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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 6 GENNAIO 2013 NUMERO 409 CULT La copertina BACCALARIO E BARTEZZAGHI Dai libri ai film per l’industria culturale siamo tutti sedicenni Il libro LEONETTA BENTIVOGLIO Com’è triste l’America dei giapponesi dopo il 1941 All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Gillo Dorfles “Chi snobba design e moda è radical-kitsch” Il teatro RODOLFO DI GIAMMARCO Storie di risvegli vanno in scena tre uomini usciti dal coma L’arte MELANIA MAZZUCCO Il museo del mondo: “Punti e colori i sogni di Klee” Cinema truccato come Hollywood trasforma le star Spettacoli CLAUDIA MORGOGLIONE, ANTHONY HOPKINS e DANIEL DAY-LEWIS The London Tube centocinquant’anni di vita sotterranea L’attualità ENRICO FRANCESCHINI e JOHN LLOYD MOSCA L e Pussy Riot lo hanno scoperto da poco pagandolo sul- la loro pelle. Ma i primi a saperlo furono i pastorelli di Fatima già nel 1917, proprio alla vigilia della Rivoluzio- ne d’Ottobre: «La Russia si convertirà e si consacrerà al cuore immacolato di Maria». Quelle parole attribuite alla Madonna, sarebbero diventate il sogno proibito di milioni di cristiani negli an- ni dell’ateismo di Stato in Unione Sovietica, della persecuzione dei fedeli, quando le chiese venivano trasformate in caserme e le catte- drali venivano fatte saltare in aria con la dinamite. Adesso la profe- zia sembra essersi avverata. Mosca pare tornare all’antico sogno za- rista della “Terza Roma” che si erge a baluardo della tradizione cri- stiana nel mondo. Tanto che perfino tra molti credenti, serpeggia il sospetto che si sia passati da un eccesso all’altro. Il nuovo Zar, Vladi- mir Putin, ostenta il crocifisso al collo. Racconta di aver dovuto na- scondere di essere stato battezzato pur di far carriera nel Kgb. (segue nelle pagine successive) NICOLA LOMBARDOZZI L a parola “sinfonia” non indica solo un genere musica- le, ma anche la convivenza reciprocamente vantaggio- sa dello Stato e della religione cristiana, più esattamen- te l’alleanza di Impero e Chiesa. Il concetto di “sinfonia” in questa accezione del termine venne formulato nel Sesto secolo dall’imperatore Giustiniano. Ovviamente una perfetta armonia non è mai esistita nella realtà, ma le monarchie che si dichiaravano cristiane erano alleate della Chiesa. Il cristianesimo è una religione molto elevata, e Gesù Cristo diceva che solo pochi potevano essere suoi veri discepoli. In particolare definiva i Suoi seguaci «piccolo gregge» (Lu 12: 32) e affermava: «Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano» (Mt 7: 14). E tuttavia il periodo cristiano nella vita dei paesi europei è stato piuttosto lungo. Ciò si spiega col fatto che nei secoli antichi esiste- vano monarchi devoti, che sapevano circondarsi di persone adatte. (segue nelle pagine successive) MIKHAIL ARDOV DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI FOTO REUTERS Il Cremlino e la Chiesa Il Presidente e il Patriarca La Fede e il Potere Ecco come è rinata la Santa Madre Russia Compagno Il Dio Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 6GENNAIO 2013

NUMERO 409

CULT

La copertina

BACCALARIO E BARTEZZAGHI

Dai libri ai filmper l’industriaculturale siamotutti sedicenni

Il libro

LEONETTA BENTIVOGLIO

Com’è tristel’Americadei giapponesidopo il 1941

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Gillo Dorfles“Chi snobbadesign e modaè radical-kitsch”

Il teatro

RODOLFO DI GIAMMARCO

Storie di risveglivanno in scenatre uominiusciti dal coma

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il museodel mondo:“Punti e colorii sogni di Klee”

Cinema truccatocome Hollywoodtrasforma le star

Spettacoli

CLAUDIA MORGOGLIONE,ANTHONY HOPKINSe DANIEL DAY-LEWIS

The London Tubecentocinquant’annidi vita sotterranea

L’attualità

ENRICO FRANCESCHINIe JOHN LLOYD

MOSCA

Le Pussy Riot lo hanno scoperto da poco pagandolo sul-la loro pelle. Ma i primi a saperlo furono i pastorelli diFatima già nel 1917, proprio alla vigilia della Rivoluzio-ne d’Ottobre: «La Russia si convertirà e si consacrerà al

cuore immacolato di Maria». Quelle parole attribuite alla Madonna,sarebbero diventate il sogno proibito di milioni di cristiani negli an-ni dell’ateismo di Stato in Unione Sovietica, della persecuzione deifedeli, quando le chiese venivano trasformate in caserme e le catte-drali venivano fatte saltare in aria con la dinamite. Adesso la profe-zia sembra essersi avverata. Mosca pare tornare all’antico sogno za-rista della “Terza Roma” che si erge a baluardo della tradizione cri-stiana nel mondo. Tanto che perfino tra molti credenti, serpeggia ilsospetto che si sia passati da un eccesso all’altro. Il nuovo Zar, Vladi-mir Putin, ostenta il crocifisso al collo. Racconta di aver dovuto na-scondere di essere stato battezzato pur di far carriera nel Kgb.

(segue nelle pagine successive)

NICOLA LOMBARDOZZI

La parola “sinfonia” non indica solo un genere musica-le, ma anche la convivenza reciprocamente vantaggio-sa dello Stato e della religione cristiana, più esattamen-te l’alleanza di Impero e Chiesa. Il concetto di “sinfonia”

in questa accezione del termine venne formulato nel Sesto secolodall’imperatore Giustiniano. Ovviamente una perfetta armonianon è mai esistita nella realtà, ma le monarchie che si dichiaravanocristiane erano alleate della Chiesa. Il cristianesimo è una religionemolto elevata, e Gesù Cristo diceva che solo pochi potevano esseresuoi veri discepoli. In particolare definiva i Suoi seguaci «piccologregge» (Lu 12: 32) e affermava: «Stretta invece è la porta e angusta lavia che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano» (Mt 7:14). E tuttavia il periodo cristiano nella vita dei paesi europei è statopiuttosto lungo. Ciò si spiega col fatto che nei secoli antichi esiste-vano monarchi devoti, che sapevano circondarsi di persone adatte.

(segue nelle pagine successive)

MIKHAIL ARDOV

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UT

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Il Cremlino e la Chiesa

Il Presidente e il Patriarca

La Fede e il Potere

Ecco come è rinatala Santa Madre Russia

CompagnoIl

Dio

Repubblica Nazionale

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Vent’anni dopo la fine dell’Urss, le parrocchie sono triplicate, i battezzati sono l’ottanta per cento e i seminari sono pieni.La Chiesa ortodossa celebra domani

il suo miglior Natale ringraziando la deriva mistica di Putin e la nuova alleanza di potere

(segue dalla copertina)

Si fa sorprendere dalle troupe televisive di Stato mentre prega in solitudi-ne nelle chiese di campagna. Fa sapere di essere stato salvato da un mi-racolo durante un incendio di tanti anni fa. Si confessa appena può daun giovane sacerdote che ha eletto a consigliere spirituale e che vive inun monastero sopravvissuto proprio accanto alla Casa delle Fucilazio-ni, quella in cui negli anni del Terrore staliniano si emettevano e si ese-

guivano in poche ore sentenze di morte in serie per dissidenti, religiosi e “nemicidel popolo” di ogni specie. Per la sua terza incoronazione a Presidente di Russia, nelmaggio scorso, il Patriarca Kirill in persona è andato al Cremlino per celebrargli adomicilio un Moleben, il rito beneagurante di “impetrazione delle grazie”, conclu-so con parole entusiastiche per «la sua capacità di sentire la voce della gente». E vi-sti insieme, Patriarca e Presidente, sembravano il simbolo della nuova Russia cheunisce la dottrina della “democrazia autoritaria”, tanto cara a Putin, al potere sem-pre più solido e ramificato della Chiesa ortodossa nei meccanismi dello Stato.

Il fenomeno è evidente e di dimensioni sorprendenti. A vent’anni dalla fine del-l’Urss, l’80 per cento della popolazione è ufficialmente battezzata. Le parrocchieortodosse sono passate da poco più di diecimila a trentunmila. I monasteri, che era-no ridotti a poche derelitte decine, sono 805 e in ottime condizioni economiche. In

più sorgono dappertutto accademie teologiche, seminari e scuole religiose per as-secondare un “boom” delle vocazioni che non ha altri riscontri da nessuna partedel Pianeta. All’inizio del 2012 una esposizione di reliquie nella Cattedrale di CristoSalvatore, ricostruita ex novo dopo la demolizione voluta da Stalin, ha registrato co-de interminabili di fedeli nella neve, intasamento di stazioni e metropolitane perl’afflusso di pellegrini da tutta la Russia, e scene di entusiasmo che hanno lasciatodi stucco cronisti e forze di sicurezza. A sorprendere più di tutto è la partecipazio-ne massiccia di giovanissimi che sono gli stessi che in maggioranza frequentano lechiese dalle cupole d’oro che rinascono a ritmo serrato in ogni parte del Paese.

Segnali che avrebbero dovuto mettere in guardia le Pussy Riot sul nuovo climache si respira nella Russia di Putin. E che ha tante spiegazioni. La prima è il grandebisogno di spiritualità dopo anni di impero ateo che aveva proibito ogni culto. Lealtre stanno nella coincidenza di interessi tra Stato e Chiesa. Putin sa bene che laspiritualità e la fede sono un collante indispensabile per tenere unito un Paese ster-minato e pieno di problemi. Il Patriarca cavalca il legittimo desiderio di rivalsa delclero dopo decenni di vessazioni, espropri, deportazioni e cerca di consolidaresempre più l’autorità della Chiesa ortodossa anche sconfinando nelle competen-ze dello Stato. I risultati si vedono: la Russia ha riscoperto dopo oltre un secolo l’o-

ra di religione nelle scuole affidata a insegnanti sacerdoti; ha ottenuto il ritorno del-la figura del cappellano militare nell’esercito; grande spazio nella tv di Stato dovelo stesso Patriarca appare settimanalmente per interventi su argomenti di ogni ge-nere; e pure un canale tutto suo pagato dal governo. La vicenda delle Pussy Riot èperfetta per spiegare la straordinaria sinergia naturale che si è prodotta tra i due po-teri. Le ragazze in passamontagna e minigonna che nel marzo scorso avevano can-tato una canzoncina anti Putin sull’altare della cattedrale di Mosca non rappre-sentavano niente di particolare per la polizia preoccupata in quei giorni dalle ma-stodontiche proteste di piazza al grido di «Governo di ladri e truffatori». Snobbateperfino dai più popolari e seriosi leader della protesta, erano state classificate a ran-go di “teppiste di strada” da allontanare con qualche vaga minaccia e senza troppeperdite di tempo. A creare il caso diventato internazionale è stato proprio il Pa-triarca in persona che ha deciso di entrare pesantemente in scena evocando «pu-nizioni esemplari per educare i giovani agli antichi valori perduti». E chiedendo,dietro le quinte, che le ragazze fossero ricercate, catturate e sottoposte a un pro-cesso che servisse da lezione a loro e a tutti i giovani ribelli di Russia.

Costretto ad assecondare Kirill, Putin ha subito di malavoglia il disastro di im-magine prodotto nel mondo dall’accanimento ottuso contro tre ragazze sostan-zialmente innocue. Ma gradualmente ha capito che la cosa, tutto sommato, tor-nava a suo favore. Incredibilmente, nonostante un generale crollo della sua popo-larità, ha visto che, sull’onda dell’indignazione del Patriarca, la stragrande mag-gioranza dei russi gli dava ragione nella persecuzione delle Pussy Riot. Perfino glioppositori di piazza si sono divisi sul gesto delle tre ragazze ribelli considerandoloin gran parte un’offesa ai fedeli. E così la posizione ufficiale del Presidente è muta-ta definitivamente quando ha realizzato come la Chiesa sia importantissima percontinuare la sua politica di repressione del dissenso dividendo le responsabilitàpubbliche. Seguite l’escalation delle sue dichiarazioni. Dapprima distratto («Nonso chi siano»), poi bonario («C’è un po’ di esagerazione in giro!») e alla fine deciso esevero: «Due anni di carcere? Hanno avuto quel che si meritano». E, nel corso diquesta trasformazione altri passi, meno visibili ma assai più concreti, sono statocompiuti a favore della Chiesa.

Un gruppo di fedelissimi ortodossi è riuscito a far passare nella città di San Pie-troburgo una legge che vieta ogni “propaganda omosessuale”? La prima reazionedello staff di Putin era stata laica e politicamente sensata: fare pressioni per revo-care una legge ambigua e medievale per cui è reato anche dire in pubblico una co-sa tipo «anche i gay sono esseri umani». Ma dopo una lenta opera di convincimen-to da parte del Patriarca e una serie di segreti colloqui nella stanze del Cremlino, lalegge “medievale” di San Pietroburgo è diventata “sperimentale” nel senso che sidovrà addirittura valutare se estenderla a tutto il territorio nazionale. Per non par-lare del diritto all’aborto, caposaldo della cultura sovietica, ma adesso improvvisa-mente a rischio. Nella sua disperata campagna contro il declino demografico chesvuota un paese immenso dove la popolazione si concentra però solo in poche città,Putin comincia a studiare, se non proprio il divieto d’aborto, una serie di restrizio-ni che la Chiesa pregusta con soddisfazione. Perfino il divorzio, ritenuto intoccabi-le anche da un’altissima percentuale di credenti, comincia a entrare nel mirino diuna Chiesa che sogna di «porre fine allo sgretolamento degli ideali della famiglia».

Il risultato è che il clero ringrazia entusiasta un governo mai così attento alle suerichieste. Parroci, alti prelati, preti di campagna si schierano sempre di più a favo-re del governo in carica e di Vladimir Putin come protettore della fede. E ne sono ri-cambiati con concessioni materiali a cui il Patriarca Kirill sembra dare la stessa im-portanza degli obiettivi spirituali: sconti ed esenzioni sulle tasse, autorizzazione acommerci sempre più vasti e incontrollati, gestione di immensi patrimoni immo-biliari. E può capitare che un vescovo venga immortalato dalle telecamere del tele-giornale mentre si inginocchia a baciare la mano del Nuovo Zar. O che un parrocodi una delle chiese più frequentate di Mosca faccia affiggere davanti all’altare uncartello che invita i fedeli a difendere i luoghi sacri «dal teppismo dei contestatoriseguaci delle Pussy Riot». Seguono le istruzioni sui metodi da usare: «Con la per-suasione, con la denuncia alle forze dell’ordine. E, nel caso, anche spaccando lorole ossa». Potrebbe sembrare non molto cristiano, ma funziona nella Russia del 2013dove lo zar governa in nome di Dio, con il crocifisso sotto alla cravatta.

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NICOLA LOMBARDOZZI

LA DOMENICA■ 26

DOMENICA 6 GENNAIO 2013

Il sacro pattotra Patriarcae nuovo Zar

La copertina

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 6 GENNAIO 2013

(segue dalla copertina)

Ela plebe aspira sempre a imitare i suoi governanti. Anche quandoquelli che ora si chiamano “élite” hanno voltato le spalle alla Chie-sa, il popolo ha seguito il loro esempio. Ma torniamo alla “sinfo-

nia”, che in Russia ha avuto un’esistenza particolarmente lunga, ma co-munque destinata a finire. Il primo chiodo nella bara dell’Impero russoe della Chiesa ortodossa fu piantato dall’imperatore Pietro il Grande. Asuo tempo egli era stato in Inghilterra, dove il re è considerato anche ca-po della Chiesa. Questa pratica era piaciuta all’autocrate russo, che, tor-nato in patria, abolì il Patriarcato: da quel momento la Chiesa fu governa-ta da un funzionario nominato dallo zar. L’ortodossia si trasformò in unasorta di “dicastero degli affari religiosi” all’interno del sistema statale.

Nel Diciannovesimo secolo i cristiani più intelligenti e perspicaci pre-videro la catastrofe confessionale e nazionale che si sarebbe abbattuta sul-la Russia. Voglio qui riportare una di quelle profezie. Si tratta delle parolepronunciate nel 1885 dall’Arcivescovo Amvrosij (Kljuchkarev) diKhar’kov: «Si può non solo intravedere, ma anche determinare esatta-mente quando verrà l’ora della definitiva degradazione morale, e poi an-che della decadenza del nostro grande popolo. Sarà quando nel popolo ilnumero dei buoni cristiani che restano fedeli alle usanze cristiane sarà su-perato e schiacciato dal numero delle persone che una cultura menzo-gnera avrà distolto da quelle usanze a favore di nuovi costumi pagani».

Fu proprio ciò che accadde nel 1917, dopo la morte di un enorme nu-mero di credenti e sudditi fedeli sui fronti della Prima guerra mondiale.La monarchia cadde, e il governo provvisorio che l’aveva sostituita fu ro-vesciato dai bolscevichi. I nuovi signori della Russia si posero comeobiettivo non solo l’eliminazione della Chiesa in quanto tale, ma anche«il totale sradicamento dei pregiudizi religiosi» (Programma del Partitocomunista russo dei bolscevichi, 1919). Alla fine degli anni Venti i bol-scevichi proclamarono «il piano quinquennale antireligioso», una cam-pagna che si prefiggeva il totale annientamento della Chiesa.

Ma la guerra scoppiata fra la Germania e l’Unione Sovietica introdus-se dei cambiamenti nella politica di Mosca. Stalin decise di istituire unasua chiesa “addomesticata”, sotto il controllo del Kgb. A questo scopo nelsettembre del 1943 convocò al Cremlino i tre metropoliti e li incaricò dieleggere immediatamente un patriarca.

Da tempo è stato osservato che il partito bolscevico rappresentava unaparodia satanica della Chiesa. Ma pochi si rendono conto che le affinitànon finiscono qui. Il Patriarcato di Mosca veniva creato dai bolscevichi“a immagine e somiglianza” del loro stesso partito. La coesistenza dellatirannia sovietica con il Patriarcato istituito da Stalin durò fino al 1991,quando all’improvviso i comunisti abbandonarono la scena politica. Inquei giorni la gerarchia moscovita si sentì come un cane che ha perso ilsuo padrone. Tuttavia, guardandosi intorno, gli ecclesiastici si accorse-ro che i comunisti non erano affatto spariti, ma avevano solo cambiatonome: ora si chiamavano “democratici” e non volevano più sradicare lareligione, ma incoraggiarla.

Ed ecco si riaprono chiese e monasteri, si incentiva la beneficenza…Ingenuamente si potrebbe immaginare che in Russia sia rinata la “sinfo-nia”, ma, ahimè, non è così. Gli zar russi, con tutti i loro difetti, erano cre-denti, mentre i nostri attuali governanti credono solo nel potere del de-naro, e la loro presunta religiosità è solo un mezzo per darsi un’immagi-ne patriottica. Insomma, la “sinfonia” non è rinata affatto, ma è diventa-ta stonata, trasformandosi in una partnership d’affari fra quello che sipuò definire il governo dei malversatori e un Patriarcato di Mosca anco-ra una volta servile.

Traduzione Emanuela GuercettiL’autore è sacerdote e scrittore entrato in contrasto con la Chiesa

ortodossa denunciandone la posizione sempre più politica

MIKHAIL ARDOV

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Da Pietro il Grande a Stalinil grande silenzio di Dio

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 28

DOMENICA 6 GENNAIO 2013

È la stazione delle Olimpiadi 2012,

punto d’arrivo per il Parco Olimpico

che ha trasformato l’East End

da area depressa in quartiere

di giardini e villaggi residenziali

Finiti i Giochi è diventata la stazione

dello shopping, perché si apre

all’interno dello Westfield, il centro

commerciale più grande d’Europa

È una delle tre stazioni della metro

dove una cellula di terroristi islamici,

seguaci di al Qaeda, si fece

esplodere il 7 luglio 2005, causando

52 morti e 700 feriti. Altri due

kamikaze si fecero esplodere

sulla Circle Line tra Liverpool street

e Aldgate, e sulla Piccadilly Line

tra King’s Cross e Russell Square

All’uscita c’è una grande statuadi Sherlock Holmes e l’effigedel detective creato da ConanDoyle adorna le piastrelledelle pareti, illustrate ancheda disegni con le sue avventureIl motivo è che fuori dalla stazione,al 221 b di Baker street, sorgeil Museo di Sherlock Holmes

Sorge vicino al Tamigi, accantoall’omonimo Blackfriars Brigde,il ponte dei “frati neri”, sotto al qualefu ritrovato impiccato nel 1982Roberto Calvi, “il banchiere di Dio”,la cui morte sospetta fu catalogatadapprima come suicidio, poi comeomicidio, sullo sfondo di fondi nerimanovrati per conto del Vaticano

Nessun’altra stazione serve tantelinee: ben sei, più l’Eurostar,che in due ore porta a Parigi,più decine di linee ferroviarieMa soprattutto è famosa per una lineache non esiste nella realtà:da qui partiva Harry Potterper raggiungere in treno Hogwarts,la scuola di magia e stregoneria,nel primo romanzo di J. K. Rowling

LONDRA

ra pochi giorni compie centocinquant’anni e li dimostra, ma pro-prio questo è il suo bello. Quella di Londra è la metropolitana piùvecchia del mondo: fu inaugurata il 10 gennaio 1863, all’epoca incui in America infuriava la guerra civile, in un’Italia non ancoraunificata usciva il primo rapporto sull’analfabetismo (17 milioni diabitanti su 21 milioni non sapevano né leggere né scrivere) e la mo-narchia sabauda inviava truppe al sud contro il brigantaggio.Ma quei primi vagoni che si muovevano su binari sotto terra nellacapitale britannica, lungo le attuali linee Circle, Hammersmith eMetropolitan, rappresentavano una rivoluzione: per la prima vol-ta, gli abitanti di una grande metropoli potevano andare da unpunto all’altro, per pochi soldi, in poco tempo. La libertà di movi-mento non era più un privilegio di chi aveva una carrozza o un ca-vallo, bensì di quasi tutti, aprendo prospettive inedite nel campodel lavoro, dei rapporti personali, degli svaghi. Cambiava lo spiri-to del tempo: la città diventava di tutti.Oggi ha 11 linee, 270 stazioni e 402 chilometri di binari (la più lun-ga del mondo dopo Pechino, 442, e Shanghai, 423). Ogni anno, ognitreno compie un percorso equivalente a tre volte la circonferenzadel globo. Tre milioni e mezzo di passeggeri ci salgono a bordo ognidodici mesi; un miliardo e 200 milioni di viaggi sono stati comple-tati nel 2012. Ufficialmente si chiama Underground, sebbene soloil 45 per cento del suo tracciato sia sotto terra. Ma è soprannomi-nata The Tube, il Tubo, per la forma dei suoi tunnel a sezione cir-colare. È la più estesa d’Europa, la seconda più grande del mondodopo quella di Shanghai, e una delle più costose: una corsa singo-la tra la zona 1 e la zona 2 (le zone sono 7) può richiedere 7 sterlinenelle ore di punta, pari a 8 euro e mezzo, ma ci sono abbonamentiper minorenni, pensionati e ogni età che fanno spendere meno, al-trimenti non sarebbero in tanti a usarla e andrebbe perduto il suomessaggio democratico. Basta prendere la Circle Line, la “lineagialla”, secondo il colore sulla mappa, per rendersi conto che ha unsecolo e mezzo di vita: le sue gallerie raccontano l’epopea degli ini-zi. Ma in stazioni come Canary Wharf, tra i grattacieli della nuovacittadella della finanza in riva al Tamigi, sembra di stare su un ot-tovolante. Così è la metropolitana di Londra, aggrappata con or-goglio alla sua storia, pronta a imboccare nuove direzioni. Non hal’aria condizionata, sicché d’estate si può soffocare; ma da que-st’anno, per le Olimpiadi, alcune linee hanno il wi-fi, si può telefo-nare e collegarsi a Internet. Ieri e domani, a braccetto sullo stessobinario. Del resto la sua mappa, disegnata dall’ingegnere HarryBeck nel 1933, ha influenzato ogni altra mappa di metropolitana intutto il pianeta, diventando un’icona, una specie di grafico pop,sfruttato in decine di imitazioni e parodie; e il suo logo, il cerchiorosso attraversato dalla scritta Underground, disegnato nel 1908, èconosciuto ben oltre i confini dell’Inghilterra. In fondo si potreb-be visitare e imparare a conoscere Londra senza uscire mai dallasua Tube. E perciò, per festeggiarne i centocinquant’anni, portia-mo anche voi a farci un giro sopra. In carrozza! Anzi, «mind thegap», come dicono i conducenti, con un’espressione diventataproverbiale: fate attenzione al gap, il divario, la fessura, il buco, trail treno e la pensilina, per non inciampare e non farsi male.

TENRICO FRANCESCHINI

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Hammersmith & CityCircleMetropolitan

DistictCircle

2

3

BAKER STREET

CentralJubileeLondon Overground

4 STRATFORD

Victoria

Northern

15 KING’S CROSS

DistrictCircle

5 EDGWARE ROAD

BLACKFRIARS

1

Ha preso il nome nel 1932 dal vicinoArsenal Stadium, dove l’omonimofootball club ha giocato fino al 2006,nell’era celebrata da Nick Hornbynel suo romanzo Febbre a 90°

Era una delle stazioni più affollate,specie il sabato, giorno delle partiteDopo la demolizione dello stadio,è diventata una delle più tranquille

Piccadilly line

ARSENAL

La rivoluzione Underground

Il 10 gennaio 1863,

centocinquant’anni fa,

Londra inaugurò la prima metropolitana

al mondo

L’attualitàMind the gap

Da Baker Street a Canary Wharf,

da Piccadilly a Covent Garden:

le sue stazioni hanno trasformato la “Tube”

in un’icona

Key to lines

Metropolitan

Victoria

Circle

Central

Bakerloo

DLR

London Overground

Piccadilly

Waterloo & City

Jubilee

Hammersmith & City

Northern

District

District open weekends, public holidays and some Olympia events

Emirates Air Line

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 6 GENNAIO 2013

È la stazione per la NationalGallery, Trafalgar Square e i teatridel West End. Dà spettacoloanche all’interno, con Pierre,uno dei 39 “buskers” che suonanoin 25 stazioni in aree a loro riservate La sua specialità: Beatles e RollingStones. Ma tra i menestrellidella Tube c’è di tutto, dal reggaeal jazz, dalla classica all’hip-hop

Molte stazioni sono diventateun set cinematografico o televisivo:in certi casi, come nel filmSliding Doors, le carrozze fannoda protagoniste della vicendaLa pellicola più recente giratanel “Tube” è Skyfall in cui 007,interpretato da Daniel Craig,è impegnato in un inseguimentofra i treni della stazione di Temple

È più grande dei due grattacielisotto cui sorge, in ciascunodei quali lavorano 50mila personeÈ il cuore della nuova City in rivaal Tamigi in cui si sono trasferitemolte banche e uffici. Proprioper questo è teatro di guerratra commandos della Sas britannicie terroristi internazionali, in Call

of Duty, popolare videogioco

Nel 1943 teatro del più sanguinosoepisodio della Seconda guerramondiale avvenuto in una stazionedel metrò: morirono 143 persone,schiacciate le une contro le altre,dopo che un colpo sparato a salvedalla contraerea britannica suscitòla paura di un bombardamentoMolte stazioni vennero trasformatein rifugi anti-aerei

Si dice che in questa stazionesi nasconda il fantasma di AnneNayler, assassinata nel 1758Non è l’unico spettro nella Tube:ve ne sarebbero altri, compresoil fantasma della figlia di un faraoneche farebbe sentire le sue urlanei pressi del British Museum,dove è custodito il suo sarcofago

È la stazione più grande di Londra,può contenere tremila autobusa due piani o un intero transatlanticoPossono transitarvi più di ventimilapasseggeri all’ora, generalmentediretti all’adiacente MillenniumDome, il futuristico stadiolungo il Tamigi dove si tengonogare sportive e concerti

È la stazione più vicina agli impiantidel più importante torneo di tennisdel mondo, e per un paiodi settimane l’anno vi discendonomigliaia di appassionati, attiratidallo show di Federer, Djokovice Nadal, oltre che dalle fragolecon panna servite dai ristorantidell’All England Club

Costruita nel 1907 e catalogatacome monumento nazionale,qui i binari si possono raggiungeresoltanto con un antiquato sistemadi ascensori, anziché con scalemobili. Solo 260 metri la separanoda Leicester Square, un tragittoche dura 20 secondi: ce ne voglionomolti di più per risalire in superfice

Le mie piccole memorie del sottosuoloJOHN LLOYD

Mi piace molto il Tube di Londra, il metrò, perché è veloce e di solito effi-ciente, un luogo dove si può leggere e riflettere. Una volta mi offrì perfinola possibilità di esibirmi in una buona azione. Ero un corrispondente, vi-

vevo a Mosca e trascorrevo a Londra solo brevi periodi. Un giorno presi il metrò aPiccadilly, diretto alla sede del mio giornale situata a sud del Tamigi. Due uomini,sbronzi e che fumavano, entrarono alle mie spalle e mi si sedettero accanto. Con-tinuarono a fumare, guardandosi attorno come a sfidare qualcuno a sollevareobiezioni. Dissi: «Non potete fumare qui». Quello seduto accanto a me avvicinò lasua faccia alla mia e disse: «Fatti i c**** tuoi». Risposi: «È quello che sto facendo».L’uomo sghignazzando mi soffiò il fumo in faccia. Mi alzai e tirai la leva del frenod’emergenza. Il treno non era ancora partito dalla stazione nella quale eravamosaliti. La carrozza nella quale ci trovavamo era immediatamente dietro quella delconducente, che uscì dalla cabina e venne verso il punto nel quale mi trovavo, an-cora in piedi. I due uomini avevano spento immediatamente le sigarette. Dissi:«Ho tirato l’allarme perché questi due signori stavano fumando». L’uomo che siera rivolto a me disse: «Non è vero, non stavamo fumando. Questo è pazzo!». Il con-ducente intervenne: «Stavate fumando… Sento fumo nell’aria. Non fatelo più».Poi tornò in cabina e avviò il convoglio in galleria. E io rimasi con quei due. L’uo-mo vicino a me disse: «Ti faremo un c*** così!». E lo ripeté più volte. Tutti gli altripasseggeri avevano distolto lo sguardo. L’uomo alzò la voce ed esclamò: «Certa

gente non sa proprio farsi i c**** suoi!». Una signora seduta di fronte sogghignòostile e disse: «Già, è proprio vero!». Mi alzai in piedi. Una giovane donna giap-ponese, che teneva in mano una guida di Londra, aveva seguito l’accaduto e dis-se: «Ma è terribile! Lei ha proprio ragione». Poi, rivolta ai due uomini disse: «Que-sto signore ha ragione!». «Vaffanculo!» l’apostrofò l’altro uomo. Io mi rivolsi al-la giovane donna e la ringraziai. Scesi alla fermata successiva e i due uomini miseguirono barcollando. Mi misi a camminare veloce: dalle mie letture di ro-manzi giovanili ricordavo che mettersi a correre significa dimostrare di averepaura. In verità, avevo paura e speravo che il fatto che fossero ubriachi li rendessemeno temibili. Mi strillarono dietro, ma non fecero niente per acciuffarmi.Quando mi voltai, prima di abbandonare il binario, vidi che si erano fermati efacevano gesti scurrili verso di me. Uscii dalla stazione e presi un autobus. Ri-cordo quell’episodio con irritazione: nessuno era venuto in mio aiuto, a ecce-zione di una turista giapponese. L’unica altra persona della carrozza che aves-se reagito — una londinese bianca, come i due uomini — si era schierata dallaloro parte. Ma ricordo l’episodio anche con fierezza: feci la cosa giusta. Presi ledifese di un pezzetto prezioso di spazio pubblico, la metropolitana di Londra.

Traduzione Anna Bissanti

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La stazione più affollata della città,vi transitano 84 milioni di passeggeriall’anno tra linee metro e ferroviarieFino a qualche anno fa era la stazionedi arrivo dell’Eurostar da Parigi:uno sgarbo fatto apposta ai francesi,secondo i maligni, facendoli sbarcarenella stazione intitolata alla battagliache segnò la fine di Napoleone

Central

10 BETHNAL GREEN

Hammersmith & CityCircleMetropolitan

11 FARRINGDON

Jubilee

12 NORTH GREENWICH

Piccadilly

13 COVENT GARDEN

District

14 WIMBLEDON PARK

JubileeNorthernBakerlooWaterloo & City

6 WATERLOO

BakerlooNorthern

7 CHARING CROSS

DistrictCircle

8 TEMPLE

Jubilee

9 CANARY WHARF

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Le avventure degli OrsantiIN VIAGGIO

Sotto, gruppodi Orsanti

della famiglia Bernabòin viaggio con orsi,cammelli, scimmie

e altri animali

La storiaNomadi

Odiavano le frontiere e se ne infi-schiavano delle leggi. Erano uomi-ni liberi. Commedianti di strada.Rudi, temerari e avventurosi. Parti-vano alla conquista del mondo conun orso, un cammello, due scim-

mie, un organetto e una tromba. Si chiamavano“Orsanti”: i primi circensi italiani della storia mo-derna. Partendo dalle sperdute valli dell’Appenni-no emiliano, dal Settecento in poi attraversaronotutto il continente europeo fino alle più remote re-gioni del circolo polare, della Russia, dell’Asia e del-l’Africa del nord. Trobadordi leggende, d’avventu-re e di tesori immaginari, furono i primi a voler es-sere cittadini di un’Europa senza confini, nazioniné barriere linguistiche.

La loro capitale era Cavignaga, paese di poche epovere case incastonato tra le valli del Taro e del Ce-no nel parmense. In questo piccolo borgo e nella vi-cina Dugara, ancora oggi quasi irraggiungibile, sicostituirono trecento anni fa i primi gruppi di cir-censi itineranti. Oltre agli Orsanti c’erano i “Cam-mellanti”, gli “Scimmianti” e i “Musicanti”. L’ulti-mo orsante, Sante Caramatti, è scomparso l’annoscorso quasi centenario. Gli Orsanti erano «cine-ma orale». Diffondevano le loro storie per il mon-do, ma le riportavano anche a casa come gli antichiJoglars trobar. Dopo viaggi che potevano durareanche anni, quando tornavano a Cavignaga i lororacconti, talvolta in rima, di paesi lontani e gentimisteriose, incantavano bambini e adulti. Adde-stravano l’orso, insegnavano a recitare pantomi-me alle scimmie, si esibivano in giochi di destrezzasui cammelli e con altri animali esotici, inventava-no nuove musiche, filastrocche, strumenti. Ma

avevano soprattutto l’ossessione incontenibile diesplorare e conoscere il mondo. Bartolomeo Cara-matti nel 1890, insieme agli scudieri Giovanni Cap-pellini e Antonio Rebollini, raggiunse il circolo po-lare artico, inseguendo il sogno di catturare un or-so bianco. Non lo trovò, ma incontrò mille perico-li. Ogni mattina doveva perfino sgelare con l’acquariscaldata le zampe dei cammelli, che nella notteghiacciavano saldandosi alla banchisa. Si aggre-garono infine a un gruppo di cacciato-ri locali, ma vennero derubati di tut-

to. Per due mesi rimasero bloccati senza un soldoin quelle lande gelide finché un farmacista finlan-dese — che, conoscendo un po’ di latino, riuscì acomprendere il curioso «esperanto» di quei bislac-chi forestieri — scrisse alle famiglie di Cavignaga,salvandoli.

Le loro avventure nascevano anchedalla necessità di trovare animali da ad-destrare. Durante una di queste spedi-zioni, quasi due secoli fa, tale Taddei diCavignaga arrivò a Odessa, insieme a un

GIANCARLO BOCCHI

DOMENICA 6 GENNAIO 2013

Tre secoli fa partirono

dall’Appennino

per catturare

orsi, cammelli

e animali esotici

da ammaestrare

Arrivarono al Polo Norde alla cortedi Buffalo

Bill

LA DOMENICA■ 30

Repubblica Nazionale

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certo Lusardi che faceva lo scimmiante, e aprìun’osteria italiana nella città affacciata sul Mar Ne-ro. Ai primi del Novecento dalla lontana Tbilisi, inGeorgia, arrivò invece una comunicazione delleautorità locali. Tal Caramatti era morto lasciandoin eredità un organetto e una scimmia che i geor-giani volevano rispedire indietro, non intendendobadare alla bestia.

Due orsanti della famiglia Moglia partirono in-vece per gli Stati Uniti. Il leggendario Buffalo Billimpressionato dall’abilità circense dei due giova-ni italiani, li scritturò nel suo circo e si affezionò lo-ro al punto di adottarli. Ma alla sua morte l’ereditàsvanì, requisita dai parenti americani. Leggenda orealtà? Il valore degli animali ammaestrati era in re-lazione al numero di giochi che sapevano esegui-

re. Le scimmie potevano costare fi-no venti lire per esercizio ap-

preso. Una somma notevo-le per quei tempi. Adde-

stravano ogni genere dianimali. Cavalli, cani,pappagalli, capre, vol-

pi, cammelli, scimmie, zebre, ma soprattutto gliorsi. Alti fino a due metri, quelli dei circensi italianierano meglio ammaestrati di quelli dei rinomati gi-tani di Stara Platina, la grande montagna bulgaradegli orsi. Erano più pericolosi di tigri e leoni. Conuna sola zampata potevano squarciare la testa diun uomo. Per ammaestrarli — non addomesticar-li — gli Orsanti usavano spesso sistemi cruenti, cheoggi non sarebbero permessi. A volte però gli ani-mali si vendicavano e potevano ridurre sul lastricoil padrone. Altri Orsanti erano dei veri talenti con lamusica e guadagnarono una fortuna in giro per ilmondo. Il più valente, Giuseppe Corti, arrivò a suo-nare fino a 14 strumenti contemporaneamente.

Sebbene quasi tutti analfabeti, il libero girova-gare tra mille paesi e in capo al mondo, aveva por-tato gli Orsanti a imparare, anche solo sommaria-mente, molte lingue e molti dialetti, e a inventareun personale gramelot, col quale comunicavanosolo tra di loro, sicuri che nessuno — né mogli négendarmi — li avrebbe mai capiti. Nelle valli confi-nanti, soprattutto quelle sul versante ligure, nonesisteva la tradizione circense, bensì la compagnia

della «birba». I preti vendevano indulgenze, ma so-prattutto bambini. Nell’800 più di ventimila bam-bini vennero venduti ai capi questua che li manda-rono a elemosinare in giro per l’Europa. Per l’epo-ca era un fenomeno di proporzioni enormi cheprovocò le vivaci proteste delle autorità di mezzaEuropa e creò non pochi problemi agli incolpevo-li Orsanti. Anche tra costoro c’erano violenti,ubriaconi e lestofanti, ma la maggioranza eranoonesti lavoratori che aspiravano solo a una vita mi-gliore.

Quello che fece più strada fu Antonio Bernabò.Da povero in canna arrivò a possedere quattrograndi circhi, vincendo così il timore del pubblicoabituale. Gli spettatori dell’epoca diffidavano del«tendone», temevano che una volta entrati, dopoaver pagato il biglietto, non avrebbero visto nien-te. Invece Bernabò riuscì ad attraversare col suo«Royal Italian Circus» l’intero continente europeoe tutto il nord Africa. Fu protagonista di eventi me-morabili come quando, dopo una rappresentazio-ne di enorme successo alla corte del Sultano diIstanbul, Bernabò fu addirittura insignito del tito-

lo di Cavaliere della Corona Turca. Impressionatoda quel palazzo e dalle innumerevoli concubinedel Sultano che assistevano allo spettacolo nasco-ste dietro grate e veli, riportò a tutti i compaesani idettagli di quel giorno straordinario. Una scena fel-liniana: e infatti in una strettoia della valle del Taro,a poca distanza da Cavignaga, c’è un piccolo bor-go abbandonato che si chiama proprio Case Felli-ni. E Zampanò, il rozzo saltimbanco protagonistade La Strada sembra uscito proprio da un raccon-to sugli Orsanti. Ma nessun’anagrafe può confer-mare o smentire l’ipotesi, per ora solo suggestiva,di una discendenza del famoso regista riminesedalla stirpe degli Orsanti.

L’attività circense degli Orsanti, già in fase ca-lante a causa dell’invenzione del cinematografo,ricevette un colpo mortale dallo scoppio della Pri-ma Guerra Mondiale. Gli Orsanti in giro per l’Eu-ropa dovettero velocemente rientrare a Cavignagae a Dugara, maledicendo la guerra, gli eserciti e leNazioni. Orsi, cammelli e scimmie per quattro lun-ghi anni rimasero chiusi nelle stalle. Ad eccezionedi un cammello, acquistato dal locale medico con-dotto che lo utilizzò per raggiungere i paesini piùisolati e di una zebra che un orsante usava per tira-re il carretto. Gli Orsanti ormai disoccupati, girava-no come orsi in gabbia per il paese e si comporta-vano sempre di più come loro. Parlottavano solotra loro, come congiurati, con quel gramelot gut-turale, animalesco, incomprensibile. Tra abbon-danti bevute, ogni tanto, progettavano nuove e fol-li imprese. Ma sapevano che era finita un’epoca.Allora per esorcizzare il glorioso passato si mette-vano a cantare a squarciagola le loro antiche fila-strocche, inseguiti dalle urla di mogli e parenti:«Vagabondi, tornate a casa!».

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DOMENICA 6 GENNAIO 2013

LE IMMAGINI

In alto, da sinistra: un orsante con il suo orso ammaestrato; manifestodi uno scimmiante; manifesto in francese del circo Bernabò;

uno scimmiante e un musicante; un musicante; manifesto in cirillicodel circo Bernabò; il manifesto dello scimmiante Taddei; un orsante burattinaio

Tornavano dopo anni

raccontando

storie incredibili

Secondouna leggenda

Fellinidiscenderebbe

da quellastirpe

di antichicircensi

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DOMENICA 6 GENNAIO 2013

SpettacoliMetamorfosi

Rimetterci la facciatrucco

Oscar

Il trucco, al cinema, c’è. E si vede. In sen-so letterale: un trionfo di cerone, protesifacciali, pieghe e grinze posticce, ringio-vanimenti e invecchiamenti che spessovediamo sui volti degli attori più amati,nelle loro performance da grande scher-

mo. Non solo nelle storie fantasy, quelle in cui ilmascheramento è un elemento indispensabilequanto gli effetti speciali o le scenografie im-maginifiche. Anche in tante pellicole dramma-tiche, centrate su interpretazioni memorabili ein odore di premi, registi e star si affidano aimake-up elaborati dai migliori artigiani del set-tore, per garantire un’aderenza perfetta al per-sonaggio. Necessaria soprattutto se il film ap-partiene a un genere gettonatissimo a Hol-lywood e dintorni come il biopic.

Uno stratagemma antico. Che negli ultimi an-

ni è tornato con forza alla ribalta. Già lo scorsoanno, commentando l’Oscar a Meryl Streep-Margaret Thatcher di The Iron Lady (ma pen-sando anche allo J. Edgar Hoover di LeonardoDi Caprio e alla Glenn Close uomo di AlbertNobbs), alcuni critici l’hanno definito «la vit-toria del fard». Insinuando il sospetto che, ol-tre al virtuosismo inarrivabile della diva, a con-vincere i giurati abbia contribuito molto la suaperfetta somiglianza fisica — ottenuta a colpidi fondotinta e parrucche — con la Lady di Fer-ro. E anche nella stagione dei premi 2013, chesi apre tra quattro giorni con le nomination agliOscar e prosegue il 13 di questo mese con la

consegna dei Golden Globes, la tendenza siconferma. Grazie soprattutto al superfavori-

to Lincoln di Steven Spielberg, dal 24 gen-naio nelle sale italiane, con Daniel Day-Lewis nei panni del presidente america-no. E a Hitchcock di Sacha Gervasi, chesbarca nel nostro Paese il 21 febbraio, e

col

CLAUDIA MORGOGLIONE

DANIEL DAY-LEWIS / LINCOLN (2012)

L’attore britannico con passaporto irlandese, due volte Premio Oscar nel 1990 e nel 2008,è il presidente statunitenseAbramo Lincoln nel film di StevenSpielberg, uscito finora solo negli States a novembreIn Italia lo potremo vederedal 24 gennaio

DUSTIN HOFFMAN / TOOTSIE (1982)

Nel film di Sidney Pollack, Dustin Hoffmanè costretto a vestire i panni di una donnaper poter lavorare in una serie televisivaVinse un Golden Globe per il miglior attore

Daniel Day-Lewis trasformato in Lincoln, Anthony Hopkins in Hitchcock:sono solo le ultime star che si sottopongono a sessioni

massacranti di make-up per entrare nei personaggi

Così i Golden Globes si giocheranno a colpi di fard

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 6 GENNAIO 2013

in cui il Maestro del brivido è incarnato daAnthony Hopkins. Basta vedere le due locandi-ne, per farsi un’idea del lavoro fatto sui due divi.

Invece sul fronte del fantastico, dopo il trionfoal botteghino dello Hobbit di Peter Jackson chetanto deve ai camuffamenti del suo cast, il 10gennaio esce Cloud Atlas di Andy e Lana Wa-chowski (gli autori di Matrix), kolossal che spa-zia tra passato e futuro in cui vedremo, tanto perfare qualche esempio, Hugh Grant nei panni diun esotico cannibale. O Halle Berry reincarnar-si più volte, passando da donna maori ad anzia-no asiatico. E proprio Jeremy Woodhead, re-sponsabile trucco e acconciature del film, haspiegato la sfida imposta dal mestiere: «Il puntoè trovare un equilibrio: mascherare senza can-cellare le caratteristiche naturali di ciascun at-tore». La seconda dote fondamentale è la capa-cità di guadagnarsi la fiducia della star di turno.Prendiamo Grant: per trasformarlo «era neces-sario sottoporlo ogni volta a due ore di prepara-

zione: dovevo rendergli la testa rasata, mettergliuna cresta di capelli, tatuaggi, dipingergli corpoe denti». Una faticaccia, anche per ricchissimiprofessionisti come il divo inglese.

Il biopic, però, resta il genere più interessante.Proprio perché realistico. Per Lincoln — che hadato lavoro a 49 addetti al make-up — la re-sponsabile del settore Lois Burwell ha usato unapproccio altrettanto accurato nel lavoro di ri-cerca storica e iconografica, ma più soft sul pia-no del risultato: qui il trucco c’è, e tanto, ma sivede un po’ meno. Una strategia furba, per as-secondare e non coprire la performance di Day-Lewis. Lei stessa lo ha ammesso: «Guardando lefoto d’epoca, sul volto del presidente si vedesempre una sorta di stress, segni fisici che rive-lano un conflitto interiore. È questo che abbia-mo voluto trasferire sul volto di Daniel. Lavo-rando in profondità, ma senza interferire con lasua performance». Mentre l’impegno del suocollega Howard Berger per Hitchcock ha avuto

un iter più tormentato: «Abbiamo preparato seiopzioni di trucco differenti», ha raccontato lui,«con la prima Anthony Hopkins si trasformavanel sosia perfetto di Hitch, ma effettivamenteera molto pesante. Sei settimane prima delle ri-prese, dopo averla vista, i produttori non eranosoddisfatti». Il loro intento era evitare l’effettoDi Caprio in J. Edgar di Clint Eastwood, in cui ilmascheramento è quasi ai confini della carica-tura: «Così alla fine abbiamo comunque usatodelle protesi facciali, ma in maniera più sobria».E il risultato è la celebre silhouette del regista,doppio mento e addome prominente, ripro-dotta in maniera perfetta.

Non solo Hollywood, però. Anche in Italia esi-ste una solida tradizione che fa riferimento aigrandi registi del passato, maestri che conosce-vano bene l’importanza del make-up: da Luchi-no Visconti a Federico Fellini. L’ultimo caso cla-moroso è il Toni Servillo trasformato nel Divo inGiulio Andreotti: Vittorio Sodano, il creatore di

quella maschera, nel 2009 ha vinto il David di Do-natello. L’anno successivo, per Vincere di MarcoBellocchio, il riconoscimento è andato a un altrogrande artigiano, capace di trasformare FilippoTimi nel Duce senza esagerare col cerone: Fran-co Corridoni. Un veterano che rivendica con or-goglio l’importanza del suo mestiere: «TantiOscar o altri premi assegnati agli attori andreb-bero condivisi con gli autori del make-up», spie-ga, «lo so bene io che vengo dalla vecchia scuola,ho truccato Liz Taylor per Zeffirelli, sono statochiamato a Monaco da Grace Kelly». Un sosteni-tore dell’approccio soft, in contrapposizione al-la tendenza hard di alcuni colleghi: «Lo stile insi-stito e fin troppo evidente alla Divo non mi piaceaffatto. Io agisco in maniera diversa, punto so-prattutto a valorizzare gli occhi, lo sguardo. Per-ché il lavoro perfetto è e resta quello che non ap-pare». Svelato o nascosto: l’eterno dilemma deltrucco da cinema

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BRAD PITT / BENJAMIN BUTTON (2008)

Ha vinto il premio Oscar per il trucco (oltre che per gli effetti speciali e le scenografie) Il curioso caso di Benjamin Button di DavidFincher, tratto da un racconto di Fitzgerald

GLENN CLOSE / ALBERT NOBBS (2011)

Due nomination all’Oscar per il truccoe per la miglior attrice protagonista a Glenn Close nel ruolo di una donna che si fingemaggiordomo nel film di Rodrigo Garcia

ROBIN WILLIAMS / MRS. DOUBTFIRE (1993)

Premio Oscar per il trucco nel 1994 a questacommedia di Chris Columbus in cui RobinWilliams si fa assumere dall’ex mogliecome governante per poter stare coi suoi figli

SALMA HAYEK / FRIDA (2003)

L’attrice messicana Salma Hayek che interpretala pittrice connazionale, Frida Kahlo,nella pellicola di Julie Taymor. Che vinceil premio Oscar 2003 per il trucco

CHARLIZE THERON / MONSTER (2003)

Grazie a questa interpretazione nel film di Patty Jenkins, l’attrice di origine sudafricanaha vinto il Premio Oscar, l’Orso d’Argento a Berlino e il Golden Globe nel 2004

TONI SERVILLO / GIULIO ANDREOTTI (2008)

Il Divo di Paolo Sorrentino ha vinto il Premiodella giuria come miglior film a Cannesed è stato nominato all’Oscar per il trucconel 2010. In Italia, sette David di Donatello

MERYL STREEP / THATCHER (2011)

Premio Oscar per il trucco e per la migliorattrice a Meryl Streep, che vince anche il Golden Globe nei panni dell’ex premierbritannico in The Iron Lady di Phyllida Lloyd

ANTHONY HOPKINS / HITCHCOCK (2012)

Il film di Sacha Gervasi sul celebre registaAlfred Hitchcock, con Helen Mirren e ScarlettJohansson, è uscito a novembre negli StatiUniti e sarà nelle nostre sale dal 21 febbraio

Insopportabile se non è perfettoDANIEL DAY-LEWIS

Fisicamente potrei anche dire di as-somigliare ad Abramo Lincoln: so-no alto, magro e con tratti somatici

spigolosi, un po’ come lui. Ho la stessa etàche aveva al tempo del suo ritratto nelfilm, ovvero pochi mesi prima della mor-te a cinquantacinque anni. Al momentodi iniziare le riprese mi ero già fatto cre-scere la barba ed ero dimagrito ulterior-mente, per avere la faccia ancora più sca-vata: insomma, non credevo che avreiavuto bisogno di alcun tipo di trucco. Misbagliavo. E ammetterlo è stato un po’uno shock, perché io tendo sempre a evi-tare il make-up. Lo vedo come un ostaco-lo per un attore di cinema.

Devo tutto alla bravura del fenomena-le team di artisti del make-up guidati daLois Burwell. Ho usato lenti a contattoscure, e abbiamo lavorato molto sul-l’infoltimento delle sopracciglia, le rughedella fronte, la forma delle orecchie. Ognimattina mi sottoponevo a una seduta di

un’ora e mezza prima di andare sul set.Hanno fatto un lavoro meraviglioso per-ché praticamente non si nota, è invisibi-le. L’ultima cosa che infatti desidero, co-me attore, è che la gente mi chieda delmake-up per quella tale interpretazione:significa che l’hanno notato, e questonon mi piace. Mi auguro sempre che nes-suno ci faccia caso: un buon trucco non sifa notare, se no è mascherone.

Non dico di avere abbracciato il trucco,che continua darmi sempre un po’ fasti-dio. Ma il fatto di non accorgermi di esse-re trasformato, mentre recitavo le scenedi Lincoln, me lo ha reso sopportabile.Credo che la bravura del team di trucca-tori sia stato proprio avermi fatto dimen-ticare, durante la giornata di lavoro, diavere la loro arte in faccia. E questo è il se-gno del make-up perfetto. Almeno per uninsopportabile perfezionista come me.

(testo raccolto da Silvia Bizio)

Che fatica la pancia di AlfredANTHONY HOPKINS

L’idea di interpretare Alfred Hit-chcock mi aveva riempito di in-sicurezze. Non mi succedeva di

provare tanta ansia per un ruolo dai tem-pi di Nixon. Mettermi nei panni di un ta-le genio del cinema, e con una persona-lità così spiccata e originale, mi intimidi-va. Ma ho detto subito ai produttori chenon avrei messo su peso per recitarlo, e alcontrario, l’ho perso e ho fatto parecchiaginnastica per tenermi in forma: non vo-levo rovinarmi la salute. Ma era ovvio chenon potessi mantenere il mio aspetto,così mi sono affidato alla costumista Ju-lie Weiss e agli esperti di make-upHoward Berger e Peter Montagna. LaWeiss ha disegnato un abito ingrassante,pieno di imbottiture soprattutto nellapancia. Credetemi, non è uno scherzo:tanti chili addosso rendono difficile cam-minare, rischi di perdere costantementel’equilibrio ed è stato un grosso stress perla schiena. Fateci caso: quando diceva

“buona sera”, Hitchcock stava sempreun po’ inclinato indietro per bilanciare ilcentro di gravità. I truccatori hanno rea-lizzato una prostesi per il mio volto con-centrandosi soprattutto sul collo, hannoallungato i lobi delle orecchie, mi hannorasato la testa e messo delle lenti a con-tatto marroni. La chiave era non applica-re troppo lattice e silicone per non na-scondere del tutto la mia espressività. Èsempre difficile trovare questo delicatoequilibrio e ogni mattina serviva un’ora emezza di trucco prima di andare sul set.

Ho ascoltato fino alla nausea il suo ac-cento East London, con quella voce up-per-class e pomposa, e i truccatori hannoanche lavorato sul labbro inferiore: Hit-chcock aveva un atteggiamento, quasi untic, che si adattava alla sua fonetica un po’teatrale. E con quella bocca puoi pronun-ciare le parole solo in un certo modo!

(testo raccolto da Silvia Bizio)

SEAN PENN / THIS MUST BE THE PLACE (2011)

Ancora una volta il regista italiano PaoloSorrentino trasforma il suo protagonista:stavolta Sean Penn è la rockstar CheyenneSei David di Donatello: uno anche al trucco

LEONARDO DI CAPRIO / J. EDGAR (2011)

La star di Titanic Di Caprio invecchiato

e ingrassato per seguire la parabola

di John Edgar Hoover, ex direttore dell’Fbi,

nell’opera di Clint Eastwood

Il protagonista /1

Il protagonista /2

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DOMENICA 6 GENNAIO 2013

Sapevamo che un computer è in grado

di giocare a scacchi e comporre canzoni

Ora un professore di marketing

ha pubblicato oltre centomila libri

grazie al programma che ha ideato

Il passo verso la narrativa artificiale è breve, anzi: è già stato fatto

Scrittura

Philip M. Parker ha riscritto innanzitutto ladefinizione di «autore prolifico». Con isuoi 106mila titoli, all’ultimo censimen-to su Amazon, è uno che fa sembrare laprimatista da Guinness Mary Faulkner,che sotto vari pseudonimi ne ha firmati

904, una principiante. A patto di intendersi sui ter-mini. Perché di opere come Il mercato per l’im-port/export di disinfettanti in Messico nel 2007 o Ilthesaurus napoletano-inglese o Bibliografia e dizio-nario sull’ipotiroidismo congenito il professore dimarketing all’Insead, la Bocconi francese, è autoredi secondo grado. Ovvero: si è inventato il softwareche li ha scritti. Praticamente in automatico. Con po-co o punto intervento dell’uomo.

L’alba dell’era dell’autolibro annuncia il tramontodei compilatori in carne e ossa. Secondo una schemaevolutivo che procede senza sosta dalla prima rivolu-zione industriale, le mansioni a minor valore aggiun-to vengono sostituite dalle macchine che le svolgonopiù in fretta e a una frazione del costo. Ieri l’automa-zione minacciava i colletti blu. Oggi taglia l’erba an-che sotto i piedi di quelli bianchi. Parker, economistadi formazione e informatico per passione, la vedemolto laicamente: «La “creazione automatica di con-tenuti” riempie i vuoti che le case editrici tradizionalinon riescono a colmare». A nessuno verrebbe in men-te di scrivere un ponderoso rapporto sulle prospetti-ve di vendita dei fazzoletti di carta in Finlandia o del-la carne in scatola per cani nel mondo oppure del con-centrato congelato di limonata sotto le 10 e sopra le 13once. Un po’ troppo di nicchia per giustificare l’im-pegno, in termini di tempo e quindi stipendi, di unasquadra di analisti. Ma se, una volta imparato e stan-dardizzato il metodo di analisi ed estrazione dei dati,sei anche in grado di replicarli ad infinitum, cambiatutto. Il software non chiede gli straordinari per com-piere una o mille volte la medesima procedura. A quelpunto, con costi marginali ridicoli («circa 20 centesi-mi di euro a titolo, una volta ammortizzato l’onerosoinvestimento per il programma»), i tre titoli da colle-zionisti potranno tranquillamente andare in venditasu qualsiasi libreria online per 94 dollari il primo e 795gli altri due. Se anche pochi imprenditori o banched’affari ne compreranno una copia a testa, per l’edi-tore il profitto è salvo.

Sono libri a coinvolgimento umano variabile. «Nelcaso dei cruciverba o dei dizionari, comprese linguecome l’uiguro (turcofoni cinesi) o il pampangan(dialetto filippino) fa tutto il computer. Costruiscel’indice, setaccia banche dati specializzate, ordina eimpagina. Così anche per i rapporti economici, le cuifonti sono prevalentemente dati della Banca mon-diale o del Fondo monetario internazionale incro-ciati con statistiche dei governi nazionali». Mentrenel caso di bibliografie di malattie rare la sorveglian-za di un editor tradizionale è molto stretta.

Il confine della non fiction sarebbe in via di supe-ramento. Parker spiega come il suo software potràessere usato per la narrativa, ed è già usato per vi-deogiochi formativi. Basterà scegliere tra una seriedi parametri (epoca, location, nome e caratteristi-

che del protagonista, thriller o commedia, e così via)e l’algoritmo li assemblerà creativamente. Volendoanche alla maniera di Hemingway o Omero. In realtàquesto futuro è già accaduto. Per la precisione quat-tro anni fa a San Pietroburgo quando la casa editriceAstrel SPb ha dato alle stampe Amore vero, una va-riazione di Anna Karenina compilata in autonomiada un software nello stile di Haruki Murakami. Al dilà del record di primo romanzo informatico, l’inizia-tiva è passata largamente inosservata dai sismome-tri editoriali internazionali.

Per l’intelligenza artificiale l’assalto al cielo dellaletteratura è la battaglia finale. Nel lontano ’97 il com-puter Deep Blue fece scalpore battendo a scacchi, gio-co strategico per antonomasia, il campionissimo Ka-sparov. Oggi Watson, altra creatura Ibm, prova a cu-rare le persone facendo tesoro di miliardi di sintomi eanamnesi che ha in memoria. L’invenzione artisticasin qui era stata risparmiata. Se si fa eccezione per l’ex-ploit del giovanissimo Ray Kurzweil, futurologo oggia capo del dipartimento ingegneristico di Google, chenel ’65 suonò in tv un pezzo al pianoforte compostoda un programma di sua fattura. O per Emmy, lancia-ta negli anni Ottanta dal professor David Cope dell’u-niversità della California a Santa Cruz. Non era unaninfetta pop, ma un software (Experiments in Musi-

cal Intelligence) capace di comporre interi concertiche per un po’ erano stati suonati in pubblico gab-bando gli esperti. Per tanti parrucconi inorriditi, Dou-glas Hofstadter, autore di Gödel, Escher, Bach, avevaparlato dell’esperimento come di una delle «più si-gnificative avventure intellettuali della fine del vente-simo secolo». Dunque un salto di qualità, quello delcodice scrivente, preceduto da una lunga rincorsa.Programmi come StatsMonkey o Narrative Sciencehanno esordito come cronisti di baseball o di anda-menti borsistici. Stesso schema: si cibano di dati e sco-dellano articoli, mimando costrutti di giornalisti asangue caldo. Non sono gran letture, però si capiscequel che c’è da capire ed è già un miracolo. L’assaltoal palazzo d’inverno parte dai piani bassi. Più chespaccare le macchine avrebbe senso alzare l’asticella.Al software lasciamo pure impastare il pane editoria-le. Gli umani si concentrino dalle brioche in su. Capi-ta poi che, da un’imprevedibile collisione di gameti,nasca un Simenon, che scriveva tanto e anche tantobene. La app che replica L’uomo che guardava passa-re i treni devono ancora inventarla.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il softwareche crealetteratura

Entro il 2029

i computer

saranno capaci

di creare nuova

conoscenza

senza alcun

aiuto umano,

a partire

dalla scansione

di ogni singola

informazione

disponibile

su Internet

‘‘

Ray Kurzweilin “The Age

of Spiritual Machines”

NextSelf-book

RICCARDO STAGLIANÒ

RICERCAIl software applica il corretto

modello econometrico

per stabilire il potenziale

del prodotto (il libro)

in un determinato contesto

(come farebbe

un economista)

COME FUNZIONA ANALISITra i dati estratti applicando

il modello, sceglie

quelli che si prestano a essere

mostrati come testo e gli altri

che sono invece più chiari

come tabelle (come farebbe

un analista)

automatica

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 6 GENNAIO 2013

Automatic contentcreationCon “creazione automatica

di contenuti” ci si riferisce

a software che assemblano

testi dotati di senso

prendendo le informazioni

da banche dati

BotsAgenti intelligenti o “bots”

(abbreviazione di robots)

sono applicazioni

specializzate nel compiere

una serie di compiti semplici

e ripetitivi su Internet

Test di TuringConcepito da Alan Turing

nel 1950, è un criterio

per determinare

se una macchina sia

capace di pensare, ovvero

di concatenare idee

IntelligenzaartificialeEspressione coniata

nel 1956 dal matematico

John McCarthy. Lo scopo:

far fare alle macchine cose

che richiedono l’intelligenza

se fatte dagli uomini

SingolaritàIn futurologia una singolarità

tecnologica è il punto,

nello sviluppo della civiltà,

in cui le macchine

potrebbero diventare

più intelligenti di noi

GLOSSARIO

LIB

RI

GIORNALISMO

Neppure il giornalismo è stato

risparmiato dal fenomeno

Tra i software che si collegano

alle agenzie o ai risultati

delle partite, e da quelle

estrapolano degli articoli pronti

per andare in pagina, due esempi

da segnalare sono:

StatsMonkey

http://infolab.northwestern.edu/

projects/stats-monkey

Narrative Science

www.narrativescience.com

David Cope

EDITINGFormatta i risultati, ovvero

suddivide in automatico

il testo in capitoli, sceglie cosa

merita di diventare titolo,

impagina testo e figure

(come se fosse un editor

in carne e ossa)

LAYOUTCrea una copertina

A seconda del genere ci sono

diversi template. I rapporti

hanno la cartina geografica

del paese cui si riferiscono

(come se fosse

un designer grafico)

VENDITAMette in vendita il libro

nelle librerie elettroniche

Il file viene caricato

in automatico su Amazon

o altri siti di e-commerce

(come farebbe un agente

commerciale)

COSTIIl processo, per un volume

di 250 pagine, dura circa

13 minuti. Il costo

di produzione di ogni libro,

escluse le centinaia di migliaia

di euro per il software,

è di 0,20-0,50 dollari

NOTE E CONCERTI

Anche il componimento musicale

è stato automatizzato

Il primo caso fu probabilmente

quello di Ray Kurzweil che nel ’65

suonò in tv un pezzo scritto

da un software . Più di recente

David Cope, professore di musica

all’Università della California

a Santa Cruz, ha inventato Emmy

e poi Annie, due software

intelligenti che creano e scrivono

musica, anche concerti interi,

imitando lo stile dei grandi

compositori del passato

MU

SIC

A

GIOCHI EDUCATIVI

Il professor Philip M. Parker

applica gli stessi software

di automazione anche

alla produzione di video

e videogiochi a sfondo educativo

rivolti a mercati con bassa

produzione editoriale,

come l'Africa. Alcuni di questi

progetti sono stati finanziati

anche dalla Bill e Melinda Gates

Foundation

Farm Defenders

www.farmdefenders.comVID

EO

GA

ME

AR

TIC

OL

I

IL PROGRAMMA

Philip M. Parker, professore

di marketing alla francese Insead,

è l’inventore di un sistema

informatico per compilare libri

Personalmente su Amazon

è autore di 100mila titoli

La sua azienda

(www.icongrouponline.com)

ne ha prodotti oltre700mila

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LA DOMENICA■ 36

DOMENICA 6 GENNAIO 2013

Trasparente o colorato, croccante o

gelatinoso: vive il suo trionfonella preparazione dei dolcetti

della Befana.Dal carbone ai lecca lecca

I saporiCaramelle

Basta un poco di zucchero

Gli indirizziTorinoPASTIGLIE LEONE

Via Italia 46

Località Collegno

Tel. 011-484759

MilanoLA CASA

DEL DOLCE

Via Col di Lana

Tel. 02-89406261

BergamoPASTICCERIA

CAVOUR

Via Gombito 7

Tel. 035-243418

TrentoCASA DEL

CIOCCOLATO

Via Belenzani 21

Tel. 0461-234532

GenovaROMANENGO

Via Roma

51/53 R

Tel. 010-580257

BolognaLA CARAMELLA

DI GINO FABBRI

Via Cadriano 27/2

Tel. 051-505074

FirenzeDOLCE EMPORIO

Borgo San

Frediano 128 R

Tel. 055-2398741

RomaCAFFÈ VICERÈ

Via Francesco

Grimaldi108

Tel. 06-5562751

NapoliLECCA LECCA

Via Domenico

Capitelli 8

Tel. 081-5512958

Tema: “La ragazza Clown”. Svolgimento: operaartistica pasticcera in zucchero colato, soffia-to, tirato, pastigliaggio e zucchero pressato.Premio: il titolo di “The star of sugar 2013”.Sembra il trailer di un film ad alto tasso glice-mico: è l’assunto del concorso internazionale

dell’arte dello zucchero artistico, in programma tra due set-timane al Sigep, la fiera della pasticceria di Rimini. Il Nataledella grande crisi ha coinciso con la rivincita del fai-da-teculinario, esteso dall’antipasto al dolce, panettone e dol-cetti compresi. Una scia infarinata di grembiuli strapazzatie ditate sui libri di ricette, pentolini vetrificati dal caramelloe bianchi montati a neve fermissima come nemmeno aCourmayeur, stampini imburrati e colate di cioccolato fu-so, su su fino ai forum virtuali dove imparare i segreti di glas-se e marshmallow. Obiettivo ultimo, il trionfo zuccherinodell’Epifania, passerella per i microgioielli dolci da calzadella Befana formato 2.0. Se la generazione del boom eco-nomico è cresciuta tra lacci di liquirizia e gommose alla frut-ta, caramelle mou e mattonelle di cotognata, i figli del terzomillennio schiacciano il naso contro le vetrine tutte colori emerletti zuccherini, sublimate nei virtuosismi del cake de-sign. I padri della moderna pasticceria italiana, da IginioMassari a Gino Fabbri, storcono il naso e puntualizzano ladifferenza tra bello e buono. Il guaio è che lo zucchero — tra-sparente o colorato, mescolato o puro, in versione croc-cante o gelatinosa — sa tentare come pochi altri ingredien-

ti, capace com’è di prendere le sembianze ruvide di un pez-zo di carbone o quelle maliziose del lecca lecca.

Poco importa se la vecchina della calza è quanto di più di-stante dai crismi della seduzione. Mezzo secolo dopo l’u-scita di A qualcuno piace caldo, la frase con cui MarilynMonroe si presenta — «Salve, io sono Zucchero Candito. Hocambiato cognome, mi chiamavo Zucchero Kandinski» —resta tra le più golosamente sexy della storia del cinema.

Così, miscelando le torte monumentali e vagamente po-sticce della tradizione anglosassone con le tecniche raffi-nate della pasticceria italiana e francese, i giovani maestridolciari hanno dato nuova allure a prodotti da forno e cara-melleria, modellando sua maestà lo zucchero come la piùduttile delle argille. A far la differenza, al di là del talento ne-cessario per decorare e impreziosire, la vocazione al gusto,requisito indispensabile per evitare che un pan di spagnamediocre venga spacciato come capolavoro d’arte biancagrazie a una forma originale o al profluvio di merletti zuc-cherini. In caso di forfait all’appuntamento romagnolo del19 gennaio, consolatevi con una delle ricette del parmigia-no Davide Cassi, il fisico gourmand che ha insegnato lemagìe della cucina molecolare ai migliori cuochi italiani.Scoprirete che lo zucchero si può domare, sostituire con ilfruttosio o con la mirabolante Stevia, e perfino ignora-re, come nelle meringhe lavorate con l’acqua. Poi, seproprio volete, aggiungete una zolletta al caffè.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Sugar BabyLICIA GRANELLO

Tipici dolci

delle feste, a base

di zenzero, decorati

con pasta

di zucchero

di vari colori

Omini di pandi zenzero

PalermoI PECCATUCCI

DI MAMMA ANDREA

Via Principe di Scordia 67

Tel. 091-334835

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 6 GENNAIO 2013

Lunga lavorazione

per la miscellanea

di zucchero a velo,

gomma arabica,

succhi ed essenze

che dà vita

alle pastiglie, colorate

in maniera naturale

Per lo zucchero

roccia, albumi

a neve, zucchero,

colorante nero, poco

limone, un cucchiaio

di vodka,

da aggiungere

al caramello biondo

Colla di pesce

ammorbidita

e strizzata,

da mescolare

al succo di frutta,

portato a bollore

con poco limone

Raffreddare in frigo

Acqua e zucchero

fino a 145°,

inumidendo l’interno

del pentolino

con un pennello. Fuori

dal fuoco appoggiare

su un panno. Frusta

tronca per tirare i fili

Succo di frutta,

zucchero e acqua

fino a bollore

Versare

negli stampini tondi

imburrati o unti d’olio,

inserendo

un bastoncino

Zucchero in acqua

bollente finché

si deposita. A bollore

e poi in un bicchiere

con un bastoncino,

coperto

con un panno

per qualche giorno

Zucchero, farina,

amido di riso

e coloranti alimentari

per la minutaglia

che accende

di colore biscotti,

torte e i celebri

struffoli napoletani

Due cucchiai colmi

d’acqua colorata

a piacere per etto

di zucchero sul fuoco

fino a 115°. Versare

a gocce sulla carta

da forno e lasciar

raffreddare

I dolcetti un tempo

fatti con il succo

mucillaginoso

di Althaea Officinalis

si preparano

sbattendo

lo zucchero,

con acqua e gelatina

Un chilo di zucchero

e quattro bicchieri

d’infuso d’orzo cotti

a fuoco dolce,

fino a colore dorato

Stendere le caramelle

su un piano

unto d’olio di girasole

Ènata prima la befana o la calza? La seconda.Perché senza questo seducente accessorio lavecchia volante non avrebbe fatto la carriera

che ha fatto. In realtà la magia della calza è molto piùantica dell’Epifania. Risale addirittura a quelle deeche sin dalla notte dei tempi simboleggiano il fasci-no del femminile. Segreto e discreto, inquietante econturbante, malizioso e giudizioso. Come la ninfaEgeria, consigliera e amante di Numa Pompilio. Cheseduceva il secondo re di Roma con la dolcezza deidoni che nascondeva nelle calze. Regali, ammoni-menti e profezie. Dalla mitica lingerie della ninfa al-la leggendaria calza della befana il passo non è bre-ve. Ma è inevitabile. Perché il cristianesimo non silascia sfuggire un rituale di grande presa come il bi-lancio di fine anno, con tanto di pagella che assegnapremi e castighi a grandi e piccini. E così mette il suomarchio sul format pagano. Anche se lo ristilizza,

trasformando la ninfetta avvenente in una centena-ria cadente. Per significare l’anno vecchio che se neva. Madre natura alla fine del suo ciclo.

Ma il potere delle calze resta. Che si tratti di quellevelatissime di Monica Bellucci o di quelle attillatissi-me di Roberto Bolle. Di quelle rigate di Pippi Calze-lunghe o di quelle disegnate di Betty Boop. E persinodi quelle rattoppate della buona vecchina. Perchétutte velano e svelano le loro dolcezze. Da mangiareo da sognare. Nascondono e lasciano trasparire, inostri desideri come il nostro avvenire. Una ricettasemplicissima che fa della calza un simbolo per tut-te le stagioni. E anche per tutte le passioni. Compre-se quelle proibite. Come lo zucchero. Oggi demo-nizzato dai diabetologi come una volta lo era il sessodai teologi. In ogni caso resta una questione di sognipiù che di bisogni. Di sfizio e non di vizio.

Quando la calza nascondeva profezie divineMARINO NIOLA

A tavola

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lavorare con le mani per ottenere una massa compatta. Per realizzaredecorazioni a più colori, fare impastidifferenti con le stesse proporzioniStendere con un mattarello su una base di fecola, amido di riso o maizena (non farina, che farebbe ingiallire la pasta),appiattendo all’altezza desiderata. Ottenute delle “sfoglie” di pasta di zucchero di diversi colori(verde, rosa e azzurro), si tagliano a piacere creando disegni ed effetti cromatici. Per attaccarle sulle superfici (torte, biscotti) si usa dell’albume d’uovo o un velo di marmellata d’albicocche La pasta di zucchero si conserva al freddo in sacchetti da frigo

LA RICETTA

Pasta di zucchero

Ingredienti

1 kg di zucchero200 g. di glucosio100 g. di acquacoloranti naturali in polvere

Zuccherofilato

Carbonedolce

PastiglieLeone

Leccalecca

Gommosealla frutta

Marshmallow

Diavolettimulticolori

Cristallidi zucchero

Caramelled’orzo

Ginevrinecolorate

(dal libro Cake à porter di Roberto Rinaldini)

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LA DOMENICA■ 38

DOMENICA 6 GENNAIO 2013

Cantante, compositore e produttore,con i Velvet Underground indicò una nuova strada al rockAdesso, a settant’anni, è di nuovo in tour e confessa: “Credo

che la magia di quell’epoca fosse legata al fatto di averelimiti da superareMa immaginate

cosa avrebbe potuto fareAndy Warhol con un iPhonee YouTube...”

LONDRA

Li vedi girare per Brick Lanecon le cuffie sulle orecchiee il passo svelto. Sono itanti ragazzi che cammi-

nano nell’East London immersi nellaloro musica preferita, e non ce n’è unodi loro che non svolti all’altezza di DryWalk, la piccola strada dove è nascostoRough Trade, uno dei migliori negozidi dischi al mondo. Tra scaffali stracol-mi di cd e poster che segnalano le nuo-ve leve del rock indipendente, comeFoals, Tame Impala o Local Natives,non passa inosservato il cofanetto dilusso che raccoglie gran parte dei bra-ni dei Velvet Underground. Nuovo dizecca, è una riedizione che celebra iquarantacinque anni della pubblica-zione dell’iconico album di debuttoThe Velvet Underground & Nico, ribat-tezzato «banana album» per via del-l’immagine “sbucciabile” in coperti-na, prodotto da Andy Warhol nel 1967e presto diventato uno dei dischi dimusica rock e avant-garde più impor-tanti di tutti i tempi.

John Cale, che insieme a Lou Reedfondò due anni prima a New York il su-pergruppo in cui militavano ancheSterling Morrison alla chitarra, Mau-reen “Moe” Tucker alle percussioni eNico alla voce, si guarda intorno com-piaciuto e stupito mentre Rough Tra-de inizia a riempirsi di giovani, accorsilì apposta per lui. A settant’anni (com-piuti lo scorso marzo) il rocker galleseè una leggenda vivente. Polistrumen-

tista, cantante, compositore, produt-tore e collaboratore di alcuni fra gli ar-tisti più influenti della storia del rock,da Patti Smith (sua la produzione arti-stica di Horses nel 1975) agli Stooges diIggy Pop, fino a Nick Drake, Brian Eno,Nico (per l’album Chelsea Girl), Sioux-sie & the Banshees, The Modern Lo-vers, è oggi in piena attività, e ha da po-co pubblicato per la Double Six/Do-mino Records il suo nuovo lavoro dasolista Shifty Adventures in NookieWood, che arriva sette anni dopo l’ulti-mo Black Acetate. «Mi diverte moltovedere tutti questi ragazzi che mi avvi-cinano per parlare di musica», confes-sa Cale, seduto su una poltroncina gi-revole nel minuscolo ufficio del nego-zio, dove più tardi firmerà ai fan le co-pie del nuovo disco, «è incredibile per-ché sono informati su tutto quello chesto facendo, e poi sono pieni di entu-siasmo, ti stanno addosso perché han-no un interesse autentico. Anche negliultimi concerti che ho fatto in Europa,ho trovato un mucchio di giovani sot-to il palco, e c’erano anche molte cop-pie di padri e figli che conoscevano giàtutte le nuove canzoni. Una cosa stra-biliante». Eppure questo «vecchio leo-ne dell’avanguardia», come è stato de-finito dall’Independent, non dovrebbesorprendersi che anche i più giovani loconsiderino un mito. Basterebbe soloripercorrere la breve epopea dei VelvetUnderground, per capire da dove na-sce questa forma di venerazione neisuoi confronti: sono il gruppo che hamaggiormente influenzato la musicamoderna e contemporanea, e che nel-l’epoca del “flower power” ha impres-so una svolta edonistica e tenebrosa alrock degli anni Sessanta, con musichedecadenti e disperate (si pensi a He-roin, Venus in Furs o Femme fatale) etesti oscuri dove irrompevano storie ditossicodipendenza e alienazione so-ciale. John Cale a quel tempo avevavent’anni e stava fuggendo da un pas-sato asfissiante. «Da ragazzino vivevoa Garnant, nel Galles, ma la città deimiei sogni era New York. Ricordo chepassavo la maggior parte del tempo aimmaginare di trovarmi altrove, lon-tano da quel posto. Pur non essendoun villaggio così piccolo, mi disgusta-va lo stesso e volevo andarmene il pri-ma possibile. Avevo imparato presto asuonare il pianoforte e la viola, perciòmi trasferii a Londra per studiare mu-sica sperimentale al Goldsmiths Colle-ge e poi a New York. Da lì in poi la mia

vita è cambiata radicalmente, anche seil legame con le mie radici non si è maispezzato e resta presente nella miamusica». Cruciale si rivelò l’incontrocon John Cage, il compositore statuni-tense che ha dato un impulso fonda-mentale nel corso del Novecento all’e-voluzione della musica contempora-nea e alla ricerca sul silenzio come ma-teria sonora. Cale e Cage lavoraronoanche insieme sulla prima esecuzioneassoluta di Vexations di Erik Satie, nelsettembre del 1963 al Pocket Theatredi Manhattan. «Sono stato letteral-mente rapito dalle teorie di Cage inparticolare sul rapporto tra il rumore eil silenzio», ricorda l’autore di SundayMorning, capelli ossigenati, giacconeda rapper e sguardo da eterno ragazzoche tradiscono la sua età, «mi aveva af-fascinato la sua visione dell’impossi-bilità del silenzio assoluto. E personal-mente resto convinto che il rumore sianecessario sempre, è come un naviga-tore satellitare che ti guida, e prima

dell’immagine è il suono che ti proiet-ta in un luogo». L’impatto con la scenaartistica e l’ala più sperimentale dell’a-vanguardia newyorchese nei primianni Sessanta fu per Cale talmente tra-volgente da lanciarlo nel futuro dellamusica: i Velvet Underground. Unaband che ha fatto la storia del rock’n’-roll con una miscela sonora che il NewYork World Journal Tribune definì co-me «il frutto del matrimonio segretofra Bob Dylan e il Marchese De Sade».«In realtà volevamo soltanto suonarela musica che ci piaceva», spiega Cale,«ma c’era davvero uno spazio enorme,in quegli anni, per la sperimentazionee l’improvvisazione in ambito artisti-co. È un’attitudine che ho poi mante-nuto anche nella carriera da solista.C’è un mio album del 1982, Music for aNew Society, dove ho improvvisato tut-to, il registratore girava e tutto quelloche suonavamo è finito sul disco, sen-za filtri. Lou Reed aveva lo stesso tipo diapproccio alla musica, e in questo sen-so il suo apporto fu determinante neiVelvet Underground: aveva una capa-cità straordinaria di improvvisare. Sisedeva a suonare la chitarra e intantoimprovvisava con le parole partendodalle cose che gli erano successe du-rante il giorno».

Nacque così anche Sunday Mor-ning, capolavoro di musica pop, e poiquasi tutte le altre canzoni dell’albumdi debutto come I’m Waiting for theMan, Run Run Rune I’ll be your Mirror,sempre attraversate da un senso di de-cadente bellezza e dalle esplosionifuori controllo della viola elettrica diCale. Registrato nell’aprile del 1966agli Scepter Studios di New York, TheVelvet Underground & Nico aveva pre-so forma nei mesi precedenti durantele sessioni di prova alla Factory diWarhol, che divenne produttore delgruppo per poi catapultarlo sui palchidei club degli Stati Uniti, a partire dalDom in St. Mark’s Place a New York,dove per la prima volta i Velvet si esibi-rono in occasione di uno show ideatodallo stesso Warhol, l’Exploding Pla-stic Inevitable. «Andy aveva veramen-te compreso il valore della comunica-zione nell’arte, ma si era spinto oltre fi-no a infrangerne le regole, per esempioproiettando immagini e filmati sui no-stri corpi, mentre suonavamo durantele sue performance. Non so immagi-nare che cosa sarebbe riuscito a creareavendo a disposizione un iPhone oYouTube, ma credo che la magia di

quel periodo fosse proprio legata alfatto di avere dei limiti da superare.Oggi, a distanza di anni, riesco a speri-mentare ancora di più, perché sono di-rettamente responsabile di tutto quel-lo che faccio, mentre una volta dovevoaspettare il riscontro degli altri». Nonci fu troppo da discutere, però, quan-do Warhol portò in dote ai Velvet Un-derground il fascino algido e la vocemalinconica e vellutata di Christa Päff-gen, in arte Nico, una modella di Colo-nia approdata alla Factory dopo cheBob Dylan l’aveva presentata al pio-niere della Pop Art. «Era amatissimadai giovani, e non solo per le sue can-zoni», rammenta Cale, «aveva questoincredibile talento nella scrittura deitesti, e Andy ne era esaltato. Adesso stolavorando su un evento che le dedi-cheremo il 16 gennaio alla BrooklynAcademy of Music a New York (“LifeAlong the Borderline: A Tribute to Ni-co”, ndr), e con me sul palco ci sarannoKim Gordon dei Sonic Youth, Joan asPolice Woman, Mark Lanegan, gli Yea-sayer e molti altri. Vorrei che tutti sa-pessero che Nico non ha cantato sol-tantoAll Tomorrow’s Parties, che la suaproduzione è vasta e di grande pregio».A settant’anni, l’età anagrafica di Caleè un fattore assolutamente relativo,come lo è per Mick Jagger o Paul Mc-Cartney. Ha più di trenta album da so-lista all’attivo, e non gli bastano. «Saròin tour negli Stati Uniti e nel nord Eu-ropa per quasi tutto l’inverno, e a mar-zo voglio tornare di nuovo in Italia perla presentazione del nuovo disco. Èuna promessa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’incontroPionieri

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Lou Reed si sedeva

e improvvisava:suonando la chitarrainventava paroleispirate a quello che gli era successodurante la giornata

John Cale

GUIDO ANDRUETTO

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Repubblica Nazionale