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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22 LUGLIO 2012 NUMERO 386 CULT La copertina BUTTAFUOCO e KHAN L’élite di massa quando gli autori di consumo diventano glamour La recensione MELANIA MAZZUCCO Annemarie Schwarzenbach, un grande amore scandaloso All’interno L’intervista MASSIMIANO BUCCHI I luoghi comuni sulla scienza, la denuncia di Helga Nowotny Il teatro ANNA BANDETTINI A Santarcangelo sei donne tedesche e i ricordi travolti dal Muro Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: “L’erudizione di Hilary Mantel” Quelle battaglie dimenticate del “Che” di Parma La storia GIANCARLO BOCCHI e PINO CACUCCI Jonathan Coe, “Quanto è arrogante la Londra olimpica” L’attualità JONATHAN COE SAN FRANCISCO L a Rivoluzione arriverà, eccome se arriverà. E comin- cerà con una poesia. Siamo pronti. Non ci coglierà im- preparati in quest’angolo del Far West che si affaccia sul Pacifico. Se volete respirare l’Utopia, quella vera, prima o poi dovete passare alla libreria-casa editrice City Lights di San Francisco. Dove un fanciullo di novantatré anni continua a so- gnare un mondo diverso. Come la prima volta che sbarcò qui: allo- ra mezzo italiano e mezzo francese, mezzo zingaro apolide anche se vestiva l’uniforme militare della US Navy e aveva appena finito di combattere per gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale. Capì subito che sarebbe diventata casa sua, questa città di pirati e avventurieri, cercatori d’oro e fanciulle di facili costumi. Lo è ri- masta. City Lights campeggia, più vivace a affollata che mai, come un faro e un punto d’incontro: fra quella Little Italy che a San Fran- cisco si chiama North Beach (qui vicino c’è l’enoteca di Francis FEDERICO RAMPINI Ford Coppola), la Chinatown nata nell’Ottocento, il quartiere a lu- ci rosse, la Coit Tower con i murales del New Deal. Lui oggi lo chiamano l’Ultimo dei Beat: una definizione che lo fa ridere di gusto. «Sono identificato per sempre con quel movi- mento letterario — mi dice Lawrence Ferlinghetti — perché i poeti beat li pubblicai io, qui alla City Lights. In realtà io li prece- devo, appartenevo a una generazione più antica: dovrebbero chiamarmi l’Ultimo Bohémien! Quando arrivai a San Francisco, direttamente da Parigi, avevo ancora in testa il basco francese…». Anche per i parametri del nomadismo globale di oggi, lo sradi- camento perenne e il girovagare di Ferlinghetti da giovane fa ve- nire le vertigini. Nasce a New York nel 1919 da un padre brescia- no che non conoscerà mai (morto sei mesi prima della sua nasci- ta) e una madre che mescola origini francesi e portoghesi-ebreo sefardite. La mamma impazzisce quasi subito dopo la morte del marito e finisce in un manicomio. Lawrence viene allevato da una zia a Strasburgo, perciò il francese è la sua prima lingua. (segue nelle pagine successive) CON UN ARTICOLO DI GUIDO ANDRUETTO L’ultimo Beat “Abbiamo anticipato tutto” Sessant’anni fa una generazione svegliò l’America Intervista a Lawrence Ferlinghetti FOTO CHRIS FELVER Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 22 LUGLIO 2012

NUMERO 386

CULT

La copertina

BUTTAFUOCO e KHAN

L’élite di massaquando gli autoridi consumodiventano glamour

La recensione

MELANIA MAZZUCCO

AnnemarieSchwarzenbach,un grande amorescandaloso

All’interno

L’intervista

MASSIMIANO BUCCHI

I luoghi comunisulla scienza,la denunciadi Helga Nowotny

Il teatro

ANNA BANDETTINI

A Santarcangelosei donne tedeschee i ricordi travoltidal Muro

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certaidea di mondo:“L’erudizionedi Hilary Mantel”

Quelle battagliedimenticate del “Che” di Parma

La storia

GIANCARLO BOCCHI

e PINO CACUCCI

Jonathan Coe,“Quanto è arrogantela Londra olimpica”

L’attualità

JONATHAN COE

SAN FRANCISCO

La Rivoluzione arriverà, eccome se arriverà. E comin-cerà con una poesia. Siamo pronti. Non ci coglierà im-preparati in quest’angolo del Far West che si affacciasul Pacifico. Se volete respirare l’Utopia, quella vera,

prima o poi dovete passare alla libreria-casa editrice City Lights diSan Francisco. Dove un fanciullo di novantatré anni continua a so-gnare un mondo diverso. Come la prima volta che sbarcò qui: allo-ra mezzo italiano e mezzo francese, mezzo zingaro apolide anchese vestiva l’uniforme militare della US Navy e aveva appena finitodi combattere per gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale.Capì subito che sarebbe diventata casa sua, questa città di pirati eavventurieri, cercatori d’oro e fanciulle di facili costumi. Lo è ri-masta. City Lights campeggia, più vivace a affollata che mai, comeun faro e un punto d’incontro: fra quella Little Italy che a San Fran-cisco si chiama North Beach (qui vicino c’è l’enoteca di Francis

FEDERICO RAMPINIFord Coppola), la Chinatown nata nell’Ottocento, il quartiere a lu-ci rosse, la Coit Tower con i murales del New Deal.

