LA DENOMINAZIONE YOGURT SURGELATO . - CAUSA 298/87. · 2015-03-10 · 6 Con la prima parte della...

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SENTENZA DELLA CORTE (TERZA SEZIONE) DEL 14 LUGLIO 1988. - DIVIETO DI USARE LA DENOMINAZIONE " YOGURT SURGELATO ". - CAUSA 298/87. Massima: 1 . Nel sistema dell' art . 177 del trattato, spetta ai giudici nazionali valutare la rilevanza delle questioni pregiudiziali che essi sottopongono alla Corte rispetto ai fatti della causa dinanzi ad essi pendente . 2 . L' art . 30 del trattato osta a che uno Stato membro applichi alle merci importate da un altro Stato membro, ove esse sono legalmente prodotte e messe in commercio, una normativa nazionale che riservi il diritto di usare la denominazione "yogurt" agli yogurt freschi, ad esclusione di quelli surgelati, qualora le caratteristiche di questi non siano sostanzialmente diverse da quelle del prodotto fresco, e un' adeguata etichettatura, con l' indicazione della data limite per la vendita o per il consumo, basti per garantire al consumatore una corretta informazione . 3 . La direttiva 79/112, relativa all' etichettatura ed alla presentazione delle derrate alimentari, e in particolare l' art . 5 di essa, va interpretata nel senso che essa osta all' applicazione della normativa nazionale che neghi la denominazione di vendita "yogurt" alle merci importate o di origine nazionale che siano state surgelate, qualora queste possiedano, per il resto, i requisiti fissati dalla normativa nazionale al fine della concessione di detta denominazione alle merci fresche . Parti Nel procedimento 298/87, avente ad oggetto la domanda di pronunzia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art . 177 del trattato CEE, dal tribunal de commerce di l' Aigle, nel redressement judiciaire ( amministrazione controllata ) dinanzi ad esso pendente nei confronti della Smanor SA, con sede in Saint Martin d' Ecublei, domanda vertente sull' interpretazione degli artt . da 30 a 36 del trattato CEE e degli artt . 5, 15 e 16 della direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978 ( GU 1979, L 33, pag . 1 ), LA CORTE ( terza sezione ), composta dai signori J.C . Moitinho de Almeida, presidente di sezione, U . Everling e Y . Galmot, giudici, avvocato generale : J . Mischo cancelliere : J.A . Pompe, vicecancelliere viste le osservazioni presentate : - dalla ditta Smanor SA, con gli avv.ti Langlais e Mendel, - dal governo francese, rappresentato dai sigg . J.P . Puissochet e G . de Bergues, - dal governo olandese, rappresentato dal sig . E.F . Jacobs, - dalla Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra C . Durand, vista la relazione d' udienza ed in seguito alla trattazione orale del 4 maggio 1988, sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 2 giugno 1988, ha pronunziato la seguente Sentenza

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SENTENZA DELLA CORTE (TERZA SEZIONE) DEL 14 LUGLIO 1988. - DIVIETO DI USARE LA DENOMINAZIONE " YOGURT SURGELATO ". - CAUSA 298/87.

Massima:

1 . Nel sistema dell' art . 177 del trattato, spetta ai giudici nazionali valutare la rilevanza delle questioni pregiudiziali che essi sottopongono alla Corte rispetto ai fatti della causa dinanzi ad essi pendente .

2 . L' art . 30 del trattato osta a che uno Stato membro applichi alle merci importate da un altro Stato membro, ove esse sono legalmente prodotte e messe in commercio, una normativa nazionale che riservi il diritto di usare la denominazione "yogurt" agli yogurt freschi, ad esclusione di quelli surgelati, qualora le caratteristiche di questi non siano sostanzialmente diverse da quelle del prodotto fresco, e un' adeguata etichettatura, con l' indicazione della data limite per la vendita o per il consumo, basti per garantire al consumatore una corretta informazione .

3 . La direttiva 79/112, relativa all' etichettatura ed alla presentazione delle derrate alimentari, e in particolare l' art . 5 di essa, va interpretata nel senso che essa osta all' applicazione della normativa nazionale che neghi la denominazione di vendita "yogurt" alle merci importate o di origine nazionale che siano state surgelate, qualora queste possiedano, per il resto, i requisiti fissati dalla normativa nazionale al fine della concessione di detta denominazione alle merci fresche .

Parti

Nel procedimento 298/87,

avente ad oggetto la domanda di pronunzia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art . 177 del trattato CEE, dal tribunal de commerce di l' Aigle, nel redressement judiciaire ( amministrazione controllata ) dinanzi ad esso pendente nei confronti della

Smanor SA, con sede in Saint Martin d' Ecublei,

domanda vertente sull' interpretazione degli artt . da 30 a 36 del trattato CEE e degli artt . 5, 15 e 16 della direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978 ( GU 1979, L 33, pag . 1 ),

LA CORTE ( terza sezione ),

composta dai signori J.C . Moitinho de Almeida, presidente di sezione, U . Everling e Y . Galmot, giudici,

avvocato generale : J . Mischo

cancelliere : J.A . Pompe, vicecancelliere

viste le osservazioni presentate :

- dalla ditta Smanor SA, con gli avv.ti Langlais e Mendel,

- dal governo francese, rappresentato dai sigg . J.P . Puissochet e G . de Bergues,

- dal governo olandese, rappresentato dal sig . E.F . Jacobs,

- dalla Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra C . Durand,

vista la relazione d' udienza ed in seguito alla trattazione orale del 4 maggio 1988,

sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 2 giugno 1988,

ha pronunziato la seguente

Sentenza

Page 2: LA DENOMINAZIONE YOGURT SURGELATO . - CAUSA 298/87. · 2015-03-10 · 6 Con la prima parte della questione il giudice nazionale intende, in sostanza, accertare se gli artt . 30 e

Motivazione della sentenza

1 Con ordinanza 15 giugno 1987, integrata da ordinanza 21 settembre 1987, il tribunal de commerce di l' Aigle ha sottoposto a questa Corte, a norma dell' art . 177 del trattato CEE, una questione pregiudiziale vertente sull' interpretazione degli artt . da 30 a 36 del trattato e degli artt . 5, 15 e 16 della direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l' etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità ( GU 1979, L 33, pag . 1; in prosieguo : la "direttiva "), onde essere posto in grado di valutare la compatibilità del decreto francese 22 febbraio 1982, n . 82-184, con le suddette disposizioni .

2 La questione è stata sollevata nell' ambito di una procedura di amministrazione controllata nei confronti della Smanor SA ( in prosieguo : "Smanor ") dinanzi al tribunal de commerce di l' Aigle . La Smanor è un' impresa francese specializzata nella produzione e vendita all' ingrosso di prodotti surgelati, in particolare di yogurt che essa surgela con un procedimento brevettato di sua invenzione . Dal 1977 le autorità francesi adottavano una serie di provvedimenti nei confronti della Smanor onde vietarle, ai sensi delle vigenti norme francesi in materia, la distribuzione di detti prodotti con la denominazione "yaourt" o "yoghourt" ed imporle pertanto di venderli sul territorio francese con la denominazione "lait fermenté surgelé" ( latte fermentato surgelato ).

3 L' art . 2 del decreto francese n . 63-695 relativo alla lotta contro le frodi e le sofisticazioni nel settore del latte fermentato e dello yogurt ( JORF del 16.7.1963, pag . 6512 ), così come modificato con decreto 22 febbraio 1982, n . 82-184 ( JORF del 25.2.1982, pag . 676 ), dispone quanto segue :

"La denominazione 'yaourt' o 'youghourt' è riservata al latte fermentato fresco ottenuto, secondo gli usi leali e costanti, solo con lo sviluppo dei batteri lattici termofili specifici denominati lactobacillus bulgaricus e streptococcus thermophilus, che devono essere inseminati simultaneamente e riscontrarsi vivi nel prodotto posto in vendita in una percentuale di almeno 100 milioni di batteri per grammo (...). Lo yaourt o yoghourt, dopo la coagulazione del latte, non deve subire alcun altro trattamento che non sia la refrigerazione, e eventualmente la rimescolatura (...)".

4 Il tribunal de commerce di l' Aigle riteneva che le difficoltà finanziarie della Smanor, che sono all' origine della procedura fallimentare nella causa principale, fossero connesse alla disciplina francese in materia di yogurt in quanto costringerebbe la Smanor a rinunciare agli sbocchi sul mercato francese oppure a vendere illegalmente lo yogurt surgelato . Il tribunal de commerce di l' Aigle ha quindi sospeso il procedimento ed ha chiesto alla Corte di pronunziarsi in via pregiudiziale "sull' interpretazione degli artt . da 30 a 36 del trattato e degli artt . 5, 15 e 16 della direttiva in relazione al decreto 22 febbraio 1982, n . 82-184 ".

5 Per una più ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, delle disposizioni di diritto nazionale di cui è causa nonché delle osservazioni presentate alla Corte si fa rinvio alla relazione d' udienza . Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte .

Sull' interpretazione degli artt . da 30 a 36 del trattato

6 Con la prima parte della questione il giudice nazionale intende, in sostanza, accertare se gli artt . 30 e 34 del trattato ostano all' applicazione da parte di uno Stato membro, allo yogurt che sia stato surgelato, di una normativa nazionale che ne vieti la vendita con la denominazione "yogurt surgelato ".

7 Il governo francese sostiene che la fattispecie che ha dato origine alla controversia principale non rientra negli artt . 30 e seguenti del trattato, dato che riguarda l' applicazione del diritto francese a un' impresa francese che fabbrica e smercia "yaourts" surgelati sul territorio francese, e che pertanto non è necessario risolvere questa parte della questione pregiudiziale .

8 Effettivamente la disciplina francese si applica solo ai prodotti venduti sul mercato francese, senza incidere in alcun modo sulle esportazioni verso gli altri Stati membri, e non occorre pertanto esaminarla per quel che riguarda l' art . 34 del trattato relativo alle misure d' effetto equivalente a restrizioni quantitative all' esportazione . Tuttavia, dalle osservazioni non contestate della Commissione risulta che yogurt surgelati vengono legalmente fabbricati e venduti con questa denominazione in altri Stati membri; non è quindi escluso che questi prodotti vengano importati in Francia e che la normativa francese venga loro applicata .

