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La figura femminile come ponte per l'integrazione
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Progetto co-‐finanziato dal Ministero Pari Opportunità “La figura femminile come ponte per l’integrazione”
"Il quadro europeo nell'ambito dell’inclusione e integrazione degli immigrati.
Uno sguardo al femminile"
a cura di Elena Garavaglia -‐ Associazione ESTER
Le politiche europee in materia d’immigrazione e d’integrazione dei cittadini dei paesi terzi si inquadrano in un contesto demografico europeo esposto a notevoli cambiamenti. L’integrazione degli immigrati regolari rappresenta un enorme potenziale e una sfida per una Europa più multiculturale, coesa e competitiva. Di seguito si presentano i principali cambiamenti demografici che attraversano i Paesi dell’Unione, gli obiettivi che l’Unione europea si è proposta di raggiungere attraverso la Strategia 2020 insieme alle sfide che dovrà affrontare nel prossimo futuro, alcuni cenni sulla politica europea in materia di pari opportunità ed antidiscriminazione, per arrivare alla politica di immigrazione e integrazione dei cittadini e delle cittadine dei paesi terzi. Si propongono, inoltre, alcuni esempi d’integrazione al femminile nel nostro Paese. In questo modo ci sembra di poter inquadrare appieno il fenomeno della immigrazione al femminile in ambito europeo e in particolare in Italia, per aprire un dibattito e favorire una riflessione locale al fine di individuare le migliori pratiche di integrazione e cogliere la figura femminile come risorsa e ponte per l’integrazione. Il dibattito aperto con alcuni studenti delle scuole secondarie della Regione Lombardia, la riflessione sulla percezione e sugli stereotipi legati all’immigrazione e al genere e i disegni che sono stati raccolti in una piccola pubblicazione evidenziano come le nuove generazioni percepiscano gli immigrati e le donne nel contesto del mercato del lavoro e tra i sessi. Emerge un mondo in cui le giovani donne ricoprono ruoli e sono rappresentate in ambienti lavorativi solitamente tipici del sesso maschile, alcuni uomini immigrati ricoprono ruoli e posizioni di comando rispetto agli uomini e alle donne italiani. Da questo piccolo osservatorio sembra si possa dire che i giovani italiani, cresciuti in un contesto educativo multiculturale rispetto alla generazione più adulta e anziana, abbiano superato gli stereotipi legati al genere e alle differenze culturali e vivano in un ambiente più stimolante, ricco e coeso. Per i giovani sembra naturale vivere in un mondo “transculturale”, ricco di diverse culture, esperienze, religioni che travalicano gli stereotipi legati al genere. Da ultimo, si propongono delle raccomandazioni utili a stimolare una riflessione comune per i decisori politici a livello regionale e locale, per le organizzazioni della società civile, le cooperative di cittadini italiani, le cooperative, le associazioni e le comunità d’immigrati, gli istituti di ricerca, al fine di promuovere possibili protocolli d’intesa tra i diversi portatori di interesse per la valorizzazione della risorsa femminile, come ponte per l’integrazione, a livello locale.
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Il quadro demografico europeo Il Trend statistico ci parla di una popolazione europea più numerosa, più vecchia, più multiculturale.1 Alcuni dati Il numero di abitanti della Unione europea è di 502 milioni. La percentuale degli immigrati in Unione europea è il 4% (20 milioni), un quinto degli immigrati nel mondo2. Il tasso di crescita della popolazione europea avviene grazie agli immigrati (91 milioni in più). L’età media della popolazione europea dal 1990 al 2010 è cresciuta da 35 a 41 anni. Il tasso di disoccupazione della popolazione europea è di circa l’8%. La popolazione immigrata è più giovane, attestandosi su una media di 27,5 anni rispetto alla media dei cittadini europei di 30,2. Le proiezioni al 2060 indicano che tra i giovani adulti immigrati, il numero delle prime e seconde e generazioni è destinato a crescere notevolmente. L’incremento della popolazione non-‐europea nei paesi dell’Unione è di uno o due milioni all’anno nell’ultimo periodo (con il picco nel 2007). Molti dei paesi europei, infatti, continuano ad attrarre la popolazione immigrata dagli altri paesi non-‐europei anche dopo la crisi globale finanziaria che ha prodotto recessione nei paesi occidentali. I Paesi dell’Unione europea attraggono gli immigrati con bassa scolarità e negli ultimi anni l’immigrazione ha interessato i Paesi che si affacciano sulla sponda del Mediterraneo. Gli immigrati con alta scolarità, sia maschi che femmine, tendono ad essere impiegati in lavori meno qualificati dei cittadini locali. In ambito europeo, gli immigrati di seconda generazione si avvicinano al tasso d’impiego dei figli degli autoctoni, ma il loro tasso d’impiego rimane basso e ciò vale per gli uomini come per le donne. Evidenziamo comunque che, in Italia, le giovani donne immigrate di seconda generazione registrano un tasso di occupazione superiore a quello delle donne con genitori italiani.
1 Eurostat, Demography Report 2010, -‐ Older, more numerous and diverse Europeans 2 Development Research Centre on Migration Globalisation & Poverty “Making Migration Work for Development”
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Nel 2060 si prevede che la percentuale dei residenti in Unione europea di età compresa tra i 15 e 74 anni nati all’estero o con un genitore nato all’estero raddoppierà rispetto al 2008 (12,7 %) e raggiungerà addirittura il 25%. Se si considera il processo d’integrazione dei cittadini dei pesi terzi, nei quattro paesi europei (Belgio, Olanda, Francia, Austria, Regno Unito) con le più ampie coorti degli immigranti di seconda generazione e dati disponibili, si nota che avviene nel corso di due o tre generazioni, quando i figli degli immigrati acquisiscono un livello di scolarizzazione e un ingresso nel mercato del lavoro simile a quello della popolazione locale. I dati indicano anche che, in generale, nei ventisette Paesi dell’Unione europea, i nipoti degli immigrati non si sentono più parte di un gruppo minoritario. Insieme all’aumento degli immigrati cittadini di paesi terzi, si registra, inoltre, un incremento del numero di europei che si spostano nei paesi dell’Unione: sono tendenzialmente più giovani e più scolarizzati della media nel paese ospitante; solitamente si spostano nei Paesi europei per poco tempo. In particolare, le persone che si spostano in altri paesi, sia migranti tradizionali sia nuovi, tendono a essere più abili nelle lingue straniere e si muovono per studiare e lavorare. In Italia In Italia si registra il più alto tasso di popolazione anziana non autosufficiente insieme alla Germania, con un tasso di fertilità basso (1.6) e una aspettativa di vita alta. La previsione è che il tasso della popolazione dipendente cresca di due terzi negli anni (quindi due persone al di sopra dei 65 anni per ogni tre persone che sono in età lavorativa). La popolazione italiana è destinata a rimanere invariata numericamente, solo se continua il tasso di immigrazione. Il tasso di occupati anziani è relativamente basso. La proporzione di lavoratori anziani (55-‐64 anni) come forza lavoro è destinata ad arrivare al 25% nel 2030. E’ necessario aumentare la produttività, promuovendo il successo scolastico, evitando l’abbandono scolastico e investendo nella ricerca e nello sviluppo. Nel 2009, si registra un tasso di impiego delle donne tra i 25 e 54 anni pari al 59,2% rispetto alla stessa coorte di età degli uomini dell’ 84,6% e un tasso d’impiego delle donne immigrate tra i 25 e i 54 anni di età del 53,6% . La promozione della forza lavoro femminile e la riduzione della povertà femminile impiegata nei lavori domestici e con prole, insieme all’allungamento dell’età pensionabile sono alcune delle opportunità e delle sfide che il nostro paese deve affrontare nel futuro.
