LA DIPENDENZA DAL LAVORO:dallo stacanovismo al workaholismo
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LA DIPENDENZA DAL LAVORO:
dallo stacanovismo al workaholismo
<<Il lavoro è un'attività produttiva che implica il dispendio di energie fisiche o intellettuali per
raggiungere uno scopo preciso: procurarsi con la propria attività beni essenziali o beni superflui,
direttamente o indirettamente attraverso un valore monetario riconosciuto acquisito da terzi quale
compenso>>
<<Nessuno muore di lavoro; invece l'ozio e la mancanza di occupazione rovinano il corpo e la vita;
l'uomo è nato per lavorare, come l'uccello per volare>>
Martin Lutero
La concezione del lavoro e la collocazione di esso all'interno della vita di una persona e
delle sue abitudini quotidiane, risentono del pensiero sociale sul lavoro, che si è radicalmente
trasformato dal passato ad oggi.
Il lavoro, infatti, è stato ritenuto per secoli un'attività ignobile, da assegnare principalmente
agli schiavi e ai prigionieri, mentre solo le attività di coordinamento e supervisione venivano
esercitate dai rappresentanti delle classi sociali più elevate.
In alcune culture, come quella spagnola, la stessa etimologia della parola ''trabajo'' nasceva
dal termine latino ''tripalium'', con cui veniva designato uno strumento di tortura destinato agli
schiavi che non producevano.
Nel 1700 il lavoro cominciò a diventare un'attività sempre più diffusa tra i rappresentanti di
tutte le classi sociali e gradualmente si avviò un cambiamento nell'immaginario collettivo che
rappresentò il lavoro come un'attività dignitosa e orientata al raggiungimento di un obiettivo.
In seguito a questi cambiamenti, è aumentata la considerazione del lavoro, e ciò ha spinto a
dedicare ad esso sempre maggiori spazi, che, estesi all'eccesso, hanno prodotto conseguenze
negative sulla vita psico-fisica e sociale degli individui. Infatti all'interno del mondo del lavoro,
soprattutto nel XX secolo, sono sorti dei problemi sui quali è sempre stata fatta poca luce; tra questi
vi è stata una vera e propria estremizzazione dell'idea del lavoro.
Nel 1935 un minatore sovietico, Aleksej Grigor'evič Stachanov, ideò una nuova metodologia
di estrazione del carbone; questo nuovo metodo aprì le porte ad un sistema di organizzazione del
lavoro chiamato stacanovismo. Il modello stacanovista consisteva nell'aumento della produzione
individuale, unita all'ideazione di nuove tecniche di lavoro, e proprio per questo motivo divenne un
fenomeno di massa. I lavoratori erano indotti a seguire questo modello anche perché l'innalzamento
della produttività veniva incentivato dai premi di produzione; di ciò si fece portavoce anche Stalin,
il cui intento era quello di dimostrare al mondo l'efficacia del sistema di lavoro socialista. Tuttavia
l'esperienza stacanovista durò pochi anni poiché si trasformò in una vera e propria forma di
sfruttamento attuato dal regime nei confronti dei lavoratori.
Alcuni anni dopo arrivò il modello giapponese: i lavoratori mostravano un totale
attaccamento verso la propria azienda, e ciò li portava ad occuparsi solo delle attività strettamente
legate al proprio lavoro, anche a costo di mettere in secondo piano i propri affetti. Molto
probabilmente è proprio tale atteggiamento che ha contribuito al decollo dell'economia giapponese,
ed esso è ancora presente nel paese del Sol Levante.
Il modello giapponese è quindi riconducibile a quello stacanovista, infatti lo spiccato senso
del lavoro presente in entrambi i modelli era motivo di ammirazione e lode da parte degli altri; ma
questo atteggiamento nei confronti del lavoro può mutare ed estremizzarsi sino a diventare un
problema che affligge gran parte delle potenze occidentali: la dipendenza dal lavoro.
La sindrome di dipendenza dal lavoro è un disturbo ossessivo-compulsivo, ossia un
comportamento patologico di una persona troppo dedita al lavoro, la quale tende a mettere in
secondo piano la propria vita sociale e familiare.