Lui oggi lo chiamano l’Ultimo dei Beat: una definizione che lofa ridere di gusto. «Sono identificato per sempre con quel movi-mento letterario — mi dice Lawrence Ferlinghetti — perché ipoeti beat li pubblicai io, qui alla City Lights. In realtà io li prece-devo, appartenevo a una generazione più antica: dovrebberochiamarmi l’Ultimo Bohémien! Quando arrivai a San Francisco,direttamente da Parigi, avevo ancora in testa il basco francese…».

Anche per i parametri del nomadismo globale di oggi, lo sradi-camento perenne e il girovagare di Ferlinghetti da giovane fa ve-nire le vertigini. Nasce a New York nel 1919 da un padre brescia-no che non conoscerà mai (morto sei mesi prima della sua nasci-ta) e una madre che mescola origini francesi e portoghesi-ebreosefardite. La mamma impazzisce quasi subito dopo la morte delmarito e finisce in un manicomio. Lawrence viene allevato da unazia a Strasburgo, perciò il francese è la sua prima lingua.

(segue nelle pagine successive)CON UN ARTICOLO DI GUIDO ANDRUETTO

L’ultimoBeat

“Abbiamo anticipato tutto”Sessant’anni fa

una generazione svegliò l’AmericaIntervista

a Lawrence Ferlinghetti

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Nella sua City Lights, storica libreria e casa editrice di San Francisco, ci sono passati tutti, da Kerouac a Ginsberg. Oggi Lawrence Ferlinghetti,novantatré anni, è il solo rimasto di una generazionedi scrittori che avrebbero voluto fare la rivoluzione

a colpi di poesia, sesso libero e droghe psichedeliche: “Un po’ ci siamo anche riusciti”

La copertinaL’ultimo Beat

(segue dalla copertina)

La zia viene poi assunta come governante da una fami-glia newyorchese, i Bislands, che lo adottano e gli con-sentono di studiare giornalismo. La guerra lo vede mo-bilitato come ufficiale di marina sulle navi caccia-som-mergibili: prima lo sbarco in Normandia, poi in Giap-pone dove visita Nagasaki subito dopo la deflagrazio-

ne atomica, un’esperienza che lo segna profondamente e ne fa unpacifista convinto. Poi di nuovo Manhattan dove lavora come fat-torino all’ufficio postale del magazine Time. Si laurea alla ColumbiaUniversity. Torna a Parigi per un dottorato in letteratura.

«Di San Francisco ricordo perfettamente il mio arrivo: era il pri-mo gennaio 1951, non conoscevo anima viva, passeggiavo sullaMarket Street con una borsa della U.S. Navy a tracolla. Le prime per-sone a cui rivolsi la parola non sembravano considerarsi come par-te degli Stati Uniti. C’era un’atmosfera da colonia d’oltremare, for-se un po’ come una Napoli d’altri tempi. Non era una città fondatada borghesi ma da giocatori d’azzardo, cercatori d’oro, truffatori, lu-pi di mare e donne di ventura. Era davvero una città di frontiera, mol-to meno tradizionale di oggi…». Qui Ferlinghetti avverte il mio tra-salire: solo un anarchico radicale come lui può definire “tradizio-nale” la San Francisco di oggi, la più ribelle e trasgressiva delle cittàamericane. «Ma sì» — continua — «allora era davvero una città aper-ta a tutto, poteva diventare qualsiasi cosa. Perciò nei dieci anni do-po la Seconda guerra mondiale fu il crogiuolo e il laboratorio di unanuova cultura. I suoi protagonisti magari venivano da New York co-me me o come Jack Kerouac, ma è qui che si trovarono insieme ed èqui che fiorirono contemporaneamente tante cose nuove: una nuo-va poesia, un’idea dell’ecologia, un movimento rock ospitato nellasala concerti Fillmore, infine la rivoluzione elettronica che nella Si-licon Valley ebbe i suoi pionieri già negli anni Cinquanta».

Nel 1955 Ferlinghetti incontra qui Allen Ginsberg e i due si sento-no subito «solidali per le idee politiche», diversissimi in tutto il resto.