9 Quanto alla questione se la Smanor possa far valere dinanzi al giudice nazionale che la disciplina francese ostacola le importazioni di yogurt surgelato, va ricordato che secondo la giurisprudenza

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costante della Corte spetta al giudice nazionale, nel sistema dell' art . 177 del trattato, valutare rispetto ai fatti della causa la necessità di una decisione pregiudiziale .

10 E quindi opportuno accertare se e in quale misura l' art . 30 del trattato osti ad una disciplina come quella francese che vieta lo smercio sul territorio nazionale con la denominazione di "yaourt surgelé" di yogurt che abbia subito un surgelamento .

11 Si deve ricordare innanzitutto che, secondo la costante giurisprudenza della Corte ( in primo luogo la sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Procureur du Roi / Dassonville, Racc . pag . 837 ), il divieto delle misure d' effetto equivalente a restrizioni quantitative, sancito dall' art . 30 del trattato, riguarda ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari .

12 Se il divieto di cui sopra, che implica l' obbligo di fare uso di un' altra denominazione di vendita, non impedisce in modo assoluto l' importazione nello Stato membro interessato di prodotti originari di altri Stati membri in cui si trovano in libera pratica, esso è nondimeno atto a renderne più difficile lo smercio e di conseguenza, ad ostacolare, per lo meno indirettamente, gli scambi fra gli Stati membri ( vedasi in particolare la sentenza 16 dicembre 1980, causa 27/80, Fietje, Racc . pag . 3839 ).

13 Occorre precisare in proposito che la denominazione proposta dal governo francese, e cioè "lait fermenté surgelé", è meno nota presso i consumatori della denominazione "yaourt surgelé" e che il criterio decisivo per il divieto della denominazione "yaourt surgelé", e cioè il surgelamento, si ricollega ad una modalità di conservazione che è particolarmente importante per questo tipo di prodotti quando sono importati .

14 Una normativa nazionale che vieti lo smercio nel territorio nazionale con la denominazione di "yogurt surgelato", di yogurt che sia stato surgelato costituisce quindi una misura d' effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell' art . 30 del trattato .

15 Va sottolineato poi che da una giurisprudenza costante della Corte ( in particolare le sentenze 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe, Racc . pag . 649; 10 novembre 1982, causa 261/81, Rau, Racc . pag . 3961; 12 marzo 1987, causa 178/84, Commissione / Germania, "birra", Racc . 1987, pag . 1227 ) emerge che in mancanza di una normativa comune sullo smercio dei prodotti di cui trattasi gli ostacoli alla libera circolazione intracomunitaria risultanti da disparità delle normative nazionali debbono essere accettati purché detta normativa, applicata indistintamente ai prodotti nazionali e a quelli importati, possa essere giustificata in quanto necessaria per ragioni di interesse generale come quelle di cui all' art . 36 del trattato, ad esempio la tutela della salute delle persone o esigenze imperative inerenti fra l' altro alla tutela dei consumatori . Inoltre è necessario che la normativa sia proporzionata all' oggetto preso in considerazione . Se uno Stato membro può scegliere fra diversi provvedimenti atti a conseguire il medesimo risultato, è tenuto a scegliere il mezzo che meno ostacoli la libertà degli scambi .

16 Alla luce di queste considerazioni, si deve rilevare che non esistono norme comuni o armonizzate sulla fabbricazione o lo smercio dello yogurt, salvo la direttiva, la quale riguarda solo l' etichettatura e la presentazione delle derrate alimentari destinate al consumatore finale e su cui verte la seconda parte della questione pregiudiziale, esaminata in prosieguo . Il regolamento n . 1898 del Consiglio, del 2 luglio 1987, relativo alla protezione della denominazione del latte e dei prodotti lattiero-caseari all' atto della loro commercializzazione ( GU L 182, pag . 36 ) all' art . 2, n . 2, riserva la denominazione di "yogurt" solo a prodotti lattiero-caseari, ma si limita sostanzialmente a rinviare alle normative nazionali in materia .

17 Per quel che riguarda la giustificazione inerente alla tutela della salute delle persone, essa non può essere ammessa nei confronti di una normativa come quella sopra descritta che non vieta lo smercio dello yogurt surgelato ma unicamente l' uso della denominazione "yogurt ".

18 Quanto alla tutela del consumatore, la Corte ha riconosciuto che uno Stato membro è legittimato ad accertarsi che i consumatori vengano correttamente informati sui prodotti che vengono loro offerti e che venga quindi loro data la possibilità di scegliere in base a questa informazione ( sentenze 12 marzo 1987, precitata, e 23 febbraio 1988, causa 216/84, Commissione / Francia, "succedanei del latte", Racc . 1988, pag . 793 ).

19 L' informazione può tuttavia essere fornita in modo efficace senza per questo vietare l' uso della denominazione "yogurt", imponendo un' etichettatura adeguata che comporti obbligatoriamente anche la qualificazione "surgelé" onde porre correttamente in evidenza il trattamento particolare subito dai prodotti di cui è causa .

20 Questa soluzione si impone anche in considerazione del fatto che l' art . 5, n . 3, della direttiva dispone che la denominazione di vendita può comportare inoltre un' indicazione dello stato fisico in

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cui si trova il prodotto alimentare o del trattamento specifico da esso subito, e in questo contesto fare espressa menzione dello stato "surgelato ".

21 Una soluzione diversa sarebbe ipotizzabile solo nel caso in cui lo yogurt non presenti più, a causa del surgelamento, le caratteristiche che il consumatore si aspetta acquistando un prodotto con la denominazione "yogurt ".

22 In proposito occorre rilevare che sia dal Codex alimentarius della FAO e dell' Organizzazione mondiale della sanità sia dalle normative di diversi Stati membri, citate dalla Commissione, risulta che l' elemento caratteristico del prodotto venduto come "yogurt" è costituito dalla presenza di batteri lattici vivi, in quantità abbondante .

23 Stando così le cose, il divieto posto da una normativa nazionale di fare uso della denominazione "yogurt" per la vendita di prodotti surgelati risulta essere sproporzionato rispetto all' obiettivo della tutela dei consumatori qualora le caratteristiche dei prodotti surgelati non siano sostanzialmente diverse, in particolare per quel che riguarda il numero di batteri, dai prodotti freschi, e un' idonea etichettatura con la data limite di vendita o di consumo sia sufficiente per garantire una corretta informazione del consumatore .

24 Spetta al giudice nazionale adito valutare, tenendo conto degli elementi di cui dispone, se le differenze che presentano gli yogurt surgelati rispetto ai requisiti posti dalla normativa nazionale in materia di yogurt freschi siano così rilevanti da giustificare una diversa denominazione .

25 La prima parte della questione pregiudiziale sollevata dal tribunal de commerce di l' Aigle va quindi risolta nel senso che l' art . 30 del trattato osta a che uno Stato membro applichi ai prodotti importati da un altro Stato membro, ove essi sono legalmente prodotti e messi in commercio, una normativa nazionale che riserva il diritto di usare la denominazione "yogurt" solo allo yogurt fresco e non allo yogurt surgelato, qualora le caratteristiche di quest' ultimo prodotto non siano sostanzialmente diverse da quelle del prodotto fresco e un' adeguata etichettatura, con l' indicazione della data limite per la vendita o per il consumo, basti a garantire al consumatore una corretta informazione .

Sull' interpretazione della direttiva 79/112/CEE del Consiglio

26 La seconda parte della questione pregiudiziale sollevata dal giudice nazionale consiste in sostanza nell' accertare se gli artt . 5, 15 e 16 della direttiva vadano interpretati nel senso che ostano a che una normativa nazionale in materia di denominazione di vendita neghi la denominazione "yogurt" a yogurt che abbia subito un surgelamento .

27 Il governo francese sostiene che il riferimento che il giudice nazionale ha fatto ai precitati articoli della direttiva è inconferente . In proposito esso rinvia, in particolare, all' art . 5 della direttiva, il quale riserverebbe agli Stati membri la competenza in materia di denominazione di vendita dei prodotti alimentari .

28 Per quel che riguarda l' art . 5 della direttiva, occorre rilevare che, ai sensi del n . 1, la denominazione di vendita di un prodotto alimentare è la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative ad esso applicabile o, in mancanza di essa, il nome consacrato dall' uso nello Stato membro nel quale il prodotto alimentare è venduto al consumatore finale, o una descrizione di esso e, se necessario, della sua utilizzazione sufficientemente precisa per consentire all' acquirente di conoscerne la natura effettiva e di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso .

29 Questa disposizione si riferisce alle denominazioni stabilite dalle normative nazionali degli Stati membri, ma il suo significato e la sua esatta portata vanno nondimeno valutati tenendo conto del contesto in cui si situa, in particolare della finalità generale della direttiva e della sua economia .

30 Si deve osservare in proposito che sia dal preambolo della direttiva sia dall' art . 2 risulta che essa è stata concepita nell' intento di informare e tutelare il consumatore finale dei prodotti alimentari, in particolare per quel che riguarda la natura, l' identità, le qualità, la composizione, la quantità, la durata, l' origine o la provenienza e le modalità con cui detti prodotti vengono fabbricati od ottenuti .

31 Per quel che riguarda più in particolare il surgelamento dei prodotti alimentari, il n . 3 dell' art . 5 dispone che la denominazione di vendita comporta inoltre un' indicazione dello stato fisico in cui si trova il prodotto o del trattamento specifico da esso subito, se l' omissione di tale indicazione può confondere l' acquirente . Gli esempi forniti in materia riguardano le indicazioni "in polvere, liofilizzato, surgelato, concentrato, affumicato ".

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32 Poiché il surgelamento di un prodotto è espressamente menzionato in questa disposizione, se ne deve concludere che uno Stato membro non può negare l' uso di una determinata denominazione ad un dato prodotto solo perché quest' ultimo ha subito un surgelamento, purché dopo il trattamento continui a riunire gli altri requisiti che la normativa nazionale esige per la concessione della denominazione di cui è causa .

33 La questione se lo yogurt, una volta surgelato, risponda sempre a questi altri requisiti stabiliti dalla normativa francese per la concessione della denominazione "yogurt" è una questione di fatto la cui valutazione spetta al giudice nazionale .

