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SEZIONE 1 Il Medioevo 1 © 2016 - M. Sambugar, G. Salà - Letteratura viva Beowulf La genesi dell’opera Beowulf (VIII sec.) è il poema epico più antico e importan- te della letteratura anglosassone. La prima testimonianza scritta risale alla fine del secolo X, ma si tratta, con ogni probabilità, di una traduzione da un originale scandinavo composto forse verso la metà dell’VIII secolo. La storia è ambientata tra Danimarca e Svezia; tra i personaggi compaiono alcuni re danesi e svedesi vissuti nel VI secolo. Essa si diffuse in Inghilterra durante l’VIII secolo, in concomitanza con la conquista danese dell’isola. La struttura e la trama Il poema, composto di 3182 versi allitteranti, senza ri- me e con due accenti forti, che dovevano richiamare l’attenzione del pubblico (il testo veniva infatti recitato ad alta voce), si divide in due parti. La prima parte è incentrata sull’impresa di Beowulf. La storia si svolge nell’iso- la danese di Seeland, su cui regna Hrothgar della dinastia Scyldinga. Da dodici anni la reggia, l’Herot (il Cervo), viene attaccata dal mostro Grendel, che uccide i vassalli del re e ne porta i corpi nella sua tana in fondo a una palude. Le notizie delle sue terribili stragi giungono nella terra dei Geati (Svezia meridionale) su cui regna Hygelac, lo zio di Beowulf. Quest’ultimo, con quattordici compagni, si re- ca in Danimarca per affrontare il mostro. Accolto festosamente dal re Hrothgar, di notte Beowulf si nasconde nella grande sala della reggia in attesa di Grendel. Il mostro arriva e, dopo aver fatto scempio di uno dei commensali, si avvicina a Beowulf e cerca di afferrarlo, ma l’eroe lo prende per il polso e, stringendolo come una morsa, riesce a strappargli un braccio e a costringerlo a fuggire nella sua tana. Beowulf conficca quindi nella parete quell’artiglio mostruoso in segno di vittoria. Poiché Grendel muore per le ferite riportate, la notte seguente sua madre pene- tra nel castello per vendicarlo e rapisce Aschere, l’amico più caro del re. All’alba, Hrothgar e Beowulf, alla testa di un gruppo di valorosi, inseguono la madre di Grendel fino a una stretta laguna. L’eroe s’immerge nell’acqua popolata da mostri marini e, dopo una dura lotta, riesce a ucciderla, taglia la testa di Grendel e rie- merge con il trofeo dall’acqua rossa di sangue tra le grida di gioia dei suoi com- pagni. Il re festeggia la vittoria colmandolo di doni. Beowulf ritorna in patria e offre i doni ricevuti al re, suo zio. La seconda parte narra la morte di Beowulf. La vicenda si svolge nel regno dei Geati. Sono passati cinquant’anni e Beowulf è diventato re. È ormai vecchio, ma quando viene a sapere che un drago sta seminando morte e distruzione nel suo regno, perché era stato derubato di una coppa appartenente al tesoro a lui affidato in custodia, decide di affrontarlo alla testa di un gruppo di valorosi guerrieri che, tuttavia, alla vista del drago, fuggono terrorizzati. Solo Wiglaf, suo caro amico e parente, rimane accanto al vecchio re. I due affrontano con coraggio il mostro e Beowulf riesce a ucciderlo, ma, investito dalle fiamme, muore a sua volta. Pri- ma di spirare, si fa portare il tesoro del drago, contento di aver dato la vita per il bene del proprio popolo. Il suo corpo viene deposto su un’alta pira e bruciato; le sue ceneri vengono sepolte con il tesoro del drago sulla cima di un promontorio.

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SEZIONE 1 Il Medioevo1

© 2016 - M. Sambugar, G. Salà - Letteratura viva

BeowulfLa genesi dell’opera Beowulf (VIII sec.) è il poema epico più antico e importan-te della letteratura anglosassone. La prima testimonianza scritta risale alla fine del secolo X, ma si tratta, con ogni probabilità, di una traduzione da un originale scandinavo composto forse verso la metà dell’VIII secolo. La storia è ambientata tra Danimarca e Svezia; tra i personaggi compaiono alcuni re danesi e svedesi vissuti nel VI secolo. Essa si diffuse in Inghilterra durante l’VIII secolo, in concomitanza con la conquista danese dell’isola.

La struttura e la trama Il poema, composto di 3182 versi allitteranti, senza ri-me e con due accenti forti, che dovevano richiamare l’attenzione del pubblico (il testo veniva infatti recitato ad alta voce), si divide in due parti.

●● La prima parte è incentrata sull’impresa di Beowulf. La storia si svolge nell’iso-la danese di Seeland, su cui regna Hrothgar della dinastia Scyldinga. Da dodici anni la reggia, l’Herot (il Cervo), viene attaccata dal mostro Grendel, che uccide i vassalli del re e ne porta i corpi nella sua tana in fondo a una palude. Le notizie delle sue terribili stragi giungono nella terra dei Geati (Svezia meridionale) su cui regna Hygelac, lo zio di Beowulf. Quest’ultimo, con quattordici compagni, si re-ca in Danimarca per affrontare il mostro. Accolto festosamente dal re Hrothgar, di notte Beowulf si nasconde nella grande sala della reggia in attesa di Grendel. Il mostro arriva e, dopo aver fatto scempio di uno dei commensali, si avvicina a Beowulf e cerca di afferrarlo, ma l’eroe lo prende per il polso e, stringendolo come una morsa, riesce a strappargli un braccio e a costringerlo a fuggire nella sua tana. Beowulf conficca quindi nella parete quell’artiglio mostruoso in segno di vittoria.

Poiché Grendel muore per le ferite riportate, la notte seguente sua madre pene-tra nel castello per vendicarlo e rapisce Aschere, l’amico più caro del re. All’alba, Hrothgar e Beowulf, alla testa di un gruppo di valorosi, inseguono la madre di Grendel fino a una stretta laguna. L’eroe s’immerge nell’acqua popolata da mostri marini e, dopo una dura lotta, riesce a ucciderla, taglia la testa di Grendel e rie-merge con il trofeo dall’acqua rossa di sangue tra le grida di gioia dei suoi com-pagni. Il re festeggia la vittoria colmandolo di doni. Beowulf ritorna in patria e offre i doni ricevuti al re, suo zio.

●● La seconda parte narra la morte di Beowulf. La vicenda si svolge nel regno dei Geati. Sono passati cinquant’anni e Beowulf è diventato re. È ormai vecchio, ma quando viene a sapere che un drago sta seminando morte e distruzione nel suo regno, perché era stato derubato di una coppa appartenente al tesoro a lui affidato in custodia, decide di affrontarlo alla testa di un gruppo di valorosi guerrieri che, tuttavia, alla vista del drago, fuggono terrorizzati. Solo Wiglaf, suo caro amico e parente, rimane accanto al vecchio re. I due affrontano con coraggio il mostro e Beowulf riesce a ucciderlo, ma, investito dalle fiamme, muore a sua volta. Pri-ma di spirare, si fa portare il tesoro del drago, contento di aver dato la vita per il bene del proprio popolo. Il suo corpo viene deposto su un’alta pira e bruciato; le sue ceneri vengono sepolte con il tesoro del drago sulla cima di un promontorio.

UNITÀ 1Poesia epica e letteratura cortese 2

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1. cerchiato di anelli: gli anelli sono le maglie di ferro della cotta.2. la cotta: la cotta è una veste di ferro, lunga fino a metà coscia, usata dai guerrieri.

3. la Lupa del lago: la madre di Grendel. Il nome «Lupa» è usato qui metaforica-mente: sta a indicare chi ha trasgredito al diritto delle genti, il fuorilegge.

4. il signore degli anelli: Beowulf che in-dossava la cotta di anelli di ferro.

Il duello tra Beowulf e la madre di Grendel(Beowulf)

Dopo che la madre di Grendel, mostruosa come il figlio, ha rapito Aschere, l’amico più caro del re, per vendicare la morte del figlio, Beowulf e Hrothgar si mettono sulle sue tracce alla testa di un gruppo di guerrieri. Giungono così in una laguna, dove tro-vano la testa mozzata di Aschere: Beowulf decide di immergersi nelle acque infestate da draghi e serpenti per affrontare «la Lupa degli Abissi». Il principe Unferd gli offre la spada a elsa lunga, chiamata Hrunting. L’eroe l’accetta riconoscente e si tuffa; la ma-dre di Grendel, non appena lo vede, lo attacca.

Contenuti• Lotta tra Beowulf e la madre di Grendel:

scontro tra bene e male• Beowulf, figura ideale di eroe valoroso

1505

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Metrica: nell’originale i versi, divisi in due emistichi da una cesura (nella traduzione è evidenziata dallo spazio bianco), sono allitteranti, cioè il suono delle sillabe accentate viene ripetuto all’inizio di ogni emistichio.

[...] Si lanciò ad afferrarlo,strinse l’uomo di guerra, negli orribili artigli.Ma non riuscì a penetrargli nel corpo, intatto: all’esternoera cerchiato di anelli1, così che non potevapassargli la veste di guerra, la cotta2 ammagliata sul petto,con le sue dita odiose. Allora la Lupa del lago3,calando verso il fondo, si portò nella tanail signore degli anelli4: che, perciò, non poteva,per animoso che fosse, maneggiare le armi;e molte meraviglie lo straziarono, in quegli abissi,mille bestie marine gli punsero la camicia di guerracon i corni agguerriti, gli minacciarono morte.

vv. 1501-1512 […] [La madre di Grendel] si lanciò per afferrarlo, strinse il guerriero [uomo di guer-ra], nei [suoi] orribili artigli. Ma non riuscì a conficcargli [penetrargli] [gli artigli] nel corpo, [che rimase] intatto: all’esterno era difeso tutt’intorno [cerchiato] da anelli [di ferro], così che [la ma-dre di Grendel] non poteva attraversare [passargli] l’armatura [veste di guerra] [di Beowulf], la sopravveste [cotta] ricoperta di maglie [ammagliata] [che aveva] sul petto, con i suoi artigli [dita] odiosi. Allora la Lupa del lago, scendendo [calando] verso il fondo, si portò nella [sua] tana il signore ricoperto di anelli di ferro [degli anelli]: il quale [che], perciò, non poteva, ben-ché [per… che] fosse coraggioso [animoso], usare [maneggiare] le armi; e molti mostri [mera-viglie] lo tormentarono [straziarono], in quegli abissi, infinite [mille] bestie marine gli colpirono [punsero] la cotta di maglia [camicia di guerra] con le corna [corni] ostili [agguerriti], [e] lo [gli] minacciarono di morte.