(Ancora oggi Ferlinghetti si diverte nel ricordare come lui e GregoryCorso, tenacemente eterosessuali, abbiano convissuto con tantiscrittori gay). Ma è City Lights che pubblica Howl di Ginsberg, il poe-ma maledetto che viene censurato per oscenità dal giudice ClaytonHorn. «Quella poesia — dice Ferlinghetti — segna la morte dello sti-le accademico, che da quel momento in poi è relegato nell’ombra».In quegli anni c’è in germe tutta la vicenda che poi renderà celebreSan Francisco nel mondo intero, e cioè la New Age, il movimentohippy, la Summer of Love. «Sì, noi avevamo anticipato quasi tutto:la poesia militante contro le guerre, la prima articolazione di una co-scienza ambientalista, l’interesse per il buddismo, l’uso delle dro-ghe psichedeliche per ampliare il raggio della coscienza». Quest’ul-timo, è un punto che Ferlinghetti sottolinea con ostinazione: non èfolclore, non è un dettaglio sullo sfondo, per lui è un elemento cen-trale nella definizione di ciò che fu la letteratura beat. «Fino a quelmomento gli scrittori americani erano bevitori di alcol, con l’unicaeccezione di Edgar Allan Poe non avevano sperimentato sistemati-camente le droghe. Solo con i poeti beat diventa centrale nella crea-zione artistica lo stimolo delle droghe psichedeliche, che poi fioriràa livello di massa con la cultura hippy negli anni Sessanta e Settan-ta. La rottura avviene in tutti i campi: il 1963, per esempio, è uno spar-tiacque che segna la fine del cool jazz e l’inizio dell’era rock».

L’Ultimo Beat resta convinto, come quando aveva trent’anni, chela poesia cambierà il mondo? «Sissignore: cambiando le coscienze.Negli anni Sessanta un aspetto centrale delle nostre esperienze fuproprio questo: allargare l’area della coscienza umana. E credo chein una certa misura ci riuscimmo».

Non pretendete da Ferlinghetti l’arte del compromesso politico,della mediazione. Smettete di leggere subito, benpensanti di sini-stra dalla sensibilità fragile: interrogato su Barack Obama, il poetascavalca a sinistra Occupy Wall Street e i black block. Maltratta il suopresidente. «La sinistra era euforica quando venne eletto: sembra-va che aspettasse un nuovo Nirvana. Io mi trovavo alla libreriaShakespeare & Co. di Parigi, la sera della vittoria nel novembre 2008.E dissi subito: è un illusione, Obama è la borghesia nera. Non è maistato un rivoluzionario. Attendersi che uno come lui ribaltasse i me-todi di governo, era assurdo. È sempre stato uno di centro. Sul ter-

FEDERICO RAMPINI

“Ma prima o poilo cambieremoquesto mondo”

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reno militare, l’espansione nell’uso dei droni lo rende non molto di-verso da George Bush. Obama ha privilegiato la sicurezza naziona-le rispetto ai diritti civili».

L’Italia è una patria che Ferlinghetti si è conquistato faticosa-mente, recuperandola da un passato che gli era stato rubato. «Miopadre faceva parte di una generazione d’immigrati per i quali le ori-gini italiane erano un peso. All’inizio il mio cognome venne abbre-viato: Ferling, per suonare anglosassone. Negli anni Venti essereitaliano in America voleva dire puzzare di aglio e peperoni, un’im-magine da cui volevi liberarti. Io ero il quinto figlio della famiglia, ri-cordo uno dei miei fratelli che faceva il guardiano alla prigione diSing Sing e reagì con rabbia quando gli mandai una lettera firman-domi per esteso, come Ferlinghetti. Guai a farsi riconoscere. Io erodiverso. Ho sempre avuto voglia di ri-connettermi, di rimettermi incontatto con le mie origini. Tre anni fa ho ritrovato l’appartamentodove nacque mio padre, a Brescia. E lì sono stato arrestato!». Que-sta è una storia buffa, che riferisco come me la racconta lui: il no-vantenne Ferlinghetti, con una barba sempre ispida, si aggira a Bre-scia attorno al palazzo dove nacque suo padre. Il portiere dell’im-

mobile s’insospettisce, forse gli sembra un barbone («mi definisceun parassita»), chiama la polizia che lo perquisisce e lo sottopone afermo. “Poeta arrestato”, è il titolo che appare il giorno seguente sul-la stampa locale, di cui Ferlinghetti conserva i ritagli come un tro-feo. «Qualcuno ha scritto che è intervenuto il sindaco di Brescia perfarmi liberare. Non è vero ma non importa, mi ha spiegato il mio gal-lerista italiano: meglio che si scriva così, perché adesso ho un cre-dito verso il sindaco di Brescia». Ride ancora, ride di gusto, per i co-stumi esotici di questa sua patria italiana: patria vera e d’adozione,che lui abbraccia con affetto anche quando non la capisce. «Miamadre parlava francese, da bambino ero francofono, e anche fran-cofilo, non a caso andai dopo la guerra a studiare alla Sorbona. Lalingua italiana mi è arrivata in seguito, eppure fu facile e naturale,non una sovrapposizione. Il mio primo viaggio nel paese di mio pa-dre avvenne nel 1948, ci arrivai in autostop dalla Francia. E subitogli italiani mi piacquero più dei francesi. Perché voi vi godete la vi-ta, mentre loro la criticano. Non ho mai capito come avete potutocoesistere per secoli, voi e loro, così vicini».

