacale. Nel corso del progetto, al tema dell’informazione econsultazione dei CAE è stato affiancato un approfondimento sulruolo delle imprese multinazionali quali attori principali nel mercatoglobale. Questa esigenza di conoscenza porta ad esaminare qualifattori e quali informazioni sia utile acquisire per sviluppare sinda-calizzazione e contrattazione in questo specifico contesto di relazioniindustriali.

I risultati conseguiti col progetto offrono una vasta gamma di op-zioni operative, per raccogliere informazioni, formarsi e costruire unnetwork con i lavoratori dell’impresa multinazionale nel proprio pae-se e all’estero. Il coordinamento di reti sindacali, la formazione el’inchiesta sono infatti le tre direttrici del progetto. Sono stati testatidiversi strumenti di ricerca, moduli formativi e buone pratiche perstrategie e tattiche utili al sindacato nelle multinazionali e di frontealle sfide della globalizzazione.

I questionari, la metodologia dei focus group, i moduli formativi,l’elaborazione di buone pratiche, i mezzi di divulgazione su largascala sono strumenti ora a disposizione degli attivisti. Attraverso laloro sperimentazione è emerso un bagaglio di conoscenze ricco edettagliato, che costituisce la base delle informazioni e delle analisicontenute nel report finale, nel sito web del progetto (www.icaruspartecipation.eu) e nelle pubblicazioni realizzate per informare suirisultati del progetto.

A partire dalla disponibilità sul web di tutti questi strumenti, cherisponde pienamente all’intento di costruire una conoscenza colletti-va aperta e rivolta a tutte e tutti, molte caratteristiche di ICARUS – lapartnership, l’incrocio di diversi tipi di attività, lo sviluppo di numero-si strumenti pronti per essere riutilizzati, il forte livello di partecipa-zione internazionale e di disseminazione dei risultati – costituisconoun importante valore aggiunto.

Il punto di contatto tra le esigenze concrete e gli obiettivi di questainiziativa internazionale, oltre che l’intreccio tra l’attività strutturale

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delle organizzazioni e le azioni del progetto sono però elementi al-trettanto determinanti e tra i maggiori punti di forza.

ICARUS è esistito ed è stato sviluppato sulla base delle esigenzeconcrete delle organizzazioni sindacali e degli uomini e donne che,con la loro passione, motivazione e impegno di attivisti, mettono adisposizione tempo ed energie per rendere forte il sindacato nelleimprese multinazionali.

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1. Premessa

Il 30 settembre 2014, per due giorni, la Confederazione Europeadei Sindacati (CES) ha organizzato la sua annuale Conferenza in te-ma di Comitati aziendali europei (CAE). L’argomento di quest’annoera: Il ruolo dei CAE su salute e sicurezza e l’anticipazione dei cambiamenti.I relatori erano autorevoli esperti della materia, sindacalisti, rappre-sentanti delle istituzioni e delle più grandi aziende industriali e deiservizi. Fra i partecipanti si contavano, alla fine, solo due grandi as-senti: i rappresentanti dei lavoratori interinali e di quelli degli ap-palti, sui quali – nella mutata organizzazione del lavoro – sono oggistati esternalizzati, e scaricati, i maggiori rischi di infortunio. Ebbe-ne, il punto di osservazione della FILCAMS CGIL vuole invece esse-re proprio questo: quello di chi guarda il mondo della produzione edella rappresentanza a partire dai suoi ultimi anelli, i più lontani,della filiera di produzione dei beni e di erogazione di servizi.

Facciamo ancora un passo indietro. Il 22 novembre 1999, l’allorasegretario della FILCAMS di un territorio della Romagna segnalaalla FILCAMS Nazionale che una piccola azienda della sua provinciaverrà incorporata. Poche ore dopo, una simile segnalazione arriva daun territorio lombardo. Chiediamo a entrambi copia dei documentiricevuti. È quello che in gergo sindacale, chiamiamo un «art. 47»1. È

* FILCAMS Nazionale.1 Il riferimento normativo è la legge 428 del 1990, le conseguenze sono il pas-

saggio dei dipendenti da un’azienda ad un’altra, la possibilità per il sindacato è

CAE, contrattazione transnazionale e formazionein FILCAMS: partire dai «lontani» per arrivare a tutti

di Gabriele Guglielmi*

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GABRIELE GUGLIELMI

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una procedura di routine, che si sarebbe conclusa con accordi pro-vincia per provincia, che probabilmente avrebbero mantenuto lecondizioni contrattuali collettive anche dopo il passaggio nella nuovaazienda. Qual è stata la conseguenza dell’aver potuto vedere con-temporaneamente entrambe le lettere? L’azienda acquirente era lamedesima; probabilmente era in atto una incorporazione di più am-pio profilo. Parte dunque la richiesta di consultazione nei confrontidell’impresa incorporante, e scopriamo così che saranno ben 10 leimprese coinvolte; che il processo era iniziato alcuni mesi prima, lu-glio 2009, e che si sarebbe concluso entro l’anno, con la incorpo-rante che avrebbe cambiato ragione sociale divenendo Rexel ItaliaS.p.A., filiale italiana della multinazionale francese Rexel; che a suavolta faceva parte del Gruppo PPR, con oltre 60.000 dipendenti nelmondo e che in Italia controllava anche altre imprese, ed era in pro-cinto di acquisire il gruppo Gucci2. Molti processi continuano ad es-sere simili. E se non è un art. 47, sarà la conversione in Società Eu-ropea.

Ecco, questa può considerarsi una storia emblematica di chi operain federazioni sindacali come la FILCAMS, «ai confini dell’impero»,dove la realtà la si guarda – per così dire – dal basso verso l’alto.

2. Il contesto

È stato stimato che oggi, su scala globale, le imprese multinazio-nali (MNC) siano oltre 100.000 (UNCTAD, 2012). Quelle che ad og-gi hanno aderito al Global Compact3, vale a dire a quel nocciolo di

quella di negoziare questo passaggio inserendosi nella procedura e garantire l’ultra-attività delle condizioni collettive.

2 La procedura si è conclusa con un accordo nazionale; poche settimane dopo,l’11 febbraio del 2000, un dirigente sindacale della FILCAMS CGIL viene desi-gnato unitariamente nel Gruppo speciale di negoziazione per la costituzione delCAE PPR; l’accordo è stato sottoscritto il 27 settembre 2000. Oggi Rexel è stata ce-duta, ed ha un proprio CAE; PPR ha sottoscritto almeno un paio di Global Fra-mework Agreements ed ora ha circoscritto le sue attività alle aziende «del lusso» e sichiama Kering; v. studio di caso in questo volume.

3 Global Compact; https://www.unglobalcompact.org/.

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core labour standards previsti da alcune fondamentali convenzioni del-l’ILO, sono appena 12.500. Spesso ci troviamo di fronte ai richiamialle linee-guida dell’OCSE e dell’ILO sulle multinazionali; a certifi-cazioni di qualità, con tanto di bollino, che coinvolgono anche la fi-liera dei fornitori; a forme di bilancio sociale; a non meglio definiti«Codici etici» o «di condotta»; alle ulteriori pratiche di governance ri-chieste ad esempio a chi si quota in borsa. Sono quasi 3.400 le im-prese che dichiarano di praticare la sostenibilità sociale in base aiparametri SA80004.

Altra cosa sono gli accordi transnazionali di gruppo (TCA)5, neiquali – diversamente che nei casi precedenti – si è svolto un vero eproprio negoziato fra il management sovranazionale e un attore sin-dacale a seconda dei casi diversamente composto: CAE, Comitatomondiale di gruppo, Federazioni europea o mondiale di settore, or-ganizzazioni sindacali nazionali. Testi di questo tipo ufficialmentecensiti se ne contano 265 (ottobre 2014) e riguardano 140 aziende(di cui 8 italiane), (Database on transnational company agreements6);quelle che interessano il perimetro FILCAMS sono 28 (tabella 17);UNI Global ne ha negoziati 538.

4 Al 30 giugno 2014 erano 3.388 aziende (non necessariamente multinazionali),in 71 paesi, che coprono 65 settori per un totale di 2.019.193 lavoratori.

5 Sull’argomento, v. Quaderni di rassegna sindacale, La contrattazione transnazionale,n. 3, 2013, con saggi di S. Leonardi, E. Ales, A. Alaimo, U. Rehfeldt, S. Scarponi,G. Verrecchia, V. Telljohann, M. Cilento, G. Bronzini.

6 Database on transnational company agreements, in cooperation between the Inter-national Labour Organisation and the European Commission, http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=978&langID=en.

7 Quelli in perimetro FILCAMS sono 28 nei seguenti settori: Commercio 11,Agenzie di lavoro temporaneo 7, Turismo 5, Vigilanza privata 3, Servizi di pulizia2. Nella tabella 1 non appare IKEA perché considerata non nel settore del com-mercio ma in quello delle costruzioni; c’è invece Europcar che dovrebbe far partedel settore dei trasporti. UNI Global, la federazione mondiale più grande, ne hanegoziati 53, che coprono 10 milioni di lavoratori. Alla base di ognuno di questi ac-cordi probabilmente c’è un’alleanza sindacale, la quale sicuramente non raggruppatutti i sindacati del mondo (o europei se l’ambito è continentale) che hanno a chefare con quella impresa multinazionale.

8 UNI-Global, la Federazione mondiale più grande, ne ha negoziati 53 che coprono10 milioni di lavoratori; http://www.uniglobalunion.org/about-us/global-agreements.

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C’è chi sostiene che gli accordi collettivi esistenti, ma non censiti,che, per i temi trattati, potrebbero rientrare in un ambito transna-zionale potrebbero essere fra i quattro e i cinquemila9; molto proba-bilmente sono accordi nati e cresciuti al di fuori delle linee guida; èprobabile che i contenuti siano vaghi, contraddittori e giuridica-mente «non esigibili». Potrebbero altresì essercene anche alcuni chevanno al di là di tali linee guida e da valersi worldwide anche, adesempio, per le retribuzioni, superando l’art. 153.5 TFUE10.

Per i processi di negoziazione dei TCA11, la CES fornisce ai suoiaffiliati alcune importanti indicazioni, quali:

• il ruolo centrale delle Federazioni europee di categoria;• il coinvolgimento dei CAE;• il coinvolgimento dei sindacati nazionali;• l’esplicitazione degli effetti giuridici dell’accordo;• la trasparenza del mandato a contrattare;• l’inserimento di una clausola di non regresso;• procedure per eventuali conflitti interpretativi.

9 Ben oltre quindi i 260 censiti. Così Marco Cilento, della CES, nella relazionealla Conferenza finale del Progetto «EURACTA-2», ABT, Roma, 17 ottobre 2014.

10 Uno di questi, ad esempio, potrebbe essere il Contratto Integrativo FURLASpa. FURLA è un’azienda italiana, con filiali in USA, Francia, Hong Kong, Giap-pone e Corea; negozi in oltre 60 paesi, presente in un migliaio di punti vendita deiquali 319 monomarca (174 in franchising e 145 diretti).

Stralcio dell’Accordo integrativo aziendale del 23 novembre 2011. «[...] a valereper FURLA Spa, FURLA Europe Srl, FURLA Worldwide Srl. Premessa: Il GruppoFURLA è una realtà di eccellenza del Made in Italy [...] Nell’ambito della difficilecongiuntura economica mondiale [...] La presente intesa nasce dalla volontà di in-staurare un quadro di relazioni sindacali e di partecipazione dei lavoratori ad ogni li-vello con l’obiettivo comune di migliorare le prestazioni aziendali garantendo nelcontempo una migliore qualità del lavoro. [...] Articolo 2 – Retribuzione variabile [...]Articolo 3 – Resta comunque inteso che ogni accordo aziendale deve ricondursi all’in-sieme di tutti i lavoratori del Gruppo FURLA ai quali verrà integralmente applicato».

11 Il dubbio sindacale costante di queste ultime legislature europee (attualmente20 governi su 28 sono di centro-destra) è: aspettiamo una direttiva che probabil-mente ci farà arretrare, o cerchiamo di negoziare al meglio fin dove si può? In que-sto contesto appare interessante l’iniziativa di fare più contrattazione ma, contem-poraneamente, di rafforzare il quadro normativo europeo anche in funzione dell’e-sigibilità della contrattazione collettiva con le multinazionali.

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Anche le Federazioni europee di categoria hanno redatto linee-guida di contenuto analogo.

Tabella 1 – I settori della FILCAMS, Global Framework AgreementsCompany Paese Anno SettoreISS Danimarca 2008 PulizieFalck Danimarca 2005 PulizieMetro Germania 2013 CommercioShoprite Checkers Sudafrica 2010 CommercioPinault Printemps Redoute Francia 2010 CommercioInditex Spagna 2009 CommercioEuropcar Spagna 2008 CommercioTakashimaya Giappone 2008 CommercioPinault Printemps Redoute Francia 2008 CommercioPinault Printemps Redoute Francia 2008 CommercioInditex Spagna 2007 CommercioH&M Svezia 2004 CommercioCarrefour Francia 2000 CommercioLoomis AB Svezia 2013 Vigilanza privataSecuritas Svezia 2012 Vigilanza privataG4S Belgio 2008 Vigilanza privataKelly Service Stati Uniti 2008 Agenzie di lavoro temporaneoAdecco Svizzera 2008 Agenzie di lavoro temporaneoRandstat Svizzera 2008 Agenzie di lavoro temporaneoManpower Stati Uniti 2008 Agenzie di lavoro temporaneoOlympia Flex Group Svizzera 2008 Agenzie di lavoro temporaneoUSG People Olanda 2008 Agenzie di lavoro temporaneoBrunel Germania 2007 Agenzie di lavoro temporaneoMelia Spagna 2013 Turismo, hotel, cateringClub Méditerranée Francia 2009 Turismo, hotel, cateringStarwood Longing Stati Uniti 2007 Turismo, hotel, cateringClub Méditerranée Francia 2001 Turismo, hotel, cateringAccor Francia 1995 Turismo, hotel, catering

Fonte: Data Base EC e ILO

Il tema della contrattazione transnazionale di gruppo ha visto inquesti anni un forte impegno da parte di numerosi CAE, delle cuiprerogative istituzionali – sancite nell’apposita normativa: informa-zione e consultazione – rappresenta una significativa espansione.Cominciano ad esserci ormai diversi studi che analizzano questo in-crocio. E le strutture vicine o interne al sindacato italiano, e segna-tamente alla CGIL, si sono molto impegnate – meritoriamente – su

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questo versante. Ci limitiamo a segnalarne tre: il progetto europeoin due fasi coordinato dall’IRES prima e dall’Associazione BrunoTrentin (ABT) poi, denominato EURACTA, e dedicato al tema dellacontrattazione transnazionale di gruppo12; la serie di Progetti Coor-dinati da UNI Europa che hanno consentito di scrivere le «linee gui-da per i CAE»13 (v. il diagramma di flusso per i CAE della tabella 2);il Progetto ICARUS14, dal quale provengono numerosi spunti af-frontati da successivi progetti ai quali ha contribuito anche la FIL-CAMS. Ne tratta diffusamente Fabio Ghelfi, fra i curatori della ricer-ca, in un capitolo di questo volume.

Nell’ampia letteratura di studi ed esperienze su CAE e organi fi-nalizzati all’informazione e consultazione, chi opera in FILCAMSpuò portare un contributo che deriva dalla propria natura (l’esserel’ultimo anello della catena), dall’esperienza maturata in tale conte-sto, dai progetti realizzati, come MuMMIA15 (Multisectoral Multinatio-nals Managing Information and Consultation Agreements), che ha apertouna «nuova via» nella scalata alla costruzione di Organismi di I&Caffrontando, del Diagramma di flusso di UNI Europa il solo angoloin alto a destra: «Guide to set EWC» (tabella 2).

Abbiamo poi un Progetto come quello intitolato Local-site bargai-ning16. Con esso stiamo sperimentando il differente approccio fra isindacati «mediterranei» e quelli «del Nord» nel misurarsi con le real-tà economiche, sociali e sindacali «non classiche», che possono essere«laboratori» e «incubatrici» di idee. In local site si combinano le idee ele esperienze prevalentemente di due categorie italiane (FILCAMS eFILLEA) sul tema: contrattare in anticipo le condizioni di lavoro e di

12 Progetto EURACTA, coordinato da IRES, https://www.ires.it/contenuti/022012-euroacta-european-action-transnational-company-agreements-stepping-stone-towards-re.

13 Linee-guida per i CAE, a cura di UNI-Europa (la FILCAMS ha curato la tra-duzione in lingua italiana) http://www.FILCAMS.CGIL.it/Info.nsf/fdbb9eb5eaf04b1cc12576cc0053acb1/0535553df0fb53fac1257a8b00459036!OpenDocument.

14 Progetto ICARUS, coordinato dalla CGIL Lombardia, http://www.icaruspartecipation.eu/.

15 Progetto MuMMIA; http://mummia.FILCAMS.it/.16 Ancora in corso, sotto il coordinamento FILCAMS e con il finanziamento della

Commissione Europea. I partner sono FILLEA, AGEQUADRI, EUROCADRES,CC.OO., e l’irlandese IDEAS Institute.

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CAE, CONTRATTAZIONE TRANSNAZIONALE E FORMAZIONE IN FILCAMS

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Tabella 2 – Una scatola degli attrezzi per il CAE

Fonte: UNI Europa

vita di coloro che saranno addetti alla costruzione di una grandeopera, ad es. una diga; o l’essere agenti contrattuali nella progetta-zione/costruzione di un centro commerciale per negoziare, preventi-vamente, gli spazi, gli orari e i servizi (ad es. di trasporto) necessariprima e dopo l’avvio dell’attività. In tali contesti spesso operanofianco a fianco sia TNCs che piccole imprese del subappalto. È unasorta di «sindacato architetto» di difficile comprensione per chi haun approccio positivista del tipo: «come è possibile negoziare se nonho lavoratori iscritti, figurarsi se ancora non ci sono neppure lavo-

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ratori assunti». Probabilmente un laboratorio come questo difficil-mente potrebbe nascere in un sindacato «non-mediterraneo».

A questo impegno, che è al contempo di ricerca e di formazione suscala europea, si aggiungono ora i risultati dell’indagine, compiutadall’ABT e che qui vengono presentati e commentati, in alcune MNCche, seppure multisettoriali, interessano direttamente la sfera d’azionedella FILCAMS: Jungheinrich, Kering (Gucci), SAP, Volkswagen,aziende/Gruppi con CAE installato; Cremonini, gruppo con il CAEin fase di installazione.

3. I CAE a 20 anni di distanza: molte «farfalle», troppe «crisalidi»

Dal punto di vista sindacale e di applicazione delle normative vi-genti le imprese multinazionali coperte dalla direttiva 2009/38 sonodi due tipologie (ETUI17): a) quelle con un CAE installato e b) quellesenza CAE18.

a) Multinazionali con un CAE installato (la «Farfalla»19)

In venti anni sono stati installati oltre 1.200 CAE; in media 60l’an-no. Quelli attivi sono poco più di 1.000, le rinegoziazioni in cor-so sono una sessantina. In Europa sono quasi 19 milioni i lavoratorie le lavoratrici occupati in aziende con un CAE. Le persone che a va-rio titolo fanno a parte di un CAE sono stimate fra 16 e 21.000.

«La visione del CAE muta, essendo il sindacato europeo comparte-cipe nella creazione del CAE stesso» (Verrecchia, 2013). Le Federa-zioni europee, pur potendo contare sul supporto della CES, di ETUIecc. e sulla collaborazione degli affiliati nazionali, sono travolte daquesti enormi numeri, la somma dei quali comporta cifre totali pari

17 ETUI EWC Database http://www.ewcdb.eu/.18 Entrambi i gruppi possono avere sotto-tipologie, ad es. TNC sotto-soglia ma

con un organismo di I&C attivo, SE con un organo di rappresentanza.19 Farfalla: definizione. Da intendersi come l’insetto adulto che ha completato la

propria fase di trasformazione e di crescita (Fonte: Wikipedia).

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CAE, CONTRATTAZIONE TRANSNAZIONALE E FORMAZIONE IN FILCAMS

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almeno a 1.000 riunioni plenarie e 2.000 comitati ristretti all’anno;1.000 aule «tradizionali» potenziali di possibili corsisti su materiesindacali, economiche, giuridiche e anche linguistiche; un numeroimprecisabile di sessioni di negoziazione; in un contesto dove la di-rettiva 2009/38 rafforza il ruolo e le attività dei sindacati, a partiredalle Federazioni europee. Il dibattito sulle titolarità negoziali e sullavariabilità dei perimetri, sia settoriali che geografici, è tanto ampioquanto lento rispetto al dinamismo «mutante» delle imprese. Tuttiquanti rischiamo di rimanere imbrigliati in una dimensione sinda-cale che resta in mezzo al guado. Le domande sono diverse e crucia-li. Le Federazioni europee hanno la struttura, le caratteristiche, le ri-sorse umane e materiali per rispondere a questo impatto? Quali do-vrebbero essere le rinnovate caratteristiche/competenze delle Fede-razioni europee, ma anche delle altre strutture sindacali, a partire daquella confederale europea fino alle federazioni nazionali, passandoper gli stessi organismi di informazione e consultazione?

b) Multinazionali senza un CAE installato (la «Crisalide»20)

Oltre 1.400 le TNC che, pur coperte dalla direttiva, non hannoancora un CAE. Stante il contesto descritto per la prima tipologia,appare difficilmente immaginabile che il sindacato riesca a trovarerisorse per la creazione sistematica di nuovi CAE. In particolare se aciò aggiungiamo: la crisi, il fatto che in questa tipologia di frequenteci troviamo di fronte a situazioni aziendali e settoriali «periferiche»,spesso estranee alla tradizionale forma organizzata dei sindacati, insettori e aziende giovani, meno sindacalizzate e sindacalizzabili.