Parafrasi

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5. cantò... guerra: la spada di Beowulf si chiama Hrunting ed è un’arma magica, do-natagli dal guerriero danese Unferd. Viene descritta quasi come una creatura viva, con uso di molte metafore: «cantò... un avido

canto di guerra», «non riusciva a morde-re», «fiamma di guerra». Anche il suo falli-mento è descritto come quello di un uomo che tradisce il proprio principe (v. 1527) e perde quindi la propria fama (v. 1530).

6. Hygelāc: re dei Geati, una tribù di Goti che abitano una regione della Sve-zia (Götaland), è signore feudale e anche zio di Beowulf.

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Si rese conto, infine, il conte, di trovarsidentro una sorta di odioso stanzonesenza più a disturbarlo neppure un filo d’acqua:né poteva toccarlo la morsa improvvisadella marea, per via della volta dello stanzone.Vide un bagliore di fuoco: un chiaro sfolgoraredi livide fiamme. E si trovò di frontela Lupa degli Abissi, la gigantesca Donnadella laguna. Affidò l’urto della sua forzaalla sua spada di guerra; non le lesinò i colpi,la sua mano, così che sulla testa di leicantò, l’arma ad anello, un avido canto di guerra5.Poi l’intruso scoprì che non riusciva a mordere,la sua fiamma di guerra, a minacciarle la vita:la spada, in quel pericolo, stava tradendo il principe.Pure, aveva subìto parecchi corpo a corpo:aveva spesso spaccato elmi e vestiti di guerraa condannati. Per la prima volta si smentiva la famadi quel prezioso oggetto. Lui si ostinava ancora:non rallentava lo slancio, pensando alle sue imprese,il nipote di Hygelāc6. Infine il guerriero, furioso,gettò l’arma ritorta, incastonata di gemme.

vv. 1513-1524 Alla fine, il conte [Beowulf], si rese conto che si trovava dentro una specie [sorta] di brutto [odioso] salone [stanzone] senza più nemmeno un filo d’acqua che lo disturbasse [a di-sturbarlo]: né poteva raggiungerlo [toccarlo] l’assalto [morsa] improvviso della marea, a cau-sa [per via] del soffitto [volta] del salone [che lo proteggeva]. Vide la luce [un bagliore] di un fuoco: il brillare [sfolgorare] luminoso [chiaro] di fiamme violacee [livide]. E si trovò di fronte la Lupa degli Abissi, la gigantesca Donna della laguna. Concentrò [Affidò] il massimo [l’urto] del-la sua forza nella sua spada di guerra; la sua mano non le risparmiò [lesinò] i colpi, così che sulla testa di lei la spada [arma] con l’elsa sormontata da un anello [ad anello] intonò [cantò] un canto di guerra avido [di sangue].

vv. 1525-1534 Poi [Beowulf, che era lì un] intruso si accorse [scoprì] che la sua spada, benché violenta come una fiamma di guerra, non riusciva a ferire [mordere], a minacciare la vita [del-la donna]: la spada, in quel [momento di] pericolo, stava tradendo il principe. Eppure [Pure], [essa] aveva affrontato [subìto] parecchi [scontri] corpo a corpo: aveva spesso spaccato elmi e armature [vestiti di guerra] a uomini condannati [dal destino alla morte]. Per la prima volta veniva smentita [si smentiva] la fama di quell’arma [oggetto] preziosa. Beowulf [Lui] insisteva [si ostinava] ancora: non rallentava l’assalto [lo slancio], pensando alle sue imprese [passate], [lui che era] il nipote di Hygelāc. Alla fine il guerriero, infuriato [furioso], buttò a terra [gettò] l’arma lavorata [ritorta], incastonata di pietre preziose [gemme].

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7. spada antica di giganti: una spada che an-ticamente era appartenuta a dei giganti, da-

ta la sua enorme dimensione (vedi vv. 1558-1560). I giganti sono figure centrali della mi-

tologia scandinava, che li riteneva i primi abi-tanti del mondo.

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1550

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Restò buttata a terra, la lama robusta d’acciaio.Lui si affidò alla sua forza, alla potenza del pugno.Così bisogna fare quando si va allo scontrosognando una fama durevole: non si pensa alla vita.

Poi afferrò per la spalla la madre di Grendella Nemica della sua vita, che si abbatté sul suolo.Ma subito si alzò: lo ripagò con un colpodelle grinfie crudeli, lo riacchiappò. Strematonell’animo, inciampò il più forte dei guerrieri,e finì per cadere combattendo appiedato.Gli si sedette sopra, all’intruso nella sua casa,e tirò fuori un coltello, largo, di lama lucida:voleva vendicare il figlio, la sua solacreatura. Sopra le spalle di lui si stendeva la retedi maglia per il petto e gli salvò la vita:di punta o di taglio, non le permise di entrare.Sarebbe certo perito, il campione dei Geati,se non l’avesse soccorso la cotta di battaglia,la dura rete di guerra, e se Dio santonon gli avesse concesso vittoria in quello scontro.

Vide, su un mucchio di arnesi, una lama dotatadi vittoria, una spada antica di giganti7,un segno di prestigio per qualunque guerriero,la perla delle armi. Soltanto, era più grande

vv. 1535-1538 La lama robusta d’acciaio rimase buttata a terra. Beowulf si affidò alla sua [sola] forza, alla potenza del [suo] pugno. Così bisogna fare quando si va a uno scontro sognando [di ottenere] una fama durevole: non bisogna pensare [si pensa] a [salvarsi] la vita.

vv. 1539-1554 Poi afferrò per la spalla la madre di Grendel la Nemica della sua vita, che cadde [si abbatté] a terra [sul suolo]. Ma subito si rialzò: gli diede a sua volta [lo ripagò con] un colpo dei suoi artigli [grinfie] crudeli, lo afferrò di nuovo [riacchiappò]. Stanchissimo [Stremato] nell’a-nimo, il più forte dei guerrieri inciampò, e alla fine cadde [finì per cadere] combattendo a pie-di [appiedato]. [La madre di Grendel] si sedette sopra di lui, che era un intruso nella sua tana [casa], ed estrasse [tirò fuori] un coltello, largo, con la lama lucida: voleva vendicare [la morte del] figlio, [che era] la sua unica [sola] creatura. Sulle spalle di lui era stesa [si stendeva] la rete di maglia per [proteggere] il petto e [quella] gli salvò la vita: non permise alla donna [le] di penetrare [entrare], né con la punta né con il taglio [della spada]. Certamente il campione dei Geati sarebbe morto [perito], se non lo avesse protetto [soccorso] la cotta da battaglia, la solida [dura] rete metallica [fatta per la] guerra, e se Dio santo non gli avesse concesso la vit-toria in quello scontro.

vv. 1555-1558 [Beowulf] vide, su un mucchio di arnesi, una lama dotata [del potere di dare la] vittoria, un’antica spada appartenuta ai giganti [di giganti], [che sarebbe stata] un segno di importanza [prestigio] per qualunque guerriero, la migliore [la perla] delle armi. Soltanto, era più grande

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8. titanico: propriamente i Titani erano divinità della mitologia greca, figli di Ura-no (il cielo) e Gaia (la terra). Qui il termi-ne è usato come sinonimo di “gigante” e quindi il senso dell’aggettivo «titanico» è

“degno di un gigante”.9. il temerario Scylding: veramente Beo-wulf è svedese della stirpe dei Geati; qui ha valore onorifico poiché combatte per i Danesi.

10. gli anelli delle ossa: le vertebre sono indicate come una metafora, così come, nei due versi successivi, il corpo, definito «casa... della carne» (vv. 1567-1568), e, ai vv. 1572-1573, il sole, «candela dell’etere».

1560

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di quante mai nessuno avrebbe potuto portarnenei giochi della battaglia: preziosa e bella,un lavoro titanico8. Afferrò l’elsa a cappio,il temerario Scylding9: inferocito, crudelecome una spada, sguainò l’arma ad anello,colpì con forza, disperando della sua vita,così che la raggiunse duramente alla gola.Si ruppero gli anelli delle ossa10: la lamatraversò fino in fondo la casa condannatadella carne. La donna crollò sul pavimento.La spada era cruenta, e il guerriero contentodi quanto aveva fatto. Balenò allora un lampo,rifulse dall’interno la medesima luceche sfolgora abbagliante nel cielo, la candeladell’etere. Frugò le stanze, si aggiròseguendo le pareti, sollevò l’armaduramente per l’elsa, il vassallo di Hygelāc,ostinato e infuriato.

Beowulf con quella spada che aveva spento la vita della madre, recise anche la testa di Grendel. Fra i tanti preziosi oggetti, Beowulf non volle prendere «se non quella testa e l’el-sa lucente di gemme».

vv. 1559-1568 di tutte quelle che [quante mai] qualcuno [nessuno] avrebbe potuto portare negli scontri [giochi] della battaglia: preziosa e bella, [era il prodotto] di un lavoro degno di un gi-gante [titanico]. Afferrò l’elsa sormontata da un anello [a cappio], l’audace [temerario] danese [Scylding]: furioso [inferocito], crudele sguainò l’arma con l’elsa sormontata da un anello, come una spada, colpì con forza, non avendo speranza [disperando] [di salvare] la sua vita, in modo tale che colpì la donna [la raggiunse] con forza [duramente] alla gola. Si ruppero le vertebre [gli anelli delle ossa]: la lama attraversò fino in fondo il suo corpo, che era come una casa di carne, condannata a morte [dal destino] [la casa condannata della carne]. La donna cadde pesantemente [crollò] sul pavimento.

vv. 1569-1576 La spada era insanguinata [cruenta], e il guerriero [era] soddisfatto [contento] di quello che [quanto] aveva fatto. Brillò [Balenò] allora un lampo, risplendette [rifulse] dall’inter-no [della sala sottomarina] la stessa luce che splende [sfolgora] abbagliante nel cielo, il Sole, che è come una candela [accesa] nell’aria [etere]. Perlustrò [Frugò] le stanze, si aggirò proce-dendo lungo [seguendo] le pareti, sollevò l’arma con forza [prendendola] per l’elsa, [Beowulf], il vassallo di Hygelāc, ostinato e infuriato.