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LA POESIA

A sinistra, la poesia Ulysses calabreseQui sopra, Ferlinghetti accanto

a una sua opera su tela nello studio

di San Francisco. Nella foto grande,

è col suo cane all’interno dello studio

I DISEGNI

In questa pagina, schizzi e disegni di Ferlinghetti,

riuniti nella raccolta Sulla rotta di Ulisse, che rivisitano

il mito dell’eroe greco e il suo passaggio lungo le coste

calabresi. Qui sopra, foto di gruppo davanti alla storica

libreria: Ferlinghetti è quello in alto col cappuccio,

sotto di lui al centro con la barba Allen Ginsberg,

alla sua destra Michael McClure con le mani in tasca

e Richard Brautigan con occhiali, baffi e cappello

Profeta e navigatore, pittore e letterato, Lawrence Ferlinghetti ha scelto l’I-talia del sud come approdo della sua nuova spedizione nei mari della crea-zione poetica. I temi esistenziali della grande letteratura di mare riecheg-

giano come onde nel libro di inediti e disegni originali intitolato Sulla rotta diUlisse. Il Mediterraneo tra mito e contemporaneità, in uscita alla fine del mesesolo nel nostro paese, per iniziativa dell’associazione Angoli Corsari di ReggioCalabria e dell’editore Giuseppe Aletti, che ha raccolto in un cofanetto speciale— a cura di Giada Diano, biografa e traduttrice di Ferlinghetti, e della storica del-l’arte Elisa Polimeni — diciannove riproduzioni autenticate della serie omoni-ma di opere pittoriche e schizzi preparatori realizzata dal fondatore della CityLights. A queste si accompagna il volume bilingue The sea within us, Il mare den-tro noi, contenente numerose liriche, per la maggior parte mai pubblicate pri-ma (anche in lingua originale), ispirate dal mare come simbolo del viaggio del-l’esistenza. «Sono testi che svelano i diversi “mari” della vita di Ferlinghetti —scrive il poeta beat Jack Hirschman nella prefazione — come la poesia autobio-grafica dedicata al suo secondo ufficiale sul cacciasommergibili, che Lawrencecapitanò durante lo sbarco in Normandia nella Seconda guerra mondiale, e chemostrano anche il suo identificarsi con altri poeti sulle vie del mare nella coin-volgente Il mare e noi a Cape Ann (al largo della costa del Massachusetts, nell’A-tlantico), in cui Charles Olson, Robert Creeley e persino T. S. Eliot vengono evo-

cati. E poi c’è il mare italiano: Ostia nei Canti Romani, poi Carrara, guardandoverso il mare, e Grottammare, infine Vicino al mare di Cortèzporta Lawrence sul-la costa occidentale e sul Pacifico.

Il mare di per sé significa molte cose per il “capitano”. La nascita, natural-mente, ma anche una distesa immensa per una meditazione sull’esistenza me-desima e, nel suo caso, sull’avvicinarsi della morte». In parallelo con la pubbli-cazione del libro, a Reggio Calabria il 6 agosto si inaugura anche un’esposizio-ne di disegni e dipinti in cui l’autore di A Coney Island of the Mindrielabora il mi-to del passaggio di Ulisse tra Scilla e Cariddi, spesso con tratto ironico. «Il pro-getto è nato due anni fa durante un soggiorno di Ferlinghetti in Calabria — spie-ga Giada Diano — dove si è lasciato ispirare dalla lettura del dodicesimo cantodell’Odissea per realizzare dodici opere a china, che poi ha trasformato in di-pinti una volta giunto a San Francisco». Emerge un “moderno Omero” che par-la a quello antico, lo ricalca e lo nasconde, usa i versi del poeta di ieri come pae-saggio-sfondo di un viaggio per mare narrato dal pittore di oggi». Ma ancora piùdell’idea del viaggio, la nuova prova d’autore di Ferlinghetti richiama quella delnaufragio dell’anima, come si evince dalle parole di At Sea: «Nel mare di ognigiorno, con le sue due maree, sono alla deriva, immune alle scogliere nascosteo ai porti».

Viaggio in Italia sulle tracce di OmeroGUIDO ANDRUETTO

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Jonathan Coe.Le folli imprese

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“Architetti, organizzatorie sponsor assicuranoche i loro mega progettiresteranno in ereditàai residenti, ma intantohanno spazzato viasecoli di storia locale”Alla vigilia dei Giochilo scrittore ingleseracconta come è cambiata (in peggio)la sua città

L’attualitàLavori in corso

Nel Diciottesimo secolo se avestevoluto entrare a Londra da ovestsareste dovuti passare attraverso laporta con pedaggio di Kensington.Arrivando da est, invece, vi sareb-be stato chiesto di pagare il pedag-

gio a Whitechapel. Erano quelle barriere a segna-re i confini occidentali e orientali della metropoli.

Oggi ne abbiamo un equivalente moderno. Aovest e a est i confini della Londra consumisticasono contrassegnati da due enormi centri com-merciali, di proprietà di una società australianache si chiama Westfield. Il primo — quello leg-germente più piccolo tra i due — si trova aShepherd’s Bush, incuneato all’incrocio tra We-st Cross Road e Uxbridge Road. Il secondo è tra laGreat Eastern Road, a Stratford, e il nuovo Parcoolimpico londinese.

