La fragilità, la fede, il senso del limite

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PERIODICO D’INFORMAZIONE DELLA DIOCESI DI RAGUSA FEBBRAIO 2020 ANNO XXXVI - N. 647 Sped. Abb. Post. - D.L. 353/2003 (cov. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCBRagusa Pubbl. inf. 45% CAMPIONE GRATUITO La fragilità, la fede, il senso del limite In Diocesi Assemblea elettiva di Azione Cattolica In Diocesi Un sentito grazie alle Suore Giuseppine

Transcript of La fragilità, la fede, il senso del limite

PERIODICO D’INFORMAZIONE DELLA DIOCESI DI RAGUSA

FEBBRAIO 2020ANNO XXXVI - N. 647

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La fragilità, la fede, il senso del limiteIn DiocesiAssemblea elettiva di Azione Cattolica

In DiocesiUn sentito graziealle Suore Giuseppine

Fragilità3 Fragilità congenita dell’essere umano

Mario Cascone4 Prendiamoci cura di chi è più fragile

Giorgio Occhipinti6 A Lourdes trovi la risposta nel cuore di Maria

Carmelo Ferraro8 Il testamento spirituale che ci lascia Lucia

Elena Gullo10 No al delirio di onnipotenza dell’uomo

Mario Cascone12 La cura e l’assistenza scelte di umanità

Andrea Casavecchia13 Aprire le porte e dare dignità alla vita

Carmelo La Porta14 I 30 anni della cooperativa Ozanam

Orazio Rizzo15 Medico e paziente: al centro la persona che soffre

Alessia Giaquinta16 Il ruolo insostituibile dell’infermiere

Giovanna Pasqualin Traversa17 Soprattutto persone, senza disabilità

Eleonora Pisana

In Diocesi19 Esercizi spirituali con don Luigi Maria Epicoco

Giuseppe Di Corrado20 Costruire con il cuore un mondo di pace

Pasquale Monaco21 Il carisma dei Barakà nel cd di esordio

Rosario Antoci22 Il battesimo di Noemi a San Luigi

Saro Distefano23 Una nuova tappa per Azione Cattolica24 Un sentito grazie alla Figlie di San Giuseppe

Carmelo La Porta26 Racconta la tua esperienza pastorale su Instagram27 Brevi diocesane

Chiesa e società29 Una casa della Diocesi gestita da “Nati per crescere”30 Giornata del ringraziamento per la Coldiretti

Luisella Lorefice

Attualità 31 Una lezione di speranza all’Europa

Vito Piruzza32 Dai piccoli soprusi alle grandi mafie

Rosanna Massari34 Riscoprire il senso dell’abitare le istituzioni

Paolo Bustaffa

Reg. Trib. RG n.71 del 6.12.1977ROC n. 1954

Direttore ResponsabileMario Cascone

CondirettoreAlessandro Bongiorno

In redazione, segreteria e amministrazione

Gabriella ChessariVia Roma, 109 RagusaTel. 0932646419

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StampaNonsololibriSrls

Tel. e Fax 0932621130Impaginazione a cura di Gabriella Chessari

Numero chiuso il3 Febbraio 2020

La vita dell’uomo si conduce tra alti e bassi, cadute erialzamenti. Essa è segnata in modo costitutivo dalla

fragilità, pur essendo dotata di un altissimo valore e diun destino eterno. Desiderio d’infinito e finitezza dellacondizione esistenziale sussistono nella storia di ognipersona. Non conosciamo persone perfettamente sane,ossia del tutto prive di limitazioni e malattie. Ma non esi-stono nemmeno persone del tutto malate, che debbanosentirsi inutili e destinate solo al disfacimento. Salute emalattia, fortezza e fragilità coesistono nel tracciato sto-rico di ogni uomo e non possono essere trattate comedue condizioni separate, né facilmente distinguibili.È in questo intreccio di forza e debolezza che veniamo

a contatto col mistero dell’essere umano, contemplandoin lui la traccia dell’origine divina, che ne fa un unicumirripetibile, posto nell’universo non certo per caso, maper conseguire la piena felicità e per dare il suo contri-buto alla costruzione del bene comune.Il dolore e la fragilità fanno misteriosamente parte di

questa costruzione. L’uomo partecipa all’edificazionedi un mondo più giusto attraverso la fatica del suo quo-tidiano esistere e il sapore amaro della sofferenza, chelo spinge continuamente ad anelare la salute, la guari-gione, la salvezza definitiva. Il senso del limite, che lamalattia e la debolezza creaturale denunciano, diventastimolo al suo superamento mediante la forza della spe-ranza, che è sempre presente nel cuore di ogni uomo eche va alimentata quale autentica forza terapeutica, ca-

pace di curare anche i mali ritenuti inguaribili. Non valeinfatti solo il detto “finché c’è vita, c’è speranza”, maanche il suo contrario: “finché c’è speranza, c’è vita”.Alimentare la speranza, aiutando l’uomo a trovare unsenso al suo dolore, è certamente uno dei compiti prin-cipali che tutti noi abbiamo di fronte.Scrive a tal proposito Giovanni Paolo II: “Il dolore,

specie quello fisico, è ampiamente diffuso nel mondodegli animali. Però solo l’uomo, soffrendo, sa di soffriree se ne chiede il perché; e soffre in modo umanamenteancor più profondo, se non trova soddisfacente rispo-sta”. Medicina, psicologia, antropologia, ma anche filosofia

e teologia sono chiamate ad offrire una risposta con-giunta al perché della sofferenza umana, ma soprattuttoal come essa possa essere vissuta dalla persona in unamaniera degna della propria natura. In ogni caso è inu-tile pretendere di spiegare il dolore e la fragilità conge-nita dell’essere umano. I vari tentativi di spiegazione,infatti, non solo risultano inutili, ma molte volte dannofastidio a chi sta soffrendo o sta sperimentando il pesodei suoi limiti. L’unica cosa che giova veramente è starevicino a chi soffre, fargli sentire la forza della nostracompassione e camminare insieme con lui nella stradadi una realizzazione esistenziale, che non può prescin-dere dall’accettazione delle proprie fragilità, senza pre-tendere di dare loro sempre un senso o unamotivazione.

Mario Cascone

Fragilità congenita dell’essere umanoma saperla accettare non è semplice

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Impariamo a camminareaccanto a chi sta soffrendo

Secondo le scienze fisiche è ‘‘fragile’’ ciò che, poverodi capacità elastiche e di capacità di resistenza, si

spezza con facilità: il vetro è fragile, ad es.; il ferro, lagomma no. Magari si piegano, mutano forma, ma non sispezzano facilmente. Chiamiamo fragilità di un materialela sua scarsa capacità di resistere quando è sottoposto aurti o a carichi/forze, così che si spezza.Per estensione, in senso figurato, è fragile esistenzial-

mente chi è poco capace di resistere agli urti della vita;perché la vita, come la conosciamo in questa nostra sto-ria, a volte ci urta; spesso senza preavviso, senza darcitempo di prepararci. Così diciamo fragile chi facilmente perde la salute o fa-

cilmente spezza le relazioni con gli altri, o facilmente sispezza interiormente: con facilità perde coraggio, o spe-ranza, o fiducia (in se stesso o negli altri o in Dio o intutti insieme)... Chi è instabile, debole, e perciò biso-gnoso di protezione, di difesa, di custodia, di sostegno,di conforto, di incoraggiamento, di speranza, di aiuto,di consolazione.Il ministero della consolazione è una risposta umana e

umanizzante a un vissuto di fragilità umana, che può es-sere di varia natura: fragilità fisica, psichica, sociale, mo-rale, spirituale.

La relazione d’aiuto. L’aiuto più prezioso che si può dare agli altri è “es-

serci”. Senza la capacità di essere presenti a chi soffre,nessuna delle altre forme di sostegno può realizzarsi.Quando si è davvero presenti a qualcuno che soffre, sipartecipa del suo dolore. La persona amica, capace distare in silenzio, insieme in un momento di confusioneo di disperazione, in un’ora di lutto o di pena, senza pre-tendere di sapere, di curare, di guarire, ma capace di unavicinanza a testimonianza dell’amore di Dio, è colui chedavvero si prende cura. È il Buon Samaritano che si faprossimo con l’intenzione di stabilire un’adesione per-sonale e libera del “cuore”, cioè nella volontà, nell’intel-ligenza, nell’affetto e nell’azione.Con l’aumento quantitativo e qualitativo delle “nuove

forme di fragilità”, questa capacità di prendersi cura, di-fendendo e promuovendo la persona nella sua globalità,non può più essere delegata esclusivamente agli opera-tori sanitari, agli operatori pastorali, ai familiari, ai vo-lontari, ma deve coinvolgere l’intera comunità cristiana.(Nota pastorale della Cei “Predicate il Vangelo e curatei malati “ (PVCM), n. 51.In una società che sembra aver smarrito il senso della

vita, della sofferenza, della malattia, della morte, l’elo-quenza della parabola del Buon Samaritano consisteanche nel recepire che l’accoglienza della fragilità nonriguarda solo le situazioni estreme.È necessario far crescere in tutti e in ciascuno uno stile

di condivisione: la propria fragilità viene a contatto conaltre fragilità per sostenersi reciprocamente con l’ob-biettivo di trasformare debolezza, carenze, solitudine inuna “risorsa” all’insegna dello slogan “Non soli ma soli-dali”.

Il malato nella comunità parrocchiale. Per capire e proporre la missione del malato nella co-

munità è necessario riflettere sull’identità della parroc-chia. Secondo la nota pastorale della Cei “Il voltomissionario delle parrocchie in un mondo che cambia”,del 2004 «la parrocchia è una comunità di fedeli battez-zati che dimorano in un dato territorio in cui si vivonorapporti di prossimità, con vincoli concreti di cono-scenza e amore; in cui si accede ai doni sacramentali,al cui centro è l’Eucaristia; in cui ci si fa carico degliabitanti di tutto il territorio, senza esclusione di nessuno,senza possibilità di elitarismo, sentendosi mandatia tutti».

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Anche in parrocchia va sperimentato l’amore per i sofferenti del territorio

Prendiamoci cura di chi è più fragile

La parrocchia è una comunità in cui ci si fa carico degliabitanti di tutto il territorio, senza esclusione di nes-suno, senza possibilità di elitarismo, sentendosi mandatia tutti. Alla luce di quanto afferma il documento, desi-dero presentare le linee di una pastorale della salute al-l’interno della vita di ogni comunità parrocchiale.

Mappa del dolore e della sofferenza. Il territorio, incui vive la comunità parrocchiale, è costellato, se nonda tutte, sicuramente da alcune di queste situazioni didolore e di sofferenza: malati che soffrono nelle proprieabitazioni, negli ospedali, nelle cliniche; anziani e nonautosufficienti che vivono soli o abbandonati nelle casedi riposo; bambini, troppo piccoli per comprendere ilmistero della sofferenza, ma abbastanza grandi per farneesperienza; giovani dipendenti dall’alcool e dalla droga;disabili fisici e psichici; coniugi separati e persone chevivono nella solitudine e nell’abbandono; orfani che nonhanno mai conosciuto il calore di una casa né la carezzadi un padre o di una madre; coloro che, angosciati, pian-gono la persona cara che non c’è più.In parrocchia nella trasmissione della fede – insegna-

mento, catechesi, incontri di studio, ritiri ed esercizispirituali, ecc. – non va solo instillata l’attenzione a tutte

le categorie di malati, ma va anche compiuta un’azionepreventiva, aiutando i giovani ad un sano sviluppoumano e spirituale, accompagnando gli adulti nel supe-rare con equilibrio le crisi delle loro età, offrendo aglianziani risorse che li aiutino e vivere serenamente la lorovecchiaia. È l’intera comunità nella varietà dei suoi com-ponenti il soggetto protagonista della cura verso i malatidel proprio territorio parrocchiale: malati oncologici,malati in fase terminale, malati psichici, anziani non au-tosufficienti. Il progressivo diffondersi di questa consa-pevolezza favorisce il passaggio da un atteggiamento dipassività e di delega ad un attivo coinvolgimento e cor-responsabilità di tutti: la comunità parrocchiale, la fa-miglia, i gruppi spontanei di fedeli, le associazioni divolontariato.