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11. sgombro: erano scomparsi i mostri marini che facevano da guardia alla tana.12. l’Orco di Fuori: così viene definita la

madre di Grendel, come un’immagine della Natura mostruosa e inquietante.13. Hrōdgār: è il re danese le cui terre era-

no devastate da Grendel e per cui Beowulf combatte.

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1650

Si gettò subito a nuoto, dopo averevissuto, nello scontro l’orrore della battagliacontro la furia nemica: riattraversò le acque.Il tumulto dei flutti era completamentesgombro11, e le immense terre, da che l’Orco di Fuori12

aveva abbandonato i giorni della sua vita,il suo precario disegno. Venne rapido a riva,l’elmo dei navigatori, il nuotatore d’animoforte. Era assai felice dei suoi trofei acquatici,del carico importante che portava con sé.Gli andarono incontro, ringraziarono Dio,il gruppo prestigioso dei vassalli, feliciper il loro principe, di averlo potutorivedere salvo.

Successivamente quattro compagni di Beowulf sollevarono l’enorme testa di Grendel infis-sa sulle loro lance e ritornarono alla reggia.

Entrò, il capo dei vassalli,generoso nei gesti, prestigioso per fama,l’eroe strenuo in battaglia, per salutare Hrōdgār13.Per i capelli, allora, si trascinò la testadi Grendel sul pavimento, fin dove si stava bevendo,spaventosa, davanti ai conti e alla regina.Tutti fissarono gli occhi sul prodigioso spettacolo.

da Beowulf, trad. L. Koch, Torino, Einaudi, 1973

vv. 1617-1630 Subito si tuffò e si mise a nuotare [Si gettò subito a nuoto], dopo avere vissuto, nello scontro l’orrore della battaglia contro il mostro [la furia] nemico: riattraversò le acque. Le cor-renti agitate delle onde [Il tumulto dei flutti] erano completamente libere [sgombro], e [lo erano anche] le immense terre, da quando [da che] l’Orco di Fuori aveva abbandonato la sua vita [i giorni della sua vita], il suo progetto [disegno] fallimentare [precario] [di fare il male]. Giunse [Venne] rapidamente [rapido] sulla riva, lui che era il capo, come un elmo, dei navigatori, lui che era un nuotatore coraggioso [d’animo forte]. Era molto [assai] felice dei suoi trofei conquistati nell’acqua [acquatici], del carico importante che portava con sé. Gli andarono incontro, ringra-ziarono Dio, il gruppo illustre [prestigioso] dei vassalli, felici per il loro principe, di averlo potuto rivedere [sano e] salvo.

vv. 1644-1650 Entrò [Beowulf], il capo dei vassalli, nobile [generoso] nei gesti, illustre per la fama, l’eroe coraggioso [strenuo] in battaglia, per salutare Hrōdgār. Allora trascinò, [tenendola] per i capelli, la testa di Grendel sul pavimento, fino al luogo in cui [dove] si stava bevendo, [ed era] spaventosa [a vedersi], [e lui la portò] davanti ai conti e alla regina. Tutti fissarono lo sguardo [gli occhi] su quella straordinaria visione [prodigioso spettacolo].

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LAVORIAMO SUL TESTO●● L’eroe tra storia e leggenda Rispetto ai poemi

classici, Beowulf ha toni più leggendari che storici; in-fatti la lotta dell’eroe contro i mostri si svolge in un’at-mosfera fantasiosa e irreale.I mostri simboleggiano il male che serpeggia fra i po-poli: Grendel personifica la forza satanica, la violen-za cieca e l’odio contro gli uomini che sanno gioire della vita; la madre di Grendel incarna un amore ma-terno esasperato e viscerale, che spinge la «gigante-sca Donna della laguna» a uccidere un innocente pur di vendicare il proprio figlio.

●● I temi del poema Beowulf è il poema dell’ardi-mento, della solidarietà, della lealtà. Nel poema do-minano i miti pagani e il “Wild”, il fato, che presiede al destino degli uomini, tuttavia non mancano espres-sioni e sentimenti che rivelano l’influenza dei valori cristiani.

●● Lingua e metrica Il linguaggio è pittorico e fan-tasioso nelle descrizioni ma anche preciso e crudo nelle immagini dello scontro tra Beowulf e la madre di Grendel; il verso ha un ritmo solenne e triste; nume-rose sono le metafore.

Comprendere

Il riassunto

1. Riassumi il testo seguendo le 5 fasi nelle quali si articola la vicenda:

• primo assalto della madre di Grendel;

• Beowulf negli abissi;

• secondo assalto della madre di Grendel;

• uccisione della «Lupa degli Abissi»;

• il ritorno dell’eroe.

Analizzare

I personaggi

2. Sottolinea sul testo le perifrasi, gli appellativi e le espressioni con cui vengono indicati Beowulf e la madre di Grendel e riportali in una tabella.

3. Quali valori rappresenta Beowulf? Evidenzia alcu-ni passi che lo dimostrano.

4. Sulla base degli elementi inseriti nella tabella dell’esercizio 2, traccia un breve ritratto di Beowulf e della madre di Grendel.

SEZIONE 1 Il Medioevo8

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1. pagani: i Saraceni.2. spiedi: aste di ferro lunghe e appuntite, usate nel Medioevo come armi da guerra e arnesi per la caccia.

3. Durendala: o Durlindana; è la spada di Orlando, che contiene alcune reliquie di san-ti all’interno dell’elsa.4. felloni: espressione usata per nomina-

re i pagani, che alla lettera significa “tradi-tori, che non mantengono la parola data”.

Canzone di OrlandoOrlando si rifiuta di chiedere aiuto(Canzone di Orlando, lasse 82-90)

I musulmani di Marsilio hanno ormai raggiunto la retroguardia dell’esercito franco e si preparano ad attaccare. Il paladino Oliviero sale su un colle e, visto il gran numero dei nemici, supplica Orlando di suonare il corno per richiamare il resto dell’esercito.

Contenuti• La fedeltà dei paladini al sovrano • La celebrazione degli ideali cavallereschi

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Metrica: nell’originale lasse di decasillabi legati tra loro da assonanza, resi nella traduzione italiana con dodecasillabi.

Disse Oliviero: «I pagani1 ho veduti:nessuno in terra ne vide mai di più.Ne abbiam davanti centomila con scudi,elmi allacciati e bianchi usberghi chiusi,lance diritte, lucenti spiedi2 bruni.Battaglia avrete, quale mai non ci fu.Da Dio, signori, vi venga ogni virtù!Restate in campo, perché non siam battuti!»Dicono i Franchi: «Maledetto chi fugge!Anche a morire, non mancherà nessuno».

Disse Oliviero: «I pagani han gran forza,e i nostri Franchi mi pare che sian pochi!Compagno Orlando, suonate il vostro corno.Carlo l’udrà: coi suoi farà ritorno».Risponde Orlando: «Sarebbe agir da folle!Nella mia Francia io perderei il mio nome.Di Durendala3 or darò grandi colpi:l’arrosserò fino nell’elsa d’oro.Son giunti ai valichi con lor danno i felloni4:giuro che tutti sono dannati a morte».

lassa 82 Oliviero disse: «Ho visto [veduti] i pagani: nessun’uomo [nessuno in terra] ne vide mai di più. Ne abbiamo di fronte [davanti] centomila con scudi, elmi chiusi [allacciati] e armature [usberghi] splendenti [bianchi] impenetrabili [chiusi], lance di-ritte, lucidi [lucenti] aste scure [bruni]. Affronterete [avrete] una battaglia, tale che [quale] non ce ne fu mai [una simile]. [Vi auguro], signori, che da Dio vi venga [infusa] ogni virtù! Restate sul campo di battaglia [in campo], perché non siamo [ancora] sconfitti [battuti]!» I Franchi rispondono [Dicono]: «[Sia] maledetto chi fugge [dal campo di battaglia]! Nessuno [di noi] mancherà, neanche per andare incontro alla morte [Anche a morire]».lassa 83 Oliviero disse: «I pagani hanno un grande esercito [gran forza] e i nostri [guerrieri] Franchi mi sembra [pare] che siano pochi [in confronto a loro]! Compagno Orlando, suonate il vostro cor-no. Carlo lo sentirà [l’udrà]: [e quindi] ritornerà [farà ritorno] [qui] con i suoi [guerrieri]». Orlando risponde: «[Suonare il corno] sarebbe un gesto [agir] da folle! Io perderei il mio onore [nome] nella mia Francia.Ora darò grandi colpi con [Di] Durendala: la farò diventare rossa di sangue nemico [l’arros-serò] fino all’elsa d’oro. I pagani [felloni] sono venuti ai passi montani [valichi] a loro rischio e pericolo [con lor danno]: giuro che tutti so-no condannati [dannati] a morte».

Parafrasi

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«Compagno Orlando, l’olifante5 suonate:Carlo l’udrà, farà i Franchi tornare:coi suoi baroni il re ci aiuterà».Risponde Orlando: «Al Signore non piacciache i miei parenti sian per me biasimati,e disonore ne abbia la dolce Francia!Prima gran colpi darò con Durendala,la buona spada che tengo cinta al fianco:tutto vedrete il brando insanguinato.Si son con danno qui i pagani adunati:giuro che a morte son tutti destinati».

«Compagno Orlando, suonate l’olifante.Carlo l’udrà, che sta passando i valichi6.Io ve lo giuro che torneranno i Franchi».«A Dio non piaccia» così risponde Orlando«che mai si dica che per un uom mortale,per un pagano, il corno abbia suonato!I miei parenti mai non ne avranno biasimo.Quando nel mezzo sarò della battaglia,ben più di mille volte trarrò la spada:rosso di sangue ne vedrete l’acciaio.Son prodi i Franchi, e colpiran da bravi:quelli di Spagna non avran chi li salvi».