A rigor di termini, non è più obbligatorio versa-re un pedaggio fisso passando in macchina al-l’ombra di queste due moderne barriere a paga-mento. Tuttavia, qualora la curiosità dovesse ob-bligarvi a fare una sosta e a dare un’occhiata all’in-terno, è improbabile che ne uscireste senza averspeso almeno qualcosa. Questi due grandiosi mo-numenti al consumismo suonano per certi versicome una sorta di altrettanti rintocchi funebri peri tradizionali quartieri londinesi dello shopping:indubbiamente, andarsene a passeggio tra la folladi acquirenti ipnotizzati, sulla scintillante superfi-cie dei vasti ambienti a forma di cattedrale di We-stfield, è un’esperienza di gran lunga più gradevo-le che trascinarsi faticosamente su e giù lungo imarciapiedi sempre più malmessi e trascurati diOxford Street.

Westfield Stratford City — come ormai vienechiamato il più recente dei due shopping centre —è soltanto il più appariscente delle varie strutturearchitettoniche che hanno portato la nuova Lon-dra olimpica al centro di un’accalorata polemica.La questione più dibattuta è lo status assunto daWestfield di “accesso” allo Stadio Olimpico: inpratica, il settanta per cento degli spettatori che sirecheranno ad assistere a un evento olimpico siavvicineranno al Parco percorrendo tragitti pedo-nali che passano letteralmente attraverso il centrocommerciale stesso. In altre parole, sarà impossi-

bile assistere a un evento olimpico senza ritrovar-si sottoposti a enormi pressioni per sborsare, lun-go il tragitto, parte dei propri contanti. Da questopunto di vista, quindi, il centro di Stratford West-field è in senso proprio una barriera con pedaggio.L’ideale olimpico di spirito sportivo e fraternità trale nazioni è stato messo in linea di collisione diret-ta brutale — e intenzionale — con la nuova eticaconsumistica.

* * *La parola più in voga che si sente pronunciare

tutto intorno ai nuovi edifici olimpici è “Legacy”,eredità. Esiste perfino un’organizzazione deno-minata Olympic Park Legacy Company. “Legacy”

in questo contesto è una di quelle parole altiso-nanti e flessibili alle quali nessuno può attribuireun significato inequivocabile. Volendo darne inogni caso l’interpretazione più benevola, “legacy”esprime la determinazione da parte dei progetti-sti olimpici a far sì che le nuove grandi e costosestrutture realizzate negli ultimi anni costituiscanoun beneficio duraturo per questa parte dell’EastEnd, storicamente svantaggiata e trascurata. Sa-ranno molte le persone che vigileranno da vicinoche questa promessa non vada infranta. Dopo tut-to, quando un paese si trova sull’orlo della reces-sione e il suo primo ministro, laureatosi a Eton, di-ce alla popolazione che «ci troviamo tutti sullastessa barca», è un momento davvero insolito per

spendere 9,3 miliardi di sterline per un eventosportivo della durata di due settimane. (E che peraltro pare diventare sempre più costoso col passa-re dei giorni: è stato annunciato da poco che il bud-get per garantire la sicurezza ai Giochi olimpici èstato quasi raddoppiato, passando da 282 milionidi sterline a 533).

Un gran numero di residenti è piuttosto scetticoriguardo ai promessi miglioramenti a lungo termi-ne. Le comunità britanniche urbane — delle qualiquella londinese è naturalmente la più grande e lapiù in vista — un tempo si fondavano su qualcosa disolido: l’industria manifatturiera, per esempio.Westfield Stratford City è stata costruita proprio do-ve un tempo c’era la Stratford Railway Works, dalla

quale uscirono 1.682 locomotive e 5.500 carrozzeferroviarie. Quella fabbrica chiuse i battenti oltreventi anni or sono, e gli industriali contemporaneiinvece di costruire treni provvedono soltanto a sod-disfare l’enorme appetito che il pubblico ha per i be-ni di consumo venduti al dettaglio.

Gli insoddisfatti residenti dell’East End hannotrovato un portavoce nello scrittore Iain Sinclair,che ha trascorso buona parte degli ultimi cinqueanni a documentare la propria costernazione neiconfronti dei lavori olimpici e per le modalità conle quali i cantieri hanno cancellato con insolenzasecoli di storia locale e di edilizia popolare. Sinclairha dedicato il suo ultimo libro, intitolato GhostMilk, alle «baracchette dei Manor Garden Allot-

JONATHAN COE

Repubblica Nazionale

della Londra olimpica

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“C’è la recessione,il primo ministrocon laurea a Etondice che siamo tuttisulla stessa barcaenoi spendiamo9,3 miliardi di sterlineper un evento sportivoche dura solo

due settimanePiuttosto bizzarracome scelta dei tempi”

ment», con riferimento a quel patchwork di orti egiardini urbani che un tempo assicuravano nutri-mento e svago a centinaia di abitanti dell’East Ende che ora sono stati spianati e spazzati via, scivo-lando nell’oblio, per lasciare posto al Parco Olim-pico. Sinclair considera il cuore di quel Parco unamostruosità uscita dritta dritta dalle pagine di uncatalogo Ikea — lo chiama il «flatpack stadium», lostadio componibile. Secondo Sinclair, l’interoprogetto olimpico è un atto di arroganza distrutti-va: dice che gli architetti, gli organizzatori e glisponsor vivono in uno «stato psicotico di smaniaprogettuale», e che il motore trainante di tutto ciò,naturalmente, non è lo spirito comunitario o ilsenso della storia, bensì il denaro.

