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  • La Bhagavadgıtå, «Il Canto del Bea-to», è un episodio del Mahåbhårata, la colossale opera che celebra l’epopea indiana e la cui compilazione, al pari del Brahmas¥tra e delle raccolte dei Veda, è attribuita a Vyåsa, la figura che incarna la funzione della Intelligenza universale.

    Essa ha sempre esercitato un pode-roso influsso sul pensiero rappresen-tando da epoche immemorabili un riferimento religioso, etico e filosofico per la spiritualità non solo indiana.

    Il termine ‘gıtå’ definisce un testo recante l’istruzione in forma dialogica, mentre l’appellativo ‘bhagavat’ designa il Beato, il Venerabile per eccellenza, il Signore, dunque l’Essere onniperva-dente e inqualificato nella sua simbolica manifestazione antropomorfa.

    L’istruzione che Bhagavat-K®\ãa im-partisce al discepolo Arjuna com-prende sia la conoscenza non-suprema, estesa anche alla Divina legge univer-sale (dharma) e rivelante la giusta a-zione da compiere, sia la conoscenza suprema, quella riguardante il Princi-pio trascendente che tutto promana e riassorbe, il Sostrato metafisico della to-talità sul quale si staglia l’intero pro-cesso universale.

    Al di là dell’immensurabile valore letterario e poetico, la Gıtå possiede

  • Bhagavadgıtå

    –––––––– 2 ––––––––Testi della Conoscenza Tradizionale

  • © 2015 Kevalasa√ghaTutti i diritti riservati

    Stampato a Cittaducaleda NUOVA ARTI GRAFICHEVia delle Scienze, 1402015 S.Rufina di Cittaducale (RI)

    Il presente volume è stato compostocon il carattere “Adri”

  • BHAGAVADGÙTÅ

    CON IL COMMENTO

    DI

    ÂA°KARA

    Traduzione dal Sanscrito, presentazione e notea cura di

    Kevalasa√gha

  • «Del non-essere non vi è venuta all’esistenza, dell’es-sere non vi è cessazione di esistenza. Ma la veritàultima di questi due è stata vista [solo] da coloro iquali hanno compreso la natura di Quello»

    (Bha. Gı. 2.16)

    «Colui il quale nell’azione vede la non-azione, e ilquale nella non-azione [vede] l’azione, quegli è sa-vio fra gli uomini»

    (Bha. Gı. 4.18)

    «Avendo abbandonato completamente ogni dharma,in Me, nell’Unico, procedi per trovare rifugio»

    (Bha. Gı. 18.66)

  • INDICE

    Avvertenze . . . . . . . . . . . . . . . . . .Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Elenco Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . .Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . .

    pag. 12pag. 14pag. 15pag. 17

    Bhagavadgıtåcon il Commento di Âa√kara

    Invocazione augurale . . . . . . . . . . . . . . . pag. 34

    Introduzione di Âa√kara . . . . . . . . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Primo Adhyåya La disperazione di Arjuna . . . . . . . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Secondo Adhyåya Lo yoga della investigazione discriminante . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Terzo AdhyåyaLo yoga dell’azione . . . . . . . . . . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Qarto AdhyåyaLo yoga della conoscenza e della completa rinuncia all’azione . . . . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    pag. 35pag. 39

    pag. 43pag. 51

    pag. 53pag. 123

    pag. 135pag. 175

    pag. 181pag. 229

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    Qinto AdhyåyaLo yoga della completa rinuncia . . . . . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sesto AdhyåyaLo yoga della meditazione . . . . . . . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Setimo AdhyåyaLo yoga della conoscenza e della scienza distintiva . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Otavo AdhyåyaLa descrizione del Brahman indistrutibile . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Nono AdhyåyaLo yoga della conoscenza regale e del mistero sovrano .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Decimo AdhyåyaLo yoga della manifestazione sovrana . . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Undicesimo AdhyåyaLo yoga della visione della Forma universale . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Dodicesimo AdhyåyaLo yoga della devozione . . . . . . . . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Tredicesimo AdhyåyaLo yoga della distinzione tra il campo e il conoscitore del campo . . . . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Qatordicesimo AdhyåyaLo yoga della separazione dalla terna dei gu√a . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    pag. 239pag. 273

    pag. 279pag. 317

    pag. 323pag. 343

    pag. 349pag. 369

    pag. 377pag. 401

    pag. 409pag. 429

    pag. 431pag. 463

    pag. 465pag. 483

    pag. 487pag. 555

    pag. 569pag. 589

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  • Qindicesimo AdhyåyaLo yoga del conseguimento del Puru≤otama . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Sedicesimo AdhyåyaLo yoga della distinzione delle nature devica e asurica .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Diciassetesimo AdhyåyaLo yoga della distinzione della triplice fede . . . . .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Diciotesimo AdhyåyaLo yoga della liberazione mediante la completa rinuncia .Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Testo sanscrito . . . . . . . . . . . . . . . . .

    pag. 593pag. 613

    pag. 617pag. 633

    pag. 637pag. 653

    pag. 657pag. 755

    pag. 767

    Indice 11

  • AVVERTENZE

    Al testo italiano Per una migliore intelligibilità del testo sono stati posti:

    – tra parentesi tonde ( ) l’originale sanscrito di parole o frasi, lefonti delle citazioni o le parti mancanti di queste, i riferimenti aiVersi, ulteriori chiarimenti al concetto espresso;

    – tra parentesi quadre [ ] parole o frasi integrative o sottintese,fonti di citazioni o di passi presenti nel Commento e non menzionati;

    – tra virgolette basse « » le citazioni tratte da fonti scritturalirintracciate o meno, i Versi distinti da quello in esame;

    – tra virgolette alte “ ” le parti del singolo Verso trattato nelCommento, termini o frasi particolari, espressioni di rilievo;

    – tra virgolette semplici ‘ ’ alcune parole o espressioni notevoli,locuzioni esemplificative, frasi in discorso diretto e asserzioni dot-trinali di importanza rilevante;

    – in corsivo i termini sanscriti traslitterati, a eccezione di nomipropri di luogo o di persona, e i termini italiani di interesse dottri-nario; sono resi con parole unite da trattino termini non perfetta-mente traducibili alla lettera con un solo vocabolo;

    – nella forma tematica i termini sanscriti se sono sostantivi oaggettivi, o in quella radicale se si tratta di verbi: così, ad esempio,il termine Bhagavat verrà sempre riportato nella sua forma tema-tica anziché al nominativo (bhagavån). Tuttavia, qualora sia prefe-

  • Avvertenze

    ribile ai fini della comprensione, sostantivi e/o aggettivi possonotrovarsi nella forma declinata, i verbi in quella coniugata.

    Inoltre:

    – il Maiuscolo e il minuscolo seguono l’impiego convenzionale,mentre un medesimo termine può trovarsi maiuscolo o minuscolose indica rispettivamente una Forma divina o un oggetto;

    – l’inserimento di Obiezione e Risposta nel Commento, ridottoal minimo indispensabile per una agevole comprensione, è sottinte-so, per quanto si evinca dal testo;

    – si considera il genere italiano dei vari termini sanscriti impie-gati nella lingua originale, a eccezione di quelli entrati diversamen-te nell’uso corrente;

    – per agevolare la consultazione, è stata adottata la numericadoppia separata da un punto (capitolo.verso);

    – per le parole sanscrite è stata adottata la divisione sillabica;

    – eventuali differenze tra passi e/o fonti scritturali sono impu-tabili a una disomogeneità nelle relative redazioni.

    Al testo sanscrito

    – Le citazioni da fonti scritturali note o meno sono state ripor-tate tra virgolette alte “ ”; la numerica multipla relativa alle succes-sive partizioni è stata separata da punti come nell’originale;

    – la traslitterazione segue i criteri comunemente adottati man-tenendo la unione grafica delle parole come nel testo originale de-vanågarı e la divisione sillabica;

    – l’anusvåra, quando non traslitterato come µ, è stato taloratrasformato nella corrispondente nasale pronunciata.

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  • FONTI

    Per la traduzione della Bhagavadgıtå con il Commento di Âa√ka-ra e delle altre opere citate è stato consultato il testo sanscrito ori-ginale in devanågarı delle seguenti edizioni:

    – Complete Works of Ârı Âa√kåråcarya in the original Sanskrit,Volume VI: The Bhagavadgıtå Bhå≤ya, SAMATA BOOKS, Madras,1910-1982;

    – Works of Ârı Âa√karåcårya in original Sanskrit, Volume II:Bhagavadgıtå with Âå√karabhåsya, MOTILAL BANARSIDASS, De-lhi, Varanasi, Patna, 1929-1981.

  • ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

    Å. Dha. S¥. Åpastamba Dharma S¥traBau. Dha. Âå. Baudhåyana Dharma ÂåstraBau. Dha. S¥. Baudhåyana Dharma S¥traBha. Gı. Bhagavad GıtåBÿ. Bÿhadåra√yaka Upani≤adBra. S¥. Brahma S¥traChå. Chåndogya Upani≤adDha. Dhammapåda (Bauddha)Gau. Dha. Âå. Gautama Dharma ÂåstraGau. Dha. S¥. Gautama Dharma S¥tra (Gautama Smÿti)Gau. Kå. Gauƒapåda KårikåÙ. ÙŸå Upani≤adJå. Jåbåla Upani≤adKa. Ka†ha Upani≤adKai. Kaivalya Upani≤adKau. Kau≤ıtaki Upani≤adKe. Kena Upani≤adMa. Manu Smÿti (Saæhitå o Dharma Âåstra)Må. Må√ƒ¥kya Upani≤adMa. Bhå. Mahå BhårataMa. Bhå. A. Pa. Mahå Bhårata AŸvamedha Parvan (14º)Ma. Bhå. Âå. Pa. Mahå Bhårata Âånti Parvan (12º)Ma. Bhå. Strı. Pa. Mahå Bhårata Strı Parvan (11º)Ma. Bhå. U. Pa. Mahå Bhårata Udyoga Parvan (5º)Må. Kå. Må√ƒ¥kya KårikåMai. Maitri Upani≤adMu. Mu√ƒaka Upani≤adNå. Nåråya√a Upani≤adPra. PraŸna Upani≤ad

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    Í. Ve. Íg VedaÂa. Brå. Âatapatha Bråhma√aÂve. ÂvetåŸvatara Upani≤adTai. Taittirıya Upani≤adTai. Å. Taittirıya Åra√yakaTai. Brå. Taittirıya Bråhma√aTai. Saæ. Taittirıya SaæhitåVa. Vasi≤†ha Dharma S¥traVi. Pu. Vi≤√u Purå√aVi. Smÿ. Vi≤√u SmÿtiYå. Yåjñavalkya Upani≤adYå. Dha. S¥. Yåjñavalkıya Dharma S¥traYo. Âå. Yoga ÂåstraYo. S¥. Yoga S¥tra

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  • PRESENTAZIONE

    Nel contesto della Tradizione metafisica universale – che,sebbene presenti diversi linguaggi nelle varie epoche e civiltà,è unica e univoca – l’India tradizionale contempla due rami:la Âruti, la Tradizione ‘udita’ (da ©r¥, udire), o Veda (da vid,‘vedere spiritualmente’, realizzare), che è di ordine non-uma-no (apauru≤eya) in quanto ‘vista’ direttamente dagli antichiSaggi veggenti (®≤i) che, appunto, la realizzarono coscienzial-mente, e la Sm®ti, la Tradizione ‘rammentata’ (da sm®, ricor-dare), che è di ordine umano (pauru≤eya).