Disse Oliviero: «Non ci può esser biasimo.Io li ho veduti i pagani di Spagna:ne son coperte le valli e le montagne,gli scabri picchi e tutte le campagne7.Grandi gli eserciti son qui dei pagani,e noi ben piccola compagnia vi teniamo».Risponde Orlando: «E cresce la mia brama.Non piaccia a Dio, ai suoi angeli, ai santi,che per me perda il suo valor la Francia!Meglio morire che restar nell’infamia8!Se Carlo ci ama, è perché ben colpiamo».

5. olifante: è il corno da guerra, così chiama-to perché ricavato da una zanna d’elefante.6. sta... valichi: i passi montani che re Carlo sta attraversando sono quelli dei Pirenei, che separano la Spagna dalla

Francia.7. ne son coperte... campagne: Oliviero vuol dire che il numero dei Saraceni è tal-mente grande che essi occupano tutto il ter-ritorio circostante.

8. Meglio... infamia: Orlando esprime gli ideali del cavaliere medievale, per il qua-le ciò che conta di più è l’onore, pertanto preferisce morire piuttosto che perderlo.

lassa 84 «Compagno Orlando, suonate l’olifante: Carlo lo sentirà, [e quindi] farà tornare [indie-tro] i Franchi: il re ci aiuterà con i suoi baroni». Orlando risponde: «[Mi auguro] che Dio non vo-glia [Al Signore non piaccia] che i miei parenti siano disprezzati [biasimati] per colpa mia [per me], e la dolce Francia ne riceva [abbia] un di-sonore! Prima darò grandi colpi con Durenda-la, la spada valida [buona] che tengo legata [cinta] al fianco: vedrete tutta la lama [brando] coperta di sangue [insanguinato]. Quei pagani si sono schierati [adunati] a loro rischio e peri-colo: giuro che sono tutti destinati alla morte».

lassa 85 «Compagno Orlando, suonate l’olifante: lo sentirà Carlo, che sta attraversando [passan-do] i passi montani. Io vi prometto [ve lo giuro] che i Franchi torneranno [indietro]». Orlando ri-sponde così: «[Mi auguro] che Dio non voglia [A Dio non piaccia] che si debba mai dire [mai si dica] che a causa di [per] un uomo morta-le, a causa di un pagano, io abbia suonato il corno! I miei parenti non verranno mai disprez-zati [avranno biasimo] a causa di questo [ne]. Quando sarò nel mezzo della battaglia, estrarrò [trarrò] la spada molto [ben] più di mille volte: vedrete il suo [ne] acciaio rosso per il sangue [dei nemici uccisi].I Franchi sono coraggiosi [prodi], e combatte-ranno [colpiran] da valorosi [bravi]: [i Musulmani] che vengono dalla Spagna [quelli di Spagna] non potranno contare su nessuno che [non avran chi] venga in loro soccorso [li salvi]».

lassa 86 Oliviero disse: «Non c’è motivo di disprez-zarti [Non ci può esser biasimo]. Io li ho visti i pagani che vengono dalla Spagna: le valli e le montagne sono ricoperte di loro [ne son co-perte], [e anche] le aride alture [gli scabri pic-chi] e tutte le campagne. In questo luogo [qui] gli eserciti dei pagani sono grandi, mentre [e] noi abbiamo [vi teniamo] un esercito [compa-gnia] molto [ben] piccolo». Orlando risponde: «E [proprio per questo] cresce la mia brama [di combattere]. [Mi auguro] che Dio, i suoi angeli, i santi non vogliano, che per colpa mia la Francia perda il suo onore [valor]! [È] meglio morire che vivere [restare] nel disonore [infamia]! Se Carlo ci ama, è perché combattiamo valorosamente [ben colpiamo]».

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Orlando è prode ed Oliviero è saggio.Hanno bravura meravigliosa entrambi.Poiché a cavallo si trovano ed in armi,anche a morire, non schiveran battaglia.Son prodi i conti, le parole son alte.Ora i pagani con gran furor cavalcano.Disse Oliviero: «Orlando, un po’ guardate!Son qui vicini, e troppo lungi è Carlo!Voi l’olifante non voleste suonare:se il re qui fosse, noi non avremmo danno.Guardate a monte verso i valichi d’Aspra9:vedete come triste è la retroguardia!Chi questa fa, non ne farà più un’altra».Risponde Orlando: «Non dite enormità!Sia maledetto il cuore che s’abbatte!Al nostro posto noi rimarremo in campo:da noi verranno i colpi e il battagliare!»

Vedendo Orlando che vi sarà battaglia,si fa più fiero che leone o leopardo.Grida ai Francesi ed Oliviero chiama:«Signor compagno, amico, non parlare!L’imperatore, che ci affidò i suoi Franchi,qui ventimila ne ha radunati taliche a suo vedere nessuno vi è codardo.Or per il proprio signore grandi maligiusto è soffrire, e gran freddo e gran caldo:e deve perdersi anche sangue, anche carne10.Tu con la lancia colpisci, io con la spada,con Durendala, che mi donò il sovrano!Se muoio, certo potrà dir chi l’avràch’essa fu in mano a un nobile vassallo».

In altra parte c’è il vescovo Turpino11.Sprona il cavallo, sale uno scabro picco,chiama i Francesi, questo sermone dice:«Prodi signori, Carlo ci lasciò qui:per il sovrano dobbiamo ben morire.Date soccorso alla gente di Cristo!Battaglia avrete, voi ne siete convinti,ché coi vostri occhi vedete i Saracini.Pregate Dio, le vostre colpe dite!Vi assolverò: le anime avrete libere.

9. i valichi d’Aspra: si tratta del passo pi-renaico del Somport, che separa la Spagna dalla Val d’Aspe francese.10. deve perdersi... carne: «carne» signi-

fica “corpo”, quindi l’espressione indica che bisogna perdere anche la vita (il pro-prio corpo) per il proprio signore.11. vescovo Turpino: arcivescovo di

Reims e consigliere di Carlo Magno. Pala-dino della cristianità, Turpino era anche un guerriero e in qualità di cavaliere parte-cipava alle battaglie dell’imperatore.

lassa 87 Orlando è coraggioso e Oliviero è saggio. Entrambi hanno un valore [bravura] eccezionale [meravigliosa]. Poiché si trovano a cavallo e armati [in armi], non eviteranno [di ingaggiare] [schiveran] una dura lotta [battaglia], anche se dovranno mori-re [anche a morire]. I conti sono coraggiosi, le [loro] parole sono nobili [alte]. Ora i pagani avanzano a cavallo [cavalcano] con grande energia [furore]. Oliviero disse: «Orlando, guardate un po’! [I paga-ni] sono qui vicini, mentre Carlo è troppo lontano [lungi]! Voi non voleste suonare l’olifante: se il re fosse qui, noi non subiremmo perdite [avremmo danno]. Guardate in alto [a monte] verso i passi montani di Aspra: vedete com’è debole [triste] la retroguardia! Chi combatte [fa] questa [battaglia], non ne combatterà mai più un’altra [perché mo-rirà]». Orlando risponde: «Non dite sciocchezze [enormità]! Sia maledetto l’animo [il cuore] che si scoraggia [s’abbatte]! Noi rimarremo al nostro po-sto sul campo di battaglia: saremo noi a tirare [da noi verranno] colpi e a combattere [battagliare]!».

lassa 88 Orlando, vedendo che ci [vi] sarà bat-taglia, diventa [si fa] più feroce [fiero] di un le-one o di un leopardo. Grida ai Francesi e inci-ta [chiama] Oliviero: «Signore [mio] compagno, amico, non dire niente [parlare]! L’imperatore, che ci affidò i suoi [guerrieri] Franchi, ne ha ri-uniti [radunati] qui ventimila tali che secondo il suo parere [a suo vedere] non ce n’è nessuno [nessuno vi è] vile [codardo]. Ora per il proprio signore grandi sofferenze [mali] è giusto affron-tare [soffrire], sia [e] il grande freddo, sia [e] il grande caldo: e si deve anche versare sangue, anche morire [perdersi… carne]. Tu combatti con la lancia, io con la spada, con Durendala, che mi donò il re Carlo [sovrano]! Se morissi [muo-io], certo chi la prenderà [avrà] potrà dire che essa fu tenuta dalla mano [fu in mano] di un nobile vassallo».

lassa 89 Da un’altra parte c’è il vescovo Turpino. Spro-na il cavallo, scala [sale] un’arida altura [scabro pic-co], incita i Francesi, pronuncia [dice] questo discorso [sermone]: «Coraggiosi signori, Carlo ci lasciò qui: per il re dobbiamo morire valorosamente. Porta-te [Date] soccorso ai cristiani [alla gente di Cri-sto]! Dovrete combattere [Battaglia avrete], voi ne siete sicuri [convinti], perché [ché] vedete i Saraceni con i vostri occhi. Pregate Dio, confes-sate [dite] i vostri peccati [le vostre colpe]! Io vi assolverò: avrete le anime libere [dai peccati].

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Martiri santi sarete12, se morite,e avrete i seggi nel più alto Paradiso».Smontano i Franchi, s’inginocchiano e chinano,e l’arcivescovo per Dio li benedice:per penitenza comanda di colpire.

S’alzano i Franchi, si mettono ora in piedi:assolti e liberi dai peccati si sentono;ché l’arcivescovo per Dio li ha benedetti.Montano dopo sui rapidi destrieri:armati sono da buoni cavalieri,tutti già pronti per il combattimento.Il conte Orlando si volge ad Oliviero:«Signor compagno, lo sapevate beneche il conte Gano ci ha fatto tradimento:ha ricevuto oro, denaro, averi.L’imperatore vendicar ci dovrebbe!Il re Marsilio ci ha preso come merce;ma con le spade pagar bene ci deve13».

da La Canzone di Orlando, Milano, Rizzoli, 1985

12. Martiri... sarete: il martire è qualcu-no che difende la propria fede religiosa fino alla morte e per questo, secondo il pensiero cristiano, viene subito assunto

in Paradiso dopo la sua morte (cfr. il ver-so successivo).13. ma... deve: Orlando vuol dire che i Saraceni di Marsilio devono usare le loro

spade per conquistare («pagare») quella «merce» (i Franchi di Orlando e Olivie-ro), che hanno già comprato corrompen-do Gano.