* * *Vivo ai margini di Chelsea, lontano dal Parco

Olimpico, e quindi a fungere da barriera a pedaggioper la mia zona è il più occidentale dei due centricommerciali. Quella è anche la meta preferita dimia figlia adolescente, che vi trascorre ore spensie-rate in compagnia dei suoi amici, permettendo alleprime simpatie della sua vita di sbocciare e mettereradici mentre passeggia tra i negozi al dettaglio e ivari fast food. La zona nella quale vivo — a circa duemiglia da Westfield — è una delle meno multicultu-rali di Londra, ma ha una prospera comunità dibanchieri di investimento europei ed è quindi unbuon punto di osservazione per seguire come gli in-cessanti afflussi e reflussi di capitali internazionaliabbiano un impatto sulla vita quotidiana della ca-pitale. Tra i super-ricchi di Kensington e Chelsea(che sembrano arricchirsi di giorno in giorno, men-tre il resto di noi si dibatte con le conseguenze dellaloro crisi finanziaria) sta dilagando una nuova ma-nia: scavare nel sottosuolo. Londra è una città gre-mita di persone, lo spazio vitale è prezioso e le am-ministrazioni comunali stanno dando un giro di vi-te ai permessi concessi ai residenti per espandere leproprie case verso l’alto o verso il largo. Il che lasciaun’unica direzione per espandersi e costruire: ver-so il basso. E questo è quanto stanno facendo colo-ro che se lo possono permettere.

Questa è una «smania progettuale» su scala piùcasalinga rispetto alla follia delle Olimpiadi, maciò nonostante mette in evidenza le medesimequalità di arroganza ed eccesso. Abbondano le vo-ci di leggendarie stravaganze: non è chiaro quan-te di esse siano veritiere, ma per le mogli dei ban-chieri nelle caffetterie eleganti, come pure a tavo-la nei ristoranti all’ora di pranzo, costituiscono unottimo argomento per spettegolare. Si parla, peresempio, di un banchiere londinese che ha scava-to un enorme showroom sotterraneo per metterein mostra la sua collezione di Ferrari. O di uno sca-vo sotto Pembridge Square a Notting Hill profon-do non uno, non due, non tre, ma ben quattro pia-ni, così che qualcuno nella propria piscina sotter-ranea possa installare anche un trampolino. E an-cora, si racconta di sotterranei crollati in piena fa-se di scavo, e della morte di operai (polacchi, na-turalmente). E tutto ciò solo perché gli ultra-ricchipossano imporre alla Londra affollata e sovrappo-polata un nuovo movimento architettonico, quel-lo che il giornalista Simon Jenkins ha chiamato«architettura Emmental».

Londra ha una grande capacità di reinventarsi, euna passione sfrenata e incontenibile per tutto ciòche è nuovo. Ma è anche uno spazio circoscritto, edesistono limiti alle modalità con le quali si può in-dulgere in tale passione, persino per i suoi cittadinipiù ricchi e più potenti. In superficie progetti gran-diosi come il Parco Olimpico e templi del capitali-smo come i centri commerciali Westfied possonoessere creati soltanto a spese di comunità più pic-cole e spontanee che hanno impiegato secoli a evol-versi. Mentre nel sottosuolo i segreti luoghi di sva-go dei super-ricchi stanno erodendo il terreno el’argilla sui quali sono erette le abitazioni dei loro vi-cini. In entrambi i casi questi progetti — per quan-to capaci di colpire l’immaginazione — assai diffi-cilmente porteranno vantaggi a lungo termine allamaggior parte dei londinesi. Al contrario, molti diquesti ultimi potrebbero arrivare a sostenere chestanno minando le fondamentastesse, spirituali efisiche, sulle quali si regge la loro città. © Jonathan Coe, 2012 (traduzione Anna Bissanti)

IL FESTIVAL

Lo scrittore inglese Jonathan Coe è uno dei tanti ospiti attesi alla prima edizione

del Cortona Mix Festival, la nuova rassegna promossa dal gruppo Feltrinelli e dal Comune

di Cortona. Col suo intervento “Vite da raccontare. Quando i nostri personaggi ci scelgono”

(sabato 4 agosto, ore 19,30, Centro Sant’Agostino) l’autore di La famiglia Winshawe La casa del sonno ci fa entrare direttamente nella sua officina. Il festival che vuole