    La Âruti si identifica con i Veda i quali culminano nelle U-pani≤ad, i Testi sacri per eccellenza che compongono il Vedå-nta o ‘fine dei Veda’ – ove il termine ‘fine’ (anta) possiede ilduplice significato di coronamento e sintesi – e che formano,a detta unanime, la più alta e risolutiva visione filosofica del-l’Essere.

    Alla Sm®ti, Conoscenza tradizionale, che pur essendo ispi-rata dalla Âruti è ‘mediata’ dall’uomo, appartengono i Purå~a,i Testi antichi, e gli Itihåsa, i grandi poemi epici, tra cui il Rå-måyaãa, che narra le gesta di Råma, e il Mahåbhårata.

    La Bhagavadgıtå, «Il Canto del Beato», è un episodio delMahåbhårata, “La Grande India”, la colossale opera che cele-bra l’epopea indiana. L’intero poema è imperniato sulla guer-ra civile che scoppiò tra i due rami primari, Kaurava e På~ƒava,della stirpe del regno di Hastinåpura – regione localizzabilenella odierna India settentrionale, un centinaio di chilometri anordest di Nuova Delhi – evento che ebbe davvero luogomolto tempo prima della stesura del poema. Si tratta del più

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    grande componimento poetico conosciuto al mondo – contacirca 400.000 versi – e consiste di diciotto libri (parvan), dalleorigini all’epilogo finale, più un libro che riassume la genea-logia di Hari (Harivaµ©a).

    La narrazione dei vari episodi inerenti alla lunga vicendabellica offre l’opportunità per inserire esposizioni dei più sva-riati argomenti: da antiche leggende a miti, da disquisizionisulla interpretazione della legge (dharma) a dissertazioni dicarattere morale ed etico, da spiegazioni di natura ritualisti-co-devozionale ad argomentazioni prettamente filosofiche; aquesto si aggiungono episodi del tutto estranei al contesto,come la storia di Såvitrı, quelle di Damayantı e di Nala e trat-tazioni, anche estese, dedicate precipuamente alla istruzionedi carattere spirituale (upade©a) fra cui il Sanatsujåtıyam e,appunto, la Bhagavadgıtå.

    I capitoli dal 25º al 42º del Sesto Libro del Mahåbhårata, ‘IlLibro di Bhı≤ma’ (bhı≤maparvan), il re condottiero, formano i18 Adhyåya della Bhagavadgıtå per un ammontare di circa700 versi (©loka), per la maggior parte nel metro anu≤†ubh(due emistichi di sedici sillabe ciascuno), talvolta nel metrotri≤†ubh (due emistichi di ventidue sillabe ciascuno).

    La data della sua stesura, verosimilmente posteriore aquella del Mahåbhårata, nel quale sembra sia stata inserita inun secondo tempo, non è nota, anche perché all’epoca vigevaprincipalmente la trasmissione orale. Del resto la datazione diun testo tradizionale può avere interesse solo da un punto divista storico o filologico, dato che la Tradizione, a cui la Gıtåappartiene, si pone al di là del tempo e di qualunque contestostorico come, altresì, di qualsiasi delimitazione geografica odistinzione etno-culturale.

    La compilazione del Mahåbhårata è attribuita a Vyåsa, ta-lora identificato con Bådaråya~a, al quale è ascritta anchequella del Brahmas¥tra e delle raccolte (saµhitå) dei Veda.Non si tratta di un personaggio storico ma della simbolica

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  • Presentazione

    personificazione, anche come entità collettiva manifestantesiin tempi e modi distinti, di una Funzione di ordine trascenden-te, in particolare della Intelligenza universale. Il nome vyåsa(lett. ‘Sistematore’, ‘Adattatore’, dalla radice: ås, esistere, per-durare, con il prefisso: vi, variamente; dunque: ‘disporre ade-guatamente nel tempo’) designa Colui la cui finalità, svolgen-tesi lungo l’arco di ere, è quella di allestire, ordinare e adattarela espressione originaria della Tradizione al grado di compren-sione spirituale via via manifestato dall’essere umano nellesuccessive fasi temporali (yuga), per cui stabilisce la connes-sione con il Divino fissando la Conoscenza con il conferirleun idoneo ed efficace linguaggio.

    La Bhagavadgıtå è una delle opere poetiche più celebratenella letteratura indiana ed è tra quelle che hanno destato mag-gior interesse oltre che nel campo religioso anche in quello fi-losofico-speculativo, esercitando sempre un poderoso influssosul pensiero e, di conseguenza, sulla visione della vita e dellaesistenza.

    Malgrado la presenza di passi in apparente contrasto, essaforma un tutt’uno organico e rappresenta da epoche immemo-rabili un riferimento religioso, etico e filosofico per la spiri-tualità indiana e, a cominciare dall’era moderna, anche per ilricercatore occidentale. Indubbiamente costituisce un testo asé non solo per l’immensurabile valore letterario ma soprat-tutto per la sua valenza dottrinaria e per l’insegnamento chedispensa: infatti indica all’essere umano, assoggettato alla na-tura di limitatezza e conflittualità proprie della condizione in-dividuale, la Via per la totale trascendenza ed emancipazione,cioè per la conoscenza-realizzazione del Brahman.

    Nonostante appartenga alla Sm®ti, di cui esprime la sintesipiù elevata, la Bhagavadgıtå, per la sua incontestabile sacrali-tà e autorevolezza, viene universalmente considerata Upani-≤ad, cioè Scrittura sacra – spesso è indicata come Gıtå©åstra –alla stessa stregua della Âruti e quindi dei Veda. Inoltre, poi-

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  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    ché prospetta la unione (yoga) dell’anima con lo Spirito Su-premo, la riunificazione dell’essere individuale, il jıva, con lapropria Fonte divina e metauniversale, l’åtman, è considerataanche Yoga©åstra, Scrittura sacra o tradizionale sullo yoga, in-teso come procedimento unitivo, metodo realizzativo o disci-plina ascetica in genere, a prescindere dall’omonimo dar©anao dalle sue forme particolari. Di tale accezione del termine yo-ga si ha riscontro nei titoli tradizionali dei vari Adhyåya, cheevidenziano gli aspetti del processo realizzativo con le lorodifferenti sfaccettature.

    Un testo recante l’istruzione (upade©a) in forma dialogica(saµvåda) è tradizionalmente chiamato gıtå (canto), mentrel’appellativo bhagavad – lett. ‘colui che possiede bhaga’, cioèl’insieme delle virtù come la conoscenza, la compassione, ecc.– designa il Beato, il Signore, il Venerabile per eccellenza, lacui rappresentazione sotto sembianza umana svolge una fina-lità didattica: Egli infatti non è altri che Vi≤ãu, l’Essere onni-presente e inqualificato – dunque il Brahman del Vedånta –nella sua simbolica manifestazione antropomorfa.

    Sebbene nella Sm®ti compaiano diverse altre opere di ge-nere e nome simili, come l’Anugıtå, l’Uddhavagıtå, l’A≤†åva-kragıtå, ecc., per la sua peculiarità la Bhagavadgıtå rappresen-ta ‘il Canto per eccellenza’, per cui anche nei commentari èspesso indicata semplicemente come Gıtå.

    Âruti e Sm®ti sono le due facce di una medesima Scienzasacra, svelata e resa disponibile per l’essere umano in posses-so delle specifiche qualificazioni e diversificata in rapporto algrado di maturità spirituale del singolo. Analoga differenzia-zione compare all’interno della stessa Bhagavadgıtå in rela-zione ai vari aspetti della conoscenza, dell’insegnamento im-partito e della corrispondente modalità operativa.

    Insieme con il Brahmas¥tra e con le principali Upani≤adclassiche la Bhagavadgıtå forma la Prasthånatraya, la Triplicetestimonianza o Triplice Scienza del Vedånta.

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  • Presentazione

    La vicenda su cui si basa l’intero Mahåbhårata si svolge,come accennato, nel regno di Hastinåpura. All’approssimarsidel tempo della successione al trono attendevano due prìnci-pi, Dh®tarå≤†ra e På~ƒu. Dh®tarå≤†ra, il primogenito, era ciecodalla nascita, per cui non poteva salire al trono. Vi salì, inve-ce, il fratello Pa~ƒu; i suoi figli, i På~ƒava, erano: il valorosoYudhi≤†hira, il primogenito, chiamato anche Dharmaråja (‘Redel dharma’), quindi Bhıma, Arjuna – è il discepolo coprota-gonista del dialogo della Bhagavadgıtå – e i gemelli Nakula eSahadeva. I figli del cieco Dh®tarå≤†ra, appartenente alla dina-stia dei Kuru, erano i cento Kaurava; tra loro per audacia evalore si distingueva Duryodhana (‘Colui che è difficile dabattere’).

    Il regno di På~ƒu durò per breve tempo e alla sua prema-tura morte gli succedette temporaneamente Dh®tarå≤†ra, ilquale accolse nella propria famiglia anche i cinque figli delfratello accordando loro la medesima educazione e istruzioneriservata ai propri.

    Per le leggi dell’epoca il re privo della vista non potevagovernare se non fino a quando il maggiore dei suoi figli, Yu-dhi≤†hira non avesse raggiunto la richiesta età, dopo di che loscettro sarebbe passato automaticamente a lui. Tuttavia tra idue gruppi di cugini nel tempo si insinuò gradatamente unaprofonda rivalità e, all’ascesa al trono da parte di Yudhi≤†hira,l’antagonismo era divenuto così violento da indurre Duryo-dhana a impadronirsi del potere regale facendo ricorso allaforza e tentando nel contempo di eliminare con qualsiasi mez-zo il cugino Yudhi≤†hira.

    Così i due rami della stirpe si separarono drasticamente e,nell’intento di esercitare il proprio esclusivo dominio sull’in-tero territorio, le due famiglie, i Kaurava, usurpatori del re-gno, e i På~ƒava, che reclamavano la restituzione delle terre,si opposero a tal punto che l’intera popolazione si schieròdall’una e dall’altra parte sostenendo i due prìncipi e andando

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  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    a incrementare le fila dei rispettivi eserciti. In tal modo la ten-sione crebbe a tal punto che lo stesso Yudhi≤†hira, determi-nato a riappropriarsi con qualunque mezzo del potere e delterritorio usurpatigli da Duryodhana, era pronto a dare batta-glia al cugino coinvolgendo l’intera compagine sociale. Aquesto punto Dh®tarå≤†ra si rivolse al proprio ministro Sañja-ya incaricandolo di recarsi presso Yudhi≤†hira con lo scopo diindurlo a desistere dal suo bellicoso proposito.

    Giunto presso di lui, Sañjaya gli prospettò uno scenarioterrificante: nonostante le loro ragioni, si sarebbe assistito adistruzione e morte, fine di una civiltà e perdita di valori tra-dizionali per un periodo di immensurabile durata con un dan-no irreparabile per tutti. Così Yudhi≤†hira interpellò K®≤~a,discendente di Yadu e a quel tempo a capo della famiglia Yå-dava, il quale, pur dimorando in un territorio adiacente e quin-di estraneo alla divergenza, si adoprò nell’intento di riconci-liare le opposte fazioni e riportare la pace tra i due gruppi fa-migliari. Il tentativo è descritto nei dettagli, insieme ai prepa-rativi per la guerra, nel quinto libro del Mahåbhårata, l’Udyo-gaparvan, il ‘Libro dei preliminari’, i cui capitoli dal 41º al 46ºformano il Sanatsujåtıyam, “L’insegnamento di Sanatsujåta”,dal nome del saggio che impartì la sacra istruzione al re Dh®ta-rå≤†ra in merito alla morte e ad altri argomenti.