34 Per quel che riguarda l' art . 15 della direttiva, che consente di vietare il commercio dei prodotti alimentari conformi alle norme previste dalla direttiva applicando disposizioni nazionali non armonizzate relative all' etichettatura e alla presentazione dei prodotti alimentari, è sufficiente rilevare che i motivi che possono giustificare, ai sensi del n . 2 di detto articolo, questi divieti, nel caso di specie la tutela della salute pubblica e la repressione delle frodi, non ricorrono nel caso di specie, come è stato sopra dimostrato .

35 Occorre infine constatare che l' art . 16 della direttiva si applica, come risulta dal suo tenore, solo qualora vi sia fatto espressamente riferimento, cosa che non si verifica per gli artt . 5 e 15 .

36 Si deve quindi risolvere la seconda parte della questione pregiudiziale nel senso che le disposizioni della direttiva 79/112/CEE, in particolare l' art . 5, vanno interpretate nel senso che ostano all' applicazione di una normativa nazionale che neghi la denominazione di vendita "yogurt" a prodotti importati o di origine nazionale che siano stati surgelati, qualora questi possiedano, per il resto, i requisiti fissati dalla normativa nazionale al fine della concessione di detta denominazione ai prodotti freschi .

SENTENZA DELLA CORTE DEL 10 NOVEMBRE 1992. - EXPORTUR - CAUSA C-3/91.

Massima:

1. Le disposizioni di una convenzione, stipulata successivamente al 1 gennaio 1958 da uno Stato membro con un altro Stato membro, non possono, a partire dall' adesione di questo secondo Stato alla Comunità economica europea, applicarsi nei rapporti fra gli stessi Stati qualora risultino in contrasto con le norme del Trattato.

2. La tutela delle denominazioni geografiche si estende alle denominazioni, comunemente chiamate indicazioni di provenienza, che siano usate per prodotti per i quali non si può dimostrare che debbano un sapore particolare ad un determinato terreno e che siano stati ottenuti secondo requisiti di qualità e norme di fabbricazione stabiliti da un atto delle pubbliche autorità. Queste denominazioni possono infatti, al pari delle denominazioni di origine, godere di una grande reputazione presso i consumatori e costituire per i produttori, stabiliti nei luoghi che esse designano, un mezzo essenziale per costituirsi una clientela e pertanto devono essere tutelate.

3. Uno Stato membro, se non vuole trasgredire l' art. 30 del Trattato, non può riservare, mediante un atto legislativo, ai prodotti nazionali denominazioni che siano state usate per designare prodotti di provenienza qualsiasi, obbligando le imprese degli altri Stati membri a servirsi di denominazioni sconosciute o meno apprezzate dal pubblico. A causa della sua natura discriminatoria, una normativa del genere non fruisce della deroga di cui all' art. 36.

4. Rientrano nella sfera di applicazione dell' art. 30 del Trattato le norme dettate da una convenzione bilaterale fra Stati membri relative alla tutela delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni d' origine che, quali quelle della convenzione franco-spagnola 27 giugno 1973, si risolvono nel vietare a imprese stabilite nello Stato d' esportazione di usare nello Stato di importazione denominazioni tutelate il cui uso sia loro negato dal loro diritto nazionale e nel vietare a imprese stabilite in un altro qualsiasi degli Stati membri di usare le denominazioni di cui trattasi nei due Stati contraenti.

Tuttavia detti divieti, qualora non si applichino a denominazioni che abbiano acquistato, all' atto dell' entrata in vigore della convenzione o successivamente, una natura generica nello Stato di origine, sono giustificati poiché essi rientrano nell' ambito delle deroghe autorizzate dall' art. 36 del Trattato per la tutela della proprietà industriale e commerciale. Il loro scopo, che è quello di impedire che i produttori di uno Stato membro usino le denominazioni geografiche di un altro Stato della

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Comunità, sfruttando così la reputazione propria dei prodotti delle imprese stabilite nelle regioni o nei luoghi indicati da tali denominazioni, mira infatti a garantire la lealtà della concorrenza.

Peraltro, tali divieti non sono in contrasto con l' obbligo per gli Stati membri di rispettare gli usi lealmente e tradizionalmente seguiti negli altri Stati membri, poiché di esso non possono avvalersi operatori stabiliti in uno Stato che usino denominazioni che fanno riferimento a regioni o luoghi di un altro Stato.

Parti

Nel procedimento C-3/91,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CEE, dalla Cour d' appel di Montpellier, nella causa dinanzi ad essa pendente tra

Exportur SA

e

LOR SA,

Confiserie du Tech,

domanda vertente sull' interpretazione degli artt. 30, 34 e 36 del Trattato CEE, per valutare la compatibilità con dette disposizioni della convenzione fra la Repubblica francese e lo Stato spagnolo, in data 27 giugno 1973, sulla tutela delle denominazioni d' origine, delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni di taluni prodotti,

LA CORTE,

composta dai signori O. Due, presidente, C.N. Kakouris, G.C. Rodríguez Iglelsias e M. Zuleeg, presidenti di sezione, G.F. Mancini, R. Joliet, F.A. Schockweiler, J.C. Moitinho de Almeida, F. Grévisse, M. Díez de Velasco e P.J.G. Kapteyn, giudici,

avvocato generale: C.O. Lenz

cancelliere: D. Triantafyllou, amministratore

viste le osservazioni scritte presentate:

- per la LOR SA e la Confiserie du Tech, dall' avv. F. Greffe, del foro di Parigi;

- per il governo tedesco, dal signor J. Karl, Regierungsdirektor del ministero federale dell' Economia, in qualità di agente;

- per il governo spagnolo, dal signor A.J. Navarro Gonzales, direttore generale del coordinamento giuridico ed istituzionale comunitario, e dalla signora G. Calvo Diaz, Abogado del Estado, dell' Ufficio del contenzioso comunitario, in qualità di agenti;

- per il governo del Regno Unito, dal signor J.E. Collins, del Treasury Solicitor' s Department, e dalla signora E. Sharpston, barrister, in qualità di agenti;

- per la Commissione, dal signor R. Wainwright, consigliere giuridico, in qualità di agente,

vista la relazione d' udienza,

sentite le osservazioni orali della Exportur SA, con gli avv.ti J. Villaceque, del foro dei Pirenei orientali, e Mitchell, del foro di Parigi, della LOR SA e della Confiserie du Tech, con l' avv. N. Boespflug, del foro di Parigi, del governo tedesco, rappresentato dal signor A. von Muehlendahl, Ministerialrat del ministero federale della Giustizia, del governo spagnolo, del governo del Regno Unito e della Commissione, rappresentata dal signor R. Wainwright, in qualità di agente, e dall' avv. H. Lehman, del foro di Parigi, all' udienza del 23 gennaio 1992,

sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 18 marzo 1992,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

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Motivazione della sentenza

1 Con sentenza 6 novembre 1990, pervenuta in cancelleria il 3 gennaio 1991, la Cour d' appel di Montpellier ha sottoposto a questa Corte, in forza dell' art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali relative all' interpretazione degli artt. 30, 34 e 36 del Trattato CEE, a proposito della tutela in Francia di denominazioni geografiche spagnole.

2 Le questioni sono sorte nell' ambito di una lite fra la società delle imprese esportatrici di Touron di Jijona (in prosieguo: l' "Exportur"), con sede in Jijona (provincia di Alicante), e le società LOR e Confiserie du Tech, con sede in Perpignano, a proposito dell' uso da parte di queste, per dolciumi prodotti in Francia, delle denominazioni "Alicante" e "Jijona", che sono nomi di città spagnole.

3 La LOR e la Confiserie du Tech producono e vendono a Perpignano dei dolciumi, la prima con le denominazioni "touron Alicante" e "touron Jijona", la seconda con le denominazioni "touron catalan type Alicante" e "touron catalan type Jijona".

4 A norma dell' art. 3 della convenzione sulla tutela delle denominazioni d' origine, delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni di taluni prodotti, firmata a Madrid il 27 giugno 1973 fra la Repubblica francese e lo Stato spagnolo (Journal officiel de la Republique française 18 aprile 1975, pag. 4011, in prosieguo: la "convenzione franco-spagnola"), le denominazioni "Turrón de Alicante" e "Turrón de Jijona" sono riservate esclusivamente, nel territorio francese, ai prodotti o alle merci spagnole e possono essere usate unicamente secondo la normativa dello Stato spagnolo. Ai sensi dell' art. 5, n. 2, di detta convenzione, la norma si applica anche qualora le denominazioni di cui trattasi siano accompagnate da termini quali "maniera" ("façon"), "genere" o "tipo".

5 Invocando la convenzione franco-spagnola, la Exportur ha invano tentato di ottenere dal giudice dell' urgenza, indi dal Tribunal de commerce di Perpignano, che fosse vietato alle due imprese francesi di usare le denominazioni spagnole di cui trattasi. La Exportur ha interposto appello contro la sentenza del Tribunal de commerce di Perpignano dinanzi alla Cour d' appel di Montpellier.

6 Avendo dei dubbi circa l' interpretazione da dare agli artt. 30, 34 e 36 del Trattato, la Cour d' appel di Montpellier ha deciso di sospendere il giudizio fino a che la Corte non si sia pronunciata in via pregiudiziale sulle seguenti questioni:

"1) Se gli artt. 30 e 34 del Trattato CEE debbano essere interpretati nel senso che vietano la tutela delle denominazioni d' origine o di provenienza disposta dalla convenzione franco-spagnola 27 giugno 1973, in particolare delle denominazioni Alicante o Jijona per i torroni.

2) In caso di soluzione affermativa della questione precedente, se l' art. 36 del Trattato debba essere interpretato nel senso che autorizza la tutela delle stesse denominazioni".

7 Per una più ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d' udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte.

8 In via preliminare, occorre rilevare che con ragione il giudice nazionale ha ritenuto che le disposizioni di una convenzione stipulata successivamente al 1 gennaio 1958 da uno Stato membro con un altro Stato non potessero applicarsi, a partire dall' adesione di questo secondo Stato alla Comunità, nei rapporti fra gli Stati stessi, qualora si rivelassero in contrasto con le norme del Trattato. Si deve quindi stabilire se le disposizioni della convenzione franco-spagnola siano compatibili con le norme del Trattato sulla libera circolazione delle merci.