Se morite [in battaglia], sarete santi martiri, a siederete [avrete i seggi] nella parte più alta [nel più alto] del Paradiso». I Franchi [allora] smontano [da cavallo], si inginocchiano e chi-nano [il capo], e l’arcivescovo li benedice in no-me di [per] Dio: come [per] penitenza [per scon-tare i loro peccati] ordina [loro] di combattere.

lassa 90 I Franchi si rialzano, si rimettono ora in piedi: si sentono assolti e liberi dai peccati; per-ché l’arcivescovo li ha benedetti in nome di Dio. Dopo montano sui veloci [rapidi] cavalli [destrie-ri]: sono armati come [da] cavalieri valorosi [buo-ni], tutti [sono] già pronti per il combattimento. Il conte Orlando si rivolge [volge] ad Oliviero: «Signore [mio] compagno, lo sapevate bene che il conte Gano ci ha traditi [ha fatto tradimen-to]: ha ricevuto [in cambio del tradimento] oro, denaro, terre [averi]. L’imperatore ci dovrebbe vendicare! Il re Marsilio ci ha comprati [ci ha preso] [da Gano] come [si compra una] merce ma deve pagarci molto [bene] con le spade [dei suoi soldati]».

LAVORIAMO SUL TESTO●● Il contenuto Orlando, nonostante le insisten-

ti esortazioni del conte Oliviero, si rifiuta di suonare l’olifante, il corno d’avorio che si ode a molte miglia di distanza. La sua ostinazione è dettata dal senso dell’onore e dal coraggio: egli non intende violare il vincolo feudale che lo lega al suo signore e, nel-lo stesso tempo, è consapevole di combattere una guerra contro i nemici della cristianità.

●● I valori feudali Orlando, quando si oppone al rei-terato invito di Oliviero a suonare il corno, fa appello ai valori tipici dell’etica feudale: la fedeltà nei con-

fronti della propria patria (vv. 1054 e 1064, vv. 1089-1090) e del re (v. 1092), l’onore della famiglia (vv. 1062-1063, 1076), la fama personale (v. 1073-75).

●● Lo spirito cristiano Lo spirito cristiano, presente in tutto il poema, ispira le parole di Oliviero, «Da Dio, signori, vi venga ogni virtù!» (v. 1045), più volte quelle di Orlando e, infine, il discorso del vescovo-guerriero Turpino che incita l’esercito a combattere per il re e per la «gente di Cristo», promettendo, come ricom-pensa al martirio, il paradiso.

Comprendere

Il riassunto

1. Riassumi il testo in un massimo di 8 righe, metten-do in luce, in particolare, il carattere e la persona-lità di Orlando.

I personaggi

2. Che cosa pensa Orlando circa la possibilità di chiamare in aiuto Carlo Magno? Di quale opinione è Olivero? Quale ragionamento ciascuno porta a sostegno del proprio parere?

3. Tra i valorosi paladini c’è anche il vescovo Turpi-no; quale ruolo assume prima della battaglia?

Analizzare

Due diverse doti

4. «Orlando è prode ed Oliviero è saggio»: evidenzia sul testo i versi che confermano questo giudizio espresso al v. 1093.

SEZIONE 1 Il Medioevo12

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Canzone del CidLe caratteristiche dell’opera La Canzone del Cid (“Cantar de meo Cid ”) è il più antico poema epico spagnolo. Fu composto da un autore ignoto intorno alla metà del XII secolo, ma la copia più antica è conservata in un manoscritto dell’inizio del Trecento. L’opera appartiene al filone delle chansons de geste, è scritta in castigliano ed è formata da 3730 versi irregolari, inseriti in lasse sia assonanzate sia rimate.

Il protagonista Protagonista dell’opera è un personaggio realmente esistito, il no-bile Rodrigo Diaz de Bivar (1040 ca.-1099), soprannominato dagli Arabi, per il suo coraggio in battaglia, Cid Campeador (Cid, dall’arabo sayyidd, significa “signore”; Campeador, dal latino campi doctor, significa “padrone del campo di battaglia”). In questo poema, il Cid è presentato come un eroe onesto, difensore della cristianità e ingiustamente esiliato dal suo re; nella realtà, Rodrigo Diaz de Bivar era un mer-cenario che, con il suo esercito, serviva indifferentemente cristiani e musulmani, conquistando e saccheggiando terre in tutta la Spagna occidentale.

La struttura e la trama Il poema è suddiviso in tre cantares (“canzoni”), di cui riassumiamo la trama.I. Canzone dell’esilio. Dopo aver combattuto al servizio del re Sancio II, il nobile Ro-drigo Diaz de Bivar, detto il Cid, è ingiustamente accusato di aver sottratto una par-te dei tributi reali e per questo viene esiliato dal nuovo sovrano, Alfonso VI. Il Cid porta la moglie e le figlie in un monastero e, alla testa di un gruppo di uomini a lui fedeli, conquista alcune città soggette ai Mori nella regione compresa tra Teruel e Saragozza. Impossessatosi di un grande bottino, ne invia una parte al re per dimo-strare la propria fedeltà, e il sovrano, pur non revocando l’esilio, acconsente che i soldati che lo desiderano si uniscano al Cid. L’eroe si dirige allora verso Barcellona e conquista anche questa città dopo aver sconfitto il feudatario locale.II. Canzone delle nozze. Il Cid continua la sua guerra e riesce a strappare ai Mori anche Valencia. Accumula enormi ricchezze e ottiene dal re, come premio, di ricongiungersi con la moglie Jimena e con le sue due figlie. Dopo aver sconfitto nuovamente i Mo-ri che avevano tentato di riconquistare la città, ripopola Valencia di cristiani, ne fa la capitale del suo regno e viene finalmente perdonato dal sovrano. A corte, tuttavia, il potere del Cid desta invidie e rancori: i due principi di Carrion, don Diego e don Fer-nando, chiedono al re Alfonso il permesso di sposare le figlie del Cid, per potersi così impossessare delle sue ricchezze. Non volendo entrare nuovamente in conflitto con il re, l’eroe accetta a malincuore e le nozze vengono celebrate a Valencia.III. Canzone dell’oltraggio. Nonostante il matrimonio, il Cid disprezza i suoi generi e li ridicolizza pubblicamente per la loro viltà. Per vendicarsi, i due principi parto-no con le rispettive mogli e, durante il viaggio, le abbandonano in una foresta dopo averle brutalmente picchiate. Le due giovani vengono fortunosamente salvate da un loro cugino, Feliz Munoz, e il Cid chiede giustizia al re che condanna i principi ad affrontare in duello dei valorosi compagni del Cid, i quali conseguono la vittoria. Il poema si chiude con l’arrivo di due messaggeri che chiedono al Cid la mano delle figlie per conto dei principi di Navarra e di Aragona; il Cid acconsente al matrimo-nio ed entra così a far parte della più grande aristocrazia spagnola.

Il contesto storico La storia narrata nella Canzone del Cid si svolge negli ultimi decenni dell’XI secolo, anni in cui i regni musulmani della Spagna vennero con-quistati dalla dinastia degli Almoravidi, un gruppo berbero proveniente dall’Africa settentrionale, che, nel 1086, sconfisse duramente il re cristiano Alfonso VI di Casti-glia. Il poe ma sulle imprese del Cid, tuttavia, vide la luce, quasi un secolo più tardi, quando la Reconquista dei territori musulmani aveva ormai assunto, grazie alle cro-

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ciate in Terrasanta, i caratteri di una guerra di religione. La Canzone del Cid forniva dunque alla nobiltà spagnola un modello cavalleresco che esaltava la difesa della cristianità. Nella vicenda del Cid, tuttavia, lo scontro tra cristiani e musulmani si lega a temi più strettamente politici, come la fedeltà dei vassalli al sovrano, le lot-te tra feudatari e le divisioni che laceravano i regni cristiani di Spagna.

Il Cid va in esilio(Canzone del Cid)

Il brano che presentiamo è tratto dalla prima canzone del poema, quella dell’esilio. Il Cid è inviato dal re Alfonso VI a riscuotere i tributi dei re Mori di Andalusia. Giunto nel castello di Cabra, egli ha uno scontro con il conte García Ordóñez, il quale, una volta tornato a corte, si vendica accusando l’eroe di essersi appropriato di parte dei tributi. Nonostante la falsità dell’accusa, il re crede al conte e ordina al Cid di abbandonare il regno entro nove giorni, pena la morte. Il Cid lascia la propria terra piangendo per l’ingiusta condanna, accompagnato solo da alcuni amici fedeli.

Contenuti• La completa sottomissione del Cid al volere

del sovrano• L’ammirazione del popolo per il Cid

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Metrica: lasse con assonanza e rime, rese in prosa nella traduzione italiana.

Il Cid volgeva il capo, lagrimando fortissimamente dagli occhi, e contemplava. Vide le porte delle sue case smantellate e gli usci senza stanga e le pertiche da uc-celli senza più falchi e astori di muda1 e senza più le pelli e i manti per la caccia. E poiché aveva un molto profondo dolore, il Cid sospirò. E parlò, il Cid, bene e con tranquilla rassegnazione. Disse: «Siano grazie a te, o signore Iddio che stai nei cieli! Tutto ciò mi è stato preparato dai miei malvagi nemici!».

Ed ecco: i suoi compagni si danno, chi a spronare i cavalli, e chi a lasciarli cor-rere a briglia sciolta. Quando uscirono da Bivar2, ebbero la cornacchia a destra (e ne trassero buoni auspici)3, ma quando entrarono a Burgos4 la videro alla loro si-nistra. E allora il Cid squassò le spalle e dimenò la testa: «Coraggio, Albar Fañez5! Noi siamo scacciati dalla nostra terra!».