Il primo caso documentabile di dipendenza da lavoro è stato segnalato proprio in Giappone
nel 1969, quando un giovane operaio morì a causa di un attacco cardiaco dovuto allo sforzo e allo
stress; da quel momento si iniziò a parlarne e a dare una classificazione medica al problema, tanto
che si arrivò a coniare i termini Karoshi (morte per eccesso di lavoro) in Giappone, Arbeitssucht in
Germania e Workaholism negli Stati Uniti, dove il fenomeno venne e viene ancora studiato.
Il termine Workaholism, con cui la sindrome da dipendenza dal lavoro venne definita negli
Stati Uniti nel 1971 da Wayne Edward Oates nel libro Confessions of a Workaholic, deriva proprio
dalla stretta analogia tra i comportamenti di chi è affetto dalla dipendenza da lavoro (Work) con
quelli di chi è dipendente dagli alcolici (Alcholism). Infatti nella prima fase della malattia si prova
vergogna per questa condizione e si tende a nascondere le ore di straordinario effettuate; nella
seconda fase, invece, dopo aver riconosciuto il proprio stato, si cerca di attenuare i sensi di colpa
cercando compassione negli altri; nella fase finale, la terza, si diventa veri e propri schiavi.
In questo libro viene fatta una dettagliata analisi delle origini di questa speciale attenzione
verso il lavoro, riconducibile alla considerazione del lavoro come principale scopo della vita propria
della cultura giudaico-cristiana e a carenze affettive nell’infanzia; viene stilata una lista di
comportamenti che il lavoro-dipendente presenta; il libro segna anche un particolare cambiamento
poiché si passa dalla visione positiva di colui che si dedica quasi totalmente al lavoro
all'identificazione di tale patologia.
Tale dipendenza può essere definita anche sisifopatia, dal mito di Sisifo, il quale, avendo
osato sfidare Zeus rivelando al dio Asopo che era stato il padre degli dei a rapire sua figlia, ottenne
come punizione per la sua audacia il compito di spingere un masso dalla base alla cima di un monte;
il masso, una volta giunto alla sommità, scivolava in basso; è perciò possibile stabilire una stretta
connessione tra il mito e la deformazione che il concetto di lavoro può subire.
Il workaholic è un soggetto particolarmente diffuso nelle grandi città occidentali, raramente
riveste il ruolo di lavoratore subordinato, infatti svolge nella maggior parte dei casi attività rientranti
nella libera professione, come l'avvocato, l'artigiano, il commerciante, il manager o il
commercialista di un'importante azienda, e proviene da una famiglia vicina alla filosofia
protestante.
Tra le sue caratteristiche principali è riscontrabile l'incapacità di regolare i propri ritmi
lavorativi e la continua ricerca di compiti da portare a termine nel minor tempo possibile, oltre a
richieste rivolte verso se stesso sempre maggiori e sempre più difficili da soddisfare. Inoltre, nella
maggior parte dei casi, questa dipendenza è ego-sintonica, cioè chi ne è affetto non percepisce la
patologia, mentre coloro che fanno le spese per i disagi derivanti dall'auto-esclusione sociale di
questi soggetti sono i familiari; infatti per il workaholic le attività ricreative sono futili, e l'unica
attività che va svolta nel tempo libero, nelle ferie o nei week-end è quella attinente al proprio
impiego, poiché nella società attuale, improntata solo ed esclusivamente sul lavoro, si sente
comunque adattato e non sente il distacco da ciò che lo circonda.
La connotazione ossessivo-compulsiva già citata e la presenza di aspetti specifici, quali il
piacere nel mettere in atto determinati comportamenti e la necessità di addossarsi carichi di lavoro
sempre maggiori, portano a considerare tale sindrome una vera e propria dipendenza. Questi aspetti
comportamentali sono caratterizzati soprattutto da un’intensa e prolungata spinta a raggiungere
obiettivi solitamente mal definiti, da una inclinazione e brama di competere, dal persistente
desiderio di riconoscimento e avanzamento di ruolo e dal continuo coinvolgimento in multiple e
diverse funzioni costantemente soggette a restrizioni quali scadenze; tali soggetti dimostrano anche
una propensione ad accelerare il ritmo di esecuzione di svariate funzioni mentali e fisiche.
Tale conformazione è riconducibile alla cosiddetta configurazione comportamentale di Tipo
A, che comprende, oltre ai problemi di tipo emozionale, anche dei disordini psicofisici che
alimentano l'ostilità verso i propri colleghi, togliendo la consapevolezza dell'esistenza di attività
alternative al lavoro che possano attenuare questo tipo di stress.