9 Per risolvere la questione, si deve anzitutto esaminare la convenzione franco-spagnola, il suo contesto e la sua portata.

Sulla convenzione franco-spagnola, sul suo contesto e sulla sua portata

10 Va posto in rilievo che la convenzione franco-spagnola ha lo scopo di tutelare le indicazioni di provenienza e le denominazioni di origine spagnole nel territorio francese e, all' inverso, le indicazioni di provenienza e le denominazioni di origine francesi nel territorio spagnolo.

11 Dall' esame comparato dei diritti nazionali si desume che le indicazioni di provenienza sono destinate ad informare il consumatore del fatto che il prodotto che le reca proviene da un luogo, da una regione o da un paese determinati. A questa provenienza geografica può essere connessa una reputazione più o meno grande. La denominazione d' origine, dal canto suo, garantisce, oltre alla provenienza geografica del prodotto, il fatto che la merce è stata prodotta secondo i requisiti di qualità o le norme di produzione disposti da un atto delle pubbliche autorità e controllati dalle stesse

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e quindi la presenza di talune caratteristiche specifiche (v. sentenza 9 giugno 1992, causa C-47/90, Delhaize, Racc. pag. I-3669, punti 17 e 18 della motivazione). Le indicazioni di provenienza sono tutelate mediante le norme dirette a reprimere la pubblicità ingannevole, come pure lo sfruttamento abusivo della reputazione altrui. Le denominazioni d' origine sono invece tutelate dalle norme speciali contenute nelle disposizioni di leggi o di regolamenti che le riconoscono. Queste norme escludono generalmente l' uso di termini quali "genere", "tipo" o "maniera" ("façon") ed impediscono, per tutta la durata del regime istituito, la trasformazione di tali denominazioni in denominazioni generiche.

12 In conformità al principio della territorialità, la tutela delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni d' origine è affidata al diritto del paese nel quale la tutela è chiesta (paese d' importazione), non già a quello del paese di origine. Questa tutela è quindi determinata dal diritto del paese d' importazione come pure dalla situazione di fatto e dalle idee correnti in questo paese. Con riguardo appunto a questa situazione ed a queste idee sarà valutata l' esistenza di una frode a danno degli acquirenti nazionali ovvero, se del caso, la natura generica della denominazione. Dato che questa valutazione è indipendente dal diritto del paese di origine e dalla situazione esistente nello stesso, una denominazione tutelata nel paese di origine in quanto indicazione di provenienza potrà essere considerata una denominazione generica nel paese d' importazione e viceversa.

13 Appunto a questo principio dell' applicazione del diritto del paese d' importazione deroga la convenzione franco-spagnola sulla tutela delle denominazioni d' origine, delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni di taluni prodotti.

14 La convenzione franco-spagnola si basa sui seguenti principi:

- le indicazioni di provenienza e le denominazioni di origine tutelate sono riservate ai prodotti e alle merci del paese d' origine (artt. 2 e 3);

- le denominazioni tutelate sono indicate in due elenchi allegati alla convenzione (artt. 2 e 3);

- la tutela concessa si basa sul diritto del paese d' origine, non già su quello del paese in cui la tutela è richiesta (artt. 2 e 3);

- la tutela delle denominazioni indicate è completata da una clausola generale la quale vieta che vi siano, "sui prodotti o sulle merci, nella loro presentazione, sulla confezione o sull' imballaggio esterno, come pure nelle fatture, bollette di accompagnamento o altri documenti commerciali, ovvero nella pubblicità", delle indicazioni false o ingannevoli tendenti a indurre in errore l' acquirente o il consumatore sulla loro effettiva origine o provenienza, sulla loro natura o sulle loro qualità essenziali (art. 6);

- i divieti posti dalla convenzione valgono del pari qualora delle denominazioni tutelate siano usate "vuoi tradotte, vuoi con l' indicazione della provenienza effettiva, vuoi con l' aggiunta di termini quali 'maniera' (' façon' ), 'genere' , 'tipo' , 'stile' , 'imitazione' o 'analogo' (' similaire' )" (art. 5, n. 1);

- infine viene precisato che "i prodotti o le merci originari del territorio di uno degli Stati contraenti, come pure i loro imballaggi, etichette, fatture, bollette d' accompagnamento ed altri documenti commerciali, i quali, al momento dell' entrata in vigore della presente convenzione, rechino o menzionino abitualmente delle indicazioni di cui la stessa convenzione vieta l' uso, possono essere venduti o usati per un periodo di cinque anni a partire dalla data della sua entrata in vigore" (art. 8, n. 1).

15 Nella parte in cui prescrive di applicare il diritto del paese di origine, la convenzione franco-spagnola si distingue dalla convenzione di Parigi per la tutela della proprietà industriale in data 20 marzo 1883, modificata da ultimo a Stoccolma il 14 luglio 1967 (Raccolta dei Trattati delle Nazioni unite, vol. 828, n. 11851, pag. 305), e dall' accordo di Madrid riguardante la repressione delle indicazioni di provenienza false o ingannevoli in data 14 aprile 1891, modificato da ultimo a Stoccolma il 14 luglio 1967 (Raccolta dei Trattati delle Nazioni unite, vol. 828, n. 11848, pag. 163). In quanto comprende le indicazioni di provenienza e non si limita quindi alle denominazioni di origine, "riconosciute e tutelate per questo motivo dal paese d' origine", essa differisce dall' accordo di Lisbona 31 ottobre 1858, riguardante la tutela delle denominazioni d' origine e la loro registrazione internazionale, modificato a Stoccolma il 14 luglio 1967 (Raccolta dei Trattati delle Nazioni unite, vol. 828, n. 13172, pag. 205). Del resto, proprio per porre rimedio alle manchevolezze delle prime due convenzioni multilaterali sopra menzionate ed alle limitazioni della terza, numerosi Stati europei hanno concluso accordi bilaterali di questo tipo.

Sull' applicazione del divieto di restrizioni all' importazione e all' esportazione

16 Va ricordato anzitutto che, secondo la costante giurisprudenza (v., in primo luogo, la sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, Racc. pag. 837, punto 5 della motivazione), il divieto di misure

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di effetto equivalente a restrizioni quantitative posto dall' art. 30 riguarda qualsiasi normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio intracomunitario.

17 Nel presente caso il giudice nazionale ha espresso dei dubbi circa l' applicazione dell' art. 30. In proposito la Exportur ha sostenuto che la convenzione franco-spagnola ostava alla vendita in Francia di prodotti francesi ed alla vendita in Spagna di prodotti spagnoli. Viceversa, essa non osterebbe affatto all' importazione di prodotti spagnoli in Francia o a quella di prodotti francesi in Spagna. Secondo la Exportur, non vi è quindi una misura di effetto equivalente ai sensi dell' art. 30 e l' interpretazione richiesta non è tale da fornire al giudice nazionale elementi utili per la soluzione della lite dinanzi ad esso pendente.

18 La tesi della Exportur è infondata. La convenzione franco-spagnola si risolve nel vietare a imprese spagnole di usare in Francia delle denominazioni spagnole tutelate qualora il diritto di usarle sia loro negato dal diritto spagnolo e nel vietare a imprese francesi di usare in Spagna delle denominazioni francesi tutelate qualora il diritto di usare tali denominazioni sia loro negato dal diritto francese.

19 Inoltre, come hanno giustamente rilevato la LOR e la Confiserie du Tech, l' impresa, stabilita in uno Stato membro diverso dalla Francia o dalla Spagna, che esportasse merci in uno di questi due Stati, servendosi di una denominazione tutelata dalla convenzione, si troverebbe di fronte, in questi due Stati, al divieto di usare la denominazione stessa.

20 Questi effetti potenziali per il commercio intracomunitario bastano per far rientrare i divieti posti dalla convenzione franco-spagnola nel campo di applicazione dell' art. 30 del Trattato.

21 Per contro, la convenzione franco-spagnola non implica, come prescrive l' art. 34 (v. sentenza 8 novembre 1979, causa 15/79, Groenveld, Racc. pag. 3409, punto 7 della motivazione), misure che abbiano l' oggetto o l' effetto di restringere specificamente le correnti d' esportazione e di determinare quindi una differenza di trattamento tra il commercio interno di uno Stato membro ed il commercio d' esportazione, in modo da garantire un vantaggio particolare ai prodotti nazionali o al mercato interno dello Stato stesso, a detrimento dei prodotti o del commercio di altri Stati membri. Come la Exportur ha dimostrato, le disposizioni della convenzione riguardano l' uso delle denominazioni tutelate unicamente nel territorio dei due Stati contraenti. Lo smercio di prodotti francesi o spagnoli in altri Stati membri esula dal loro campo d' applicazione. D' altronde, il fatto che un' impresa francese non possa esportare in Spagna dei prodotti muniti di determinate denominazioni riservate ai prodotti spagnoli non è dovuto al diritto vigente nel territorio francese in forza della convenzione franco-spagnola, bensì al diritto spagnolo che andrebbe in ogni modo applicato in caso di importazioni in Spagna.

22 Il problema va quindi risolto unicamente alla luce dell' art. 30.

Sull' applicazione dell' art. 36 del Trattato

Per quanto riguarda i principi

23 A norma dell' art. 36 del Trattato, l' art. 30 del Trattato non osta ai divieti o alle restrizioni d' importazione giustificati da motivi di tutela della proprietà industriale o commerciale.

24 In quanto contiene un' eccezione ad uno dei principi fondamentali del Mercato comune, l' art. 36 ammette tuttavia delle deroghe alla libera circolazione delle merci unicamente qualora queste siano giustificate dalla salvaguardia dei diritti che costituiscono l' oggetto specifico di detta proprietà (v. sentenza 31 novembre 1974, causa 16/74, Centrafarm, Racc. pag. 1183, punto 7 della motivazione).

25 E' quindi opportuno accertare se i divieti posti dalla convenzione franco-spagnola siano giustificati dalla salvaguardia dei diritti che costituiscono l' oggetto specifico delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni di origine.