Eppure il movimento sindacale non ha alternativa al dover orga-nizzare anche i lavoratori occupati in aziende «crisalide». La crisalideè destinata a diventare farfalla. Come? Con quali risorse? Questo po-trebbe essere il contesto affinché i «laboratori» sperimentati da sin-dacati come la FILCAMS (o, similmente, COMFIA in Spagna, CFDTServices in Francia o Ver.Di. in Germania, che sono mediamente

20 Crisalide: definizione. È uno stadio che si manifesta nel corso dello sviluppodella farfalla e che precede lo stadio di adulto (Fonte: Wikipedia).

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meno presenti di altri nello «stato farfalla» ma che quotidianamentevivono lo «stato crisalide»), diventino «modelli» esportabili.

Noi sappiamo se una MNC svolge una sola o più attività sul nostroterritorio e nei nostri settori, ma è più difficile risalire alla casa ma-dre, spesso parte di un gruppo, che può avere il suo quartier gene-rale in USA, le produzioni in Asia, la distribuzione e l’assistenza inmolti paesi, anche dell’Europa. Rappresentando metaforicamente laMNC come un grande fiume, chi sta in riva al mare sa dove è la focedel fiume, se è a delta o a estuario, ma spesso è difficile sapere dellamontagna, dove è la sorgente, quali affluenti, dighe, laghi, terre ecittà ha incontrato il fiume lungo il suo percorso. Soffriamo per ledifficoltà di accesso ai dati delle imprese, per i differenti gap di cono-scenza a disposizione dei sindacati nei diversi paesi dell’UE; per lebarriere linguistiche, per le difficoltà di rapporto fra sindacati nazio-nali. Per noi è indispensabile sapere in quali paesi, ma anche in qualidiversi settori è presente quella MNC così da poter contattare le Fe-derazioni europee ed anche le Federazioni sindacali dei paesi coin-volti al fine di costituire l’alleanza sindacale che sta alla base di ognipossibile accordo collettivo, compresi quelli per la formazione deiCAE. Alleanza sindacale21 che sempre più deve agire alla stregua diun «Governo ombra sindacale».

Qui si inserisce la nostra esperienza sindacale di categoria: quelladella FILCAMS. Essa, come è forse noto, rappresenta i lavoratori del-l’ultimo anello della catena di produzione/commercializzazione deiprodotti e di fornitura di servizi: commercio, distribuzione, turismo,ristorazione, servizi alle imprese e alla persona. Il concetto di extra-territorialità22, nonché la relazione fra responsabilità sociale dell’im-presa (RSI) e attenzione reputazionale, nei settori del perimetro FIL-CAMS, assume un peso ancora maggiore, divenendo un ulteriore ter-

21 Il contesto dell’alleanza sindacale si può ben rappresentare con la storiella sul-l’inferno identificato in una grande tavola imbandita con ogni ben di dio, esiste ununico obbligo: i commensali possono mangiare utilizzando solo le forchette che pe-rò sono molto più lunghe dell’estensione del braccio; non appena ognuno impara aimboccare il commensale che gli siede di fronte, entrambi sono in paradiso. L’al-leanza sindacale vive sullo spirito collaborativo.

22 La normativa italiana li disciplina nel d.lgs. n. 231/2001, art. 4.

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reno di attività ed esercizio di controllo da parte del sindacato chenecessiterebbero di percorsi formativi specifici23. Ci siamo chiesti co-me possiamo accrescere l’efficacia e la copertura della nostra rappre-sentanza, associativa e negoziale, ad ogni livello. Incluso, ovviamente,quello internazionale. Come? La nostra proposta è la seguente.

1) Creare coordinamenti sindacali. Che siano riunioni di coordina-mento, anche in video conferenza; o meglio network sindacali; omeglio ancora: alleanze; le reti sindacali sono il primo passaggioper il rafforzamento dell’azione sindacale sia per le fasi di costitu-zione dei CAE, sia per l’attività nei Comitati, sia per la negozia-zione di accordi con le imprese multinazionali. Il primo passaggioè quello di cercare di costruirli: settoriali nazionali, intersettorialinazionali, settoriali e intersettoriali europei e globali.

2) Una mappatura accurata, geografica e settoriale, della MNC. Perfacilitare la costituzione e l’attività del coordinamento occorrequesto lavoro preliminare (ETUI). Ciò anche allo scopo di crearereti e alleanze europee (Rapporti EIRO/Eurofound), fin dall’ini-zio, per prevenire possibili tensioni24; resta invece un obiettivo darealizzare: che i database di ETUI ed EIRO comunichino tra loro,si integrino per fornire utili informazioni su quale sia la rete deisindacati coinvolti «dal letto del fiume e degli affluenti fino allafoce» della TNC in esame.

3) La sindacalizzazione dei lavoratori è l’obiettivo da perseguire inogni paese; è vitale il supporto dei sindacati del paese dove c’è lasede centrale.

4) La formazione, specie per i rappresentanti dei lavoratori senzaesperienza:a. in una «impostazione rovesciata» anche il CAE può essere uno

strumento utile a favorire il coordinamento e l’alleanza sinda-

23 Temi quali: governance, codici etici, certificazioni di qualità ecc. richiedono unaformazione specifica rivolta a tutte le figure coinvolte nei processi di: organizzazio-ne, negoziazione, gestione delle relazioni fra sindacato e impresa. Percorsi formati-vi specifici andrebbero previsti ad esempio per coloro che sono scelti per rappre-sentare i lavoratori nelle imprese che applicano SA8000.

24 Fra i diversi soggetti sindacali: federazioni europee, sindacati nazionali, strut-ture di rappresentanza.

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cale; il CAE deve informare rappresentanti nazionali e con lasua attività istituzionale potrebbe contribuire a creare strutturedi coordinamento a livello nazionale settoriale (e intersettoriale);

b. gli stessi accordi transnazionali sono strumenti utili a creare esviluppare strutture di coordinamento anche a livello interset-toriale.

Il Progetto MuMMIA ha inteso analizzare l’intero processo, Crisa-lide vs. Farfalla. Con una eventuale rinegoziazione in un contesto (la-boratorio) complesso, perché alla transnazionalità ha aggiunto latrans-settorialità, in contesti a differente tasso di sindacalizzazione.Anche il rapporto che qui presentiamo ha adottato un approccioanalogo (v. Leonardi nel suo capitolo). Quanto emerso può così esse-re modellato alle diverse situazioni. Il viaggio a ritroso foce-sorgenteequivale all’effetto cannocchiale rovesciato, quindi iniziamo dalleconclusioni del progetto. L’elenco cronologico e il grado di difficoltàche gli attori incontrano nel processo di ideazione/organizzazio-ne/negoziazione/gestione di un CAE è rappresentato nella tabella 3.

Il grado di difficoltà va da 1 (Fisiologico) a 3 (Alto); la fase di avvioè quella con maggiori situazioni di Alta difficoltà, mentre la fase digestione dell’attività del CAE è caratterizzata da prevalenti difficoltà«fisiologiche». L’aspetto più interessante è determinato dalle diver-sità, che spesso diventano divergenze, specie fra sindacati e sindaca-listi, che avvengono sia nella fase di avvio del processo, sia in quellopreparatorio della negoziazione, quindi già prima delle divergenzefiglie legittime del confronto con il management. Diversità poi che siattenueranno lungo il processo, man mano che si evidenziano le si-militudini fra storie, culture, normative, contratti collettivi... mante-nendo le diversità entro un limite fisiologico25.

In sintesi, ed in ogni fase del processo, gli aspetti essenziali sono iseguenti:

25 Derivando la tabella 3 dal Progetto MuMMIA, il tratto costante da evidenziareè che i problemi e le sfide nei gruppi multisettoriali sono gli stessi di ogni TNC, mapiù complessi.

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• disporre di maggiori informazioni sulle imprese e sui sindacati; idatabase di ETUI e di Eurofound-EIRO sono utili basi di parten-za ma non sono sufficienti, specie perché non dialogano tra loro;

• affrontare in anticipo, fin dalla costituzione del Coordinamentosindacale e della DSN, i problemi noti; magari con l’ausilio di unesperto esterno;

• utilizzare «accordi modello» e buone pratiche «modello» ancheper le attività di coordinamento/alleanze sindacali;

• creare alleanze sindacali a livello europeo (e globale) che si basinosu strutture di coordinamento nazionali (il governo ombra sinda-cale permanente);

• migliorare la comunicazione e ogni processo sociale che superi leasimmetrie di informazione e che porti, al di là della barriera lin-guistica, a compensare le differenze verso la dimensione sindacaleeuropea.

Tabella 3

Avvio Negoziato Gestione Elenco delle difficoltà nelle diverse fasi

Avvio o Preambolo: la scintilla scatta da azienda pertrasformazione in SE, da azienda o altri per costituzione EWC.

** Segnalazione della possibilità di iniziare un percorso.*** * * Costituire-mantenere il Coordinamento e l’Alleanza Sindacale.** * * Coinvolgimento anche dei sindacati minoritari.

** *Decidere quale percorso seguire per iniziare il processodi costituzione.

Negoziazione

*** ** ** Formazione specie preventiva, carente.

*** ** **Conoscenze linguistiche limitate, spesso sommate a scarse cono-scenze del gruppo e del settore.

* * ***Difficoltà per i dipendenti di un determinato settore/paese araggiungere un peso sufficiente per essere rappresentati nelCAE; GSN presenza minima.

*** ** *Diversità: culture industriali sia nazionali che locali; leggi sullavoro e accordi collettivi anche in relazione alle direttive europee.

*** ** *Divergenti priorità politiche e modelli di CAE fra leFederazioni sindacali europee e con/fra gli affiliati.

*** ** *Divergenze fra: Rappresentanti dei lavoratori e dei Sindacati dipaesi diversi.

(segue)

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segue Tabella 3

Avvio Negoziato Gestione Elenco delle difficoltà nelle diverse fasi

** *Divergenze fra: Federazioni sindacali e strutturedi rappresentanza interne alla TNC.

*** * *Divergenze fra: sindacati ai diversi livelli(EU, nazionale, locale).

** ** **Divergenze fra: Sindacati laddove esiste il pluralismosindacale.

*** * *

Divergenze fra: nella fattispecie di TNC multisettorialisi aggiunge la complessità del coinvolgimento di più categoriesindacali minoritarie, nei diversi livelli di rappresentanzae del difficile ruolo di regia esercitabile dalle Confederazionia livello nazionale ed europeo.

** ** * Riferimenti e modelli da adottare nel percorso negoziale.

*** * *

Difficoltà a far regia da parte delle Federazioni europeee la conseguente scarsa conoscenza fra le Federazioni sindacalidei diversi paesi; difficoltà che si accentua quando il perimetrodella TNC, e di conseguenza quello delle Federazioni sindacalieuropee e nazionali, copre più settori produttivi e/o dei servizi.

*** ** *Avere consapevolezza che i problemi, gli ostacoli, i tempi lunghigià strutturalmente presenti nella relazione con una TNC, simoltiplicano quando questa è multisettoriale.

*** * *TNC plurisettoriali: ulteriore difficile identificazione dei sinda-cati dei diversi settori e delle strutture di rappresentanza.

*** * * Divergenze fra: management e lavoratori/sindacati.

*** **Percorsi a ostacoli e lungaggini per ottenere la consulenzadi esperti esterni;

Gestione

* *** Migliorare l’operatività del CAE.*** *** *** Relazionarsi con la direzione centrale.

** ***Relazionarsi con gli altri componenti del comitato, con, e fra, leorganizzazioni sindacali a livello europeo e nazionale coinvoltenel Comitato, con i lavoratori dei diversi paesi.

** ** * Costante coinvolgimento dei sindacati minoritari.

* * ***Relazioni con i lavoratori e i rappresentanti nazionali e di stabi-limento.

* ** ***Impossibilità di garantire la continuità negli incarichi per lavo-ratori a termine, stagionali e di attività in appalto, con conse-guente limitazione delle libertà sindacali.

Legenda:

*** Alta difficoltà** Media difficoltà* Fisiologica

Estranea

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4. Nuovi CAE: i cantieri aperti

Mentre scriviamo queste note abbiamo tre dei casi ai quali stiamolavorando.

AltenSi tratta di un’azienda francese del settore ICT. Sullo stato della

situazione attuale possiamo dire che UNI Europa è al corrente dellasituazione, ma è completamente statica e per niente pro-attiva. Oc-correrebbero il coinvolgimento e il coordinamento della Federazio-ne Europea e la nomina di un esperto. Sarebbe utile attivare un ciclodi formazione per i delegati che saranno coinvolti26.

Cheq DejeneurÈ un’azienda cooperativa francese che commercializza buoni pasto

e che, pur avendo dimensioni inferiori a quelle di copertura della di-rettiva, quale buona pratica, ha deciso di creare/negoziare un CAE.Pur con buoni presupposti come questi, dove è addirittura coinvoltofin dall’inizio un consulente esterno condiviso, non sono mancatiproblemi di: disinformazione, formazione non diffusa e generaliz-zata, divergenze sui modelli da adottare e ruoli da esercitare; sul-l’interpretazione di normative e contrattazioni collettive da armoniz-zare; specie quando sul percorso di costituzione ci si è trovati con unulteriore CCNL applicato. Ruolo di coordinamento esercitato dallaFederazione europea: indicazione dell’esperto esterno.

26 Fonte: funzionario FILCAMS che sta seguendo l’azienda, sua sintesi sullo statodell’arte. A chi è venuta l’idea di partenza per costituire il CAE? Alla RSA (eviden-temente non c’è RSU, che è la base elettorale di riferimento per eleggere la DSN) eal funzionario FILCAMS in loco che hanno coinvolto il nazionale. È stata costruitauna rete con gli spagnoli di CC.OO. e la belga BBTK BHV - SETCa BHV. Sono poiin corso contatti con la CFDT. Appena chiara la possibilità di una maggioranzasindacale, partirà la richiesta di costituzione della DSN. La negoziazione, a pareredi chi scrive, non sarà semplicissima e tenderà, da parte datoriale, ad andare inpejus rispetto ai contenuti minimi di legge. I soggetti per ora coinvolti, sindacatinazionali e delegati, sono propositivi e disponibili. La reazione dei «padroni» èstata di completo disorientamento. Sono, per così dire, sorpresi.

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DecathlonÈ un’azienda del commercio, fa parte di un gruppo27 notoria-

mente ostile al sindacato. Servirebbe lavorare sott’acqua, invece... ilnegoziato con questa azienda parte già in salita, sia perché l’aziendanon è «amica dei sindacati» a meno che non siano «sindacati amici»;sia perché ci ha presi in contropiede; rischiamo quindi di non averela maggioranza dei componenti (11 su 21) frutto di nomina sinda-cale e di sindacati affiliati a UNI; e siccome la DSN decide a maggio-ranza, rischiamo la prospettiva di un brutto accordo. Anche in que-sto caso emerge la corsia preferenziale seguita dalla Federazione eu-ropea; più che esercitare un ruolo di coordinamento, opta per forni-re l’esperto esterno.

Vale la pena di evidenziare anche le «partenze» di questi processi,di queste gare a ostacoli il cui fischio di inizio può provenire: dalsindacato (Alten); dall’azienda (Cheq); dall’azienda dopo una falsapartenza sindacale (Decathlon).

Obiettivo comune di questi tre casi è quello costituire il CAE. I filiconduttori comuni in questi tre esempi sono a nostro avviso i se-guenti:

• rete sindacale da creare e coordinare;• formazione;• esperto esterno.

Vi sono poi altri casi FILCAMS in lavorazione attualmente e ri-guardano il modello della Società Europea (SE). Dopo dieci anni28

sono 2.234 le SE costituite e sono 16 quelle in fase di costituzione(fonte: ETUI SE Database29). Ben 5 di queste ultime coinvolgono laFILCAMS. Questi numeri si aggiungono a quelli dei CAE30; in prati-ca il numero delle TNC potenzialmente destinatarie di un percorsonegoziale, raddoppia.

27 Decathlon appartiene alla famiglia Mulliez, la stessa di Auchan.28 Dall’8 ottobre 2004, entrata in vigore della normativa, al 9 ottobre 2014, data

di rilevazione dei dati pubblicati.29 ETUI SE Database, http://www.etui.org/Services/European-Company-SE-Database.30 1.000 CAE attivi; 1.400 TNC coperte dalla direttiva ma senza CAE installato.

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Christian Dior S.A.-LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton S.A.31

Il 26 febbraio 2014 inizia la procedura la per trasformazione inSE. A bruciapelo riusciamo, come sindacato italiano, a designare duerappresentanti della categoria dei tessili.

Dassault Systemes SA32

A metà maggio 2014 si comunica la procedura di trasformazionein SE, solo a fine settembre si materializza la nomina unitaria deisindacati italiani del proprio rappresentante, il quale risulta essereun esterno, esperto in CAE, del settore commercio.

Akka Technologies SA33

Il 19 maggio 2014 da UNI ICTS parte una richiesta di inviare lenomine; solo ad ottobre si è avviata la nomina congiunta FILCAMS eFISASCAT.

GFT Technologies AGIl 1° ottobre 2014 l’azienda scrive, singolarmente, alle federazioni

sindacali delle province dove ha una sede, comunicando l’avvio delprocesso di conversione in SE. Siamo in procinto di designare duerappresentanti italiani del commercio.

A differenza di quanto è avvenuto nei precedenti tre casi di costitu-zione del CAE, in tutti questi casi l’iniziativa è partita dal managementdelle multinazionali. Questo pone alcuni problemi di carattere gene-rale (perché non siamo stati noi?) e specifico. Ad esempio, cosa succe-de se il sindacato non si attiva immediatamente per individuare possi-bili candidati di emanazione sindacale? Potrebbero essere elette/desi-gnate persone non rappresentative né delle organizzazioni sindacaliné elette dai lavoratori. Le scelte aziendali vanno avanti con o senza ilsindacato. Di fatto non ci è consentito di chiamarci fuori dai processi.

31 Azienda francese, 45.000 dipendenti in Europa, oltre 100.000 nel mondo.Settori coinvolti: tessile, meccanico, agricoltura, commercio, turismo.

32 Azienda francese di 11.000 dipendenti dell’ITC, che copre più settori.33 Automotive and aerospace engineering. Sede centrale in Francia; presente in Bel-

gio, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Italia; Paesi Bassi, Romania, Spagna,UK e Svizzera. 9.000 dipendenti in Europa, 11.000 nel mondo.

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5. Conclusioni operative

L’alleanza sindacale a livello sovranazionale non è, di per sé, onni-comprensiva. In un’alleanza si può anche essere solo in due. Unesempio: il 1° marzo 200134 la FILCAMS ha ricevuto da Hotel & Re-staurant Employees & Bartenders Union, Local 217 dell’aeroporto inter-nazionale di Bradley, Connecticut U.S., il seguente messaggio: «Ab-biamo sottoscritto il nostro nuovo contratto che contiene significativiaumenti salariali e migliora le nostre condizioni di lavoro. Grazie perl’aiuto e la solidarietà»35.

Il tango, come è noto, si balla in due. E anche se si tratta di unballo latino, quello che funziona meglio nelle relazioni sindacali èquello dei paesi a clima freddo, dove il sistema partecipativo è mag-giormente diffuso. Questo è a nostro avviso l’approccio migliore, an-che per far funzionare i CAE. La partecipazione, il coinvolgimentodei lavoratori, la cogestione non hanno ovviamente una derivazioneclimatica. Anche nella sua patria, la Germania, tale sistema ha i suoiesclusi. E sono tanti; fra i lavoratori a tempo determinato, gli interi-nali, per non parlare dei sei milioni di lavoratori part time con mini-jobs36. Tutte realtà escluse anche dai CAE, che in Germania copronoun numero di aziende assai inferiore a quello che dovrebbe, secondoi requisiti previsti dalla normativa.

Nelle cose del lavoro e del sindacato si pone sempre un problema disolidarietà. Se la scala su cui si opera diventa globale, questo problemainevitabilmente si acuisce. Nascono e si accentuano problemi di vera epropria «doppia lealtà». Ciò è particolarmente probabile: «Quando la

34 Solidarity: http://www.FILCAMS.CGIL.it/webautogrill.nsf/dd5cab6801f1723585256474005327c8/0c1142982d325a69c1256a27003426df!OpenDocument.