Il Cid, Rodrigo Diaz, entrò in Burgos. Menava con sé sessanta lance con bande-ruole6. Uomini e donne uscivano a vederlo e i cittadini stavano alla finestra, e i loro occhi davan lacrime, per il grande dolore che ne avevano. E dalle bocche di ognuno uscivano queste parole: «O dio, qual buon vassallo, se avesse un altrettanto buon signore!». Quanto volentieri lo avrebbero accolto nelle loro case, ma nessuno osava far ciò, ché troppa era la collera del Re don Alfonso. Sull’imbrunire, era stata porta-ta a Burgos una lettera del Re con grande precauzione e con forti sigilli: che al Cid, Rodrigo Diaz, nessuno desse ospitalità e che se alcuno gliela desse, fosse sicuro di perdere i suoi beni e, più ancora, i suoi due occhi e anche, infine, il corpo e l’ani-ma. Grande era dunque il dolore delle genti cristiane, le quali evitavano di incon-trarsi col Cid, perché non ardivano rivolgergli neppur la parola. Il Cid Campeador

1. pertiche... muda: sono i lunghi legni su cui vengono posti gli uccelli da cac-cia («falchi», «astori») che devono fare la muta («muda»), cioè cambiare le penne.2. Bivar: città della Spagna in cui era na-to il Cid.3. ebbero la cornacchia… auspici: il pas-

so è di interpretazione incerta, ma sembra riferirsi a una credenza per cui vedere de-terminati uccelli (di solito la cornacchia e l’upupa) alla propria destra veniva inter-pretato come un buon presagio. 4. Burgos: è una delle sei province che formavano il Regno della Vecchia Casti-

glia.5. Albar Fañez: è un nipote del Cid.6. Menava con sé… banderuole: il Cid aveva con sé sessanta uomini («lance»; è una sineddoche). Le banderuole sono dei piccoli stendardi che pendono dalla pun-ta delle lance.

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si diresse verso il suo alloggio; ma come giunse alla porta, la trovò ben serrata, ché, per paura del Re Alfonso, era stato stabilito nessuno dovergliela aprire, s’egli non la abbattesse a forza. I compagni del Cid chiamavano ad alta voce, ma coloro che erano in casa non volevano rispondere; laonde7 il Cid diè di sprone8 al cavallo, si avvicinò alla porta, cavò il piede dalla staffa e le inferse un colpo invano, perché la porta, che era stata fortemente serrata, non si aperse. Ecco farsi avanti una fan-ciulletta di nove anni e dirgli: «Ahimè, o Campeador, buona fu l’ora9 in cui cinge-ste la spada! Il Re ha proibito di ricevervi; il suo ordine scritto è pervenuto verso notte con grande precauzione in una lettera fortemente sigillata. Non oseremmo aprirvi e accogliervi per nulla al mondo; altrimenti, perderemmo i nostri beni, le nostre case ed anche i nostri due occhi. O Cid, dal nostro male, voi non avete nulla a guadagnare; non insistete, dunque. E Iddio vi assista con tutte le sue virtù sante». Così parlò la fanciulla e se ne ritornò in casa. Ora si convinse il Cid che dal Re non poteva più sperare grazia. Si allontanò dalla porta, cavalcò per Burgos e arrivò a Santa Maria10. Tosto11 smontò di sella, piegò le ginocchia a terra e si diè12 a pregare di cuore. Finita la prece13, subitamente salì a cavallo, e oltrepassata la porta della città, passò il torrente Arlanzon. Si fermò vicino Burgos sulla terra ghiaiosa, pian-tò quivi la tenda e vi si accampò. E così Rodrigo Diaz, il Cid, colui che cinse in ora felice la spada, per non essere stato ricevuto da nessuno dové scendere sulla ghiaia, e (per solo conforto) ebbe d’intorno i suoi valorosi compagni. Si accampò, come se fosse stato su una montagna. Gli fu proibito di procurarsi alloggio a Burgos e nes-suno colà avrebbe osato vendergli neppure la più piccola derrata di quante sono cose che si possono mangiare! Ma un compìto14 abitante di Burgos, trovò tuttavia il pane e il vino per il Cid e i suoi amici, senza fare alcuna compera, perché aveva con sé le provvisioni15. E diè16 loro abbondanti mezzi di sussistenza. Ne fu lieto il Cid Campeador, e lieti ne furono i suoi compagni.

da Cantare del Cid, trad. G. Bertoni, Bari, Laterza, 1968

7. laonde: perciò.8. diè di sprone: spronò.9. buona fu l’ora: fu un giorno pro-pizio.10. Santa Maria: an- tica chiesa di Bur-gos.11. Tosto: subito.12. si diè: comin-ciò.13. prece: preghie-ra.14. compìto: cor-tese, gentile.15. provvisioni: provviste.16. diè: diede.

LAVORIAMO SUL TESTO●● Le tre sequenze Il brano si può dividere in tre se-

quenze.• Il Cid parte per l’esilio pur essendo innocente; egli

non si ribella alla decisione del re, ma l’accetta in nome di Dio a cui rende grazie. Egli non cela nep-pure le lacrime, espressione della sua umanità.

• I cittadini di Burgos si dimostrano addolorati per la sorte ingiusta dell’eroe ma, terrorizzati dal divieto reale, non osano ospitarlo. Si fa avanti solo una bambina di nove anni, che mette il Cid al corrente del bando del re.

• Il Cid, il “signore delle battaglie”, dopo aver prega-to nella chiesa di Burgos, trova riparo in una tenda,

fuori dalla città, perché non vuole mettere a repen-taglio la sicurezza dei cittadini. È il momento in cui la provvidenza divina interviene a ricompensarlo per le virtù che ha dimostrato: un abitante procura di che vivere a lui e ai suoi compagni.

●● L’obbedienza al re La fedeltà del vassallo al so-vrano viene qui celebrata indirettamente: non attra-verso imprese valorose, ma attraverso la «tranquilla rassegnazione» con la quale il Cid obbedisce al re, anche quando lo esilia ingiustamente.

Comprendere

Il riassunto

1. Riassumi il testo in un massimo di 6 righe.

I personaggi

2. Quali aspetti dell’umanità del Cid emergono dal brano?

3. Qual è l’atteggiamento dei cittadini di Burgos ver-so il Cid?

4. Quali informazioni fornisce la fanciulla al Cid? Quale conclusione ne trae il Cid?

Analizzare

L’ambientazione

5. A differenza delle canzoni di gesta francesi, la nar-razione contiene particolari descrittivi. Infatti sono citati con precisione i nomi dei luoghi; c’è, inoltre, un riferimento temporale dal quale si deduce la durata della vicenda. Individua questi elementi.

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Bernart de VentadornLa vita e le opere Sulla vita di Bernart de Ventadorn si hanno notizie incerte. Nato fra il 1120 e il 1130 nella regione francese del Limosino, esercitò la sua arte di trovatore spostandosi in varie corti francesi. Inizialmente visse presso il visconte di Ventadorn, poi si spostò alla corte di Eleonora di Aquitania (1122-1204), di cui si racconta che il poeta si sarebbe innamorato e a cui avrebbe dedicato molte sue poesie d’amore. Le notizie su di lui cessano a partire dal 1173.

CanzoniereIl tema A Bernart sono attribuite una quarantina di canzoni, composte secondo le convenzioni tipiche della lirica cortese, nella metà del XII secolo. Considerato dal-la critica moderna il più raffinato e il più ispirato dei poeti provenzali, Bernart de Ventadorn cantò unicamente l’amore, contribuendo a definire il codice della lirica cortese successiva. Nelle sue canzoni egli esalta l’amore come il più nobile senti-mento dell’uomo e contempla la donna come creatura ricca di virtù e di bellezza, degna di ogni lode. Talvolta ella è crudele e disdegna il “fin’ amors” (“amore perfet-to”) del suo cantore; perciò egli preferisce amarla “di lontano”, chiuso in una ma-linconica contemplazione.

Quando erba nuova e nuova foglia appare(Canzoniere)

Questo testo costituisce un modello fondamentale di poetica per la lirica cortese d’ar-gomento amoroso. L’amore è celebrato come fonte di una gioia tutta intima, vissuta nel segreto del cuore dell’innamorato, il quale finge di non essere nemmeno conosciuto dall’amata e non pretende, quindi, di essere ricambiato; il desiderio amoroso si espri-me solo nella dimensione di un sognante fantasticare che non si tradurrà mai in realtà.

Contenuti• La bellezza della donna amata• La segretezza dell’amore

• Il contrasto tra desiderio d’amore e realtà

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Metrica: canzone di sette strofe di 8 versi ciascuna e un congedo di 2 versi. Nell’originale tutte le strofe ripetono lo stesso schema rimico (ABABCCDD) con le stesse rime (-ar, -an, -or, -ens).

Quando erba nuova e nuova foglia apparee i fiori sbocciano sul ramoe l’usignolo acuta e chiaraleva la voce e dà inizio al canto1,ho gioia2 per lui e gioia per i fiorie gioia per me e per la mia donna gioia più grande,

1. Quando erba nuova… canto: anche in questa lirica, come in Quando le giornate... di Jaufré Rudel (vedi p. 00), compare un esordio naturalistico, ma qui esso esprime

la comunanza tra la gioia della natura e quella del poeta. 2. gioia: da notare la ripetizione della parola chiave «gioia», termine caratteri-

stico della lirica provenzale, con le varie sfumature che il termine assume.

vv. 1-6 Quando spuntano [appare] l’erba nuova e le nuove foglie e i fiori sbocciano sul ramo e l’usignolo emette [leva] la [sua voce] acuta e limpida [chiara] e inizia a cantare [dà inizio al canto], io provo [ho] gioia per lui e gioia per i fiori e gioia [anche] per me e [provo] una gioia [ancora] più grande per la mia donna,

Parafrasi

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da ogni parte sono chiuso e cinto da gioia,ma quella è gioia che vince ogni altra gioia.

Ahimè! Come muoio per pensieri d’amore!Tante volte sono così perso nel pensieroche dei ladroni potrebbero rapirmie io non saprei quello che fanno.Per Dio, amore, ti è facile vincere con me,con pochi amici e senza altro signore.Perché non stringi così forte la mia donna,una volta, prima che la voglia mi uccida?3

Mi meraviglio come posso resisteresenza manifestare il mio desiderio.Quando vedo la mia donna e la rimiro,i suoi occhi sono così belliche appena mi trattengo dal correre da lei,e lo farei davvero, non fosse per timore,perché mai vidi corpo più svelto e coloritoe nell’amare così tardo e lento.

Tanto amo e ho cara la mia donnae tanto la temo e la blandiscoche mai osai parlargli di mee da lei nulla chiedo e pretendo4.Ma lei conosce tutte le mie penee quando le piace mi colma di favorie quando le piace mi accontento con meno,così che non si possa biasimarla.

Se sapessi incantare la gentei miei nemici sarebbero infanti,e nessuno di loro potrebbe inventareo dire cosa che ci tornasse a danno5.Allora potrei rimirare la più gentilee i suoi occhi belli e i freschi colorie baciarle la bocca mille volte6,che per un mese se ne vedrebbe il segno.

Sola io la vorrei trovare,che dormisse o fingesse di dormire,per rubarle un dolce bacio,perché non ho tanto ardire da chiederlo.Per Dio, donna, poco profittiamo d’amore:

3. Perché non stringi… uccida?: l’amo-re è responsabile dell’angoscia del poeta, che, in uno sfogo accorato, lo esorta a fare lo stesso anche con la sua donna, prima di morire per il desiderio di lei.4. che mai osai… pretendo: si esprime qui

la caratteristica essenziale dell’amore cor-tese, ossia il suo vivere nell’attesa, senza la pretesa di essere ricambiato.5. e nessuno… danno: torna ancora una volta il motivo delle maldicenze da cui il poeta e la donna devono guardarsi.

6. Allora potrei… mille volte: solo dopo avere magicamente annientato la possibi-lità di suscitare pettegolezzi, la donna più “gentile” diventerebbe più accessibile e il poeta potrebbe finalmente coronare il suo amore baciandola.

vv. 7-8 sono avvolto [chiuso] e circondato [cinto] da ogni parte dalla gioia, ma quella gioia [che deriva dall’amore per la mia donna] supera [è gioia che vince] tutte le altre [ogni altra].

vv. 9-16 Ahimè! Come soffro [muoio] pensando all’amo-re [per pensieri d’amore]! Spesso [Tante volte] sono talmente immerso [così perso] in questo pensiero che dei briganti [ladroni] potrebbero rapirmi e neppure mi accorgerei [e io non saprei] di quello che fanno. In no-me di Dio [Per Dio], amore, è facile per te [ti] vincere su di me [con me], che ho [con] pochi amici e non ho [senza] un altro padrone [signore] [oltre a te]. Perché non tormenti [stringi] così intensamente [forte] [anche] la mia donna, per una volta, prima che il desiderio [di lei] [voglia] mi uccida?vv. 17-24 [Io stesso] mi meraviglio di come io possa re-sistere senza esprimere apertamente [manifestare] il mio desiderio. Quando vedo la mia donna e la osservo attentamente con ammirazione [la rimiro], i suoi occhi sono così belli che mi trattengo a fatica [appena] dal correrle incontro [correre da lei], e lo farei davvero, se non avessi paura [non fosse per timore], perché mai vidi un corpo più agile [svelto] e pieno di vita [colorito] [del suo] ma [e] così pigro [tardo] e lento nell’amare.

vv. 25-32 Amo così tanto la mia donna e mi è [ho] co-sì cara e la rispetto [temo] e la riverisco [blandisco] tanto che non osai mai parlarle [parlargli] di me e non le chiedo nulla e non pretendo nulla da lei. Ma lei è al corrente [conosce] di tutte le mie sofferenze [pene] e quando vuole [le piace] mi riempie [colma] di gentilez-ze [favori] e quando vuole io mi accontento anche di [con] meno, in modo che [così che] non si possa par-lare male di lei [biasimarla].

vv. 33-40 Se sapessi fare incantesimi [incantare] alla gente i miei nemici diventerebbero [sarebbero] [inoffensi-vi come] dei bambini [infanti], e nessuno di loro potreb-be inventare o dire qualcosa [cosa] che ci danneggiasse [tornasse a danno]. Allora potrei osservare attentamen-te con ammirazione la [donna] più nobile [di tutte] e i suoi occhi belli e il suo colorito vivido [i freschi colori] e baciarle infinite [mille] volte la bocca, tanto che [che] per un mese rimarrebbe [se ne vedrebbe] il segno [dei miei baci sulle sue labbra].

vv. 41-45 Io vorrei trovarla da sola, mentre dorme [che dormisse] o finge [fingesse] di dormire, per [poterle] rubare un dolce bacio, perché non ho abbastanza co-raggio [tanto ardire] da chieder[glie]lo [quando è sve-glia]. In nome di Dio, donna, noi godiamo [profittiamo] [troppo] poco dell’amore:

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il tempo fugge, e noi perdiamo il meglio!Dovremmo parlarci a segni segreti,e se non ci vale ardire, ci valga l’astuzia!7

Sarebbe giusto riprendere una donnaquando esita troppo con il suo amico,perché parlare troppo d’amorearreca solo noia e sa d’inganno8:si può amare e fare finta altrovee mentire cortesemente, se non c’è testimone9.Nobile donna, se solo vi degnate di amarmiNon avrò certo rivali nel mentire.

Messaggero10, vai, e lei non mi stimi di menose per timore non vado di persona.

da Canzoni, Roma, Carocci, 2003

7. Per Dio, donna… astuzia!: viene qui ri-preso il motivo classico del carpe diem (“co-gli l’attimo”). Il poeta è assalito dal terrore di non saper cogliere quell’attimo fuggen-te della vita che potrebbe dargli la felicità con la sua donna e invita anche lei a farsi complice di un’intesa d’amore. È un’intesa fatta di segni convenzionali, com’era nell’u-

so dell’amore cortese, per non permettere agli indiscreti di scoprire i loro sentimenti e sopperire quindi con l’astuzia alla man-canza di coraggio.8. Sarebbe giusto… inganno: il poeta rim-provera la donna per la sua esitazione; egli afferma che «parlare troppo d’amore» senza riuscire a coronare il proprio sentimento è

come un «inganno».9. si può amare… testimone: ancora una volta la possibilità di realizzare il proprio amore è affidata alla capacità di dissimula-re e di non provocare pettegolezzi.10. Messaggero: il poeta si rivolge alla sua canzone affinché porti il suo mes-saggio alla donna amata.

vv. 46-48 il tempo passa velocemente [fugge] e noi ne spre-chiamo [perdiamo] la parte migliore [il meglio]! Dovremmo parlarci per mezzo di [a] segnali [segni] incomprensibili agli altri [segreti], e se non abbiamo abbastanza coraggio [non ci vale ardire], dobbiamo avere [ci valga] [almeno] l’astuzia!vv. 49-56 Sarebbe giusto rimproverare [riprendere] una donna quando esita troppo [a concedersi] al suo innamorato [con il suo amico], perché parlare troppo d’amore porta [arreca] so-lo irritazione [noia] e sembra [sa di] un inganno [nei confronti dell’innamorato]: si può amare e fare finta [di non amare] in pubblico [altrove] e dissimulare [mentire] in maniera elegante [cortesemente], se non c’è un testimone. Donna nobile, se solo mi farete l’onore [vi degnate] di ricambiare il mio amore [amarmi] certamente [certo] non ci sarà nessuno più bravo di me [non avrò rivali] nel fingere [mentire] [di non amarvi].

vv. 57-58 [Poesia, che sei il mio] messaggero, vai [dal-la mia donna], e [fai in modo che] lei non mi consideri [stimi] di meno per il fatto che [se] per paura [timore] [di quello che potrebbe dire la gente] non vado [da lei] di persona.

LAVORIAMO SUL TESTO●● Le “regole” cortesi La reverenza e la soggezio-

ne verso madonna, la contemplazione “di lontano”, il timore degli occhi indiscreti e dei pettegolezzi della gente, i «segni» per coprire un amore segreto sono elementi che richiamano il codice della lirica cortese.

●● Il “vero” amore Ma in questa lirica possiamo sco-prire anche i tratti di un amore reale e sensuale: l’am-mirazione per «i suoi occhi... così belli», per un corpo tanto «svelto e colorito», la fine malizia di un bacio furtivo.

●● La donna “regina” indiscussa A sottolineare que-sta carica sensuale concorrono anche il rapporto fra il sentimento amoroso e l’esplosione di vitalità della natura, in mezzo alla quale la donna assume le ca-ratteristiche non solo della “signora” del suo cantore, ma anche della regina della natura stessa.

●● La donna agli occhi del poeta La figura della donna appare così elevata, così lontana dal poeta che egli non può raggiungerla e quel corpo desiderabile e quei begli occhi rimangono estranei e freddi a ogni seduzione.

Comprendere

Il protagonista

1. Perché il poeta vuole mantenere segreto il suo amore per la donna?

2. Il sentimento d’amore provato dal poeta è causa di un forte contrasto interiore. Perché?

Il rapporto tra innamorato e donna

3. Evidenzia i punti nei quali il poeta dimostra la sua subordinazione alla donna e la sua disponibilità a sacrificarsi per lei.

Analizzare

L’amore irrealizzabile

4. Individua e riporta sotto il numero dei versi in cui compaiono i seguenti aspetti, legati al tema dell’amore irrealizzabile:

• il sentimento di gioia: .................................................................................

• l’esaltazione della bellezza dell’amata: ...............................

• il bisogno di mantenere segreto l’amore: ............................

• lo struggimento dato dal desiderio sensuale: .................

• la protesta contro la crudeltà dell’amore: ...........................

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BéroulLa vita e le opere Béroul, un giullare normanno vissuto intorno alla metà del XII secolo, è il presunto autore del Romanzo di Tristano (“Roman de Tristan”). Egli è considerato l’iniziatore di un ciclo scritto delle vicende d’amore di Tristano e Isotta, già protagonisti di una vasta tradizione narrativa orale in area francese. Del roman-zo sono giunti 4500 versi, frammenti di un’opera che doveva essere molto più am-pia; di essa si ritiene che manchino la parte iniziale e la parte finale della vicenda, come si conosce da autori successivi o da frammenti di autori precedenti.

Romanzo di TristanoLa trama Il poema, composto in lingua d’oïl, nella seconda metà del XII secolo, narra l’amore, sbocciato in virtù di un filtro magico, tra Tristano, nipote di re Marco di Cornovaglia, e Isotta, figlia del re d’Irlanda e moglie di re Marco. Cacciato dal re, che ha scoperto la sua passione, Tristano fugge e sposa un’altra Isotta, detta «Isotta dalle bianche mani», ma non riesce a dimenticare la sua amata che invoca dispe-ratamente mentre sta morendo in seguito a una ferita. Isotta accorre, ma la moglie fa credere a Tristano che la donna non voglia vederlo. L’eroe muore di angoscia; la sua sorte è seguita, poco dopo, dalla donna amata.

Il realismo di Béroul L’opera di Béroul è caratterizzata da un profondo realismo sia nelle tenere scene d’amore sia nei passi crudi e violenti, che avevano facile pre-sa sull’animo del pubblico di corte.

John William Waterhouse, Tristano e Isotta con la pozione, 1916, Collezione privata.

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Re Marco rinuncia alla vendetta(Romanzo di Tristano)

Un filtro magico fa innamorare Tristano e Isotta, che sono condannati al rogo per que-sto amore peccaminoso. Salvatisi prodigiosamente, si rifugiano nella foresta di Morois dove vivono per tre anni da fuggiaschi, finché re Marco viene a sapere del loro na-scondiglio e vi si reca per ucciderli. Quando li vede dormire castamente, divisi dalla spada di Tristano posta tra di loro, decisi a non tradire la fedeltà al re malgrado il loro amore, desiste dalla vendetta.Il seguente episodio mette in rilievo la nobiltà d’animo, la capacità di comprendere e rispettare i sentimenti degli altri e di controllare i propri istinti, valori tipici della corte-sia cavalleresca.

Contenuti• La nobiltà d’animo e la saggezza del re • La fedeltà di Tristano al proprio re

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Metrica: versi di varia lunghezza.

Già il colpo stava per scendere su di loro1,se li avesse uccisi, sarebbe stato gran duolo,quando vide ch’ella aveva la camicia2

e che tra loro due3 c’era distacco,l’una bocca non era all’altra unita,e quando vide la spada nudache posta tra lor due li separava,e vide indosso a Tristano le brache4:«Dio!» esclamò il re, «che può significare ciò?Ora ho visto abbastanza quale sia la loro condizione5.Dio! non so che debba fare,uccidere o rinunciarvi.Stanno qui nel bosco, da ben lungo tempo;ben posso credere, se ho discernimento6,

1. Già il colpo... loro: re Marco è arriva-to nella foresta ansioso di vendetta e, ve-dendo i due giovani che dormono l’uno accanto all’altra, è deciso a vibrare il col-po mortale su di loro.2. camicia: nel Medioevo la camicia era una veste di stoffa leggera, lunga fino ai piedi o al ginocchio, con ampie mani-

che, indossata sotto i vestiti da uomini e donne.3. loro due: Tristano e Isotta. 4. brache: si tratta di un indumento ma-schile simile ai calzoni, ma più corto e meno ampio, già usato dai popoli antichi di moda nel Medioevo. 5. Ora ho visto... condizione: il re capi-

sce la loro condizione di innamorati che, pur attratti da un sentimento fatale, non vogliono tradire e macchiare il proprio onore: Isotta non vuole tradire il marito (re Marco), Tristano non vuole venir me-no alla parola di cavaliere fedele al suo re.6. discernimento: capacità di osservare e comprendere con esattezza la realtà.

vv. 1-10 Il colpo [della spada di re Marco] stava già per abbattersi [scendere] su di loro, [e] se li avesse uccisi, sarebbe stato un grande do-lore [duolo], quando vide che Isotta [ella] in-dossava [aveva] la camicia e tra loro due c’e-ra distanza [distacco], una bocca non era unita all’altra, e quando vide la spada sguainata [nuda] [di Tristano] che [essendo] collocata [posta] tra loro due li separava, e vide addosso [indosso] a Tristano i calzoni [le brache]: «Dio!» esclamò il re, «che cosa [che] può significare questo fatto [ciò]? Ora ho compreso [visto] bene [abbastan-za] quale sia la situazione in cui loro si trovano [la loro condizione].

vv. 11-14 Dio! Non so che cosa devo [debba] fare, [se] uccider[li] o rinunciare [alla vendet-ta]. Stanno qui nel bosco, da molto [ben lun-go] tempo; posso pensare [credere] certamente [ben], se sono ragionevole [ho discernimento],

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che se s’amassero peccaminosamentenon avrebbero indosso alcuna veste,fra loro non vi sarebbe la spada,in altro modo starebbero insieme.Avevo in animo d’ucciderli:non li toccherò, dimetterò l’ira.Peccaminoso amore non è nei loro cuori.Non colpirò né l’uno né l’altra. Sono addormentati:se fossero da me toccaticommetterei troppo gran fallo7;e se io sveglio costui che dormeed egli m’uccide e io uccido lui,ne saran chiacchiere infami8.Io lascerò loro un segno, per modoche non appena si risveglierannosicuramente potranno sapereche furono trovati addormentatie che di loro s’è avuta pietà,e che non voglio affatto ucciderli,né io né altri del mio impero9.Vedo in dito alla reginal’anello con la pietra di smeraldo;io glielo donai (invero, è assai prezioso)e a mia volta ne ho uno ch’era suo:le sfilerò il mio dal dito».Il raggio di sole che scende su Isottacopre coi guanti delicatamente.L’anello sporgeva dal dito:dolcemente lo sfilò, che il dito non si mosse. [...]La spada ch’è tra lor duetoglie piano e vi colloca la sua. [...]S’allontana il re, li lascia addormentati.

da A. Roncaglia, Le più belle pagine della letteratura d’oc e d’oïl, Milano, Nuova Accademia, 1961

7. commetterei... fallo: il re commette-rebbe un grave errore perché Tristano e Isotta non hanno peccato.8. ne saran... infami: uno scontro fra i due, qualunque ne fosse il risultato, sa-

rebbe interpretato come una lotta fra ri-vali, avvalorando l’ipotesi dell’adulterio di Isotta.9. e che di loro... impero: il dono del-la vita sarebbe niente, da parte del re, se

non ci fosse il riconoscimento che la sorte dei due è degna di «pietà», cioè di umana comprensione.

che se si amassero in modo peccaminoso non avrebbero addosso nessuna veste, fra di loro non ci [vi] sarebbe la spada, [e] starebbero insieme in un altro modo. Avevo intenzione [in animo] di ucciderli: [invece ho deciso che] non li toccherò, non mi farò sopraffare dall’ira [dimetterò l’ira]. [Ho capito che] nei loro cuori non c’è [non è] un amore peccaminoso.

vv. 22-34 Non colpirò [con la mia spada] nessuno dei due [né l’uno né l’altra]. Sono addormentati: se li toccassi [se fossero da me toccati] [con la mia spada] commetterei un errore [fallo] troppo grande [gran]; e se io svegliassi [sveglio] Trista-no [costui] che dorme ed egli mi uccidesse [m’uc-cide] e io [a mia volta] uccidessi [uccido] lui, ne deriverebbero [saran] pettegolezzi [chiacchiere] infamanti [infami]. Io lascerò loro un segno [del mio passaggio], in modo [per modo] che non ap-pena si risveglieranno potranno sapere con certez-za [sicuramente] che furono trovati addormentati [da me] e che ho avuto [s’è avuta] pietà di loro, e che non vogliamo [voglio] assolutamente [affatto] ucciderli, né io né nessun altro [né altri] [uomo] del mio regno [impero].

vv. 35-46 Vedo al [in] dito della [alla] regina [Isot-ta] l’anello con la pietra di smeraldo; glielo donai io (in verità [invero], è molto [assai] prezioso) e [io] a mia volta ne ho uno che apparteneva a lei [era suo]: le sfilerò dal dito quello che le ho regalato io [il mio]». [Il re] copre delicatamente coi [suoi] guanti il raggio di sole che va a colpire [scende su] Isotta. L’anello era visibile sul [sporgeva dal] dito: lo sfilò delicatamente [dolcemente], in mo-do tale che [che] il dito non si mosse. […] Toglie piano la spada che è collocata [ch’è] tra loro due e [al suo posto] mette [vi colloca] la propria [la sua]. […] Il re si allontana, li lascia addormentati.

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LAVORIAMO SUL TESTO●● L’“amore cortese” per eccellenza L’amore di

Tristano e Isotta è uno dei più significativi esempi di amore cortese all’interno della tradizione del roman-zo. In un tempo in cui nelle classi aristocratiche i matri-moni erano celebrati quasi esclusivamente per ragio-ni dinastiche o economiche, l’amore più vero fioriva spesso al di fuori del vincolo coniugale. L’amore era strumento di elevazione spirituale solo se gli amanti erano capaci di controllare il desiderio carnale e di non trasgredire ai vincoli che li legavano ai rispettivi ruoli: di moglie, nel caso di Isotta, di cavaliere fedele al proprio re, nel caso di Tristano.

●● La figura del re Alla tradizione cortese si riallac-cia anche la fine analisi psicologica della figura di re Marco, disponibile a comprendere, pronto a cercare l’interpretazione corretta dei fatti, incline alla giustizia più che alla clemenza. La scena riportata si costruisce sul soliloquio del re che indaga, osserva, interpreta tutto ciò che vede, quasi chiarendo a se stesso i termi-ni di una situazione che appare molto diversa rispetto alle attese. Non trovando prove di colpevolezza, ri-nuncia a ogni punizione e al proposito di vendetta che lo aveva animato, e questo non per vigliaccheria ma per vera nobiltà d’animo.

Comprendere

Il riassunto

1. Riassumi il testo in un massimo di 6 righe.

Re Marco

2. Che cosa distoglie il re dal proposito di uccidere i due amanti?

3. Perché il re sfila l’anello alla regina?

4. Nel passo la figura del re ci è presentata sotto aspetti diversi: all’inizio è il marito tradito, pronto a uccidere il rivale, subito dopo diventa un attento e pietoso osservatore della situazione. Rintraccia nel testo gli elementi che esprimono questo cam-biamento e trascrivili.

Analizzare

Una vendetta non compiuta

5. Secondo il concetto di amor cortese, re Marco po-teva vendicare il proprio orgoglio ferito uccidendo Tristano e Isotta? Motiva la tua risposta.

Il lessico

6. Rintraccia nel testo e trascrivi i termini ai quali il poeta affida l’espressione della castità dei due amanti.

Il narratore

7. Alcuni passi dell’episodio sono narrati da una voce esterna alle vicende. Individua queste parti e riporta il numero dei versi a cui corrispondono.