26 La LOR e la Confiserie du Tech sostengono anzitutto che i torroni prodotti ad Alicante e a Jijona non differiscono in modo significativo, per quanto riguarda la composizione e la qualità, da quelli che esse producono a Perpignano. Le qualità e le caratteristiche di tali torroni non avrebbero alcun rapporto con la loro origine geografica. Esse ne concludono, richiamandosi alla sentenza 20 febbraio 1975, causa 12/74, Commissione/Germania (Racc. pag. 181), che la convenzione franco-spagnola è incompatibile con il diritto comunitario.

27 La Commissione, dal canto suo, richiamandosi alla stessa sentenza Commissione/Germania, sostiene che la funzione specifica della denominazione geografica sussiste e il divieto per le altre imprese di usare la denominazione è giustificato dalla tutela della proprietà commerciale unicamente

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se il prodotto designato dalla denominazione tutelata possiede delle qualità e delle caratteristiche dovute all' ubicazione geografica della sua provenienza e tali da contraddistinguerlo. Essa precisa che nel caso in cui il prodotto non tragga un sapore particolare da un determinato terreno, l' etichettatura che indichi il luogo d' origine o di provenienza effettiva del prodotto, ai sensi dell' art. 3, settimo comma, della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, riguardante l' etichettatura e la presentazione di prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU 1979, L 33, pag. 1), basterebbe per tutelare il consumatore dal rischio di errore.

28 La posizione assunta dalla Commissione, che concorda con quella difesa dalla LOR e dalla Confiserie du Tech, va disattesa. Essa si risolverebbe infatti nel privare di qualsiasi tutela le denominazioni geografiche che siano usate per dei prodotti per i quali non si può dimostrare che debbano un sapore particolare ad un determinato terreno e che non siano stati ottenuti secondo requisiti di qualità e norme di fabbricazione stabiliti da un atto delle pubbliche autorità, denominazioni comunemente chiamate indicazioni di provenienza. Queste denominazioni possono ciò nondimeno godere di una grande reputazione presso i consumatori e costituire per i produttori, stabiliti nei luoghi che esse designano, un mezzo essenziale per costituirsi una clientela. Esse devono quindi essere tutelate.

29 La sentenza Commissione/Germania, sopra menzionata, non ha la portata attribuita dalla Commissione. Da essa si desume in sostanza che uno Stato membro, se non vuole trasgredire l' art. 30, non può riservare, mediante un atto legislativo, ai prodotti nazionali denominazioni che siano state usate per designare prodotti di provenienza qualsiasi, obbligando le imprese degli altri Stati membri a servirsi di denominazioni sconosciute o meno apprezzate dal pubblico. A causa della sua natura discriminatoria, una normativa del genere non fruisce della deroga di cui all' art. 36.

30 Va del resto ricordato che, nella sentenza 25 aprile 1985, causa 207/83, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. 1201, punto 21 della motivazione), la Corte ha deciso che il Trattato non rimetteva in discussione l' esistenza delle norme che consentono di far vietare l' uso di indicazioni d' origine false.

Per quanto riguarda l' uso precedente, antico, leale e tradizionale

31 Richiamandosi alla sentenza 13 marzo 1984, causa 16/83, Prantl (Racc. pag. 1299), la LOR e la Confiserie du Tech hanno sostenuto inoltre che la tutela delle denominazioni geografiche era giustificata unicamente purché non fosse leso l' uso leale e tradizionale da parte di terzi, e che l' applicazione della convenzione franco-spagnola non poteva risolversi nel vietare loro di usare le denominazioni "Turrón de Jijona" e "Turrón de Alicante", dal momento che esse le usavano costantemente e lealmente già da molto tempo.

32 Questo argomento va disatteso. E' vero che nella sentenza Prantl è detto che, quando si tratta di stabilire se una normativa nazionale, per difendere una designazione indiretta di origine geografica allo scopo di tutelare il consumatore, possa vietare lo smercio di vini importati in un certo tipo di bottiglia, si deve rilevare che, in un regime di mercato comune, la difesa dei consumatori e la lealtà dei negozi commerciali in fatto di presentazione dei vini devono essere garantite rispettando vicendevolmente gli usi lealmente e tradizionalmente seguiti nei vari Stati membri.

33 In detta sentenza la Corte ha concluso che l' esclusiva d' uso di un tipo di bottiglia, garantita da una normativa nazionale in uno Stato membro, non può quindi essere opposta all' importazione di vini originari di un altro Stato membro, contenuti in bottiglie di forma identica o analoga in forza di un uso lealmente e tradizionalmente seguito in tale Stato membro.

34 Nel presente caso, senza che sia necessario pronunciarsi sul punto, controverso fra le parti nella causa principale, se l' uso delle denominazioni "Touron Alicante" e "Touron Jijona" da parte della LOR e della Confiserie du Tech sia anteriore alla convenzione franco-spagnola, va posto in rilievo che la situazione alla quale la sentenza Prantl si riferiva è diversa da quella in esame. Nella causa Prantl, la discussione dinanzi alla Corte aveva fatto emergere (v. punto 28 della sentenza) che bottiglie dello stesso tipo del "Bocksbeutel", o che rispetto a questo avevano differenze impercettibili per il consumatore, servivano tradizionalmente per lo smercio dei vini originari di talune regioni d' Italia. In altre parole, in origine la forma della bottiglia era stata del pari usata nello Stato membro esportatore; si trattava di provvedere alla coesistenza di un' indicazione indiretta di provenienza nazionale e di un' indicazione indiretta di provenienza straniera. La situazione non è quindi per nulla simile all' uso di denominazioni di città spagnole da parte di imprese francesi, uso che solleva il problema della tutela in uno Stato di denominazioni di un altro Stato.

Per quanto riguarda la legittimità dell' estensione del regime vigente nello Stato d' origine allo Stato nel quale la tutela è richiesta

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35 La LOR e la Confiserie du Tech hanno inoltre sostenuto che le denominazioni "Touron Alicante" e "Touron Jijona" sono denominazioni generiche che designano dei tipi di prodotti e non fanno più pensare ad una provenienza geografica determinata.

36 La tesi dev' essere intesa nel senso che la convenzione, in ossequio all' art. 30 del Trattato, non potrebbe vietare l' uso in Francia di una denominazione spagnola che sia divenuta generica in Francia. Il problema è quindi se sia in contrasto con la libera circolazione delle merci il fatto che un accordo bilaterale fra due Stati membri renda applicabile, in deroga al principio della territorialità, il diritto del paese di origine anziché quello dello Stato in cui la tutela è richiesta. E' questo il problema che si deve ora esaminare.

37 In proposito va rilevato che lo scopo della convenzione è quello di impedire che i produttori di uno Stato contraente usino le denominazioni geografiche di un altro Stato, sfruttando così la reputazione propria dei prodotti delle imprese stabilite nelle regioni o nei luoghi indicati da tali denominazioni. Uno scopo siffatto, che mira a garantire la lealtà della concorrenza, può essere considerato compreso nella salvaguardia della proprietà industriale e commerciale ai sensi dell' art. 36, purché le denominazioni non abbiano acquistato, al momento dell' entrata in vigore della convenzione o in un momento successivo, natura generica nello Stato d' origine.

38 Giacché la tutela garantita da uno Stato a denominazioni indicanti regioni o luoghi del proprio territorio è giustificata alla luce dell' art. 36 del Trattato, questo non osta nemmeno a che tale tutela sia estesa al territorio di un altro Stato membro.

39 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, le questioni sollevate dal giudice nazionale vanno risolte nel senso che gli artt. 30 e 36 del Trattato non ostano all' applicazione delle norme di una convenzione bilaterale fra Stati membri relativa alla tutela delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni d' origine, quale la convenzione franco-spagnola 27 giugno 1973, purché le denominazioni tutelate non abbiano acquistato, al momento dell' entrata in vigore della convenzione o in un momento successivo, natura generica nello Stato d' origine.

SENTENZA DELLA CORTE

7 novembre 2000 (1)

«Protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine -

Regolamento (CEE) n. 2081/92 - Ambito di applicazione - Disciplina nazionale che proibisce l'uso ingannevole delle indicazioni di origine geografica dette semplici»

Nel procedimento C-312/98,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177

del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Bundesgerichtshof (Germania), nella causa dinanzi ad

esso pendente tra

Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV,

e

Warsteiner Brauerei Haus Cramer GmbH & Co. KG,

domanda vertente sull'interpretazione del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti

agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1)

LA CORTE,

composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, C. Gulmann, A. La Pergola, M. Wathelet e

V. Skouris, presidenti di sezione, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet, P. Jann, L. Sevón, R. Schintgen (relatore) e dalla signora F. Macken, giudici,

avvocato generale: F.G. Jacobs

cancelliere: H.A. Rühl, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate:

- per lo Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV, dall'avv. E.M. Gerstenberg, del foro di

Monaco di Baviera;

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- per la Warsteiner Brauerei Haus Cramer Gmbh & Co. KG, dall'avv. W. Witz, del foro di Mannheim;

- per il governo tedesco, dai signori W.-D. Plessing, Ministerialrat presso il ministero federale

dell'Economia, e A. Dittrich, Ministerialrat presso il ministero federale della Giustizia, in qualità di

agenti;

- per il governo ellenico, dal signor I.K. Chalkias, consigliere giuridico aggiunto presso l'Avvocatura

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26/08/2003http://curia.eu.int/jurisp/cgibin/gettext.pl?lang=it&num=79998892C19980312&doc=T&ouvert=T&seance=ARRET ...

dello Stato, in qualità di agente;

- per il governo francese, dalle signore K. Rispal-Bellanger, vicedirettore presso la direzione Affari

giuridici del Ministero degli Affari esteri, e C. Vasak, segretario aggiunto agli Affari esteri presso la

stessa direzione, in qualità di agenti;

- per il governo italiano, dal professor U. Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dal signor I.M. Braguglia, avvocato dello

Stato;

- per il governo austriaco, dalla signora C. Pesendorfer, Oberrätin presso la Cancelleria, in qualità di agente;

- per la Commissione delle Comunità europee, dal signor J.L. Iglesias Buhigues, consigliere giuridico,

in qualità di agente, assistito dall'avv. B. Wägenbaur, del foro di Bruxelles,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali dello Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV, rappresentato

dagli avv.ti E.M. Gerstenberg e C. Eggers, del foro di Francoforte sul Meno, della Warsteiner Brauerei Haus Cramer GmbH & Co. KG, rappresentata dall'avv. W. Witz, del governo tedesco,

rappresentato dal signor H. Heitland, Regierungsdirektor presso il Ministero federale della Giustizia, in qualità di agente, del governo ellenico, rappresentato dal signor I.K. Chalkias, del governo

italiano, rappresentato dalla signora F. Quadri, avvocato dello Stato, e della Commissione, rappresentata dal signor J.L. Iglesias Buhigues, assistito dall'avv. B. Wägenbaur, all'udienza del 22

marzo 2000,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 25 maggio 2000,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1. Con ordinanza 2 luglio 1998, giunta alla Corte il 12 agosto successivo, il Bundesgerichtshof ha

proposto, a norma dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo

alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1).