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La strategia europea 20203
La strategia europea 2020 punta a rilanciare l'economia dell'Unione europea nel prossimo decennio. In un mondo che cambia l'Unione europea si propone di diventare un'economia intelligente, sostenibile e solidale. Queste tre priorità, che si rafforzano a vicenda, intendono aiutare l'Unione europea e gli Stati membri a conseguire elevati livelli di occupazione, di produttività e di coesione sociale. In particolare, l'Unione si è posta cinque ambiziosi obiettivi – in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia – da raggiungere entro il 2020. Ogni Stato membro ha adottato per ciascuno di questi settori i propri obiettivi nazionali. Gli interventi concreti a livello europeo e nazionale vanno a consolidare la strategia. Nello specifico, crescita intelligente significa: -‐ migliorare le prestazioni nell’istruzione e quindi incoraggiare le persone ad apprendere, studiare e aggiornare le loro competenze. -‐ migliorare le prestazione nel campo della ricerca/innovazione attraverso la creazione di nuovi prodotti/servizi in grado di stimolare la crescita e l'occupazione per affrontare le sfide della società. -‐ migliorare le prestazioni nel campo della società digitale attraverso l’uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Gli obiettivi dell'Unione europea per la crescita intelligente comprendono: - livelli d’investimento (pubblico più privato) pari al 3% del PIL dell'Unione europea, nonché condizioni migliori per la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione. -‐ tasso di occupazione per donne e uomini di età compresa tra 20 e 64 anni al 75% entro il 2020, da conseguire offrendo maggiori opportunità lavorative, in particolare a donne, giovani, lavoratori più anziani e meno qualificate e immigrati regolari. -‐ migliori risultati scolastici, in particolare, riducendo gli abbandoni scolastici al di sotto del 10%; garantendo che almeno il 40% dei 30-‐34enni abbia un'istruzione universitaria (o equivalente). Crescita sostenibile significa un'economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva. L’Unione europea intende: -‐ costruire un'economia a basse emissioni di CO2 più competitiva, capace di sfruttare le risorse in modo efficiente e sostenibile -‐ tutelare l'ambiente, ridurre le emissioni e prevenire la perdita della biodiversità. -‐ servirsi del ruolo guida dell'Europa per sviluppare nuove tecnologie e metodi di produzione verdi
3 COM(2010) 2020 Comunicazione della Commissione europea 2020 “Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”
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-‐ introdurre reti elettriche intelligenti ed efficienti -‐ sfruttare le reti su scala europea per conferire alle nostre imprese -‐ specie le piccole aziende industriali -‐ un ulteriore vantaggio competitivo. -‐ migliorare l'ambiente in cui operano le imprese, in particolare le piccole e medie -‐ aiutare i consumatori a fare delle scelte informate. Gli obiettivi dell'Unione Europea per la crescita sostenibile comprendono: -‐ la riduzione delle emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020. L'UE è pronta ad andare oltre e prevedere una riduzione del 30% se gli altri paesi sviluppati si assumono un impegno analogo e i paesi in via di sviluppo contribuiscono secondo le proprie capacità nell'ambito di un accordo globale. -‐ l’aumento della proporzione delle energie rinnovabili nel consumo finale al 20% -‐ l’aumento del 20% dell'efficienza energetica. Nello specifico, crescita solidale significa: -‐ aumentare il tasso di occupazione dell'Unione europea con un numero maggiore di lavori più qualificati, specie per le donne, i giovani e i lavoratori più anziani. -‐ aiutare le persone di ogni età a prevedere e gestire il cambiamento investendo in competenze e formazione. -‐ modernizzare i mercati del lavoro e i sistemi previdenziali. -‐ garantire che i benefici della crescita raggiungano tutte le aree dell'Unione europea. L’Unione europea, attraverso la crescita solidale, ha l’obiettivo di ridurre almeno del 25% la popolazione povera -‐ 20 milioni di persone a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione in meno.
La Strategia europea per la parità tra donne e uomini4
Richiamando la Carta delle donne5, che ribadisce che la parità tra donne e uomini è un diritto fondamentale, stabilito dall'articolo 2 del trattato sull'Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea6, che si tratta di uno dei valori comuni sui quali si fonda l'Unione europea. Che la coesione economica e sociale, la crescita sostenibile e la competitività, le sfide demografiche, riuscire in tutto questo dipende da una vera uguaglianza tra donne e uomini.
4 COM(2010) 491 definitivo Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni “Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-‐2015”
5 COM(2010)78 definitivo Comunicazione della Commissione “Maggiore impegno verso la parità tra donne e uomini Carta per le donne” 6 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea Capo III artt. 20-‐26
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La strategia europea per la parità 2010 2015 rileva che le disparità tra le donne e gli uomini violano i diritti fondamentali, impongono un pesante tributo all'economia e hanno come conseguenza una sottoutilizzazione dei talenti. Promuovendo la parità di genere si possono ottenere vantaggi economici e commerciali. Per raggiungere gli obiettivi di Europa 2020, infatti, è necessario utilizzare il potenziale e i talenti delle donne in modo più ampio ed efficiente. Le azioni che la strategia promuove interessano cinque settori e attività trasversali e cioè: pari indipendenza economica, pari retribuzione per lo stesso lavoro e lavoro di pari valore, parità nel processo decisionale, dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne, parità tra donne e uomini nelle azioni esterne. L’attività trasversale interessa il monitoraggio, l'applicazione, la valutazione e l'aggiornamento regolari del quadro giuridico7 in materia di parità8 e antidiscriminazione9. La pari indipendenza economica è, nello specifico, una condizione essenziale perché sia le donne che gli uomini siano in grado di controllare la propria vita e di compiere scelte reali. Per raggiungere l'obiettivo di Europa 2020 di un tasso di occupazione del 75% per donne e uomini è necessario concentrarsi sulla partecipazione al mercato del lavoro delle donne più anziane, dei genitori soli, delle donne disabili, delle donne migranti e delle donne delle minoranze etniche. Per quanto concerne le donne migranti, si sottolinea che il loro tasso di occupazione rimane basso, specialmente nei primi tre anni in cui si trovano nel paese di accoglienza. Per questo motivo è essenziale fornire per tempo un sostegno alle donne migranti e monitorare gli effetti di tale assistenza. È importante renderle più consapevoli dei loro diritti e facilitare la loro integrazione e l'accesso all'istruzione e all'assistenza sanitaria. Le azioni chiave per il raggiungimento dell’indipendenza economica intendono: -‐ sostenere la promozione della parità di genere per quanto riguarda la definizione e
l'attuazione delle misure nazionali pertinenti, -‐ promuovere l'imprenditorialità e il lavoro autonomo delle donne,
7 COM(2008) 420 definitivo Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Non discriminazione e pari opportunità: Un impegno rinnovato” 8 La sfida demografica e la solidarietà tra generazioni P7_TA(2010)0400 Risoluzione del Parlamento europeo dell'11 novembre 2010 sulla sfida demografica e la solidarietà tra le generazioni (2010/2027(INI)) Paragrafo Politica della migrazione 9 Art 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea “E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.”