    Malgrado la mediazione di K®≤~a nel proporre una impar-ziale ripartizione dei territori, il ricorso al conflitto fu ritenutoineluttabile e così i due eserciti si affrontarono in quello cheera un luogo sacro chiamato Kuruk≤etra, il ‘Campo di Kuru’,dal nome di un comune antenato dei due prìncipi che lì stessoaveva dedicato la propria esistenza a impegnative pratiche a-scetiche. I contendenti spronarono anche K®≤ãa a parteciparealla lotta ed egli acconsentì concedendo loro di scegliere seessere affiancati da lui stesso o da parte dei suoi uomini. Ilprepotente Duryodhana optò per i guerrieri così che K®≤ãa sischierò dalla parte dei På~ƒava divenendo l’auriga di Arjuna.

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  • Presentazione

    Precedentemente allo scoppio della battaglia vera e pro-pria, al cieco e anziano Dh®tarå≤†ra apparve in visione il pa-dre Vyåsa, santo veggente dotato di grandi poteri sopranna-turali, il quale prospettò al figlio l’opportunità di avere, nono-stante la sua cecità, una percezione divina dello scontro inmodo da poter seguire lo svolgersi delle sue fasi; egli rifiutòtale straordinaria facoltà per sé, ma la implorò per il proprioministro Sañjaya che, diventato, così, veggente, cominciò adescrivere minuziosamente all’anziano monarca le fasi dellaguerra. È proprio a questo punto che prende inizio la narra-zione della Bhagavadgıtå, quando Dh®tarå≤†ra chiede a Sañja-ya che cosa stanno facendo i rispettivi eserciti allorché si tro-vano schierati l’uno contro l’altro sul campo di battaglia.

    Prima che lo scontro potesse aver luogo, era regola com-piere da entrambi gli schieramenti un complesso e lungo ceri-moniale che, dopo la supplica di protezione alle varie Divini-tà, conferisse l’attribuzione dei ruoli ai condottieri e ai loroguerrieri suggerendo inoltre le strategie di azione bellica. Inquesto frangente, dunque prima che venga dato il segnale diattacco, Arjuna ordina a K®≤ãa di condurre il suo carro nelmezzo dei due eserciti in modo da poter avere una visionecomplessiva del tutto. Ma lì, vedendo da un lato il fratello Yu-dhi≤†hira, il benvoluto zio Bhı≤ma, il maestro d’armi Dro~a, ilcugino Duryodhana e tanti altri, e dall’altro ancora altri mae-stri, parenti e i suoi migliori amici, cede allo sconforto presa-gendo il massacro che sta per consumarsi; così confessa a K®-≤ãa il proprio smarrimento e, manifestata la decisione di aste-nersi dal combattere, si accascia affranto sul carro. K®≤ãa co-mincia allora a spiegargli innanzitutto che la morte del corponon è una vera fine, in quanto la propria natura è immortale,e, poi, che non è giusto astenersi da un’azione reputata ap-propriata per il proprio ruolo nel contesto generale.

    Nel corso del lungo e articolato dialogo gli fa comprende-re che ciò che nasce deve morire e ciò che muore deve rina-

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  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    scere, in un ininterrotto circolo alimentato dall’agire identifi-cato. Fin quando persiste tale condizione sovrapposta si ri-veste un ruolo e, di conseguenza, si deve espletare quello cheè il proprio dharma e non agire secondo quello di altri. Quan-do, sopraggiunta la maturità spirituale, si riconosce che il di-venire ciclico (saµsåra) è mantenuto solo dalla propria pro-fonda identificazione allo stato individuato, al veicolo, allafunzione, alla condizione in atto e consiste perciò in una este-sa e radicata proiezione, ci si può allora distaccare attraversouna completa rinuncia (saµnyåsa) e dedicarsi esclusivamentealla realizzazione dell’åtman privo di origine. Soltanto il Non-nato, infatti, non è destinato a distruzione, solo il Non-duale èlibero da qualsivoglia limitazione ed è perciò Quello che, se siaspira ad affrancarsi dal corso esistenziale trasmigratorio del-la forma-apparenza, si deve realizzare sopra ogni cosa.

    Si palesa così la vera natura di K®≤ãa come incarnazionedella divina Forma di Vi≤ãu quale Essere onnipervadente, ilquale può, Egli soltanto, impartire la vera conoscenza libera-trice ad Arjuna giovandosi della singolare situazione in cuiquesti versa, che lo rende particolarmente ricettivo nei suoiconfronti. Quella di K®≤ãa che parla ad Arjuna è dunque laimmagine simbolica dell’åtman che illumina il jıva, il suo ri-flesso individuato e identificato con l’io, con i suoi veicoli econ le sue condizioni transitorie e conflittuali per restituirloalla sua vera natura; è la Coscienza assoluta e autoesistente,esente da qualsiasi condizionamento, che si svela alla coscien-za riflessa, immedesimata al veicolo e alla sua condizionecontingente, influenzata dalla fruizione della esperienza e rei-terante modalità identificative analoghe.

    Dopo la prima dettagliata descrizione del campo di batta-glia e dei personaggi che Arjuna vi riconosce, l’opera assumela forma di un vero e proprio dialogo realizzativo in cui K®-≤ãa, in considerazione dello stato psicologico in cui si trovaArjuna, gli prospetta la conoscenza procedendo per gradi.

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  • Presentazione

    Dapprima quella che è la conoscenza non-suprema (aparavi-dyå), riguardante il Principio primo della manifestazione, cioèl’Essere qualificato universale (il Brahman saguãa o ‘con at-tributi’, l’Uno-con-secondo delle Upani≤ad) con i suoi riflessisuccessivi come princìpi (deva) della manifestazione nei suoivari e interrelati piani; conoscenza che dal punto di vista u-mano si estende, perciò, anche alla Divina Legge (dharma), algiusto agire (karman) – quello non dettato dalla propria indi-vidualità incompiuta e quindi non vincolante – e al retto por-si nei confronti della propria veicolarità e della propria sferaesperienziale e cognitiva. Quindi impartisce a lui anche quellache è la vera e propria Scienza del Brahman (brahmavidyå),dunque la Conoscenza suprema (paravidyå), quella che con-cerne l’Essere Assoluto e Non-qualificato (il Brahman nirguãao ‘senza attributi’, l’Uno-senza-secondo delle Upani≤ad), l’En-te al di là del manifestato e del non-manifestato, dell’effetto edella causa, vale a dire il necessario e imprescindibile Fonda-mento metafisico della totalità attuale e potenziale, dell’esseree del non-essere e della stessa infinita possibilità: in altre pa-role, Quello che, essendo di per sé, consente al tutto la possibi-lità di essere e che perciò, dal punto di vista filosofico, costi-tuisce la sola ed unica Realtà.

    Nella lunga esposizione viene trattata non solo la sfera de-gli effetti ultimi, considerata sotto la prospettiva fisica-gros-solana della mera corporeità individuale con il suo destino esotto quella sottile-energetica facente capo al mentale in ge-nerale, ma anche la loro origine causale; non solo il piano ef-fettuale-fenomenico dell’Essere manifestato, ma, altresì, quel-lo causale-noumenico e, al di là di questo, la pura essenza me-tafisica del Sostrato assoluto, trascendente il rapporto causalee la stessa possibilità.

    Sovrapposto a Quello, che rimane sempre indipendente, ilprocesso universale nella sua integralità, dal Principio primoche è l’Essere qualificato (Brahman saguãa) fino all’ultimo

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  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    ente individuato, segue la legge di causa-effetto, il principiodeterministico rappresentato dal karman, per cui ad ogni cau-sa segue un appropriato effetto, ad ogni atto un commisuratofrutto, e ciò al di là di quello che può essere un qualsiasi con-cetto etico – si parla dell’assegnazione del frutto da parte delSignore solo in senso causale e non morale né secondo un’ot-tica individualistica di gratificazione-punizione. In primo luo-go vi è da considerare che l’effetto, per il Vedånta Advaita, nonè altro che la causa stessa che appare sotto un certo aspetto;in secondo luogo, che da una causa unica, potendo essa assu-mere indefinite modalità formali, possono scaturire illimitatieffetti, diversificati in funzione dei parametri dimensionalicontingenti (spazio-tempo-causa).

    Effetto e causa vengono riconosciuti come aspetti specula-ri di una medesima entità che insieme emergono e insieme siriassorbono, ovvero come le risultanti della apparente scissio-ne polare di una unica, iniziale possibilità ma, al di là di que-sta, che, appunto, è non-reale in sé e, come tale, può o menoemergere e manifestarsi attraverso lo sviluppo delle qualitàche reca intrinsecamente, permane sempre, come necessariabase, un Sostegno immutabile, indipendente e indescrivibile,reale e quindi eternamente attuale: il Brahman incausato e in-causante.

    Si riconosce, così, non solo che la molteplicità diveniente econtraddittoria – espressione finale della dualità connaturatadi nome e forma (nåma-r¥pa) sovrapposti – trae esistenzadalla unità, ma anche che questa rappresenta l’attuazione diquello che potrebbe definirsi un ‘seme’, ossia un aspetto com-preso nella infinita potenzialità: oltre ciò vi è la Non-dualitàdel Brahman, la cui essenzialità è quel puro Essere-Coscienza-Beatitudine assoluti (sat-cit-ånanda) ripetutamente enunciatodalle Scritture come la nostra più vera e profonda natura.

    Quanto alla collocazione religiosa della Gıtå, coloro che sirifanno alla concezione Vai≤ãava in quanto adoratori di Vi-

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  • Presentazione

    ≤ãu, considerato però solo quale Principio sostenitore e con-servatore dell’universo, identificano con questo la figura diK®≤ãa. La loro è la visione Bhågavata, in quanto venerano ilPrincipio universale nella sua incarnazione o ‘discesa’ (ava-tåra) nella fattezza umana di Bhagavat, evento che nel corsodelle epoche si verifica ogniqualvolta il Principio viene oscura-to e la coscienza dell’essere prende una direzione discendente,di crescente immedesimazione veicolare, con la conseguenzadi una progressiva degradazione delle energie-potenzialità in-teressate e una corrispondente riduzione del grado di libertà.

    Dunque la figura di K®≤~a è Våsudeva, o Nåråya~a, cioèl’åtman stesso, o meglio il supremo åtman, ossia il Brahmannon-duale e inqualificato (nirgu~a), che simbolicamente vieneconsiderato di volta in volta sotto vari aspetti qualificati e li-mitati: dal Brahman con-attributi (sagu~a) – lo stesso Âa√karain alcune opere lo definisce ‘effettuato’ (kårya) riconoscendo-lo, appunto, effetto di måyå – quale Essere universale che so-stanzia, comprende, sintetizza e riassorbe l’intera manifesta-zione, a Ù©vara, il Signore che assegna agli esseri i frutti delloro operato stabilendo così le rispettive condizioni di esisten-za, dalle Forme divine che governano i fenomeni naturali finoall’amico umano di Arjuna. È in tale molteplice modalità cheK®≤~a parla, senza mai esplicitare una distinzione relativa-mente alla prospettiva da cui impartisce l’istruzione.