2. Detta questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia che oppone lo Schutzverband

gegen Unwesen in der Wirtschaft eV, un'associazione che ha come oggetto sociale la lotta alla

concorrenza sleale (in prosieguo: lo «Schutzverband»), alla Warsteiner Brauerei Haus Cramer Gmbh & Co. KG (in prosieguo: la «Warsteiner Brauerei»), in relazione all'uso da parte di quest'ultima della

denominazione «Warsteiner» sulle etichette applicate alle bottiglie di determinati tipi di birra che essa produceva in una birreria situata a Paderborn, località a 40 km da Warstein.

La disciplina nazionale

3. In Germania, l'art. 3 del Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (legge tedesca sulla

concorrenza sleale; in prosieguo: l'«UWG») del 7 giugno 1909 dispone:

«Contro chiunque fornisca, nell'ambito di relazioni commerciali, per ragioni di concorrenza,

indicazioni ingannevoli relative (...) all'origine (dei prodotti) può essere intentata un'azione inibitoria dell'uso di tali indicazioni».

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4. Il Gesetz über den Schutz von Marken und sonstigen Kennzeichen (legge tedesca sulla

protezione dei marchi e altri contrassegni; in prosieguo: il «Markengesetz») del 25 ottobre 1994

(BGBl 1994 I, pag. 3082), entrato in vigore il 1° gennaio 1995, stabilisce, all'art. 1, recante a rubrica «Marchi tutelati e altri contrassegni»:

«Sono tutelati in forza della presente legge:

1. i marchi,

2. le ditte, le insegne e le denominazioni sociali,

3. le indicazioni di origine geografica».

5. Le indicazioni di origine geografica sono disciplinate dalla parte sesta del Markengesetz. Detta

parte si compone di tre sezioni, la prima delle quali (artt. 126-129) riguarda la «protezione delle indicazioni di origine geografica» e la seconda (artt. 130-136) la «protezione delle indicazioni

geografiche e delle denominazioni d'origine ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/92».

6. L'art. 126, n. 1, del Markengesetz, intitolato «Denominazioni, indicazioni o contrassegni tutelati

quali indicazioni di origine geografica», prevede che:

«Per indicazioni di origine geografica si intendono, ai sensi della presente legge, i nomi di luoghi, regioni, territori o paesi, nonché le altre indicazioni o contrassegni usati nelle relazioni commerciali

per indicare la origine geografica di prodotti o di servizi».

7. L'art. 126, n. 2, precisa che «le denominazioni, le indicazioni o i contrassegni di cui al numero 1 non godono di tutela quali indicazioni di origine geografica allorché si tratti di denominazioni

generiche».

8. L'art. 127 del Markengesetz, intitolato «Portata della protezione», dispone:

«1. Le indicazioni di origine geografica non possono essere usate nelle relazioni commerciali per

prodotti o servizi che non provengono dal luogo, dalla regione, dal territorio o dal paese che le stesse indicano, allorché l'uso di tali denominazioni, indicazioni o contrassegni per prodotti o servizi

di diversa origine comporti un rischio di frode circa la loro origine geografica.

2. Allorché un'indicazione di origine geografica designi prodotti o servizi che possiedono caratteristiche particolari o una qualità particolare, l'indicazione di origine geografica può essere

usata nelle relazioni commerciali per tale tipo di prodotti o di servizi aventi tale origine solo quando

gli stessi presentano tali caratteristiche o tale qualità.

3. Allorché un'indicazione di origine geografica goda di particolare rinomanza, non può essere usata nelle relazioni commerciali per prodotti o servizi di diversaorigine, ancorché in assenza di

qualsivoglia rischio di frode circa l'origine geografica, se il suo uso per prodotti o servizi di diversa provenienza è atto a produrre un vantaggio sleale e ingiusto grazie alla rinomanza o alla qualità

caratteristica dell'indicazione di origine geografica, o a recarvi pregiudizio.

9. In forza dell'art. 128, n. 1, del Markengesetz:

«Un'azione inibitoria può essere intentata da parte di chi è legittimato in forza dell'art. 13, n. 2, della

legge sulla concorrenza sleale [UWG] contro chiunque usi nelle relazioni commerciali denominazioni, indicazioni o contrassegni in violazione dell'art. 127.».

10. Al riguardo, risulta dall'ordinanza di rinvio che l'art. 13, n. 2, dell'UWG si riferisce ai concorrenti,

alle associazioni di categoria, alle associazioni dei consumatori e alle camere di commercio, industria e artigianato.

11. Gli artt. 130-136 del Markengesetz regolano in particolare la procedura per la registrazione

delle indicazioni geografiche e per le denominazioni d'origine ai sensi del regolamento n. 2081/92, le modalità di sorveglianza e di controllo previste dalle disposizioni di detto regolamento, i tipi di

ricorso esistenti in materia e i termini di prescrizione.

La disciplina comunitaria

Il regolamento n. 2081/92

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12. Il regolamento n. 2081/92, entrato in vigore il 25 luglio 1993, ricorda, al suo quinto

'considerando, «che in relazione all'etichettatura i prodotti agricoli e alimentari sono soggetti alle

norme generali fissate dalla Comunità e segnatamente all'osservanza della direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri

concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità [GU 1979, L 33, pag. 1]; che, tenuto conto della loro specificità, è opportuno stabilire una serie di

disposizioni particolari complementari per i prodotti agricoli ed alimentari provenienti da una determinata area geografica».

13. Il regolamento n. 2081/92 constata parimenti, al suo settimo 'considerando, «che le prassi

nazionali di elaborazione e di attribuzione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche sono attualmente eterogenee; che è necessario prospettare un approccio comunitario;

che in effetti un quadro normativo comunitario recante un regime di protezione favorirà la diffusione

delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine poiché garantirà, tramite un'impostazione più uniforme, condizioni di concorrenza uguali tra i produttori dei prodotti che

beneficiano di siffattediciture, ciò che farà aumentare la credibilità dei prodotti in questione agli occhi dei consumatori».

14. Il nono e il decimo 'considerando del regolamento n. 2081/92 recitano come segue:

«considerando che il campo d'applicazione del presente regolamento si limita ai prodotti agricoli e

alimentari in ordine ai quali esiste un nesso fra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica; che, tuttavia, all'occorrenza detto campo d'applicazione potrebbe essere esteso ad altri

prodotti;

considerando che, tenuto conto delle prassi esistenti, sembra opportuno definire due diversi livelli di

riferimento geografico, ossia le indicazioni geografiche protette e le denominazioni di origine protette».

15. L'art. 1 del regolamento n. 2081/92 prevede:

«1. Il presente regolamento stabilisce le norme relative alla protezione delle denominazioni d'origine

e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli destinati all'alimentazione umana elencati

nell'allegato II del trattato e dei prodotti alimentari elencati nell'allegato I del presente regolamento, nonché dei prodotti agricoli elencati nell'allegato II del presente regolamento.

(...)

2. Il presente regolamento si applica senza pregiudizio di altre disposizioni comunitarie particolari.

(...)».

16. L'allegato I al citato regolamento, intitolato «Prodotti alimentari di cui all'articolo 1, paragrafo

1», cita la «Birra» al primo trattino.

17. Ai sensi dell'art. 2, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2081/92:

«1. La protezione comunitaria delle denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche dei

prodotti agricoli ed alimentari è ottenuta conformemente al presente regolamento.

2. Ai fini del presente regolamento si intende per:

a) »denominazione d'origine: il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare

- originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e

- la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente

geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell'area geografica delimitata;

b) indicazione geografica: il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare

- originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e

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- di cui una determinata qualità, la reputazione o un'altra caratteristica possa essere attribuita

all'origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell'area

geografica determinata».

18. Il regolamento n. 2081/92 indica, al suo dodicesimo 'considerando, che «per usufruire della protezione in ciascuno degli Stati membri, le indicazioni geografiche e le denominazioni d'origine

devono essere registrate a livello comunitario» e che «l'iscrizione in un registro consente altresì di garantire l'informazione degli operatori del settore e dei consumatori».

19. Gli artt. 5-7 del regolamento n. 2081/92 disciplinano la procedura di registrazione delle

indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine di cui all'art. 2, detta «procedura ordinaria». Secondo l'art. 5, n. 4, la domanda di registrazione va inviata allo Stato membro sul cui

territorio è situata l'area geografica interessata. Lo Stato membro verifica, ai sensi del n. 5 di tale

disposizione, che la domanda sia giustificata e la trasmette alla Commissione.

20. Tenuto conto del fatto che l'istruttoria di una domanda di registrazione da parte della

Commissione richiede un certo tempo e che si è ritenuto necessario, in attesa di una decisione relativa alla registrazione di una denominazione, che lo Stato membro conceda una protezione

nazionale transitoria, il regolamento n. 2081/92 è stato modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 marzo 1997, n. 535 (GU L 83, pag. 3), che ha inserito all'art. 5, n. 5, dopo il n. 1, il

testo che segue:

«Tale Stato membro può, a titolo transitorio, accordare alla denominazione così trasmessa una protezione ai sensi del presente regolamento a livello nazionale, nonché, se del caso, un periodo di

adeguamento, solo in via transitoria a decorrere dalla data della trasmissione; (...)

La protezione nazionale transitoria cessa di esistere a decorrere dalla data in cui è adottata una

decisione sulla registrazione in virtù del presente regolamento. (...)