35 L’azienda era HMS Host, la controllata USA del Gruppo Autogrill, sul qualeesercitammo pressioni in Italia. I rapporti fra FILCAMS e il sindacato USA, UniteHere, continuano ad essere ottimi e nel CAE Autogrill c’è un seggio (non ancorautilizzato) per un invitato permanente che proviene da oltreoceano.

36 In Germania il 40% degli occupati lavora in aziende che non applicano i con-tratti collettivi Il 9 settembre, dopo una serie di scioperi iniziati in aprile dal sinda-cato NGG, la campagna di solidarietà di IUF-UITA, EFFAT e degli affiliati, Auto-grill Germania annuncia la propria adesione all’Associazione tedesca degli impren-ditori del settore e la conseguente applicazione del contratto collettivo nazionale.

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prospettiva della chiusura di stabilimenti, con forti tagli occupazionali,diviene terribilmente concreta, ogni aspirazione alla solidarietà inter-nazionale si infrange e i sindacati vengono sempre più schiacciati nellamorsa della ‘doppia lealtà’»37. È un fenomeno in costante accentuazio-ne – specie dal 2008, anno di inizio crisi – e che troviamo normal-mente anche nel quadro nazionale, non solo in imprese tedesche; inItalia, i sindacati, anche quelli provinciali, quelli dove l’impresa ha lasede centrale, difficilmente si fanno promotori del coordinamento na-zionale, ancor più arduo è che se ne facciano dell’alleanza sindacaletransnazionale e capofila del processo di costituzione del CAE.

Serve una proposta di percorso sindacale, e questa non può checomprendere una formazione diffusa, di massa, «taylor-made». Presoatto che la maggior parte degli sforzi delle Federazioni sindacali euro-pee, e non solo, peraltro mai sufficienti, sono prevalentemente con-centrati sugli Organi di informazione e consultazione costituiti, «far-falle»; la Federazione europea, per le «crisalidi», non riuscendo ad eser-citare direttamente un ruolo di coordinamento, opta per delegare l’e-sperto esterno. Per costruire un percorso al quale anche altri possonocontribuire, proviamo a rovesciare il cannocchiale, andiamo all’iniziodel percorso individuando chi, come, quando... può interagire con leFederazioni europee anche interfacciandosi con l’esperto «condiviso».

Se fra le farfalle (multinazionali con un CAE installato e SE attive)prevale l’approccio sindacale partecipativo, fra le crisalidi (multina-zionali senza un CAE installato e SE in fase di negoziazione) prevalequello organizzativo. Per questi due diversi gruppi (nelle diverse fasidelle relazioni sindacali con la TNC), cambia sia l’approccio che ilruolo dei diversi attori

In questo quadro, la FILCAMS38 in collaborazione con partner piùesperti e presenti in altri settori39, si è posta l’obiettivo di «fornire i

37 S. Leonardi, Globalizzazione, sindacato e contrattazione transnazionale, in Quadernidi rassegna sindacale, n. 3, 2013.

38 Con la propria platea, settori dell’ultimo anello di produzione del valore e dierogazione dei servizi; settori giovani e scarsamente sindacalizzati; aziende fram-mentate e multi-localizzate.

39 Dalle banche alle principali industrie manifatturiere con CAE storici e consoli-dati.

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ferri del mestiere e di conoscenza minima» a coloro che nei diversiruoli, parteciperanno al processo: dalla fase di presa di coscienza diaver anche fare con una «azienda multinazionale», a quella di parte-cipazione attiva, propositiva, informata, consultata, negoziale nell’or-ganismo di I&C e nella delegazione trattante dei TCA. Come? Condue nuovi progetti paralleli: To.Be.e EWC 40 e ITEM41, finalizzati a:

1) Standardizzare il più possibile le conoscenze minime, anche «bi-valenti» e di utilità sia per i rappresentanti dei lavoratori che perquelli del management42, per fornire a ognuna delle otto figure eper i cinque diversi gradini del percorso (tabella 4) l’informazio-ne base di conoscenza comune e di verifica attraverso snelli ma-nuali; filmati multilingue; «giochi di ruolo - check list» di controllo;e con approfondimenti mirati.

Tabella 4

Ruolo/percorsoAlleanzasindacale

CostruzioneDSN

Negoziato GestioneRinegozia-

zioneOrganizzatore/Dirigente sindacale x xDelegato sindacale x x xCAE: rappresentante x x xCAE: comitato ristretto x xCAE: segretario/presidente x xCAE: coordinatore x x x xEWC: coordinatore x x x xEsperto: DSN, CAE, ... x x x xCoordinamento/alleanza sindacale =Governo ombra

x x x x x

40 Towards a better employee involvement in undertakings: roles and tasks of the mainactors in establishing and improving European Works Councils.

41 Fostering employee involvement at company level by training the main actors dealingwith European multinationals.

42 Con l’obiettivo «TANGO» che si balla in due, quindi utile anche ai rappresen-tanti del management di quelle aziende che intendono vivere i processi di informa-zione e consultazione quale arricchimento per l’azienda.

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Materiali liberamente accessibili in rete, destinati, si spera, a di-ventare percorsi di training on line: l’unico strumento veloce, acces-sibile anche in termini di costi, in grado di rendere i «modelli for-mativi» esportabili, immediatamente e costantemente utilizzabili dal-l’enorme platea di utenti: le 16-21.000 persone che fanno parte diun CAE, alle quali va aggiunto un imprecisabile numero di sindacali-sti; di componenti delle DSN e delle SE-WC.

2) Specializzare, perché anche nel migliore dei mondi «partecipati-vi» possibile, oltre ai rappresentanti del management che utilizze-ranno il «corso on line» magari solo per velocizzare il processo dinegoziazione e migliorare quelli di informazione e consultazione,continueranno ad esserci coloro che frapporranno ostacoli, ma-gari solo per ritardare i processi per attivare le prescrizioni acces-sorie; e in questi casi servirà formare e mantenere aggiornato unadeguato numero di specialisti dell’azione sindacale per poterintervenire tempestivamente, e con competenza, laddove serviràl’apporto in particolare di figure quali: organizzatori, esperti,coordinatori ma non solo. L’attività parallela è quella di trainingdi approfondimento in aule omogenee per ruolo (mono-lingua omulti-lingue) per gruppi omogenei e per fasi omogenee di per-corso.

Evidentemente, non potrà essere la FILCAMS, e i partner capo-fila o coinvolti nei progetti, a condurre in porto gli sviluppi possibilidi questo progetto43 che consentirebbe due salti di qualità, uno basi-co ma essenziale, l’altro di alto livello, specialistico e di futura utilitàgenerale; è un testimone che, ci auspichiamo, ETUI, in collabora-zione con centri di ricerca e formazione, le università, potrà racco-gliere e portare al traguardo coinvolgendo tutti gli affiliati dellaCES (verticali e orizzontali nonché i loro affiliati nei singoli paesidell’UE).

43 Piattaforma e-learning e/o aule.

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GABRIELE GUGLIELMI

270

Le organizzazioni sindacali europee, confederali e di categoria,europee e nazionali, non possono delegare ad altri il proprio com-pito: quello di essere costantemente «Alleanze sindacali» e «Governoombra» non solo nelle politiche europee (o transnazionali e trans-continentali) ma in ogni processo sindacale, specie con le TNC, checoinvolge più sindacati, magari di più paesi e di settori diversi.

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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273

I) PREAMBOLO: background individuale del membro del CAE• Da quanto tempo lavori per questa azienda/gruppo? In quale sito, esattamente?• Qual è il tuo lavoro/tipo di inquadramento?• Da quanto tempo sei membro CAE? Attraverso quale procedura lo sei diventato?• Oltre a quella di delegato CAE, svolgi anche un’altra funzione sindacale? Se sì,

quale?• Hai fatto parte delle Delegazione Speciale di Negoziazione (DSN)?• Quali attività svolgi, prevalentemente, quale membro del CAE?• Con chi hai contatti più frequenti nello svolgimento della tua attività di delegato?• Con chi ti rapporti, maggiormente, chi ti aiuta, nello svolgimento di queste atti-

vità?• Appartieni a un organo ristretto di coordinamento del CAE?

II) IL CAE: struttura e funzionamento• Il CAE copre l’intera società o gruppo, oppure solo una divisione/un ramo d’at-

tività nell’ambito di un gruppo più ampio?• Il carattere multisettoriale del vostro CAE: quale composizione e quali problemi

specifici ha posto?• Il CAE è stato oggetto di revisione, a seguito delle modifiche normative più re-

centi? Se sì, quali sono state le maggiori novità? Se sì, quando e come?• Chi è coinvolto, per l’Italia, nella composizione del vostro CAE? Quali altre ca-

tegorie sindacali, oltre al terziario, sono presenti?• Nelle situazioni di allarme sociale (licenziamenti collettivi, chiusura di stabili-

menti, trasferimento di azienda, delocalizzazioni, ecc.), il CAE ha potuto svolge-re un ruolo significativo? Si sono tenute riunioni straordinarie del CAE? C’èstato un coordinamento sovranazionale fra le strutture sindacali di vario livello?

• La clausola di riservatezza, nella tua esperienza, è stata utilizzata dal managementin modo improprio o pretestuoso? Sono previsti meccanismi per reagire a que-sto tipo di uso?

• Per la tua esperienza, ritieni che i meccanismi sanzionatori previsti dalla normadi recepimento siano efficaci, dissuasivi e proporzionati nell’ipotesi di violazionedei diritti di informazione e consultazione? Avete mai valutato, come CAE, l’op-portunità di ricorrere ai meccanismi sanzionatori?

• Avete considerato l’ipotesi di richiedere alla MNC la negoziazione di un accordotransnazionale di gruppo? (approfondire)

Traccia di intervista semistrutturataa un membro del CAE

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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III) Comunicazione e relazioni• Come avviene la comunicazione per informare i lavoratori e i loro rappresen-

tanti aziendali dei vari siti relativamente all’esito delle riunioni del CAE? Esisteun coordinamento a livello nazionale? Come si riunisce?

• I rappresentanti sindacali aziendali e i funzionari sindacali di categoria vengonocoinvolti nel funzionamento del CAE? In che modo? (Si può considerare unarelazione soddisfacente?)

• Trattandosi di un CAE multisettoriale, come vi rapportate ai delegati di altrecategorie? Che ruolo svolge il coordinamento CAE della FILCAMS?

• Che ruolo esercitano, se lo esercitano, le federazioni europee di categoria?• Il CAE ha favorito il rafforzamento di un coordinamento sindacale sovranazio-

nale, tra livello nazionale e aziendale, sindacati di altri paesi e federazioni inter-nazionali?

• Secondo te, quali strategie occorre mettere in campo per migliorare la comuni-cazione tra i membri CAE e i lavoratori e i loro rappresentanti aziendali?

IV) Criticità• Quali sono state le maggiori criticità rispetto all’incarico che ricopri? (es.: caren-

za di competenze necessarie, di acquisizione esaustiva e tempestiva delle infor-mazioni, difetto di consultazione, di comunicazione e coordinamento coi colle-ghi stranieri, con quelli italiani, senso di isolamento, altro)

• Ci sono stati casi di divergenza tra la strategia del CAE e quella di categoria e/oRSU nel nostro paese? Se sì, come sono state affrontate?

• In generale, secondo te, come viene percepito il CAE dei lavoratori? E come dairappresentanti sindacali (aziendali e di categoria?)

• Come si possono influenzare più efficacemente le decisioni del management?

V) Formazione• Hai partecipato a uno o più corsi di formazione sindacale attinenti alle attività

che abbiamo preso in esame? Se sì, su quale/i argomento/i in particolare? Chi liha organizzati?

• Quali esperienze formative hai trovato particolarmente utili?• Come ti aggiorni abitualmente per svolgere le attività indicate (abituali od occa-

sionali)?• Quali competenze sono necessarie affinché il CAE svolga efficacemente la sua

funzione (competenze linguistiche, lettura dei bilanci, competenze interculturali,conoscenza delle relazioni industriali in essere nei paesi rappresentati in seno alCAE, competenze di coordinamento e networking, competenze negoziali, com-petenze di comunicazione)? Riterresti necessario avviare un percorso di raffor-zamento e/o incremento delle tue conoscenze?

• Ritieni che i percorsi formativi possano aiutarti? Se sì perché? Se no perché?

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I) Attività svolte e funzionamento CAE• Da quanto tempo segui questa MNC?• Nel tuo territorio, ne segui anche altre? Quali? Quante hanno un CAE?• Che tipo di coinvolgimento ti richiede?• Con chi hai contatti più frequenti? Quali aspetti trattate maggiormente?• Trattandosi qui di un CAE multisettoriale (industria e commercializzazione), che

rapporto c’è con gli altri sindacati di categoria?• Il CAE vi ha fornito elementi conoscitivi utili in merito a questioni che hanno poi

riguardato la contrattazione collettiva di gruppo/sito in Italia?• Si sono creati fenomeni di concorrenza fra i diversi livelli della rappresentanza

(CAE; sindacato nazionale di categoria, RSU/RSA)?• Che tu sappia, che ruolo esercitano, se lo esercitano, le federazioni europee di

categoria?• Vedresti come utile un’evoluzione negoziale sovranazionale dell’azione sindacale

e dei CAE? Ad esempio, promuovendo accordi transnazionali di gruppo? Ciavete mai pensato?

II) Comunicazione e relazioni• Vieni informato/a regolarmente sull’esito delle riunioni del CAE?• Che tipo di comunicazione viene utilizzata?• Pensi che i lavoratori delle MNC che conosci siano messi adeguatamente al cor-

rente delle cose discusse nel CAE?• Nel rapporto fra il sindacato esterno e il CAE, si tratta di un’informazione a sen-

so unico o c’è un utile coinvolgimento bilaterale?• Che uso ne viene fatto di queste esperienze dalla tua organizzazione?• Che tu sappia, i CAE hanno favorito la creazione di migliori canali di contat-

to/relazioni fra sindacati di diversi paesi?• Quali strategie occorre mettere in campo, secondo te, per migliorare la comuni-

cazione tra i membri CAE e i lavoratori?

III) Criticità• Ci sono stati casi di divergenza tra la strategia del CAE e le strategie sindacali lo-

cali o nazionali? Se sì come sono state affrontate?• Come giudicheresti i rapporti tra il/i membro/i del CAE e le strutture di rappre-

sentanza dei lavoratori a livello locale?

Traccia di intervista semistrutturataa funzionari sindacali

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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• Che tipo di attività sono utili a livello locale per dare continuità all’azione deiCAE e al supporto che le organizzazioni sindacali possono dare ai rispettivimembri CAE? Sei stato coinvolto in processi di questo tipo?

• In generale, che percezione c’è – nella tua organizzazione – del ruolo e del-l’utilità del CAE?

IV) Formazione• Hai mai preso parte a iniziative formative inerenti a tematiche di utilità per il la-

voro internazionale che svolgi? Se sì, su quale/i argomento/i in particolare? Qualiesperienze formative hai trovato maggiormente utile allo svolgimento della tuaattività sindacale?

• Come ti aggiorni per svolgere le tue attività con le MNC e coi loro CAE, se esi-stono?

• In quali aree di attività o temi riterresti necessario avviare un percorso di raffor-zamento e/o incremento delle tue conoscenze? (lettura dei bilanci, conoscenzadelle relazioni industriali nei paesi rappresentati in seno al CAE, competenze dicoordinamento, competenze negoziali per un livello sovranazionale, competenzedi comunicazione, linguistiche, ecc.)

• Ritieni che i percorsi formativi possano aiutarti? Se sì perché? Se no perché?• Hai mai partecipato a uno o più corsi di formazione sindacale attinenti alle atti-

vità che abbiamo preso in esame?

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• Da quanto tempo svolgi il tuo ruolo di delegato sindacale?• Sei a conoscenza dell’esistenza di un CAE nella tua società?• Conosci i delegati italiani del tuo settore che ne fanno parte?• Sei stato coinvolto nella loro elezione o designazione? Come?• Vieni informato circa la natura e l’esito degli incontri e delle attività del CAE? Se

sì come (assemblea, incontro ristretto, contatto personale)?• In che misura l’azione del CAE torna utile alla vostra attività di rappresentanti

aziendali?• Esiste un rapporto fra l’informazione e consultazione a livello europeo e quello

che potete esercitare a livello nazionale e di sito, secondo la normativa e la con-trattazione nazionale? No, sì, come?

• Sai di cosa si occupano i CAE?• Secondo te, quali sono i temi su cui il CAE può svolgere una funzione veramente

cruciale? (delocalizzazioni, chiusura stabilimenti, trasferimenti d’azienda, ri-strutturazioni, salute e sicurezza, pari opportunità, formazione professionale/svi-luppo competenze, organizzazione del lavoro...)

• Avete mai richiesto ai vostri delegati nazionali l’assunzione di una posizione spe-cifica, ad esempio rispetto ai vostri siti, in seno al CAE? Se sì, in quali casi?

• Vedi un rischio di sovrapposizione critica fra l’azione dei CAE e quella sindacalenazionale e/o aziendale? Si è mai posto un problema di questo tipo? (approfon-dire)

• Secondo te, qual è stato finora il suo maggior limite?• Secondo te, come viene percepito il CAE nel tuo ambiente sindacale e di lavoro?• Vedresti favorevolmente un’evoluzione contrattuale di tipo sovranazionale di

gruppo, o ritieni che al momento sia più utile limitarsi all’informazione/consul-tazione, lasciando alla sfera nazionale il compito di fare contrattazione collettiva?

• Hai mai partecipato a una formazione sindacale sui temi dell’europeizzazionedelle relazioni industriali (direttiva CAE, informazione e consultazione, Societàeuropea, accordi transnazionali di gruppo, modelli nazionali di relazioni indu-striali)?

• Se sì, su quale/i argomento/i in particolare? Hai riscontrato miglioramenti in re-lazione a tale/i argomento/i?

• In quali aree di attività e/o su quali temi riterresti necessario avviare un percorsodi rafforzamento e/o incremento delle tue conoscenze?

• Ritieni che i percorsi formativi possano aiutarti? Se sì, perché?

Traccia di intervista semistrutturataa delegato sindacale in azienda

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Le intervisteI) a delegati sindacali nazionali/locali dei gruppiII) a esponenti del management

I) Il punto di vista dei delegati nazionali aziendali

Verificare innanzitutto un eventuale «deficit conoscitivo». Dunque approfondire:

a) Grado di conoscenza generica sull’esistenza di una normativa europea e nazio-nale sui CAE:

• cosa si sa a riguardo, esattamente• la fonte dell’informazione• il nesso fra il grado di informazione e l’impegno sindacale dell’intervistato• il ruolo del sindacato esterno sul tema• il fabbisogno formativo a riguardo

b) Grado di conoscenza sostanziale e operativa della normativa e dei diritti che neconseguono:

• sai se nel tuo gruppo ci sono le condizioni affinché sussista un diritto a costituireun CAE?

• sai se siete o no coperti dalla direttiva CAE?• si è discusso di questo argomento?• che ruolo esercita, su questi aspetti, il sindacato esterno di categoria?

c) Grado di conoscenza rispetto al fatto che nel gruppo sarebbe formalmente pos-sibile costituire un CAE:

• la conoscenza della struttura societaria: le articolazioni, il controllo, le filiali ita-liane ed estere

• la dimensione piccola delle singole unità e l’elevatissima frammentazione dei siti• il problema della trasparenza manageriale nelle informazioni sulle caratteristi-

che dimensionali e transnazionali del gruppo, secondo i dettami della direttiva• la fiducia che la rappresentanza sindacale ripone nelle informazioni fornite dal

management (ingenuità o altro?)• c’è stato un approfondimento, politico e tecnico, per effettuare sindacalmente le

dovute verifiche?

Traccia di intervista semi-strutturata per studio di casodove il CAE non è stato costituito

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TRACCIA DI INTERVISTA SEMI-STRUTTURATA DOVE IL CAE NON È STATO COSTITUITO

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Capire – come suggerisce la ricerca tedesca (Lucking et al., 2009) – se la mancanzadi trasparenza datoriale non sia solo una scusa per celare la mancanza di interes-se reale da parte dei delegati del paese controllante (in quel caso dei delegati te-deschi).

d) Grado di interlocuzione coi delegati dei siti in altri paesi:• che forme ha assunto: di merito e di metodo? (es.: chi avrebbe dovuto prendere

l’iniziativa; rintracciare i referenti con cui interloquire/costituire una DSN; ilproblema dei siti esteri; il frequente cambio di rappresentanti con cui sentirsi;stabilire un collegamento; la lingua; la conoscenza dei rispettivi sistemi regolati-vi, ecc.)

• vi sono stati tentativi di avviare il processo? E se sì, quale ruolo hanno rispetti-vamente svolto il sindacato nazionale di categoria e quello europeo?

• si è mai costituita una DSN?• perché, eventualmente, il processo si è interrotto?• quali problemi si sono determinati?