    Così nella Gıtå, in un procedere dialogico senza soluzionedi continuità, l’Essere inqualificato (Brahman nirguãa) vieneimplicitamente rappresentato come dotato di qualificazione(saguãa), o come se avesse simbolicamente assunto una For-ma universale (ÙŸvara, Puru\a, Puru≤ottama), divina o persinoumana (K®≤ãa). Pertanto si riscontra una molteplicità di inse-gnamenti a prima vista distinti ma sostanzialmente coerenti econfacenti ai diversi livelli di sviluppo spirituale dell’indivi-duo e del corrispondente grado di risveglio della facoltà di in-tuizione intellettuale superconscia (buddhi).

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  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    L’istruzione va dalla sfera corporea (si accenna addiritturaalla corretta alimentazione considerata dalla prospettiva dellequalità sostanziali, i guãa, e alle posizioni adatte alla medita-zione) a quella sottile delle energie mentali (forme di medita-zione o di adorazione), dall’azione materiale effettiva allo statopuramente meditativo e di inattività esteriore, dalla devozionereligiosa rivolta verso le Forme divine ed esprimentesi attra-verso i riti sacrificali fino alla realizzazione finale, l’intuizionee la integrale presa di coscienza della Realtà ‘diretta e imme-diata’ delle Upani≤ad.

    Prospettando l’istruzione di Bhagavat K®≤ãa, la Bhagava-dgıtå riversa nel piano terreno l’influsso del Principio che haassunto sembianza umana; in tal senso è un testo iniziatico-operativo in quanto, attraverso le parole di K®≤ãa ad Arjuna,conferisce la iniziazione corrispondente ai vari aspetti dellavia realizzativa – bhakti-devozione, karman-azione e jñåna-conoscenza – impartendo l’insegnamento pratico relativo a o-gnuno di essi.

    Le tre forme – bhakti, karman e jñåna – esprimono lati di-versi di una sola integrazione del reale rispondenti alle quali-tà proprie (guãa) dell’individuo. Esse vanno comprese nellaloro valenza che, attraverso un’attenta operazione di trasfigu-razione coscienziale, travalica il mero piano empirico fino atrasmutare nelle loro radici trascendenti. Così la devozione--bhakti verso la Forma divina si risolve nella parabhakti, lasuprema devozione verso la sola e unica Divinità in cui l’ani-ma individuale si annulla nella identificazione coscienzialecon Essa. L’azione-karman, affrancata dalla volizione indivi-duale e dal risultato quale obiettivo impulsante, si risolve nel-la ‘azione-senza-azione’, ovvero in un atto puro, indipendentedalla nozione del frutto, un agire non condizionato da alcun-ché in cui il soggetto agente è solo un veicolo di attuazione dieventi: ciò che viene definito come la ‘giusta azione’, la qualesoltanto è non vincolante; in questo la Gıtå esorta a rivestire

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  • Presentazione

    senza indugio qualunque ruolo attivo qualora se ne presentila inderogabile necessità, a condizione di restare liberi dalla i-dentificazione soggettiva con esso. Infine la conoscenza-jñå-na, dapprima frammentata nella terna di soggetto-mezzo co-gnitivo-oggetto e orientata verso l’esteriore formale-ogget-tuale, viene rivolta all’interno, verso l’essenziale-unitario,quindi integrata e risolta in una conoscenza di identità o Co-noscenza suprema o ultima (jñånam uttamam), nella qualescompare qualsiasi distinzione e che si rivela come pura e as-soluta Coscienza-senza-secondo (cidadvaya) qual è, appunto,la natura stessa del supremo åtman-Brahman.

    Poiché l’insegnamento della Bhagavadgıtå è a un tempo e-tico, religioso, filosofico e metafisico, il livello della istruzioneche si è in grado di comprendere dipende essenzialmente dallacapacità di integrazione coscienziale di colui che lo recepisce,vale a dire dalla risolutezza della propria istanza realizzativa.

    Per la sua importanza l’Opera è stata fatta oggetto di Com-menti (bhå≤ya) e spiegazioni estese (vyåkhyå) da parte di in-numerevoli commentatori (v®ttikåra) appartenenti a varieepoche e correnti di pensiero, ciascuno intento a evidenziarequel particolare aspetto o contenuto concorde con la propriavisione. Si può dire che ognuno ha còlto nell’insegnamentoenunciato quello che gli ha consentito di percepire il propriostato coscienziale. Così abbiamo interpretazioni di caratterereligioso, etico, spiritualista e, dal punto di vista filosofico,dualista, monista qualificato e non-dualista.

    Il Commento (bhå≤ya) di Âa§kara (788-820) – una delleprime opere scritte del Maestro – è il più autorevole e signifi-cativo; ad esso hanno attinto numerosi filosofi come Ånanda-giri, €dhara, Madhus¥dhana e altri. In epoca più tarda sonostate stilate altre spiegazioni per mano di Råmånuja (1200 ca),orientato a un monismo mitigato (vi©i≤†ådvaita), Nimbarka(1199-1276), Vallabha (1479) e altri, e la produzione di deluci-dazioni della Gıtå continua ancor oggi.

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  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    Il Bhå≤ya ©a√kariano – è preceduto da una Introduzioneche, pur riassumendo la situazione in atto a quel tempo, con idovuti adattamenti risponde anche all’epoca attuale – è im-prontato alla dottrina Advaita, per cui Âa√kara dà della Gıtåprincipalmente una lettura non-dualista, ma questo sempre inuna visione integrale e onnicomprensiva – cosa che Lo con-traddistingue in tutte le sue opere – senza cioè trascurare gliaspetti inferiori come quelli devozionali, etici e persino con-tingenti. Egli spiega che testi sacri come la Bhagavadgıtå in-tendono operare il ripristino della conoscenza liberatrice inuna fase temporale in cui l’atto rituale, o l’attività sacrale ingenere, oscura la conoscenza in quanto le forme religiose, perquanto originate da autentici aspetti tradizionali, hanno vistogradualmente offuscarsi o perdersi la componente superiore etrascendente della Tradizione, specificamente metafisica, con-sentendo l’instaurarsi e il proliferare di un devozionalismo le-gato a elementi simbolici privati del loro significato più pro-fondo e a fattori formali arbitrari e in definitiva antitradizio-nali. Nella sua disamina vengono pertanto escluse tutte quellepossibilità legate al mero ritualismo e a una mediata commi-stione tra azione rituale e conoscenza – queste ultime per de-finizione incompatibili – in quanto non contemplate dallaÂruti né ammissibili secondo ragione.

    L’apparente contraddittorietà di alcuni passi viene risoltada Âa§kara che li spiega attenendosi fedelmente alla Tradizio-ne. Come sempre, Egli commenta i versi esaminandone siste-maticamente le frasi parola per parola e portando avanti unaesposizione con uno sviluppo discorsivo, con numerosi esem-pi, ripetizioni e citazioni; ne consegue che la forma in italianopotrebbe risultare a tratti alquanto complessa. Va aggiuntoche molti versi, che presentano una certa ambiguità di lettura,possono essere correttamente interpretati solo alla luce delCommento ©a§kariano prestandosi, sia per le peculiarità dellalingua sanscrita sia per la varietà di significato dei singoli ter-

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  • Presentazione

    mini, a più letture distinte, talora divergenti e a volte perfinoopposte. Ne consegue che, analogamente ad altri testi iniziati-ci, la Bhagavadgıtå non può essere compresa nella sua effetti-va implicanza se non affrontandone lo studio dopo aver ac-quisito una sufficiente conoscenza della dottrina inerente.

    Nella perfetta evidenza della Non-dualità che caratterizzala sua visione, neanche in questo Bhå≤ya Âa§kara delinea unadistinzione esplicita tra Brahman nirguãa, saguãa, Ù©vara, ecc.,in quanto nella visione Advaita si considera reale in assolutosolo il Brahman nirguãa, mentre tutto il resto è visto comeprodotto di måyå. Egli, dunque, si accorda costantemente conle Upani≤ad nel considerare la måyå come il ‘potere del Bra-hman’, la sua intrinseca capacità di apparire, alla coscienza ri-flessa o individuata, come Essere qualificato o in un qualun-que altro effetto o stato causato e condizionato.

    È bene tener presente che tale aspetto sussiste solo dallaprospettiva dell’ente che, configurandosi apparentementeproprio attraverso la måyå ed emergendo come individualitàseparata, soggiace, nel suo percepire, alla måyå stessa. In al-tre parole la måyå, questa immensa possibilità, non crea néaltera l’oggetto percepito, ma condiziona la posizione coscien-ziale del soggetto percipiente-agente. È proprio su questa chela Bhagavadgıtå insegna ad operare la giusta rettificazione,perché l’essere possa recuperare appieno la consapevolezzadella propria natura non condizionata da alcunché ma liberadalla azione-identificazione vincolante, non sottoposta al de-stino trasmigratorio bensì naturalmente affrancata da qual-siasi sovrapposizione limitante, non rapportata a un secondoreale o solo virtuale ma eternamente identica a quello stessoSenza-secondo nel quale la totalità appare e scompare: in so-stanza, la propria natura di åtman-Brahman.

    K.

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  • BHAGAVADGÙTÅ

    « IL CANTO DEL BEATO »

    CON IL COMMENTO

    DI

    ÂA°KARA

  • OmSia reso omaggio a Våsudeva

    Nåråyaãa è al di là dell’Avyakta,dall’Avyakta trae esistenza l’Uovo cosmico.

    All’interno dell’Uovo cosmicoin verità sono questi mondi

    e la Terra costituita dai sette Dvıpa1.

  • Introduzione di Âa§kara

    (Ÿåækaropodghåta¢)

    Il Signore (Brahman), dopo aver manifestato questo uni-verso, volendo conservare la sua stabilità, creò dapprima iPrajåpati (i Signori delle creature), come i Marıci, ecc., facen-do [loro] adottare il dharma2 consistente nell’attività [rituale](pravÿtti) esposta dal Veda, quindi creò anche altri [esseri pri-mordiali], quali Sanaka e Sanandana, ecc., facendo [a questi]adottare il dharma consistente nell’astensione dall’attività (ni-vÿtti), caratterizzato dalla conoscenza (jñåna) e dal distacco(vairågya)3. In verità, la causa della conservazione [in esisten-za] dell’universo è [proprio] il duplice dharma esposto dalVeda, da un lato consistente nell’attività (pravÿtti) e dall’altroconsistente nell’astensione dall’attività (nivÿtti). Tale dharma,che per [tutti] gli esseri viventi rappresenta in modo direttola causa della prosperità [nella vita attuale o in quelle future]e del sommo Bene (ni¢Ÿreyas, la liberazione)4, dovette esserepraticato da [tutti] gli appartenenti agli ordini sociali (var√a)e agli stadi di vita (åŸrama), cioè dai bråhma√a in poi, i qualiaspiravano alla felicità (Ÿreyas)5.

