La FUGA una r: ealtà, tre momenti GIOVANI - pssf.it · tazione artistica del tema “fuga” in...

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23 NAZARETH 4 2016 VOCE GIOVANI L a fuga non è esperienza così ignota alla storia millenaria dell’uomo che, dalla sua creazione, ha più e più volte praticato la fuga: da Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso ter- restre, e così via. Di queste fughe molti hanno scritto, molti hanno dipinto. In questo contributo ci si occuperà della trat- tazione artistica del tema “fuga” in relazione a un soggetto molto noto, nonché frequente nella produzione pittorica, quale il brano della Fuga in Egitto proposto da Caravaggio, Annibale Car- racci e Luigi Miradori tra la fine del Cinquecen- to e il Seicento inoltrato. Nonostante la scena raffigurata sia la medesima, l’analisi del sogget- to condotta su tre esemplari dello stesso, può essere utile a mettere in evidenza diversi aspetti di questa vicenda, diversi momenti, stati d’ani- mo e caratterizzazioni di questa fuga, espressi a partire dai titoli delle tele (titoli verosimilmente forniti più dalla critica che non dagli esecutori stessi). Infatti, l’olio su tela, ora alla Galleria Do- ria Pamphili di Roma, eseguito dal Caravaggio tra il 1596-97 è stato nominato, Il riposo durante la fuga in Egitto; nella stessa sede è conservata la più sintetica Fuga in Egitto dipinta nel 1603 da Annibale Carracci e, infine, porta il titolo di Riposo dopo la fuga in Egitto l’olio eseguito da Miradori, detto Genovesino, nel 1651. Come detto sopra: un tema, tre pittori, tre titoli, tre diverse sfumature. La narrazione più neutrale, che riporta il brano della fuga vera e propria, senza soffermarsi su aspetti particolari della me- desima, è sicuramente rappresentata dalla tela di Annibale Carrac- ci: pittore bo- lognese che, rie- laborando le lezioni del Rinascimento maturo di Raffaello, Michelangelo e Veronese, congiun- tamente a Caravaggio e Rubens porrà le basi per la nascita della pittura barocca. Diversa- mente dai brani che verranno poi presentati, in questo caso si ha il momento vero e proprio della fuga, e null’altro. Lasciata Betlemme, vi- sibile sullo sfondo in una veduta manierista e poco verosimile, appena scesi da una canoa, Maria con Gesù in braccio, seguita dall’asino e da Giuseppe, iniziano il loro viaggio. Oltre alla classica e ritmata composizione dello spa- zio scenico, costruito su un lento digradare di piani e sull’incrocio di diagonali che guidano lo sguardo dell’osservatore dal primo piano verso il fondo, evidente è proprio il tono di urgenza, di fretta che connota questa fuga, organizzata senza troppi preparativi, quasi all’istante, giusto il tempo di caricare sul mulo un modesto fagot- to contenete beni di prima necessità e null’altro. Tutt’altra atmosfera si percepisce nell’opera di Caravaggio, che non propone una generica fuga, ma un suo momento specifico: un brano di riposo che diviene anche intrattenimento, a suon di musica e in una cornice bucolica, priva della retorica tardo rinascimentale e caratteriz- zata, invece, da un impianto semplice, scandito da piani paralleli, illuminato da cromie accese che ritorneranno poi nella pittura ottocentesca. In questa rappresentazione, che molto ricorda il vedutismo di Giorgione, da notare il tenero La FUGA : una realtà, tre momenti Carracci, Caravaggio, Miradori ci : pittore bo bo b b b b - l o g nese ch c e , r i e-

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La fuga non è esperienza così ignota alla storia millenaria dell’uomo che, dalla sua creazione, ha più e più volte praticato la

fuga: da Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso ter-restre, e così via. Di queste fughe molti hanno scritto, molti hanno dipinto. In questo contributo ci si occuperà della trat-tazione artistica del tema “fuga” in relazione a un soggetto molto noto, nonché frequente nella produzione pittorica, quale il brano della Fuga in Egitto proposto da Caravaggio, Annibale Car-racci e Luigi Miradori tra la fi ne del Cinquecen-to e il Seicento inoltrato. Nonostante la scena raffi gurata sia la medesima, l’analisi del sogget-to condotta su tre esemplari dello stesso, può essere utile a mettere in evidenza diversi aspetti di questa vicenda, diversi momenti, stati d’ani-mo e caratterizzazioni di questa fuga, espressi a partire dai titoli delle tele (titoli verosimilmente forniti più dalla critica che non dagli esecutori stessi). Infatti, l’olio su tela, ora alla Galleria Do-ria Pamphili di Roma, eseguito dal Caravaggio tra il 1596-97 è stato nominato, Il riposo durante la fuga in Egitto; nella stessa sede è conservata la più sintetica Fuga in Egitto dipinta nel 1603 da Annibale Carracci e, infi ne, porta il titolo di Riposo dopo la fuga in Egitto l’olio eseguito da Miradori, detto Genovesino, nel 1651. Come detto sopra: un tema, tre pittori, tre titoli, tre diverse sfumature. La narrazione più neutrale, che riporta il brano della fuga vera e propria, senza soffermarsi su aspetti particolari della me-desima, è sicuramente rappresentata dalla tela

di Annibale Carrac-ci: pittore bo-

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laborando le lezioni del Rinascimento maturo di Raffaello, Michelangelo e Veronese, congiun-tamente a Caravaggio e Rubens porrà le basi per la nascita della pittura barocca. Diversa-mente dai brani che verranno poi presentati, in questo caso si ha il momento vero e proprio della fuga, e null’altro. Lasciata Betlemme, vi-sibile sullo sfondo in una veduta manierista e poco verosimile, appena scesi da una canoa, Maria con Gesù in braccio, seguita dall’asino e da Giuseppe, iniziano il loro viaggio. Oltre alla classica e ritmata composizione dello spa-zio scenico, costruito su un lento digradare di piani e sull’incrocio di diagonali che guidano lo sguardo dell’osservatore dal primo piano verso il fondo, evidente è proprio il tono di urgenza, di fretta che connota questa fuga, organizzata senza troppi preparativi, quasi all’istante, giusto il tempo di caricare sul mulo un modesto fagot-to contenete beni di prima necessità e null’altro.

Tutt’altra atmosfera si percepisce nell’opera di Caravaggio, che non propone una generica fuga, ma un suo momento specifi co: un brano di riposo che diviene anche intrattenimento, a suon di musica e in una cornice bucolica, priva della retorica tardo rinascimentale e caratteriz-zata, invece, da un impianto semplice, scandito da piani paralleli, illuminato da cromie accese che ritorneranno poi nella pittura ottocentesca. In questa rappresentazione, che molto ricorda il vedutismo di Giorgione, da notare il tenero

La FUGA: una realtà, tre momentiCarracci, Caravaggio, Miradori

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24 NAZARETH 4 2016

Sono Sofi a, ho 11 anni, e quest’anno con il campo estivo ho concluso la mia espe-rienza nei “lupetti”. A settembre mi aspetta

il “reparto”, un nuovo pezzo di strada che mi riserverà tante avventure piene di sorprese. Nel mese di agosto, con il mio gruppo scout, abbia-

mo trascorso una settimana nel piccolo paese collinare di Prun (VR). La casa in cui abbiamo soggiornato era in mezzo ad un bosco verdeg-giante e pieno di sentieri, che ci ha permesso di conoscere meglio la natura. Ho affrontato que-sta avventura in modo particolare, vivendo ogni attimo con molto entusiasmo. Un momento per me proprio speciale è stato quando ci siamo riuniti attorno al fuoco - in una notte che ci ha regalato una magnetica stellata - per condivide-re la cena e uno “Spettacolo” da noi preparato. A rendere indimenticabile questa serata è stato sentire i miei amici affermare: “È bello vivere nuove esperienze insieme a voi!”.Ora condivido una cosa a me molto cara, la promessa scout:“Prometto, con l’aiuto e l’esempio di Gesù, di fare del mio meglio per migliorare me stesso, nell’aiu-tare gli altri e nell’osservare la legge del branco”.