Qui sconteremmo il carattere parziale del nostro target, esclusivamente italiano.

e) Il problema delle risorse limitate: economiche, di expertise e di tempo:• la complessità e lunghezza del processo che dalla creazione di una DSN porta, a

volte dopo anni, finalmente all’attivazione di un CAE• la più o meno implicita analisi del rapporto costi/benefici fra il fare e il non fare

un CAE

f) Grado di convinzione, di interesse reale, rispetto all’utilità di un CAE:• la percezione del valore aggiunto prodotto da un CAE: questione chiave da son-

dare• l’impatto atteso sul proprio lavoro sindacale; sui propri diritti e poteri• la solidarietà transnazionale: quale valore?• l’esistenza di altre priorità

Vagliare a riguardo eventuali differenze fra sindacato esterno e rappresentanzeaziendali.Ipotesi da verificare: nessuno si spinge a definirsi contrario ai CAE in quanto tali,ma di fatto o non li si reputa prioritari oppure se ne dissimula lo scarso interessecon la percezione del loro limitato valore.

g) Grado di efficacia del sistema nazionale – in assenza di CAE – nella gestione dicontroversie su scala internazionale:

• cosa potrebbe andare diversamente con un CAE• quanto pesa la sua assenza

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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II) Il punto di vista del management

• Grado di conoscenza/informazione• Grado di accettazione di una regolazione sovranazionale europea di questioni

gestionali del lavoro e delle relazioni sindacali• Grado di disponibilità alle relazioni industriali e verso il sindacato in generale, a

livello nazionale: quale tradizione e quale modello?• Cosa avrebbe impedito finora di costituire un CAE nel proprio gruppo• Grado di apprezzamento/disappunto rispetto al CAE e ai doveri che comporta• Le ragioni di contrarietà (es.: costi, burocratizzazione, timori legati alla traspa-

renza/riservatezza, autonomia dei singoli siti, delle culture e dei modelli locali direlazioni industriali). Fare domande specifiche su ognuno di questi elementi etrascrivere con relativa precisione le risposte.

• Le ragioni eventualmente in positivo• Le prospettive

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IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 137,vista la proposta della Commissione,visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (1),previa consultazione del Comitato delle regioni,deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251 del trattato (2),considerando quanto segue:

(1) Occorre apportare un certo numero di modifiche sostanziali alla direttiva94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, riguardante l’istituzione di un co-mitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazionedei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (3).È opportuno, per ragioni di chiarezza, procedere alla rifusione di tale direttiva.

(2) Secondo quanto disposto dall’articolo 15 della direttiva 94/45/CE, la Com-missione ha riesaminato, in consultazione con gli Stati membri e le parti sociali a li-vello europeo, le modalità di applicazione di tale direttiva ed ha in particolareesaminato l’adeguatezza delle soglie relative alle dimensioni personali nella pro-spettiva di proporre, se del caso, le necessarie modifiche.

(3) Dopo aver consultato gli Stati membri e le parti sociali a livello europeo, laCommissione ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio, il 4 aprile 2000,una relazione sull’applicazione della direttiva 94/45/CE.

(4) A norma dell’articolo 138, paragrafo 2, del trattato, la Commissione ha con-sultato le parti sociali a livello comunitario sul possibile orientamento di un’azionecomunitaria in questo campo.

(5) In seguito a tale consultazione la Commissione ha ritenuto opportuna un’a-zione comunitaria e ha nuovamente consultato le parti sociali a livello comunitariosul contenuto della proposta prevista, secondo quanto contemplato dall’articolo138, paragrafo 3, del trattato.

(6) Al termine di questa seconda fase di consultazioni le parti sociali non hannoinformato la Commissione della loro comune volontà di avviare il processo in gra-do di portare alla conclusione di un accordo a norma dell’articolo 138, paragrafo 4,del trattato.

(7) È necessario ammodernare la normativa comunitaria in materia di informa-zione e consultazione transnazionale dei lavoratori al fine di garantire l’effettivitàdei diritti di informazione e consultazione transnazionale dei lavoratori, di innalza-re la percentuale di istituzione dei comitati aziendali europei, consentendo, nelcontempo, il funzionamento ininterrotto degli accordi esistenti, di risolvere i pro-

Direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consigliodel 6 maggio 2009

riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una proceduraper l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese

e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (rifusione)(Testo rilevante ai fini del SEE)

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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blemi constatati nell’applicazione pratica della direttiva 94/45/CE e di superare l’in-certezza del diritto derivante da alcune disposizioni o dall’assenza di alcune dispo-sizioni nella direttiva medesima, nonché di garantire una migliore articolazione tragli strumenti legislativi comunitari in tema di informazione e di consultazione deilavoratori.

(8) A norma dell’articolo 136 del trattato, la Comunità e gli Stati membri hannosegnatamente per obiettivo la promozione del dialogo tra le parti sociali.

(9) La presente direttiva si iscrive nel quadro comunitario volto a sostenere ecompletare l’azione degli Stati membri nel campo dell’informazione e della con-sultazione dei lavoratori. Questo quadro dovrebbe ridurre al minimo gli oneri im-posti alle imprese o agli stabilimenti, garantendo nel contempo l’esercizio effettivodei diritti riconosciuti.

(10) Il funzionamento del mercato interno comporta un processo di concentrazio-ne di imprese, di fusioni transfrontaliere, di acquisizioni di controllo e di associazionie, di conseguenza, una transnazionalizzazione delle imprese e dei gruppi di imprese.Se si vuole che le attività economiche si sviluppino armoniosamente, occorre che leimprese e i gruppi di imprese che operano in più di uno Stato membro informinoe consultino i rappresentanti dei lavoratori interessati dalle loro decisioni.

(11) Le procedure per l’informazione e la consultazione dei lavoratori previstedalle legislazioni o dalle prassi degli Stati membri sono spesso incompatibili con lastruttura transnazionale dei soggetti che adottano le decisioni riguardanti i lavora-tori; ciò può provocare disuguaglianze di trattamento dei lavoratori sui quali inci-dono le decisioni di una stessa impresa o gruppo di imprese.

(12) Si devono adottare adeguati provvedimenti volti a garantire che i lavoratoridelle imprese di dimensioni comunitarie o dei gruppi di imprese di dimensionicomunitarie siano adeguatamente informati e consultati nei casi in cui le decisioniche influiscono sulle loro condizioni siano prese in uno Stato membro diverso daquello in cui lavorano.

(13) Per garantire che i lavoratori delle imprese o dei gruppi di imprese cheoperano in più Stati membri siano adeguatamente informati e consultati, è necessa-rio istituire un comitato aziendale europeo o creare altre procedure adeguate perl’informazione e la consultazione transnazionale dei lavoratori.

(14) Le modalità di informazione e consultazione dei lavoratori devono esseredefinite e attuate in modo tale da garantire l’efficacia delle disposizioni della pre-sente direttiva. A tal fine l’informazione e la consultazione del comitato aziendaleeuropeo dovrebbero rendere possibile la formulazione, in tempo utile, di un parereall’impresa senza compromettere la capacità di adattamento di quest’ultima. Soloun dialogo condotto al livello in cui sono elaborati gli orientamenti direttivi e uneffettivo coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori rendono possibile l’anti-cipazione e la gestione del cambiamento.

(15) Ai lavoratori e ai loro rappresentanti devono essere garantite l’informazionee la consultazione al livello pertinente di direzione e di rappresentanza, in funzionedella questione trattata. A tal fine la competenza e l’ambito di intervento del comi-tato aziendale europeo devono essere distinti da quelli degli organi di rappresen-tanza nazionali e devono essere limitati alle questioni transnazionali.

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DIRETTIVA 2009/38/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

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(16) È opportuno che il carattere transnazionale di una questione venga deter-minato prendendo in considerazione la portata degli effetti potenziali della que-stione medesima e il livello di direzione e di rappresentanza coinvolto. A tal finesono considerate transnazionali le questioni che riguardano l’impresa o il grupponel suo complesso o almeno due Stati membri. Esse comprendono le questioni che,a prescindere dal numero di Stati membri coinvolti, sono importanti per i lavorato-ri europei in termini di portata dei loro effetti potenziali o che comportano il tra-sferimento di attività tra Stati membri.

(17) È necessario avere una definizione di «impresa controllante» esclusivamenteper quanto attiene alla presente direttiva e lasciando impregiudicate le definizionidi «gruppo» e di «controllo» presenti in altri atti.

(18) I meccanismi per l’informazione e la consultazione dei lavoratori in impreseo in gruppi di imprese operanti in due o più Stati membri dovrebbero comprende-re tutti gli stabilimenti ovvero, se del caso, tutte le imprese del gruppo situate negliStati membri, indipendentemente dal fatto che l’amministrazione centrale dell’im-presa o, se si tratta di un gruppo di imprese, la direzione centrale dell’impresacontrollante sia o meno situata nel territorio degli Stati membri.

(19) In conformità del principio dell’autonomia delle parti, spetta ai rappresen-tanti dei lavoratori e alla direzione dell’impresa o dell’impresa controllante deter-minare di comune accordo la natura, la composizione, le attribuzioni, le modalitàdi funzionamento, le procedure e le risorse finanziarie del comitato aziendale eu-ropeo o di altre procedure per l’informazione e la consultazione, in modo da far sìche esse siano adeguate alla loro situazione particolare.

(20) In conformità del principio della sussidiarietà, è compito degli Stati membrideterminare quali siano i rappresentanti dei lavoratori e, segnatamente, prescrive-re, ove lo reputino opportuno, una rappresentanza equilibrata delle varie categoriedi lavoratori.

(21) È necessario chiarire i concetti di informazione e consultazione dei lavorato-ri, conformemente alle definizioni che sono dettate dalle direttive più recenti inquesta materia e che trovano applicazione in un contesto nazionale, con l’obiettivodi rafforzare l’effettività del livello transnazionale del dialogo, di consentire un’ade-guata coordinazione tra il livello nazionale e quello transnazionale di questo dialo-go e di garantire la necessaria certezza del diritto nell’applicazione della presentedirettiva.

(22) La definizione del termine «informazione» deve tenere conto che l’obiettivoè un esame adeguato da parte dei rappresentanti dei lavoratori, il che presupponetempi, modalità e contenuti dell’informazione appropriati, senza rallentare il pro-cesso decisionale nelle imprese.

(23) La definizione del termine «consultazione» deve tenere conto che l’obiettivoè la formulazione di un parere che possa essere utile al processo decisionale, il chepresuppone tempi, modalità e contenuti della consultazione appropriati.

(24) Le disposizioni sull’informazione e sulla consultazione dei lavoratori stabi-lite dalla presente direttiva debbono essere attuate, nel caso di un’impresa o diun’impresa che esercita il controllo di un gruppo la cui direzione centrale sia si-tuata fuori dal territorio degli Stati membri, dal suo rappresentante in uno Stato

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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membro, eventualmente designato, oppure, in assenza di tale rappresentante, dallostabilimento o dall’impresa controllata che impiega il più alto numero di lavoratorinegli Stati membri.

(25) Occorre precisare la responsabilità di un’impresa o di un gruppo di impresenella trasmissione delle informazioni necessarie all’avvio di negoziati, in modo daconsentire ai lavoratori di determinare se l’impresa o il gruppo di imprese pressocui essi lavorano sia di dimensioni comunitarie e di prendere i contatti necessari aifini della presentazione di una richiesta di avvio dei negoziati.

(26) La delegazione speciale di negoziazione deve rappresentare, in modo equi-librato, i lavoratori dei diversi Stati membri. I rappresentanti dei lavoratori devonopoter cooperare per definire lo loro posizioni in relazione ai negoziati con la dire-zione centrale.

(27) Va riconosciuto il ruolo che le organizzazioni sindacali riconosciute possonosvolgere nella negoziazione o rinegoziazione degli accordi istitutivi dei comitatiaziendali europei a sostegno dei rappresentanti dei lavoratori che ne esprimanol’esigenza. Le competenti organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro ricono-sciute come parti sociali a livello europeo sono informate dell’avvio dei negoziati inmodo da consentire loro di seguire l’istituzione di nuovi comitati aziendali europeie promuovere le buone prassi. Le competenti organizzazioni sindacali e dei datoridi lavoro riconosciute a livello europeo sono le organizzazioni delle parti sociali chesono consultate dalla Commissione ai sensi dell’articolo 138 del trattato. L’elencodi tali organizzazioni è aggiornato e pubblicato dalla Commissione.

(28) Gli accordi che disciplinano l’istituzione e il funzionamento dei comitatiaziendali europei devono prevedere le modalità di modifica, cessazione o rinego-ziazione degli accordi medesimi qualora ciò si renda necessario, in particolare incaso di modifica del perimetro o della struttura dell’impresa o del gruppo di im-prese.

(29) Tali accordi devono stabilire modalità di articolazione tra i livelli nazionalee transnazionale di informazione e consultazione dei lavoratori le quali siano ri-spondenti alle specifiche condizioni delle imprese o gruppi di imprese. Dette mo-dalità devono essere definite nel rispetto delle rispettive competenze e dei rispettiviambiti di intervento degli organi di rappresentanza dei lavoratori, in particolareper quanto attiene all’anticipazione e alla gestione del cambiamento.

(30) Tali accordi devono prevedere, se del caso, l’istituzione e il funzionamentodi un comitato ristretto che consenta il coordinamento della normale attività delcomitato aziendale europeo e una sua maggiore efficacia, come pure l’informazionee la consultazione nel più breve tempo possibile qualora si configurino circostanzeeccezionali.

(31) I rappresentanti dei lavoratori possono decidere di non richiedere l’istitu-zione di un comitato aziendale europeo, o le parti interessate possono convenire sualtre procedure per l’informazione e la consultazione transnazionale dei lavoratori.

(32) È opportuno prevedere talune prescrizioni accessorie che saranno applica-bili qualora le parti lo decidano, in caso di rifiuto da parte della direzione centraledi avviare negoziati o in caso di mancato accordo al termine degli stessi.

(33) I rappresentanti dei lavoratori, per poter esercitare appieno le loro funzioni

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DIRETTIVA 2009/38/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

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e garantire l’utilità del comitato aziendale europeo, devono riferire ai lavoratoriche rappresentano e devono poter ricevere la formazione di cui necessitano.

(34) È opportuno prescrivere che i rappresentanti dei lavoratori, che agiscononel quadro della presente direttiva, godano, nell’esercizio delle loro funzioni, dellastessa protezione e delle stesse garanzie previste per i rappresentanti dei lavoratoridalla legislazione e/o dalle prassi vigenti nel paese in cui sono impiegati. Essi nondevono subire alcuna discriminazione per il fatto del legittimo esercizio delle loroattività e devono godere di una protezione adeguata in materia di licenziamento edi altre sanzioni.

(35) Gli Stati membri devono adottare provvedimenti adeguati in caso di man-cata applicazione degli obblighi previsti dalla presente direttiva.

(36) In conformità dei principi generali del diritto comunitario, dovrebbero es-sere applicabili procedure amministrative o giudiziarie, nonché sanzioni efficaci,dissuasive e proporzionate alla gravità delle infrazioni, in caso di violazione degliobblighi derivanti dalla presente direttiva.

(37) Per ragioni di efficacia, coerenza e certezza del diritto occorre un coordi-namento tra le direttive e i livelli di informazione e consultazione dei lavoratoriprevisti dal diritto e/o dalla prassi comunitari e nazionali. Le modalità di questocoordinamento devono essere prioritariamente negoziate a livello di ciascuna im-presa o gruppo di imprese. In assenza di un accordo su questo punto e qualora siprospettino decisioni in grado di determinare modifiche importanti dell’organiz-zazione del lavoro o dei contratti di lavoro, il processo deve aver luogo a livello na-zionale ed europeo nel rispetto delle rispettive competenze e dei rispettivi ambiti diintervento degli organi di rappresentanza dei lavoratori. I pareri espressi dal co-mitato aziendale europeo non dovrebbero pregiudicare la capacità della direzionecentrale di svolgere le consultazioni necessarie nel rispetto dei termini previsti da-gli ordinamenti e/o dalle prassi nazionali. Le legislazioni e/o prassi nazionali pos-sono necessitare di adeguamenti per garantire che il comitato aziendale europeopossa, se del caso, essere informato prima degli organi nazionali di rappresentanzadei lavoratori o contemporaneamente agli stessi, senza che con ciò venga ridotto illivello generale di protezione dei lavoratori.

(38) La presente direttiva dovrebbe far salve le procedure di informazione e diconsultazione previste dalla direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e delConsiglio, dell’11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all’infor-mazione e alla consultazione dei lavoratori (4), e le procedure specifiche di cui al-l’articolo 2 della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente ilravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenticollettivi (5) e all’articolo 7 della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative almantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabi-limenti o di parti di imprese o di stabilimenti (6).

(39) È opportuno accordare un trattamento specifico alle imprese e ai gruppi diimprese di dimensioni comunitarie in cui, alla data del 22 settembre 1996, esistevaun accordo applicabile all’insieme dei lavoratori che prevedeva l’informazione e laconsultazione transnazionale dei lavoratori.

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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(40) Qualora la struttura dell’impresa o del gruppo subisca modifiche significati-ve, ad esempio a seguito di operazioni di fusione, acquisizione o scissione, occorreadeguare il comitato o i comitati aziendali europei esistenti. Tale adeguamento de-ve essere fatto prioritariamente secondo le clausole dell’accordo applicabile, ove es-se consentano effettivamente di realizzare l’adeguamento necessario. In caso con-trario e in caso di presentazione di una richiesta in tal senso, verranno avviati i ne-goziati per un nuovo accordo a cui devono partecipare i membri del comitato o deicomitati aziendali europei esistenti. Per consentire l’informazione e la consultazio-ne dei lavoratori nel periodo, spesso decisivo, della modifica della struttura, il co-mitato o i comitati aziendali europei esistenti devono poter continuare ad operare,con eventuali adattamenti, fino alla conclusione di un nuovo accordo. Alla firma diun nuovo accordo occorre procedere allo scioglimento dei comitati precedente-mente istituiti e gli accordi istitutivi devono estinguersi, indipendentemente dalleloro disposizioni in materia di validità o denuncia.

(41) Fatta salva l’applicazione di questa clausola di adeguamento, è opportunoconsentire la prosecuzione degli accordi in vigore in modo da evitare la loro obbli-gatoria rinegoziazione, laddove non sia necessaria. È opportuno prevedere che agliaccordi conclusi anteriormente al 22 settembre 1996 a norma dell’articolo 13, pa-ragrafo 1, della direttiva 94/45/CE, o dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva97/74/CE (7), finché vigenti, non si applichino gli obblighi derivanti dalla presentedirettiva. Inoltre, la presente direttiva non impone un obbligo generale di rinego-ziazione degli accordi conclusi a norma dell’articolo 6 della direttiva 94/45/CE tra il22 settembre 1996 e il 5 giugno 2011.

(42) Salva la facoltà delle parti di decidere altrimenti, un comitato aziendale euro-peo istituito in assenza di accordo tra le stesse deve, al fine di realizzare l’obiettivodella presente direttiva, essere informato e consultato riguardo alle attività dell’impre-sa o del gruppo di imprese, in modo da poterne valutare le possibili conseguenze sugliinteressi dei lavoratori di almeno due Stati membri. A tal fine, l’impresa o l’impresacontrollante deve essere tenuta a comunicare ai rappresentanti designati dei lavoratorile informazioni generali riguardanti gli interessi di questi ultimi e le informazioni ri-guardanti in modo più specifico gli aspetti delle attività dell’impresa o del gruppo diimprese che influiscono sugli interessi dei lavoratori. Il comitato aziendale europeodeve avere la facoltà di formulare un parere al termine della riunione.

(43) Talune decisioni, che influenzano considerevolmente gli interessi dei lavo-ratori, devono formare oggetto di informazione e consultazione specifica dei rap-presentanti designati dei lavoratori, nel più breve termine possibile.

(44) Occorre chiarire il contenuto delle prescrizioni accessorie che si applicanoin assenza di accordo e fungono da riferimento nei negoziati, adattandole all’evol-versi delle esigenze e delle prassi in tema di informazione e consultazione transna-zionale. È opportuno operare una distinzione tra i settori cui si applica l’obbligo diinformazione e quelli sui quali il comitato aziendale europeo deve anche essereconsultato, il che comporta la possibilità di ottenere una risposta motivata ad ogniparere espresso. Il comitato ristretto, per poter svolgere il necessario ruolo di coor-dinamento e affrontare efficacemente circostanze eccezionali, deve poter esser co-stituito da un massimo di cinque membri e potersi consultare regolarmente.

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DIRETTIVA 2009/38/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

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(45) Poiché l’obiettivo della presente direttiva, ossia il potenziamento del dirittoall’informazione e alla consultazione dei lavoratori delle imprese e dei gruppi didimensioni comunitarie, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Statimembri e può dunque essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunitàpuò intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trat-tato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiet-tivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

(46) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva in particolare iprincipi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Inparticolare, la presente direttiva intende assicurare il pieno rispetto del diritto deilavoratori o dei loro rappresentanti a vedersi garantite, ai livelli appropriati, l’in-formazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti daldiritto comunitario e dalle normative e prassi nazionali (articolo 27 della Carta deidiritti fondamentali dell’Unione europea).

(47) L’obbligo di recepire la presente direttiva nel diritto interno dovrebbe esse-re limitato alle disposizioni che rappresentano modificazioni sostanziali delle di-rettive precedenti. L’obbligo di recepimento delle disposizioni rimaste immutatederiva dalle direttive precedenti.

(48) Conformemente al punto 34 dell’accordo interistituzionale «Legiferare me-glio» (8), gli Stati membri sono incoraggiati a redigere e rendere pubblici, nell’inte-resse proprio e della Comunità, prospetti indicanti, per quanto possibile, la con-cordanza tra la presente direttiva e i provvedimenti di recepimento.

(49) La presente direttiva dovrebbe far salvi gli obblighi degli Stati membri rela-tivi ai termini di recepimento nel diritto interno e di applicazione delle direttiveindicati nell’allegato II, parte B,

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

Sezione IDisposizioni generali

Articolo 1Oggetto

1. La presente direttiva è intesa a migliorare il diritto all’informazione e allaconsultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensionicomunitarie.

2. A tal fine è istituito un comitato aziendale europeo o una procedura per l’in-formazione e la consultazione dei lavoratori in ogni impresa o in ciascun gruppo diimprese di dimensioni comunitarie in cui ciò sia richiesto secondo la proceduraprevista dall’articolo 5, paragrafo 1, al fine di informare e di consultare i lavoratori.Le modalità di informazione e consultazione dei lavoratori sono definite e attuatein modo da garantirne l’efficacia e consentire un processo decisionale efficace nel-l’impresa o nel gruppo di imprese.

3. L’informazione e la consultazione dei lavoratori avvengono al livello perti-nente di direzione e di rappresentanza, in funzione della questione trattata. A tale

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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scopo la competenza del comitato aziendale europeo e la portata della proceduraper l’informazione e la consultazione dei lavoratori disciplinata dalla presente di-rettiva sono limitate alle questioni transnazionali.

4. Sono considerate questioni transnazionali quelle riguardanti l’impresa di di-mensioni comunitarie o il gruppo di imprese di dimensioni comunitarie nel lorocomplesso o almeno due imprese o stabilimenti dell’impresa o del gruppo ubicatiin due Stati membri diversi.

5. In deroga al paragrafo 2, allorché un gruppo di imprese di dimensioni comu-nitarie ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), comprenda una o più impreseo gruppi di imprese che hanno dimensioni comunitarie ai sensi dell’articolo 2, pa-ragrafo 1, lettere a) o c), il comitato aziendale europeo viene istituito a livello delgruppo, salvo disposizioni contrarie degli accordi di cui all’articolo 6.

6. Fatto salvo un ambito di applicazione più ampio in virtù degli accordi di cuiall’articolo 6, i poteri e la competenza dei comitati aziendali europei e la portatadelle procedure per l’informazione e la consultazione dei lavoratori, istituiti perrealizzare l’obiettivo indicato nel paragrafo 1, riguardano, nel caso di un’impresa didimensioni comunitarie, tutti gli stabilimenti situati negli Stati membri e, nel casodi un gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, tutte le imprese facenti partedel gruppo, ivi situate.

7. Gli Stati membri possono prevedere che la presente direttiva non si applichial personale navigante della marina mercantile.

Articolo 2Definizioni

1. Ai fini della presente direttiva si intende per:a) «impresa di dimensioni comunitarie», un’impresa che impiega almeno 1.000

lavoratori negli Stati membri e almeno 150 lavoratori per Stato membro in almenodue Stati membri;

b) «gruppo di imprese», un gruppo costituito da una impresa controllante edalle imprese da questa controllate;

c) «gruppo di imprese di dimensioni comunitarie», un gruppo di imprese chesoddisfa le condizioni seguenti:

– il gruppo impiega almeno 1.000 lavoratori negli Stati membri,– almeno due imprese del gruppo si trovano in Stati membri diversi,e– almeno un’impresa del gruppo impiega non meno di 150 lavoratori in uno

Stato membro e almeno un’altra impresa del gruppo impiega non meno di 150 la-voratori in un altro Stato membro;

d) «rappresentanti dei lavoratori», i rappresentanti dei lavoratori ai sensi del di-ritto e/o delle prassi nazionali;

e) «direzione centrale», la direzione centrale dell’impresa di dimensioni comu-nitarie o, nel caso di un gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, dell’impresacontrollante;

f) «informazione», la trasmissione di dati da parte del datore di lavoro ai rappre-sentanti dei lavoratori per consentire a questi ultimi di prendere conoscenza della

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DIRETTIVA 2009/38/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

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questione trattata e di esaminarla. L’informazione avviene nei tempi, secondo mo-dalità e con un contenuto appropriati che consentano ai rappresentanti dei lavo-ratori di procedere a una valutazione approfondita dell’eventuale impatto e di pre-parare, se del caso, la consultazione con l’organo competente dell’impresa di di-mensioni comunitarie o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie;

g) «consultazione», l’instaurazione di un dialogo e lo scambio di opinioni tra irappresentanti dei lavoratori e la direzione centrale o qualsiasi altro livello di dire-zione più appropriato, nei tempi, secondo modalità e con contenuti che consenta-no ai rappresentanti dei lavoratori, sulla base delle informazioni da essi ricevute, diesprimere, entro un termine ragionevole, un parere in merito alle misure propostealle quali la consultazione si riferisce, ferme restando le responsabilità della dire-zione, che può essere tenuto in considerazione all’interno dell’impresa di dimen-sioni comunitarie o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie;

h) «comitato aziendale europeo», un comitato istituito conformemente all’arti-colo 1, paragrafo 2, o alle disposizioni dell’allegato, onde attuare l’informazione ela consultazione dei lavoratori;

i) «delegazione speciale di negoziazione», la delegazione istituita conformementeall’articolo 5, paragrafo 2, per negoziare con la direzione centrale l’istituzione di uncomitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e consultazionedei lavoratori ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2.

2. Ai fini della presente direttiva, le soglie minime prescritte per la dimensionedi forza lavoro si basano sul numero medio di lavoratori, compresi quelli a tempoparziale, impiegati negli ultimi due anni. Il calcolo è effettuato in base alle legisla-zioni e/o alle prassi nazionali.

Articolo 3Definizione della nozione di impresa controllante

1. Ai fini della presente direttiva si intende per impresa controllante un’impresache può esercitare un’influenza dominante su un’altra impresa (impresa controlla-ta), in conseguenza, a titolo esemplificativo, della proprietà, della partecipazionefinanziaria o delle norme che la disciplinano.

2. Si presume la possibilità di esercitare un’influenza dominante, salvo provacontraria, se un’impresa, direttamente o indirettamente nei confronti di un’altraimpresa:

a) detiene la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa;b) dispone della maggioranza dei voti in rapporto alle partecipazioni al capitale

dell’impresa;oppurec) può nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di

direzione o di vigilanza dell’impresa.3. Ai fini dell’applicazione del paragrafo 2, i diritti di voto e di nomina dell’im-

presa controllante comprendono i diritti di qualsiasi altra impresa controllata, non-ché delle persone o degli enti che agiscono in nome proprio, ma per conto dell’im-presa controllante o di un’altra impresa controllata.

4. In deroga ai paragrafi 1 e 2, un’impresa non è considerata come «impresa

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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controllante» rispetto ad un’altra impresa di cui possiede pacchetti azionari, allor-ché si tratti di una società ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, lettere a) o c), del re-golamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al con-trollo delle concentrazioni tra imprese (9).

5. Il semplice fatto che una persona delegata svolga le proprie funzioni, in forzadella legislazione di uno Stato membro in materia di liquidazione, fallimento, in-solvenza, cessazione dei pagamenti, concordato o altra procedura analoga non fapresumere l’influenza dominante.

6. Per determinare se un’impresa sia una impresa controllante si applica la legi-slazione dello Stato membro da cui essa è disciplinata.

Nel caso in cui un’impresa non sia disciplinata dalla legislazione di uno Statomembro, si applica la legislazione dello Stato membro nel cui territorio è situato ilrappresentante dell’impresa o, in assenza di tale rappresentante, quella dello Statomembro sul territorio del quale è situata la direzione centrale dell’impresa delgruppo che impiega il maggior numero di lavoratori.

7. Allorché, in caso di conflitto tra leggi nell’applicazione del paragrafo 2, due opiù imprese di un gruppo rispondono a uno o più criteri stabiliti al medesimo pa-ragrafo 2, l’impresa che soddisfa il criterio fissato alla lettera c) del medesimo èconsiderata impresa controllante, salvo prova che un’altra impresa possa esercitareun’influenza dominante.

Sezione IIIstituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura

per l’informazione e la consultazione dei lavoratori

Articolo 4Responsabilità dell’istituzione di un comitato aziendale europeo

o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori1. La direzione centrale è responsabile della realizzazione delle condizioni e de-

gli strumenti necessari all’istituzione del comitato aziendale europeo o di una pro-cedura per l’informazione e la consultazione, previsti dall’articolo 1, paragrafo 2,per l’impresa o il gruppo di imprese di dimensioni comunitarie.

2. Allorché la direzione centrale non è situata in uno Stato membro, il rappre-sentante della direzione centrale in uno Stato membro, da designare se del caso,assume la responsabilità di cui al paragrafo 1.

In mancanza di detto rappresentante, la responsabilità di cui al paragrafo 1 in-combe alla direzione dello stabilimento o dell’impresa del gruppo che impiega ilmaggior numero di lavoratori in uno Stato membro.

3. Ai fini della presente direttiva, il rappresentante o i rappresentanti o, in man-canza di questi, la direzione di cui al paragrafo 2, secondo comma, sono consideraticome direzione centrale.

4. La direzione di ogni impresa appartenente al gruppo di imprese di dimensio-ni comunitarie, nonché la direzione centrale o la presunta direzione centrale aisensi del secondo comma del paragrafo 2 dell’impresa o del gruppo di imprese didimensioni comunitarie hanno la responsabilità di ottenere e trasmettere alle parti

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interessate dall’applicazione della presente direttiva le informazioni indispensabiliall’avvio dei negoziati di cui all’articolo 5, in particolare quelle concernenti lastruttura dell’impresa o del gruppo e la sua forza lavoro. Questo obbligo riguardain particolare le informazioni relative al numero dei lavoratori di cui all’articolo 2,paragrafo 1, lettere a) e c).

Articolo 5Delegazione speciale di negoziazione

1. Per realizzare l’obiettivo indicato dall’articolo 1, paragrafo 1, la direzionecentrale avvia la negoziazione per l’istituzione di un comitato aziendale europeo odi una procedura per l’informazione e la consultazione, di propria iniziativa o pre-via richiesta scritta di almeno 100 lavoratori, o dei loro rappresentanti, di almenodue imprese o stabilimenti situati in non meno di due Stati membri diversi.

2. A tal fine, è istituita una delegazione speciale di negoziazione secondo i se-guenti orientamenti:

a) gli Stati membri stabiliscono le modalità di elezione o di designazione deimembri della delegazione speciale di negoziazione che devono essere eletti o desi-gnati nel loro territorio.

Gli Stati membri provvedono a che i lavoratori delle imprese e/o degli stabili-menti in cui non esistono rappresentanti dei lavoratori, per motivi indipendentidalla volontà degli stessi, abbiano il diritto di eleggere o di designare i membridella delegazione speciale di negoziazione.

Il secondo comma fa salve le legislazioni e/o prassi nazionali che prevedono li-miti minimi per la costituzione di un organo di rappresentanza dei lavoratori;

b) i membri della delegazione speciale di negoziazione sono eletti o designati inproporzione al numero di lavoratori occupati in ciascuno Stato membro dall’impre-sa o dal gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, assegnando a ciascuno Statomembro un seggio per ogni quota, pari al 10% o sua frazione, del numero dei lavo-ratori impiegati nell’insieme degli Stati membri;

c) la direzione centrale e le direzioni locali, nonché le competenti organizzazionieuropee dei lavoratori e dei datori di lavoro, sono informate della composizionedella delegazione speciale di negoziazione e dell’avvio dei negoziati.

3. La delegazione speciale di negoziazione ha il compito di determinare, con ladirezione centrale e tramite accordo scritto, il campo d’azione, la composizione, leattribuzioni e la durata del mandato del o dei comitati aziendali europei, ovvero lemodalità di attuazione di una procedura per l’informazione e la consultazione deilavoratori.

4. Al fine di concludere un accordo in conformità dell’articolo 6, la direzionecentrale convoca una riunione con la delegazione speciale di negoziazione e ne in-forma di conseguenza le direzioni locali.

Prima e a seguito di ogni riunione con la direzione centrale, la delegazione spe-ciale di negoziazione è legittimata a riunirsi senza la presenza dei rappresentantidella direzione centrale, utilizzando qualsiasi mezzo necessario per comunicare.

Ai fini dei negoziati, la delegazione speciale di negoziazione può chiedere di esse-re assistita da esperti di propria scelta, che possono comprendere rappresentanti

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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delle competenti organizzazioni dei lavoratori riconosciute a livello comunitario. Taliesperti e rappresentanti delle organizzazioni sindacali possono partecipare alle riu-nioni negoziali con funzioni di consulenza su richiesta della suddetta delegazione.

5. La delegazione speciale di negoziazione può decidere, con almeno due terzidei voti, di non avviare negoziati in conformità del paragrafo 4 o di annullare i ne-goziati già in corso.

Tale decisione pone termine alla procedura volta a stipulare l’accordo di cui al-l’articolo 6. Quando è adottata una siffatta decisione, le disposizioni dell’allegato Inon sono applicabili.

Una nuova richiesta di convocazione della delegazione speciale di negoziazionepuò essere avanzata non prima di due anni dopo la decisione di cui sopra, salva lafissazione – da parte degli interessati – di un termine più breve.

6. Le spese relative ai negoziati di cui ai paragrafi 3 e 4 sono sostenute dalla di-rezione centrale, in modo da consentire alla delegazione speciale di negoziazionedi espletare adeguatamente la propria missione.

Nel rispetto di questo principio, gli Stati membri possono fissare norme di bilan-cio per quanto riguarda il finanziamento della delegazione speciale di negoziazio-ne. Possono in particolare limitarsi a sostenere le spese per un solo esperto.

Articolo 6Contenuto dell’accordo

1. La direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazione devono nego-ziare con spirito di cooperazione per raggiungere un accordo sulle modalità di at-tuazione dell’informazione e della consultazione dei lavoratori previste dall’articolo1, paragrafo 1.

2. Fatta salva l’autonomia delle parti, l’accordo previsto dal paragrafo 1 stipulatoin forma scritta tra la direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazionedetermina:

a) le imprese che fanno parte del gruppo di imprese di dimensioni comunitarieo gli stabilimenti dell’impresa di dimensioni comunitarie interessati dall’accordo;

b) la composizione del comitato aziendale europeo, il numero di membri, la di-stribuzione dei seggi, che consenta di tener conto, per quanto possibile, della ne-cessità di una rappresentanza equilibrata dei lavoratori in base alle attività, alle ca-tegorie di lavoratori e al sesso, e la durata del mandato;

c) le attribuzioni e la procedura d’informazione e di consultazione del comitatoaziendale europeo nonché le modalità in cui l’informazione e la consultazione delcomitato aziendale europeo si coordinano con l’informazione e la consultazionedegli organi di rappresentanza nazionali dei lavoratori nel rispetto dei principi dicui all’articolo 1, paragrafo 3;

d) il luogo, la frequenza e la durata delle riunioni del comitato aziendale europeo;e) se del caso, la composizione, le modalità di designazione, le attribuzioni e le mo-

dalità di riunione del comitato ristretto istituito in seno al comitato aziendale europeo;f) le risorse finanziarie e materiali da attribuire al comitato aziendale europeo;g) la data di entrata in vigore dell’accordo e la sua durata, le modalità in base

alle quali è possibile modificare o cessare l’accordo, i casi in cui l’accordo è rinego-

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ziato e la procedura per rinegoziarlo, eventualmente anche nei casi di modificadella struttura dell’impresa di dimensioni comunitarie o del gruppo di imprese didimensioni comunitarie.

3. La direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazione possono deci-dere per iscritto di istituire una o più procedure per l’informazione e la consulta-zione, anziché un comitato aziendale europeo.

L’accordo deve stabilire secondo quali modalità i rappresentanti dei lavoratorihanno il diritto di riunirsi per discutere delle informazioni che sono loro comunicate.

Queste informazioni riguardano segnatamente questioni transnazionali che inci-dono notevolmente sugli interessi dei lavoratori.

4. Gli accordi di cui ai paragrafi 2 e 3 non sono sottoposti, tranne disposizionecontraria ivi prevista, alle prescrizioni accessorie che figurano nell’allegato I.

5. Ai fini della conclusione degli accordi di cui ai paragrafi 2 e 3, la delegazionespeciale di negoziazione delibera a maggioranza dei suoi membri.

Articolo 7Prescrizioni accessorie

1. Al fine di assicurare la realizzazione dell’obiettivo indicato all’articolo 1, para-grafo 1, si applicano le prescrizioni accessorie previste dalla legislazione dello Statomembro in cui si trova la direzione centrale:

– qualora la direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazione decida-no in tal senso,

– qualora la direzione centrale rifiuti l’apertura di negoziati entro sei mesi a de-correre dalla richiesta di cui all’articolo 5, paragrafo 1,

ovvero– qualora – trascorsi tre anni dalla data di tale richiesta – le parti in causa non

siano in grado di stipulare un accordo ai sensi dell’articolo 6 e qualora la delega-zione speciale di negoziazione non abbia preso la decisione prevista all’articolo 5,paragrafo 5.

2. Le prescrizioni accessorie di cui al paragrafo 1, stabilite nella legislazionedello Stato membro, devono soddisfare le disposizioni dell’allegato I.

Sezione IIIDisposizioni varie

Articolo 8Informazioni riservate

1. Gli Stati membri dispongono che i membri della delegazione speciale di ne-goziazione e del comitato aziendale europeo, nonché gli esperti che eventualmenteli assistono, non siano autorizzati a rivelare a terzi le informazioni loro fornite invia riservata.

La stessa disposizione si applica ai rappresentanti dei lavoratori che operanonell’ambito di una procedura per l’informazione e la consultazione.

Tale obbligo sussiste anche al termine del mandato dei soggetti di cui al primo eal secondo comma, a prescindere dal luogo in cui si trovino.

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2. Ciascuno Stato membro dispone che, nei casi specifici e nelle condizioni e li-miti stabiliti dalla legislazione nazionale, la direzione centrale situata nel proprioterritorio non sia obbligata a comunicare informazioni che, secondo criteri obietti-vi, siano di natura tale da creare notevoli difficoltà al funzionamento delle impreseinteressate o da arrecar loro danno.

Lo Stato membro interessato può subordinare tale deroga ad una preventivaautorizzazione amministrativa o giudiziaria.

3. Ciascuno Stato membro può stabilire disposizioni specifiche a favore della di-rezione centrale delle imprese e degli stabilimenti situati nel suo territorio che per-seguano direttamente e fondamentalmente fini di orientamento ideologico in ma-teria di informazione e di espressione di opinioni, a condizione che, alla data diadozione della presente direttiva, tali disposizioni specifiche già esistano nella legi-slazione nazionale.

Articolo 9Funzionamento del comitato aziendale europeo e della procedura

per l’informazione e la consultazione dei lavoratoriLa direzione centrale e il comitato aziendale europeo operano con spirito di coo-

perazione nell’osservanza dei loro diritti e obblighi reciproci.La stessa disposizione vale per la cooperazione tra la direzione centrale e i rap-

presentanti dei lavoratori, nell’ambito della procedura per l’informazione e la con-sultazione dei lavoratori.

Articolo 10Ruolo e protezione dei rappresentanti dei lavoratori

1. Fatte salve le competenze di altri organi od organizzazioni in questa materia, imembri del comitato aziendale europeo dispongono dei mezzi necessari per l’ap-plicazione dei diritti derivanti dalla presente direttiva, per rappresentare colletti-vamente gli interessi dei lavoratori dell’impresa o del gruppo di imprese di dimen-sioni comunitarie.

2. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 8, i membri del comitato aziendaleeuropeo informano i rappresentanti dei lavoratori degli stabilimenti o delle impre-se di un gruppo di imprese di dimensioni comunitarie o, in assenza di rappresen-tanti, l’insieme dei lavoratori riguardo alla sostanza e ai risultati della proceduraper l’informazione e la consultazione attuata a norma della presente direttiva.

3. I membri della delegazione speciale di negoziazione, i membri del comitatoaziendale europeo e i rappresentanti dei lavoratori che svolgono le loro funzioninell’ambito della procedura di cui all’articolo 6, paragrafo 3, godono, nell’eserciziodelle loro funzioni, di una protezione e di garanzie analoghe a quelle previste per irappresentanti dei lavoratori dalla legislazione e/o dalle prassi vigenti nello Stato incui sono impiegati.

Ciò riguarda, in particolare, la partecipazione alle riunioni della delegazionespeciale di negoziazione, del comitato aziendale europeo o a ogni altra riunioneattuata nell’ambito dell’accordo di cui all’articolo 6, paragrafo 3, e il pagamentodella retribuzione per i membri che fanno parte del personale dell’impresa o del

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DIRETTIVA 2009/38/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

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gruppo di imprese di dimensioni comunitarie durante il periodo di assenza neces-sario allo svolgimento delle loro funzioni.

4. Se e in quanto ciò sia necessario all’esercizio delle loro funzioni di rappresen-tanza in un contesto internazionale, i membri della delegazione speciale di nego-ziazione e del comitato aziendale europeo usufruiscono di formazione senza per-dita di retribuzione.

Articolo 11Osservanza della presente direttiva

1. Ciascuno Stato membro assicura che la direzione degli stabilimenti di un’im-presa di dimensioni comunitarie e la direzione delle imprese del gruppo d’impresedi dimensioni comunitarie situati nel suo territorio e i rappresentanti dei lavoratorio eventualmente i lavoratori stessi di tali stabilimenti o imprese rispettino gli obbli-ghi stabiliti dalla presente direttiva, indipendentemente dal fatto che la direzionecentrale sia situata o meno nel suo territorio.

2. Gli Stati membri prevedono misure appropriate in caso di inosservanza delledisposizioni della presente direttiva; in particolare essi assicurano che siano dispo-nibili procedure amministrative o giudiziarie adeguate che permettano di imporreil rispetto degli obblighi derivanti dalla presente direttiva.

3. Quando applicano l’articolo 8, gli Stati membri prevedono procedure ammi-nistrative o giudiziarie di ricorso che i rappresentanti dei lavoratori possono avvia-re qualora la direzione centrale esiga la riservatezza o non fornisca informazioni inconformità del predetto articolo.

Tali procedure possono includere procedure destinate a salvaguardare la riser-vatezza delle informazioni in questione.

Articolo 12Relazioni con altre disposizioni comunitarie e nazionali

1. L’informazione e la consultazione del comitato aziendale europeo sono coor-dinate con quelle degli organi nazionali di rappresentanza dei lavoratori, nel ri-spetto delle competenze e degli ambiti di intervento di ciascuno e dei principi dicui all’articolo 1, paragrafo 3.

2. Le modalità di articolazione tra l’informazione e la consultazione del comitatoaziendale europeo e quella degli organi nazionali di rappresentanza dei lavoratorisono stabilite mediante l’accordo previsto dall’articolo 6. Tale accordo fa salve ledisposizioni del diritto e/o della prassi nazionale in materia di informazione e con-sultazione dei lavoratori.

3. Gli Stati membri dispongono che, qualora tali modalità non siano definitemediante accordo, il processo di informazione e consultazione avvenga nel comi-tato aziendale europeo e negli organi nazionali di rappresentanza dei lavoratori,laddove si prospettino decisioni in grado di determinare modifiche importantidell’organizzazione del lavoro o dei contratti di lavoro.

4. La presente direttiva fa salve le procedure di informazione e consultazione dicui alla direttiva 2002/14/CE, e le procedure specifiche di cui all’articolo 2 della di-rettiva 98/59/CE e all’articolo 7 della direttiva 2001/23/CE.

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

296

5. L’applicazione della presente direttiva non costituisce una ragione sufficientea giustificare un regresso rispetto alla situazione esistente negli Stati membri perquanto attiene al livello generale di protezione dei lavoratori nel settore contem-plato dalla direttiva stessa.

Articolo 13Adeguamento

In caso di modifiche significative della struttura dell’impresa di dimensioni co-munitarie o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, nonché in assenzadi disposizioni negli accordi in vigore oppure in caso di contrasto tra le disposizionidi due o più accordi applicabili, la direzione centrale avvia, di sua iniziativa o su ri-chiesta scritta di almeno 100 lavoratori o dei loro rappresentanti, la negoziazionedi cui all’articolo 5 almeno in due imprese o stabilimenti in almeno due Stati mem-bri diversi.

Oltre ai membri eletti o designati a norma dell’articolo 5, paragrafo 2, sonomembri della delegazione speciale di delegazione almeno tre membri del comitatoaziendale europeo esistente o di ciascuno dei comitati aziendali europei esistenti.

Nel corso dei negoziati il comitato o i comitati aziendali europei esistenti conti-nuano ad operare secondo le modalità adottate dall’accordo tra i membri del co-mitato o dei comitati aziendali europei e la direzione centrale.

Articolo 14Accordi in vigore

1. Fatto salvo l’articolo 13, non sono sottoposte agli obblighi derivanti dalla pre-sente direttiva le imprese di dimensioni comunitarie e i gruppi di imprese di di-mensioni comunitarie in cui:

a) un accordo o più accordi applicabili all’insieme dei lavoratori che prevedeva-no una informazione e una consultazione transnazionale dei lavoratori, sono staticonclusi a norma dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 94/45/CE o dell’ar-ticolo 3, paragrafo 1, della direttiva 97/74/CE, o qualora tali accordi siano adeguatia seguito di modifiche alla struttura delle imprese o gruppi di imprese;

ovverob) un accordo concluso a norma dell’articolo 6 della direttiva 94/45/CE è firmato

o rivisto tra il 5 giugno 2009 e il 5 giugno 2011.La legislazione nazionale applicabile al momento della firma o della revisione

dell’accordo continua a trovare applicazione per le imprese o gruppi di impreserientranti nell’ambito di applicazione di cui al primo comma, lettera b).

2. Allo scadere degli accordi di cui al paragrafo 1, le relative parti possono deci-dere congiuntamente di rinnovarli o di rivederli. In caso contrario, si applicano ledisposizioni della presente direttiva.

Articolo 15Relazione

Entro il 5 giugno 2016, la Commissione presenta al Parlamento europeo, alConsiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione sull’attuazione

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DIRETTIVA 2009/38/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

297

delle disposizioni della presente direttiva, corredata se del caso di appropriateproposte.

Articolo 16Recepimento

1. Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e ammini-strative necessarie per conformarsi all’articolo 1, paragrafi 2, 3 e 4, all’articolo 2,paragrafo 1, lettere f) e g), all’articolo 3, paragrafo 4, all’articolo 4, paragrafo 4,all’articolo 5, paragrafo 2, lettere b) e c), all’articolo 5, paragrafo 4, all’articolo 6,paragrafo 2, lettere b), c), e) e g), e agli articoli 10, 12, 13 e 14 e all’allegato I,punto 1, lettere a), c) e d), e all’allegato I, punti 2 e 3, entro il 5 giugno 2011 o siaccertano che le parti sociali introducano, entro tale data, di comune accordo le di-sposizioni necessarie; gli Stati membri devono adottare tutte le disposizioni neces-sarie che consentano loro, in qualsiasi momento, di garantire i risultati impostidalla presente direttiva.

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un rife-rimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’attodella pubblicazione ufficiale. Esse recano altresì un’indicazione da cui risulti che iriferimenti alla direttiva abrogata dalla presente direttiva, contenuti in disposizionilegislative, regolamentari e amministrative previgenti, devono intendersi come ri-ferimenti fatti alla presente direttiva. Le modalità di tale riferimento, nonché laforma redazionale di tale indicazione, sono decise dagli Stati membri.

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni es-senziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presentedirettiva.

Articolo 17Abrogazione

La direttiva 94/45/CE, come modificata dalle direttive menzionate nell’allegatoII, parte A, è abrogata con effetto dal 6 giugno 2011, fatti salvi gli obblighi degliStati membri relativi ai termini di recepimento nel diritto interno delle direttiveindicati nell’allegato II, parte B.

I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla presente direttiva e sileggono secondo la tavola di concordanza di cui all’allegato III.

Articolo 18Entrata in vigore

La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblica-zione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

L’articolo 1, paragrafi 1, 5, 6 e 7, l’articolo 2, paragrafo 1, lettere da a) ad e), h)e i), l’articolo 2, paragrafo 2, l’articolo 3, paragrafi 1, 2, 3, 5, 6 e 7, l’articolo 4, pa-ragrafi 1, 2 e 3, l’articolo 5, paragrafi 1, 3, 5 e 6, l’articolo 5, paragrafo 2, lettera a),l’articolo 6, paragrafo 1, l’articolo 6, paragrafo 2, lettere a), d) ed f), l’articolo 6, pa-ragrafi 3, 4 e 5, gli articoli 7, 8, 9 e 11 e l’allegato I, punto 1, lettere b), e) ed f), el’allegato I, punti 4, 5 e 6, si applicano a decorrere dal 6 giugno 2011.

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

298

Articolo 19Destinatari

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

Fatto a Strasburgo, addì 6 maggio 2009.

Per il Parlamento europeoIl presidenteH.-G. PÖTTERINGPer il ConsiglioIl presidenteJ. KOHOUT

(1) Parere del 4 dicembre 2008 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).(2) Parere del Parlamento europeo del 16 dicembre 2008 (non ancora pubblicato nella Gazzetta

ufficiale) e decisione del Consiglio del 17 dicembre 2008.(3) GU L 254 del 30.9.1994, pag. 64.(4) GU L 80 del 23.3.2002, pag. 29.(5) GU L 225 del 12.8.1998, pag. 16.(6) GU L 82 del 22.3.2001, pag. 16.(7) Direttiva 97/74/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, che estende al Regno Unito di Gran

Bretagna e Irlanda del Nord la direttiva 94/45/CE riguardante l’istituzione di un comitato azien-dale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle impresee nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (GU L 10 del 16.1.1998, pag. 22).

(8) GU C 321 del 31.12.2003, pag. 1.(9) GU L 24 del 29.1.2004, pag. 1.

Allegato IPrescrizioni accessorie

(di cui all’articolo 7)1. Al fine di realizzare l’obiettivo fissato all’articolo 1, paragrafo 1, e nei casi pre-

visti all’articolo 7, paragrafo 1, è istituito un comitato aziendale europeo, la cuicomposizione e le cui competenze sono disciplinate dalle seguenti norme:

a) le competenze del comitato aziendale europeo sono stabilite a norma dell’arti-colo 1, paragrafo 3.

L’informazione del comitato aziendale europeo riguarda in particolare la strut-tura, la situazione economico-finanziaria, la probabile evoluzione delle attività, laproduzione e le vendite dell’impresa o del gruppo di imprese di dimensioni comu-nitarie. L’informazione e la consultazione del comitato aziendale europeo riguar-dano in particolare la situazione dell’occupazione e la sua probabile evoluzione, gliinvestimenti, le modifiche sostanziali in merito all’organizzazione, l’introduzione dinuovi metodi di lavoro o di nuovi processi produttivi, i trasferimenti di produzione,le fusioni, la riduzione delle dimensioni o la chiusura di imprese, stabilimenti o lo-ro parti importanti e i licenziamenti collettivi.

La consultazione avviene in modo tale da consentire ai rappresentanti dei lavo-ratori di riunirsi con la direzione centrale e ottenere una risposta motivata a ogniloro eventuale parere;

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DIRETTIVA 2009/38/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

299

b) il comitato aziendale europeo è composto da lavoratori dell’impresa o delgruppo di imprese di dimensioni comunitarie eletti o designati al loro internodai rappresentanti dei lavoratori o, in mancanza di questi, dall’insieme dei lavo-ratori.

I membri del comitato aziendale europeo sono eletti o designati conformementealle legislazioni e/o alle prassi nazionali;

c) i membri del comitato aziendale europeo sono eletti o designati in proporzio-ne al numero di lavoratori occupati in ciascuno Stato membro dall’impresa o dalgruppo di imprese di dimensioni comunitarie, assegnando a ciascuno Stato mem-bro un seggio per ogni quota, pari al 10% o sua frazione, del numero dei lavoratoriimpiegati nell’insieme degli Stati membri;

d) per garantire il coordinamento delle sue attività il comitato aziendale europeoelegge al proprio interno un comitato ristretto composto al massimo da cinquemembri, il quale deve beneficiare delle condizioni per esercitare le proprie attivitàregolarmente.

Esso adotta il proprio regolamento interno;e) la direzione centrale e qualsiasi altro livello di direzione più appropriato sono

informati della composizione del comitato aziendale europeo;f) quattro anni dopo la sua istituzione, il comitato aziendale europeo esamina

l’opportunità di riaprire i negoziati per la conclusione dell’accordo di cui all’ar-ticolo 6 oppure di mantenere l’applicazione delle prescrizioni accessorie adottate inconformità del presente allegato.

Qualora si decida di negoziare un accordo in conformità dell’articolo 6, si appli-cano mutatis mutandis gli articoli 6 e 7 e l’espressione «delegazione speciale di ne-goziazione» è sostituita da «comitato aziendale europeo».

2. Il comitato aziendale europeo ha diritto di riunirsi con la direzione centraleuna volta all’anno per essere informato e consultato, in base ad una relazione ela-borata dalla direzione centrale, riguardo all’evoluzione delle attività dell’impresa odel gruppo di imprese di dimensioni comunitarie e delle loro prospettive. Le dire-zioni locali ne sono di conseguenza informate.

3. Qualora si verifichino circostanze eccezionali o intervengano decisioni cheincidano notevolmente sugli interessi dei lavoratori, in particolare nel caso didelocalizzazione, chiusura di imprese o di stabilimenti oppure licenziamenti col-lettivi, il comitato ristretto o, ove non esista, il comitato aziendale europeo ha ildiritto di esserne informato. Il comitato ha il diritto di riunirsi su sua richiesta,con la direzione centrale o qualsiasi altro livello di direzione più appropriato,nell’ambito dell’impresa o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie,avente la competenza di prendere decisioni proprie, per essere informato e con-sultato.

Nel caso di una riunione organizzata con il comitato ristretto hanno diritto dipartecipare i membri del comitato aziendale europeo eletti o designati dagli stabi-limenti e/o dalle imprese direttamente interessati dalle circostanze o dalle decisioniin questione.

Questa riunione di informazione e di consultazione si effettua quanto prima, inbase a una relazione elaborata dalla direzione centrale, o da qualsiasi altro livello di

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

300

direzione appropriato dell’impresa di dimensioni comunitarie o del gruppo di im-prese di dimensioni comunitarie, sulla quale può essere formulato un parere altermine della riunione o entro un periodo ragionevole.

Questa riunione fa salve le prerogative della direzione centrale.In relazione all’informazione e alla consultazione previste nelle circostanze di cui

sopra è fatto salvo quanto disposto dall’articolo 1, paragrafo 2, e dall’articolo 8.4. Gli Stati membri possono prevedere regole per quanto riguarda la presidenza

delle riunioni di informazione e di consultazione.Prima delle riunioni con la direzione centrale il comitato aziendale europeo o il

comitato ad hoc ristretto, eventualmente allargato conformemente al punto 3, se-condo comma, può riunirsi senza che la direzione interessata sia presente.

5. Il comitato aziendale europeo, o il comitato ristretto, può farsi assistere daesperti di propria scelta, nella misura in cui ciò risulti necessario allo svolgimentodei suoi compiti.

6. Le spese di funzionamento del comitato aziendale europeo sono sostenutedalla direzione centrale.

La direzione centrale interessata fornisce ai membri del comitato aziendale eu-ropeo le risorse finanziarie e materiali necessarie a consentire loro di svolgere inmodo adeguato le proprie funzioni.

In particolare, la direzione centrale si fa carico – salvo che non sia stato diversa-mente convenuto – delle spese di organizzazione e di interpretazione delle riunio-ni, nonché delle spese di alloggio e di viaggio dei membri del comitato aziendaleeuropeo e del comitato ristretto.

Nel rispetto di questi principi, gli Stati membri possono fissare la norme di bi-lancio per quanto riguarda il funzionamento del comitato aziendale europeo. Pos-sono in particolare limitarsi a sostenere le spese per un solo esperto.

Allegato IIParte A

Direttiva abrogata e relative modifiche(di cui all’articolo 17)

Direttiva 94/45/CE del Consiglio (GU L 254 del 30.9.1994, pag. 64)Direttiva 97/74/CE del Consiglio (GU L 10 del 16.1.1998, pag. 22)Direttiva 2006/109/CE del Consiglio (GU L 363 del 20.12.2006, pag. 416)

Parte BTermini di recepimento nel diritto interno

(di cui all’articolo 17)Direttiva Termine di recepimento94/45/CE 22.9.199697/74/CE 15.12.19992006/109/CE 1.1.2007

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DIRETTIVA 2009/38/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

301

Allegato IIITavola di concordanza

Direttiva 94/45/CE Presente direttivaArticolo 1, paragrafo 1 Articolo 1, paragrafo 1Articolo 1, paragrafo 2 Articolo 1, paragrafo 2, prima frase– Articolo 1, paragrafo 2, seconda frase– Articolo 1, paragrafi 3 e 4Articolo 1, paragrafo 3 Articolo 1, paragrafo 5Articolo 1, paragrafo 4 Articolo 1, paragrafo 6Articolo 1, paragrafo 5 Articolo 1, paragrafo 7Articolo 2, paragrafo 1, lettere da a) a e) Articolo 2, paragrafo 1, lettere da a) a e)– Articolo 2, paragrafo 1, lettera f)Articolo 2, paragrafo 1, lettera f) Articolo 2, paragrafo 1, lettera g)Articolo 2, paragrafo 1, lettere g) e h) Articolo 2, paragrafo 1, lettere h) e i)Articolo 2, paragrafo 2 Articolo 2, paragrafo 2Articolo 3 Articolo 3Articolo 4, paragrafi 1, 2 e 3 Articolo 4, paragrafi 1, 2 e 3Articolo 11, paragrafo 2 Articolo 4, paragrafo 4Articolo 5, paragrafo 1, e articolo 5, paragrafo2, lettera a)

Articolo 5, paragrafo 1, e articolo 5, paragrafo2, lettera a)

Articolo 5, paragrafo 2, lettere b) e c) Articolo 5, paragrafo 2, lettera b)Articolo 5, paragrafo 2, lettera d) Articolo 5, paragrafo 2, lettera c)Articolo 5, paragrafo 3 Articolo 5, paragrafo 3Articolo 5, paragrafo 4, primo comma Articolo 5, paragrafo 4, primo comma– Articolo 5, paragrafo 4, secondo commaArticolo 5, paragrafo 4, secondo comma Articolo 5, paragrafo 4, terzo commaArticolo 5, paragrafi 5 e 6 Articolo 5, paragrafi 5 e 6Articolo 6, paragrafo 1, e articolo 6, paragrafo2, lettera a)

Articolo 6, paragrafo 1, e articolo 6, paragrafo2, lettera a)

Articolo 6, paragrafo 2, lettera b) Articolo 6, paragrafo 2, lettera b)Articolo 6, paragrafo 2, lettera c) Articolo 6, paragrafo 2, lettera c)Articolo 6, paragrafo 2, lettera d) Articolo 6, paragrafo 2, lettera d)– Articolo 6, paragrafo 2, lettera e)Articolo 6, paragrafo 2, lettera e) Articolo 6, paragrafo 2, lettera f)Articolo 6, paragrafo 2, lettera f) Articolo 6, paragrafo 2, lettera g)Articolo 6, paragrafi 3, 4 e 5 Articolo 6, paragrafi 3, 4 e 5Articolo 7 Articolo 7Articolo 8 Articolo 8Articolo 9 Articolo 9– Articolo 10, paragrafi 1 e 2Articolo 10 Articolo 10, paragrafo 3– Articolo 10, paragrafo 4Articolo 11, paragrafo 1 Articolo 11, paragrafo 1

(segue)

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

302

(segue)Direttiva 94/45/CE Presente direttivaArticolo 11, paragrafo 2 Articolo 4, paragrafo 4Articolo 11, paragrafo 3 Articolo 11, paragrafo 2Articolo 11, paragrafo 4 Articolo 11, paragrafo 3Articolo 12, paragrafi 1 e 2 –– Articolo 12, paragrafi da 1 a 5– Articolo 13Articolo 13, paragrafo 1 Articolo 14, paragrafo 1Articolo 13, paragrafo 2 Articolo 14, paragrafo 2– Articolo 15Articolo 14 Articolo 16– Articolo 17– Articolo 18Articolo 16 Articolo 19Allegato Allegato IPunto 1, frase introduttiva Punto 1, frase introduttivaPunto 1, lettera a (parzialmente), e punto 2,secondo comma (parzialmente)

Punto 1, lettera a) (parzialmente)

Punto 1, lettera b) Punto 1, lettera b)Punto 1, lettera c) (parzialmente), e punto 1,lettera d)

Punto 1, lettera c)

Punto 1, lettera c) (parzialmente) Punto 1, lettera d)Punto 1, lettera e) Punto 1, lettera e)Punto 1, lettera f) Punto 1, lettera f)Punto 2, primo comma Punto 2Punto 3 Punto 3Punto 4 Punto 4Punto 5 –Punto 6 Punto 5Punto 7 Punto 6– Allegati II e III

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303

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;Vista la legge 15 dicembre 2011, n. 217, recante disposizioni per l’adempimento

di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Leggecomunitaria 2010 – e, in particolare, l’articolo 21, recante delega al Governo perl’attuazione, fra le altre, della direttiva 2009/38/CE, relativa al comitato aziendaleeuropeo, nonché l’articolo 24 che, nell’esercizio delle deleghe, richiama l’applica-zione, in quanto compatibili, degli articoli 1 e 2 della legge 4 giugno 2010, n. 96,recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenzadell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2010;

Vista la direttiva n. 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6maggio 2009, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di unaprocedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e neigruppi di imprese di dimensioni comunitarie (rifusione);

Vista la direttiva n. 94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, riguardantel’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazio-ne e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di di-mensioni comunitarie, abrogata dall’articolo 17 della direttiva n. 2009/38/CE;

Visto il decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74, recante attuazione della direttivadel Consiglio del 22 settembre 1994, n. 94/45/CE, relativa all’istituzione di un co-mitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazionedei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie;

Visto l’avviso comune sottoscritto in data 12 aprile 2011 tra le parti sociali ai finidel recepimento della predetta direttiva, anche ai sensi dell’articolo 2, comma 1,lettera g), della legge 4 giugno 2010, n. 96;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riu-nione del 6 aprile 2012;

Sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratorie dei datori di lavoro;

Acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, leregioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, espresso nella seduta del10 maggio 2012;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e delSenato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 7giugno 2012;

Decreto legislativo 22 giugno 2012, n. 113

Attuazione della direttiva 2009/38/CE riguardante l’istituzione di un comitatoaziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei

lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie.G.U. 27 luglio 2012, n. 174

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

304

Sulla proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro del lavoro edelle politiche sociali, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia edell’economia e delle finanze;

EMANA

il seguente decreto legislativo:

Titolo IDisposizioni generali

Art. 1Oggetto

1. Il presente decreto legislativo è inteso a migliorare il diritto all’informazione ealla consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimen-sioni comunitarie.

2. È istituito un Comitato aziendale europeo (di seguito denominato: Cae) o unaprocedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori in ogni impresa o inciascun gruppo di imprese di dimensioni comunitarie in cui ciò sia richiesto secon-do la procedura prevista dagli articoli 5 e seguenti, al fine di informare e consultarei lavoratori nei termini, con le modalità e con gli effetti previsti dal presente de-creto. Le modalità di informazione e consultazione sono definite e attuate in mododa garantirne l’efficacia e consentire un processo decisionale efficace nell’impresa onel gruppo di imprese.

3. In deroga a quanto previsto dal comma 2, allorché un gruppo di imprese didimensioni comunitarie ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera d), comprendauna o più imprese o gruppi di imprese che hanno dimensioni comunitarie ai sensidell’articolo 2, comma 1, lettere b) o d), il Cae viene istituito a livello del gruppo,salvo disposizioni contrarie degli accordi di cui all’articolo 9.

4. Fatto salvo un campo di applicazione più ampio in virtù degli accordi di cuiall’articolo 9, i poteri e le competenze dei Cae e la portata delle procedure perl’informazione e la consultazione dei lavoratori, istituiti per realizzare l’obiettivoindicato nel comma 1, riguardano, nel caso di un’impresa di dimensioni comunita-rie, tutti gli stabilimenti situati negli Stati membri e, nel caso di un gruppo di im-prese di dimensioni comunitarie, tutte le imprese facenti parte del gruppo, ivi si-tuate, secondo le definizioni di cui all’articolo 2.

5. Il presente decreto non si applica al personale navigante della marina mer-cantile.

6. L’informazione e la consultazione dei lavoratori avvengono al livello perti-nente di direzione e di rappresentanza, in funzione della questione trattata. A talescopo la competenza del Cae e la portata della procedura per l’informazione e laconsultazione dei lavoratori disciplinata dal presente decreto legislativo sono limi-tate alle questioni transnazionali.

7. Sono considerate questioni transnazionali quelle riguardanti l’impresa di di-mensioni comunitarie o il gruppo di imprese di dimensioni comunitarie nel loro

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DECRETO LEGISLATIVO 22 GIUGNO 2012, N. 113

305

complesso o almeno due imprese o stabilimenti dell’impresa o del gruppo ubicatiin due Stati membri diversi.

Art. 2Definizioni

1. Ai fini del presente decreto si intende per:a) stabilimento, l’unità produttiva;b) impresa di dimensioni comunitarie, un’impresa che impiega almeno 1.000 la-

voratori negli Stati membri e almeno 150 lavoratori per Stato membro in almenodue Stati membri;

c) gruppo di imprese, un gruppo costituito da una impresa controllante e dalleimprese da questa controllate;

d) gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, un gruppo di imprese chesoddisfa le condizioni seguenti:

1) il gruppo impiega almeno 1.000 lavoratori negli Stati membri;2) almeno due imprese del gruppo si trovano in Stati membri diversi;3) almeno un’impresa del gruppo impiega non meno di 150 lavoratori in uno

Stato membro e almeno un’altra impresa del gruppo impiega non meno di 150 la-voratori in un altro Stato membro;

e) rappresentanti dei lavoratori, i rappresentanti dei lavoratori ai sensi delle leg-gi e degli accordi collettivi vigenti;

f) direzione centrale, la direzione centrale dell’impresa di dimensioni comunita-rie o, nel caso di un gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, dell’impresacontrollante o il dirigente cui, in entrambi i casi, siano state delegate, a norma del-l’articolo 4, le relative attribuzioni e competenze;

g) informazione, la trasmissione di dati da parte del datore di lavoro ai rappre-sentanti dei lavoratori per consentire a questi ultimi di prendere conoscenza dellaquestione trattata e di esaminarla. L’informazione avviene nei tempi, secondo mo-dalità e con un contenuto appropriati che consentano ai rappresentanti dei lavo-ratori di procedere a una valutazione approfondita dell’eventuale impatto e di pre-parare, se del caso, la consultazione con l’organo competente dell’impresa di di-mensioni comunitarie o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie;

h) consultazione, l’instaurazione di un dialogo e lo scambio di opinioni tra i rap-presentanti dei lavoratori e la direzione centrale o qualsiasi altro livello di direzio-ne più appropriato, nei tempi, secondo modalità e con contenuti che consentano airappresentanti dei lavoratori, sulla base delle informazioni da essi ricevute, diesprimere, entro un termine ragionevole, un parere in merito alle misure propostealle quali la consultazione si riferisce, ferme restando le responsabilità della dire-zione, che può essere tenuto in considerazione all’interno dell’impresa di dimen-sioni comunitarie o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie;

i) comitato aziendale europeo, il comitato istituito conformemente all’articolo 1,comma 2, all’articolo 9, comma 2, lettera b), e comma 6, o alle disposizioni dell’ar-ticolo 16, e costituito da dipendenti dall’impresa o dal gruppo di imprese di di-mensioni comunitarie di cui all’articolo 9, comma 2, lettera a), onde attuare l’infor-mazione e la consultazione dei lavoratori;

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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l) delegazione speciale di negoziazione, la delegazione istituita conformementeall’articolo 6, per negoziare con la direzione centrale l’istituzione di un Cae ovverodi una procedura per l’informazione e consultazione dei lavoratori ai sensi dell’ar-ticolo 1, comma 2.

2. Ai fini del presente decreto, le soglie minime prescritte per il computo dei di-pendenti si basano sul numero medio ponderato mensile di lavoratori impiegatinegli ultimi due anni. I lavoratori a tempo parziale sono computati proporzional-mente all’attività svolta ai sensi dell’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 25febbraio 2000, n. 61, come modificato dal decreto legislativo 26 febbraio 2001, n.100. Sono esclusi dal computo i lavoratori in prova e a domicilio.

Art. 3Definizione della nozione di impresa controllante

1. Ai soli fini del presente decreto si intende per «impresa controllante» un’im-presa che può esercitare un’influenza dominante su un’altra impresa, denominata«impresa controllata».

2. Si presume la possibilità di esercitare un’influenza dominante, salvo provacontraria, se un’impresa direttamente o indirettamente nei confronti di un’altraimpresa:

a) detiene la maggioranza del capitale sottoscritto dall’impresa;b) dispone della maggioranza dei voti in rapporto alle partecipazioni al capitale

dell’impresa; oppurec) può nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di

direzione o di vigilanza dell’impresa.3. Ai fini dell’applicazione del comma 2, i diritti di voto e di nomina dell’impre-

sa controllante comprendono i diritti di qualsiasi altra impresa controllata, nonchédelle persone o degli enti che agiscono a nome proprio, ma per conto dell’impresacontrollante o di un’altra impresa controllata.

4. In deroga a quanto previsto ai commi 1 e 2, un’impresa non è considerata«impresa controllante» rispetto a un’altra impresa di cui possiede pacchetti azionarinei seguenti casi:

a) quando un soggetto che svolge attività bancaria, assicurativa o finanziaria inmodo professionale, compresa la negoziazione di valori mobiliari per conto pro-prio o di terzi, detiene temporaneamente, a qualsiasi titolo, partecipazioni al capi-tale di un’impresa, purché non eserciti i diritti di voto inerenti alle partecipazionistesse, ovvero purché eserciti i predetti diritti soltanto per favorire la vendita dellepartecipazioni stesse, dell’impresa nel suo complesso o delle sue attività, di suoirami, o di elementi del suo patrimonio.

La vendita deve avvenire entro un anno dalla data della registrazione della par-tecipazione sul libro dei soci della società in cui ha acquisito una partecipazione oentro un periodo maggiore stabilito dal Ministro dell’economia e delle finanze o daaltre autorità competenti;

b) quando una società di partecipazione finanziaria acquisisce, direttamente oindirettamente, il controllo di un’impresa, sia tramite acquisto di partecipazioni delcapitale, sia tramite qualsiasi altro mezzo, purché i diritti di voto inerenti alle par-

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tecipazioni detenute siano esercitati, tramite la nomina di membri del consiglio diamministrazione e del collegio sindacale, o di organi equivalenti, dell’impresa dicui essa detiene partecipazioni, unicamente per salvaguardare il pieno valore di taliinvestimenti. Ai fini della presente lettera, per società di partecipazione finanziariasi intendono le società la cui attività prevalente consiste nell’acquisizione di parte-cipazioni in altre imprese, nonché nella gestione e valorizzazione di tali partecipa-zioni.

5. La presunzione dell’esercizio dell’influenza dominante non opera nei con-fronti dei soggetti sottoposti alle procedure concorsuali.

6. Per determinare se un’impresa sia un’«impresa controllante», si applica la le-gislazione dello Stato membro in cui è situata la direzione centrale o il dirigente cuisiano state delegate, ai sensi dell’articolo 4, le relative attribuzioni e competenze.Nel caso in cui la direzione centrale o il dirigente cui siano state delegate, ai sensidell’articolo 4, le relative attribuzioni e competenze non siano situati nel territoriodi uno Stato membro, si applica la legislazione dello Stato membro nel cui territo-rio è situato il rappresentante dell’impresa o, in assenza di tale rappresentante,dello Stato membro nel cui territorio è situata la direzione centrale dell’impresa delgruppo che impiega il maggior numero di lavoratori.

7. Qualora in caso di conflitto di leggi nell’applicazione dei criteri di cui alcomma 2, due o più imprese di un gruppo rispondano a uno o più dei criteri di cuial predetto comma 2, l’impresa che soddisfa il criterio fissato alla lettera c) del me-desimo comma, è considerata impresa controllante, salvo prova che un’altra impre-sa possa esercitare un’influenza dominante.

Titolo IIIstituzione di un comitato aziendale europeo ovvero di una procedura

per l’informazione e la consultazione dei lavoratori

Art. 4Responsabilità dell’istituzione di un comitato aziendale europeo ovvero

di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori1. La direzione centrale o il dirigente cui siano state delegate le relative attribu-

zioni e competenze è responsabile della realizzazione delle condizioni e degli stru-menti necessari all’istituzione del Cae ovvero di una procedura per l’informazionee la consultazione, previsti dall’articolo 1, comma 2, per l’impresa o il gruppo diimprese di dimensioni comunitarie.

2. Se la direzione centrale non è situata nel territorio di uno Stato membro, ilrappresentante della direzione centrale in uno Stato membro, espressamente desi-gnato dalla direzione stessa, assume la responsabilità di cui al comma 1. In man-canza di detto rappresentante, la responsabilità di cui al comma 1 ricade sulla dire-zione dello stabilimento o dell’impresa del gruppo che impiega il maggior numerodi lavoratori in uno Stato membro.

3. Ai fini del presente decreto il rappresentante o i rappresentanti o, in mancan-za di questi, la direzione di cui al comma 2, secondo periodo, sono considerati co-me direzione centrale.

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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4. La direzione di ogni impresa appartenente al gruppo di imprese di dimensio-ni comunitarie, nonché la direzione centrale o la presunta direzione centrale aisensi del secondo periodo del comma 2 dell’impresa o del gruppo di imprese didimensioni comunitarie ovvero il dirigente cui sono state delegate le relative attri-buzioni e competenze, hanno la responsabilità di ottenere e trasmettere alle partiinteressate dall’applicazione del presente decreto le informazioni indispensabiliall’avvio dei negoziati di cui all’articolo 5 e seguenti, in particolare quelle concer-nenti la struttura dell’impresa o del gruppo e la sua forza lavoro. Questo obbligoriguarda in particolare le informazioni relative al numero dei lavoratori di cuiall’articolo 2, comma 1, lettere b) e d).

Art. 5Delegazione speciale di negoziazione

1. Per realizzare l’obiettivo indicato dall’articolo 1, comma 1, la direzione cen-trale avvia la negoziazione per l’istituzione di un Cae o di una procedura per l’in-formazione e la consultazione, di propria iniziativa o previa richiesta scritta di al-meno 100 lavoratori, o dei loro rappresentanti, di almeno due imprese o stabili-menti situati in non meno di due Stati membri diversi o previa richiesta delle orga-nizzazioni sindacali che abbiano stipulato il contratto collettivo nazionale applicatonell’impresa o nel gruppo di imprese interessate.

2. La richiesta di cui al comma 1 deve essere indirizzata, anche disgiuntamente,alla direzione centrale ovvero, qualora preventivamente designato, al dirigente dicui all’articolo 4, comma 1, ovvero alla direzione dello stabilimento o dell’impresadel gruppo che impiega il maggior numero di lavoratori in uno Stato membro.

Art. 6Modalità di formazione della delegazione speciale di negoziazione

1. Per realizzare l’obiettivo indicato dall’articolo 1, comma 1, è istituita una de-legazione speciale di negoziazione.

2. I membri della delegazione sono designati dalle organizzazioni sindacali dicui all’articolo 5, comma 1, congiuntamente con le rappresentanze sindacali unita-rie dell’impresa o del gruppo di imprese.

3. Ove in uno stabilimento o in un’impresa manchi una preesistente forma dirappresentanza sindacale le organizzazioni sindacali di cui all’articolo 5, comma 1,convengono con la direzione di cui all’articolo 4 le modalità di concorso dei lavo-ratori di detto stabilimento o detta impresa alla designazione dei rappresentantidella delegazione.

4. Le procedure indicate nel presente articolo si applicano a tutte le elezioni ov-vero designazioni che si svolgono in Italia.

Art. 7Costituzione della delegazione speciale di negoziazione

1. I membri della delegazione speciale di negoziazione sono designati in pro-porzione al numero di lavoratori occupati in ciascuno Stato membro dall’impresa odal gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, assegnando a ciascuno Stato

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membro un seggio per ogni quota, pari al 10 per cento o sua frazione, del numerodei lavoratori impiegati nell’insieme degli Stati membri.

2. La direzione centrale o il dirigente di cui all’articolo 4, comma 1, e le direzio-ni locali, sono informate della composizione della delegazione speciale di negozia-zione e dell’avvio dei negoziati dalle organizzazioni sindacali di cui all’articolo 5,comma 1. La direzione centrale o il dirigente di cui all’articolo 4, comma 1, infor-mano della composizione della delegazione speciale di negoziazione e dell’avviodei negoziati le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori competenti a li-vello europeo.

Art. 8Compiti della delegazione speciale di negoziazione

1. La delegazione speciale di negoziazione ha il compito di determinare, con ladirezione centrale o con il dirigente di cui all’articolo 4, comma 1, e tramite accor-do scritto, il campo d’azione, la composizione, le attribuzioni e la durata del man-dato del Cae, ovvero le modalità di attuazione della procedura per l’informazione ela consultazione dei lavoratori.

2. Al fine di concludere un accordo in conformità all’articolo 9, la direzionecentrale convoca una riunione con la delegazione speciale di negoziazione e ne in-forma le direzioni locali.

3. Prima e a seguito di ogni riunione con la direzione centrale, la delegazionespeciale di negoziazione può riunirsi senza la presenza dei rappresentanti della di-rezione centrale, utilizzando qualsiasi mezzo necessario per comunicare.

4. Ai fini dei negoziati, la delegazione speciale di negoziazione può essere assi-stita da esperti di propria scelta, compresi i rappresentanti delle competenti orga-nizzazioni dei lavoratori riconosciute a livello comunitario. Tali esperti e rappre-sentanti delle organizzazioni sindacali possono partecipare alle riunioni negozialicon funzioni di consulenza su richiesta della suddetta delegazione.

5. La delegazione speciale di negoziazione può decidere, con almeno due terzidei voti, di non avviare negoziati in conformità ai commi 2 e 3 o di annullare i ne-goziati già in corso.

6. La decisione di cui al comma 5 pone termine alla procedura volta a stipularel’accordo di cui all’articolo 9. Per effetto della decisione, le disposizioni dell’articolo16 non sono applicabili.

7. Una nuova richiesta di convocazione della delegazione speciale di negoziazio-ne può essere avanzata non prima di due anni dopo la decisione di cui al comma 5,salva la fissazione di un termine più breve con accordo tra le parti.

8. Le spese relative ai negoziati di cui ai commi 1 e 2 sono sostenute dalla dire-zione centrale, in modo da consentire alla delegazione speciale di negoziazione diespletare adeguatamente il proprio mandato e comunque in misura e termini nonsuperiori a quanto disposto all’articolo 16, comma 12, salvo diverso accordo tra leparti.

9. Nel rispetto di quanto previsto al comma 8, la direzione centrale sostiene lespese relative agli esperti. Salvo diverso accordo fra le parti, la direzione centralesosterrà le spese per un solo esperto.

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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Art. 9Contenuto dell’accordo

1. La direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazione devono nego-ziare con spirito di cooperazione sulle modalità di attuazione dell’informazione edella consultazione dei lavoratori previste dall’articolo 1, comma 1.

2. Fatta salva l’autonomia delle parti, l’accordo previsto dal comma 1, stipulatoin forma scritta tra la direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazione,determina:

a) le imprese che fanno parte del gruppo di imprese di dimensioni comunitarieo gli stabilimenti dell’impresa di dimensioni comunitarie interessati dall’accordo,secondo le definizioni di cui all’articolo 2;

b) la composizione del Cae, il numero di membri, la distribuzione dei seggi, checonsenta di tener conto, per quanto possibile, della necessità di una rappresentanzaequilibrata dei lavoratori in base alle attività, alle categorie di lavoratori e al sesso, ela durata del mandato;

c) le competenze e le materie della procedura d’informazione e consultazionedel Cae, nonché le modalità in cui l’informazione e la consultazione del Cae si coor-dinano con l’informazione e la consultazione degli organi di rappresentanza nazio-nali dei lavoratori nel rispetto dei principi di cui all’articolo 1, comma 6;

d) il luogo, la frequenza e la durata delle riunioni del Cae;e) le risorse finanziarie e materiali da attribuire al Cae, ivi comprese le spese di

un adeguato servizio di interpretariato;f) la data di entrata in vigore dell’accordo e la sua durata, le modalità in base alle

quali è possibile modificare o cessare l’accordo, i casi in cui l’accordo è rinegoziatoe la procedura per rinegoziarlo, eventualmente anche nei casi di modifica dellastruttura dell’impresa di dimensioni comunitarie o del gruppo di imprese di di-mensioni comunitarie;

g) il contenuto dell’informazione e della consultazione;h) se del caso, la composizione, le modalità di designazione, le attribuzioni e le

modalità di riunione del comitato ristretto istituito in seno al Cae.3. La direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazione possono decide-

re per iscritto di istituire una o più procedure per l’informazione e la consultazione inaggiunta o in alternativa al Cae. L’accordo deve stabilire secondo quali modalità irappresentanti dei lavoratori esercitano il diritto di riunirsi per discutere anche delleinformazioni che sono loro comunicate. In particolare, queste informazioni riguarda-no questioni transnazionali che incidono notevolmente sugli interessi dei lavoratori.

4. Gli accordi di cui al presente articolo non sono sottoposti, tranne disposizionecontraria contenuta negli stessi, alle prescrizioni accessorie previste dall’articolo 16.

5. Ai fini della conclusione degli accordi, la delegazione speciale di negoziazionedelibera a maggioranza dei suoi membri.

6. I componenti italiani del Cae o i titolari della procedura di informazione econsultazione sono designati per un terzo dalle organizzazioni sindacali di cui al-l’articolo 5, comma 1, e per due terzi dalle rappresentanze sindacali unitarie del-l’impresa ovvero del gruppo di imprese nell’ambito delle medesime rappresentan-ze, tenendo conto della composizione categoriale (quadri, impiegati e operai).