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-‐ valutare le disparità ancora esistenti per quanto riguarda il diritto al congedo per motivi di famiglia,
-‐ riferire sui risultati ottenuti dagli Stati membri per quanto riguarda le strutture di assistenza per l'infanzia
-‐ promuovere la parità di genere in tutte le iniziative concernenti l'immigrazione e l'integrazione dei migranti.
Le azioni chiave che riguardano la pari retribuzione per lo stesso lavoro e lavoro di pari valore intendono superare gli ostacoli alla radice della disparità tra i sessi legate al divario tra il livello d'istruzione delle donne e la loro carriera professionale, alla segregazione nel mercato del lavoro dato che le donne e gli uomini tendono ancora a lavorare in settori e/o impieghi diversi e alla parte sproporzionata di responsabilità familiari da sostenere e la conseguente difficoltà di conciliare il lavoro con la vita privata. Le azioni che intendono promuovere la parità nel processo decisionale si concentrano su iniziative mirate al miglioramento della parità di genere nei processi decisionali, al monitoraggio dell'obiettivo del 25% di donne in posizioni direttive di alto livello nella ricerca; al monitoraggio dei progressi verso l'obiettivo del 40% di membri di uno stesso sesso nei comitati e gruppi di esperti istituiti dalla Commissione, al sostegno degli sforzi per promuovere una maggiore partecipazione delle donne alle elezioni al Parlamento europeo, anche come candidate. Richiamando il Programma di Stoccolma10, nel settore della dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne, la Commissione si concentra sulla protezione delle vittime dei reati e tra cui le donne vittime di violenze e mutilazioni genitali, e annuncia una strategia globale dell'Unione europea per le violenze nei confronti delle donne. Inoltre, la Carta per le donne prevede misure, tra cui leggi penali, nei limiti delle sue competenze, per sradicare la mutilazione genitale femminile in tutta l'Unione europea. Per ciò che riguarda la parità delle donne e degli uomini nelle azioni esterne, l’Unione europea intende cooperare attivamente con le organizzazioni internazionali che operano per la parita tra donne e uomini al fine di produrre sinergie e promuovere l'emancipazione femminile, nonché con la nuova agenzia delle Nazioni Unite per l'uguaglianza di genere e sostiene la partecipazione alla società civile, la creazione di infrastrutture e le campagne a sostegno della parità tra donne e uomini e dell'emancipazione femminile. L'Unione europea si impegna anche a proteggere le donne nelle situazioni di conflitto e post-‐ conflitto e ad assicurare la loro piena partecipazione alla prevenzione dei conflitti, alla costruzione della pace e ai processi di ricostruzione, ed attua con determinazione l'approccio globale dell'Unione europea alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1325 e 1820 sulle donne, la pace e la sicurezza. 10 (2010/C 115/01) Programma di Stoccolma “Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini”
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L'Unione europea inserisce la parita di genere anche nella sua politica commerciale come parte di un quadro più ampio di sviluppo sostenibile e nei suoi accordi commerciali preferenziali incoraggia l'effettiva applicazione delle principali norme di lavoro dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro e della sua agenda per il lavoro dignitoso, anche in relazione alla non discriminazione.
Una politica comune d’immigrazione Considerando le sfide demografiche che l’Europa deve affrontare in un mondo sempre più interconnesso e globale, soprattutto a fronte della crisi che sta coinvolgendo e attraversando in modo significativo i Paesi occidentali, le politiche di pari opportunità tra gli uomini e le donne e le pari opportunità per tutti, la politica antidiscriminatoria per cui L'Unione europea opera nell'interesse dei suoi cittadini per impedire che vengano discriminati in base al sesso, alla razza o all'origine etnica, alla religione o alle convinzioni personali, alla disabilità, all'età o all'orientamento sessuale, l’integrazione degli immigrati, cittadini di paesi terzi, presuppone una politica comune sull’immigrazione11 come risposta strategica per lo sviluppo di un mondo più solidale, sostenibile e coeso. L’immigrazione, pertanto, costituisce quindi una sfida e nello stesso tempo un’opportunità. La politica comune di immigrazione deve promuovere opportunità economiche e misure di integrazione basate sulla solidarietà e sulla condivisione degli oneri. Essa deve essere vista come un continuum che va dall'ingresso nel territorio fino all'insediamento e all'inclusione economica e sociale. Come più volte osservato, le politiche antidiscriminatorie e per la parita dei diritti sono importanti per eliminare alcuni degli ostacoli cui devono far fronte gli immigrati e i loro discendenti, pertanto a tal riguardo, è opportuno promuovere il dialogo interculturale e interconfessionale. L’integrazione dei cittadini dei paesi terzi come motore dello sviluppo economico e di coesione
sociale Al fine di promuovere le politiche sopra descritte, il Consiglio dell’Unione europea ha istituito il Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini dei paesi terzi nel più ampio quadro del Programma “Solidarietà e gestione dei flussi migratori”. 12
11 COM(2007) 780 definitivo Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Verso una politica comune di immigrazione” 12 (2007/435/CE) Decisione del Consiglio che istituisce il Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di paesi terzi per il periodo 2007-‐2013 nell'ambito del programma generale “Solidarietà e gestione dei flussi migratori”