Sofi a Bombieri

VOCE GIOVANI

Il campo scout - Prun (VR) - 2016

Un’ESPERIENZA SCOUT da ricordare

abbraccio tra Maria e Gesù, l’asino che come attratto dalla musica fa capolino silenzioso tra le fronde; Giuseppe, a piedi nudi seduto sul povero bagaglio che, tenendo in mano lo spar-tito, in un qualche modo prende parte alla per-formace dell’Angelo, vero fulcro della compo-sizione, nonché elemento fi gurativo mancante negli altri due brani qui analizzati. Sempre riposo, ma certamente meno spensierato e disteso di quello appena menzionato, è quello realizzato da Miradori detto il Genovesino, ora conservato nella chiesa cremonese dei santi Cle-mente e Imerio. Il paesaggio bucolico del Ca-ravaggio o quello manieristico del Carracci la-sciano qui spazio a una ambientazione tutt’altro che idilliaca: sullo sfondo si sta consumando la strage degli innocenti, motivo della fuga della Sa-cra Famiglia, sui volti dei quali traspare proprio la preoccupazione e l’urgenza di scampare a tale strage. Di pregio, in questa rappresentazione, la sequenza di maestose rovine, l’imponenza del-le quali evidenzia maggiormente la piccolezza

e la precarietà della vita; ammirevole anche la cura per i particolari, si veda ad esempio quello dell’immagine sopra: l’intensità umana di Giu-seppe e il volto adorante dell’angelo. Un’unica esperienza, la fuga, vissuta secon-do tre momenti differenti che molto probabil-mente vive chi, oggi come allora, per motivi differenti, fugge.

Giulio Biondi

25NAZARETH 4 2016

Rev.da Suor Maria Angelica, il suo artico-lo sul n° 3 di Nazareth ha stimolato in me una seria rifl essione sulle mie rela-

zioni sociali e mi son chiesto: - So farmi pros-simo e verso chi? Cosa metto in atto per un aiuto ai “diversi”… immigrati e carcerati. Qua-li diffi coltà nel mio relazionarmi? Chi trascuro nelle mie relazioni e perchè... e cosi via.Tutte domande che hanno a che fare, oltre ai desideri, anche con il tempo a disposizione.Un po’di storia. Immigrato nel dopoguerra (dal Veneto alla Lombardia), ho potuto spe-rimentare cosa signifi chi sentirsi “diverso”; le relazioni con la comunità che avevo attorno erano quasi assenti. Pian piano poi, con il la-voro, la Parrocchia e quindi contatti sociali, le amicizie si son fatte numerose ma l’identità ne ha risentito, eccome! A favorire i contatti è sta-ta l’arte (nel mio caso la musica) che parla un linguaggio universale senza differenze di stato sociale o altro. Non sono mancate quindi le diffi coltà per lo sradicamento delle radici dal paese natio. Comprendo quindi gli immigrati dei nostri giorni che spesso suonano al can-cello di casa e quando mi fermo con loro per quattro chiacchiere e lascio loro una offerta o un panino, la moglie mi tiene il muso: “Quan-do tu non ci sei, son qui da sola e io ho pau-ra…” E come darle torto! Qui nei dintorni non passa una settimana senza furti nelle case. Dopo un breve sbandamento da giovane, sono maturato e sposato in giovanile età (21 anni). Il desiderio di fare “per conto mio” era forte e a quei tempi ci si sposava giovani. Fortunata-mente i miei ideali di riferimento sono sempre stati i valori cristiani tramandati in famiglia da generazioni. Il matrimonio con una ragazza del luogo e il lavoro, hanno sancito l’inserimento defi nitivo nella comunità; ma non erano fi nite le diffi coltà. Per ragioni di lavoro, dagli anni ’60 in poi, ho cambiato residenza ben quattro volte; si può ben immaginare come i contatti sociali ne abbiano risentito.E vengo alla situazione attuale... siamo diven-tati bisnonni (la pronipote Tecla ha 4 mesi). Allego qualche foto; è fi glia del secondo nipo-te adottato da mia fi glia. Ha sposato la fi glia di un diacono permanente.

Da bisnonno, le quattro generazioni che con-vivono nei dintorni, non mi concedono tanto tempo per una valida relazione con l’esterno o la Comunità parrocchiale. Il rischio è quello di disperdere in mille rivoli l’attenzione e tra-scurare quindi l’interiorità, altrettanto impor-tante. Mi interrogo spesso sulle mie priorità e noto a malincuore di trascurare alcuni soggetti parentali, anche se non intenzionalmente, ma proprio perchè impossibilitato a porle in atto. È diffi cile mantenere “rapporti autentici e si-gnifi cativi” se si disperde l’attenzione in mille rivoli. Famiglia, fi gli, sorelle, fratelli, cognate vedove, nipoti e ora anche pronipoti, non saprei da dove iniziare. Per non parlare poi delle commissioni per la fi glia e il genero che lavorano entrambi. Per concludere. “Chi cer-chiamo...” la provocazione iniziale, in questa società odierna “caotica e complessa”.Rimedio quindi con una telefonata nel giorno del compleanno o con qualche SMS ogni tan-to. Scusi se ho osato tanto, ma la sua rifl essio-ne mi ha provocato e mi auguro di leggerne ancora su altri argomenti. Una nota in calce; il fratello Missionario, dopo una tensione ini-ziale per un principio di tumore al collo del pancreas... con la chemioterapia tutto si è fer-mato e lo vedo sorridere ancora come prima. Fa la spola Erba-Medjugorje come accompa-gnatore dei pellegrini che partono da Varese e da Como. Speriamo bene. Grazie ancora per la sua simpatia; chiedo preghiere per la mia numerosa famiglia e la saluto fraternamente.

Bisnonno Eugenio

LETTERA APERTA

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26 NAZARETH 4 2016

CARISMA

Si chiude l’anno della misericordia, l’anno in cui ciascuno di noi è stato toccato con particolare intensità dall’amore del Padre, dalla forza di

vita immessa in questa umanità alla ricerca di libe-razione, di salvezza, di pace. Possiamo domandar-ci: davvero abbiamo avvertito il tocco di una Pre-senza rassicurante, viva e vitale? Davvero abbiamo compreso e sperimentato la gioia di lasciarci coin-volgere, penetrare nell’intimo dall’azione amorosa e vitalizzante di Dio che non cessa di cercare ogni sua creatura e di renderla capace di riconoscere la ricchezza di doni e di possibilità di cui viene dotata? Abbiamo preso coscienza di essere chiamati a di-ventare persone vere, i fi gli che il Padre ha sognato e vuole? È il traguardo a cui tutti dobbiamo tendere, che ci rende felici, pienamente soddisfatti di noi stessi e della vita, ci mette in grado di essere per gli altri rivelazione del volto del Padre. È il dinamismo della vita, è l’amore che porta a continui cambia-menti, perché non siamo quello che dobbiamo es-sere, lo stiamo diventando, “accogliendo istante per istante il dono di vita che continua a fl uire dall’Alto” (Molari) e ci conduce ad acquisire un’identità per-sonale, le qualità che ci sono necessarie per vivere, per comprendere noi stessi, il senso della vita no-stra e dell’umanità tutta. I nostri Fondatori nella loro visione statica della realtà, dovuta alla cultura del tempo, consideravano impegno morale, necessità di fare qualcosa per arrivare a quella perfezione che era già determinata e di cui presentavano tanti modelli da imitare. Della S. Famiglia stessa presen-tavano “le virtù domestiche” e l’esemplarità a cui le suore in particolare, ma tutti dovevano guardare. La forza di vita ad essi donata era accolta con tutta la disponibilità e consapevolezza a loro possibile, ed è questo il valore grande della loro testimonian-za, della loro ricerca di lasciarsi “spingere dalla ca-rità” “caritas Christi urget nos”, per nutrire desideri, coltivare atteggiamenti ed esprimere gesti di mise-ricordia. Nell’intensa attività sia in ambito spirituale sia in ambito operativo mostravano la capacità di amore a cui erano giunti, i nuovi traguardi di de-dizione, di attenzione al “povero popolo”, di rive-lazione dell’amore misericordioso del Padre, che rappresentavano una novità rispetto alle forme di evangelizzazione e di assistenza a loro precedenti. Così gli Istituti nati nell’800 erano frutto di una forza di vita che faceva fi orire qualità nuove rispetto al passato e la capacità di offrire doni di vita, men-

tre si andava diffondendo una sensibilità attenta a liberare le persone dallo sfruttamento, dalla sotto-missione e soggezione al potente del tempo. L’an-no della misericordia, tuttavia, ci ha parlato di una novità ancora più vicina al continuo rivelarsi di Dio e al suo agire nella storia e nella vita umana. Non partiamo da una perfezione già stabilita né da leggi fi sse che non si possono trasgredire, ma dall’essere vigilanti sui nostri pensieri, desideri, relazioni, deci-sioni per non correre il rischio di rifi utare le offerte di vita continuamente proposte. Ancora i Fondatori ci parlano della liberazione interiore cercata, allora con un costante cammino di ascesi, per essere in grado di cogliere il dono offerto e le opportunità da riconoscere, per rendere possibile il futuro e non ripiegarsi sull’abitudine o sull’istintività. È la legge dell’Incarnazione: Dio si rivela solo attraverso le sue creature e solo persone liberate ed aperte allo Spirito “possono introdurre modalità nuove di vita”. L’azione di Dio non sostituisce le creature, fa sì che la creatura abbia la vita, sia in grado di operare il bene, possa provare la passione che muove a “compassione” verso i fratelli, quella stessa passio-ne vissuta da Cristo come atto supremo di amore, come totale dono di sé. I nostri Fondatori ci hanno mostrato la verità di queste realtà: non hanno ri-solto i problemi e attuato interventi a favore della loro gente solo pregando e chiedendo l’intervento di Dio, ma si sono messi nella condizione di ope-rare senza riserve, perché in loro l’amore di Dio è diventato amore di creatura, unica modalità per-ché l’amore sia autentico, e la forza di tale amore li ha spinti ad entrare come Cristo nella realtà oscura della vita umana, quella realtà povera, ristretta, li-mitata all’inizio, al breve spazio di un piccolo pa-ese, ma estesa poi in tanti paesi dove era richiesta una qualità nuova della vita umana. Si tratta di far crescere Gesù Cristo, l’uomo che è giunto “ad un’e-spressione estrema di amore”. La compassione e, quindi, i gesti e le opere di misericordia nascono da un affi damento totale alla forza della vita, l’e-nergia che trasforma dal di dentro questa umanità, che diventa in noi azione nuova. Allora diventiamo forza di vita per gli altri, sappiamo condividere le negatività senza rifuggire dal lasciarsi coinvolgere, anzi assumendole e caricarcandocele sulle nostre spalle, come Cristo si è caricato della nostra umani-tà incarnandosi.

G.T.

Forza di VITA

27NAZARETH 4 2016

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Dall’accoglienza e comunicazione

all’INTEGRAZIONE

In questo tempo di grande mobilità dei popo-li, la Chiesa è sollecitata a promuovere l’in-contro e l’accoglienza tra gli uomini: «i vari

popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine». In tale prospettiva, la nostra attenzione si rivolge in modo partico-lare al fenomeno delle migrazioni di persone e famiglie, provenienti da culture e religioni diver-se. Esso fa emergere opportunità e problemi di integrazione, nella scuola come nel mondo del lavoro e nella società. Per la Chiesa e per il Pae-se si tratta senza dubbio di una delle più grandi sfi de educative. Come sottolinea Benedetto XVI, «l’avvenire delle nostre società poggia sull’incon-tro tra i popoli, sul dialogo tra le culture nel rispetto delle identità e delle legittime differen-ze». I diritti fondamentali della persona devono costituire il punto focale dell’impegno di corre-sponsabilità delle istituzioni pubbliche nazionali e internazionali, che riusciranno a offrire pro-spettive di convivenza tra i popoli solo «tramite linee oculate e concertate per l’accoglienza e l’integrazione, consentendo occasioni di ingres-so nella legalità, favorendo il giusto diritto al ri-congiungimento familiare, all’asilo e al rifugio, compensando le necessarie misure restrittive e contrastando il deprecabile traffi co di persone».All’accoglienza deve seguire la capacità di ge-stire la compresenza di culture, credenze ed

espressioni religiose diverse. Purtroppo si re-gistrano forme di intolleranza e di confl itto, che talora sfociano anche in manifestazioni violente. L’opera educativa deve tener con-to di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffi denze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collabo-razione. Particolare attenzione va riservata al numero crescente di minori, nati in Italia, fi gli di stranieri. L’acquisizione di uno spirito critico e l’apertura al dialogo, accompagnati da una maggiore consapevolezza e testimonianza del-la propria identità storica, culturale e religiosa, contribuiscono a far crescere personalità soli-de, allo stesso tempo disponibili all’accoglienza e capaci di favorire processi di integrazione.La comunità cristiana educa a riconoscere in

ogni straniero una persona dotata di dignità inviolabile, portatrice di una propria spiritua-lità e di un’umanità fatta di sogni, speranze e progetti. Molti di coloro che giungono da lon-tano sono fratelli nella stessa fede: come tali la Chiesa li accoglie, condividendo con loro an-che l’annuncio e la testimonianza del Vangelo. L’approccio educativo al fenomeno dell’immi-grazione può essere la chiave che spalanca la porta a un futuro ricco di risorse e spiritual-mente fecondo.

Conferenza Episcopale ItalianaOrientamenti pastorali per il decennio 2010-2020

Da: “Educare alla vita buona del Vangelo” in un mondo che cambia, n. 14

28 NAZARETH 4 2016

FAMIGLIA

Nella cultura che tutti respiriamo, sem-bra che praticare la misericordia in famiglia confi ni con il lasciar correre,

non imporsi, permettere tutto, in una parola sembra che la misericordia possa confi nare con il permissivismo.Ma ciò è tradire quel movimento del cuore che attinge alla “compassione” di Dio per cia-scuno di noi. Perchè?Il genitore che lascia correre, non pone dei divieti, non offre confi ni... è un genitore che pensa male del fi glio e di se stesso. Pensa male del fi glio perchè lo pensa incapace di obbedire, allergico alle regole, succube delle sue pulsioni, insomma lo pensa incompetente a gestirsi, sia che abbia quattro anni, come quattordici, come ventiquattro... Ma simile genitore pensa male anche di se stesso, perchè si arrende, non ha fi ducia nel suo essere un “buon” genitore: e coltiva il li-vore dell’impotenza, della sfi ducia, del sentirsi inascoltato; sembra dire: “non ti faccio richie-ste, non ti metto limiti, tanto tutto è inutile!”. E così in famiglia circolano rabbia, sordo ran-core, rifi uto. Tutti atteggiamenti che - anche

quando non espressi - ammorbano l’aria fa-miliare.E allora com’è un genitore misericordioso? È uno che pensa bene del fi glio, proprio quan-do disobbedisce, sembra allergico alle richie-ste, volta le spalle. È come il “padre buono” della parabola che mette l’anello al dito al fi -glio che è tornato semplicemente per chieder-gli di... mangiare tutti i giorni! Il padre buono gli dice - con i fatti - che il fi glio può stare davanti a lui soltanto come fi glio. Come quel padre - fatto vero - che trova nel cellulare un SMS del fi glio, cui aveva sottratto la “bustina” (di coca): “fra poco avrai un ex-fi glio”. E lui risponde: “Tu non potrai mai essere un ex-fi glio!!”. E quando il fi glio torna, fa i patti con lui, patti concreti. Insieme.Misericordioso è dunque quel genitore che tiene nel cuore il volto buono del fi glio, an-che quando trasgredisce. E lo aiuta a fare un piccolo passo: sa che il rifi uto è provvisorio, ma che la vita che scorre nel fi glio è buona. “È bene che tu ci sia” - gli dice con i fatti. E non ritira la sua richiesta. Aspetta. E dunque il cuore della misericordia in famiglia è l’at-tesa, non il verdetto defi nitivo. Per questo il genitore conserva un’orma della pazienza del Signore della Vita. Tiene nel cuore la “miseria” dell’altro (fi glio, ma anche coniuge, fratello, suocero ecc) perchè questo conservare nel cuore è la riserva buona: è la speranza di cui ciascuno di noi vive!Ma anche il fi glio è chiamato alla misericordia: man mano che cresce negli anni, recede dal-lo statuto dell’accusatore (“ecco che cosa non hai fatto per me!”) per divenire il difensore della debolezza, dei limiti dei genitori. E que-sta è la porta della gratitudine.La misericordia, infatti, cammina sul sentiero della gratitudine: reciproca! Allora la famiglia diventa davvero luogo di misericordia.

Gilberto GilliniMaria Teresa Zattoni

FAMIGLIA,luogo di misericordia

Insieme con gioia tre generazioni

29NAZARETH 4 2016

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MONTE DI MALO (VI)

Nell’agosto 1936, il Commissario Pre-fettizio di Monte di Malo, G. Battista Panizzon, scrisse alla Superiora ge-

nerale dell’Istituto “Piccole Suore della Sacra Famiglia” di Castelletto, comunicando che “le locali Autorità sarebbero tutte propense per l’apertura di un Asilo nel Capoluogo di que-sto Comune… possibilmente col nuovo anno scolastico”. Anche l’Arciprete, don Marcello Centomo, informò la Madre generale che “il Sig. Podestà fa di tutto per realizzare il vivo desiderio del paese, che spera si apra un Asi-lo Infantile, e ne ha già iniziato le pratiche”. Raccomandandone il buon esito a S. Giusep-pe, l’Arciprete chiedeva inoltre la presenza delle suore per avere “un valido aiuto per l’educazione della gioventù femminile, nell’A-zione Cattolica” e nella catechesi. La Madre,

da parte sua, presentò la diffi coltà di trovare Suore per questa nuova Istituzione, tuttavia il Commissario e l’Arciprete non si scoraggia-rono; il Commissario continuò con impegno per predisporre la necessaria documentazione e preparare l’ambiente che avrebbe accolto i bimbi. Si pensò fosse adatto il fabbricato sito nel centro di Monte di Malo di proprietà dell’I-stituto, a quel tempo denominato “Colonia S. Giuseppe”; esso ospitava, durante l’estate, le orfanelle di Isola Vicentina. Presi tutti gli ac-cordi, ottenuta l’approvazione del Vescovo di Vicenza, mons. Ferdinando Rodolfi , il 12 di-cembre 1936 giunsero in paese le prime quat-tro Piccole Suore per aprire il nuovo asilo.Esse si misero subito all’opera, un’opera che ancora continua e che è tuttora vivace!

Suor Giuliana Simoni

Una storia essenziale

30 NAZARETH 4 2016

Come Presidente della Scuola materna, ma soprattutto come membro della comunità di Bornato, vorrei porgere i nostri saluti

e ringraziamenti a suor Gianletizia Scalvini per i 20 anni che ha condiviso con tutti noi. Vent’an-ni di permanenza a Bornato durante i quali ci ha regalato la sua opera educativa, con amore e pazienza, nella sua aula della Scuola materna. Tanti bambini ha accompagnati nel cammino del catechismo e la sua presenza nella pastorale è sempre stata attiva e discreta. Ci mancherà il suo prezioso aiuto, che ha offerto anche negli ultimi anni, con una collaborazione sempre po-sitiva e tanta disponibilità. Non solo i bambini si ricorderanno sempre di lei, ma pure i genitori e tutti noi perchè abbiamo potuto apprezzare

il suo sorriso, la sua semplicità e la sua umiltà, che l’ha portata a costruire legami fraterni con tante persone. Ora le auguriamo di proseguire questa sua missione di amore per gli altri, an-che nel suo prossimo cammino, sicuri che ci porterà nel suo cuore come noi porteremo lei. Grazie da tutta la comunità.

LE PSSF IN MISSIONE

BORNATO (BS)04 settembre 2016

Sono entrate nella pienezza della vitaChiamate alla piena partecipazione del mistero pasquale di Cristo Gesù

PICCOLE SUORE DELLA SACRA FAMIGLIA

Suor Lavinia De Rosso Suor Silvestrina CapriniSuor Efrem Vantini Suor Piegiulia BettegaSuor Rosezia Pelosi Suor Marsilia ZaniniSuor Alaide Gasparin Suor Vitalica ZordanSuor Clemenzia Tanara Suor Maria Imelda Angst (brasiliana)Suor Pia Adalgisa Piergentili Suor Crescentina Sposetti

Carissimi lettori, in questo Giubileo della Misericor-dia, ed espressamente in questo giorno

(1/9/2016), dedicato alla “custodia del creato”, un giovane pensa di versare i suoi risparmi a contributo di un pozzo d’acqua per coloro che non godono di questo bene della terra. Diego è un giovane enologo, che da qualche anno vive lontano dalla famiglia genitoriale per motivo di lavoro in una “Azienda agricola”, una distesa ita-liana di vigneti, dove terra - acqua - sole, permet-tono il prelibato frutto. Egli sa bene che se alla vite manca uno di questi elementi, il suo sacri-fi cio e il suo raccolto, vengono vanifi cati. Diego cura le viti con passione e con particolari strate-

gie, ma così anche per i suoi risparmi. Qualche rinuncia, qualche personale accorgimento, qual-che spicciolo che clienti disinteressati lasciano al banco… e “tic dopo tic” tutto fi nisce nella scatola di scarpe n° 40, che fa da salvadanaio. Un giorno il giovane deve cambiare alloggio e si accorge che il peso della scatola è piuttosto consistente. Che fare? Pensa di raggiungere l’Uf-fi cio “Amici delle Missioni” delle Piccole Suore della S. Famiglia, ed essere goccia di vita per tanti fratelli e sorelle meno fortunati di lui. Per-tanto l’Istituto ringrazia vivamente la generosità di Diego e il suo spirito missionario… un sapore di-vino per un pozzo in TOGO. Grazie!

Suor Gabriella Pia Bonato

Quel “VINO”... in un pozzo

31NAZARETH 4 2016

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10° ANNIVERSARIO

Nella Casa di Cura “Madre Fortunata To-niolo” delle Piccole Suore della S. Fa-miglia è tradizione, ormai consolidata

che, in occasione delle feste di Natale e di Pasqua, la comunità delle Suore organizzi per tutto il personale la Santa Messa. È un mo-mento prezioso di unione, fratellanza e di au-gurio a tutti. Durante la settimana che precede la solenne celebrazione i laici, a servizio nella Casa di Cura, sono invitati a riunirsi nel salone Conferenze per un momento di rifl essione e di formazione. Quest’anno, a dicembre 2016, sono 10 anni della nascita del “Coro Toniolo” quindi si aggiungerà un altro lieto evento da festeggiare.

Breve storia - Da quando è stato fondato un vero e proprio Coro musicale, con una buo-na dotazione sia di voci che di strumenti, un gruppo di laici, appassionati di musica e can-to, in prossimità delle feste, si danno appun-tamento per fare le prove, per accompagnare la Santa Messa e rendere festosa la partecipa-zione. Naturalmente non manca il Maestro (o meglio la Maestra) del Coro, Chiara, con un curriculum di tutto rispetto. Il gruppo si riuni-sce una, due volte la settimana per preparare i canti e le musiche in modo da affi nare la

tecnica sotto ferma ed esperta direzione, che cura con attenzione il ritmo, la coordinazione e la sinfonia di musica e voci. Il Coro “Tonio-lo”, nel corso degli anni, si è ingrandito, sia come ricchezza vocale che strumentale: all’ inizio c’erano 7/8 cantori (1 sola voce maschi-le) e tre strumenti: la chitarra, la tastiera e un cembalo. Oggi possiamo contare su circa 12 cantori (uomini e donne) e ben 7 strumenti: 2 chitarre, 1 tastiera, 1 fl auto traverso, 2 sasso-foni e 1 cembalo. Bisogna anche ringraziare Suor Patrizia che, pur essendo molto impegna-ta in Istituto, riesce a dedicarci il suo tempo e passione suonando il sax contralto, strumento che arricchisce la nostra “orchestra”. Questo Coro ha sempre avuto un’anima segreta che, fi n dagli albori, in tanti modi, lo ha incorag-giato: Suor Ausilia. Da tanti anni accompagna e impreziosisce con il suono dell’organo le liturgie del Toniolo. Abbiamo realizzato una sorta di intervista alla “maestra del coro” Chia-ra Cesari. D: Al vostro gruppo avete dato un nome? R: Sì, la Superiora ha voluto per noi un nome:“Coro Toniolo”.D: Chi sono stati i promotori?R: I primi ad iniziare sono stati Suor Ausilia, Paolo, Annalisa, Roberta, Annalucia e Anna.D: Qual è stata l’idea principale o la motiva-zione che ha spinto a ideare tutto ciò?R: Per poter partecipare attivamente alla Messa.D: Dopo 10 anni quali sono i lati positivi?R: La cosa più positiva è che si è creato un gruppo affi atato di laici di vari reparti che con-dividono la passione del canto e della musica.D: Progetti per il futuro?R: Primo obiettivo aumentare l’organico e pro-porci a realtà collegate al nostro Istituto. Già adesso facciamo qualche sortita. Per Natale partecipiamo alla Messa della Casa di ripo-so PSSF di Pianoro; mentre il primo sabato di maggio, in occasione dell’unzione degli infermi, cantiamo alla Messa della parrocchia Madonna del Lavoro, che è Parrocchia nostra. È bello, per noi laici, partecipare attivamente alla “mission” della Casa di Cura.

Gianni Zingrilli

Crescita decennale del “Coro Toniolo” - Bologna

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LE PSSF IN MISSIONE

Parlare oggi di schiavitù rimanda, nell’im-maginario collettivo, ad epoche passate, sia di formazione scolastica (se ne parla

solo sui libri di scuola) che di tempi (la tratta de-gli schiavi). Purtroppo il tema invece è di estre-ma attualità tanto da aver coniugato una nuova terminologia “nuove schiavitù” per defi nire un problema che tocca 46 milioni di persone, se-condo le recenti stime condotte dall’Istituto Walk Free Foundation. Tra le cause principali addotte per parlare di nuove schiavitù c’è la tratta degli esseri umani, lo sfruttamento sessuale, varie for-me di violenza, coercizioni, ma anche situazioni di guerra e di irrimediabile povertà causate da fattori non naturali, ma dall’uomo. In questa cor-nice si è collocata la giornata di formazione mis-sionaria tenutasi in ottobre a Verona con relatri-ce suor Federica Cacciavillani impegnata da anni con la Caritas vicentina ed il suo Istituto delle Suore Orsoline, nell’accoglienza e nella gestio-ne dei profughi e dei rifugiati. Se l’emergenza profughi, rifugiati, sbarchi, migrazione, sembra essere una tragica realtà di questi ultimi anni, il fenomeno della migrazione di popoli stranieri in Europa e in casa nostra ha ormai oltre tre decenni di storia, a cominciare dalla migrazione di massa dall’Albania. Certamente sono cambiati gli scenari e anche le popolazioni migranti, ma tutte accomunate dal vitale bisogno di fuggire dalla morte certa o da una vita di schiavitù. Di fronte a questi “fratelli” come li ha chiamati suor Federica, è lo stesso Vangelo che ci interpella ad uno spirito di accoglienza che sappia “farci cam-biare idea” come Gesù stesso seppe cambiare la sua idea in terra pagana e liberare dal demonio la fi glia di una donna che lo supplicava benché straniera. Fondamentale poi, ci ricordava ancora suor Federica, comprendere le ragioni di que-sto esodo biblico e cercare insieme di trovare le strategie migliori di accoglienza per prevenire tanti rischi e tante derive raccontate dalla cro-naca spicciola, ma che alimentano sempre più nuove forme di odio razziale fi no ad arrivare ad espressioni xenofobe di recente memoria. La Siria è il fronte che oggi conta da sola il 51% dei rifugiati per una ovvia causa: la guerra. Anche

la siccità, la mancanza di corrente e altre for-me di cronico sottosviluppo determinano altre schiavitù da miseria e povertà. Integralismi e fa-natismi sia religiosi che culturali inducono alla fuga donne e giovani. Conoscere tutto questo è importante per mettersi nei panni del fratello straniero. Agire è il secondo passo, soprattutto con progetti di sviluppo locale proprio nei Paesi dove si tende a scappare per migrare e garantire un futuro e una vita ai propri fi gli.Il racconto di Alessandra Pedrollo e di quanto fa la sua famiglia da oltre 30 anni è stato il secondo contributo, la testimonianza costrutti-va tanto auspicata e invocata da suor Federi-ca. Con la realizzazione di più di 1.200 pozzi la famiglia Pedrollo ha fornito acqua in tan-tissimi Paesi e villaggi raggiungendo comples-sivamente circa 3 milioni di persone. Accanto all’acqua poi la realizzazione di alcune scuole e centri di assistenza e formazione per minori fi no ad indire un concorso annuale all’interno dell’azienda che coinvolge 200 bambini, fi gli dei dipendenti, che si attivano nel realizzare qualcosa in favore dei loro coetanei poveri in Africa e in India. La giornata formativa si è ul-teriormente arricchita dell’esperienza di Angela Falzetta che per un anno è stata “emigrante in Bulgaria”. Nel pomeriggio un ricordo della fi -gura di suor Augustangela e della sua instanca-

Fuggire dalle SCHIAVITÙUffi cio Amici delle Missioni

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bile dedizione per i poveri sia vicini che lontani con la preparazione dei pacchi per le missioni e una stretta collaborazione con “Gli Amici del Togo”, (presenti anch’essi nei coniugi Silvana e Gino), fi no al giorno prima di lasciarci improv-visamente per tornare alla casa del Padre.La conclusione, con la celebrazione della S. Messa, ha visto un momento forte di comu-nione spirituale con tutte le consorelle all’e-stero, espressione del carisma delle Piccole Suore della Sacra Famiglia nel mondo. Carichi di questo momento di formazione missionaria ciascuno di noi ha trovato nuove motivazioni per un altro anno di impegno in favore dei fratelli più poveri e in diffi coltà a cui stiamo dando già alcune risposte con 5 nuovi proget-ti in America Latina e in Africa.

Marco De Cassan

“Oggi la missione è posta di fronte alla sfi da di rispettare il bisogno di

tutti i popoli di ripartire dalle proprie radici e di salvaguardare i valori delle rispettive culture”.

Quest’anno la donna è protagonista

con interventi tutti al femminile,

laiche e religiose accumunate dalla

medesima vocazione solidale e

d’impegno per vincere

tante nuove schiavitù.

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Mi chiamo Angela Fal-zetta, sono da poco tornata in Italia, a Ca-

tania, dopo un anno passato in Bulgaria conclusosi a settembre. Dato che esercito la professio-ne di psicologa, il settore di mia competenza era l’affi ancamento degli operatori e del personale di un Centro diurno per disabili lievi e medio gravi, in una pic-cola città, alla periferia di Sofi a. Questa esperienza è stata davvero piena, mi ha arricchito sul piano umano e mi ha fatto cresce-re, imparando strategie e affrontando situazio-ni che i libri non sono in grado di trasmettere. Questa esperienza di 12 mesi, si svolgeva prin-cipalmente in questo Centro diurno per disabili. Solo le ultime due settimane ho avuto la possi-bilità di sperimentarmi anche in Romania in un Centro residenziale per malati di Alzheimer. All’inizio l’impatto con la realtà bulgara non è stato semplice a causa della lingua. La fatica più grande non era tanto il vivere in un contesto così diverso dal mio per cultura, cibo, tradizioni, ma l’incapacità di comprendere e di essere compre-sa dato che la mia professione si gioca proprio sulla relazione e l’interazione con l’altro. Ho pro-vato grande frustrazione ogni volta che ero in-capace di intendere quello che mi veniva detto in lingua bulgara, sia dai ragazzi disabili, che dai colleghi e dal personale. Col tempo sono riuscita

a comprendere meglio la situa-zione in Bulgaria e soprattutto la condizione sociale in cui vivono i disabili ancora oggi percepiti il più delle volte come un peso per la società e lasciando le fa-miglie in balia di se stesse, senza assistenza medica, psicologica e assistenziale. Può accadere che la presenza di un disabile sia motivo di vergogna e, quindi, meglio nasconderlo in casa (so-

prattutto nei piccoli paesi) piuttosto che aiutar-lo. La stessa formazione del personale è ancora molto povera. Così basta limitarsi all’assistenza di base: “l’importante è lavarlo, vestirlo, dagli da mangiare e tenerlo calmo”. Se come volontari, venuti dall’estero, tentavamo di strutturare delle attività con i disabili, inventare percorsi per re-cuperare e stimolare le risorse e alcune abilità, non venivamo subito capiti. È a questo punto che è scattata una molla dentro di me e anche in altri miei compagni volontari: mettersi in gioco per sentirsi utili e lasciare qualcosa di positivo. Più stavamo con i ragazzi, lavorando con loro, e più loro si fi davano di noi e, nonostante le tante diffi coltà qualcosa stava cambiando: il migliora-mento prima che a livello cognitivo avveniva a livello emotivo. Non era solo il supporto psico-logico che fornivamo ma era anche il modo di rapportarci con loro. Per me, per noi, i ragazzi erano persone normali con i loro limiti e le loro potenzialità. Anche ciascuno di loro è in grado di dare e fare qualcosa nella vita! Il confronto quotidiano con tante povertà ha suscitato in me vari interrogativi sul senso del vivere su una sedia a rotella o in un letto. Che senso ha vivere con la malattia dell’Alzheimer o del Parkinson? Non ho saputo dare una ri-sposta, ma ho cercato di utilizzare questi dubbi e questi interrogativi come stimolo per servire meglio le persone. Grazie amici della Bulgaria.

Angela Falzetta

Dall’ITALIA...

emigrata in BULGARIAIl racconto di un’esperienza di volontariato Europeo

LE PSSF IN MISSIONE

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IOSOPAPA FRANCESCO:

continua l’ecumenismo

mediante l’INCONTRO

Dopo aver visitato l’Armenia a giugno, Papa Francesco ha completato il viag-gio caucasico venerdì 30 settembre

e sabato 1 ottobre in Georgia, e domenica 2 ottobre in Azerbaigian. Si è fatto presente di persona in quella striscia di terra tra il Mar Nero e il Mar Caspio, ai confi ni con la Rus-sia, e in quasi prossimità della Cina, due Pa-esi dove il Papa desidera tanto giungere, ma stranamente forse si ha ancora paura della sua persona o di chi rappresenta.IN GEORGIAA Tiblisi ha fatto comunione con quella chiesa ortodossa. Fraterno e umile l’incontro con il patriarca Ilia II. Questi compì la prima storica visita in Vaticano, scambiando il bacio di pace e la promessa di pregare l’uno per l’altro, con Giovanni Paolo II. Allora era il Papa anziano e traballante, ora si sono invertite le parti: lo scambio del reciproco sostegno, nei piccoli passi fi sici e spirituali, nel lungo cammino di comunione.E Papa Francesco riconosce: “Davvero l’amo-re del Signore ci innalza, perché ci permette di elevarci al di sopra delle incomprensioni del passato, dei calcoli del presente e dei ti-

mori per l’avvenire… Desidero essere amico sincero di questa terra e di questa cara popo-lazione, che non dimentica il bene ricevuto e il cui tratto ospitale si sposa con uno stile di vita genuinamente pieno di speranza, pur in mezzo a diffi coltà, che non mancano mai. Anche questa positività trova le proprie radici nella fede, che porta i georgiani a invocare, attorno alla propria tavola, la pace per tutti e a ricordare persino i nemici”.E salutando una rappresentanza della comuni-tà cristiana siro-caldea, Francesco auspica che “le diffi coltà non siano impedimenti, ma stimoli a conoscerci meglio, a condividere la linfa vita-le della fede, a intensifi care la preghiera gli uni per gli altri e a collaborare con carità apostolica nella testimonianza comune, a gloria di Dio.”Ad aprire il secondo atto del viaggio in Geor-gia fu la Messa celebrata allo stadio Meskhi. Da notare l’assenza della delegazione orto-dossa, perché la loro tradizione non consente di celebrare all’aperto la “cena del Signore”. Buon segno di reciproco rispetto!E poi nell’incontro con preti e seminaristi, reli-giosi e operatori pastorali cattolici nella chiesa dell’Assunta di Tiblisi il Papa ha toccato argo-menti sensibili per il nostro tempo. Anzitutto “tra i tesori di questo splendido Paese risalta il valore delle donne, delle tante nonne e madri, che continuano a custodire e trasmettere la fede cristiana.” Da sempre e dovunque è stato così, e speriamo che continui nel tempo.Del resto nel mondo siamo oramai nella stes-sa barca, come osserva il cappuccino Filippo Aliani, annunciatore del Vangelo in terra di Georgia: “Anche qui si fa sentire la mentali-tà materialista, soprattutto tra i giovani senza una precisa identità”.Signifi cativa la sottolineatura dell’importanza della famiglia cristiana, perché “l’uomo e la donna, che diventano una sola carne, sono immagine di Dio” e quando si divide ‘una sola

Georgia, il Papa con Ilia II, saluto all’arrivo

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carne’ si sporca l’immagine di Dio... È bello vivere l’amore coniugale e familiare nella vita quotidiana, praticando le “tre parole: posso?, grazie!, scusa.” Invece la “teoria del gender”, afferma il Papa, fa parte di una “guerra mon-diale per distruggere la famiglia”. Della lunga conversazione di Francesco a cuore aperto, è tendenziosità e cattiveria citare solo questa frase sul gender.IN AZERBAIGIANLa domenica 2 ottobre nella capitale Baku avviene l’incontro interreligioso sulla porta dell’islam asiatico, anche con rappresentanti della Chiesa russa e delle comunità ebraiche. È “un segno, che manifesta quell’armonia, che le religioni insieme possono costruire, a par-

tire dai rapporti interpersonali e dalla buona volontà dei responsabili”.Meraviglioso è l’invito di un grande poeta di questa terra, Nizami Ganjavi, citato dal Papa: “Se sei umano, mescolati agli umani, perché gli umani stanno bene tra loro!”. Allora “proprio le religioni hanno un grande compito: accompa-gnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capa-cità dell’essere umano e i beni di questo mon-do non devono mai diventare degli assoluti... Le religioni sono chiamate a farci capire che il centro dell’uomo è fuori di sé, che siamo pro-tesi verso l’Altro infi nito e verso l’altro che ci è prossimo... Sono chiamate a edifi care la cultu-ra dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti”.IN CONCLUSIONEPapa Francesco vive ciò che proclama con co-raggio, senza stancarsi, nei suoi viaggi brevi all’estero e anche in Italia, come ad Amatrice terremotata: sono qui per esservi vicino, senza disturbarvi, e per assicurarvi che prego per voi.Così pure ad Assisi il 9 di settembre si è incon-trato per pregare con tante religioni diverse, e ha ricordato a tutti che non ci si era ritrovati solo per celebrare l’anniversario di un evento del passato e attirare l’attenzione dei media, ma piuttosto ha affi dato a tutti cinque parole-impegno (che in italiano iniziano tutte con la “p”!), per salvarci insieme oggi nel mondo: preghiera, penitenza, pianto, pace, poveri.

d. Gianfranco Cavallon

DIALOGO ECUMENICO E INTERRELIGIOSO

RUSSIA

IRAN

TURCHIA

MARNERO

MARCASPIO

ARMENIA

GEORGIA

AZERBAIJAN

Signore Gesù,adoriamo la tua croce,che ci libera dal peccato,

origine di ogni divisione e di ogni male;annunciamo la tua risurrezione,che riscatta l’uomo dalla schiavitù del fallimento e della morte;attendiamo la tua venuta nella gloria,che porta a compimento il tuo regno di giustizia, di gioia e di pace.

Vergine Maria, regina della pace,tu che sei stata ai piedi della croce,ottieni dal tuo Figlio il perdono dei nostri peccati;tu che non hai mai dubitato della vittoria della risurrezione,sostieni la nostra fede e la nostra speranza;tu che siedi regina nella gloria,insegnaci la regalità del servizio e la gloria dell’amore.

PREGHIERA per la PACEDalla preghiera di Papa Francesco all’incontro con la comunità assiro-caldea presso la chiesa cattolica caldea di S. Simone Bar Sabbae di Tbilisi nel viaggio apostolico in Georgia (venerdì 30 settembre 2016):

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IZIAPartecipare e vivere

da CITTADINI responsabili

Diamo un po’ di numeri. Non perché sia-mo impazziti ma, al contrario, perché siamo chiamati ad essere cittadini con-

sapevoli e responsabili. L’ultima legge di stabi-lità - il principale strumento della manovra di fi nanza pubblica insieme alla legge di bilancio - presentata a metà ottobre dal Presidente del consiglio Renzi e dal Ministro dell’Economia Padoan ha un valore di 27 miliardi di euro. Il nostro debito pubblico ha da tempo superato i 2.100 miliardi di euro, il che signifi ca che cia-scun italiano e ciascuna italiana, bambini com-presi, ha una zavorra di 35 mila euro che pende sul proprio capo. Una sorta di spada di Damo-cle che rallenta lo sviluppo economico, sociale, politico e culturale del nostro Paese. Quando i debiti sono così cospicui è notorio che per far tornare i conti si adottano due strategie: o si aumentano le entrate o si tagliano i costi. Nel primo caso, lo Stato aumenta le imposte e le tasse; nel secondo caso si apportano dei tagli alle agevolazioni e ai servizi, in primis a scuola e sanità. Sia nell’uno che nell’altro caso, sono i cittadini onesti e i più deboli i primi a pagare. In tutti i sensi.A fronte di questo scenario, sempre a metà ottobre, l’Istat ha diffuso i dati sulla cosiddet-ta “economia non osservata”, composta dalle attività derivanti dall’economia sommersa - es.

lavori in nero ed evasione fi scale - e da attività criminali, come la prostituzione e il traffi co di droga. I dati sono sconcertanti. L’Istat quanti-fi ca l’economia non osservata in 211 miliardi di euro - praticamente il valore di otto leggi di bilancio - pari al 13% del nostro Prodotto interno lordo. Allo Stato vengono sottratte ri-sorse in particolare nel settore dei servizi alle persone, dei trasporti, delle costruzioni, dell’a-gricoltura, della ristorazione e dell’affi tto di al-loggi. L’evasione fi scale è l’elemento principale di questa sottrazione di risorse alla collettività. Le attività illegali e criminali, secondo l’Istat, ci rubano qualcosa come 17 miliardi di euro. A questi dati, vanno aggiunti i costi diretti ed indiretti della corruzione. Sono stati stimati da Lucio Picci, docente dell’Università di Bologna, in 585 miliardi di Euro. Picci sostiene che se il livello di corruzione in Italia fosse pari a quello tedesco, il reddito pro capite italiano passereb-be da 26.600 euro a 36.300 circa (dati 2014). Tutte le cifre riportate sin qui ci dicono una cosa precisa: la violazione sistematica e diffusa delle regole costa cara, sia in termini economi-ci che di mancato sviluppo umano. Perché si continua a tagliare le risorse quando in realtà i soldi necessari ci sono? Si tratta di confi scar-

Condividere la vita pubblica con competenza, onestà e passione

Dal Rapporto Caritas 2015 sulle politiche contro la povertà in Italia

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li a mafi osi, corrotti ed evasori e di restituirli alla collettività. L’illegalità rafforza una cerchia di pochi a scapito della maggioranza dei cit-tadini, producendo ineguaglianza e ingiustizia. Viviamo in un paese dove il livello di corruzio-ne e di presenza mafi osa nella vita pubblica e privata ha raggiunto livelli intollerabili per una democrazia occidentale. Mafi e, corruzio-ne, evasione fi scale sono tra le principali cause di sfi ducia dei cittadini verso la politica e la pubblica amministrazione; contribuiscono in modo sensibile alla negazione del merito, alla trasformazione dei diritti in favori e privilegi; riducono lo stimolo alla ricerca di innovazione. I primi a pagare questo conto salato sono i gio-vani. Nel 2015, più di 107 mila italiani - di cui il 37% con un’età compresa tra i 18 e i 34 anni - si sono trasferiti all’estero, come documentato

dal recente Rapporto “Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes e una delle cause è da collegare alla mancanza di opportunità lavora-tive derivante dall’illegalità diffusa. Corruzione, illegalità e criminalità contribuisco-no in modo determinante a produrre povertà. Secondo l’Istat, in Italia i poveri in termini as-soluti sono oltre 4,5 milioni, il numero più alto dal 2005. Le situazioni più diffi cili sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno, dai nu-clei di stranieri, da quelli in cui il capofami-glia è in cerca di un’occupazione o è operaio, dalle nuove generazioni. Un elemento inedito è che oggi la deprivazione sembra essere in-versamente proporzionale all’età, tende cioè ad aumentare al diminuire di quest’ultima.Che fare di fronte a questo scenario? Non possiamo essere inermi spettatori, persone e credenti indifferenti e rassegnati. Dobbiamo agire, partecipando alla vita pubblica con re-sponsabilità, competenza, onestà e passio-ne. Maurizio Viroli, docente di Teoria Politi-ca all’Università di Princeton, nel suo ultimo libro intitolato L’autunno della Repubblica (Laterza) invocando gli italiani a praticare la religione civile, intesa come lealtà ai principi della libertà repubblicana, scrive: “Le religioni rivelate, e in particolare quella cristiana, inse-gnano la via della salvezza dell’anima; la reli-gione civile aiuta a difendere il vivere civile. Credo che l’una e l’altra non soltanto possano coesistere, ma si sostengano reciprocamente”.

Pierpaolo Romani

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Mensa dei poveri - Ragusa

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“PUNTO FAMIGLIA” - VR

L’ascolto, un’espressione quotidiana di misericordia.Quando pensiamo alla misericordia, pen-

siamo a qualcosa che ha a che fare con Dio, qual-cosa di troppo grande, quasi lontano dalla nostra portata e, in un certo senso, credo sia proprio così. Tuttavia se è vero che, come ci ricorda la radice ebraica del termine, la misericordia ha a che fare con le viscere materne, con l’accoglienza, ecco che allora la misericordia diventa qualcosa di profondamente umano, alla nostra portata. Senza volare troppo in alto, vorrei rifl ettere su un ge-sto quotidiano che può esprimere misericordia, l’ascolto. Come capita spesso, le cose semplici si rivelano anche complesse e, come tutti i gesti quotidiani, in quanto semplici, sono proprio im-prescindibili. Ascoltare innanzitutto non è udire. La differenza tra udire e ascoltare la sperimentia-mo continuamente nelle nostre relazioni: quan-do nei discorsi si salta di palo in frasca, incuranti del fatto che magari quello di cui si sta parlando sta particolarmente a cuore a qualcuno; oppure quando ci rivolgiamo a qualcuno e l’altro imper-territo continua a traffi care con qualcosa e ci sen-tiamo dire: “ti ascolto, anche se non ti guardo”. Peccato che il primo organo implicato nell’ascolto non è l’udito, ma la vista, perché sono gli occhi le fi nestre attraverso le quali ci si guarda nell’anima e si comunica all’altra persona la nostra attenzione, etimologicamente, il nostro “tendere verso” di lei. Ecco perché, quando ci rivolgiamo a qualcuno che non ci guarda, ci viene da chiedergli: “mah, mi ascolti!?”. Perché non ricordare che, quando ascoltiamo, sarebbe importante semplicemente rimanere in silenzio, per dare spazio all’altro, per dargli l’opportunità di esprimersi e fargli sentire, attraverso la nostra postura, una accoglienza in-condizionata, cioè non condizionata dalla nostra fretta di rispondere, di dare consigli o di trova-re soluzioni, non sempre richieste. Quando sia-mo preoccupati di cosa dire, rischiamo di non ascoltare adeguatamente l’altro e, non di rado, è espressione di una maggiore centratura su di noi piuttosto che sull’altro e questo atteggiamento ha poco a che fare con la misericordia. Essere troppo preoccupati di dire per forza il nostro punto di vista, può togliere spazio all’espressione dell’altro,

e farci perdere l’occasione di farlo sentire accolto e sostenuto. Il bambino nei primi mesi di vita si limita ad ascoltare la mamma e attraverso questo ascolto silenzioso impara l’arte della relazione e della comunicazione umana. Dicono le ricerche che il 90% del tempo di veglia gli esseri umani lo impieghino nella comunicazione e solo il 45% nell’ascolto. Durante la maggior parte del nostro tempo di veglia, dunque, abbiamo la possibilità di esprimere, in un semplice gesto, la nostra acco-glienza all’altro, la nostra disponibilità a dare uno spazio di elaborazione del suo vissuto quotidia-no. Quando una persona comunica, si comunica, esprime qualcosa di sé. Chi ascolta, ascoltando, accoglie non solo quello che l’altro dice, ma l’al-tro. Ecco perché quando ci sentiamo compresi da qualcuno proviamo un benefi cio simile a quel-lo che si prova quando veniamo abbracciati, per l’appunto, compresi, delimitati dal corpo dell’altro. Ascoltare signifi ca abbracciare il cuore dell’altro. In una parola ascoltare è accogliere e l’accoglien-za è espressione sublime di misericordia. Nei no-stri tempi frenetici non solo il nostro ascolto è fret-toloso, ma gli ascoltatori sono pochi e, il più delle volte, ricercati da tutti. Basterebbe pensare, se avessimo un problema o qualcosa di molto perso-nale e importante di cui parlare con qualcuno, da chi andremmo, per capire che ascoltare è un’arte di pochi. La controparte sono tutti coloro che, non avendo spazi di ascolto nei quali “fare digestione” dell’intensità delle esperienze emotive, tendono a debordare in un parlare senza sosta, senza freni, senza considerazione dell’altro, vittima sommersa e investita da un cumulo eccessivo di non ascolto, che esplode come una diga che non riesce più a contenere nulla e, trascinando con sé tutti coloro che trova, travolge la loro capacità di accogliere. Sarebbero tante le attenzioni da avere in questa diffi cile arte, primissima delle dieci parole: “ascol-ta Israele”. Per concludere, un’ultima rifl essione. I bambini impiegano circa tre anni per imparare le basi di una lingua, per imparare insomma a parla-re, ma l’arte di ascoltare è un’altra cosa. Possiamo dunque dire che “l’uomo impiega tre anni della sua vita ad imparare a parlare e tutto il resto ad imparare ad ascoltare”.

Gustavo Meja Gomez

Tre giorni alla G.F.H., 10-12 ottobre 2016

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FORMAZIONE PERMANENTE

“Che cosa cercate?” questo è stato il tema della tre giorni di spiritualità ed è stata la domanda che è scesa

nel nostro cuore e che abbiamo lasciato sca-vasse solchi di verità. Non dobbiamo aver paura di camminare nella ricerca, perché solo i cercatori insoddisfatti potranno trovare l’oro della risposta che appaga il cuore. Una volta trovato il tesoro, avremo ancora più desiderio di cercare, fi no al raggiungimento della pienezza nell’eternità. Ho osservato i volti attenti dei corsisti, più di cinquanta, che assimilavano ogni parola. Nelle preghiere dei fedeli, pronunciate con spontaneità durante la celebrazione eucaristica conclusiva, ho avuto la conferma che tutti siamo stati con-solati nello spirito e confermati nella fede in un Dio che si mette a servizio della nostra felicità, che soffi a con il suo Spirito sulle vele della nostra esistenza, che sale sulla nostra fragile barca e la sospinge, che reimpasta la creta del povero vaso di argilla che siamo noi, fi no a renderlo un capolavoro. Ripartia-mo tutti con una carica in più, carica che inevitabilmente si attenuerà forse nel quoti-diano, fra le preoccupazioni e le fatiche, ma che rimarrà nella memoria. Fare memoria del nostro incontro con Dio è lo strumento che consente a ciascuno di noi di aggiustare la rotta, di rinfrancare il cuore, di testimoniare la bellezza del primo incontro in cui siamo stati conquistati da Dio. Basta raccoglierci un istante per gustare la fe-licità di essere penetrati dal suo sguardo, per assaporare il suono della sua voce, che pro-nuncia il nostro nome con la stessa soavità con cui ha rivolto a Maria di Magdala le pa-role “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Se al posto di Maria sostituiamo il nostro nome risponderemo: “Cerco Te, fonte esclusiva della mia gioia, cerco lo sposo dell’anima, cerco Te, mio Signore, perché solo Tu mi fai felice”. Ricchi dell’esperienza vissuta, siamo chiamati a fare come Gesù, che, Buon Sama-ritano, vede i bisogni di chi soffre, raccoglie

le lacrime di chi piange, si ferma a curare le ferite, tocca le piaghe dei cuori affranti, paga l’albergatore perché faccia quanto è necessario affi nché il bisognoso riacquisti le forze. Poveri peccatori, perdonati, abbiamo il compito di annunciare a tutti la salvezza di un Dio che si china a terra, cinto da un grembiule, per lavarci i piedi. Seguendo Lui, che è sceso in terra, non cercheremo di sali-re per raggiungere il potere, di nessun tipo. Nelle nostre relazioni di lavoro, di famiglia, di comunità avremo la pazienza di attendere che cresca il buon grano, invece di cercare di sradicare la zizzania, con la fede nella po-tenza del seme, che prima o poi vincerà sulla potenza del male. Vedremo in chi ci è accan-to un rifl esso della presenza di Dio, anziché un nemico da cui difenderci. Trasformeremo ogni piaga in una fessura di luce e non ci lasceremo abbattere da critiche, insuccessi, tentazioni. Pur cadendo mille volte, risorge-remo per la vita, grazie alla fede nell’amore di Dio, Lui che ci ama per primo, senza con-traccambio, perché il suo amore non dipen-de dalla nostra risposta, ma dalla sua bontà. Come potremmo vivere senza di Lui, dopo che il suo sguardo ha lacerato le nostre resi-stenze e ha instillato gocce di rugiada nel no-stro cuore affamato d’amore? Egli ci ha fatti per la vita, la felicità e la luce; vince le nostre tenebre tanto che nel giorno del giudizio non ci chiederà conto dei nostri punti deboli, del male commesso, ma dei nostri punti di forza, del bene che avremo compiuto. E quando giungerà il momento della chiama-ta a lasciare questa sponda per raggiungere l’altra riva, saremo felici di consegnarci all’A-more Misericordioso di Colui che da sempre abbiamo cercato, proprio perché Lui ci ha cer-cato per primo. Riconosceremo nel Suo volto quello di tanti fratelli che gli avremo portato e vivremo gioiosi e grati nell’abbraccio della sua tenerezza.

Suor Emanuela Biasiolo

“GARDA FAMILY HOUSE”Tre giorni con Ermes Ronchi, 13-15 ottobre 2016

41NAZARETH 4 2016

Quattro pellegrini sono in viaggio e pro-vengono dai quatto angoli della terra.Bisimwa è originario del continente

verde dell’Africa. Racconta la sua fede in Dio. Egli ama guardare in alto, verso il cielo, perché Dio vi abita. Lo vede forte nel sole che illu-mina i campi e nel chiaro di luna nella notte oscura. Lo vede misericordioso nelle stelle delle ore notturne, che gli richiamano gli occhi dei suoi bambini. Lo riconosce grande e potente nel temporale con suoi rombi di tuono, che as-somigliano al rullare dei tamburi nei giorni di festa. Infi ne lo scopre buono e generoso nella pioggia che innaffi a i semi appena interrati... Ma se la natura è il “santuario senza pareti” che conduce a Dio, la terra di questo continente è tradita e rovinata dallo sfruttamento, è rossa di sangue per le violenze, la guerra, il terrorismo. È vittima umiliata, senza fi ne, per i milioni di profughi in fuga senza saper dove andare...Gerson, il secondo, è originario del continen-te fervente dell’America Latina. Egli ricorda la storia del suo popolo, fatta di esodo e di con-fl ittualità. Crede nel Dio che si è fatto uomo e che cammina in mezzo ai poveri e partecipa al loro riscatto. Chiama il Signore con il nome di Emmanuele e di Liberatore. Ma il continente è ancora contaminato da ingiustizie sociali e da disuguaglianze, da dittature e da disonestà.Kamal, il terzo, viene dall’Asia, la culla delle grandi religioni. Vive di nostalgia e ha un de-siderio profondo di pace e di armonia. Con sforzo e distacco, arriva alla beatitudine (“nir-vana”). La raggiunge a poco a poco, come una brocca si riempie con un fl usso costante di gocce d’acqua. Ma gli estremisti islamici,

con il grido “Allah Akbar”, combattono la cul-tura, le religioni, l’economia, le classi dirigen-ti. Uccidono e seminano terrore.Da ultimo si presenta Marc, proviene dal vec-chio continente del nord del mondo. Ha una nuova visione del mondo: gli uomini saranno trasformati profondamente dalla scienza e dal-la tecnologia. Cerca la perfezione fi sica, sogna maggiore longevità e benessere inedito, vuole diventare il padrone del proprio destino e an-dare oltre i limiti della natura. Ma non ha cuore per accogliere le centinaia di migliaia di fratelli immigrati che fuggono la guerra e che sono senza terra, tetto, lavoro e dignità. Non si rende conto che il suo benessere è dovuto a un vero “debito ecologico” tra Nord e Sud (Cfr. LS 51).I quattro pellegrini dei diversi continenti, a Na-tale, arrivano davanti al presepe e si fermano a contemplare un neonato impotente, fragile, bi-sognoso di essere lavato e riscaldato, cambiato e baciato. Francesco li raggiunge, si unisce a loro e si fa compagno di viaggio. Ascolta e in-sieme dialogano. Presenta loro il bambino del presepe che provoca la rivoluzione della tene-rezza e dell’amore. E dice che noi tutti: “sentia-mo la sfi da di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrar-ci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fra-ternità, in una carovana solidale, in un san-to pellegrinaggio... Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza!” (EG 87).

Giuseppe Dovigo

La RIVOLUZIONE della tenerezza e dell’amore

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Buon Natale! 2016Buon Natale! 2016

dalla Redazione Nazareth

dalla Redazione Nazareth

e da tutte le e da tutte le

Piccole Suore della S. Famiglia

Piccole Suore della S. Famiglia