La dipendenza dal lavoro sfocia nella maggior parte dei casi in altre dipendenze quali la
dipendenza da sostanze stupefacenti (cocaina, eroina, mdma ovvero ecstasy), dall’alcool, dal sesso,
dalla nicotina, dagli psicofarmaci e lo shopping compulsivo. La dipendenza primaria, il
Workaholism, si differenzia da queste perché, oltre ad essere gratuita, conduce al guadagno, e questo
è una sostanza legale stimata dalla società.
A livello strutturale, cioè psicologico, la figura del workaholic, oltre a mostrare
caratteristiche comuni alle altre dipendenze, quali rigidità, bassa autostima, insicurezza e difficoltà
nell'esprime emozioni, presenta fenomeni d'ansia, convulsioni, disturbi gastro-intestinali, cefalee e
soprattutto disturbi cardiaci.
Per quanto riguarda la situazione familiare, i maggiori problemi del workaholic sono
riscontrabili proprio in questo ambito, infatti questa condizione ha un'incidenza sui divorzi per un
valore pari all'84%, poiché l'auto-esclusione porta ad un raffreddamento dei rapporti tra i coniugi;
per quanto riguarda il rapporto con i figli sono state identificate due tipologie:
A: nella quale il figlio non si accorge del problema e vive con normalità la situazione;
B: l'identificazione del problema da parte del figlio avviene fin dall'infanzia, e avviene una
prematura presa di responsabilità da parte di questo, cosa che lo porterà ad un congelamento
dei rapporti per la sopravvivenza a medio-lungo termine.
Tante sono le testimonianze di lavoro-dipendenti, sia uomini che donne, e da queste si
capisce che il fenomeno si sviluppa sin dall'infanzia, infatti la voglia di primeggiare a scuola o
essere i primi in tutto sono dei sintomi per quella che sarà la dipendenza in futuro. Altro fattore
incidente è la situazione familiare, infatti nei soggetti provenienti da famiglie agiate, dove entrambi
i genitori rivestivano ruoli di alto livello, si innesca un fattore emulativo e di superamento nei
confronti dei genitori, spinto anche dai familiari stessi.
Per cercare di arginare il dilagare di questo problema nel 1983 un pianificatore finanziario e
un insegnante del Met, fondarono a New York l'associazione Workaholics Anonymous (WA). Il
programma di questa associazione si basa sul rispetto dei dodici punti e delle dodici tradizioni degli
alcolisti anonimi. Per fare uso di questi, i manuali WA suggeriscono di utilizzare quindici ''attrezzi
del recupero'': ascoltare, dare la priorità, la sostituzione, l'underscheduling, il gioco, la
concentrazione, la distensione, l'accettazione del problema, le riunioni, chiedere aiuto, seguire il
percorso, la telefonata, l'equilibratura dei propri ritmi e servire e vivere il presente.
La filosofia di questa associazione si basa, se necessario, anche su mezzi per astenersi dal lavoro, e
vi è la possibilità di fare riunioni anche via e-mail e via telefono.
In Italia non vi è nessun centro di recupero, a dimostrazione del fatto che nel nostro paese si
è dato poco peso a questo problema per molti anni, e molto probabilmente molti di coloro che sono
affetti da questa sindrome non sono neanche a conoscenza di esserlo. Tuttavia Cesare Guerreschi,
psicoterapeuta e presidente della SIIPAC, la Società Italiana di Interventi sulle Patologie
Compulsive, ha pubblicato negli ultimi mesi del 2009 un libro, Workaholic: dipendenza da lavoro,
come curarla, in cui spiega che nel nostro paese questa patologia interessa circa il 25% della
popolazione, e in cui racconta le esperienze di alcuni suoi pazienti. Per lui l’obiettivo delle terapie è
quello della sospensione della malattia, della disattivazione del comportamento patologico e di una
rieducazione rispetto al lavoro.
Degno di nota è, invece, l’interesse che la popolazione americana mostra per questo
fenomeno, tanto che sul canale Comedy Central è in onda una serie che tratta in modo comico la
vita di alcuni workaholisti.
Antonio Carpineta
Classe II C
Liceo Classico “Vittorio Emanuele II”
Lanciano