Conclusione.“La Chiesa ritiene che l’umanizzazione del mondo sa-

nitario sia un compito urgente e perciò la include nel-l’ambito dell’azione pastorale, convinta della valenzaevangelizzatrice di ogni iniziativa volta a imprimere unvolto più umano all’assistenza ai malati”. (PVCM n. 26) La parabola del Buon Samaritano, attraverso il man-dato “Va e anche tu fa lo stesso”, indica la massimaespressione dell’umanizzazione, ovvero l’amore per isofferenti, come testimonianza della propria fede cri-stiana da parte di tutti e di ciascuno. In particolare daparte di quanti esercitano una professione sanitaria (me-dici, infermieri, altri operatori sanitari), e da parte deivolontari socio-sanitari.Tutti i cittadini credenti e non credenti, politici, am-

ministratori che hanno a cuore il bene comune tuteladella salute devono, altresì, avere consapevolezza che“L’amore per i sofferenti è segno e misura del grado diciviltà e di progresso di un popolo” (Giovanni Paolo II– Messaggio per la Prima Giornata Mondiale del Malato,1991)Ci sono momenti in cui le cure mediche e le medicine,

le terapie e ogni assistenza sembrano palliativi limitati:solo l’amore li rende efficaci. L’amore si fa vicino a chisoffre e ne porta il peso. L’amore dona coraggio e spe-ranza, con segni e gesti e non solo a parole. L’amoreapre all’incontro e al dialogo fatto di sentimenti, disguardi, di strette di mano, di cura serena e forte anchenegli ultimi istanti della vita.Tutto passa, anche la vita. Ma l’amore dato e ricevuto

dura per sempre.Giorgio Occhipinti

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con il Buon Samaritano come modello

La guarigione del cuore permette di vedere ciò che in modo ostinato

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Alexis Carrel, medico insignitonel 1912 del Premio Nobel, nel

suo breve e straordinario “reso-conto” del “Viaggio a Lourdes”(1949) così scrive: “Vergine dolce,che soccorrete gli infelici, che vi im-plorano umilmente, proteggetemi.Io credo in Voi. Voi avete voluto ri-spondere al mio dubbio con un mi-racolo manifesto. Io non so vederlo,io dubito ancora. Ma il mio deside-rio vivo, il fine più alto di tutte le mieaspirazioni è di credere, perduta-mente, ciecamente credere, senzapiù discussioni, senza criticare”. L’accorata supplica finale di que-

sto uomo di scienza del secoloscorso, a distanza di molti anni daquando fu scritta, tutt’oggi riesce adaccomunare molti di coloro cheogni anno raggiungono Lourdes. Seè vero che a Lourdes si arriva condentro il cuore delle domande: per-ché sono venuto? Perché la soffe-

renza? Perché il dolore? Si ritornacon un’altra domanda che vanifica leprecedenti: perché c’è gioia a Lour-des? Quale forza misteriosa tra-sforma in questo luogo il dolore, lasofferenza, la solitudine in Gioia?Coloro che hanno maggiore di-

mestichezza con quanto avvenuto aLourdes a partire dell’11 febbraio1858, sanno che Massabielle, erastata destinata dagli abitanti diLourdes quale luogo di scarico diimmondizie e dove i porcai porta-vano a pascolare i porci. In questoluogo “infame”, la Provvidenza, hapensato di piantare la sua tenda permezzo di Maria Immacolata, dove le“immondizie” degli uomini operatedal “nemico della natura umana”sarebbero state inghiottite a partireda quel giorno di febbraio dalla Mi-sericordia di Dio perché gli uominiabbiano “la vita e l’abbiano in ab-bondanza” (Gv 10,10).

Ricordo, un frate francescano cheraccontando la sua esperienza diconfessore a Lourdes ebbe a dire trale lacrime che in quel luogo cosìbuio dove non batte mai il sole,batte il cuore della “Donna vestitadi sole”. Chi entra in quell’anfrattodi pietra scura dei Pirenei, trova di-nanzi alla statua bianca di Maria: ri-sposta, spinta, riscoperta di ciò cheè essenziale nella vita di ciascun bat-tezzato. È la guarigione del cuoreche permette di vedere ciò che nellavita normale, frenetica, ordinariadelle nostre case, delle nostre par-rocchie, dei luoghi di lavoro cia-scuno ostinatamente non vuolevedere, o non vuole comprendere.Lourdes è il luogo dove si fa espe-

rienza del Risorto, dove la Madre delRisorto è accanto ai suoi figli piagatinel corpo e nell’anima per “stare” inpreghiera con loro come lo stavacon i discepoli nel Cenacolo.

Vai a Lourdes con una domanda e trovi la risposta nel cuore di Maria

non riusciamo a vedere

Questa è la più bella esperienza:sentire l’abbraccio della Madre, per-ché è Lei a compiere questo gestoper prima, è lo slancio identico diMaria per Elisabetta che si ripete mi-lioni e milioni di volte. Maria non sistanca mai! Tutto diventa lieve aLourdes, perfino il dolore più acutoe più forte.Tutti trovano consolazione e spe-

ranza tra le braccia della Madre cheha promesso che ogni sofferenzasarà ripagata, perché se Dio chiede èsolo per “dare” il centuplo. La Ver-gine aveva detto a Bernadette nellaterza apparizione: “Non vi promettodi farvi felice in questa vita, ma nel-l’altra”. Da questa promessa, Bernadette

non si tira indietro, fin dai primi mo-menti l’amicizia con l’Immacolata lacondurrà ad una vita fatta solo di ab-bandoni. Bernadette diventa così la“maestra dell’abbandono”. Scriverà,chiusa nella sua solitudine e tra leumiliazioni nel convento di Nevers:”Gesù desolato (…) il vostro amoremi insegna che è dai vostri abban-doni che io devo trarre tutta la forzadi cui ho bisogno per sopportare imiei. Io sono persuasa che il più ter-ribile abbandono in cui io possa ca-dere sarebbe di non aver parte alvostro”. (Lettere e Appunti intimipag. 96 ESP,2005).La Gioia di Lourdes passa solo ri-

scoprendo questo abbandono diGesù: si donano la forza delle brac-cia, le mani, i passi, ora svelti, oravacillanti, gli sguardi, si accettano leumiliazioni. Il donarsi totale di Gesùin croce ha l’oggi in queste gesta deivolontari che condividono le soffe-renze di tanti uomini e di tantedonne. Ecco perché Lourdes ha dadire qualcosa anche al non credente.Ricordo un buon medico, facevatanto, si spendeva tanto per gli am-malati ma non credeva. Nessuno di

noi era stato capace di “entusia-smarlo“ e riportarlo alla fede. Poi,alla fine, quando le nostre valigieerano pronte, quando tutto stava perfinire, ecco il medico era scom-parso… dov’era? Lui così sicuro,così sinceramente fedele al suocredo, finalmente si era abbandonatoallo sguardo di Maria che lo aveva ab-bracciato. Nessuno dei volontari ebbe una

sola domanda da porgere, si era com-preso che qualcosa di straordinarioera avvenuto a Massabielle.

Così ogni storia trova nel Cuore diMaria una risposta: è il miracolo si-lenzioso della Donna di Nazarethche rimane sempre nascosto ai “duridi cuore” ma che si svela ai semplici,agli scartati, agli umiliati, agli ultimi, a quelli che non hanno voce. È il mi-racolo custodito “come una perlapreziosa” che tornati a casa vieneposto e custodito nel luogo piùbello: nel cuore. Svelato dallosguardo, dal sorriso, dalla carezza eperfino dal silenzio.

Carmelo Ferraro Frag

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Lucia, un sorriso straordinaria-mente gioioso, e una grande vo-

glia di vivere pienamente ogniistante, con la consapevolezza diavere una vita e solo questa, merite-vole di essere amata e accettata.Cantava Lucia, cantava sempre,

ovunque, la sua più grande passione,con quella voce da usignolo, riuscivainevitabilmente ad entusiasmare chile stava intorno.Quante notti insonni passate in-

sieme tra giochi e karaoke alle colo-nie, tantissime gite e pellegrinaggivissute con uno spirito d’ avventuradegno di un safari.Dalla Riserva dello Zingaro alle Sa-

grada Familia di Barcellona, perLucia nessuna meta era impossibile.Un corso di studi costante e un di-

ploma magistrale, una famiglia amo-revole e attenta, e allo stesso tempodisponibile e aperta, rispettosa dellasua voglia di indipendenza. “Perché ciò che il vero amore com-

porta è il rispetto della persona”. Diquesto Lucia ne è sempre stata con-sapevole, in famiglia, con gli amici, ascuola come in parrocchia. Lo hasempre affermato e testimoniato.Lo ha preteso questo rispetto, lo

ha sempre ottenuto con tenacia, fer-

rea nel suo principio che ripeteva in-finite volte: “Non esiste limite o dif-ficoltà che possa alterare la dignitàdell’essere persona”. È stata la sua grande battaglia.

“Perché avere cura è protezione,non sostituzione, essa non deve limi-tare l’autonomia, ma agevolarla”. Equeste parole Lucia le ha sapute con-vertire in un agire concreto, diven-tando lei stessa un esempio.Lucia, ha provato, sperimentato

negli anni tutte le forme possibili diautonomia, valutato tutte le possibi-lità: la vita familiare, la vita in una co-munità, la vita associativa. Ha fatto le sue scelte in assoluta li-

bertà e piena consapevolezza, e que-sto le ha dato la possibilità dimaturare una grande serenità inte-riore che non rimanda in nessunmodo ad una scontata rassegna-zione. Papa Giovanni Paolo II affermava

che nelle situazioni di più difficoltàemerge la dignità e la grandezzadell’essere umano. E Lucia è statauna grande donna, in ogni cosa, in-namorandosi e provando tutte lepossibili sfumature dell’amore. Nellapoesia come nel canto ha dato sfogoa tutto il suo amore e al suo dolore.

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Il testamento spiritualeche ci lascia Lucia: «O Dio, grazieper questa vita, la mia»

Lo scatto di un artista e un arti-colo su un giornale del quale sco-nosceva l’esistenza: attraversoqueste vie oggi possiamo leggereil testamento spirituale che Luciaha affidato al mondo. Lucia è la ragazza che ha saputovincere la sofferenza con un sor-riso. Vito Finocchiaro lo ha sublimatoin una fotografia dellamostra“Vivrò d’amore” che rac-conta le storie dei volontari e deipellegrinaggi dell’Unitalsi al san-tuario di Lourdes. Nel numero di Natale di Insiemeabbiamo invitato, a pagina 28, inostri lettori a visitare la mostraospitata a Ibla. Presentando lamostra, abbiamo evidenziato l’in-treccio delle vite delle personecon disabilità o ammalate e quelledei volontari, la comune gioia neltrasformare le lacrime in sorrisi.Quella pagina, non sappiamocome, è finita a Mazara del Vallotra le mani di un’amica di Lucia.Era la custode dei suoi pensieri.Lucia, quando è stato pubblicatoil giornale, non c’era più. Ma aveva ancora qualcosa dadirci. E così, la sua amica Elenaha trovato le parole e la forza perraccontarci chi era quella ragazzasorridente ritratta da Vito Finoc-chiaro. E cosa Lucia voleva nel cuore.

Lo scatto che ha ridato vita a Lucia

“Mi sento una ragazza libera e felice, di essere in questo mondo. Amo lagente che è allegra e vivace, perché anche io mi sento un po’ come loro. Io al-meno non mi nascondo come fa certa gente che non sa vivere, che non sa cosasia la felicità di avere una vita tutta sua. Vorrei tanto amare ed essere amata come tutte le altre ragazze.O Dio, tu che ascolti, vorrei che tu in questo momento sapessi ciò che ti vo-

glio dire: grazie per avermi dato questa vita, la mia”.Lucia D’Amico

Telefono ai miei medici, alle 14.30 di un sabato di lu-glio. Nella controra, qui, in questo paese in preda alloscirocco. Scelgo un momento di calma per loro. Dob-biamo dire tanto di me. Di un oggi che mi vede malata,ma da sempre ormai. La persiana blu e il rigo del marefra le gelosie, la gazza arrabbiata, la tortora cupa e mo-notona, il letto disfatto, i miei vestiti molli sulla sedia,senza corpo. Il dolore che mi prende e di cui riderei conpiacere, non fosse che sento il collo attorcigliarsi in piùgiri e strangolare tutto. Questa è una campagna viva, laascolto da lontano, nei rumori adesso ovattati, nel caldoche annienta tutti. I miei medici sono almeno tre, li im-magino attenti al mio parlare. Finisce che sorridiamo,che io racconto del mio spostarmi di ieri in auto e deldolore che ha assalito il corpo debilitato e non abituatoad uscire. Ho rivisto il mare dopo un anno, la costaaprirsi nell’aria che tremava. Un tempo la strada avevaalberi di gelsi e cunette che facevano sobbalzare. Oggirotatorie e non più mucche al pascolo che dormivanosotto i carrubi accovacciate e con gli occhi fissi.

Niente mi può curare, così mi dicono, forse potrò ri-solvere un problema sopraggiunto da poco e di naturadiversa e che mi desta timore, mi confortano, hanno pa-role e sorrisi per me. Ci lasciamo mentre un cardellinososta sulla veranda e la tenda si gonfia fino a toccarmi.La luce che penetra. Il senso del niente per ogni cosa efatto. Buona domenica, dico loro. E il mare resta fermo giù, in fondo, in questa isola an-

tica. 35 anni fa cominciò improvvisamente il mio males-sere. In città una festa religiosa importante, unpomeriggio celeste. Mia figlia in braccio. E tutto cam-biò. Potevo guarire, come succede a tanti, ma non fucosì. Ogni anno torna in mente quel giorno, il mio ri-voltarmi nel letto ancora con gli abiti addosso, il pensareche potevo anche non guarire. Stanotte pensavo a que-sto, ai segni del male che si insinuavano e non capi-vamo. Quel che sarebbe dovuto e potuto essere. Quelloche ora c’è ed è tardissimo. Quello che ormai ho.

Letizia Dimartino

Nel messaggio per la Giornatamondiale delle persone con disabi-lità, Papa Francesco ha ricordatocome “Ogni persona è unica e irri-petibile e con forza e tenerezza biso-gna farsi carico delle situazioni. Ènecessario però, rendere più umanoil mondo, rimuovendo tutto ciò cheimpedisce loro una cittadinanzapiena, gli ostacoli del pregiudizio, e

favorendo l’accessibilità dei luoghi ela qualità della vita, che tenga contodi tutte le dimensioni dell’umano.Siamo chiamati a riconoscere inogni persona con disabilità, anchegrave, un singolare apporto al benecomune, attraverso la propria origi-nale biografia”. E la storia di Luciaè un inno alla vita, il suo vissuto èuno scrigno di ricordi indelebili, di

sorrisi che nascono dal profondo delcuore, di una gioia di vivere che te-stimonia una vita esemplare fatta diamore, coraggio, tenacia ed entusia-smo, che persiste oltre la sua prema-tura morte, riuscendo ad imprimerenell’animo umano, la consapevo-lezza di quanto sia fondamentalenella vita l’attenzione alla persona.

Elena Gullo

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La testimonianza di Letizia: «Il mio oggi che mi vede malata»

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No al deliriodi onnipotenza dell’uomoRiassaporiamo il senso del nostro limite

È bene guardare in faccia anche i nostri insuccessi

Viviamo oggi in una sorta di delirio di onni-potenza, che da un lato pone l’uomo come

unico autore del suo destino, dall’altro finiscecon lo sgretolare la ricchezza ontologica dellapersona. La pretesa dell’uomo di essere unico ar-bitro della sua vita lo fa precipitare di fatto in unacondizione di grande precarietà esistenziale.La cultura dell’efficientismo produttivo, oggi

tanto diffusa, esalta i soggetti forti, belli, capaci,mentre spiazza quelli più deboli e inefficienti, iquali si sentono smarriti in una competizione cheli vede perdenti in partenza.La cultura dell’edonismo utilitaristico, an-

ch’essa imperante nel nostro tempo, suggerisceun continuo esaudimento dei desideri, ma portadi fatto ad una grave forma di insoddisfazione esi-stenziale, perché, una volta esauditi alcuni desi-deri, se ne presentano inevitabilmente altri dasoddisfare, perpetuando così una catena ininter-rotta di bisogni spesso fittizi, che a lungo andaresfianca e deprime. La verità è che perdere la ca-pacità di accettare le frustrazioni e le fragilità nonci aiuta a crescere. L’uomo infatti matura inmodo particolare attraverso l’esperienza del do-lore, che lo aiuta a fare i conti con se stesso e coni suoi limiti, ma anche ad aprirsi a relazioni sanee sananti con gli altri. Fra le relazioni interperso-nali più ricche ci sono, infatti, quelle coltivatenell’esperienza del dolore. Questo ci porta a direche non è una cosa salutare smarrire la cono-scenza del nostro limite, perché questo ci portafuori strada, anzi spesso ci conduce ad un vicolocieco.Dal punto di vista squisitamente etico su questa

strada si arriva ad eliminare la tensione tra ciò chesi deve e ciò che non si deve fare per sostituirlacon quella tra ciò che si riesce e ciò che non siriesce a fare. Il che significa che ogni cosa vienemisurata col metro del successo e dell’efficienza.Ma questo sfocia nel risultato che molti si sen-tono inadeguati e perdenti. Sono tanti infattiquelli che oggi sperimentano un profondo sensodi inadeguatezza.È probabile che è questo insieme di fattori a

provocare la crescita esponenziale di patologiedepressive ed un uso massiccio di psicofarmaci,che nasconde talvolta il tentativo di narcotizzarela propria psiche, riducendo il più possibile lapercezione del vuoto esistenziale. Ma questa ov-viamente non appare come la strada migliore dapraticare.

Qual è allora la possibile via d’uscita? Quella diriassaporare il senso del nostro limite, della no-stra strutturale fragilità e finitezza. Non è benefuggire terrorizzati di fronte alla nostra preca-rietà esistenziale, magari rifugiandosi nell’ipe-rattività stordente, che rappresenta solo unmalcelato tentativo di fuga. È bene invece guar-dare in faccia i nostri limiti e i nostri insuccessi.Li chiamiamo “insuccessi” e non “fallimenti”,perché dobbiamo credere fortemente nella capa-cità dell’uomo di elaborare il proprio soffrire inuna chiave costruttiva.Per fare ciò può essere di grande aiuto la fede,

a condizione che essa sia intesa nel giusto senso.Non parliamo, ad esempio, della fede come nar-cotico dell’esistenza, vissuta per eludere i pro-blemi senza avere il coraggio di affrontarli,rifugiandosi in un misticismo che fa fuggire dallarealtà. Questa non è la fede, ma un’evasione inun mondo irreale che riesce solo a tamponare iproblemi del disagio esistenziale, ma non a risol-verli. La fede non è nemmeno la coltivazione pre-suntuosa di certezze, come se il credere in Diopreservasse dai dubbi, dagli interrogativi, dalleoscurità. La fede non è la piena luce, non è sa-pere tutto o capire tutto, ma è avere abbastanzaluce per superare i momenti di oscurità. Comun-que c’è posto, nell’itinerario di fede, per la ri-cerca e per l’approfondimento della verità.Non pensiamo nemmeno alla fede come la pre-

tesa di scalare con le sole proprie forze l’altezzache conduce a Dio. In particolare la fede cristiananon ritiene che sia l’uomo a salire fino a Dio, macrede nell’esatto contrario: è Dio che scende allivello dell’uomo, facendosi egli stesso uomo,ossia assumendo la carnalità, la fragilità struttu-rale della nostra esistenza. Il Dio di Gesù Cristoè “l’uomo dei dolori che ben conosce il patire”,venuto a compatire le nostre infermità e ad assu-merle su di sé nel sacrificio della Croce.L’esistenza umana è indubbiamente faticosa,

dura, difficile, ma anche affascinante ed impegna-tiva. Dio la condivide con noi, decidendo di nonstarsene nell’alto dei cieli a guardare indifferenteciò che accade sulla terra, ma di immergersi eglistesso nei drammi della storia, accettando di sof-frire con noi e per noi. Possiamo dire che, in Cri-sto, Dio soffre umanamente perché l’uomo possavivere divinamente. La sofferenza di Dio infatti èfinalizzata alla felicità eterna dell’uomo.

Mario Cascone

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Quando i genitori o una persona cara hanno bisogno di essere accuditi

La cura e l’assistenza scelte di umanitàCosì la fragilità diventa una risorsaÈdifficile accudire e curare le persone che hai sempre

considerato forti, tuoi punti di riferimento, luoghiper un approdo sicuro. Vedere i genitori invecchiare eindebolirsi fino al punto di non poter essere più auto-nomi accade sempre più spesso.E sono in aumento, molto probabilmente anche a

causa delle crescenti difficoltà economiche, i figli che sene prendono cura, direttamente, senza la collaborazionedi un’assistente familiare. In Italia se ne stimano circa unmilione, numero simile a quello delle badanti. Sono uo-mini e donne che scelgono di prendere un part-time, dimettersi in aspettativa per un periodo, di ritirarsi dal la-voro per curare il loro papà o la loro mamma. Sono ancheuomini e donne la cui condizione lavorativa consentel’accesso al part-time e che magari, come avviene invecetroppo spesso al Sud, non stanno sperimentando la lon-tananza da casa per motivi di lavoro.Un compito non semplice per almeno due ragioni fon-

damentali. Innanzitutto si capovolgono i ruoli, a volte inmodo repentino e decisivo. La persona da cui tempo fasi è dipesi in tutto, ora ha bisogno completamente di te.Questo implica un’accettazione psicologica dell’inver-sione dei ruoli, che tocca il campo dell’intimità profonda,della dignità, del pudore. In secondo luogo, i tempi divita si rivoluzionano ed è richiesta una riorganizzazionetotale non solo per il singolo, ma per la sua famiglia. Unodei rischi più frequenti è di lasciarsi fagocitare dagli im-

pegni ed assistere alla progressiva desertificazione delleproprie relazioni e delle proprie attività. La cura e l’as-sistenza sono, però, scelte che permettono di alimentarel’umanità. Proprio la fragilità diventa una risorsa in unasocietà arida di gratuità, dove si è abituati a calibraretutto su se stessi e dove l’autonomia individuale diventaun valore assolutizzato. La fragilità, invece, permette diriscoprire il bisogno dell’altro in tutte le sue dimensioni:ammettere di non poter essere autosufficienti e di doverscoprire le proprie debolezze; sentire che una personacara ha una necessità cui la situazione chiede una rispo-sta; essere consapevole che un giorno si potrà averequelle stesse necessità e ci sarà qualcuno che sarà lì aprendersi cura di te.La fragilità ci apre al senso del limite e ci fa riscoprire

la ricchezza dei legami generazionali. Allo stesso temporimangono scoperte due difficoltà: l’accettazione dell’in-versione dei ruoli, che richiede una rielaborazione esi-stenziale e un passaggio nella maturità personale chespesso si dà per scontata; l’invasione dei tempi, che in-vece richiede un nuovo tipo di aiuto, un rilancio di le-gami di solidarietà che permettono di recuperaremomenti per sé, per le proprie relazioni e per coltivarealcune proprie passioni.Anche qui si tratta di ammettere di avere fragilità per-

sonali, per poter crescere ancora.Andrea Casavecchia

Domenica 2 febbraio si è cele-brata la 42. Giornata per la vita

che ha per tema “Aprite le porte allavita”. Il Consiglio Episcopale Per-manente, nel messaggio per questagiornata, invita a ricercare il verosenso della vita che «non è un og-getto da possedere o un manufattoda produrre, è piuttosto una pro-messa di bene, a cui possiamo par-tecipare, decidendo di aprirle leporte. Così la vita nel tempo è segnodella vita eterna, che dice la destina-zione verso cui siamo incamminati».La comunità ecclesiale tutta è

chiamata ad assumere «l’impegno dicustodire e proteggere la vita umanadall’inizio fino al suo naturale ter-mine e di combattere ogni forma diviolazione della dignità, anchequando è in gioco la tecnologia ol’economia». Il fulcro del messaggio è l’acco-

glienza e la cura della vita, quellapropria e quella degli altri. «L’ospi-talità della vita – continuano i ve-

scovi nel loro messaggio - è unalegge fondamentale: siamo statiospitati per imparare ad ospitare.Ogni situazione che incontriamo ciconfronta con una differenza che variconosciuta e valorizzata, non eli-minata, anche se può scompaginarei nostri equilibri. È questa l’unica viaattraverso cui, dal seme che muore,possono nascere e maturare i frutti.È l’unica via perché la uguale dignitàdi ogni persona possa essere rispet-tata e promossa, anche là dove si ma-nifesta più vulnerabile e fragile. Quiinfatti emerge con chiarezza che nonè possibile vivere se non ricono-scendoci affidati gli uni agli altri. Ilfrutto del Vangelo è la fraternità».Raccogliendo l’invio dei vescovi

italiani, gli Uffici Diocesani per lapastorale familiare, per la salute, perl’Insegnamento della Religione Cat-tolica e la Consulta per le Aggrega-zioni Laicali, con la collaborazionedel Centro Aiuto alla Vita di Ragusa,hanno proposto dei momenti di ri-

flessione e delle attività per intro-durre le comunità parrocchiali e leaggregazioni laicali alla preghiera ealla riflessione sui temi del messag-gio per la giornata per la vita.Le attività diocesane prosegui-

ranno con con due incontri-dibattitodi approfondimento sulle questionidi bioetica, sul tema “Oltre il finevita – La dignità del morire”, il 27febbraio a Comiso nell’auditorium“Carlo Pace” e il 28 febbraio a Ra-gusa nell’auditorium “Saro Di-grandi” dell’istituto scolasticoGalileo Ferraris.Nel corso dell’anno scolastico, in-

fine, si terranno degli incontri con igiovani delle scuole secondarie dellaDiocesi sui temi del messaggio perla Giornata per la Vita.Alle iniziative hanno dato il loro

patrocinio l’Asp di Ragusa, l’Ambitodi Ragusa dell’Ufficio Scolastico Re-gionale e l’Ordine dei Medici dellaprovincia di Ragusa.