    Ma poi, dopo lungo tempo6, a seguito dell’emergere deldesiderio e a causa del [conseguente] venir meno della cono-scenza discriminante (vivekavijñåna) in coloro che seguivano[le due vie], l’adharma si andò affermando sempre di più fin-ché il dharma fu completamente soverchiato dall’adharma. Fuproprio allora che Egli, l’Artefice primordiale (ådikartÿ), ossiaVi≤√u, denominato Nåråya√a, mosso dall’intento di salvaguar-

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    dare la conservazione in esistenza (sthiti) dell’universo, si ma-nifestò come essere corporeo [venendo generato] in Devakıda Vasudeva, [incarnandosi] nella forma di Kÿ≤√a allo scopodi proteggere il Brahman [nel suo aspetto] terreno, cioè la na-tura della vita improntata al Brahman (bråhma√atva)7. Infattiil dharma vedico può essere preservato [solo] attraverso lasalvaguardia della vita brahmanica, perché da quella dipendela distinzione degli ordini sociali e degli stadi di vita8. Così ilSignore stesso, in eterno perfettamente dotato di conoscenza,divino potere, capacità, forza, vigore e splendore, esercita ilcontrollo sulla propria måyå, che appartiene a Lui in quanto èVi≤√u, che è consustanziata dei tre gu√a e costituisce la natu-ra primordiale (m¥laprakÿti); sebbene sia non-nato (aja) einalterabile (avyaya), sebbene sia il Signore (ÙŸvara, Brahman)degli esseri [tutti] e sia per propria natura eterno, puro, auto-consapevole e libero, Egli appare attraverso la sua måyå comese possedesse un corpo, cioè come se fosse una creatura gene-rata, e [sotto tale sembianza] concede la propria grazia (anu-graha) al mondo9. [Così] senza [perseguire] una qualsiasi fi-nalità per se stesso, ma solo con l’intenzione di favorire gli es-seri, Egli impartì l’istruzione concernente il duplice dharmavedico ad Arjuna, il quale era sprofondato nel grande oceanodella sofferenza e della illusione, certamente pensando che ildharma, una volta compreso e posto in atto da coloro che sonosuperiormente qualificati, sarebbe tornato a una completa dif-fusione. Questo dharma, così come è stato insegnato dal Si-gnore, l’onnisciente venerabile Vedavyåsa lo ha raccolto neisettecento Ÿloka denominati [Bhagavad] Gıtå. Così la Scritturadella [Bhagavad] Gıtå compendia l’essenza del contenuto del-l’intero Veda e il [suo vero] significato è difficile da compren-dere. Infatti, sebbene molti [commentatori] ne abbiano appro-fondito le affermazioni parola per parola allo scopo di rende-re perfettamente chiara la sua portata, tuttavia, avvertendoche i concetti che formano gli argomenti delle sentenze po-

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  • Introduzione di Âa§kara

    trebbero [ancora] essere afferrati dagli esseri ordinari secon-do una molteplicità di interpretazioni totalmente contraddit-torie, io ne fornirò sinteticamente una spiegazione allo scopodi accertare distintamente il suo significato.

    In breve, lo scopo di questa Scrittura della Gıtå (gıtåŸåstra)è soltanto il [conseguimento del] Bene supremo, cioè la defi-nitiva soluzione del divenire ciclico unitamente alla sua causa[che è l’ignoranza], e ciò procede da quel dharma la cui natu-ra è la [totale] dedizione alla conoscenza dell’åtman precedu-ta dalla completa rinuncia (saænyåsa) a qualsiasi [forma di]attività [rituale, sacrale, ecc.]. In tal senso, evidenziando pro-prio questo dharma quale scopo della Gıtå, Bhagavat stessoha affermato nell’Anugıtå: «Invero, il dharma è affatto suffi-ciente in relazione al raggiungimento dello stato del Brahman»(Ma. Bhå. A. Pa. 16.12)10. E lì stesso è stato detto: «Non dipen-de affatto né dal dharma né dall’adharma, non è in rapportoné col puro né con l’impuro...» (Ma. Bhå. A. Pa. 19.7), «Colui,il quale è totalmente risolto nell’Uno, ristà silenzioso e senzaalcun pensiero» (Ma. Bhå. A. Pa. 19.1) e «La conoscenza con-siste nella rinuncia» (Ma. Bhå. A. Pa. 43.25). Anche qui, allafine, ad Arjuna viene detto: «Avendo abbandonato completa-mente ogni dharma, in Me, nell’Unico, procedi per trovare ri-fugio» (Bha. Gı. 18.66).

    Sebbene il dharma inteso all’ottenimento della prosperità[terrena o futura, ma comunque relativa] e consistente nelcompimento dell’attività (pravÿtti) sia stato ingiunto prospet-tandolo tanto per gli ordini sociali che per gli stadi di vita,poiché esso è anche la causa del raggiungimento della sededei deva, quando viene praticato in un’attitudine di [totale]dedizione al Signore e qualora sia esente da [qualsiasi] con-nessione a un frutto [immediato di ordine contingente], esso[stesso] si concretizza nella purificazione della mente (sattva-Ÿuddhi); così [tale dharma consistente nella Via dell’Azione]diviene anche un mezzo [indiretto di realizzazione] del Bene

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  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    supremo (la liberazione) per colui la cui mente è stata [così]purificata, [e ciò] sia perché contribuisce al conseguimentodella qualificazione a seguire la Via della Conoscenza sia per-ché induce il sorgere della conoscenza [stessa]. E, in tal senso,verrà detto, allo scopo di confermare questo stesso significa-to: «(Colui che, abbandonato l’attaccamento, agisce dedican-do) le sue opere al Brahman...» (Bha. Gı. 5.10) e «...gli yogin(coloro che seguono il karmayoga) compiono l’azione per lapurificazione di sé abbandonando l’attaccamento» (Bha. Gı.5.11).

    La Scrittura della Gıtå, prospettando distintamente sia que-sto dharma dalla duplice modalità, la cui finalità è il [conse-guimento del] Bene supremo, sia la suprema Realtà denomi-nata Våsudeva, che è anche il Brahman supremo e costituisceil soggetto principale da trattare, presenta un argomento spe-cifico e lo pone in connessione a una specifica utilità [rispettan-do così i requisiti di una Scrittura conforme alla Tradizione]11.Poiché nel suo intendimento vi è la realizzazione del perfettofine dell’essere umano, a tale scopo mi adopererò impegnan-domi nella sua dilucidazione.

    A questo punto [la Bhagavadgıtå prende inizio con le pa-role]: “Dhÿtarå≤†ra disse: (Quando) sul campo del dharma (…sifurono adunati… che cosa fecero, o Sañjaya?)”, ecc.

    *

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  • NOTE alla Introduzione di Âa§kara

    1 Questa strofa dei Purå√a inneggia a Nåråya√a, la suprema En-tità conscia, lo Spirito non-duale che, costituendo la Realtà suprema(Brahman), è trascendente anche rispetto all’Immanifesto (avyakta)e, nello stesso tempo, viene realizzato dai Saggi (ÿ≤i) come l’intimoåtman di ogni essere. Dall’Immanifesto – l’Essere nel suo aspettoqualificato ma ancora inespresso – in virtù di måyå emerge Hira-√yagarbha, il Germe universale recato dalle Acque primordiali, dalquale prende forma l’Uovo cosmico (a√ƒa): in quest’ultimo si mani-festa l’universo, con i suoi diversi piani di esistenza e la totalità de-gli esseri. Il verso è riportato da Âa§kara in ossequio alla Tradizione,per mostrare che quest’opera è di importanza fondamentale e cheanche la Smÿti – quindi i Purå√a, gli Itihåsa e la stessa Gıtå – attestala dottrina della Non-dualità dell’åtman. Cfr. Ma. 1.10. I dvıpa rap-presentano i sette simbolici continenti o regioni in cui è suddivisoil piano terreno della esistenza manifesta.

    2 Il Signore (Bhagavat) è qui Våsudeva, cioè l’åtman o il Bra-hman supremo o inqualificato (nirgu√a) sotto l’aspetto qualificato(sagu√a) di Signore (ÙŸvara) o Creatore dell’universo. Prajåpati è ilSignore delle creature. Per i vari altri Prajåpati, cfr. Ma. 3.34-35, dovesi afferma che sono dieci; altrove vengono menzionati in diversinumero e nome. Cfr. anche Vi. Pu. Il dharma, termine di larga acce-zione privo di un esatto corrispettivo in italiano, ha il significato di:‘ciò che sostiene’, ‘ciò su cui si basa’ o ‘ciò che contiene in sé’ qual-cosa. Designa la natura intrinseca, la proprietà primaria di un ente– talora, per estensione, l’ente stesso – quindi il dovere, ‘ciò che sideve compiere’ allo scopo di mantenere, conservare o salvaguarda-re qualcosa, dunque dovere religioso o di ordine sociale, ecc. Ne de-riva l’ulteriore significato di: via, sentiero, pratica finalizzata a unconseguimento superiore. Il dharma in senso lato è correlato al ka-

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    rman, l’azione causante, vista sotto una prospettiva deterministica.Ogni ente conscio possiede ed è contraddistinto da un suo propriokarman-dharma che lo pone in una particolare condizione di esisten-za e ne dirige l’operato. V. nota 4.34.

    3 Tali progenitori della stirpe umana sono esseri liberi dal deside-rio, protesi solo alla trascendenza e distaccati da qualsiasi interesseverso il piano empirico e da ogni ombra di volizione individuale; essisono, perciò, sempre puri e innocenti come fanciulli. Il più noto èSanatkumåra, l’ “eternamente giovane”. Cfr. Vi. Pu. 1.7.

    4 Il termine ni¢Ÿreyas, lett. ‘senza superiore’, ‘ciò che non ha mi-gliore’, designa sovente nelle Scritture tradizionali quello che perl’essere è il Sommo Bene, o il Bene assoluto, cioè la definitiva libe-razione (mok≤a, mukti) dal divenire ciclico esistenziale (saæsåra) –lett. il termine saæsåra esprime il ‘confluire’, nel senso del fluirecomplessivo della totalità formale, grossolana e sottile, costituentela manifestazione espressa, cioè lo scorrere insieme delle forme in-dividuate nel loro sviluppo evolutivo ed espressivo delle qualitàproprie, quelle per cui sono tali ovvero si trovano in tale condizio-ne di esistenza – e così compare spesso nella Bhagavadgıtå e nelbhå≤ya di Âa§kara. Cfr. 4.7, 7.18, 10.18 e 18.66. A volte definisce an-che la natura del Brahman, essenziata di Perfezione, Pienezza e Bea-titudine, come in 7.24, 10.1.

    5 Ogni stadio di vita contempla una propria finalità esistenziale,da conseguimenti di ordine individuale tramite l’assecondamentodel desiderio (kåma), il perseguimento della prosperità qui e nell’aldi là (artha) e l’osservanza di una condotta conforme al dovere ve-dico (dharma), fino alla liberazione (mok≤a) dal divenire: cosa, que-st’ultima, che rappresenta lo scopo sovrano della esistenza, il fineumano per eccellenza (puru≤årtha).

    6 Si accenna alla fase planetaria in cui il Dvåparayuga (la terzaera, le precedenti sono: Kÿtayuga o Satyayuga e Tretåyuga) volgevaal termine e stava per iniziare il Kaliyuga, l’era oscura attuale, dimassima distanza dal Principio, caratterizzata da capovolgimento divalori, disordine morale, ecc. e rivolta, secondo la Tradizione, verso

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  • Note alla Introduzione di Âa§kara

    la conclusione del ciclo universale. Alcuni ne fanno coincidere l’ini-zio con la scomparsa di Kÿ≤√a.

    7 Cfr. Ma. Bhå. Âå. Pa. 47.8 Tra gli ordini sociali (var√a) quello dei bråhma√a è al vertice

    della società tradizionale. Gli altri ordini – lo k≤atriya, connesso alpotere legislativo e militare, il vaiŸya all’aspetto finanza o di inter-scambio energetico, e lo Ÿ¥dra all’aspetto operativo legato alla ne-cessità – promanano da quello come riflessi da un Principio. Glistadi di vita (åŸrama) sono: brahmacarya, stadio dell’apprendimento,gÿhasthya, dovere familiare e sociale, vånaprasthya, ritiro ascetico esaænyåsa o completa rinuncia, ampiamente trattata nella Gıtå. Var√ae åŸrama sono tra gli elementi costitutivi sulla cui equilibrata coesi-stenza si regge la società vedica tradizionale. V. note 4.1, 2 e 6.

    9 La måyå esprime l’immensa possibilità del Brahman, che nelleUpani≤ad è detto: il “possessore” o il “signore” della måyå. È attra-verso il suo “potere” di måyå, la capacità “che appartiene a Lui inquanto Vi≤√u”, che, pur essendo totalmente trascendente, apparenel suo aspetto qualificato (Brahman sagu√a, ÙŸvara), come il Signo-re degli esseri e dei mondi. Qual è la natura di måyå e quale la suacausa? Quale la sua sede? Qual è il suo effetto e quale il mezzo persuperarla? La måyå non è né reale (na sat) né non-reale (nåsat),perciò non può essere né definita (anirvacanıya) né descritta (ani-rdeŸya). Non può dirsi reale perché non appena la si osserva scom-pare, ma nemmeno irreale in assoluto perché colui che vi soggiacene sperimenta gli effetti. In realtà il Brahman non è affetto da må-yå: essa viene sovrapposta al Brahman (come capacità di apparire odi essere percepito), per ignoranza della sua natura, da colui che nesubisce l’effetto. Alla måyå universale corrisponde l’avidyå a livelloindividuale, la non-conoscenza (ajñåna) o ignoranza di ordine me-tafisico: pertanto inerisce alla posizione conoscitiva del soggetto e,sussistendo in se stessa, può essere risolta con la conoscenza (vi-dyå, jñåna). Måyå e avidyå si corrispondono reciprocamente: insie-me esistono, insieme si dileguano. La måyå ha il duplice potere divelamento (åvara√a) della realtà e di proiezione (vik≤epa) del non-vero: nascondendo l’Essere inqualificato (Brahman nirgu√a) vi so-

    41

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    vrappone la infinita possibilità di determinazione attraverso unaqualificazione (viŸe≤a) apparente, e proietta in seno a questa una in-definita e cangiante molteplicità esprimentesi attraverso uno svi-luppo progressivo delle qualità (gu√a): per questo si dice che la må-yå si manifesta come movimento conformato e conformante. Allamåyå è dovuta la percezione differenziata delle cose, la nozione di-mensionale e la stessa scissione e conseguente relazione causa-ef-fetto nonché lo stesso divenire ciclico esistenziale (saæsåra); per-tanto è inindagabile: l’investigazione di una causa per la måyå si ri-duce a un circolo vizioso o a una regressione senza fine; così abbia-mo: ajñåna – måyå-avidyå – saæsåra. La måyå viene assimilata al-l’Immanifesto principiale (avyakta) e alla Prakÿti, la natura primor-diale, per la quale si rimanda a Bha. Gı. 13.1 e segg. – e come conti-nuo divenire trasformante (saæsåra). V. nota 7.2. Per i gu√a, v. Bha.Gı. 14.5 e segg.

    10 L’Anugıtå (lett. ‘Il Canto susseguente’) è una sorta di riepilo-go della Bhagavadgıtå che forma, al pari di quella, un episodio delMahåbhårata, comprendente i Capitoli dal 16 al 51 dell’AŸvamedha-parvan.

    11 All’inizio di ogni testo tradizionale vengono esposti i cardinisu cui si articola: il soggetto, lo scopo, l’ordine sociale o lo stadio divita a cui è rivolto e infine il rapporto tra l’opera e tali elementi. Quiil soggetto è la Realtà suprema, il Brahman; lo scopo è la sua realiz-zazione e, quindi, la liberazione dal divenire di måyå; l’ordine so-ciale è quello degli k≤atriya per la Via dell’Azione e quello dei brå-hma√a per la Via della Conoscenza, lo stadio è quello dei completirinunciatari (saænyåsin). Al riguardo Âa§kara afferma: “...colui ilquale abbia operato la completa rinuncia [a tutte le azioni] già dalperiodo dello studentato ed è fermamente stabilito soltanto nel Bra-hman consegue il brahmanirvå√a” (ad Bha. Gı. 2.71).

    *

    42

  • Primo Adhyåya

    (La disperazione di Arjuna)

    Dhÿtarå≤†ra disse:

    1.1. Quando, sul campo del dharma, sul Kuruk≤etra, si furo-no adunati, con intenzioni bellicose, i miei [uomini] e gli stessi[uomini] di På√ƒu, che cosa fecero, o Sañjaya? 1

    Sañjaya rispose:

    1.2. Invero, vedendo l’esercito dei På√ƒava schierato, allorail re Duryodhana si accostò al suo Maestro e pronunciò il di-scorso [seguente]2:

    1.3. O Maestro, rimira questa possente armata della proledei På√ƒu raccolta dal figlio di Drupada, tuo saggio discepolo 3.

    1.4. Possenti arcieri vi sono quaggiù, eroi pari a Bhıma e Ar-juna nel combattere, e ancora Yuyudhåna, Virå†a e Drupadadal grande carro 4.

    1.5. Dhÿ≤†aketu, Cekitåna e il valente re di KåŸi, Purujit, Ku-ntibhoja e Âaibya, il più virile fra gli uomini 5.

    1.6. Yudhåmanyu il possente e Uttamaujå il valente, il figliodi Subhadrå e quelli di Draupadı, davvero tutti [guerrieri] daigrandi carri 6.

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    1.7. Ma tra noi quelli che sono i più insigni ascolta [adesso],o sommo tra i due-volte-nati, i capi della mia armata: te li elen-cherò per la [tua] conoscenza7.

    1.8. Tu [stesso] o Signore, Bhı≤ma, Kar√a e Kÿpa, vincitoredi battaglie, AŸvatthåmå e Vikar√a e anche Jayadratha, figliodi Somadatta,...

    1.9. ...e molti altri valorosi, pronti a sacrificare per me la lo-ro vita, servendosi di armi diverse e tutti Maestri nell’arte delcombattere.

    1.10. Insufficiente è [in apparenza] la nostra armata, al co-mando di Bhı≤ma; poderosa, invece, [sembra] questa loro arma-ta, sotto il comando di Bhıma.

    1.11. E, restando ben saldi in tutte le posizioni come sonostate assegnate, Bhı≤ma stesso dovete proteggere, invero, pro-prio voi tutti.

    1.12. Per spronare il suo istinto di lotta (di Duryodhåna) [al-lora] l’anziano dei Kuru (Bhı≤ma), il potente avo, suonò sì forteil suo corno da farlo ruggire come un leone.

    1.13. Ben presto seguirono suoni potenti di conche, tamburi,timpani e corni e, invero, ne nacque un gran frastuono.

    1.14. Allora Mådhava (Kÿ≤√a) e lo stesso figlio di På√ƒu(Arjuna), rimanendo ritti sul gran carro, tirato da bianchi ca-valli, suonarono le conche loro divine 8.

    1.15. Hÿ≤ıkeŸa (Signore dei sensi) suonò il suo påñcajanya,Dhanañjaya (Arjuna, il Conquistatore delle ricchezze) il suo de-

    44 1.7

  • Primo Adhyåya

    vadatta e Bhıma, dalle terribili imprese e dal ventre di lupo,suonò la sua grande conca pau√ƒra 9.

    1.16. Il re Yudhı≤†hira, figlio di Kuntı, suonò l’anantavijaya,Nakula e Sahadeva suonarono i loro sugho≤a e ma√ipu≤aka.

    1.17. E il re di KåŸi, sommo arciere, e Âikha√ƒı, grande con-duttore di carri, Dhÿ≤†adyumna, Virå†a e Såtyaki l’invincibile,...

    1.18. ...Drupada e i figli di Draupadı tutti assieme, e il figliodi Subhadrå, dalle possenti braccia, da ogni lato risuonarono,ciascuno, le lor conchiglie, o Signore della terra.

    1.19. Quel suono, al cui fragore echeggiarono persino la ter-ra e il cielo, punse il cuore dei figli di Dhÿtarå≤†ra.

    1.20. Allora På√ƒava (Arjuna), che aveva la scimmia per in-segna, dopo aver visto schierati figli di Dhÿtarå≤†ra e volare learmi da lancio, alzando l’arco,...10

    1.21. ...rivolse in quel frangente, o Signore, della terra, que-ste parole a Hÿ≤ıkeŸa (Kÿ≤√a):

    Arjuna disse:

    “O Acyuta (o Indissolubile, Kÿ≤√a), guida il mio carro tra idue eserciti,...

    1.22. ...perché io possa vedere gli uomini qui schierati, bramo-si di guerreggiare e misurarsi con me in questa accesa mischia,...

    1.23. ...perché io possa guardare questi stessi che sono quiadunati, desiderosi di lottare, pronti a combattere per il voleredel figlio di Dhÿtarå≤†ra (Duryodhana), dal cuore iniquo”.

    451.23

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    Sañjaya disse:

    1.24. Così esortato da parte di GuƒåkeŸa (Colui dalle foltechiome, o Signore del sonno, cioè Arjuna), o Bhårata (Dhÿtarå-≤†ra: il re cieco discendente di Bharata), Hÿ≤ıkeŸa condusse ilmigliore dei carri bloccandolo tra i due eserciti...

    1.25. ...e, di fronte a Bhı≤ma, Dro√a e a tutti quei prìncipidella terra, disse: “O Pårtha (o figlio di Pÿthå, cioè Arjuna), ri-mira questi Kuru qui adunati” 11.

    1.26. Allora Pårtha vide, che restavano immobili, i padri epoi gli avi, i Maestri, gli zii, i fratelli, i figli, i nipoti e, ugual-mente, anche i compagni,...

    1.27. ...e, ancora, i suoceri e gli amici, a faccia a faccia, neidue eserciti. Il figlio di Kuntı (Arjuna), vedendo tutti quei pa-renti adunati in tal modo,...

    1.28. ...mosso da pietà e con l’animo turbato parlò così:

    Arjuna disse:

    “O Kÿ≤√a, nel vedere questa mia gente mossa da ardore guer-resco e in attesa del combattimento,...

    1.29. ...le membra mi vengono meno e arsa è la bocca; untremito assale il mio corpo e irti diventano i miei capelli,...

    1.30. ...dalla mano mi sfugge [l’arco] Gå√ƒıva e la mia stes-sa pelle diventa ardentemente infuocata; non riesco più a reg-germi in piedi e la mia mente è come se vacillasse.

    46 1.24

  • Primo Adhyåya

    1.31. E, ancora, segni nefasti io scorgo, o KeŸava (o Tu dallafolta chioma, Kÿ≤√a), né prevedo [alcun] bene se uccido la miagente [pur] nel sacrificio della battaglia.

    1.32. Non desidero vittoria, o Kÿ≤√a, né [alcun] regno, népiaceri. Che cosa [può più valere per noi], o Govinda (o Capodei mandriani, Kÿ≤√a), un regno? Che cosa [possono più valereper noi] i godimenti e la stessa vita?

    1.33. Coloro per i quali desideriamo il regno, i godimenti e ipiaceri, quegli stessi sono schierati [qui] per combattere, rinun-ciando alle ricchezze e alla vita.

    1.34. Maestri, padri, figli e persino gli avi, gli zii, i suoceri,nipoti e cognati e [altri] parenti ancora,...

    1.35. ...o Madhus¥dana (o Distruttore del dèmone Madhu,Kÿ≤√a), neanche se sarò ucciso voglio uccidere costoro, nemme-no per il dominio del triplice mondo, quanto meno, dunque, peramor della terra12.

    1.36. O Janårdana (o Scuotitore degli uomini Kÿ≤√a), quan-do saranno uccisi i figli di Dhÿtarå≤†ra, quale piacere potremmomai avere? Anche facendo perire questi uomini ribaldi, la colpasi attaccherebbe soltanto a noi.

    1.37. Perciò non è degno, per noi, uccidere i figli di Dhÿtarå-≤†ra, nostri parenti; in verità, o Mådhava, come potremmo esse-re contenti dopo aver ucciso i nostri cari?

    1.38. Seppur costoro, la cui ragione è guidata dalla cupidi-gia, non riconoscano il male nel distruggere le famiglie né alcu-na colpa nel tradire gli amici cari,...

    471.38

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    1.39. ...come non sapremmo astenerci da codesta colpa, noiche scorgiamo perfettamente il male nel distruggere le famiglie,o Janårdana?

    1.40. Con la fine della famiglia le [stesse] tradizioni perenni[custodite da parte] della famiglia finiscono per disperdersi e,quando il dharma è distrutto, è l’adharma, allora, che trionfasulla intera stirpe.

    1.41. Quando l’adharma trionfa, o Kÿ≤√a, le donne della fa-miglia [che devono sanamente perpetuare la progenie] diventanocorrotte e dalla corruzione delle donne, o Vår≤√eya (o discenden-te di Vÿ≤√i, un antenato di Kÿ≤√a), deriva la confusione delleclassi sociali.

    1.42. La confusione [delle classi sociali trascina] la famigliae coloro che hanno distrutto la famiglia nell’inferno stesso, per-ché [colà] cadono gli [spiriti degli] antenati ai quali vengono amancare le offerte di riso e di acqua 13.

    1.43. Per via di questi misfatti [perpetrati da parte] dei di-struttori di famiglie, che causano la confusione degli ordini so-ciali, vengono [altresì] annientate le perenni leggi di nascita ele leggi della famiglia.

    1.44. La dimora [finale] degli uomini le cui osservanze fa-miliari sono state distrutte, o Janårdana, è inevitabilmente nel-l’inferno: così ascoltammo.

    1.45. Ohimé! Attenzione! Noi siamo determinati a commet-tere una grave colpa, dacché siamo in procinto di uccidere lanostra gente per avidità nei confronti della felicità del regnare.

    48 1.39

  • Primo Adhyåya

    1.46. Sarebbe meglio per me se i figli di Dhÿtarå≤†ra, con learmi in pugno, mi uccidessero nella mischia, senza che io oppo-nessi alcuna resistenza e privo di armi”.

    Sañjaya disse:

    1.47. Dopo aver così parlato, Arjuna, durante lo scontro, miseda parte l’arco e le frecce e, montato sul [suo] carro, si accasciòcon l’animo sconvolto dal dolore.

    Nelle Scritture yoga sulla conoscenza del Brahmanappartenenti alla Upani≤ad della sacra Bhagavadgıtå,

    questo è il Primo Capitolonel dialogo tra Kÿ≤√a e Arjuna

    intitolato:‘La disperazione di Arjuna’.

    *

    491.47

  • NOTE al Primo Adhyåya

    1 Il “campo del dharma” (dharmak≤etra) simboleggia il mondoempirico nel quale si fronteggiano forze opposte e nel quale il jıvasvolge la sua esperienza vitale; in tal senso è anche karmak≤etra, il“campo dell’azione”, quindi il piano della dualità, della limitazione,della contrapposizione e della conflittualità, il regno della resisten-za, dell’impedimento e della difficoltà. Il ‘campo’ di ogni essere ècaratterizzato dal suo dharma, l’insieme dei doveri spettanti all’in-dividuo in base alle qualificazioni inerenti alla sua natura e alla suacollocazione nell’ambito della società, e dal suo karman, il fruttomaturato e non degli atti compiuti. Kuruk≤etra, lett. “il campo diKuru”, dal nome dell’antenato di Kÿ≤√a, è lo storico sito bellico ubi-cato nell’India settentrionale nel quale si svolse la guerra descrittae che è ancora oggi mèta di visite e pellegrinaggi. Sañjaya è l’auri-ga ministro del re Dhÿtarå≤†ra, privo della vista.

    2 Il maestro di Duryodhana è Dro√a.

    3 Il figlio di Drupada, re di Påñcåla, è Dhÿ≤†ådyumna.

    4 Arjuna è l’arciere dei På√ƒava e il discepolo di Kÿ≤√a: a lui èrivolto l’insegnamento di questo sacro testo.

    5 Si tratta di valorosi combattenti assurti al rango di eroi e capidelle rispettive armate.

    6 Il figlio di Subhadrå è Abhimanyu.

    7 Il “due-volte-nato” (dvija) è colui che, grazie alla iniziazione,di cui l’investitura del sacro cordone è il segno palese, è rinato allavita spirituale, la vera nascita che lo porterà alla liberazione.

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    8 Mådhava è Kÿ≤√a, discendente di Madhu. Il carro simboleggiail veicolo psicofisico, che nel suo sperimentare è trascinato da cavalliquali i sensi e gli istinti o, più in generale, dai contenuti subconscipreesistenti che ne hanno determinato la nascita. Il suo conduttore(Kÿ≤√a) simboleggia l’åtman nel suo aspetto individuato, mentreArjuna è la mente egoica. Il simbolismo del carro ricorre anche inalcune Upani≤ad, per es.: Ka. 1.3.9.

    9 Kÿ≤√a viene nominato in vari modi, con appellativi che accen-nano a doti divine o ad altre peculiarità, come: Madhus¥dana, A-ris¥dana, Govinda, Våsudeva, Yådava, KeŸava, Mådhava, Janårda-na, Hÿ≤ıkeŸa, Acyuta. Anche Arjuna viene chiamato in vari modi,dei quali sarà data singolarmente la spiegazione. Per l’appellativoDhanañjaya (Conquistatore di ricchezza) si veda Bha. Gı. 18.29 eCommento di Âa§kara.

    10 På√ƒava (lett. discendente di På√ƒu) è Arjuna, la cui effigieregale è rappresentata dalla scimmia Hanumån.

    11 Pårtha è ancora Arjuna, in quanto figlio di Pÿthå. Talora èchiamato Kaunteya, perché Pÿthå aveva anche nome Kuntı.

    12 Il “triplice mondo” (triloka) è la manifestazione consideratanelle tre sfere: fisica-grossolana, sottile-energetica e causale-nou-menica. La sua controparte divina viene talora evocata con le Vyå-hÿti, esclamazioni mistiche che simbolizzano la “terna dei mondi”(lokatraya): la sfera terrena (bh¥r), la sfera intermedia sottoposta aideva (bhuvas) e quella del cielo (svar), dimora dell’Essere qualifica-to quale Principio reggente della intera manifestazione.

    13 Si tratta delle offerte rituali, consistenti in pallottole di riso (pi-√ƒa) e in acqua (udaka), fatte agli Antenati e descritte nella sezionedel Mahåbhårata chiamata DharmaŸåstra (Ma. Bhå. 12.3. 214-215).

    *

    52

  • Secondo Adhyåya

    (Lo yoga della investigazione discriminante1)

    Sañjaya disse [a Dhÿtarå≤†ra]:

    2.1. A lui (Arjuna), che era così sgomento, pervaso dalla pie-tà e con gli occhi pieni di lacrime, Madhus¥dana (Kÿ≤√a) rivol-se queste parole:

    Ârı Bhagavat 2 disse:

    2.2. Donde ti è sopraggiunta questa debolezza nel momentodifficile? Essa è indegna di un ario, non conduce al cielo ed èapportatrice di infamia, o Arjuna.

    2.3. Non cedere giammai a questo vile sentire, o Pårtha! Essonon si conviene a te. Abbandonata la meschina debolezza dispirito, sorgi, o Paraætapa (o Terrore degli avversari, Arjuna)!

    Arjuna disse:

    2.4. Come potrò, io, nello scontro, scagliarmi contro Bhı≤mae Dro√a, o Madhus¥dana, con i [miei] dardi, [contro quelli] chesono entrambi degni di rispetto, o Aris¥dana (o Sterminatoredel nemico, Kÿ≤√a)?

    2.5. Invero, è meglio vivere in questo mondo anche [solo] diquanto elemosinato, che uccidere Maestri ampiamente stimati.

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    Ma dando la morte ai [miei] Maestri, per quanto avidi di gua-dagno, godrei qui stesso [soltanto] di gioie intrise di sangue.

    2.6. E non sappiamo [neanche] ciò che sarebbe meglio pernoi: se vincere [noi] o se essere, noi, vinti da loro. I figli di Dhÿ-tarå≤†ra sono quelli schierati di fronte [a noi]: quale desiderio divivere potremmo [più] avere, noi, una volta uccisi quegli stessi?

    2.7. Con il mio intero essere devastato dalla pecca della com-miserazione e con l’intelligenza completamente confusa riguar-do al [mio] dovere, ti chiedo: dimmi risolutamente quello che èmeglio per me; io sono tuo discepolo, istruiscimi, ti supplico.

    2.8. Invero, non scorgo come possa venire allontanato da meil dolore che ha inaridito i [miei] sentimenti, quando avessi ot-tenuto sulla terra un prospero regno senza nemici o perfino lasovranità sugli dèi.

    Sañjaya disse:

    2.9. Dopo che GuƒåkeŸa (Arjuna), l’uccisore dei nemici, ebbecosì parlato a Hÿ≤ıkeŸa (Kÿ≤√a), e detto a Govinda (Kÿ≤√a): ‘noncombatterò’, divenne allora silenzioso.

    2.10. Hÿ≤ıkeŸa, come sorridendo, pronunciò, a lui (Arjuna)che stava angosciato in mezzo ai due eserciti, queste parole, oBhårata:

    Ordunque, questa parte, a cominciare dal passo: «Veden-do l’esercito dei På√ƒava schierato...» (Bha. Gı. 1.2) fino alpasso: «...detto a Govinda: ‘non combatterò’, divenne allorasilenzioso» (Bha. Gı. 2.9), sta per essere spiegata in quanto in-tesa a mostrare la causa del sorgere di quei mali quali la soffe-renza, l’illusione mentale, ecc. che per gli esseri viventi costi-

    2.554

  • Secondo Adhyåya

    tuiscono il seme del divenire ciclico (saæsåra). In tal senso,infatti, dal passo: «...Come potrò, io, (nello scontro, scagliar-mi) contro Bhı≤ma...», ecc. (Bha. Gı. 2.4), da parte di Arjuna èstato mostrato che sia la sofferenza (Ÿoka) che l’illusione men-tale (moha) prodotte dal proprio [senso di] attaccamento o se-parazione in rapporto a potere, maestri, figli, amici, affetti,congiunti e parenti prossimi e lontani, sono dovute alla erro-nea nozione: ‘io appartengo a loro, questi appartengono a me’.