Le conseguenze di una tale protezione nazionale, nel caso in cui la denominazione non fosse registrata ai sensi del presente regolamento, sono responsabilità esclusiva dello Stato membro

interessato.

Le misure adottate dagli Stati membri in virtù del secondo comma hanno efficacia solo a livello nazionale e non devono ostacolare gli scambi intracomunitari».

21. L'art. 17 del regolamento n. 2081/92 introduce una procedura di registrazione semplificata, applicabile alla registrazione delle denominazioni già esistenti alla data di entrata in vigore del

regolamento. Esso dispone:

«1. Entro un termine di sei mesi a decorrere dalla data dell'entrata in vigore del presente regolamento, gli Stati membri comunicano alla Commissione quali denominazioni, tra quelle

giuridicamente protette o, negli Stati membri in cui non vige un sistema di protezione, sancite dall'uso, essi desiderano far registrare a norma del presente regolamento.

2. La Commissione registra, secondo la procedura prevista all'articolo 15, le denominazioni di cui al

paragrafo 1 conformi agli articoli 2 e 4. L'articolo 7 non si applica. Tuttavia non vengono registrate

le denominazioni generiche.

3. Gli Stati membri possono mantenere la protezione nazionale delle denominazioni comunicate in conformità del paragrafo 1 sino alla data in cui viene presa una decisione in merito alla

registrazione».

22. In forza dell'art. 8 del regolamento n. 2081/92: «Le menzioni DOP, IGP o le menzioni tradizionali equivalenti possono figurare solo su prodotti agricoli ed alimentari conformi al presente

regolamento».

23. Ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 2081/92:

«1. Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti

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che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti

registrati con questa denominazione o nella misura in cui l'uso di tale denominazione consenta di

sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta;

b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali genere, tipo,

metodo, alla maniera, imitazione o simili;

c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sullaconfezione o sull'imballaggio, nella pubblicità o sui

documenti relativi ai prodotti considerati nonché l'impiego, per la confezione, di recipienti che possono indurre in errore sull'origine;

d) qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla vera origine dei prodotti.

Se una denominazione registrata contiene la denominazione di un prodotto agricolo o alimentare che è considerata generica, l'uso di questa denominazione generica per il prodotto agricolo o

alimentare appropriato non è contrario al primo comma, lett. a) o b).

2. Gli Stati membri possono tuttavia mantenere le misure nazionali che autorizzano l'impiego delle espressioni di cui alla lett. b) del paragrafo 1 per un periodo massimo di cinque anni a decorrere

dalla data di pubblicazione del presente regolamento, sempreché:

- i prodotti siano stati commercializzati legalmente con tali espressioni per almeno cinque anni prima della data di pubblicazione del presente regolamento;

- dalle etichette risulti chiaramente la vera origine dei prodotti.

Questa deroga non può tuttavia condurre alla libera commercializzazione dei prodotti nel territorio di uno Stato membro per il quale dette espressioni erano vietate.

3. Le denominazioni protette non possono diventare generiche».

24. Al fine di tener conto in particolare del fatto che solo nel marzo 1996 la Commissione ha

presentato al Consiglio la prima proposta di registrazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine che essa doveva elaborare ai sensi dell'art. 17, n. 2, del regolamento n.

2081/92, vale a dire dopo che la maggior parte del periodo transitorio di cinque anni previsto all'art. 13, n. 2, dello stesso regolamento era già trascorso, il regolamento n. 535/97, entrato in vigore il 28

marzo 1997, ha sostituito quest'ultimo numero con il testo seguente:

«In deroga al paragrafo 1 lett. a) e b), gli Stati membri possono lasciare in vigore i sistemi nazionali

che consentono l'impiego delle denominazioni registrate in virtù dell'art. 17 per un periodo massimo di cinque anni a decorrere dalla data di pubblicazione della registrazione, sempreché:

- i prodotti siano stati legalmente immessi in commercio con tali denominazioni da almeno cinque

anni prima della data di pubblicazione del presente regolamento,

- le imprese abbiano legalmente immesso in commercio i prodotti in questione utilizzando in modo continuativo le denominazioni durante il periodo di cui al primo trattino,

- dalle etichette risulti chiaramente la vera origine dei prodotti.

Questa deroga non può tuttavia condurre alla libera immissione in commercio dei prodotti nel territorio di uno Stato membro per il quale tali denominazioni erano vietate».

La causa principale e la questione pregiudiziale

25. La Warsteiner Brauerei gestisce, dal 1753, una birreria in Warstein, nella Renania

settentrionaleVestfalia (Germania). Essa è titolare del marchio «Warsteiner» per la «birra di tipo Pilsen», registrato il 24 ottobre 1990 presso il Deutsche Patentamt (Ufficio brevetti tedesco) dopo

che era stato dimostrato che tale marchio si era ormai affermato sul mercato. E' pacifico che una birra prodotta a Warstein non possiede alcuna specifica caratteristica che le derivi da detta località e che la birra denominata «Warsteiner» deve la sua rinomanza alla qualità della birra e all'attività

promozionale del marchio «Warsteiner».

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26. Nell'autunno 1990 la Warsteiner Brauerei acquistava una birreria in Paderborn, situata a km 40

da Warstein, nella quale ha prodotto birra di tipo «Light» e «Fresh» sino alla fine del 1991. Le

etichette applicate sulla parte anteriore delle bottiglie di questi tipi di birra presentavano tra l'altro la menzione «Warsteiner» o «Marke Warsteiner» (marchio Warsteiner). Le etichette applicate sulla

parte posteriore indicavano tra l'altro che i tipi di birra in argomento erano prodotti e imbottigliati «in unserer neuen Paderborner Brauerei» (nella nostra nuova birreria di Paderborn).

27. Ritenendo che tali etichette traessero in inganno, lo Schutzverband ha citato in giudizio la

Warsteiner Brauerei davanti al Landgericht Mannheim (Germania) perché le fosse inibito, ai sensi dell'art. 3 dell'UWG, l'uso dell'indicazione di origine geografica «Warsteiner» per la birra prodotta a

Paderborn.

28. Davanti al Landgericht Mannheim, la Warsteiner Brauerei ha in particolare fatto valere che la

denominazione «Warsteiner» non implicherebbe alcuna allusione a una qualsivoglia provenienza geografica, dato che la località Warstein sarebbe praticamente sconosciuta e che ad ogni buon

conto la rinomanza della birra non dipenderebbe dalle caratteristiche particolari attribuibili a tale località. Essa aggiungeva che anche molte altre birre che recano una denominazione evocante

un'origine geografica non sarebbero esclusivamente prodotte nella località a cui la denominazione si riferisce.

29. Il Landgericht Mannheim, dopo aver fatto procedere a una perizia demoscopica, ha accolto

l'azione inibitoria promossa dallo Schutzverband e, con sentenza 10 giugno 1994, ha vietato alla Warsteiner Brauerei di offrire in vendita, distribuire e/o porre in commercio le birre prodotte nella

birreria di Paderborn, recanti le etichette contestate.

30. Con sentenza 14 febbraio 1996, l'Oberlandesgericht Karlsruhe (Germania), decidendo in sede di

appello, ha riformato la sentenza del Landegericht Mannheim e respinto la domanda dello Schutzverband. Dopo aver disposto una perizia integrativa, l'Oberlandesgericht Karlsruhe ha infatti

dichiarato che dal sondaggio risulterebbe che una parte considerevole delle persone interrogate non era tratta in inganno da questa denominazione in modo rilevante, cioè in modo tale da influenzare il

comportamento dei consumatori. Esso ha constatato che solo l'8% dei consumatori di birra interrogati, ancorché bevitori in via rara od occasionale, sarebbero stati a conoscenza dell'esistenza

di una località chiamata Warstein e le avrebbero attribuito importanza.

31. Nella sua sentenza, l'Oberlandesgericht Karlsruhe ha parimenti esaminato le pretese fondate sul

Markengesetz, entrato nel frattempo in vigore, e, come risulta dalle osservazioni scritte presentate

alla Corte dalla Warsteiner Brauerei, ha al riguardo indicato:

«La pretesa invocata non può più fondarsi sul combinato disposto degli artt. 128, n. 1, da un alto, e 126 e 127, dall'altro, del Markengesetz. Per il diritto dei marchi, la protezione delle denominazioni

d'origine geografica presuppone essa stessa l'esistenza di un rischio di frode (art. 127, n. 1, del Markengesetz). Esattamente come per l'art. 3 dell'UWG, occorre basarsi sull'esistenza di

un'indicazione ingannevole che influenzi la scelta al momento dell'acquisto».

32. La controversia è stata infine portata dinanzi al Bundesgerichtshof che, nella sua ordinanza di

rinvio, osserva innanzi tutto che per la valutazione giuridica della controversia vengono segnatamente in rilievo le disposizioni del Markengesetz. Esso sottolinea che la protezione delle

indicazioni di origine geografica è stata ampliata tramite l'adozione di tale nuova legislazione, che ha carattere di «lex specialis». Per sua natura, questa protezione continuerebbe a trovare un suo

fondamento nel diritto della concorrenza, ma disposizioni come quella dell'art. 3 dell'UWG potrebbero essere invocate solo a titolo suppletivo, per fattispecie che non ricadono sotto gli artt.

126 e seguenti del Markengesetz. In assenza di attribuzione della denominazione a un singolo

titolare (esclusivista), le indicazioni di origine geografica non costituirebbero tuttavia un particolare tipo di proprietà intellettuale.

33. Il Bundesgerichtshof rileva in seguito che la protezione dei concorrenti sarebbe motivo

sufficiente per giustificare il divieto di apporre su un prodotto indicazioni inesatte quanto alla sua provenienza geografica, di modo che la protezione delle indicazioni di origine geografica dovrebbe

essere assicurata anche quando l'origine del prodotto è ininfluente sulle scelte di acquisto del consumatore.