Carmelo La Porta

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Accogliere, custodire, proteggere,aprire le porte e dare dignità alla vita

Ogni persona va rispettata e promossa anche quando è più vulnerabile e fragile

Un’avventura lunga 30 anni fattadi volti, storie, amicizie.

Un’esperienza che ha segnato la vitadi ospiti e operatori, di quanti hannovissuto e vivono in casa famiglia. Carità e servizio: questa la mission

della cooperativa “F. Ozanam” diVittoria, che da tre decenni svolge ilproprio operato a favore della salutee del disagio mentale, con professio-nalità e alto senso del dovere, fortedella missione a cui si ispira e chetrae fondamento nella figura di Fe-derico Ozanam, apostolo della ca-rità, beatificato da San GiovanniPaolo II nel 1997, fondatore della So-cietà San Vincenzo de’ Paoli.Una storia affascinante nata per

iniziativa di un gruppo di volontaridella Conferenza cittadina della SanVincenzo, desiderosi di mettersi aservizio del prossimo; la Provvidenzaavrebbe risposto di lì a poco e dopoaver ricevuto in donazione un edifi-cio storico nell’antica piazza SanVito, decidono di avviare un’espe-rienza a sostegno dei minori a ri-schio di devianza, per iniziaresuccessivamente – nel 1992 – unanuova avventura: quella rivolta ai di-sabili mentali secondo lo stile delle

“comunità alloggio”.Riunitisi in cooperativa, danno

così vita alla prima “casa famiglia”per disabili mentali a Vittoria, av-viando, appena un decennio dopo,nel 2002, un nuovo servizio, quellodel “Gruppo appartamento”, che ac-coglie il alcuni disabili mentali chehanno già percorso un cammino diriabilitazione tale da consentire loroun buon grado di autonomia ed indi-pendenza.Tanti i progetti che la cooperativa

ha messo in campo in questi 30 anni,tra cui l’apertura di altre tre espe-rienze di “gruppo appartamento”(due a Vittoria e una a Ragusa) e l’at-tivazione della “fattoria sociale”: lanatura, gli animali, l’aria aperta, me-dicina naturale per il benesseresocio-psicologico degli ospiti.Dal 2017 ha anche avviato una co-

munità alloggio per minori stranierinon accompagnati con disagio men-tale, esperienza unica in Sicilia.«La ricchezza della cooperativa

Ozanam – commenta la presidenteTeresa Palma – sono gli ospiti e glioperatori; ci sentiamo davvero una

grande famiglia. In questi 30 anniabbiamo vissuto ma anche superatoparecchie difficoltà, che abbiamosempre affrontato a testa alta, perchéabbiamo creduto in questo pro-getto.La carta vincente della nostracooperativa – continua la presidentePalma – sono i rapporti con gli ospitie la qualità del servizio svolto. La no-stra cooperativa ha un grande valoreaggiunto: la serietà, che in questianni ci è stata ampiamente ricono-sciuta. Noi ci siamo e ci saremo».Nel salone della parrocchia Resur-

rezione a Vittoria si è svolta la festaper questi primi “30 passi insieme”,alla presenza degli ospiti, degli ope-ratori, dei rappresentanti di altre isti-tuzioni, enti e centri e del vescovomonsignor Carmelo Cuttitta. Unaserata di gioia, canti, ricordi – graziealla piccola mostra fotografica alle-stita – e ancora di sorrisi e abbraccisinceri. Un momento per augurarsireciprocamente di continuare a cre-dere in questo progetto e a sognareun futuro lungo, prospero e mi-gliore.

Orazio Rizzo

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Come in una grande famigliaI 30 anni della cooperativa Ozanam

Nata dai volontari San Vincenzo de’ Paoli si caratterizza per Carità, servizio e serietà

Un rapporto complesso, quello tra il paziente e il me-dico. Due mondi distinti che, inevitabilmente,

hanno l’esigenza di incontrarsi nella terapia della cura.In questa relazione, nel tempo divenuta sempre più

complessa, da un lato vi è il sapere del medico, dall’altro,invece, la sofferenza del malato.La cura – e non la guarigione – tuttavia non sempre è

l’obiettivo perseguito dalla medicina.Partendo dal fatto che il sapere medico non è matema-

tico, e dunque deve declinarsi ai singoli casi (con ampiomargine di errore), nella condizione della malattial’unica certezza è quella relazione di cura che dovrebbecostituire il vero legame tra dottore e malato .“Prendersi cura di”, infatti, rappresenta il punto di

partenza del rapporto paziente-medico. Si tratta diun’espressione spesso fraintesa: avere cura non significasolo guarire né tanto meno forzare uno specifico casopur di ottenere un risultato medico straordinario.Per prendersi cura bisogna partire dal paziente, inteso

non come oggetto a cui applicare la disciplina medicama come soggetto che soffre, vita che sperimenta sulproprio corpo il dolore fisico e, ancora più, la sua fragi-lità umana. Non si può quindi pensare ad una medicinaasettica e distaccata.Il medico ha cura del proprio paziente solo quando ri-

spetta l’indisponibilità della sua vita, il suo singolo vis-suto (non uguagliabile con altri), le sue attese e paure e,a partire da questi, forgia i suoi studi applicandoli al casospecifico.

L’ospedalizzazione, la tecnologia e l’iperspecializza-zione della medicina tendono, però, a minare la rela-zione di cura poiché impediscono la pienezza delrapporto tra i due termini in questione. E dunque si va dal cardiologo per il cuore, dallo pneu-

mologo per i polmoni, dal neurologo per il sistema ce-rebrale senza che, delle volte, ci sia comunicazione traquesti. Così, mentre ci si concentra a guarire un pro-blema specifico, spesso ci si dimentica del resto, dell’in-tegrità della persona, insomma.Decine di medici, sempre diversi in base ai turni in

ospedale, in pochi secondi decidono come guarire unamalattia, dimenticando – spesso – di avere cura del sog-getto che, in quella stanza, magari soffre la lontananzadalla famiglia o sperimenta il ricordo di un tragico eventoe sicuramente, aldilà di tutto, vive la costante paura dellamorte. Se non fosse per il sorriso, le parole, il confortodi qualcuno – personale medico e non – gli ospedali po-trebbero considerarsi prigioni dove stare finché non siriacquista la salute.Siamo sicuri che bisogna solo guarire dalle malattie? O vi è forse l’esigenza di guardarle in faccia e sapere

che c’è qualcuno che ci accompagna, ci aiuta a viverlenel migliore dei modi e nel pieno rispetto della nostrapersona? Questa è la questione. Qui è il dramma o la speranza, forse, che la malattia

possa essere considerata un’esperienza da vincere, nonda soli.

Alessia Giaquinta

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in 15Medico e paziente, un rapporto

con al centro la persona che soffre

Non essere da soli durante la malattiasapendo che c’è qualcuno che ci aiuta

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Vicini al paziente con professionalitàIl ruolo insostituibile dell’infermiereHanno un ruolo fondamentale

nella promozione della salute,nella prevenzione delle malattie enell’assistenza sanitaria in ogni am-bito. Effettuano vaccinazioni; som-ministrano farmaci, controllano,pressione, ossigenazione e glicemia;eseguono prelievi; assistono malaticronici e terminali in ospedale e adomicilio; spesso rappresentano ilprimo contatto del paziente con lastruttura sanitaria eppure, nono-stante l’aumento dei bisogni di assi-stenza legati alle cronicità, allefragilità e all’invecchiamento dellapopolazione, nel nostro Paese man-cano all’appello circa 50mila infer-mieri.Eppure «senza infermieri la sanità

non può funzionare», afferma Bar-bara Mangiacavalli, presidente dellaFnopi (Federazione nazionale degliordini delle professioni infermieri-stiche – circa 450mila iscritti).Intanto, nel 200. della nascita, il 12

maggio 1820 a Firenze, di FlorenceNightingale, capostipite dell’infer-mieristica moderna, l’Oms accendei riflettori sulla professione procla-mando il 2020 “Anno internazionaledell’infermiere e dell’ostetrica”.

Mangiacavalli, qual è lo stato disalute della professione?«Per molti anni abbiamo parlato di

valorizzare le competenze degli infer-mieri. Oggi che abbiamo fatto cre-scere la professione è urgentecostruire modelli organizzativi e as-sistenziali innovativi ed efficaci per icittadini. È arrivato il momento diprogrammare l’utilizzo di questecompetenze, valorizzando il ruolodegli infermieri per un nuovo approc-cio e nuove modalità di presa in ca-rico dei bisogni dei cittadini».

La Fnopi denuncia la carenza di50mila infermieri che con gli ef-fetti di “Quota 100” potrebberosuperare i 70mila. Come interve-nire?«Molte strutture assistenziali sono

già oggi in sofferenza per la carenzadi infermieri e l’impossibilità di repe-rirli sul mercato. Per molti anni si èparlato di concorsi ma la questione èpiù sottile: da 10 anni il sistema sani-tario pubblico assume con il conta-gocce a causa dei tetti di spesa per poiricorrere, paradossalmente, a coope-rative, società interinali, contratti li-bero professionali, contratti precari.Avremmo bisogno mediamente dicirca 20mila infermieri l’anno, men-tre i posti messi a bando per le laureetriennali oscillano tra i 14 e i 16mila».

Quali attese dall’Anno interna-zionale?

«L’Oms guarda al mondo e lanciaun allarme: entro pochi anni potreb-bero mancare diversi milioni di infer-mieri. Auspico che l’Anno costituiscaun’importante opportunità per sensi-bilizzare le istituzioni, rendendolepiù disponibili ad ascoltare e valu-tare le istanze che provengono dallanostra professione».

Se dovesse tracciare con pochiverbi l’identikit dell’infermiere,quali sceglierebbe?«Esserci; essere vicino al paziente

in maniera competente e professio-nale; individuare i suoi bisogni, visi-bili e non manifesti; programmareuna pianificazione assistenziale euna risposta scientifica, appropriatae competente a questi bisogni; strut-turare reti relazionali; collaborare inéquipe multiprofessionali».

Giovanna Pasqualin Traversa

Il 2020 anno internazionale dell’infermiere e dell’ostetrica

Non è facile parlare di malattia,ma anche di disabilità senza ce-

dere alla tentazione di ricorrere ailuoghi comuni o peggio senza ca-dere nel pietismo. L’altro rischio è quello di affron-

tare l’argomento in modo troppoimpersonale, non riuscendo a resti-tuire la giusta dignità. Il primo mito da sfatare è che non

bisogna equiparare malattia e disa-bilità, è vero che una persona con di-sabilità può anche essere malata, mai due termini sono affatto sinonimi.Un altro errore in cui si rischia di

incappare è quello di ricorrere alsensazionalismo o mascherare l’ipo-crisia dietro il politically correct,come coloro che ogni volta che sirapportano al tema utilizzano soloaggettivi positivi per descrivere que-ste persone, come se il solo fatto diessere in quella condizione, li po-tesse rendere automaticamente mi-gliori. Peggio di una cattiva informa-

zione, c’è poi il rischio che questetematiche passino completamentenel dimenticatoio, nell’indifferenzagenerale, rendendo queste personeinvisibili in un’epoca nel quale tuttociò di cui non si parla nei media ècome se non esistesse. Quindi di malattia e disabilità si

deve parlare, sfatando però alcunifalsi miti. Per fare ciò ci viene inaiuto Franco Bomprezzi, che il 9aprile del 2014, stilò “Decalogodella buona informazione sulla di-sabilità”. Si tratta di dieci regole, utili per il

mondo giornalistico, ma da cui sipossono trarre conclusioni valide unpo’ per tutti. Leggendo tale decalogo, si nota

come la maggior parte delle indica-zioni che fornisce Bomprezzi sianopoi delle regole di “buona educa-zione” che possono risultare valideogni qualvolta ci si ritrovi a parlaredi persone in generale (verificare lenotizie, utilizzare le immagini soloquando sono indispensabili e co-munque corredandole di didascaliecorrette e non offensive della dignitàdella persona; quando la personaoggetto dell’immagine è chiara-mente riconoscibile, chiederne ilconsenso alla pubblicazione; conce-pire titoli che riescano ad essere ef-ficaci e interessanti, senza caderenella volgarità o nell’ignoranza e ri-spettando il contenuto della noti-zia). Perché poi il nocciolo della que-

stione è proprio questo: se parliamo

di malattia o disabilità stiamo innan-zitutto parlando di esseri umani!Esaustivo in tal senso l’articolo “In-valido a chi? Disabilità: le parolecorrette” di Claudio Arrigoni,scritto per il blog InVisibili il 5aprile 2012.Lui scrive che la prima cosa da fo-

calizzare è proprio la persona e se èproprio necessario esplicitare la suacondizione, bisogna farlo solo dopo.Bandite allora le espressioni diver-samente abile, disabile o peggiohandicappato, portatore di handi-cap, invalido: semplicemente per-sone, persone con disabilità, conpregi e difetti, sogni e paure, ma so-prattutto senza diversità.

Eleonora Pisana

Frag

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Con pregi, difetti, sogni e paureSoprattutto persone, senza disabilità

Sfatiamo alcuni falsi miti partendo dalle regole della buona educazione

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A Mascalucia gli esercizi spiritualidettati da don Luigi Maria Epicoco in

19DIOCESI

“Li chiamò perché stessero conLui e per mandarli. Santità e co-

munione del Ministero sacerdotale”. Èil tema che don Luigi Maria Epicoco(nella foto a destra con il vescovo, mons.Carmelo Cuttitta), docente di filosofiae sacerdote spiritualmente brillante, hasviluppato con il Vescovo e i trentottopartecipanti agli esercizi spirituali delclero della nostra Diocesi, dal 20 al 24gennaio presso la Casa dei Padri Passio-nisti, a Mascalucia.Nel clima silenzioso e pacifico del-

l’Etna, il relatore è riuscito a intessereuna tela spirituale di rara sapienza e sin-golare bellezza. Con linguaggio ge-nuino e profondo, don Luigi ha creatoi presupposti antropologici perché cia-scun presbitero facesse il punto della si-tuazione sulla propria relazione intimacon il Signore e, dunque, sullo stato disalute del sacramento dell’OrdineSacro. La riflessione ha avuto inizio da una

seria considerazione del Battesimo dacui tutto parte; tale sacramento ri-sponde alla domanda Di chi siamo? Noipresbiteri siamo anzitutto di Cristo, inquanto uomini che Lui, nella sua miste-riosa libertà, ha scelto non perché per-fetti ma perché poveri, zoppi, ciechi,stolti: da quella sua scelta, nasce la de-

liberata volontà di affidarci la sua Gra-zia. Il Vangelo, inoltre, ci fa rendereconto che Cristo rinnova tale vocazionepiù volte, specialmente nei momenti difragilità oppure in quelli decisivi dellavita presbiterale. Altre icone bibliche, opportuna-

mente collocate ed esegeticamentepuntualizzate, hanno messo in lucel’importanza della fraternità. Nella fa-tica di stare insieme, i presbiteri cer-chiamo di rispondere alla domanda Conchi siamo? Il passato ci fa essere semprein compagnia del nostro Io; ma se guar-diamo al futuro con speranza, ci accor-giamo che Cristo “viene incontro a noi,in ogni uomo e in ogni tempo” (Prefa-zio di Avvento, I/A), perciò non pos-siamo fare a meno di riconoscere la Suapresenza nascosta nei fratelli, fosseroanche i peggiori. La comunione fra ipresbiteri non è un accessorio o unmero fatto di goliardica affinità fraamici, ma una ricerca faticosa di Cristoche va amato nell’altro. Don Luigi hainsistito molto sulla comunione fra-terna che proviene da Dio; a noi spettail compito faticoso di tenere insieme ifili delle nostre diversità. Infine, seguendo un percorso spiri-

tuale ben strutturato, il relatore ha svi-luppato altre meditazioni sulla

domanda Per chi siamo? Il sacerdote èchiamato ad essere per Cristo, invitatoa farsi offerta a Cristo, in modo emi-nente durante l’Eucaristia. Nelle fes-sure di questo cammino non facile, siinserisce misteriosamente la Grazia diDio che guarisce. È Lui il soggetto diquesta azione di Grazia, non le nostrecapacità pastorali. Siamo chiamati afarci offerta al Signore, servire il Si-gnore per quello che serve al Signore enon per quello che noi immaginiamo.Nella verifica finale è emerso che il

nostro presbiterio va maturando sem-pre di più nell’amicizia e nella condivi-sione. Fino a qualche anno fa eraimpensabile un corso di esercizi spiri-tuali con un numero così elevato di par-tecipanti. C’è ancora chi, purtroppo, faper conto suo e alla fine si ritrova iso-lato. Ma ormai la strada è tracciata:siamo invitati a metterci dalla partedella fraternità: questa è l’identità dellaChiesa e del presbiterio.

Giuseppe Di Corrado

Il Presbiterio diocesano sui sentieridella santità e della fraternità

La musica come strumento di co-struzione della pace. Il teatro Na-

selli di Comiso ha ospitato il “Concertoper la Pace” che ha visto sul palco ilcoro e la piccola orchestra “Enarmo-nia” con la direzione del maestro DarioAdamo, la cura della tecnica vocale diGisella Tirella e la lettura espressivadegli attori Tiziana Bellassai e Alessan-dro Sparacino. La manifestazione è stata promossa

dalla Cattedra di dialogo tra le culture,dal Centro pastorale francescano per ildialogo e la pace di Comiso e Ragusa,con il patrocinio della Diocesi di Ra-gusa, dei frati minori cappuccini di Si-racusa, e del Comune di Comiso. Ilconcerto ha felicemente nobilitato lemolteplici manifestazioni musicali, chehanno animato e reso viva e palpabile,a Comiso, un’atmosfera di festa, inin-terrotta e socializzante. Il Concerto per la Pace, ha promosso

nell’uditorio, affascinato e rapito, unaricerca d’incontro tra le proprie emo-zioni e le radici più profonde e veredella propria millenaria cultura nelle fe-stività natalizie, radicate nella tradi-

zione e minacciate dalla odierna societàconsumistica e banalizzante le umane,più alte aspettative personali e collet-tive. Ciò e fiorito, sulle ali di una musicadi brani non solo di matrice europea,tutti accomunati dal tema della Pace, di-visi in tre settori : classica, natalizia emoderna. Il concerto per la Pace ha saputo con-

densare in pochi brani la voglia di pacee costruttiva convivenza che la musicaesaltata nelle varie epoche, più e menorecenti.Lo spettacolo, ideato e scritto nei dia-

loghi da Giuseppe Di Mauro, ha pro-mosso nel pubblico un’atmosfera diattesa, voglia di riscatto, rivalsa, indottada un testo esaltato da una recitazionemagistrale che ha dato vitalità, realismoalle istanze di un uomo dall’identità mi-steriosa, di una donna gravida e di unpiccolo bambino in fuga da una societàpost-apocalittica con il desiderio feritodi ricostruire, ricominciare. Attraversoun significativo viaggio in barca per il

Mediterraneo, con lo sguardo rivolto adAtene, Roma, Gerusalemme, si spin-gono alla ricerca di una città dove abi-tare, con le radici salde alla terra e i ramiprotesi al cielo, tra pericoli, delusioni,attese e speranze. L’autentico, genuino senso del Na-

tale di Nostro Signore Gesù Cristo inquesto racconto tra musiche, citazionicolte ed essenziali, ai richiami alla dot-trina della Madre Chiesa è assai forte.Musica, canto e recitazione hanno en-fatizzato il testo e richiamato il deside-rio di pace da costruire nel e con ilcuore degli spettatori. Quanto detto èemerso, a fine spettacolo, dai commentia caldo che autorità e rappresentanti discuola, università, istituzioni laiche ereligiose. Nell’aria della manifestazionesi respirava:un’istanza di pace costruitanel quotidiano, col piccolo contributodi ciascuno di noi nelle nostre piùusuali e ripetitive azioni di sempre.

Pasquale Monaco

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Costruire con il cuore un mondo di pacecon la musica come compagna di viaggio

Il teatro Naselli di Comiso ha ospitatoil concerto del coro “Enarmonia”

Che differenza c’è tra dono e cari-sma? Secondo la tradizionale defi-

nizione paolina, il carisma è unamanifestazione particolare dello Spiritoper l’utilità comune: in sostanza undono particolare che viene ricevuto nonper l’utilità personale di chi lo riceve,ma per l’utilità ecclesiale. Come ci ri-corda Papa Francesco “i carismi sonodoni per rinnovare ed edificare laChiesa” infatti “un chiaro segno del-l’autenticità di un carisma è la sua ec-clesialità, la sua capacità di integrarsiarmonicamente per il bene di tutti”(Evangelii gaudium, n. 130). Ebbene, domenica 19 gennaio, in oc-

casione dell’incontro mensile di tutte leCellule di evangelizzazione di Ragusa,ho avuto modo di partecipare alla pre-sentazione dell’album dei Barakà, alloro esordio musicale, e il mio primopensiero è caduto proprio sui carismi. Sapete perché? Ho avuto modo di apprezzare la stra-

ordinarietà dei brani proposti e soprat-tutto di constatare la grande passionedei componenti della band, alcuni gio-vani delle Cellule, che sono accomunati

dal desiderio di testimoniare la loroesperienza di fede attraverso i canti el’animazione della preghiera. Con tantasemplicità e con un’indispensabile dosedi umiltà (quella autentica che ti rendeconsapevole della grandezza del donodi ricevuto e al contempo ti lega indis-solubilmente a Colui che è dispensa-tore di tutti i doni), ci hannotestimoniato che anche i doni personali– e credo che ciascuno di loro possavantare un talento musicale di certonon comune – possono e debbono es-sere messi a disposizione degli altri perl’edificazione, umana e spirituale, delRegno di Dio. È così che piuttosto cheassistere ad un concerto o uno spetta-colo, quanti eravamo presenti – il teatrodei Salesiani era stracolmo di persone– abbiamo avuto modo di vivereun’esperienza straordinaria: un lungomomento di Adorazione Eucaristica,animato con i canti e le preghiere pro-posti dalla band che, mettendo a fruttoi doni ricevuti, si è lasciata usare abbon-dantemente come uno strumento do-cile nelle mani di Dio. La nostra animane è rimasta rinfrancata e il nostro spi-

rito ha vissuto un momento di intensacomunione con Gesù Eucaristia. Quasi mi stava sfuggendo: non vi ho

detto ancora né il significato del ter-mine Barakà, né il titolo dell’album pro-posto. Rimedio subito. Barakà è iltermine ebraico che indica l’atteggia-mento di gratitudine a Dio per i suoi in-numerevoli benefici, mentre l’album,pubblicato dall’editrice Sion fondatanel 2002 dal compianto don SalvatoreTumino, prende il titolo da uno deibrani più belli: Accarezzami Gesù(canti di lode e di adorazione). A questo punto, non ci resta che ac-

cogliere nel nostro cuore l’invito cheDio stesso ci rivolge a lasciare che idoni ricevuti possano essere carismispesi gratuitamente e generosamente alservizio dell’umanità intera e di quellaporzione del popolo di Dio che, neltempo e nello spazio, è stata affidata aciascuno di noi.E chi volesse sapere qualcosa in più

su don Salvatore può consultare il sitowww.eccomimandame.it o www.editri-cecattolicasion.it

Rosario Antoci

Un’esperienza nata all’internodelle Cellule di Evangelizzazione

I brani della lode e dell’adorazioneIl carisma dei Barakà nel cd di esordio

San Luigi a Ragusa è chiesa piccola.La parrocchia insiste su un quar-

tiere molto grande e tanti sono i parroc-chiani, ma la chiesetta è pur sempre unpiccolo tempio rurale di novanta annifa.La messa domenicale è sempre parte-

cipata e un terzo dei fedeli segue inpiedi.La messa domenicale che ha chiuso il

periodo natalizio è stata particolar-mente seguita per via di un evento nonraro ma certamente non frequente.Il parroco, Luca Tuttobene, ha infatti

celebrato un battesimo. Ma alla fonte siè apprestata Noemi, non una neonata.Una ragazzina di nove anni che ha fattodeliberatamente la scelta di diventare fi-glia di Dio e sorella di Gesù.Noemi ha frequentato i “pescatori” di

San Luigi, il gruppo, molto ampio, chedon Luca coordina col fondamentaleaiuto di un bel gruppo di parrocchiani.

I pescatori si riuniscono, fanno uscite,corsi, preghiere, cantano, seguono ilcammino dell’iniziazione cristiana conuno stile che don Luca ha cucito su mi-sura per i bambini e i ragazzi di oggi.Noemi li ha frequentati. Ma non era an-cora battezzata.Poi la richiesta: “Padre Luca, vorrei

battezzarmi”. Noemi è schietta e spon-tanea. Padre Tuttobene ne parla al ve-scovo. Monsignor Cuttitta approva maavanza solo una richiesta: che Noemiscriva una lettera per spiegare i motividella sua scelta.Lettera che in via Roma, al Vesco-

vado, arriva a stretto giro di posta. Nonabbiamo letto la missiva, ma doveva es-sere convincente oltre che, evidente-mente, sincera. Fatto è che l’episcopoautorizza il parroco e la prima dome-nica di gennaio a San Luigi tra pesca-tori, scout, parenti, amici e fedeli nonsi entrava in chiesa. La cosa più impor-

tante, però, è stata senza dubbio la toc-cante cerimonia. Noemi è stata battez-zata, entrando a fare parte dellacomunità, riconoscendo nella chiesa la“sua seconda madre”, dopo la madrenaturale che in prima fila non riusciva atrattenere le lacrime di commozione(come il papà di Noemi, la madrina, inonni, tutti i parenti e, in somma, tuttii presenti a San Luigi).Appena dopo la cerimonia religiosa e

il sacramento, Noemi ha ricevuto la ma-glietta e il cappellino bianchi che distin-guono i pescatori di San Luigi. Gliscout del gruppo Ragusa 2 dell’Agescihanno regalato a Noemi un canto deiloro.Una domenica che Noemi non di-

menticherà mai, e che molti dei pre-senti ricorderanno a lungo. Una festadella comunità, una Chiesa del popolo,una festa di tutti.

Saro Distefano

A nove anni ha scritto al vescovospiegando i motivi della sceltain

22 DIOCESI

Il battesimo di Noemi a San LuigiUna festa di tutta la comunità

in 23DIOCESI

Il 16 febbraio al teatro “Naselli” di Comisola XVII assemblea diocesana elettiva

Camminiamo insieme, guardiamo lontano: questo il temadell’assemblea diocesana di Azione cattolica che si terrà

domenica 16 febbraio al teatro “Naselli” di Comiso, con ini-zio alle 8.30. L’appuntamento, che quest’anno sarà anche elettivo, svi-

lupperà i temi della sinodali e della prossimità, come stile ecome scelta.« Come laici di Azione cattolica, riteniamo – scrive la pre-

sidenza uscente nella lettera con cui presenta l’assemblea –sia sempre piu urgente non stare a guardare, ma continuaread agire dentro i contesti in cui viviamo con speranza, pa-zienza, collaborazione, creativita. La XVII assemblea dioce-sana elettiva, sarà fucina di un nuovo umanesimo!».L’Azione Cattolica vive questo tempo come una grazia,

come un invito a incontrare le persone e a lasciarsi interpel-lare dalla realtanella quale viviamo e nella quale ricono-sciamo la bellezza della complessitasenza semplificazioniche la riducano a schemi e stereotipi. Questo induce a leggere la realta nelle sue molteplici ma-

nifestazioni: diversita di pensiero, varieta di culture, forza efragilita delle relazioni, risorse e criticita dei territori. Per il cammino dell’Azione cattolica diocesana si apre una

nuova tappa. Una vera e propria missione da vivere nel tempo della pros-

simità, promuovendo la cultura della fraternità e costruendoun presente che non metta argini alla speranza.

«Siamo chiamati a vivere – è l’invito a tutti i laici di Azionecattolica – il tempo della prossimita come antidoto alla “glo-balizzazione dell’indifferenza”, come ci ricorda il papa. Farsiprossimi all’altro per ascoltare i problemi e i bisogni, le attesee le speranze di chi come noi vive la quotidianita della vita.Farsi prossimi per accogliersi e condividere un tratto di stradainsieme, come “fratelli in umanita”, al di la di ogni apparte-nenza, fede, cultura, perche l’essere uomini ci accomuna. E tempo di promuovere la cultura della fraternita, anche

se questa sembra essere oggi una parola difficile che puo ge-nerare sentimenti di chiusura, in quanto unica via percorri-bile per costruire una societa capace di futuro.

La fraternita, sebbene da sempre carattere essenziale dellavita ecclesiale, si ritrova ad essere “la nuova frontiera del cri-stianesimo”, una frontiera che non e un confine ma l’orizzonteche ci orienta. Questo e il tempo per chiederci che cosa vogliamo costruire

insieme agli altri. Occorre mantenere alto il coraggio di staredentro le situazioni ordinarie della vita, dentro le istituzioni,le nostre famiglie, le nostre comunita , con il desiderio di co-struire per il bene di tutti. A volte corriamo il rischio di un atteggiamento disfattista

che pensa che costruire sia una fatica inutile. Altre volte an-cora pensiamo sia piu semplice delegare a qualcuno il com-pito di affrontare i problemi, di cambiare le situazioni.Occorre continuare ad agire dentro i contesti in cui viviamocon speranza, pazienza, collaborazione, creativita».

Camminiamo insieme, guardiamo lontanoUna nuova tappa per Azione Cattolica

in 24 DIOCESI

Era il 26 luglio 1934 quando a Ra-gusa arrivarono le prime suore

della congregazione delle Figlie di SanGiuseppe, da tutti meglio conosciutecome Suore Giuseppine, invitate dal-l’arcivescovo di Siracusa monsignor Et-tore Baranzini e dall’allora vicarioforaneo monsignor Vincenzo Nobileparroco della parrocchia del S. Salva-tore nel cui territorio (Cozzo Corrado)ricadeva l’erigenda chiesa dedicata alpatriarca San Giuseppe e l’annesso isti-tuto. Si trattava di Suor Clara, custode,Suor Redenta, Suor Aquilina e SuorDonata, accompagnate dal prevostopadre Giovanni Battista Pagliero, a cuipresto si aggiunsero Suor Domitilla,Suor Concetta e Suor Zaira. La loro prima casa fu un’abitazione

presa in affitto, in attesa della presa dipossesso del nuovo istituto avvenuta il13 gennaio 1937.Iniziò così la storia di una presenza

importante per la comunità ecclesialeragusana che ha visto protagoniste letante suore che si sono succedute neltempo per testimoniare nella nostracittà il carisma del fondatore della con-gregazione, il Beato Clemente Marchi-sio, sacerdote fervente nell’amore inGesù Eucaristia, che volle le suore to-talmente donate al servizio del culto eu-caristico.Per tutti questi decenni le Suore Giu-

seppine di Ragusa si sono adoperatenella produzione delle ostie, nel ricamodei paramenti sacri e nella cura di ciòche occorre per la celebrazione dellamessa. Al carisma specifico, come testimo-

nianza dell’amore all’Eucaristia, hannounito il sevizio dell’educazione dei

bambini nell’asilo annesso all’istituto,il servizio dell’educazione catechetica,dell’animazione di gruppi giovanili,della cura della corale, dell’animazioneliturgica della messa quotidiana e do-menicale e la formazione dei mini-stranti che in tantissimi negli annihanno prestato il servizio all’altare nellachiesa dell’istituto, nel frattempo dive-nuta parrocchia Beato Clemente, rettada don Franco Boncoraglio.Fu facile per i ragusani, cittadini la-

boriosi e dediti alla famiglia, identifi-carsi con il carisma delle Suore,chiamate a lavorare per la mensa del Si-gnore e a vivere in comunità sull’esem-pio della Sacra Famiglia. Schiere di bambini, di giovani e di fa-

miglie hanno frequentato l’istituto delleFiglie di San Giuseppe, che in cittàhanno rappresentato una presenza im-portante, tanto che anche urbanistica-mente il quartiere che sorse attornoall’istituto prese da loro il nome: unacomunità di persone che si identificavacon le Suore Giuseppine ritenendoleparte integrante della comunità civile.Lo stesso gonfalone custodito a Palazzodell’Aquila, che rappresenta la Città diRagusa, è opera delle Suore Giusep-pine. Il loro lavoro ha servizio genera-zioni di sacerdoti e parroci della diocesiche nelle suore hanno trovato attente eabilissime ricamatrici per il decoro deiparamenti sacri e per il restauro di pre-ziosi arredi sacri.Tante le suore che si sono dedicate

alla testimonianza educativa, dalla quale

è scaturita la nascita di gruppi giovanilie del circolo oratorio Anspi “San Giu-seppe” che vede tra i fondatori suorMarisa, attiva animatrice di tanti incon-tri, di momenti di preghiera, di campiestivi e vocazionali. Nel ricordo di tanti rimangono im-

presse le parole docili, semplici, ricchee profondamente spirituali anche diSuor Samuela, Suor Angela, Suor Stel-lanna, Suor Salvatorina, Suor Concetta,che arrivata nel 1934 non lasciò mail’istituto di Ragusa.Da questa presenza sono scaturite

più di venti consacrazioni religiose digiovani ragusane entrate nella congre-gazione delle Figlie di San Giuseppe,una vocazione sacerdotale, quella didon Giuseppe Ramondazzo e tantis-sime vocazioni alla vita matrimonialecristianamente vissuta.Domenica 19 gennaio 2020 le suore,

tra commossi abbracci, hanno salutatola comunità parrocchiale e cittadina enei successivi giorni l’istituto ha chiusodefinitivamente. Suor Marisa, Suor Santina e Suor An-

nangelica hanno rappresentato l’ultimacomunità di Suore Giuseppine che per85 anni hanno impreziosito con il lorocarisma la nostra città. Ragusa e la dio-cesi perdono un importante punto di ri-ferimento spirituale, educativo eculturale. Alle Figlie di San Giuseppe un grazie

lungo quasi un secolo, sperando in unfuturo ritorno.

Carmelo La Porta

Con la partenza delle suore GiuseppineRagusa perde un punto di riferimentospirituale, educativo e culturale

Dono prezioso al servizio della comunitàSentito grazie alle figlie di San Giuseppe

Dal 1937 una presenza e una testimonianza importante

Il saluto della comunità

La preparazine delle ostie

Il ricamo dei paramenti

Ragusa 1957. Suor Concetta con i bambini dell’asilo

in 26 DIOCESI

“Con lo sguardo delNarratore – l’unico

che ha il punto di vista finale– ci avviciniamo ai protago-nisti, ai nostri fratelli e so-relle, attori accanto a noidella storia di oggi” (Mes-saggio del Papa per la 54.Giornata mondiale delle co-municazioni sociali).Sul profilo Instagram della

Diocesi è da qualche giorno

attiva una rubrica che rac-conta in 60 secondi le espe-rienze pastorali ordinarie equalche volta straordinariedella Chiesa diocesana nellesue diverse articolazioni:parrocchie, gruppi, associa-zioni, uffici. Inauguriamo cioè “una

narrazione umana che ciparli di noi e del bello che ciabita”, che racconti il nostroessere parte di un tessutovivo, “che riveli l’intrecciodei fili coi quali siamo colle-gati gli uni agli altri”. Storie,quindi, della nostra fatica pa-storale, della nostra genero-sità, del nostro sensoecclesiale e del nostro mini-stero, dei nostri carismi e

della nostra inventiva, perraccontare il Vangelo diGesù oggi, agli uomini edalle donne del nostro tempo,ai ragazzi ed ai giovani, allenostre città, quartieri, par-rocchie. L’inventiva formativa,

sempre feconda, ora ritualeora innovativa, ma semprecentrata sulla gioia di rac-contare “quello che abbiamovisto e udito”.“Ciascuno di noi conosce

diverse storie che profu-mano di Vangelo - scrive ilPapa nel Messaggio citato -che hanno testimoniatol’Amore che trasforma lavita. Queste storie recla-mano di essere condivise,

raccontate, fatte vivere inogni tempo, con ogni lin-guaggio, con ogni mezzo”.Ed abbiamo l’ardire, pro-

prio perché utilizziamo unmezzo social, narrare comeChiesa diocesana, storie chevorremmo fossero semprebuone, edificanti e significa-tive per contribuire ad edifi-care la città dell’uomo (e ditutti gli uomini), la Gerusa-lemme Celeste a cui ogniuomo tende nella quale ritro-vare la vita buona per tutti;“non esistono storie umaneinsignificanti o piccole.Dopo che Dio si è fatto sto-ria, ogni storia umana è, inun certo senso, storia di-vina” (Messaggio cit.)

Sul profilo Instagram della Diocesiracconta la tua esperienza pastorale

Corso di formazione Caritasper nuovi volontariAnche per il 2020 la Caritas diocesana propone il Corso di for-

mazione per nuovi Volontari destinato a tutte le persone che de-siderino dedicare del tempo e le proprie qualità al servizio delprossimo in attività di volontariato presso i servizi della Caritas. Il percorso formativo, giunto quest’anno alla decima edizione, si

terrà a Vittoria, in orario 18.00 – 20.00 nei locali messi a disposi-zione dalla parrocchia SS. Resurrezione. Ad accompagnare i volon-tari saranno come sempre il direttore della Caritas Domenico Leggioe l’assistente spirituale don Rosario Cavallo, oltre a membri dellostaff dell’ufficio.

in 27BREVI DALLA DIOCESI

Don Luigi La Rosa è tornato

alla Casa del padre

All’età di 85 anni, è tornato alla Casa del Padredon Luigi La Rosa. Era nato a Ragusa il 15

marzo 1934 ed è stato ordinato presbitero il 15 ago-sto 1957. Ha svolto l’ufficio di vicario parrocchialenelle parrocchie Sacro Cuore di Gesù in Vittoria,San Giorgio e San Francesco di Paola, in Ragusa.Parroco dal 1980 al 2000 della parrocchia SanPaolo Apostolo, in Ragusa, dopo la cessazione daquesto ufficio è stato fino all’inizio del 2013 cap-pellano della chiesa dell’opera pia “CriscioneLupis”, sempre in Ragusa. È stato anche docentenella scuola teologica del Seminario, assistente delsettore giovani di Azione Cattolica e membro delConsiglio presbiterale. La sua cura per le antichetradizioni si esprimeva attraverso il recupero dellepratiche di pietà (novene, via crucis) in dialetto si-ciliano.”.Il vescovo incontra in cattedrale

le coppie di fidanzati

Domenica 16 febbraio il vescovo monsignor Carmelo Cuttitta in-contrerà in cattedrale, accompagnati dalle loro coppie anima-

trici, i fidanzati che stanno partecipando o che hanno finito da pocodi parte-cipare ai percorsi di preparazione al matrimonio nelle par-rocchie della diocesi. Sarà un momento di riflessione, testimonianza e preghiera signifi-

cativo nel loro cammino di preparazione. L’incontro si concluderà con la benedizione impartita dal vescovo

a tutte le coppie dei fidanzati.

Winter School “Mediterraneo, conoscenza e trasformazione”

“Mediterraneo, conoscenza e tra-sformazione” è il titolo della

Winter School organizzata dalla Strut-tura Didattica Speciale di linguee letterature Straniere di Ragusa del-l’Università di Catania in stretta colla-borazione con la Fondazione SanGiovanni Battista di Ragusa, l’Univer-sità della Calabria ed il CentroMediterraneo “Giorgio La Pira”. L’appuntamento è dal 10 al 15 feb-

braio a Ragusa, per dialogare e con-frontarsi con tanti protagonisti dello

scenario pubblico italiano e internazio-nale. La sei giorni di formazione è rivolta a

Studenti in Lingue, Scienze Politiche,Scienze per la cooperazione e lo svi-luppo, Servizio Sociale, Psicologia, Fi-losofia, Giurisprudenza, a Funzionaristatali e Operatori nei settori della coo-perazione, della mediazione culturale,dell’istruzione.«Oggi – conferma Renato Meli, pre-

sidente della Fondazione San GiovanniBattista – si parla molto e con toni allar-

mistici di un fenomeno ormai struttu-rale quale è quello dell’immigrazioneverso l’Italia. Tuttavia ancora moltopoco si parla dell’emigrazione di tantigiovani, ma anche meno giovani, meri-dionali verso il nord Italia e versol’estero. Un fenomeno ormai costanteche ci sta impoverendo enormemente.Proveremo, attraverso un serio lavorodi ricerca e di analisi dei dati, a com-prendere quali siano le disfunzioni cheportano a questa vera e propria dia-spora giovanile».

I familiari dei degenti dell’ospedaleaccolti in una struttura della Diocesi

La casa sarà gestita dai volontaridell’associazione “Nati per crescere” in

29CHIESA E SOCIETÀ

Ifamiliari dei degenti dell’ospedaleGiovanni Paolo II potranno usufruiredi una struttura di accoglienza gestitadall’associazione “Nati per crescere” inun immobile messo a disposizione dallaDiocesi di Ragusa. La casa di acco-glienza si trova proprio di fronte ilnuovo ospedale e sarà disponibile nonappena saranno completati i lavori ne-cessari. Il primo passo è stato compiuto con

la firma del protocollo di intesa tra laDiocesi di Ragusa e l’associazione“Nati per crescere” per il comodatod’uso gratuito di un immobile chesorge nei pressi dell’ospedale. Il proto-collo è stato sottoscritto dal vescovomonsignor Carmelo Cuttitta e dal pre-sidente dell’associazione MassimoCilia. Erano presenti anche il vicariogenerale don Roberto Asta, i compo-nenti del direttivo di “Nati per cre-

scere”, Fabrizio Lo Presti (segretario)e Salvatore Giuseppe Cataldi (vice pre-sidente), la socia Domitilla Occhipinti.La Diocesi ha ceduto la struttura in

comodato d’uso gratuito, portando acompimento un progetto che era statoavviato dal vescovo emerito monsignorPaolo Urso che acquistò l’immobileproprio con questa finalità. In questomodo la Chiesa di Ragusa si fa vicinaalle famiglie di chi si trova in una situa-zione di fragilità e necessita delle curedei medici e dei sanitari dell’ospedaleGiovanni Paolo II. «La Diocesi – ha detto il vescovo

monsignor Carmelo Cuttitta pocoprima di apporre la sua firma al proto-collo – è contenta di poter affidare que-sto immobile in comodato d’usoall’associazione “Nati per crescere”.Offrirà accoglienza alle persone conmaggiori difficoltà che potranno com-

partecipare alle spese nella misura loropossibile».Il presidente dell’associazione Mas-

simo Cilia ha sottolineato come questosia stato uno degli obiettivi perseguitisin dal momento della fondazione.«Ringraziamo la Diocesi – ha aggiunto– perché darà alle famiglie che assi-stono propri cari ricoverati di alleviarele loro sofferenze. Crediamo sia un tas-sello importante per il nostro ospedalee la nostra sanità».“Nati per crescere” è un’associazione

onlus che è impegnata a sostenere i di-ritti dei neonati pretermine e con pato-logia alla nascita. Opera da otto anniall’unità operativa di Neonatologia diRagusa. Quanto prima potrà aggiun-gere ai servizi offerti anche la casamessa a disposizione dalla Diocesi perun’accoglienza nel segno della gratuitàe della compartecipazione.

Massimo Cilia, presidente di “Nati per crescere”, Fabrizio Lo Presti, segretario, il Vescovo Carmelo Cuttitta, Domitilla Occhipinti, socia, il Vicario Roberto Asta, Salvatore Giuseppe Cataldi, vice presidente

Si è tenuta domenica 26 gennaionella chiesa madre San Giovanni

Battista di Santa Croce Camerina laGiornata di Ringraziamento della Col-diretti. È stato il consigliere ecclesia-stico della Coldiretti, padre ArmandoFidone, a presiedere la celebrazionealla presenza del parroco e delle auto-rità civili, del presidente regionale dellaColdiretti Francesco Ferreri, del diret-tore provinciale di Ragusa e SiracusaCalogero Fasulo e dei presidenti dellesezioni dei vari comuni. Padre Fidoneha voluto evidenziare l’importanzadell’abbraccio divino, ovvero della pre-senza di Dio nella nostra vita, quale lu-ce che guida ad uscire dalle tenebre,rendendoci forti, coraggiosi, guariti,per amare i nostri fratelli e la natura checi dà sostentamento.Momenti particolari sono stati quelli

che hanno visto la Coldiretti impegnatanella proclamazione della Parola e nellevarie fasi della celebrazione, nella recitadella Preghiera del Coltivatore da parte

del presidente della Coldiretti della se-zione di Santa Croce Camerina, Mas-simo Catalano, e nella testimonianzadel presidente regionale che, oltre aringraziare coloro che hanno contri-buito alla realizzazione dell’evento eche sono stati vicini alla Coldiretti, haparlato dell’importanza della formazio-ne cristiana. «Valori in cui continuo acredere – ha affermato Ferreri – sono ilrispetto della natura, il valore del tempoe la presenza del Signore nel fiore chenasce o nel frutto raccolto, perchéanche qui si vive e con passione».Lo stesso Ferreri ha sottolineato il

contributo dato dall’agricoltura alla no-stra società ed il bisogno di dedicarsi aquesta attività economica con entusia-smo e passione. Nel nome del Signore Gesù, che

nutre e sostiene l’uomo nel lavoro e nelcammino verso la santità, padre Ar-mando ha benedetto i mezzi agricolinella piazza antistante la Chiesa.“Dalla terra e dal lavoro: pane per la

vita” è il titolo del Messaggio dei ve-scovi italiani su cui si è riflettuto in que-sta giornata. Terra che è diventatanuova fonte di vita e di speranza pertanti giovani. È in atto, infatti, un cam-biamento epocale: il mestiere dellaterra non è più considerato l’ultimaspiaggia di chi non ha un’istruzione eha paura di aprirsi al mondo, ma è lanuova strada del futuro per le giovanigenerazioni istruite, a partire da quelledelle regioni del Sud. Secondo un’ana-lisi della Coldiretti su dati Infocamere,nei primi sei mesi del 2019 sono oltre55mila le imprese agricole condotte daunder 35, con l’Italia che si pone al ver-tice dell’Unione europea per giovaniagricoltori. Una presenza che ha di fattorivoluzionato il lavoro in campagna,dove il 70% delle imprese giovani ope-ra in attività che vanno dalla trasforma-zione dei prodotti alla vendita diretta,dalle fattorie didattiche agli agriasili, maanche attività ricreative, agricoltura so-ciale per l’inserimento di disabili, dete-nuti e tossicodipendenti, sistemazionedi parchi, giardini, strade, agribenes-sere e cura del paesaggio o la produ-zione di energie rinnovabili.

Luisella Lorefice

Dalla terra e dal lavoro pane per la vitae speranza per tanti giovani

La Coldiretti a Santa Croce Camerinaper la Giornata del Ringraziamento

in 30 CHIESA E SOCIETÀ

ABerlino si è svolto un vertice sulla delicata situazione li-bica.

La situazione di partenza era veramente problematica, al-cuni giorni prima una mediazione di Russia e Turchia (i dueprincipali sponsor dei contendenti) aveva avuto un riscontrosolo parziale con un “cessate il fuoco” precario e effettuatosolo di fatto in quanto il generale Haftar era partito via rifiu-tandosi di firmare l’accordo.Dalla data di rovesciamento del regime guidato da Ghed-

dafi (20 ottobre 2011) che dal 1969 guidava il Paese, il caosha regnato in quel Paese in un intricato intreccio tra governiriconosciuti internazionalmente e oppositori legittimati dallalotta al fondamentalismo islamico che oggettivamente ren-dono difficile individuare i torti e le ragioni, anche perchéalla fine in una guerra civile tutti hanno torto, gli unici adavere sicuramente ragione sono le vittime civili che subi-scono sulla loro pelle le violenze generate da una guerrasenza quartiere di tutti contro tutti.È opportuno ricordare che nell’abbattimento del regime

di Gheddafi con la conseguente destabilizzazione di tutto ilPaese hanno giocato un ruolo determinante diversi Paesi oc-cidentali.In quella occasione la Francia sembrò giocare un ruolo as-

solutamente sganciato dal resto dei Paesi Europei che si sonomossi in modo più prudente e sotto l’egida dell’Onu.Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una guerra che dura da

9 anni!Finalmente sia i Paesi coinvolti come supporter delle forze

in campo, sia quelli più defilati hanno concordato sulla op-portunità di trovare una soluzione politica per sbrogliare unamatassa che dal punto di vista militare si è rivelata pratica-mente inestricabile.E, udite udite, per una volta abbiamo assistito a una reale

unitarietà di intenti tra tutti i Paesi dell’Unione Europea!La Merkel è una leader navigata e non concede molto al-

l’enfasi e prima del vertice ha dichiarato serenamente che sa-rebbe stato già un successo consolidare la cessazione delleostilità, ma il documento predisposto conta 55 articoli chesotto l’egida dell’Onu disegnano un percorso per uscire po-liticamente dalla crisi.La novità importante, anche se potrebbe sembrare un az-

zardo alla luce dell’antagonismo esasperato tra le parti in

conflitto, è che il controllo del rispetto degli accordi non pre-vede l’ingerenza di Paesi terzi, ma sarà garantita da una com-missione di 10 persone indicate (5 ciascuno) dalle parti inconflitto «soltanto un processo politico guidato dai libici, edei libici può porre fine al conflitto e portare a una pace du-ratura».Ovviamente è ancora troppo presto per dire se il percorso

di risoluzione del conflitto verrà condotto fino alla fine, maintanto l’esperienza del vertice di Berlino dovrebbe fare ri-flettere i Paesi Europei: mentre l’inizio del conflitto ha vistoil dispiegarsi degli interessi particolari dei singoli stati (Fran-cia in testa), parlare tutti in coro senza distinguo ha dato au-torevolezza all’Europa e portato a risultati che neancheTurchia e Russia avevano ottenuto. Chi ha orecchie intenda!

Vito Piruzza

in 31ATTUALITÀ

Mettendo da parte gli interessi particolarisi recupera una grande autorevolezza

Dal vertice di Berlino sulla crisi libicauna lezione di speranza all’Europa

In un’ottica di attenzione ad una di-dattica aperta ed integrata la biblio-teca scolastica si configura come luogodi incontro tra i saperi. Il progetto Bi-blioteca del “Fabio Besta” di Ragusa,curato per il corrente anno scolasticodelle professoresse Rosanna Massari eDonatella Ventura, si è posto anchequesto obiettivo. Sono stati infatti rea-lizzati incontri con gli autori per classiparallele. L’insegnamento dell’educa-zione civica prevede l’educazione allalegalità e al contrasto delle mafie conl’obiettivo di creare un circolo virtuosofra i giovani cittadini e le istituzioni perincentivare l’assunzione di responsabi-lità del singolo verso la collettività. A tal proposito si è pensato di pro-

porre, per le quinte classi dell’istituto,un incontro con un autore davvero spe-ciale: Giuseppe Antoci, ex presidentedel Parco dei Nebrodi e attuale presi-dente emerito della fondazione Capon-netto. Antoci, autore del libro “Lamafia dei pascoli”, scritto con il giorna-lista Nuccio Anselmo, è stato e conti-

nua ad essere uno dei più importantiprotagonisti della lotta contro la mafiadegli ultimi anni. Dopo i saluti e la breve presentazione

della dirigente Antonella Rosa, Antocisi è rivolto con molto calore ai giovanistudenti, ripercorrendo le tappe fonda-mentali della sua esperienza. Nel 2013viene nominato presidente del Parcodei Nebrodi e questa designazione rap-presenta per lui una sfida, un’occasionestraordinaria per fare risorgere una re-altà che trova in stato di abbandono.Nel rimettere i conti a posto, emergonoben presto gli affari di note famiglie diCosa nostra sul territorio. Nel 2014 haintrodotto nel Parco un protocollo perl’assegnazione degli affitti dei terreni,che prevede la presentazione del certi-ficato antimafia anche per quelli di va-lore inferiore a 150.000 euro,bloccando l’uso delle autocertificazioniantimafia (ovviamente false). Il protocollo, che interrompe un

enorme flusso di denaro e porta a de-cine di interdittive antimafia, nasce

anche dalla decisione di mettere le manidove nessuno le aveva volute mettere.Intanto, mentre lavorava al protocollo,sono cominciate ad arrivare lettere mi-natorie e dal 2014 Antoci è stato messosotto tutela. «Essere sotto scorta – ha affermato

Antoci – significa non essere uomini li-beri. Non si vive, non si possono fare lecose che si amano, ci si sente come unpacco esplosivo che gira. Io amo andarea cavallo e non sapete quanto paghereioggi per fare una passeggiata sul dorsodi un cavallo». Questo protocollo di le-galità, il cosiddetto “Protocollo An-toci”, nel settembre 2016, è stato estesoa tutta la Sicilia. Successivamente, il 18maggio 2016, Antoci è stato vittima diun attentato mafioso, dal quale è uscitoilleso grazie all’auto blindata e all’inter-vento della scorta, che lui ha definitoormai come parte integrante della suafamiglia. Il “protocollo” è stato rece-pito dal nuovo codice antimafia il 27settembre 2017 e adesso è applicato intutta Italia.

Dai piccoli soprusi alle grandi mafieLa legalità nasce dal nostro impegno

in 32 ATTUALITÀ

All’istituto “Fabio Besta” un incontro con

«Purtroppo gli affari – ha sottolineatoAntoci – coinvolgono anche l’Europa,già da tempo.Non dobbiamo dimenti-care che Jan Kuciak e la sua fidanzatasono stati giustiziati in Slovacchia perquesta vicenda. Kuciak stava lavorandosui fondi europei, a quelli in mano alla‘ndrangheta. Ho saputo in seguito chesopra la tastiera aveva un bigliettino consu scritto “Protocollo Antoci”. Se nonsi crea quindi una normativa antimafiaseria, europea, avanzata, dignitosa, co-piandola anche dalla nostra, continue-ranno ad andare in altri Paesi e acomprare terreni là, mentre noi quaglielo abbiamo vietato». Rivolgendosiai ragazzi, Antoci ha detto: «Sapevo cheavrei rischiato la vita facendo determi-nate scelte. Quando la situazione è di-venuta critica, ho chiesto alla miafamiglia se avessi dovuto smettere e lamia figlia maggiore, dopo una lunganotte di confronto con le sorelle, mi hadetto: “Continua papà. Noi siamo conte!”. Il noi delle mie figlie è il noi di tuttivoi che nel vostro piccolo potete faremolto, non per il vostro futuro, ma peril vostro presente!». Lo ha svelato con la voce rotta dalla

commozione Antoci che, agli studentidel Besta, ha parlato del valore della le-

galità e del senso della scelta: «Voi sieteil quadro di quella legalità che rischiaogni giorno di essere sfregiata. Bisognadare speranza a voi giovani, devono es-sere eliminati i soprusi. Qualcuno puòdire “Ma si rischia la vita”, e allora?Dobbiamo decidere da che parte stare.Vale la pena mettere a rischio la propriavita per difendere la legalità. L’antima-fia si pratica, non si predica. Alle per-sone, ai vostri genitori, agli adultidovete chiedere cosa hanno fatto con-tro la mafia. Quello che manca nellalotta contro la mafia è il salto culturale.Ognuno di noi deve trasmette culturaantimafia, ognuno nella propria realtà.Nella vita non si educa con quello chesi fa ma con quello che si è! Oggi, quistiamo facendo questo. Il migliore stru-mento che possediamo per portareavanti questa lotta è la Costituzione. Lalotta alla mafia si fa – ha concluso An-toci – applicando i principi della Costi-tuzione». Una platea assorta e silenziosa, talora

commossa ha seguito l’appassionato in-tervento di Giuseppe Antoci, per ilquale non sono mancati calorosi ap-plausi di vicinanza e di consenso. Signi-ficativo l’intervento del presidente delpresidio di Libera di Ragusa, SimoneLo Presti, che ha sostenuto con le sueparole quanto sottolineato da Antoci.Veramente ammirevole, inoltre, l’at-

tenzione prestata dagli studenti chenon hanno esitato a porre domandechiarificatrici. Senza escludere il valoree la significatività di tutti gli interventi,mi sembra esemplare riportare la do-manda di uno degli studenti intervenutiche ha chiesto: «Per il futuro, nella lottacontro la mafia, saranno necessarie per-sone competenti o coraggiose?». An-toci ha risposto facendo riferimento adun intervento del Presidente della Re-pubblica Sergio Mattarella in occasionedell’assegnazione del premio Ambro-soli. Il Presidente ha sottolineato l’im-portanza della scelta e Antoci haaggiunto:«Siamo 6 milioni di sicilianicontro 7000 schifosi mafiosi. La nostraribellione potrebbe annientarli, invecespesso chi lotta viene delegittimato. Èaccaduto a me come è accaduto ad altriprima di me. Io mi sento onorato e nellostesso tempo inadeguato nel ricoprirela carica di Presidente onorario dellafondazione Caponnetto, ma come èstato detto “La Fondazione deve por-tare la fiaccola caduta dalle mani di Gio-vanni e di Paolo”». Parole veramentesignificative e toccanti che ci fanno ul-teriormente riflettere, che ci porteremonel cuore come segno indelebile di que-sto incontro con il proposito di non ar-renderci nella nostra lotta quotidianacontro ogni tipo di sopruso e illegalità.

Rosanna Massari

in 33ATTUALITÀ

la testimonianza di Giuseppe Antoci

«Funziona meglio l’infiltrazionesilente. Nessuno si accorge e

nessuno disturba».È il commento apparso nei giorni

scorsi alla notizia che la mafia puntasempre più sugli enti del governo terri-toriale per progettare e portare a com-pimento i suoi disegni. Nel quadrodelle nuove strategie che hanno cam-biato il metodo e il volto della crimina-lità organizzata prende sempre piùspazio l’occupazione di Consigli comu-nali e di altri organismi pubblici a par-tire da quelli sanitari. Non è un dato nuovo ma preoccupa

l’allargarsi di questo fenomeno malavi-toso in diverse parti del Paese.Nonostante i successi, anche recenti,

nell’opera di controllo e di repressione,nonostante le manifestazioni di folle edi singole persone senza paura, il viruscontagia in misura crescente piccoli emedi enti locali.In Italia sono 45 i Comuni commissa-

riati nel 2019 per mafia: come contra-stare questa avanzata del crimine?Filippo Dispenza, commissario del

Comune di Vittoria in provincia di Ra-gusa, risponde: «Gli interventi radicaliper spezzare i legami con i clan non ba-stano. Serve il risveglio delle coscienzee questo è il nostro principale obiettivo.Vogliamo coinvolgere i giovani, valo-rizzare il patrimonio economico e sto-rico. Non è casuale il fiorire di iniziativeartistiche, sociali e culturali».È un segnale di ribellione alla crimi-

nalità e, nello stesso tempo, è un se-gnale della volontà di costruire legalitàe fiducia là dove la mafia ha distruttooppure ha cercato di distruggere il rap-porto tra cittadini e istituzioni. Un’ope-razione che riesce quando la cultura ela politica si sono svuotate, quando sisono arrese e consegnate ai sondaggi.Là dove c’è il vuoto di pensiero e diazione per il bene comune la crimina-lità, conferma la storia, si insinua abil-

mente, senza far rumore e gioca la suapartita.Occorre dunque riscoprire e far ri-

scoprire il senso dell’abitare le istitu-zioni in un tempo in cui l’indifferenzadà il via libera ai colletti bianchi dell’il-legalità.Il “risveglio della coscienza”, auspi-

cato dal commissario di Vittoria, non émolto diffuso nel tempo della crisi dellapolitica. Una crisi non è una sconfitta eneppure un fallimento: è piuttosto iltempo favorevole, seppure faticoso, perun cambiamento di rotta. Intrapren-dere un viaggio così impegnativo non èfacile, occorre attrezzarsi cultural-mente, pensare e lavorare in rete, guar-dare negli occhi le persone e lasciarsiguardare negli occhi dalle persone cheabitano la città. Qualcosa si sta muo-vendo ma quei 45 Comuni commissa-riati per “infiltrazione silente” diconoche si deve osare di più.

Paolo Bustaffa

La mafia e l’infiltrazione silentetra i colletti bianchi dell’illegalità

in 34 ATTUALITÀ

Riscoprire il senso dell’abitare le istituzioniÈ questo il tempo del cambio di rotta