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7. Negli stabilimenti, nelle imprese e nei gruppi di imprese nei quali non sianocostituite rappresentanze sindacali unitarie, la direzione e le parti stipulanti i con-tratti collettivi nazionali di lavoro applicati agli stessi definiscono procedure, criterie modalità di costituzione della delegazione speciale di negoziazione e del Cae ov-vero dei titolari della procedura di informazione e consultazione, in conformità aquelli definiti rispettivamente all’articolo 6, comma 2, e 9, comma 6, del presentedecreto.

Art. 10Informazioni riservate

1. I membri della delegazione speciale di negoziazione e del Cae, nonché gliesperti che eventualmente li assistono e i rappresentanti dei lavoratori che operanonell’ambito di una procedura per l’informazione e la consultazione, non possonorivelare a terzi notizie ricevute in via riservata e qualificate come tali dalla direzionecentrale o dal dirigente di cui all’articolo 4, comma 1. Tale divieto permane per unperiodo di tre anni successivo alla scadenza del termine previsto dal mandato deisoggetti di cui al primo periodo del presente comma, a prescindere dal luogo in cuisi trovino.

2. La direzione centrale o il dirigente di cui all’articolo 4, comma 1, possono le-gittimamente rifiutarsi di comunicare le informazioni richieste solo laddove esse,sulla base di criteri obiettivi, siano di natura tale da creare notevoli difficoltà al fun-zionamento o all’attività esercitata dalle imprese interessate o da arrecare lorodanno ovvero da realizzare turbativa dei mercati.

Art. 11Funzionamento del Comitato aziendale europeo ovvero della procedura

per l’informazione e la consultazione dei lavoratori1. La direzione centrale o il dirigente di cui all’articolo 4, comma 1, e il Cae ope-

rano con spirito di cooperazione nell’osservanza dei loro diritti e obblighi reciproci.2. Il comma 1 si applica anche per la cooperazione tra la direzione centrale o il

dirigente di cui all’articolo 4, comma 1, e i rappresentanti dei lavoratori, nell’am-bito della procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori.

Art. 12Tutela e ruolo dei rappresentanti dei lavoratori

1. I membri del Cae dispongono, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera e), deimezzi necessari per l’applicazione dei diritti derivanti dal presente decreto legislativo,per rappresentare collettivamente gli interessi dei lavoratori dell’impresa o del grup-po di imprese di dimensioni comunitarie. Inoltre, i membri della delegazione spe-ciale di negoziazione, dipendenti dall’impresa o dal gruppo di imprese di dimensionicomunitarie, i membri del Cae, nonché i rappresentanti dei lavoratori che operanonell’ambito della procedura per l’informazione e la consultazione, hanno diritto, sedipendenti dalla sede italiana, per l’espletamento del loro mandato, a permessi retri-buiti, in misura non inferiore a otto ore trimestrali, consensualmente assorbibili fino aconcorrenza in caso di accordi che abbiano stabilito condizioni di miglior favore ri-

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spetto a quanto previsto dalla legge vigente. Agli stessi si applicano altresì le disposi-zioni contenute negli articoli 22 e 24 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

2. In considerazione della durata prevedibile degli incontri, dell’oggetto e delluogo delle riunioni, l’accordo di cui all’articolo 9 può prevedere ulteriori otto oreannuali.

3. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 10, i membri del Cae informano irappresentanti dei lavoratori degli stabilimenti o delle imprese di un gruppo diimprese di dimensioni comunitarie o, in assenza di rappresentanti, l’insieme dei la-voratori riguardo alla sostanza e ai risultati della procedura per l’informazione e laconsultazione attuata a norma del presente decreto legislativo.

4. Se e in quanto ciò sia necessario all’esercizio delle loro funzioni di rappresen-tanza in un contesto internazionale, i membri della delegazione speciale di nego-ziazione e del Cae usufruiscono di formazione senza perdita di retribuzione. I con-tenuti della formazione, considerando gli accordi in atto, sono decisi congiunta-mente tra direzione centrale ed il comitato ristretto o, ove non esistente, il Cae.

Art. 13Rapporti con altre disposizioni comunitarie e nazionali

1. L’informazione e la consultazione del Cae sono coordinate con quelle degliorgani nazionali di rappresentanza dei lavoratori, nel rispetto delle competenze edegli ambiti di intervento di ciascuno e dei principi di cui all’articolo 1, comma 6.

2. Le modalità di articolazione tra l’informazione e la consultazione del Cae equella degli organi nazionali di rappresentanza dei lavoratori sono stabilite me-diante l’accordo previsto dall’articolo 9. Tale accordo fa salve le disposizioni del di-ritto e/o della prassi nazionale in materia di informazione e consultazione dei lavo-ratori.

3. Qualora tali modalità non siano definite mediante l’accordo di cui all’articolo9, e si prospettino decisioni in grado di determinare modifiche importanti del-l’organizzazione del lavoro e dei contratti di lavoro, le procedure di informazione econsultazione devono avere luogo in modo coordinato nel Cae e negli organi na-zionali di rappresentanza dei lavoratori.

4. Il presente decreto fa salve le norme di cui all’articolo 47 della legge 29 di-cembre 1990, n. 428, e all’articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, nonché idiritti di informazione e consultazione regolati dalla legge nonché dai contratticollettivi e dagli accordi vigenti anche in attuazione del decreto legislativo 6 feb-braio 2007, n. 25.

5. L’applicazione del presente decreto legislativo non costituisce una ragionesufficiente a giustificare un regresso rispetto alla situazione esistente per quanto at-tiene al livello generale di protezione dei lavoratori nell’ambito disciplinato dal de-creto stesso.

Art. 14Adeguamento

1. In caso di modifiche significative della struttura dell’impresa di dimensionicomunitarie o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, e in assenza di di-

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sposizioni negli accordi in vigore oppure in caso di contrasto tra le disposizioni didue o più accordi applicabili, la direzione centrale o il dirigente di cui all’articolo 4,comma 1, avvia, di sua iniziativa o su richiesta scritta di almeno 100 lavoratori o deiloro rappresentanti, la negoziazione di cui all’articolo 5 e seguenti, in almeno dueimprese o stabilimenti in almeno due Stati membri diversi.

2. Oltre ai membri designati a norma degli articoli 6 e 7 sono membri della de-legazione speciale di delegazione almeno tre membri del Cae esistente o di ciascu-no dei comitati aziendali europei esistenti.

3. Nel corso dei negoziati il Cae o i Cae esistenti continuano ad operare secondole modalità adottate dall’accordo tra i membri del Cae o dei Cae e la direzionecentrale.

Art. 15Accordi in vigore

1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 14, non sono sottoposte agli obblighiderivanti dal presente decreto, le imprese di dimensioni comunitarie e i gruppi diimprese di dimensioni comunitarie in cui:

a) un accordo o più accordi applicabili all’insieme dei lavoratori che prevedeva-no una informazione e una consultazione transnazionale dei lavoratori, sono staticonclusi entro il 22 settembre 1996, con le organizzazioni sindacali di cui all’ar-ticolo 5, comma 1, e, se scaduti, sono stati prorogati o qualora tali accordi sianoadeguati in relazione a modifiche alla struttura delle imprese o gruppi di imprese;ovvero

b) un accordo concluso a norma dell’articolo 6 della direttiva 94/45/CE è firmatoo rivisto tra il 5 giugno 2009 e il 5 giugno 2011.

2. La disciplina applicabile al momento della firma o della revisione dell’accordocontinua a trovare applicazione per le imprese o gruppi di imprese rientranti nel-l’ambito di applicazione di cui al comma 1, lettera b).

3. Allo scadere degli accordi di cui ai commi 1 e 2, le relative parti possono deci-dere congiuntamente di rinnovarli o di rivederli. In caso contrario, si applicano ledisposizioni del presente decreto legislativo.

Art. 16Prescrizioni accessorie

1. Al fine di assicurare la realizzazione dell’obiettivo indicato dall’articolo 1,comma 1, si applicano le prescrizioni accessorie di cui al presente articolo, qualorala direzione centrale e la delegazione speciale di negoziazione decidano in tal sen-so, ovvero qualora la direzione centrale rifiuti l’apertura di negoziati in un periododi sei mesi a decorrere dalla richiesta di cui all’articolo 5, comma 1, ovvero qualora,entro tre anni a decorrere da tale richiesta, le parti in causa non siano in grado distipulare un accordo ai sensi dell’articolo 9 e qualora la delegazione speciale di ne-goziazione non abbia preso la decisione prevista dall’articolo 8, comma 5.

2. Le competenze del Cae sono stabilite a norma dell’articolo 1, comma 6. L’in-formazione del Cae riguarda in particolare la struttura, la situazione economico-finanziaria, la probabile evoluzione delle attività, la produzione e le vendite dell’im-

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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presa o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie. L’informazione e la con-sultazione del Cae riguardano in particolare la situazione dell’occupazione e la suaprobabile evoluzione, gli investimenti, le modifiche sostanziali in merito all’orga-nizzazione, l’introduzione dei nuovi metodi di lavoro o di nuovi processi produttivi,i trasferimenti di produzione, le fusioni, la riduzione delle dimensioni o la chiusuradi imprese, stabilimenti o loro parti importanti e i licenziamenti collettivi. La con-sultazione avviene in modo tale da consentire ai rappresentanti dei lavoratori diriunirsi con la direzione centrale e di ottenere una risposta motivata ad ogni loroeventuale parere. Alla procedura di informazione e consultazione si applica il di-sposto degli articoli 1, comma 2 e 10.

3. Il Cae è composto per l’Italia ai sensi dell’articolo 9, commi 6 e 7.4. I membri del Cae sono designati in proporzione al numero di lavoratori oc-

cupati in ciascuno Stato membro dall’impresa o dal gruppo di imprese di dimen-sioni comunitarie, assegnando a ciascuno Stato membro un seggio per ogni quotapari al 10% o sua frazione del numero dei lavoratori impiegati nell’insieme degliStati membri.

5. Per garantire il coordinamento delle sue attività il Cae elegge al proprio in-terno un comitato ristretto composto al massimo da cinque membri, il quale devebeneficiare delle condizioni per esercitare le proprie attività regolarmente. Essoadotta un regolamento interno.

6. La direzione centrale o il dirigente di cui all’articolo 4, comma 1, sono infor-mati della composizione del Cae su comunicazione delle organizzazioni sindacali dicui all’articolo 6, comma 2.

7. Il Cae ha diritto di riunirsi una volta all’anno con la direzione centrale o il di-rigente di cui all’articolo 4, comma 1, in conformità all’articolo 12, per essere in-formato o consultato, in base a una relazione elaborata dalla direzione centrale, ri-guardo all’evoluzione delle attività dell’impresa o del gruppo di imprese di dimen-sioni comunitarie e delle loro prospettive. Le direzioni locali ne sono informate.

8. Qualora si verifichino circostanze eccezionali o intervengano decisioni che in-cidano notevolmente sugli interessi dei lavoratori, in particolare nel caso di deloca-lizzazione, chiusura di imprese o di stabilimenti, oppure licenziamenti collettivi, ilcomitato ristretto o, ove non esista, il Cae ha il diritto di esserne informato. Il co-mitato ristretto o, ove non esista, il Cae ha diritto di riunirsi, su sua richiesta, con ladirezione centrale o il dirigente di cui all’articolo 4, comma 1, nell’ambito dell’im-presa o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, avente la competenza diprendere decisioni proprie, per essere informato e consultato sulle misure che in-cidono considerevolmente sugli interessi dei lavoratori.

9. Nel caso di riunione organizzata con il comitato ristretto hanno diritto dipartecipare i membri del Cae eletti o designati dagli stabilimenti ovvero dalle im-prese direttamente interessati dalle circostanze o dalle misure in questione. La riu-nione di informazione e di consultazione si effettua quanto prima rispetto all’at-tuazione delle misure di cui al comma 8, in base a una relazione elaborata dalla di-rezione centrale, o dal dirigente di cui all’articolo 4, comma 1, dell’impresa di di-mensioni comunitarie o del gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, su cuipuò essere formulato un parere entro il termine congiuntamente definito, nell’am-

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bito della riunione, fra la direzione centrale e il comitato ristretto o, ove non esi-stente, il Cae. In caso di mancata definizione congiunta, il parere deve essere for-mulato entro sette giorni.

10. Prima delle riunioni con la direzione centrale il Cae o il comitato ristrettoeventualmente allargato conformemente al comma 9, può riunirsi nei limiti di cuiall’articolo 12, senza che la direzione interessata sia presente.

11. Il Cae, o il comitato ristretto, può farsi assistere da esperti di sua scelta, nellamisura necessaria allo svolgimento dei suoi compiti. Le riunioni di cui al presentearticolo lasciano impregiudicate le prerogative della direzione centrale.

12. Le spese di funzionamento del Cae sono sostenute dalla direzione centrale.La direzione interessata fornisce ai membri del Cae le risorse finanziarie e materialinecessarie ai fini dell’adeguato svolgimento delle sue funzioni. In particolare, la di-rezione centrale prende a proprio carico, salvo che non sia stato diversamente con-venuto, le spese di organizzazione e di interpretariato relative alle riunioni, nonchéle spese di alloggio, di vitto e di viaggio dei membri del Cae e del comitato ristret-to. Tali spese, salvo diverso accordo, riguardano un solo esperto.

13. Quattro anni dopo la sua costituzione, il Cae delibera in merito all’opportu-nità di rinegoziare l’accordo di cui all’articolo 9 oppure di mantenere l’applica-zione delle prescrizioni di cui al presente articolo.

Art. 17Sanzioni

1. Salvo che il fatto costituisca reato e ferma restando l’eventuale responsabilitàcivile e disciplinare come prevista dai contratti collettivi applicati, quando è accer-tata la violazione dell’articolo 10, comma 1, si applica la sanzione amministrativapecuniaria non inferiore a 1.033 euro e non superiore a 6.198 euro.

2. Ferma restando l’eventuale responsabilità civile, quando è accertata la viola-zione dell’articolo 10, comma 2, si applica la sanzione amministrativa pecuniarianon inferiore a 1.033 euro e non superiore a 6.198 euro.

3. Ferma restando l’eventuale responsabilità civile, in caso di violazione dell’ob-bligo previsto dall’articolo 4, comma 4, o degli obblighi di informazione e consulta-zione stabiliti nell’accordo di cui all’articolo 9 o nelle prescrizioni accessorie di cuiall’articolo 16, o degli ulteriori obblighi stabiliti nell’accordo o nelle prescrizioni ac-cessorie in ordine alla realizzazione delle condizioni e degli strumenti necessari alfunzionamento del Cae o della procedura per l’informazione e la consultazione,previsti dall’articolo 1, comma 2, si applica la sanzione amministrativa pecuniarianon inferiore a 5.165 euro e non superiore a 30.988 euro.

Art. 18Procedura di conciliazione preventiva e di irrogazione delle sanzioni

1. Al fine di garantire la piena osservanza degli obblighi stabiliti nel presente de-creto, le parti stipulanti prevedono la costituzione di una commissione di concilia-zione per risolvere in via preliminare e non contenziosa le controversie relative:

a) alla violazione dell’obbligo previsto dall’articolo 4, comma 4, di acquisizione ecomunicazione delle informazioni indispensabili all’avvio dei negoziati di cui agli

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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articoli 5 e seguenti, in particolare quelle concernenti la struttura dell’impresa o delgruppo e la sua forza lavoro, ivi incluse le informazioni relative al numero dei lavo-ratori di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e d);

b) alla violazione degli obblighi di informazione e consultazione stabiliti nel-l’accordo di cui all’articolo 9 o nelle prescrizioni accessorie di cui all’articolo 16 edegli ulteriori obblighi stabiliti nell’accordo o nelle prescrizioni accessorie in ordinealla realizzazione delle condizioni e degli strumenti necessari al funzionamento delCae o della procedura per l’informazione e la consultazione, previsti dall’articolo 1,comma 2;

c) alla natura riservata delle informazioni fornite e qualificate come tali ai sensidell’articolo 10, comma 1, nonché alla concreta determinazione dei criteri obiettiviper l’individuazione delle informazioni suscettibili di creare notevoli difficoltà alfunzionamento o all’attività esercitata dalle imprese interessate o di arrecare lorodanno o realizzare turbativa dei mercati;

d) alla divulgazione di informazioni riservate in violazione del predetto articolo10, comma 1;

e) alla fondatezza, alla luce dell’articolo 10, comma 2, delle ragioni del diniegoopposto alla comunicazione di informazioni.

2. La commissione tecnica di conciliazione è composta da tre membri di cui:a) uno designato dal Cae o dalla delegazione speciale di negoziazione o dai rap-

presentanti dei lavoratori che operano nell’ambito della procedura di informazionee consultazione;

b) uno designato dalla direzione centrale;c) uno designato dalle parti di comune accordo.3. Qualora insorga una delle controversie di cui al comma 1, la parte interessata

manifesta all’altra parte la volontà di risolvere la contestazione mediante richiestadi espletamento del tentativo di conciliazione dinanzi alla commissione di cui alcomma 2. In tale ipotesi le parti, nel termine di venti giorni dalla richiesta, nomi-nano i membri della commissione. In caso di mancata nomina entro il predettotermine del membro di cui al comma 2, lettera c), quest’ultimo può essere nomi-nato, su ricorso della parte più diligente, dal presidente del tribunale nel cui cir-condario ha sede la Direzione territoriale del lavoro competente ad irrogare le san-zioni amministrative per le asserite violazioni, in caso di esito negativo della proce-dura di conciliazione, individuata ai sensi dei commi 6 e 7.

4. La commissione di conciliazione si riunisce nei venti giorni successivi e for-mula, a maggioranza, una proposta per la bonaria definizione della controversia.Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indi-cazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta diconciliazione formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motiva-zione, il direttore territoriale del lavoro, o un suo delegato, tiene conto nell’appli-cazione delle sanzioni amministrative di cui all’articolo 17.

5. Il verbale di mancata conciliazione e la documentazione allegata sono tra-smessi, a cura del membro della commissione di cui al comma 2, lettera c), alla Di-rezione territoriale del lavoro individuata ai sensi dei commi 6 e 7.

6. All’accertamento e all’irrogazione della sanzione di cui all’articolo 17, comma

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DECRETO LEGISLATIVO 22 GIUGNO 2012, N. 113

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1, è competente la Direzione territoriale del lavoro della provincia nel cui territorioè situato lo stabilimento dell’impresa di dimensioni comunitarie o l’impresa delgruppo di imprese di dimensioni comunitarie cui è addetto il lavoratore che ha ri-velato a terzi le informazioni riservate. Qualora la predetta violazione sia commessada uno o più esperti residenti in Italia ovvero da più lavoratori addetti a differentistabilimenti o imprese situati in più province, è competente la Direzione territo-riale del lavoro della provincia nel cui territorio è situata la direzione centrale o ildirigente delegato di cui all’articolo 4, comma 1. In mancanza, è competente la Di-rezione territoriale del lavoro della provincia nel cui territorio è situato lo stabili-mento o l’impresa con il maggior numero di lavoratori.

7. All’accertamento e all’irrogazione delle sanzioni di cui all’articolo 17, commi 2e 3, è competente la Direzione territoriale del lavoro della provincia nel cui territo-rio è situato il soggetto che ha commesso la violazione.

8. Il personale ispettivo della Direzione territoriale del lavoro competente, com-piuti gli opportuni atti di accertamento ai sensi dell’articolo 13 della legge 24 no-vembre 1981, n. 689, notifica, laddove ne sussistano i presupposti, gli estremi dellaviolazione agli interessati nel termine di novanta giorni, ai sensi dell’articolo 14della predetta legge. Si applica, a tal fine, il pagamento in misura ridotta di cui al-l’articolo 16 della legge n. 689 del 1981. Entro il termine di trenta giorni dalla datadi notificazione della violazione, gli interessati possono far pervenire al direttoreterritoriale del lavoro scritti difensivi e documenti e possono chiedere di esseresentiti dal medesimo direttore.

9. Il direttore territoriale del lavoro, o un suo delegato, esaminati i documenti egli argomenti esposti negli scritti difensivi nonché nel verbale di mancata concilia-zione, determina con ordinanza motivata la somma dovuta per la violazione e neingiunge il pagamento, insieme con le spese.

10. Per quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano, in quantocompatibili, le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

Art. 19Clausola di salvaguardia e abrogazioni

1. Il decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74, è abrogato dalla data di entrata invigore del presente decreto, fatto salvo quanto disposto dall’articolo 15.

Art. 20Clausola di invarianza finanziaria

1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiorioneri a carico della finanza pubblica. Le pubbliche amministrazioni interessateprovvedono ai compiti previsti dal presente decreto con le risorse umane, stru-mentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccoltaufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunquespetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 22 giugno 2012

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APPENDICE METODOLOGICA E NORMATIVA

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NAPOLITANOMonti, presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’economia e delle finanzeMoavero Milanesi, Ministro per gli affari europeiFornero, Ministro del lavoro e delle politiche socialiTerzi di Sant’Agata, Ministro degli affari esteriSeverino, Ministro della giustiziaVisto, il Guardasigilli: Severino

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Finito di stamparenel mese di dicembre 2014

dalla Tipografia O.GRA.RO.Vicolo dei Tabacchi, 1 - Roma

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