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Obiettivo generale del Fondo e sostenere gli sforzi compiuti dagli Stati membri per permettere a cittadini dei paesi terzi, appena arrivati, provenienti da contesti economici, sociali, culturali, religiosi, linguistici ed etnici diversi di soddisfare le condizioni di soggiorno e di integrarsi più facilmente nelle società europee. Esso contribuisce allo sviluppo e all'attuazione di strategie nazionali d'integrazione dei cittadini dei paesi terzi in tutti gli aspetti della società, tenendo conto in particolare del principio secondo cui l'integrazione è un processo dinamico e bilaterale di adeguamento reciproco da parte di tutti gli immigrati e di tutti i residenti dei Paesi membri. Tali politiche della Unione europea sono riconfermate e declinate nella successiva Agenda per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi13, nella quale si evidenzia che l’integrazione è un processo che parte dal basso e che le politiche d’integrazione sono favorite da un approccio “bottom-‐up”, connesse al livello locale, e che favoriscono un atteggiamento positivo verso la diversità, costruito sul rispetto reciproco delle diverse culture e tradizioni e che le politiche devono minimizzare l’isolamento dei cittadini dei paesi terzi permettendo anche l’accesso alla formazione e all’inserimento nel mercato del lavoro. Così come l’Europa si è costruita sul rispetto reciproco tra culture e tradizioni diverse, essa deve promuovere un atteggiamento positivo verso i cittadini e le cittadine dei paesi terzi rispettandone i diritti fondamentali e la parità di trattamento. Dato che i dati, a oggi, indicano i livelli occupazionali della forza lavoro immigrata, soprattutto femminile, bassi, la crescente disoccupazione e gli alti tassi di forza lavoro immigrata sovra qualificata, il rischio crescente di esclusione sociale, le disparità in termini di rendimento scolastico, l'apprensione pubblica per la scarsa integrazione, le azioni che l’Unione europea deve ancora intraprendere, riguardano i seguenti settori chiave: l’integrazione tramite la partecipazione, più azione a livello locale e il coinvolgimento dei paesi d’origine. La partecipazione si declina nel mercato del lavoro e nel campo dell’istruzione. Nel mercato del lavoro essa si ottiene attraverso l’apprendimento della lingua, l’istituzione di servizi che permettano il riconoscimento di qualifiche e competenze acquisite nel paese d'origine in modo da offrire agli immigrati maggiori opportunita di trovare un impiego per cui sono adeguatamente qualificati (questo è vero soprattutto per le donne), il rafforzamento dell’imprenditorialità immigrata, la capacità creativa e innovativa. La partecipazione nel campo dell’istruzione deve prevedere l’insegnamento della lingua sin dalla fase pre-‐scolare, evitare la dispersione e l’abbandono scolastico, favorire l’affiancamento dei genitori alla scolarizzazione dei figli immigrati.
13 COM(2011) 455 definitivo Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni “Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi”
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Inoltre migliori condizioni di vita sono garantite dalla rimozione di eventuali ostacoli e dalla fruizione dei servizi sociali e sanitari e dal contrasto alla povertà e all’esclusione dei più vulnerabili. La partecipazione al processo democratico è, insieme all’inserimento nel mercato del lavoro, condizione d’integrazione, pertanto vanno rimossi gli ostacoli legislativi e amministrativi che impediscono la partecipazione degli immigrati alla vita politica. Si deve favorire il coinvolgimento dei rappresentanti degli immigrati, comprese le donne, nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche e dei programmi d’integrazione. I paesi dell’Unione europea dovrebbero predisporre misure per prevenire la discriminazione istituzionale e promuovere la parità di trattamento. A livello locale, un'integrazione effettiva presuppone misure di sostegno a favore delle infrastrutture sociali e della rivitalizzazione urbana. E’ importante un approccio integrato contro la segregazione. In riferimento ai contatti con i paesi di origine, le rimesse e il trasferimento di competenze, l’innovazione e le conoscenze possono incentivare investimenti sostenibili nei paesi d'origine favorendone lo sviluppo. Promuovere, da ultimo, una strategia piu dinamica a favore dell'imprenditoria transnazionale può agevolare gli imprenditori attivi tanto negli Stati membri dell’Unione europea che nei paesi partner. Questo tipo di imprese può creare posti di lavoro nei paesi di origine e essere un vantaggio sia per l'integrazione degli immigrati che per lo sviluppo degli scambi tra paesi. Lo studio pilota del 2011 condotto dalla Commissione europea14individua gli indicatori per l’integrazione dei cittadini dei paesi terzi nelle quattro aree politiche, già evidenziate dalla Agenda sopra citata, e cioè: occupazione, educazione, inclusione sociale, cittadinanza attiva, sottolineando l’importanza del senso di appartenenza nella societa ospitante. Nello specifico, gli indicatori utilizzati per indagare le caratteristiche dell’area occupazione sono: -‐ tasso di occupazione -‐ tasso di disoccupazione -‐ tasso di attività. Per quanto riguarda l’area educazione, gli indicatori sono: -‐ il livello di scolarizzazione conseguito -‐ la quota dei bassi risultati tra i quindicenni in letteratura, matematica e scienze -‐ la quota dei laureati tra i soggetti tra i trenta e i trentaquattro anni -‐ la quota degli abbandoni di scuola e formazione nella fascia d’età 18-‐24 Per l’area inclusione sociale sono: -‐ il reddito netto medio della popolazione immigrata in proporzione al reddito netto medio del totale della popolazione
14 European Commission EUROSTAT 2011, “Zaragoza pilot study Indicators of immigrant integration”
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-‐ la quota di popolazione a rischio povertà, cioè con reddito netto disponibile di meno del 60% della media nazionale. -‐ la quota di popolazione che percepisce il proprio stato di salute come buono o scarso. -‐ il rapporto tra proprietari e non proprietari dell’abitazione tra immigrati e popolazione locale Per l’area cittadinanza attiva sono: -‐ la quota di immigrati che hanno acquisito la cittadinanza -‐ la quota di immigrati che posseggono un permesso di soggiorno permanente o di lungo termine -‐ la quota di immigrati tra i rappresentanti politici eletti Infine, si richiamano le Linee guida redatte dalla Commissione europea per i decisori politici e gli operatori15 che si occupano dell’integrazione degli immigrati. Nel testo si sottolinea che l’integrazione è un processo dinamico, di mutuo adattamento tra immigrati e residenti, e che l’interazione frequente tra immigrati e cittadini è un fenomeno fondamentale per l’integrazione, che il dialogo interculturale, la condivisione di forum, l’educazione alla cultura degli immigrati e le condizioni di vita stimolanti rafforzano l’interazione tra immigrati e residenti.
L’integrazione di alcune donne immigrate: Case History16
Una chef “fusion” nel porto di Genova. La svolta è targata 2007. Carola Osores, 34 anni, con in tasca una laurea in Economia conseguita all’Università di Lima, peruviana di nascita ma genovese d’adozione, decide di spogliarsi dalle vesti della manager per indossare quelle dell’imprenditrice e aprire, insieme alla mamma Ani Vargas, chef d’eccezione con esperienze maturate in Italia e all’estero (perlopiù in Perù, Messico, Brasile e Francia), una gastronomia “fusion”, capace di mescolare tradizioni culinarie tra le più diverse: “Segreti e Sapori” di Genova, a pochi passi dal porto, oggi meta prediletta di buongustai italiani e stranieri. Carola Osores ha lanciato anche il servizio di chef a domicilio. L’offerta comprende anche uno o più camerieri, a seconda delle esigenze. “Ne è valsa la pena: il prossimo passo sarà aprire un ristorante. Non etnico, semmai fusion”. E all’insegna del “fusion” sono anche le attivita extra-‐lavorative di Osores. Una su tutte: l’associazione non-‐profit Encuentro che, oltre a promuovere la cultura e l’arte latino-‐ americana, aiuta le famiglie di migranti residenti a Genova a integrarsi al meglio nel tessuto sociale. “Tra i nostri progetti c’è quello di aiutare i bambini a inserirsi al meglio nelle scuole” conclude Carola Osores, che può contare, tra l’’altro, sull’aiuto di alcune psicologhe peruviane con titoli di studio conseguiti in Italia.
15 Linee guida 2010 della Commissione europea per i decisori politici e gli operatori (Progetto pilota Zaragoza) 16 Manuale 2012 “Comunicare l’immigrazione. Guida pratica per gli operatori dell’informazione” realizzato dalla societa cooperativa Lai‒momo e dal Centro Studi e Ricerche nellʼ’ambito del progetto “Co‒in -‐ Comunicare lʼ’integrazione”, promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
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Dalla lotta politica alla candidatura al Nobel. Márcia Theóphilo è nata a Fortaleza, in Brasile. Dal 1968 al 1971 ha lavorato come giornalista nel campo della cultura a San Paolo. Nel 1971 ha pubblicato in Brasile un libro di racconti. Nel 1972 ha lasciato il Brasile, sottraendosi con lʼ’esilio alla repressione di una dittatura militare ed è arrivata a Roma, dove ha conseguito il dottorato in Antropologia. È entrata in contatto con vari artisti ed esponenti di un accademismo impegnato, come il poeta spagnolo in esilio Rafael Alberti, con cui ha stabilito un importante rapporto di lavoro e amicizia. Quando in Brasile è iniziato il processo di democratizzazione, nel 1979, Márcia Theóphilo è tornata a San Paolo dove ha partecipato al Movimento per la Democrazia e ha collaborato come corrispondente con varie riviste italiane. È tornata a Roma nel 1981 dove ha continuato a lavorare nello scambio culturale tra Italia e Brasile, organizzando incontri di poesia. In Italia ha pubblicato diversi libri di poesia, le sono stati assegnati premi e i suoi scritti sono entrati nelle più importanti antologie di poesia. Vive tra l’Italia e il Brasile ed è nella lista di candidatura al premio Nobel. “Nel mio lavoro ho cercato di fare una fusione tra memoria emotiva e memoria culturale, tra poesia e documentazione, tra mondo arcaico e mondo contemporaneo, creando un tuttʼ’uno in cui tutte queste materie si compenetrano. Penso però, che senza la poesia non si può arrivare allʼ’anima della foresta. Lʼ’antropologia è una disciplina che ha finito con il privilegiare gli oggetti e la cultura materiale. Io ho privilegiato il soggetto più leggero, lʼ’anima, la poesia.” La determinazione è l’anima del commercio Non c’è tempo per l’autocommiserazione: bisogna rimboccarsi le maniche. Deve avere pensato così Caterine Okpokpo, 35 anni, originaria di Lagos, in Nigeria, alla notizia della morte in un incidente stradale di suo marito, nigeriano pure lui, titolare del Global African Market di Poggibonsi, in provincia di Siena. Era il 2001 e lei, madre di tre figli, i gemelli Kevin e Kennedy e la piccola Stefy, all’epoca, rispettivamente, di sei e tre anni, non ha avuto dubbi: avrebbe mantenuto l’impresa di famiglia che tanti sacrifici era costata a tutti. E ci è riuscita, con l’aiuto della comunità locale e con quello dei servizi sociali che le hanno dato una mano nel seguire i figli. “Col tempo l’attività è cresciuta: oggi ho una superficie di vendita di trecento metri quadrati e prodotti provenienti da tutto il mondo”. “È qui la mia vita ed è qui che voglio crescere i miei figli. Sono arrivata nel 1989, ad appena 16 anni: sarei dovuta rimanere pochi mesi, ospite di uno zio a Roma, volevo prendere contatti per esportare prodotti made in Italy in Nigeria, e invece subito o quasi ho trovato l’amore e ho deciso di fermarmi”. Okpokpo non ha certo avuto una vita facile, ma è serena: “Sono molto religiosa” conclude. “Frequento la chiesa pentecostale evangelica di Siena: è la mia fede ad aiutarmi ad andare avanti”. Le avventure di un medico nero, e donna. Cecile Kashetu Kyenge è nata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Arrivata in Italia nel 1983, ha superato gli esami per l’accesso a medicina, ha imparato l’italiano e iniziato a lavorare per mantenersi. “Era il 1983, gli stranieri erano pochissimi. Io mi ero procurata una piccola radio e ascoltavo tutte le canzoni, in modo da potere avere argomenti di conversazione. Nel giro di un anno e mezzo conoscevo tutti i
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cantanti italiani”. “Ci sono stati tanti imprevisti nella mia storia e una buona dose di sfortuna, ma ho incontrato anche tante persone pronte ad aiutarmi.” La gravissima situazione politica della RDC e l’amore l’hanno spinta a rimanere in Italia e iniziare a lavorare come oculista a Reggio Emilia. Cecile oggi si considera all’incrocio tra due mondi: un privilegio che spesso però ha avuto costi elevati. Per gli italiani non è facile rapportarsi con un medico nero, per di più donna. A Cecile è successo molte volte di essere scambiata per l’infermiera, mentre l’infermiere veniva chiamato pomposamente dottore. Nel 2002 fonda l’associazione DAWA, per realizzare iniziative interculturali in Italia e interventi sanitari e sociali in Africa. Attualmente è consigliera di circoscrizione nel suo Comune e portavoce della rete Primo Marzo ed è impegnata anche a Modena in progetti di cooperazione internazionale. “Non avrei accettato di occuparmi solo di immigrati, come spesso viene chiesto agli stranieri”. Nell’oriente dell’occidente: una scrittrice indiana a Trieste Lily Amber Laila Wadia è nata a Bombay, in India. Si è trasferita in Italia, a Trieste, per motivi di studio e ha fatto di questo luogo la sua nuova città. “Pensiamo di scegliere un luogo dove andare a vivere e fare il nostro percorso di vita ma poi forse è il destino che sceglie per noi. Io sono capitata qui per caso, per studio, e ho deciso di rimanere perché mi piaceva moltissimo questa città: molto italiana per certi versi, molto cosmopolita per altri.” Nel 2004 ha vinto il concorso Eks&Tra, primo concorso letterario riservato agli scrittori migranti, fondato nel 1995, che ha ricevuto la medaglia del Presidente della Repubblica. Questo premio letterario è un momento centrale nel suo percorso di scrittrice. La vittoria le dà, infatti, il coraggio di utilizzare per la prima volta l’italiano come lingua per la scrittura. Da questo connubio risulteranno numerosi libri che affrontano le tematiche delle migrazioni con puntualità e ironia. Laila Wadia oggi è scrittrice e traduttrice, collabora con l’Università di Trieste come esperta linguistica, scrive per il settimanale Internazionale e, sempre, affronta il tema della migrazione come una condizione esistenziale. “La migrazione è un diritto di ogni essere umano, io non credo nelle nazionalità, io non credo nei paesi, io credo nelle persone.” Judith e la biodanza Judith Raymond Mushi è nata a Moshi, una piccola città del nord della Tanzania. Un incontro fortuito con un italiano in viaggio su un autobus, la cortese attenzione di Mushi e la sua testardaggine la conducono in Italia. La prima visita è a questo fortunato avventuriero che l’aveva aiutata e che si rivela essere un appassionato di biodanza. Mushi si appassiona a questa disciplina e decide di approfondire gli studi e di praticarla. Si trasferisce in Sudafrica, dove studia danza e frequenta un corso da assistente sociale all’università di Johannesburg. Nello stesso periodo continua a visitare l’Italia, impara l’italiano e s’innamora. Nel 2004, si trasferisce definitivamente in Italia per stare con suo marito a Milano. Mushi costituisce un’associazione per diffondere la cultura tanzaniana e insegnare la lingua swahili. “In Italia sembra facile integrarsi, perché la gente sembra molto gentile e pronta ad aiutarti. Ma questo succede finché sei un visitatore. Poi le cose cambiano. Dell’Africa qui non si sa quasi nulla. La gente crede che Africa sia solo fame, guerra, tamburi”. Il suo sogno
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rimane quello di tornare in Tanzania con suo marito per aprire un centro di assistenza per bambini, “una vera casa famiglia”. Conciliazione dei tempi di vita e di lavoro... al femminile “Sono arrivata a Roma nel 1980, a 20 anni, con il contratto di lavoro come colf già firmato per una famiglia che abitava ai Parioli”, racconta un’anonima cittadina di origine capoverdiana. “Guadagnavo 200.000 lire al mese e ne inviavo la metà alla mia famiglia. A Roma ho conosciuto un sardo e mi sono sposata. Nell’83 è nato mio figlio e dopo undici mesi una bambina. Purtroppo nel 1984 mi sono separata ritrovandomi immigrata con due figli piccoli e senza familiari. Nel ‘90 mi sono inserita nella CISL e quindi nell’ANOLF – Associazione nazionale oltre le frontiere. Nel lavoro avevo pianificato tutti gli orari: accompagnavo i bimbi all’asilo, lavoravo, li riprendevo e a casa lavoravo come sarta. Durante le vacanze scolastiche li portavo con me al lavoro... leggevano o facevano i compiti. Mio marito non mi ha mai aiutato, neanche economicamente. Ho inserito i miei figli negli scout, in parrocchia e in palestra per facilitare la loro integrazione. Sono stata poi inserita in una cooperativa, come aiuto cuoca in una scuola per non vedenti. Ora svolgo assistenza agli anziani e ai disabili. Ho la cittadinanza italiana, ma per fortuna non ho perso quella del mio paese. Sono fiera di essere una capoverdiana italiana... So cucinare meglio i cibi italiani che quelli di Capo Verde! Una cosa che mi dispiace dopo tanti anni in Italia è che, non essendo riconosciuto il titolo di studio del paese di origine, non si riesce a cambiar lavoro... Si lavora nei servizi domestici e basta. Ho anche conseguito la licenza media in Italia, così posso dire di avere un piccolo diploma da utilizzare”. Mona Mohanna, stilista libanese nella capitale della moda Mohanna in arabo significa “desiderio”. E lei, Mona Mohanna, originaria del Libano, naturalizzata italiana, la sua principale aspirazione l’ha realizzata: diventare stilista. “Prima tappa: Reggio Emilia, dove ho seguito due corsi da progettista dell’abbigliamento e da tecnico delle confezioni. Per farmi le ossa, poi, ho lavorato per alcuni anni come operaia in diversi laboratori tessili della zona”. Nel 1997 si è iscritta a un master in fashion design a Milano, grazie all’aiuto di una zia in Libano che le ha prestato 25 milioni di lire per l’iscrizione. “Mi ci sono voluti tre anni per restituirli” dice la stilista, che nell’ottobre 2006, alla Camera di Commercio di Milano, è stata insignita del Premio europeo per l’imprenditoria straniera. Finiti gli studi, però, l’accesso alle case di moda era sbarrato. “Il fatto che porti l’hijab, il velo islamico, credo non mi abbia aiutata durante le selezioni”. Non le è restato che mettersi in proprio. La prima collezione è stata presentata nel 1999 alla Fiera dell’artigianato di Firenze “I capi esposti, realizzati in lino e ricamati a mano da donne palestinesi ospitate nei campi profughi libanesi, andarono a ruba” racconta l’imprenditrice, sposata con un iracheno naturalizzato italiano e mamma di Badr e Mariam. Gli abiti e gli accessori griffati Mona Mohanna sono tuttora realizzati da una ventina di artigiane, sparse tra il Libano e la Siria e sono venduti in Italia (e non solo) attraverso una rete di 120 negozi.
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La forza delle donne. Le donne immigrate hanno fatto nascere in tutta Italia associazioni volte all’integrazione e all’aiuto reciproco. Ecco la storia di una delle più antiche e conosciute: l’Associazione AlmaTerra, che è stata avviata l’8 marzo del 1990 dall’incontro di alcune attiviste della Casa delle donne di Torino con un gruppo di donne migranti. Nel 1993 è nato il Centro interculturale “Alma Mater”, gestito da un’associazione interculturale costituita ad hoc, AlmaTerra, che si configura come un luogo allo stesso tempo pratico e simbolico di intermediazione tra le donne e la città, tra le donne tra di loro e come laboratorio interculturale. Nel 1995 ha aperto anche l’hammam, luogo d’eccellenza per la cura del corpo e delle relazioni femminili. L ‘idea forte è stata quella di ribaltare lo stereotipo della migrante come bisognosa e mostrare, grazie all’incontro multiculturale, le risorse, le capacità e i talenti individuali delle donne migranti, sovente invisibili e sommerse, valorizzandone l’apporto in progetti di partecipazione e di cooperazione internazionale, in particolare in progetti di autodeterminazione. È con questa idea che, per esempio, si sono realizzati corsi di formazione per mediatrici culturali, figure di “interfaccia” in grado di favorire la comunicazione tra le migranti e i servizi. Esse sono diventate la seconda anima del progetto Alma Mater, in una prospettiva di interazione accompagnata, anzi gestita, dalle donne stesse attraverso una loro auto-‐professionalizzazione. Un‘avvocata in strada contro la tratta. Esohe Aghatise è nata a Benin City, in Nigeria. Nel 1983 si è laureata in Giurisprudenza a Ife e successivamente si è specializzata in Diritto internazionale dell’economia e del commercio. Ha iniziato quindi a praticare l ‘attività di avvocato e a insegnare presso la facoltà di Giurisprudenza a Benin City. A 29 anni ha vinto una borsa di studio presso l’università di Studi europei di Torino. Dopo la specializzazione ha continuato con un dottorato di ricerca. Per mantenersi ha lavorato come interprete in tribunale e come mediatrice in un progetto sulla salute delle donne prostituite. È lì che è entrata in contatto con la realtà della tratta e è nata l’idea di fondare un’associazione per la tutela delle persone con forte svantaggio sociale ed economico, immigrate e non immigrate. E così nel 1998 è nata l’associazione Iroko. “All’inizio lavoravo da casa, con il mio PC e nient’altro. Seguivo alcune ragazze che non avevano assistenza sanitaria... Nel 2002 sono entrata in contatto con la Coalition Against Women Traffic, un’organizzazione che combatte la tratta delle donne a livello internazionale... Oggi con me lavorano cinque persone: due italiane, due nigeriane, una ghanese, con due educatrici esterne che fanno assistenza ai bambini delle ragazze che hanno lasciato la strada e chiesto protezione. Lo scorso anno abbiamo avuto circa duecento richieste. Una goccia nel mare, ma il mare è fatto di gocce”. Genitori in classe: la relazione in gioco. Nelle scuole italiane è da più di vent’anni che si sperimentano, con successo, attività d’integrazione. Genitori migranti e italiani, assieme agli insegnanti, hanno dimostrato spesso la volontà di costruire percorsi di conoscenza reciproca e di attivare la relazione tra persone portatrici di lingue, storie e culture diverse.
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Tra la moltitudine di buone pratiche ne raccontiamo una realizzata recentemente in otto scuole materne della provincia di Bologna. Le insegnanti, dopo una fase di formazione, hanno proposto ai genitori laboratori finalizzati alla realizzazione di un prodotto creativo da lasciare alla scuola. Gli incontri, guidati da animatrici interculturali della cooperativa Lai-‐momo, sono stati molto partecipati e hanno consentito a tutti di raccontare la propria storia di immigrazione. Più di novanta genitori hanno scelto di mettersi in gioco, ascoltandosi reciprocamente e facendo domande rispetto alle pratiche culturali diverse, con curiosità e apertura. Molte madri, anche native, hanno raccontato di trovarsi in condizione d’isolamento, con poche relazioni nei territori perché giunte da altre zone d’Italia; altre hanno dato la loro disponibilità per un aiuto concreto, ad esempio per ritirare a turno i figli anche di altre madri. O semplicemente si sono accordate per ritrovarsi, dopo il laboratorio, per una merenda con i bambini o per letture animate, dandosi appuntamento a casa l’una dell’altra. Gli incontri sono stati facilitati da un grande lavoro di coinvolgimento che le insegnanti hanno realizzato curando la relazione con ciascun genitore. Le partecipanti al Concorso letterario nazionale Lingua Madre. Il concorso Lingua Madre, realizzato a Torino dal 2005, è il primo a essere espressamente dedicato alle donne di origine straniera residenti in Italia che, utilizzando la nuova lingua (l’italiano), vogliono approfondire il rapporto fra identità, radici e mondo “altro”. Il concorso ha ottenuto subito un grande riscontro: donne di numerose nazionalità hanno inviato storie. E in questo caso il “successo” è rappresentato dal fatto di avere conquistato uno spazio di espressione e di confronto, senza rimanere nel silenzio delle mura domestiche. Gli incipit dei migliori racconti sono pubblicati nel sito del concorso. Dalla presentazione del volume che raccoglie i racconti dell’edizione 2011: “Ho camminato in un solco tracciato per me da generazioni di migranti, ho viaggiato leggera, e strada facendo ho abbandonato pezzi di bagaglio. Ho fatto spazio per questo paese: il mio”. Migrazioni, spostamenti, esperienze di confine. A raccontarle, tante voci come quella di Jacqueline/Nambena con due infanzie e due anime, prima in Madagascar e poi in Italia. O come Elisa, “frutto” di un amore italo-‐vietnamita, che viaggia alla scoperta della sua “mezza luna”, metafora della terra materna, fino a Generda che con la freschezza dei suoi undici anni mette a confronto due mamme, un’italiana e un’albanese, così diverse e così uguali. Le donne sfidano i luoghi comuni narrando il cambiamento di cui sono protagoniste. Allo scontro contrappongono la relazione, alla strenua difesa dell’identità il riconoscimento reciproco nell’alterità. Donne che “si sono fatte sorprendere dal miraggio di una vita migliore. E anziché rimproverarlo di averle ingannate, quel miraggio, l’hanno ringraziato di averle fatte camminare ancora”. Da maestra in Ucraina a imprenditrice del Nord-‐Est. Nataliya Garashchuk faceva la maestra elementare per poche hrivne al mese, l’equivalente di 80-‐100 euro, quando, nel 1995, decise di lasciare l’Ucraina per Italia, con suo figlio Nicolaj, di appena quattro anni.
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“Dopo qualche mese, in cui ho lavorato come cameriera in un paio di locali sulla Riviera adriatica, mi sono arresa e sono tornata indietro. Tre anni più tardi avrei ritentato, stavolta per rimanere per sempre”. Destinazione: Conegliano, in provincia di Treviso, dove “per sei anni ho lavorato in un paio di stabilimenti della zona specializzati in componentistica per gli elettrodomestici”. In Italia ha trovato anche l’amore: Andrea, oggi suo marito. “È stato lui a spingermi a fare qualcosa di diverso”. Da lì l’idea di rilevare una lavanderia, racconta l’imprenditrice che, a tre anni dal grande passo, ha assunto anche un’aiutante: una ragazza albanese. “In più servivano risorse per rinnovare l’intero locale, impianti compresi, e acquistare i macchinari giusti”. Ci voleva un mutuo, insomma, e a fare da garante in banca ci ha pensato il marito Andrea. Ne è valsa la pena: “In un mese tratto in media 700 capi, ma ci sono stati anche picchi di 1.500, se non di più”. E conclude: “Abbiamo avuto un figlio, Lorenzo, di 4 anni. Quest’anno, poi, ho preso la cittadinanza italiana. La mia vita è in Italia ora e a tornare in Ucraina non ci penso proprio”. L ‘eccellenza nello studio Bahja Afouzar è nata in Marocco a Kenitra una città vicina a Rabat. Si è trasferita in Italia, a Imola, con la famiglia all’età di 10 anni. Ha ottenuto ottimi risultati a scuola e ha deciso di iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Afouzar si è laureata a dicembre 2011 con 110 e lode, ottenendo una menzione speciale per la sua tesi. Infatti, il rettore dell’Alma Mater Studiorum ha conferito al suo elaborato sui diritti umani nella Sharia l’importante e raro riconoscimento della “dignità di stampa”. Attualmente, Afouzar ha iniziato il praticantato presso un importante studio legale di Bologna e presto si iscriverà alla Scuola di Specializzazione per le professioni legali “E. Redenti”. Inoltre, è stata impegnata in attività di mediazione linguistico -‐ giuridica e fa parte del comitato giovanile dell’associazione Partecipazione Spiritualità Musulmana – PSM, che ha appena concluso il sesto meeting nazionale.
La figura femminile come ponte per l’integrazione. Istituzioni pubbliche locali, organizzazioni della società civile, associazioni femminili, comunità,
associazioni e cooperative d’immigrati, cittadini e cittadine a confronto per promuovere un nuovo welfare
Considerando quanto suggerito dalla Unione europea, a livello locale, si possono individuare alcuni campi d’intervento e percorsi che i diversi soggetti interessati dalle e alle politiche d’immigrazione e d’integrazione dei cittadini e delle cittadine dei paesi terzi possono percorrere per valorizzare al meglio la risorsa femminile come ponte per l’integrazione. L’approccio proposto individua, quindi, nello sviluppo delle politiche di pari opportunità e anti-‐discriminazione il canale privilegiato d’intervento. Gli indicatori di integrazione definiti a livello europeo (cfr. Studio pilota di Zaragoza) sono il riferimento per misurare gli obiettivi raggiunti a livello locale.
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Si incoraggia la promozione di Tavoli di confronto e Protocolli di intesa tra gli Enti pubblici regionali e locali -‐ Assessorati Famiglia, conciliazione, integrazione e solidarietà sociale, Industria, artigianato, edilizia e cooperazione, Occupazione e politiche del lavoro e Politiche sociali e Cultura della salute – e le cooperative e le associazioni di immigrati, i centri per l’impiego, le categorie datoriali, gli istituti di ricerca e formazione, le associazioni femminili al fine di: Valorizzazione del capitale umano, efficienza del mercato del lavoro: -‐ rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne, e alle donne immigrate in particolar modo, di accedere al mercato del lavoro, attraverso la promozione di misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, -‐ promuovere l’imprenditoria femminile e valorizzare le competenze delle donne immigrate, -‐ favorire e promuovere l’accesso al credito delle donne immigrate e degli immigrati in generale, -‐ favorire l’incontro della domanda e dell’offerta nel mercato del lavoro, anche attraverso una lettura corretta del bilancio delle competenze delle donne immigrate, per permettere di uscire dalla segregazione orizzontale –accesso a settori del mercato del lavoro solitamente a esclusivo appannaggio degli uomini, e verticale –possibilità di fare carriera nell’ambiente di lavoro in cui si è inserite, Educazione -‐ favorire l’apprendimento della lingua da subito e in età prescolare dei minori immigrati -‐ promuovere nei plessi scolastici l'intercultura-‐ intesa come cittadinanza attiva -‐ rivolta a tutti gli alunni e non solo a quelli immigrati, attenta a riconoscere e valorizzare tutte le diversità, individuando misure su più livelli che coinvolgano le istituzioni, le famiglie, il terzo settore mettendo al centro il ruolo fondamentale giocato dalle donne e dalle mamme. -‐ evitare la dispersione scolastica dei giovani e delle giovani italiani e dei cittadini dei paesi terzi Inclusione sociale -‐ favorire l’accesso ai beni e ai servizi socio sanitari da parte delle donne immigrate, -‐ favorire l’abitare sociale delle donne immigrate e soprattutto delle donne madri e single -‐ promuovere misure di sostegno a favore delle infrastrutture sociali e della rivitalizzazione urbana. E’ importante un approccio integrato contro la segregazione.
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Cittadinanza attiva -‐ Favorire l’ottenimento della cittadinanza attraverso una corretta informazione e sensibilizzazione sui propri diritti e doveri e delle procedure formali da adempiere Sensibilizzazione e rapporti con i paesi di origine -‐ veicolare attraverso i diversi media e internet 2.0 le esperienze positive d’integrazione delle donne immigrate rimuovendo gli stereotipi negativi legati all’immigrazione -‐ promuovere incontri tra le organizzazioni della società civile e le comunità d’immigrati/e per favorire la conoscenza delle diverse culture, religioni e potenzialità, anche al fine di progettare insieme interventi locali e promuovere l’integrazione -‐ promuovere legami tra le realtà imprenditoriali italiane e d’ immigrati e gli imprenditori delle comunità dei paesi di origine al fine di promuovere e sviluppare il “business sociale17” -‐ favorire l’incontro delle donne, testimoni chiave, che si sono distinte nel loro paese di origine, a vario titolo, nella promozione delle politiche di pari opportunità – ad es.: rinnovamento del codice familiare in Marocco -‐ e femminili, e delle donne immigrate in Italia e sensibilizzare le comunità di migranti su quanto accade in positivo nel loro paese di origine. Partecipazione democratica -‐ Rimuovere gli ostacoli legislativi e amministrativi che impediscono la partecipazione degli immigrati alla vita politica locale (cfr. proposta dell’Assessorato Politiche Sociali e Cultura della Salute del Comune di Milano)18 e nazionale.
17 Secondo l’accezione di Muhammad Yunus, il business sociale può essere definito come una società -‐ creata appositamente per risolvere un problema sociale -‐ che non distribuisce dividendi e non deve incorrere in perdite. In un business sociale, gli investitori/proprietari recuperano il capitale investito senza interessi ma non possono ottenere nessun dividendo. Lo scopo dell’investitore è pertanto quello di raggiungere uno o più obiettivi sociali attraverso l’operatività dell’azienda. 18 Quotidiano La Repubblica del 21 Aprile 2012 “Il Comune di Milano: diritto di voto agli stranieri”