34. Secondo il Bundesgerchtshof, la protezione delle indicazioni di origine geografica semplici di cui

all'art. 127, n. 1, del Markengesetz non presupporrebbe che le indicazioni di cui trattasi siano note in

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quanto tali, vale a dire, nella causa principale, in quanto riferimento a una località chiamata

«Warstein», ma richiederebbero semplicemente che la località indicata non sia palesemente

inimmaginabile come luogodi produzione, a motivo della sua specificità o delle caratteristiche particolari del prodotto. Questa protezione non sarebbe neppure subordinata alla condizione che il

consumatore associ a questa indicazione qualità particolari, che si esplicitano in caratteristiche regionali o locali. Per statuire sulla controversia principale, sarebbe perciò inutile sapere se il

consumatore associ al luogo di origine della birra particolari aspettative di qualità o se l'indicazione «Warsteiner», in quanto indicazione di origine, rivesta una qualsivoglia importanza nel determinare

il consumatore all'acquisto.

35. Il Bundesgerichtshof considera infine che il regolamento n. 2081/92 che, ai sensi del suo art. 2, n. 2, lett. b), protegge le indicazioni geografiche dei prodotti alimentari solo se una determinata

qualità, la reputazione o un'altra caratteristica possa essere attribuita all'origine geografica, non si

opponga di norma alla protezione nazionale delle indicazioni di origine geografica semplici. Esso tuttavia ritiene che né la Corte, nella sua sentenza 7 maggio 1997, cause riunite da C-321/94 a

C324/94, Pistre e a. (Racc. pag. I-2343), né la Commissione nelle osservazioni scritte presentate in occasione di detta causa, abbiano mai dato una risposta chiara e definitiva alla questione se la

protezione delle indicazioni geografiche e denominazioni d'origine introdotta dal regolamento n. 2081/92 escluda ogni ulteriore e più estesa protezione nazionale.

36. Ritenendo che, in base a tali premesse, la soluzione della controversia dipendesse

dall'interpretazione del regolamento n. 2081/92, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il

procedimento e di porre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari, osti ad una

normativa nazionale che proibisca l'uso ingannevole di una denominazione di origine geografica semplice, vale a dire di un'indicazione che non implica nessun rapporto fra le caratteristiche del

prodotto e la sua origine geografica».

La questione pregiudiziale

37. Va ricordato, preliminarmente, che il quinto 'considerando del regolamento n. 2081/92 precisa

che i prodotti agricoli e alimentari sono soggetti, per quanto riguarda la loro etichettatura, alle norme generali fissate dalla Comunità e segnatamente all'osservanza della direttiva 79/112.

38. Va parimenti rilevato che, nelle sue osservazioni scritte, il governo tedesco sottolinea

espressamente che gli artt. 126 e seguenti del Markengesetz, come già, in particolare, l'art. 3 dell'UWG, mirano a proteggere dalle frodi il consumatore al pari della direttiva 79/112.

39. Si deve tuttavia constatare che il giudice nazionale non ha interpellato la Corte

sull'interpretazione di tale direttiva, ma che la questione pregiudiziale proposta si riferisce solo alle disposizioni del regolamento n. 2081/92.

40. Letta in relazione alla normativa nazionale applicabile, la questione proposta deve perciò essere letta come volta a stabilire se il regolamento n. 2081/92 osti a una normativa nazionale che

proibisca l'uso ingannevole di una indicazione di origine geografica che non implica nessun rapporto tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica.

41. Al riguardo, va prima di tutto rilevato che risulta dalla giurisprudenza della Corte che, in

mancanza di una normativa comune in materia di produzione e di commercio di un prodotto, spetta, in linea di principio, agli Stati membri disciplinare, ciascuno nell'ambito del proprio territorio, tutto

ciò che riguarda il commercio di tale prodotto, comprese la sua denominazione e la sua etichettatura, fatto salvo qualsiasi provvedimento comunitario adottato al fine di ravvicinare le

legislazioni nazionali in queste materie (sentenza 16 dicembre 1980, causa 27/80, Fietje, Racc. pag.

3839, punto 7).

42. Si deve rilevare in seguito che, conformemente ai suoi artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1 e 2, il regolamento n. 2081/92 disciplina la protezione comunitaria delle denominazioni d'origine e delle

indicazioni geografiche di cui al detto regolamento.

43. Orbene, ai sensi del suo art. 2, n. 2, lett. b), il regolamento n. 2081/92 ha ad oggetto solo le indicazioni geografiche per le quali esiste un nesso diretto tra una particolare qualità, la reputazione

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o un'altra caratteristica del prodotto, da un lato, e la sua origine geografica specifica, dall'altro (v.,

in tal senso, la citata sentenza Pistre e a., punto 35).

44. E' pacifico che le indicazioni di origine geografica semplici che, secondo i termini usati dal

giudice nazionale nella questione pregiudiziale, non implicano nessun rapporto fra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica, non rientrano in questa definizione e non possono pertanto

trovare protezione in virtù del regolamento n. 2081/92.

45. Tuttavia, non vi è nulla nel regolamento n. 2081/92 che indichi che tali indicazioni di origine geografica non possano essere tutelate in forza di una disciplina nazionale di uno Stato membro.

46. Al contrario, risulta espressamente dal nono 'considerando del regolamento n. 2081/92 che il

suo campo d'applicazione si limita alle denominazioni in ordine alle quali esiste un nesso fra le

caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica.

47. Peraltro, nella citata sentenza Pistre e a., punti 39 e 40, la Corte ha già dichiarato che il regolamento n. 2081/92 non osta all'applicazione di una normativa nazionale che tuteli

denominazioni le quali implichino riferimenti geografici specifici i quali, se esistessero nessi tra le caratteristiche dei prodotti richiamate da tali denominazioni e la zona geografica alla quale rinviano,

potrebbero formare oggetto di una registrazione ai sensi del detto regolamento.

48. La Warsteiner Brauerei e il governo ellenico obiettano che il fatto di autorizzare, a fianco del regolamento n. 2081/92, disposizioni nazionali sulla protezione di indicazioni geografiche che non si

raccordano con i presupposti di protezione stabiliti nel regolamento si scontrerebbe con lo scopo

scopo stesso di quest'ultimo che, conformemente, in particolare, al suo settimo 'considerando, sarebbe quello di introdurre un sistema comunitario di protezione delle indicazioni geografiche e

delle denominazioni di origine sostituendo le svariate prassi nazionali in materia con un insieme di di regole comunitarie e un approccio più uniforme. Secondo il governo ellenico, il mantenimento di tali

disposizioni nazionali metterebbe inoltre fondamentalmente in causa il sistema comunitario di registrazione introdotto tramite il regolamento n. 2081/92, per il fatto che esso permetterebbe la

protezione di indicazioni geografiche senza che siano rispettate le regole di procedura e i rigidi presupposti sostanziali cui sono subordinate la loro registrazione e, pertanto, la loro protezione ai

sensi del regolamento n. 2081/92.

49. A questo proposito, è giocoforza constatare che lo scopo perseguito dal regolamento n.

2081/92 non può essere messo in causa a motivo dell'applicazione, a fianco dello stesso, di disposizioni nazionali di protezione delle indicazioni di origine geografica che non rientrano nel suo

ambito di applicazione.

50. D'altro canto, il regolamento n. 2081/92 ha lo scopo di garantire una protezione uniforme, nella Comunità, delle denominazioni geografiche cui si riferisce e ha introdotto l'obbligo della loro

registrazione comunitaria affinché esse possano godere di una protezione in tutti gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza 9 giugno 1998, cause riunite C-129/97 e C-130/97, Chiciak e Fol, Racc.

pag. I-3315, punti 25 e 26), mentre la protezione nazionale che uno Stato membro può concedere a

denominazioni geografiche che non soddisfano i presupposti per la registrazione ai sensi del regolamento n. 2081/92 è disciplinata dal diritto nazionale del detto Stato membro e resta confinata

al territorio dello stesso.

51. La Warsteiner Brauerei e il governo ellenico rilevano parimenti che l'art. 17, n. 3, del regolamento n. 2081/92 così come il suo art. 5, n. 5, come modificato dal regolamento n. 535/97,

autorizzerebbero gli Stati membri a mantenere o ad accordare una protezione nazionale a favore delle denominazioni comunicate o trasmesse alla Commissione ai fini della loro registrazione

nell'ambito rispettivamente della procedura semplificata, o della procedura ordinaria, solo in via

transitoria, fino alla data di adozione di una decisione sulla loro registrazione. Ne deducono che non potrebbero più essere tutelate né le denominazioni comunicate o trasmesse in applicazione

rispettivamente degli artt. 17, n. 1, e 5, n. 5, del regolamento n. 2081/92 che non soddisfano i requisiti di protezione di detto regolamento, né, a maggior ragione, quelle che non hanno fatto

oggetto di alcuna comunicazione o trasmissione.

52. A tale riguardo basta constatare che l'art. 17, n. 3, del regolamento n. 2081/92 si applica unicamente alle denominazioni, già esistenti alla data di entrata in vigore del regolamento, che sono

state comunicate dagli Stati membri alla Commissione ai fini della loro registrazione e della

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loro protezione a livello comunitario. Questa disposizione è volta a garantire che, in pendenza del

procedimento di registrazione e in attesa di una decisione che lo chiuda, tali denominazioni non

perdano la protezione nazionale di cui beneficiavano e non ha assolutamente ad oggetto di occuparsi della sorte delle denominazioni esistenti di cui nessuno Stato membro chieda la

registrazione.

53. D'altra parte risulta espressamente dall'art. 5, n. 5, secondo comma, del regolamento n. 2081/92, come integrato dal regolamento n. 535/97, che la protezione transitoria che gli Stati

membri possono accordare ai sensi di questa disposizione a una denominazione la cui registrazione è stata chiesta scegliendo la procedura ordinaria è una protezione «ai sensi del presente

regolamento», che resta tuttavia confinata al territorio nazionale come precisato all'art. 5, n. 5, quinto comma, del regolamento n. 2081/92, così integrato dal regolamento n. 535/97. Tale

disposizione non ha perciò alcun rapporto con la questione se gli Stati membri possano accordare,

nei loro rispettivi territori nazionali, una protezione ai sensi del loro diritto nazionale a denominazioni geografiche di cui non chiedono la registrazione ai sensi del regolamento n. 2081/92, o che non

soddisfano i presupposti per beneficiare della protezione prevista da tale regolamento.

54. Viste le considerazioni che precedono, occorre perciò risolvere la questione proposta dichiarando che il regolamento n. 2081/92 non osta a una normativa nazionale che proibisca l'uso

ingannevole di una indicazione di origine geografica che non implica nessun rapporto tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica.