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1 LA DIVISIONE BONAVENTURIANA DELLA FILOSOFIA: LETTURA DI “COLLATIONES IN HEXAËMERON” 3.2 Andrea Di Maio * 1. INTRODUZIONE Fra le divisioni medievali della filosofia, quella proposta da Bonaventura di Bagnoregio 1 riveste un interesse tutto particolare, sia perché intende sintetizzare le diverse divisioni ereditate dal passato, sia perché sottintende una visione abba- stanza originale del sapere e della realtà, enfatizzando e reinterpretando il princi- pio aristotelico che “scientiae secantur quemadmodum et res” 2 , sia perché, para- dossalmente, pur essendo uno degli autori medievali che più si è interessato alla divisione del sapere in generale e della filosofia in particolare, tuttavia non ha scritto alcuna opera filosofica: tutte le divisioni, anche quelle molto articolate, so- no in contesto teologico. Le principali sistematizzazioni del sapere da lui ereditate sono: la divisione accademica, stoica ed agostiniana della filosofia in Fisica (o, per i latini, filosofia naturale), Logica (o filosofia razionale), Etica (o filosofia morale); la divisione aristotelica del sapere in “logica” e in filosofia teoretica (Fisica, Matematica e Filosofia prima – detta anche Teologia o Sapienza, o dai posteri Metafisica), pra- tica (Etica, Economia, Politica) e poietica (Poetica e Retorica); l’articolazione didattica tardo-antica e altomedievale delle arti liberali (in opposizione a quelle meccaniche o servili) del Trivio (Grammatica, Retorica e Dialettica – o Logica), e del Quadrivio (Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia); la distinzione ebraica ma soprattutto cristiana tra conoscenza naturale accessibile a tutti gli uo- –––––––––– 1 Sancti Bonaventurae Opera omnia, Ad Claras Aquas (Quaracchi) 1882-1902 (in 10 volumi). Breviloquium e sermoni teologici sono citati dall’editio minor: Opera theologica selecta, vol. 5, Ad Claras Aquas 1964. Le collazioni in Hexaëmeron sono citati per la prima recensione dalla edi- tio maior; per la seconda recensione da Sancti Bonaventurae Collationes in Hexaëmeron et bona- venturiana quaedam selecta, edidit F. Delorme, Ad Claras Aquas 1934. Gli altri testi bonaventu- riani citati sono desunti dal CETEDOC Library of Christian Latin Texts - CLCLT-3, Lovanii Novi - Turnhout 1997 [ossia Breviloquium, Itinerarium, De reductione, De scientia Christi, Legenda maior e minor, Sermones dominicales, De donis, In Hexaëmeron (Delorme)]. Si tengano presenti le seguenti abbreviazioni: Brev (Breviloquium), Don (De donis), Hex (In Hexaëmeron, prima re- censione), HexD (In Hexaëmeron, recensione edita da Delorme), Itin (Itinerarium mentis in Deum), Red (De reductione artium ad theologiam), Sent (In Sententiarum libros). I testi di Tom- maso d’Aquino sono citati dal CD: R. Busa, Sancti Thomae Aquinatis opera omnia cum hypertex- tibus in CD-ROM, Milano 1992; 2 1996. 2 Sent 3.35 ad db 1; cf Aristotele, De Anima 3.8.

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LA DIVISIONE BONAVENTURIANADELLA FILOSOFIA:

LETTURA DI “COLLATIONES IN HEXAËMERON” 3.2

Andrea Di Maio

* 1. INTRODUZIONE

Fra le divisioni medievali della filosofia, quella proposta da Bonaventura diBagnoregio 1 riveste un interesse tutto particolare, sia perché intende sintetizzarele diverse divisioni ereditate dal passato, sia perché sottintende una visione abba-stanza originale del sapere e della realtà, enfatizzando e reinterpretando il princi-pio aristotelico che “scientiae secantur quemadmodum et res” 2, sia perché, para-dossalmente, pur essendo uno degli autori medievali che più si è interessato alladivisione del sapere in generale e della filosofia in particolare, tuttavia non hascritto alcuna opera filosofica: tutte le divisioni, anche quelle molto articolate, so-no in contesto teologico.

Le principali sistematizzazioni del sapere da lui ereditate sono: la divisioneaccademica, stoica ed agostiniana della filosofia in Fisica (o, per i latini, filosofianaturale), Logica (o filosofia razionale), Etica (o filosofia morale); la divisionearistotelica del sapere in “logica” e in filosofia teoretica (Fisica, Matematica eFilosofia prima – detta anche Teologia o Sapienza, o dai posteri Metafisica), pra-tica (Etica, Economia, Politica) e poietica (Poetica e Retorica); l’articolazionedidattica tardo-antica e altomedievale delle arti liberali (in opposizione a quellemeccaniche o servili) del Trivio (Grammatica, Retorica e Dialettica – o Logica),e del Quadrivio (Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia); la distinzioneebraica ma soprattutto cristiana tra conoscenza naturale accessibile a tutti gli uo-

––––––––––1 Sancti Bonaventurae Opera omnia, Ad Claras Aquas (Quaracchi) 1882-1902 (in 10 volumi).

Breviloquium e sermoni teologici sono citati dall’editio minor: Opera theologica selecta, vol. 5,Ad Claras Aquas 1964. Le collazioni in Hexaëmeron sono citati per la prima recensione dalla edi-tio maior; per la seconda recensione da Sancti Bonaventurae Collationes in Hexaëmeron et bona-venturiana quaedam selecta, edidit F. Delorme, Ad Claras Aquas 1934. Gli altri testi bonaventu-riani citati sono desunti dal CETEDOC Library of Christian Latin Texts - CLCLT-3, Lovanii Novi -Turnhout 1997 [ossia Breviloquium, Itinerarium, De reductione, De scientia Christi, Legendamaior e minor, Sermones dominicales, De donis, In Hexaëmeron (Delorme)]. Si tengano presentile seguenti abbreviazioni: Brev (Breviloquium), Don (De donis), Hex (In Hexaëmeron, prima re-censione), HexD (In Hexaëmeron, recensione edita da Delorme), Itin (Itinerarium mentis inDeum), Red (De reductione artium ad theologiam), Sent (In Sententiarum libros). I testi di Tom-maso d’Aquino sono citati dal CD: R. Busa, Sancti Thomae Aquinatis opera omnia cum hypertex-tibus in CD-ROM, Milano 1992; 21996.

2 Sent 3.35 ad db 1; cf Aristotele, De Anima 3.8.

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mini e conoscenza rivelata ai soli credenti (secondo quello che chiamiamo“schema del doppio”).

La lessicografia trova nelle “divisioni delle scienze” un’applicazione parti-colarmente brillante. Sul piano linguistico, infatti, la divisione delle scienze consi-ste in una tassonimia di tipo funzionale, i cui elementi sullo stesso livello gerar-chico si determinano reciprocamente per antonimia (od opposizione verbale) 3.

La tassonimia è la struttura logica ad albero che ordina le parole (o meglio, iloro significati) secondo rapporti di implicazione. Per tipo di ordinazione, la tas-sonimia può essere classificatoria (in generi e specie, come nell’albero di Porfi-rio: ad esempio, ‘casa’ si divide in ‘palazzo’, ‘appartamento’…), componenziale(in intero e parti integranti: ad esempio, ‘casa’ si divide in ‘fondamenta’, ‘mura’,‘tetto’…) e funzionale (in totalità potestativa e in parti potenziali). Nella tassoni-mia classificatoria l’iperonimo generale si predica universalmente dell’iponimospeciale ma non viceversa (ogni appartamento è una casa, ma non ogni casa è unappartamento); nella tassonimia componenziale né gli iponimi integranti si predi-cano dell’iperonimo integrale né l’iperonimo integrale si predica dei singoli ipo-nimi integranti, ma semmai della loro somma completa (né la casa è parete, né laparete è casa, ma la casa è le pareti, più le fondamenta, più il tetto, più i piani…);nella tassonimia funzionale – media tra le prime due – l’iperonimo potestativo sipredica dell’iponimo, ma in modo imperfetto, perché consiste nella somma com-pleta degli iponimi. Il sistema delle scienze filosofiche è appunto una tassonimiadi questo tipo.

Ci proponiamo di esaminare in Bonaventura tale tassonimia (pure già abbon-dantemente studiata 4) attraverso la lectura (in chiave di ermeneutica lessi-

––––––––––3 Cf i paragrafi 1, 15-39, 61, 72, 85-86, 95 e 115 del mio Il concetto di Comunicazione. Sag-

gio di lessicografia filosofica e teologica sul tema di ‘communicare’ in Tommaso d’Aquino, Roma1998.

4 Cf solo per il problema della divisione bonaventuriana delle scienze: Chr. Wenin, Les clas-sifications bonaventuriennes des sciences philosophiques, in: Scritti in onore di G. Giacon, Pado-va 1972, pp. 189-216; B. Hinwood, The Principles underlying St. Bonaventure’s Division of Hu-man Knowledge, in: J. G. Bougerol (a c. di), S. Bonaventura 1274-1974, Grottaferrata 1973, v. 3,pp. 463-504; H. M. Stiebing, Bonaventuras Einteilung der Wissenschaften als Beleg für universal-kategoriales Vorgehen in der Wissenschaftstheorie des Mittelalters. Eine semiotische Analyse, in:Sprache und Erkenntnis im Mittelalter, Berlin 1982* (“Miscellanea Mediaevalia” 13), v. 2, pp.602-608; A. Speer, Triplex Veritas. Wahrheitsverständis und philosophische Denkform Bona-venturas, Dietrich Cölde Verlag, Werl 1987; C. Del Zotto, La sistematizzazione della filosofia eteologia del cuore di S. Bonaventura, in G. Beschin (a c. di), Antonio Rosmini, filosofo del cuore?Philosophia e theologia cordis nella cultura occidentale (Atti del Convegno tenuto a Rovereto il6-7 ottobre 1993), Trento - Brescia 1995, pp. 113-46. Per problemi connessi Cf anche C. Bérubé,De la Philosophie à la Sagesse chez Saint Bonaventure et Roger Bacon, Istituto Storico dei Cap-puccini, Roma 1976; R. Russo, La metodologia del sapere nel sermone di san Bonaventura“Unus est Magister vester Christus”. Con nuova edizione critica e traduzione italiana, Grottafer-rata 1982 (“Spicilegium Bonaventurianum” 22); P. Maranesi, Formazione e sviluppo del concettodi “Verbum Inspiratum” in San Bonaventura, in “Collectanea Franciscana” 64 (1994), pp. 5-87;E. Cuttini, Scienza e teologia nel “De reductione artium ad theologiam” di Bonaventura da Ba-gnoregio, in “Miscellanea francescana”, 95 (1995), pp. 395-466; Kl. Obenauer, Summa actualitas.

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cografica) del testo che ne contiene l’ultima e più articolata esposizione, nelleCollationes in Hexaëmeron: predicate a Parigi (davanti ai frati minori dell’Uni-versità) tra Pasqua e Pentecoste del 1273, e interrotte, come sappiamo, dalla no-mina di Bonaventura a Cardinale Vescovo di Albano, esse ci sono giunte in duerecensioni 5, frutto di reportatio.

* 2. IL CONTESTO DELLE “SEI VISIONI”

Secondo la dottrina bonaventuriana, i doni dello Spirito Santo sono infusi si-multaneamente nell’uomo giustificato, il quale però deve imparare progressiva-mente ad esercitarli e a stabilizzarli, cominciando dal più “basso” (cioè il timore)e arrivando progressivamente (attraverso l’esercizio di pietà, scienza, fortezza,consiglio) ad esercitare i doni di intelligenza e sapienza. Le Collazioni inHexaëmeron vogliono appunto guidare gli ascoltatori, che sono tutti cristiani“impegnati”, ad esercitare questi due ultimi doni, e in particolare a svilupparel’intellezione del Verbo ispirato in sei stadi o “visioni”. L’opera, fortementestrutturata e quindi a sua volta tassonimica, “collaziona” dunque testi e temi nellacornice delle sei “visioni” di Dio nell’opera di creazione secondo il primo capitolodella Genesi (quando cioè si dice che “Dio vide” – ossia, secondol’interpretazione agostiniana comunemente accettata, “fece vedere” per illumina-zione intellettuale – che la realtà creata “era cosa buona” e “buona assai”). Laprima di queste visioni conterrà (paradossalmente) la filosofia.

Clavis […] contemplationis est intellectus triplex, scilicet intellectus Verbi increati, perquod omnia producuntur; intellectus Verbi incarnati, per quod omnia reparantur; intellec-tus Verbi inspirati, per quod omnia revelantur. […].

Non enim fit revelatio nisi per Verbum inspiratum. […]. Intelligentia enim opus est invisione. Visio autem est triplex […]: corporalis, imaginaria, intellectualis. […]. Praeterhas est visio sestuplex […] quibus minor mundus fit perfectus, sicut maior mundus sexdiebus.

Est visio intelligentiae [1] per naturam inditae, et visio intelligentiae [2] per fidemsublevatae, [3] per Scripturam eruditae, [4] per contemplationem suspensae, [5] per pro-phetiam illustratae, [6] per raptum in Deum absorptae. Ad has sequitur visio [7] septimaanimae glorificatae […]. Primae duae sunt multorum, duae aliae paucorum, hae ultimaepaucissimorum [Hex 3.2 + 3.22-24].

Nell’interpretazione di testi, una delle principali difficoltà consiste nella in-consapevole proiezione delle precomprensioni; tale difficoltà diviene particolar-

––––––––––Zum Verhältnis von Einheit und Verschiedenheit in der Dreieinigkeitslehre des heiligen Bona-ventura, Frankfurt a. M. 1996 (Europäische Hochschulschriften. XXIII. Theologie 559). Cf ancheil mio La divisione bonaventuriana delle scienze. Una applicazione della lessicografia all’erme-neutica testuale, in “Gregorianum” 2000, p. 101-136 e 331-351.

5 La prima recensione (più lunga) è nell’editio maior di Quaracchi; l’altra (più breve, ma cheil reportator asserisce essere stata rivista e corretta dallo stesso Bonaventura) è stata edita succes-sivamente dal padre Delorme (Cf supra).

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mente insidiosa nel tradurre, perché (presentandosi non come difficoltà ma comepresunta facilità) espone il traduttore al rischio della lectio facilior: al rischio cioèdi tradurre la terminologia scolastica adottando sic et simpliciter i corrispettivilessicali nelle lingue moderne (specialmente se neolatine). In realtà, anche quil’urto che tale traduzione riceve dai testi costringe a penetrare in profondità nelpensiero degli autori. È interessante l’esempio del sintagma bonaventuriano‘verbum inspiratum’, che non può esser tradotto ‘Parola ispirata’, intendendo cioèla Sacra Scrittura (come qualche interprete in passato ha opinato), perché talesintagma designa piuttosto il Verbo di Dio reso presente per fede mediante lo Spi-rito Santo nel cuore dei fedeli 6. Forse non a caso tale concetto chiave della teolo-gia bonaventuriana ha potuto essere messo in luce adeguata solo in questi ultimianni, in cui la maggiore difficoltà di capire il latino ha indotto gli interpreti a cer-car di tradurre il sintagma (che prima tutti credevano di capire), e proprio le primetraduzioni, che non riuscivano a calzare a tutti i testi, con la loro inadeguatezzahanno indotto altri interpreti a studiare e capire più a fondo il concetto.

‘Intellectus’ qui non è la facoltà, ma il suo abito (ovvero la sua attività abi-tuale, di sottofondo): per tradurlo si potrebbe usare il termine inglese (reso celebreda Lonergan) di ‘insight’, oppure i termini italiani ‘intelligenza’ o ‘intellezione’(precisando che si tratta di una azione non puntuale, ma continuativa), oppure‘intuizione’ (che però non è immediata). La fonte (perlopiù misconosciuta) di taleconcetto è probabilmente la dottrina (contenuta nel primo capitolo della secondalettera di Pietro) della ‘epígnosis’, l’intuizione per fede che il cristiano ha del Cri-sto “secondo lo Spirito”, e che fonda ogni virtù e ‘gnôsis’ cristiana. Dietro a que-sta dottrina c’era il problema dei discepoli “di seconda mano”, che come lo stessoPaolo 7 non avevano conosciuto il Gesù storico ( “secondo la Carne”), ma solo ilCristo della fede (“secondo lo Spirito”), il che però era l’essenziale. Tale conce-zione d’origine biblica ovviamente si intreccia con la dottrina aristotelicadell’intelletto come abito dianoetico dei primi principî.

Ma la struttura della divisione interna della filosofia va inserita (per il conte-sto ebraico-cristiano) in una macrostruttura (che possiamo chiamare “schema deldoppio”) in condominio con la teologia confessionale.

Fugacemente ipotizzato da Platone (nel Fedone, a proposito di una ipoteticarivelazione di un dio, che renda più sicura la navigazione filosofica), tale schemaè però assente dal pensiero filosofico classico, mentre invece è implicitamente co-stitutivo del messaggio biblico. In alcuni testi biblici (e nella conseguente tradi-zione interpretativa) tale schema è anche esplicitamente tematizzato nel salmo 61:“Una Parola ha detto Dio; due ne ho udite”, ossia il “potere” e la “grazia”: l’unicoVerbo divino si esprime nell’economia come duplice Verbo creatore e rivelatore.Il primo testo esplicito è il salmo 18, con la lode della duplice manifestazione diDio: nel Mondo creato (“I cieli narrano la gloria di Dio […]; non è linguaggio enon sono parole di cui non si oda il suono”) e nella Legge rivelata, o Torah (“La

––––––––––6 Cf Hex 3 e 127 2Cor 5,16; HexD 2.2.6-7.

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Legge del Signore è perfetta…”). Del resto già il redattore del primo capitolodella Genesi aveva simbolicamente inserito nel racconto della creazione le “dieciparole” (“Dio disse”).

Il salmo non specifica se la conoscenza di Dio tramite il creato sia possibileanche al di fuori di un contesto di fede: sarà il libro intertestamentario e deutero-canonico della Sapienza ad affermarlo senza possibilità di equivoco in forzadell’analogia 8. Tale schema soggiace alla sfumata e complessa reinterpretazionepaolina 9: gli etnici pur senza rivelazione possono conoscere che c’è Dio, ma nonpossono tuttavia conoscere Dio. Ma la formulazione ontologicamente più rile-vante dello schema del doppio è il prologo giovanneo, con la sua esplicita affer-mazione che l’unico Verbo in quanto concreatore è la luce che illumina atemati-camente tutti gli uomini (che pertanto non sanno di essere illuminati dal Verbo), ein quanto incarnato è la pienezza della rivelazione accolta tematicamente dai cre-denti. Su questa dottrina si innesta quella, sopra accennata, del Verbo ispirato.

L’intellezione del Verbo è per Bonaventura triplice: alla luce del contestoprecedente si distingue una intellezione della Parola increata (che tutti gli uominihanno atematicamente in ogni loro conoscenza vera), una della Parola incarnata(che tutti i credenti hanno riconoscendo in Gesù il Cristo), e una della Parola ispi-rata (che solo i giusti hanno). E solo quest’ultima intellezione è l’intelletto donodello Spirito Santo.

Effetto straordinario di tale intelletto è la triplice visione (corporale, immagi-naria, intellettuale) concessa ai “veggenti”, secondo una distinzione classica apartire da Agostino 10. Ma effetto ordinario di tale intelletto è la sestuplice visioneconcessa già in via ai giusti.

Esplicitandone l’elenco alla luce della trattazione successiva, possiamo elen-care sei fasi diacronicamente successive (e sei livelli di crescente perfezione edifficoltà) nell’esercizio dell’intelligenza: la ricerca innata, l’ascolto per fede, lameditazione biblica, la contemplazione, la profezia, l’unione mistica (le ultimedue di fatto raggiunte solo da pochissimi, ma in linea di principio accessibili atutti i credenti).

Quanto infine all’aporia della filosofia (sapere di per sé naturale) inseritacome prima visione dell’intelligenza del Verbo ispirato (che è sovrannaturale), sipuò rispondere in primo luogo che l’ascetica cristiana fa ripercorrere lo studiodella filosofia collocandolo in un nuovo orizzonte di senso (cristocentrico), e insecondo luogo che non quanto alle nove scienze la filosofia è oggetto della intel-lezione del Verbo ispirato, ma quanto alla sapienza promessa dai filosofi e da loronon data. In altre parole, la grazia porterebbe a compimento un processo di per sénaturale, ma irrimediabilmente interrotto dal peccato. Si può discutere dal punto

––––––––––8 Cf Sap 13,1-9. Trattandosi di un libro deuterocanonico, ricevuto dalla Chiese cattolica ed

ortodosse, ma non dalle riformate, determinerà il diverso sviluppo della questione teologico filoso-fica nelle diverse tradizioni.

9 Cf At 17; Rom 1,19-21; 2,14-15; 1Cor 1-2.10 De Genesi ad litteram 1.12.6.15.

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di vista teorico la dottrina, ma non la si può certo accusare di incoerenza o confu-sione di piani.

* 3. LA TASSONIMIA RICAPITOLATIVADELLE NOVE SCIENZE FILOSOFICHE

Dopo aver trattato sommariamente (ma completamente) i contenuti delle no-ve scienze filosofiche e prima di passare alla trattazione della Sapienza filosofica,Bonaventura (ma solo secondo la prima reportatio pervenutaci) ricapitola in unatassonimia particolareggiata la divisione della filosofia.

Haec sunt novem lumina illustrantia animam, scilicet veritas rerum, vocum, morum: re-rum, scilicet essentiarum, figurarum, naturarum quantum ad quidditatum differentias oc-cultas, quantum ad quantitatum proportiones manifestas, quantum ad naturarum proprie-tates mixtas. Primo metaphysica, secundo mathematica, tertio naturalis seu physica.

Veritas vocum tripliciter: quantum ad locutiones, argumentationes, persuasiones; primoquantum ad locutiones indicantes mentis conceptus; secundo quantum ad argumentationestrahentes mentis assensus; tertio quantum ad persuasiones inclinantes mentis affectus;prima grammatica, secunda logica, tertia rhetorica.

Veritas morum tripliciter: quantum ad modestias, industrias, iustitias: modestias, quan-tum ad exercitationes consuetudinales; industrias, quantum ad speculationes intellectuales;iustitias, quantum ad leges politicas. Prima virtus consuetudinalis, secunda virtus intel-lectualis, tertia virtus iustitialis.

Has novem scientias dederunt PHILOSOPHI et illustrati sunt. “Deus enim illis revelavit”.Postmodum voluerunt ad sapientiam pervenire, et veritas trahebat eos; et promiserunt daresapientiam, hoc est beatitudinem, hoc est intellectum adeptum; promiserunt, inquam, di-scipulis suis [Hex 5.22-23].

Il testo si apre e chiude (mediante l’artificio retorico della inclusione temati-ca) con il riferimento alla ‘illustratio’ dei filosofi (“haec sunt novem lumina illu-strantia animam” – “has novem scientias dederunt philosophi et illustrati sunt”),svelandoci che il tema nascosto del testo è l’illuminazione.

Si noti che tutti gli oggetti di scienza sono al plurale, il che suona abbastanzainconsueto nel latino scolastico e rimarca una costante stilistica bonaventuriana.La scienza è infatti considerazione di oggetti, e tale considerazione è possibilesolo differenziando, ossia riconducendo la molteplicità a differenti unità. I pluralipotrebbero non limitarsi ad indicare semplicemente la gradazione delle essenze,ma anche le differenze singolari (secondo un uso concretivo).

Ma esaminiamo il testo passo dopo passo, traducendolo in italiano (questo cicostringe a scioglierne le ambiguità) e accostandolo a passi connessi.

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* 3.1 LA PRIMA DIVISIONE DELLA FILOSOFIA

Haec sunt novem lumina illustrantia animam,scilicet veritas rerum, vocum, morum.

Sono questi i nove lumi che rischiarano l’anima,cioè la <triplice> verità <a sua volta tripartita>[A] delle cose, [B] dei segni, [C] delle azioni.

Per comprendere bene la tripartizione generale della filosofia, dobbiamo tor-nare alla precedente collatio in cui la “prima visione” viene introdotta da una tas-sonimia rigorosa e completa, che fonda filosoficamente la struttura stessa dellafilosofia.

Prima visio animae est intelligentiae per naturam inditae. […]. PHILOSOPHI dederuntnovem scientias et polliciti sunt dare decimam, scilicet contemplationem.

Sed multi PHILOSOPHI, dum se voluerunt dividere a tenebris erroris, magnis erroribus seimmiscuerunt; “dicentes enim, se esse sapientes, stulti facti sunt” [Rm 1,22]; superbientesde sua scientia, luciferiani facti.

“Apud Aegyptios densissimae tenebrae erant, sed sanctis tuis maxima erat lux”. Omnes,qui fuerunt in lege naturae, ut patriarchae, prophetae, PHILOSOPHI, filii lucis fuerunt 11.Lux animae veritas est; haec lux “nescit occasum”. Ita enim fortiter irradiat super animam,ut etiam non possit cogitari non esse nec exprimi, quin homo sibi contradicat: quia si ve-ritas non est, verum est veritatem non esse; ergo aliquid est verum; et si aliquid est verum,verum est veritatem esse: ergo si veritas non est, veritas est […].

Emittit autem haec lux tres radios primos; unde in Ecclesiastico: “Tripliciter sol exu-rens montes”. Est enim veritas rerum, veritas signorum seu vocum et veritas morum. Ve-ritas rerum est indivisio entis et esse, veritas sermonum est adaequatio vocis et intellectus,veritas morum est rectitudo vivendi. Et istae sunt tres partes PHILOSOPHIAE, quasPHILOSOPHI non invenerunt, ut essent; sed quia iam secundum veritatem essent, in animaadverterunt, secundum Augustinum [De civ. Dei 16.5].

Haec triplex veritas consideratur ex parte principii originantis, ex parte subiecti susci-pientis et ex parte obiecti terminantis.

Respicit autem originans principium in ratione triplicis causae: originantis, exemplantiset terminantis. […].

Ex parte autem animae omnis irradiatio veritatis super intelligentiam nostram fit tripli-citer: aut fit super ipsam absolute, et sic pertinet ad notitiam rerum speculandarum; aut incomparatione ad interpretativam, et sic est veritas vocum; aut in comparatione ad affecti-vam et motivam, et sic est veritas operabilium.

Ex parte obiecti sic. Omne quod est, aut est a natura, aut a ratione, aut a voluntate. Se-cundum primam est notitia, quae est de rebus, secundo modo de sermonibus, tertio modode moribus [Hex 4.1-5].

––––––––––11 Nella reportatio alternativa anche i filosofi stanno nelle tenebre, mentre i figli della luce so-

no solo gli agiografi, ossia gli autori della Bibbia: “apud Aegyptios erant tenebrae, filiis autemtuis”, scilicet patriarchis, legislatoribus, sacerdotibus, prophetis, apostolis, “fuit lux” […] in reve-latione apertae veritatis “ [HexD 1.1.1; Cf Sap 17,20; 18,1]. Entrambe le versioni sono plausibili,ma personalmente preferisco l’altra.

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Occorre tener presente che, per artificio retorico legato alla struttura letterariastessa delle collationes, che almeno nominalmente riguardavano i sei giorni dellacreazione secondo il racconto del primo capitolo della Genesi, ogni visione vieneassociata alle opere di uno dei giorni, e di coseguenza viene descritta con metafo-re tratte dalle “opere” di quel giorno. Il primo giorno è quello della creazionedella luce e della sua separazione dalle tenebre. Ecco dunque perché la prima vi-sione, che è quella della filosofia, viene descritta con la metaforica della luce: laluce della verità.

Altrove 12, Bonaventura aveva definito l’unità come indivisione dell’ente, laverità come indivisione dell’ente e dell’essere (riecheggiando la celebre defini-zione aristotelica, secondo cui vero è dire essere ciò che è e non essere ciò chenon è), e la bontà come indivisione dell’ente, dell’essere e dell’agire. Ma esisteuna triplice dimensione veritativa: quella reale (a cui si applica immediatamente laprecedente definizione), quella logica (che a motivo della sua intenzionalità è de-finita come adeguatezza dell’espressione al pensiero, ossia come correttezza) equella morale (che a motivo della sua prescrittività è definita come rettitudine delvivere, ossia come normalità). In altre parole, una proposizione è detta vera in fi-losofia naturale se attribuisce ad un soggetto un predicato che esso effettivamentepossiede; in filosofia razionale se è grammaticalmente, logicamente o retorica-mente corretta; in filosofia morale se è eticamente corretta.

Rinviando a dopo il problema della decima scienza contemplativa, concen-triamoci sulla tassonimia tripartita completa della filosofia (che per Bonaventura ètale per la struttura stessa della filosofia, e non per contingenze storiche). Tuttociò che esiste è o una res o è un segno o è un comportamento. Se è una res (chenon ha il senso “cosale” e impersonale del nostro ‘cosa’), allora è inserita nel“mondo” della natura. Se è un segno, allora è inserito nel “mondo” dalla ragione(e regolato dalle sue leggi). Se è un comportamento, allora è inserito nel “mondo”della volontà (e regolato dalle sue leggi).

La tassonimia è talmente stringente che persino la dimensione sovrannatu-rale non può essere concepita come una realtà esterna alla natura: essa è infattiintesa come la capacità di agire propria della natura divina ma comunicata gratui-tamente da Dio alla natura angelica ed umana (questa azione transnaturale è dettasursumactio). In altre parole non si dà una “sovrannatura” (ossia una natura supe-riore), ma si dà che la natura creata eserciti un atto ad essa superiore, e quindi so-vrannaturale.

La filosofia naturale studia le cose (ossia gli oggetti: si noti che qui Bona-ventura fa uso della coppia di “soggetto” e “oggetto” già nel senso che sarà deimoderni, ossia post-cartesiano). La filosofia razionale e quella morale studianoquelle particolari “cose” o eventi che sono il linguaggio (si noti la quasi sinonimiafra ‘signa’, ‘voces’ e ‘sermones’) e il comportamento dotati di senso: questa im-postazione fa pensare alla struttura del “mondo 2” all’interno del “mondo 1” diPopper.––––––––––

12 De regno Dei 43.

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Il fatto che qui si nominino i filosofi in quanto “antichi” ha indotto qualcheinterprete in errore, come se la filosofia fosse per Bonaventura solo una stagionepassata, e non più ripetibile. Certamente, per lui tornare alla filosofia non sarebbeda veri ‘philosophi’ (intesi proprio come ‘amatores sapientiae’), ma da ‘philoso-phantes’ 13, perché la filosofia è una “via”: “volersi fermare in essa è un caderenel buio”; nelle scienze vi è un grandissimo pericolo (e la polemica qui è sia congli artistae eterodossi, sia con il confratello Ruggero Bacone, tanto dedito allescienze sperimentali), il pericolo appunto di “tornare indietro nella schiavitùd’Egitto” 14. Tuttavia – occorre precisare – questo è solo un pericolo, in cui è pos-sibile ma non necessario cadere; ché anzi è opportuno correre il rischio a benefi-cio stesso della Chiesa, dato che anche in teologia occorre prima indagare il sensoletterale, ossia riempire le giare d’acqua fino all’orlo 15.

In effetti Bonaventura ammette senza difficoltà che “ci sono, nella Chiesa,[…] <diversi ordini di persone, fra cui> i maestri, ossia quanti insegnano o la filo-sofia, o il diritto, o la teologia, o qualcunque altra buona scienza, per mezzo di cuivenga fatta progredire la Chiesa”; gli stessi filosofi sono da lui accomunati agliangeli e ai profeti nella percezione del vero 16.

Con argomentazione elenchica (chiaramente aristotelica) e pragmatica Bona-ventura non solo tematizza il principio di non contraddizione, ma anche l’autopo-sizione della verità. La sua luce “che non conosce tramonto” (citazione biblicamediata dal “preconio pasquale” 17), allude al Cristo Sapienza, e quindi alla dot-trina della illuminazione naturale e sovrannaturale da parte del Verbo. Tutto il di-namismo bonaventuriano della conoscenza è in questo chiaroscuro: non è possi-bile sostenere di non conoscere nemmeno qualche verità, ma non è possibileneanche sostenere di non incorrere almeno in qualche errore; “necesse est enimphilosophantem in aliquem errorem labi nisi adiuvetur per radium fidei”; laddoveTommaso è ancora più radicale: per lui la “pura” ragione nell’investigare le realtàultime sbaglia perlopiù (“plerumque”) e non solo aliquando 18.

Si noti infine la polisemia ricorrente (anche nei testi seguenti) di ‘scientia’,‘intellectus’ e ‘sapientia’, che può essere chiarita in base al principio di composi-zione degli omonimi eterologhi e xenologhi: il fatto che concetti diversi, estraneiad una lingua, vengano espressi (a motivo delle traduzioni) con un medesimo ter-mine interno alla lingua, da una parte riflette una certa affinità semantica percepitadai traduttori, e dall’altra costringe i locutori (e in particolare filosofi e teologi) adarmonizzare intorno ad un nucleo significativo (il cosiddetto vertice del cono se-mantico) tutti i significati ereditati dalla tradizione.

––––––––––13 Cf rispettivamente Itin 1.9 e De Tribus Quaestionibus 12; HexD 1.15-16.14 Don 4.12; Hex 17.25; 19.12; Hex 1.9; per la polemica, Cf Bérubé, cit.; P. Michaud-Quantin,

Études sur le vocabulaire philosophique du moyen âge, Roma, Ateneo 1970.15 Cf Hex 19.15 e 22.9; 19.8.16 Hex 22.9 e 1.13.17 Sap 7,10, applicato (nel preconio) al cero pasquale, simbolo di Cristo luce del mondo.18 I due testi, messi a confronto già da Van Steenberghen, sono Sent 2.18.2.1 ad 6; SCG 1.4.5.

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* 3.2 LA DIVISIONE DELLA FILOSOFIA NATURALE

[Veritas] rerum, scilicet essentiarum, figura-rum, naturarum quantum ad quidditatum diffe-rentias occultas, quantum ad quantitatum pro-portiones manifestas, quantum ad naturarumproprietates mixtas.

Primo metaphysica, secundo mathematica, ter-tio naturalis seu physica.

[A] <La verità> delle cose è infatti <la verità>[A1] delle <loro> essenze, [A2] <delle loro>configurazioni, [A3] e delle <loro> nature,<rispettivamente> quanto [A1] alle differenzenon evidenti delle “identità” <delle cose>, [A2]ai rapporti evidenti di quantità <delle cose> [A3]<e> alle proprietà miste <(e cioè in parte nonevidenti, in parte evidenti)> delle nature <dellecose>.

<La conoscenza di questi tre tipi di verità costi-tuisce rispettivamente> [A1] la metafisica, [A2]la matematica, [A3] la <scienza> naturale o fisi-ca.

Essenze, configurazioni (‘figurae’) e nature non sono tre cose, ma tre livelliontologici ed epistemologici delle cose stesse. La ‘consideratio scientialis’ (ossial’osservazione di cose, fissate come oggetti) si oppone alla ‘contemplatio sapien-tialis’ (ossia la contemplazione quietante del Principio) 19; secondo la successivatrattazione della sapienza filosofica, dalla consideratio occorre che l’occhiodell’anima si converta prima su se stesso (“convertere super se”) per riflessione esi diriga poi per speculazione alle intelligenze, per poter infine giungere alla con-templazione di Dio, per via di ragionamento, esperienza e contuizione (ossia in-tuizione non immediata, ma mediata dal mondo, “sentito come un tutto” dipen-dente dal Creatore).

Insomma, ritroviamo qui le tre scienze teoretiche di Aristotele, ma all’internodella filosofia naturale e riproposte in ordine inverso, e distinte non tanto in baseagli oggetti materiali (tutte e tre studiano le cose), quanto piuttosto in base aglioggetti formali (quelle che nel De reductione Bonaventura chiamava le rationesformales, ossia quelle seminales della fisica nella natura corporea stessa, quelleintellectuales della matematica nella natura spirituale creata, quelle ideales dellametafisica nella natura creatrice divina); e quindi tale divisione riporta alle facoltàumane; infine la filosofia prima di Aristotele è sdoppiata (con una distinzione chenonostante alcune somiglianze non anticipa quella wolffiana, ma riflette le istanzedel socratismo cristiano di Agostino e Bernardo) in metafisica (intesa come onto-logia) e sapienza (intesa come conoscenza di sé e di Dio).

Questo perché dalla tradizione neoplatonica Bonaventura ha ereditato nonnuove divisioni del sapere, ma nuovi modi di intendere le tassonimie aristoteli-che 20.

––––––––––19 HexD 1.3.1.20 Di Plotino, attraverso l’ottavo capitolo del primo libro del commento di Macrobio al Som-

nium Scipionis Bonaventura prende la dottrina dei quattro livelli delle quattro virtù filosofiche

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Una piccola variante nella tassonimia delle scienze è quasi celata in un para-grafo della prima collatio (in cui si tratta del problema, complessissimo e che quitralasciamo, del cristocentrismo delle scienze):

Metaphysicus […] licet assurgat ex consideratione principiorum substantiae creatae etparticularis ad universalem et increatam et ad illud esse, ut habet rationem principii, mediiet finis ultimi, non tamen in ratione Patris et Filii e Spiritus sancti.

Metaphysicus enim assurgit ad illud esse considerandum in ratione principii omnia ori-ginantis; et in hoc convenit cum physico, qui origines rerum considerat. Assurgit etiam adconsiderandum illud esse in ratione ultimi finis; et in hoc convenit cum morali sive ethico,qui reducit omnia ad unum summum bonum ut ad finem ultimum, considerando felicita-tem sive practicam, sive speculativam. Sed ut considerat illud esse in ratione omnia exem-plantis, cum nullo communicat et verus est metaphysicus [Hex 1.13].

La fisica si caratterizza dunque come una scienza del principio (per così dire,una “archeologia”), l’etica come una scienza dei fini (per così dire, una“teleologia”), la metafisica come una scienza degli archetipi (per così dire, una“ideologia”).

È interessante in questo testo la compenetrazione di apporti aristotelici, neo-platonici e cristiani.

La fonte nascosta e indiretta di tale divisione della filosofia è la tripartizioneverticale “platonica” in Fisica (come scienza delle cause efficienti del mondo),Etica (come scienza delle cause finali, e quindi dell’uomo) e Metafisica nel sensodi Dialettica (come scienza delle cause esemplari o idee) e addirittura di Teologiarivelata. Tale divisione, latente in Bonaventura (perché egli stesso ne ignoravaprobabilmente l’origine), è indirettamente riconducibile (quanto alla divisione,non quanto ai nomi delle parti) al “cambio di navigazione” 21 dalla ricerca dellecause dei fisici e delle cause finali a quella specifica delle idee, sempre che una

––––––––––(rispetto alla vita attiva, alla vita contemplativa, alla vita pura e alla vita divina) e ne fa l’itinerarioper giungere alla sapienza filosofica [Cf Hex 6]. La sistematizzazione di Boezio, mediata da Ugodi San Vittore [Cf Boezio, De Trinitate 2 e i due commenti In Porphyrium; Ugo di San Vittore,Didascalicon 2.2], ripropone la tripartizione aristotelica della filosofia teoretica in fisica, matema-tica e teologia, ma reinterpretandola in senso neoplatonico in base alla distinzione non tanto diclassi di oggetti diversi, quanto piuttosto delle facoltà conoscitive adoperate e dei loro metodi, ar-rivando a distinguere tre piani di conoscenza (rispettivamente il sensibile, l’intelligibile el’intellettibile). Tale struttura aleggia anche nella tripartizione verticale delle scienze della filosofianaturale in funzione dei tre tipi di “rationes” seminales, intellectuales e ideales, che riecheggia inparte Agostino, per la dottrina della triplice esistenza delle cose: una prima (che potremmo dire“trascendente”) nella mente del Creatore, una seconda (che potremmo dire “trascendentale”)nell’intelligenza creata, una terza (che potremmo dire “im-manente”) nella natura propria, ossianella materia (che per Bonaventura è la recettività potenziale in genere, sia corporea sia spirituale).Tale triplice esistenza è fondata creazionalmente nella triplice visione e azione originaria di Dio(“fiat, fecit, factum est”) ed è conosciuta dall’uomo in virtù del triplice livello della sua capacitàconoscitiva (il “triplice occhio” di cui parla Ugo) [Cf Agostino, De genesi ad litteram 2.8.16-20 epassim; Ugo di San Vittore, De sacramentis 1.10.2; Brev 2.12.4 e Hex 5.24].

21 Che nel Fedone [45-47 (96a-99d) e 35 (85c-d)] Platone attribuisce a Socrate, ma che inrealtà è suo. Per il riflesso inconsapevole in Bonaventura si veda Hex 1.13.

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divina rivelazione non consentisse una “più sicura navigazione” (in una formula-zione ante litteram dello “schema del doppio” tra una teologia rivelata e una teo-logia naturale, concetto questo che tramite Agostino 22 sarà diffuso nel Medioe-vo).

Dio è considerato sostanza universale per la non finitezza del suo essere edunque l’universalità del suo influsso. Anziché di causa efficiente, Bonaventuraparla di principio originante, usando cioè una nozione metafisica più generale, co-sì da poterla attribuire a Dio e addirittura in Dio (al Padre); se Aristotele aveva in-dirizzato la fisica sulla ricerca delle origini (ma non solo) e l’etica sulla determi-nazione dei fini, Bonaventura ne fa un dominio specifico; con critica severa maacuta, ritiene la metafisica di Aristotele una fisica ed etica mascherata (per cosìdire, limitata all’immanenza) per il rifiuto della causalità esemplare. Dobbiamodire che la causalità esemplare per Bonaventura (che filtrava il platonismo attra-verso il cristianesimo) significava semplicemente affermare che Dio conosce evuole il mondo 23, il che quoad nos comporta che la verità del mondo sia davverometa-fisica: negato ciò, si innesca una catena di conseguenze.

A differenza di Tommaso (che accusava Averroè di essere non il Commen-tatore ma il Pervertitore 24 della filosofia di Aristotele), Bonaventura ritiene chel’aristotelismo debba necessariamente avere un esito averroistico: se infatti non cisono cause esemplari, allora Dio non può né conoscere né volere il mondo (a me-no di non conoscerlo e volerlo dal di fuori, il che comporterebbe una passività diDio rispetto al mondo, incompatibile con il suo atto puro); ma se Dio non conoscené tanto meno ha voluto il mondo, allora il mondo deriva automaticamente edeternamente da Dio; ma in tal caso, si dovrebbe dare una successione infinita diuomini; allora quanto alle loro anime intellettive si deve porre una delle seguentialternative: o se ne ammette l’immortalità e individualità e quindi l’infinità in at-to, oppure l’individualità e corruttibilità, oppure l’immortalità e riciclabilità permetempsicosi (ipotesi tutte aristotelicamente inammissibili), oppure l’unicità se-parata e quindi immortale: dal che deriva ulteriormente la negazione della libertàindividuale, e quindi anche del destino personale eterno.

* 3.3 LA DIVISIONE DELLA FILOSOFIA RAZIONALE

Veritas vocum tripliciter: quantum ad locutio-nes, argumentationes, persuasiones;

primo quantum ad locutiones indicantes mentisconceptus; secundo quantum ad argumentatio-nes trahentes mentis assensus; tertio quantumad persuasiones inclinantes mentis affectus;

[B] <Anche> la verità delle parole <è> di tre tipi:quanto [B1] alle espressioni, [B2] alle argomen-tazioni, [B3] alle proposte:

<rispettivamente, cioè, quanto> [B1] alle espres-sioni che significhino concetti mentali; [B2] alleargomentazioni che esigano assensi mentali;[B3] alle proposte che pieghino gli affetti menta-li,

––––––––––22 Agostino, De civitate Dei 8.23 Cf Hex 6.1-6.24 Tommaso d’Aquino, De unitate intellectus contra averroistas 2.

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prima grammatica, secunda logica, tertia rhe-torica. <La conoscenza di questi tre tipi di verità costi-

tuisce rispettivamente> [B1] la grammatica<speculativa>; [B2] la logica; [B3] la retorica.

La filosofia razionale sotto un titolo agostiniano riunisce curiosamente (manon troppo, come vedremo) le arti del trivio portate al livello speculativo nella se-conda metà del tredicesimo secolo, impregnato dell’Organon aristotelico.

I tre problemi della significazione, della argomentazione e della persuasionefanno emergere all’interno del mondo delle cose (le voces hanno una loro mate-rialità naturale) il mondo intenzionale del linguaggio e del “senso”.

La retorica acquisisce un valore nuovo rispetto alla tradizione classica: in ba-se alla dottrina biblica della libertà, la volontà è irriducibile all’intelletto: convin-cere quest’ultimo non è ancora persuadere la prima a fare la sua scelta. Ecco dun-que la necessità di argomentare sia pur dialetticamente per poter passare dallasfera intellettiva del linguaggio alla sfera morale delle azioni tipicamente umane.

* 3.4 LA DIVISIONE DELLA FILOSOFIA MORALE

Veritas morum tripliciter: quantum ad mode-stias, industrias, iustitias: modestias, quantumad exercitationes consuetudinales; industrias,quantum ad speculationes intellectuales; iusti-tias, quantum ad leges politicas.

Prima virtus consuetudinalis, secunda virtusintellectualis, tertia virtus iustitialis.

[C] <Anche> la verità delle azioni <è> di tre tipi:quanto [C1] alle moderazioni, [C2] alle attivi-tà <immanenti> e [C3] alle relazioni giuste.[C1] Le moderazioni <delle passioni><consistono in > comportamenti etici; [C2] le at-tività <immanenti> <consistono in> speculazioniintellettuali <ovvero in abiti dianoetici>; [C3] lerelazioni giuste <consistono in> leggi della con-vivenza civile.

<La conoscenza di questi tre tipi di verità costi-tuisce rispettivamente> [C1] la virtù comporta-mentale <o etica>; [C2] la virtù intellettuale <odianoetica>; [C3] la virtù relazionale <o politi-ca>.

Questa divisione della filosofia morale è nuova per Bonaventura: preceden-temente 25 egli aveva adottato la tripartizione in Monastica, Economica e Politica,che però era funzionale a formare un ternario piuttosto che rispondente a una realedistinzione; la Monastica, poi, indicava, in opposizione a quella della “domus” edella “civitas”, l’etica filosofica individuale, ma riletta attraverso la disciplina

––––––––––25 In Red 4; Itin 3.6; De modo inveniendi Christum 8.

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monastica ovvero all’ascesi dei monaci cristiani, secondo il topos del monachesi-mo come filosofia 26.

L’innovazione che dunque notiamo risente dell’acceso dibattito del tempointorno all’etica aristotelica. La terminologia adottata da Bonaventura richiamainfatti immediatamente l’Etica Nicomachea. Così, il sintagma ‘virtus consuetudi-nalis’ traduce la ‘aretè ethiké’ di Aristotele, ossia l’insieme (e l’iperonimo) ditutte quelle virtù morali – come la temperanza, la fortezza, la liberalità eccetera –che si acquisiscono per buona consuetudine e che regolano secondo il giusto mez-zo le diverse passioni; la loro trattazione copre i libri terzo e quarto dell’Etica Ni-comachea. Il sintagma ‘virtus intellectualis’ traduce a sua volta la ‘aretè dianoe-tiké’, ossia l’insieme (e l’iperonimo) delle virtù dianoetiche (o abiti di pensiero:prudenza, scienza, arte, intelligenza, sapienza) 27; la loro trattazione occupa il li-bro sesto dell’Etica. Il sintagma ‘virtus iustitialis’ corrisponde alla ‘dikaiosýne’aristotelica (ma comprende anche la ‘philía’), la cui trattazione copre non solo ilibri quinto, ottavo e nono dell’Etica, ma in un certo senso anche tutta la Politica.

Nella sua ultima sistematizzazione della filosofia morale, dunque, Bonaven-tura da una parte elimina l’economia e riduce la politica alla parte dell’etica chestudia la giustizia e le virtù relazionali (come l’amicizia), e dall’altra rileggel’etica, cogliendone tre parti: l’etica delle passioni (ossia dell’affetto), l’etica delpensiero (ossia dell’intelletto), l’etica delle azioni esterne (ossia dell’effetto), inbase ad una tripartizione di tutta la materia morale comune anche a Tommaso 28.

Un’ultima considerazione: a differenza delle sue prime tripartizioni della fi-losofia morale in tre scienze particolari (monastica, economica e politica), quiBonaventura divide la filosofia morale in tre tipi di virtù, rompendo la simmetria(solitamente a lui fin troppo cara) con le divisioni delle altre due parti della filo-sofia. Non si tratta, probabilmente, di un fatto casuale (ne ritroviamo tracce nellatrattazione della morale in entrambe le reportationes), ma frutto di una ulteriorecomprensione della morale come non soltanto scienza, ma azione: “ars moralis[…] non in sola speculatione stat”, enfatizzando l’esempio aristotelico del malatoche non guarisce perché capisce la prescrizione del medico, ma perché la mette inpratica 29. Insomma, la comprensione della verità morale non sta in una purascienza morale, ma nella virtù stessa.

––––––––––26 Cf Hex 2.3 (che cita Eth. Nic. 2.4), in cui si oppongono ‘disciplina scholastica’ e ‘disciplina

monastica sive morum’, pur essendo entrambe necessarie a conseguire la sapienza. Cf anche R.QUINTO, «Scholastica». Contributo alla storia di un concetto. I – Sino al secolo XIII, in“Medioevo”, 17 (1991), p. 1-82.

27 Cf Eth. Nic. 1.13 (1103a). Gli abiti dianoetici (da non confondere con le virtù e i doni so-vrannaturali omonimi e simili) sono innanzitutto – circa necessaria – la sapienza (circa causasaltissimas: principi dell’essere), l’intelligenza (circa principia: principi del sapere), la scienza(circa conclusiones: contenuti del sapere), e poi – circa contingentia – la prudenza (per gli agibi-lia) ed arte (per i factibilia) [HexD 1.2.12].

28 Cf 3SN 33.2.1d co; 34.3.2a co.29 Hex 5.21; Cf anche 19.3 e 2.3 (che cita Eth. Nic. 2.4).

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* 3.5 IL PASSAGGIO ALLA SAPIENZA FILOSOFICA

Has novem scientias dederunt PHILOSOPHI etillustrati sunt. “Deus enim illis revelavit”.

Postmodum voluerunt ad sapientiam pervenire,et veritas trahebat eos; et promiserunt dare sa-pientiam, hoc est beatitudinem, hoc est intel-lectum adeptum; promiserunt, inquam, disci-pulis suis.

[A-B-C] Furono gli <antichi> filosofi a fornirequeste nove scienze, e furono rischiarati <in que-sto>. “Proprio Dio lo ha rivelato loro”.

[D] Dopo però vollero giungere alla sapienza, ela verità li traeva, e promisero di dare la sapienza,cioè la felicità, cioè l’intelligenza compiuta: lapromisero, dicevo, ai loro discepoli.

La distinzione, qui formalmente compiuta, della sapienza dalla metafisica(intesa come ontologia) è un fatto filosoficamente rilevantissimo: se già tutta latradizione neoplatonica distingueva henologia e ontologia, tuttavia, qui abbiamouna impostazione diversa: la sapienza, secondo un canone che unisce tradizionegreca e cristiana (biblica e monastica) e che può essere definito socratismo cri-stiano, è conoscenza di sé, delle intelligenze, di Dio.

L’uomo conosce le cose (e il mondo artificiale del linguaggio e delle istitu-zioni) come oggetti, per scienza, che va verso il basso; mentre conosce se stessocome soggetto per riflessione, le intelligenze per speculazione, Dio, quale fonte ditutto, per ragionamento, esperienza e contuizione 30.

Dagli artistae parigini del tempo, Bonaventura desume l’idea di una metafi-sica di portata sapienziale e beatificante: egli (pur condannandolo in nome dellafede cristiana) non sottovaluta affatto l’ideale neoaristotelico della beatitudinedell’intelletto compiuto (“intellectus adeptus” 31): ne fa anzi una struttura portantedella sua dottrina del desiderio naturale del sovrannaturale, desiderio che però se-condo lui entra necessariamente nello scacco (dovendo desiderare l’impossibile),e aprendosi così alla nuova possibilità della grazia.

Nel contesto immediato del testo 32, Bonaventura imputa alle scienze di esse-re cadute “di fatto” in errore. Di fatto cioè ciascuna scienza – o meglio la colletti-vità degli scienziati di ciascuna di esse – ha deviato dal proprio compito: la meta-fisica ha teorizzato un mondo eterno (perché ha dimenticato le cause esemplari,riducendosi a fisica o ad etica), la matematica è scaduta nell’astrologia o in altrepratiche superstiziose, la fisica è scaduta nell’alchimia, la grammatica ha generatoe diffuso mediante la letteratura pagana la mitologia, la logica è scaduta in unadialettica insana, la retorica in una illusione sofistica; la morale non ha deviatomolto, ma il diritto (che Bonaventura subalterna alla morale) sì, allungando perdesiderio di guadagno tutte le cause giudiziarie. Questi errori di fatto hanno impe-dito a molti filosofi il passaggio dalle scienze (filosofiche) alla sapienza stessa,che è conoscenza di sé e di Dio.

––––––––––30 Cf Hex 6.31 Hex 5.22 e 33.32 Hex 5.21 e 6.1-5 (ma anche 1.13).

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D’altra parte, aggiunge Bonaventura subito dopo 33, tali errori verificatisi difatto nella storia, sono evitabili, e in particolare sono stati evitati da quanti, come i“nobili filosofi antichi” (categoria in cui Bonaventura include Socrate, Platone ePlotino, o meglio i loro simulacri cristianizzati divulgati dalla tradizione patristi-ca), hanno impostato la loro ricerca filosofica sui due capisaldi delle cause esem-plari e delle virtù, o – più precisamente – sulla tesi fondamentale della esemplaritàdella virtù (sostenendo cioè che Dio stesso possiede in massimo grado le virtù, ene è quindi la fonte).

E tuttavia per Bonaventura 34 anche l’errore di Aristotele (ossia la negazionedell’esemplarità) è solo parzialmente un errore, ed Aristotele è in qualche modo“scusabile”: egli dice il vero “loquens ut naturalis” (ossia “parlando da <scien-ziato> naturale”: qui ‘naturalis’ indica non genericamente la filosofia naturale, mala fisica, e in particolare la ‘scientia naturalis’); in tal senso infatti il filosofo è le-gittimato ad indagare solo le cause immanenti: ma il suo errore, insomma, sarebbequello di una generalizzazione indebita, di aver cioè esteso all’ambito metafisicouna indagine legittima solo nell’ambito fisico.

In ogni caso, però, alla fine della sua riflessione 35 sulla “visione dell’intel-ligenza inserita per natura”, Bonaventura conclude che nella creazione “Dio ci fe-ce vedere che la <sua> luce <intellettuale> era buona” attraverso la “conside-razione scienziale” (secondo la triplice verità di cose, parole e azioni, e cioè nellenove scienze), e attraverso la “contemplazione sapienziale” di tale luce nella pro-pria anima, nelle Intelligenze, e nella sua Sorgente divina; ma mentre la conside-razione scienziale, pur insidiata da molti errori, è sempre possibile all’uomo, in-vece la contemplazione sapienziale è de iure impossibile da raggiungerepienamente senza la fede: neanche i “filosofi nobili” possono infatti arrivare a co-noscere da soli il reale stato dell’uomo (ossia la sua non corrispondenza al pro-getto originario di Dio).

* 4. CONCLUSIONE

Riassumento schematicamente le tassonimie riscontrate nel testo principaleche abbiamo esaminato e nei suoi testi collaterali, possiamo tracciare i seguentischemi.

––––––––––33 Hex 6.6.34 Hex 7.2.35 Hex 7.1-12.

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Corrispondenze tra qualità del Soggetto, dell’Oggetto e del Principio

SFERA TIPI DI OGGETTO FACOLTÀ DEL SOGGETTO “QUALITÀ” DEL PRINCIPIO

naturale cose (di natura) <intelletto> speculativo principio originante

razionale di ragione <intelletto> interpretativo <medio> esemplante

morale di volontà affetto <fine> terminante

artificiale <di arte> <effetto>

Oggetti Formalità degli oggetti Nove “scienze”

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

cose: essenze o differenze quidditative occulte metafisica

figure o proporzioni quantitative manifeste matematica

nature o proprietà miste naturali fisica

parole: locuzioni indicanti concetti della mente grammatica

argomentazioni traenti assensi della mente logica

persuasioni inclinanti affetti della mente retorica

azioni: modestie in esercizi consuetudinali virtù consuetudinale <etica>

industrie in speculazioni intellettuali virtù intellettuale <dianoetica>

giustizie in leggi politiche virtù giustiziale <politica>

Ordine delle scienze

Prima visione: naturale = Filosofia

Nove scienze filosofiche

Filosofia naturale

Metafisica

Matematica

Fisica o Naturale

Filosofia razionale

Filosofia morale

Decima “scienza” (in realtà Sapienza) = contemplazione di Dio (e riflessione su di sé)

* 4.1 RICOSTRUZIONE DELLE FONTI

La principale fonte sottostante è la tripartizione divulgata come platonica daSenocrate (ma rielaborata dalla filosofia ellenistica – accademica, epicurea e stoi-ca – e riletta cristianamente da Agostino 36): in essa la filosofia si divide in Logica(o per i latini, filosofia razionale), Fisica (o filosofia naturale), Etica (o filosofia

––––––––––36 Cf Diogene Laerzio, Vitae 7.39-41 e 55; Cicerone, De finibus 4.4; in: Stoici Antichi, Tutti i

frammenti raccolti da H. von Armin (a c. di R. Radice), Rusconi, Milano 1998, p. 26-29, 1483 e1489); Agostino, Contra Academicos 3.11-13; Agostino, De civitate 8.4; 11.25.

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morale). In questa rielaborazione le tre parti non sono su tre livelli diverse, matutte sullo stesso piano, e ordinate con una successione semplicemente metodolo-gica e per questo variabile, anche se di solito partendo con la logica (che, comeper Aristotele, dà i criteri del sapere), e finendo con l’etica (che dà invece i criteridi vita del sapiente). Agostino fornisce una fondazione ontologica 37 della triparti-zione in naturale, razionale e morale su Dio in quanto “causa dell’essere, ragionedell’intendere, ordine del vivere”, sicché la tassonimia non è storicamente contin-gente, ma sistematica e completa (sebbene l’ordine delle parti neanche così vengafissato). Tale tripartizione viene però da Bonaventura connotata 38 in senso“trinitario” (ed è notevole che, con l’eccezione del De Reductione, la filosofianaturale, appropriata al Padre, venga anteposta alla filosofia razionale, appropriataal Figlio).

Tale divisione si fonde però con quella speculativamente più organica peroggetti elaborata da Aristotele (riflessa nella stessa ripartizione dei suoi scrittiexoterici e tematizzata nella Metafisica 39): dopo l’“Organon” (corrispondente allaLogica), previo ma esterno, la Filosofia si divide secondo le tre attitudini umanein filosofia teoretica (comprendente, in ordine ascensivo, la Fisica, la Matematicae la Filosofia prima, detta anche Teologia o Sapienza, e dai posteri Metafisica);filosofia pratica (comprendente, in ordine di complessità, Etica, Economia, Poli-tica); e filosofia poietica (comprendente oltre alla Poetica anche la Retorica). Ilfatto che nelle università del tredicesimo secolo studiare filosofia significava con-cretamente studiare le opere di Aristotele ha portato ad una situazione curiosa 40:per la caratterizzazione delle singole scienze si è imposta la divisione aristotelica,ma per la loro organizzazione in “parti” della filosofia ha prevalso quella tradizio-nale ellenistica latinizzata; in particolare, l’uso degli xenonimi ha consentito dipoter comporre i due schemi, altrimenti incompatibili (ad esempio, la fisica è statacollocata all’interno della filosofia naturale, che della fisica sarebbe stata l’equi-valente…).

Sebbene la divisione della filosofia in ‘theorica’ e ‘practica’ sia nota a Bona-ventura 41, nella costruzione del sistema del sapere, la filosofia teoretica di Ari-stotele viene identificata con la filosofia naturale (affiancando al criterio di distin-zione per attitudini quello per oggetti); la filosofia pratica coincide senza problemicon la filosofia morale; l’Organon non è più previo al sistema, ma parte del siste-ma, in seconda posizione (assumendo il carattere di “filosofia al genitivo”); man-ca la poetica, in linea con la scarsa conoscenza e considerazione dell’operanell’università del tempo, e la retorica viene inserita come conclusione della filo-

––––––––––37 Si ricordi che per Bonaventura “Augustinus […] fuit altissimus metaphysicus” [Sent

2.3a.1.2 co].38 Ad esempio in Hex 1.13; Cf anche Itin 3.39 In Metaph. 6.1 (1025b-1026a).40 Cf la guida dello studente pubblicata da Grabmann e citata in F. Van Steenberghen, La

Philosophie au XIIIme siècle, Louvain 1966.41 Cf Brev 0.1.2.

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sofia razionale (sia per interferenza con la divisione del Trivio, sia per identifica-zione con i Topici dell’argomentazione probabile, sia per la nuova connotazionedi “logica della morale”).

Infine, la sistemazione tardo-antica e alto-medievale del settenario delle artiliberali, sopravvissuta nell’università medievale nel nome stesso della facoltà difilosofia (‘Facultas Artium’), è ereditata da Bonaventura attraverso Ugo di SanVittore 42, che inizia già a fonderla con la divisione aristotelica: alle arti meccani-che (‘mechanicae’ o servili, o addirittura ‘moechanicae’ o adulterine) oppone learti liberali: il trivio o logica (grammatica, retorica, dialettica: quest’ultima antici-pata al secondo posto), la filosofia teoretica, comprendente il quadrivio o mate-matica (aritmetica, geometria, musica, astronomia), la fisica e la teologia (na-turale), e infine la filosofia pratica. Si noti come al tempo di Bonaventura lagrammatica non è più la classica disciplina linguistica, ma quella “speculativa”.

* 4.2 SOLUZIONE LINGUISTICA DELLE DIFFICOLTÀ

Al termine di questa ricostruzione, se possiamo meglio apprezzare il valoredella grande sintesi culturale bonaventuriana (che di fronte ai diversi apporti dellatradizione opta per la soluzione dell’integrazione “et et”), dobbiamo però ancheammettere che la sua complessità un po’ farraginosa fa un po’ dubitare della coe-renza del sistema. Inoltre, aver ricostruito le fonti del sistema non significa averlocapito (un po’ come sapere gli ingredienti di un dolce non significa ancora diaverlo assaggiato). Pertanto dobbiamo passare ad un livello ulteriore della nostrainterpretazione.

Si può sospettare innanzitutto una confusione terminologica nella storia con-cettuale e translinguistica (dal greco al latino) della tripartizione della filosofia,dobbiamo ricorrere al principio della specializzazione degli xenonimi, per cuiquando in una lingua vengono importati nomi da un’altra, rispetto al loro equiva-lente lessicale nella lingua stessa il nome importato tende ad acquisire un signifi-cato ristretto e tecnico, e non più quello generale.

Prendiamo le tre coppie di lemmi ‘naturalis’ e ‘physicus’, ‘rationalis’ e‘logicus’, ‘moralis’ ed ‘ethicus’. Entrambi gli elementi di ciascuna coppia espri-merebbero dal punto di vista meramente morfolessicale lo stesso concetto: ma peril fenomeno della specializzazione degli xenonimi, finiscono non solo per diffe-renziarsi, ma per collocarsi a due livelli tassonimici diversi.

Bisogna premettere che i suddetti lemmi di origine greca erano stati importatidal linguaggio tecnico della filosofia, che li adoperava inizialmente come aggetti-vi femminili singolari (‘physiké’, ‘loghiké’, ‘ethiké’) del lemma sostantivo‘philosophía’ (espresso o perlopiù sottinteso), oppure al neutro plurale (‘tà phy-siká’, ‘tà metà tà physiká’, ‘tà ethiká’, e così via), per indicarne i trattati, special-mente aristotelici. Importati nel latino, in cui la terminazione del nominativofemminile singolare e del nominativo neutro plurale degli aggettivi di prima clas-

––––––––––42 Cf Didascalicon 1-3; ma in particolare 2.20 e 3.1.

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se è omonima, i lemmi ‘logicus’, ‘physicus’, ‘ethicus’, il neologismo‘metaphysicus’ (ed altri simili) per catacresi si sono trasformati da semplici lemmiaggettivali in plessi di tre sublemmi sostantivi ciascuno: i sostantivi maschili‘logicus’, ‘physicus’, ‘ethicus’, ‘metaphysicus’ (eccetera), per indicare gli studiosidelle rispettive discipline; i sostantivi femminili ‘logica’, ‘physica’ (eccetera) perindicare le discipline stesse; i neutri plurali sostantivati (come ‘physica’ -‘physicorum’) per indicare i corrispettivi trattati aristotelici (quest’ultimo feno-meno linguistico è certamente connesso con l’attitudine scolastica di studiare unadisciplina leggendone i testi di riferimento). Quindi, non comportandosi più daaggettivi, e caratterizzandosi immediatamente come vocaboli di un linguaggiotecnico e non più di quello comune, e riferendosi ad ambiti disciplinari molto pre-cisi, gli xenonimi ‘logica’, ‘physica’, ‘ethica’ non sono più semanticamente equi-valenti a (rispettivamente) ‘rationalis’, ‘naturalis’ e ‘moralis’, ma finiscono percostituirne gli iponimi (assieme agli altri xenonimi simili, come ‘grammatica’,‘rhetorica’, ‘metaphysica’, ‘politica’…).

Appare ancora molto problematico l’impiego del concetto di ‘natura’, che ri-troviamo a più livelli della divisione bonaventuriana. Si tratta di un termine equi-voco? Inoltre, che relazione c’è tra piano fisico e piano naturale, oppure tra pianometafisico e piano sovrannaturale (dato che i termini etimologicamente si equival-gono)? Per dissipare questo sospetto, dobbiamo ricorrere al principio di mutuadeterminazione degli antonimi e al principio d’uso. Per capire bene il significatodi un termine, occorre prima precisare in opposizione a quale antonimo si trovi.

Attraverso la ricostruzione lessicografica esauriente dei diversi significati dellemmi del tema ‘-natur-’ effettivamente usati da Bonaventura (senza cioè accon-tentarci delle riduttive definizioni esplicite che l’autore stesso ne dà) 43, possiamorisalire congetturalmente al vertice del cono semantico: ‘natura’ ha come signifi-cato primo e più generale nient’altro che la nozione di “ontologicamente comuni-cabile” (ogni “qualità” che sia o possa essere oggetto di comunanza statica o co-municazione dinamica da parte di uno o più soggetti), in opposizione a ‘res’,intesa come “ontologicamente incomunicabile” (ossia ogni soggetto irripetibile dicomunanza e di comunicazione, e soprattutto la ‘persona’). La natura così intesa èdeterminata almeno implicitamente da un aggettivo che ne esprime la “misura”ontologica: ‘natura divina’, ‘natura spiritualis’, ‘natura corporea’, ‘natura huma-na’ (intersezione delle precedenti due), ‘natura creata’ (o ‘natura naturata’ o sem-plicemente ‘natura’ o ‘creatura’, intesa come unione delle precedenti nature inopposizione alla natura divina creatrice). In quest’uso ‘natura’ ha una triplice fun-zione (costitutiva, concretiva, collettiva): ad esempio, ‘natura humana’ significasia la “qualità” costitutiva che fa di un soggetto un essere umano, sia l’uomo con-creto ma in generale (ossia non questo o quello), sia l’insieme di tutti gli uomini;

––––––––––43 Cf A. DI MAIO, Il vocabolario bonaventuriano per la Natura, in “Miscellanea Francescana”

88 (1988), p. 301-356; La dottrina bonaventuriana sulla Natura, ibid. 89 (1989), p. 335-392; Laconcezione bonaventuriana della Natura quale potenziale oggetto di Comunicazione, ibid. 90(1990), p. 61-116.

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similmente ‘natura’ (sottintendendo ‘creata’) significherà o l’insieme di tutte lecreature (in senso collettivo), o il creato stesso (in senso concretivo: come univer-so e come libro) o la creaturalità (in senso costitutivo, opposto alla grazia e allagloria, e caratterizzato dalla legge di natura); invece ‘natura’ (sottintendendo‘corporea’) significherà o l’insieme degli enti sensibili (in senso collettivo) o ilmondo fisico (in senso concretivo, come ‘machina mundialis’) o la dinamica stes-sa naturale o fisica (in senso costitutivo, come processo causale fisico).

Poiché in generale ogni natura è comunicabile per un’azione (le processionidivine nella natura divina, la creazione tra la natura divina e la natura creata, lagenerazione all’interno delle diverse nature corporee, e in maniera imperfettal’arte umana quale produzione di configurazioni artificiali), si intende per natu-rale ogni perfezione che è innata e ontologicamente connaturata in una determi-nata natura; per naturalmente acquisita ogni perfezione che pur non essendo in-nata è il risultato di un’azione propria della natura stessa; per sovrannaturalmenteinfusa ogni perfezione impossibile a conseguirsi dalla natura creata, ma ottenutaper dono gratuito dalla natura divina. E poiché la natura umana (a immagine diquella divina) ha il potere di comunicare anche per intelligenza e volontà, eccoche alla sua sfera naturale in senso stretto si affianca quella razionale e quella mo-rale (che pure rientrano nella sfera del naturalmente acquisito). Insomma, la con-fusione non è nell’uso bonaventuriano del concetto di natura, manell’inconsapevole anfibolia che il lettore moderno opera fra diversi sensi e livellidei termini.