    Infatti, allorché la conoscenza discriminante [di Arjuna]venne soverchiata dal dolore e dalla illusione, sebbene fosseobbligato al combattimento, che è proprio il dovere peculiaredello [ordine] k≤atra, [egli] si astenne da tale lotta manifestan-do l’intenzione di intraprendere vita da mendicante, ecc., cheè il dovere di un altro [ordine sociale]3. E così, per tutti gli es-seri viventi, i cui intelletti siano deviati dai difetti del dolore edella illusione, si avrà in un modo analogo a questo la com-pleta deposizione del proprio dovere, quello stesso che spetta[loro] per propria natura, e l’assunzione di ciò che è [loro]proibito4. Sebbene [tutti gli esseri] siano intenti al compimen-to del proprio dharma, la loro attività in relazione a parola,mente e corpo, ecc. è [comunque] preceduta dall’impulso al[conseguimento del] frutto (phala) ed è [pertanto sempre] as-sociata al senso dell’io (ahaækåra). In tal caso, così essendo, acausa dell’accumulo di merito e demerito (dharmådharma)5,[per tali esseri ordinari] il divenire ciclico, consistente nella[esperienza alterna o frammista di] felicità e sofferenza, ecc.attraverso l’assunzione di nascite desiderabili e indesiderabili,si verifica incessantemente; pertanto l’illusione mentale e ildolore costituiscono il seme (bıja) del divenire ciclico. E poi-ché Ÿrı Bhagavat Våsudeva (Kÿ≤√a) affermò che la loro cessa-zione (nivÿtti) è determinata [soltanto] dalla conoscenza del-l’åtman preceduta dalla completa rinuncia (saænyåsa) a [quel-lo che è il frutto di] tutte le azioni (karman), al fine di accor-dare la grazia al mondo intero [Egli] insegnò ciò ad Arjuna

    2.10 55

  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    [dal passo]: «Ti stai affliggendo per quelli che non dovrebbe-ro essere rimpianti...» (Bha. Gı. 2.11).

    Obiezione: A tale riguardo alcuni6 sostengono: l’assolutez-za (kaivalya, la liberazione) non può essere certo conseguitasoltanto grazie al mero fondarsi nella conoscenza dell’åtmandopo aver operato la completa rinuncia a tutte le azioni.

    In che modo, allora [può essere conseguita]?Il conseguimento della assolutezza [discende bensì] dalla

    conoscenza [ma] quando è abbinata all’attività [rituale, ecc.]come l’Agnihotra, ecc.7 quale è contemplata nella Âruti e nellaSmÿti. Questo è il significato ben accertato di tutta la Gıtå. E[a conferma di ciò costoro] adducono [diversi passi] che espri-mono questo significato, come: «Ma se tu non affronteraiquesto legittimo scontro...» (Bha. Gı. 2.33), «È la sola azionequella per la quale tu possiedi qualificazione...» (Bha. Gı. 2.47),«Perciò tu stesso compi l’azione come è stato fatto (dagli anti-chi in passato)», ecc. (Bha. Gı. 4.15). Né si deve insinuare ildubbio che l’attività rituale vedica conduce all’adharma per-ché comporta [atti di] crudeltà, ecc. [nei confronti di esseriviventi].

    Perché?[Perché Ÿrı Bhagavat] ha affermato: in primo luogo, che

    l’azione che compete all’ordine k≤atra e che consiste specifi-camente nel combattere, benché sia estremamente crudele dalmomento che comporta atti di violenza nei confronti di Mae-stri, fratelli, figli, ecc., è il dharma proprio [dello k≤atriya], percui il compierla non conduce al demerito (adharma); in se-condo luogo che, nel caso in cui non dovesse essere compiuta,«...allora, obliando il tuo svadharma e il tuo onore, commette-rai errore» (Bha. Gı. 2.33). Quanto detto fa comprendere chia-ramente che le attività [rituali, ecc.] proprie [di ciascuno inquanto] imposte a noi dalla Âruti per tutta la durata della vitanon sono atti la cui natura è contraria al dharma, nonostante

    2.1056

  • Secondo Adhyåya

    che possano comportare [anche] forme di crudeltà nei con-fronti di [esseri viventi come] animali, ecc.

    Risposta: Ciò non è vero, in quanto da parte di Bhagavat, apartire dal passo: «(Ti affliggi) per quelli che non dovrebberoessere rimpianti...», ecc. (Bha. Gı. 2.11) fino al passo: «E poi,considerando il tuo proprio dharma...», ecc. (Bha. Gı. 2.31), vie-ne espressa una distinzione relativamente all’attenersi alla co-noscenza (jñåna) o al fare assegnamento sull’attività rituale (ka-rman), [modalità] che si fondano su due [opposte] concezioni.

    Quella, descritta come la realizzazione consapevole dellaessenza (tattva) qual è l’åtman in quanto realtà assoluta (pa-ramårtha), è [definita come] Såækhya; tale concezione affer-ma questo concetto: l’åtman è non-agente (akartÿ) poiché inrelazione all’åtman non si ha la sestuplice modificazione con-sistente nella nascita, ecc.8 [La dottrina filosofica] che scaturi-sce dalla effettiva realizzazione del significato di questo capi-tolo determina la concezione Såækhya e i conoscitori dai qua-li essa viene adottata sono [anch’essi detti] såækhya.

    [Invece] la concezione che, prima del sorgere di questa co-noscenza, presenta tale contenuto: lo yoga consiste nella pra-tica dei mezzi di liberazione (mok≤asådhana) preceduta dalladiscriminazione tra il dharma e l’adharma e fondata sulla na-tura di agente e sulla natura di fruitore dell’åtman, il qualesarebbe distinto dal corpo, ecc., è [definita come] la concezio-ne Yoga, e i praticanti ritualisti (karmin) dai quali essa vieneadottata sono [detti] yogin.

    Pertanto, nel passo: «Questa, che ti è stata insegnata, è laconoscenza in relazione al Såækhya. Ma [ora] ascolta questa[altra conoscenza] in relazione allo Yoga...» (Bha. Gı. 2.39),Bhagavat prospetta due distinte concezioni; delle due, laddovedice: «In questo mondo un duplice sentiero fu da Me enuncia-to in principio, o Anagha (o Tu senza pecca, Arjuna): (per isåækhya è [il sentiero realizzativo] attraverso lo yoga della

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  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    conoscenza...)» (Bha. Gı. 3.3), esporrà separatamente ai såæ-khya il sentiero realizzativo (ni≤†hå) attraverso lo “yoga dellaconoscenza” (jñånayoga), il quale si fonda sulla concezioneSåækhya, e, in maniera simile, [laddove dice]: «...per gli yo-gin è [quello] attraverso lo yoga dell’azione» (Bha. Gı. 3.3), in-dicherà separatamente [agli yogin] il sentiero realizzativo at-traverso lo “yoga dell’azione” (karmayoga), il quale si basasulla concezione Yoga. Così Bhagavat stesso ha enunciato duedistinti sentieri realizzativi fondati sulle concezioni che attri-buiscono [all’åtman] una natura non-agente (akartÿtva) e diunità (ekatva) o una natura agente (kartÿtva) e di molteplicità(anekatva), riferendosi [rispettivamente] alla concezione Såæ-khya e alla concezione Yoga, in quanto ha constatato che perun solo essere umano è impossibile ricorrere contemporanea-mente all’attività rituale (karman) e alla conoscenza (jñåna).In maniera simile a questa menzione distinta, così stesso simostra nello Âatapatha Bråhma√a; dopo aver ingiunto la com-pleta rinuncia a tutte le azioni: «(Quelli che vagano peregri-nando), aspirando soltanto a quello stato (il Brahman), erranoavendo intrapreso la vita di monaci itineranti» (Bÿ. 4.4.22), acompletamento di ciò [si domanda]: «...cosa otterremmo dauna progenie, noi che abbiamo realizzato l’åtman e possedia-mo questo mondo?» (Bÿ. 4.4.22). Sempre lì [si afferma che] ilPuru≤a [primordiale, ossia] l’åtman [che era uno soltanto],prima di unirsi in matrimonio con una donna ma successiva-mente alla [acquisizione ed espletazione della] istanza di co-noscenza del [proprio] dharma, desiderò [ottenere] i mezzi[di conseguimento] del triplice mondo9, cioè la progenie e laprosperità secondo due modalità: quella umana (månu≤a) equella divina (daiva). Tra le due, la prosperità di ordine uma-no ha la natura dell’azione (karman) e costituisce un mezzo diconseguimento del mondo dei Padri (pitÿloka), mentre la pro-sperità di ordine divino consiste nella conoscenza (vidyå) ecostituisce il mezzo per conseguire il mondo degli Dei (deva-

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  • Secondo Adhyåya

    loka)10. In tal modo si mostra che tutte le attività rituali pre-scritte dalla Âruti, ecc. concernono solamente colui che nutredesiderio [di prosperità terrena o ultraterrena] ed è soggettoalla ignoranza, [mentre nel passo: Bÿ. 4.4.22 si afferma in so-stanza che] avendo abbandonato tali [desideri finalizzati alrito, cioè la moglie e la ricchezza] «...errano avendo intrapre-so la vita di monaci itineranti». Dunque la deposizione (vyu-tthåna) [di qualsiasi attività rituale] viene ingiunta solamentea colui che, libero dal desiderio, aspira al mondo che è l’åtman(la sfera del puro Essere). In effetti, se Bhagavat avesse stabi-lito l’associazione della conoscenza e dell’attività rituale pre-scritta dalla Âruti, non sarebbe logicamente ammissibile unatale menzione separata [dei due sentieri], né sarebbe plausibi-le la domanda formulata da Arjuna [nel passo]: «...Se è tuaconvinzione che la saggezza è superiore all’azione (o Janårda-na, allora perché mi sospingi a una [così] terribile azione, oKeŸava?)» (Bha. Gı. 3.1). In che modo Arjuna potrebbe attri-buire a Bhagavat ciò che prima non è stato né detto da Bha-gavat né udito [da Arjuna], cioè l’impossibilità che la cono-scenza e l’attività rituale possano essere seguite [contempora-neamente] da un solo individuo, e la superiorità della cono-scenza rispetto all’azione [quale si apprende dal passo]: «...seritieni la conoscenza superiore all’agire...», ecc. (Bha. Gı. 3.1),come se si trattasse di un errore?

    Inoltre, se l’associazione dell’attività rituale con la cono-scenza fosse stata espressa per tutti, allora sarebbe stata [im-plicitamente] pronunciata anche per Arjuna; ma in tal caso,stante l’istruzione su entrambi [i sentieri], che senso avrebbela domanda [da parte di Arjuna] avente per oggetto [soltanto]uno dei due [sentieri, quale si legge nel passo]11: «(O Kÿ≤√a,elogi la completa rinuncia nei confronti delle azioni e altresìlo yoga [dell’azione]). Quello, che è il migliore tra questi due,quello solo dimmelo chiaramente» (Bha. Gı. 5.1). Infatti, se unmedico prescrive di assumere una [data pozione] dolce unita-

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  • Bhagavadgıtå con il Commento di Âa§kara

    mente a una rinfrescante a quegli che desidera alleviare unacolica biliare, non può essere [sensatamente formulata da co-stui] una domanda come: ‘di’, quale dei due [medicamenti] èin grado [da solo] di calmare la colica?’.

    Obiezione: Si potrebbe immaginare che la domanda di Ar-juna sia stata indotta da una certa incapacità di discriminareil significato di quanto ha enunciato Bhagavat.

    Risposta: Anche in tal caso, Bhagavat, rispondendo appro-priatamente a tale domanda, avrebbe dovuto esprimersi così:‘io ho enunciato in maniera esplicita l’associazione di cono-scenza e azione rituale: perciò, per qual motivo intendi erro-neamente?’. Infine, non sarebbe ragionevole nemmeno affer-mare come risposta appropriata [a quella domanda]: ‘primaho enunciato due sentieri realizzativi’, perché [ciò] risultereb-be affatto estraneo a quanto domandat