«celebrare l’incontro delle arti», di qui il “Mix”, dalla letteratura al cinema, dalla musica

alla danza, animerà con concerti, spettacoli e dialoghi, di giorno e di sera, le strade,

le piazze e i teatri della cittadina toscana dal 28 luglio al 5 agosto (info: www.mixfestival.it)

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DOMENICA 22 LUGLIO 2012

Il primo agosto di novant’anni fa la città emilianasconfisse e cacciò gli squadristi inviati da Mussolini

Fu il più importante episodio di opposizione armata al fascismopre-Resistenza. Dietro le barricate uomini e donne, anarchici e cattoliciComandati da un guerrigliero pacifista che avrebbe voluto fare l’attore

La storiaCinque giornate

Nell’estate del 1922 ha trentatré an-ni. È alto, occhi cerulei, luminosi emagnetici, baffi “all’americana”.Veste quasi sempre di scuro, por-tamento elegante, modi garbati.Da ragazzo Guido Picelli non pen-

sava alla rivoluzione, inseguiva sogni d’artista: re-citava sui palcoscenici di provincia, girava l’Italia,a fianco di Ermete Zacconi partecipò a uno dei pri-mi film del cinema muto italiano. Ora invece si ri-trova capopopolo, uno poco incline ai dibattititeorici ma che sa combattere con coraggio. Per ilpane, il lavoro, la giustizia sociale. E che da tempoha in testa una parola sola, “unità”: «La salvezza delproletariato sta solamente nella valorizzazionedelle sue forze effettive, nell’unità» scrive.

Quando arriva il momento di mettere in praticale sue convinzioni Picelli è pronto. Mussolini haappena inviato diecimila fascisti alla volta dellasua città, Parma, con l’ordine di «metterla a ferro efuoco». In poco tempo Picelli fa il miracolo. Coa-lizza forze da sempre antagoniste — socialisti, co-munisti, anarchici, popolari e repubblicani — inun fronte unico, gli “Arditi del popolo”. La batta-glia durerà cinque giorni, dall’1 al 6 agosto, sarà ilpiù importante episodio di opposizione armata alfascismo prima della Resistenza, dimostrerà che ilfascismo si poteva fermare militarmente.

Picelli era un pacifista convinto. Allo scoppiodella Grande guerra si arruola come volontarionella Croce Rossa, meritando due medaglie al va-lore. Ma è proprio l’aver assistito all’«inutile mas-sacro del proletariato» che lo spinge a fare il corsoufficiali all’Accademia di Modena: vuole impara-re a combattere per una società più giusta. Torna-to a Parma fonda “Le Guardie rosse”, una forma-zione di autodifesa proletaria. Nel 1920 viene im-prigionato per aver impedito la partenza di un tre-no militare, ma nella primavera del 1921 è il popo-lo a tirarlo fuori di galera: con ventimila preferen-ze è eletto deputato per il Partito socialista (che poiabbandonerà) e esce dal carcere. Sulla scheda diaccettazione, alla voce “impieghi all’epoca dell’e-lezione”, scrive beffardo: «Carcerato».

La notte del primo agosto 1922 le forze squadri-

ste si sono raggruppate alla Stazione di Parma. I ca-rabinieri e le guardie regie sono state ritirate dalledue caserme dell’Oltretorrente, una sorta di via li-bera ai fascisti. All’alba Picelli decide di mobilitarei suoi. Comandante della spedizione punitiva fa-scista, almeno diecimila uomini armati con mi-tragliatrici, bombe e fucili, è Italo Balbo. Picelli puòcontare su trecento “Arditi”, fucili modello 1891,moschetti, pistole. Ma dalla sua parte ha anche,come ricorderà nei suoi scritti, «la popolazioneoperaia scesa per le strade, impetuosa come le ac-que di un fiume che straripi, con picconi, badili,spranghe ed ogni sorta di arnesi». Come un CheGuevara d’altri tempi e latitudini, mette in atto unpiano di guerriglia urbana mai attuato prima. For-tifica l’Oltretorrente, e i rioni Naviglio e Saffi, contre-quattro linee di barricate per ogni strada, in-tervallate da reticolati percorsi da corrente elettri-ca e da sbarramenti per le autoblindo protetti damine. Ottavio Pastore, inviato per L’Ordine Nuovodi Gramsci, scrive: «Le donne avevano preparatol’acqua e l’olio bollente... perfino delle boccette di

vetriolo». I fascisti attaccano in forze, ven-gono respinti. Nel rione Naviglio difeso dal vice diPicelli, l’anarchico Antonio Cieri, gli scontri piùduri. Colpito da un cecchino cade il più giovanedegli Arditi, la vedetta Gino Gazzola, quattordicianni. Anche i comunisti si sono schierati con gli Ar-diti, ignorando i diktat di Bordiga. E nell’Oltretor-rente muore, in mano il suo fuciletto da caccia,Ulisse Corazza, consigliere comunale per il Parti-to Popolare. Costretti alla fuga, i fascisti non can-tano più «Quando in un cantone ci sta un certo Pi-celli, lo manderemo in Russia, a colpi di bastone».Muti, impauriti. Hanno avuto 39 morti e 150 feriti.Sono allo sbando. «Se Picelli dovesse vincere —annotava Balbo nel suo diario — i sovversivi di tut-ta Italia rialzerebbero la testa. Sarebbe dimostratoche armando e organizzando le squadre rosse sineutralizza ogni offensiva fascista».

Il quinto giorno Picelli ha vinto e entra nella leg-genda, ma capisce che non c’è tempo per festeg-giare. Il nodo politico-militare dell’estate-autun-no del 1922 è cruciale. La battaglia da difensiva de-

ve diventare offensiva. Dalle colonnedel suo giornale, L’Ardito del popolo, lancia appel-li all’unità delle forze antifasciste: «Tutti in piedicome un sol uomo, pronti alla riscossa!». Gira ilNord per costituire “l’Esercito rosso”, ma il suopiano trova una forte opposizione nei partiti dellasinistra. Dopo che Mussolini diventa capo del go-verno, Picelli scioglie gli Arditi per fondare “I sol-dati del popolo”, un’organizzazione segreta in-surrezionale. Viene pedinato, spiato, arrestato.Nel 1923 i fascisti gli tendono un agguato a Parma.Sfugge anche a un complotto per eliminarlo. Il si-cario pentito, Vincenzo Tonti, fa i nomi dei man-danti: il generale Agostini, il generale Sacco, il vi-cequestore Angelucci. E Italo Balbo. Nel 1924 vie-ne rieletto deputato come indipendente nelle listedel Partito comunista: il Primo maggio entra inParlamento. Lo fa a modo suo, issando sul penno-ne di Montecitorio una grande bandiera rossa.

Si avvicina sempre di più a Gramsci. Viaggia perorganizzare la struttura insurrezionale clandesti-na del Partito comunista. In un documento segre-

GIANCARLO BOCCHI

Guido Picelli,le battaglie dimenticatedel “Che” di Parma

RICERCATO

Accanto al titolo

le foto segnaletiche

di Guido Picelli: a sinistra

quelle della polizia

fascista, a destra quelle

dell’Nkvd, la polizia

segreta sovietica

Nella foto in basso

a sinistra, alcuni “Arditi”

in esilio a Parigi

In alto a destra il testo

dell’Inno degli Oppressi;qui accanto a sinistra,

la scheda di accettazione

di Picelli per la carica

di deputato del Partito

socialista, nomina

che lo farà uscire

dalla prigione

Alla voce “impieghi

all’epoca dell’elezione”

scrive: “Carcerato”

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 22 LUGLIO 2012

to del PCd’I viene indicato, insieme a Fortichiaridell’ufficio «I» del Partito, come responsabile dellequestioni militari. L’8 novembre del 1926 viene ar-restato insieme a tutti i maggiori leader antifasci-sti. Dopo cinque anni di confino e di galera nel 1932fugge in Francia, poi in Belgio, infine Mosca. Qui lesue speranze si scontrano con la dura realtà: vieneemarginato, perseguitato, processato in una “ci-sta” sulla base di false e futili accuse. L’Nkvd, la po-lizia segreta, indaga su di lui e solo grazie all’inter-vento del potente Dimitri Manuilski, che conoscePicelli come grande combattente antifascista, ac-cantona la pratica. Scampato al gulag Picelli partealla volta della Spagna per combattere i franchisti.Abbandona i comunisti italiani ed entra in contat-to con il Poum, il Partito comunista antistalinistaspagnolo. A Barcellona Andreu Nin, leader delPoum ed ex segretario di Trotsky, gli propone il co-mando di un battaglione. Ma alla fine Picelli accet-ta, pur consapevole dei rischi di una vendetta sta-linista, un comando delle Brigate internazionali.

Il primo gennaio è al comando del Battaglione

Garibaldi. Attacca e conquista Mirabueno, la pri-ma vittoria repubblicana sul Fronte di Madrid. Lafine arriva pochi giorni dopo, il 5 gennaio 1937, sul-l’altura del San Cristobal. «La pallottola che l’hafulminato, l’ha colpito alle spalle, all’altezza delcuore» scrive l’amico Braccialarghe che è andato arecuperare il corpo abbandonato sul posto. A Pi-celli vengono tributati tre funerali di Stato. A Ma-drid, Valencia e Barcellona. A quest’ultimo parte-cipano più di centomila persone. Sulla lapide, chedue anni più tardi i franchisti faranno a pezzi in-sieme al corpo di Picelli, sta scritto: «All’eroe dellebarricate di Parma». A un anno dalla sua morte al-ti ufficiali degli “Internazionali” propongono diconferire alla sua memoria “l’Ordine di Lenin”, lapiù alta onorificenza sovietica. Alcuni funzionaricomunisti italiani, però, stilano un rapporto se-greto al Comintern sui contatti tra Picelli e il Poumche di fatto blocca tutto. Non sarà l’ultimo tentati-vo di far cadere nell’oblio la vita straordinaria del“Che” Guevara italiano.

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AParma il 25 agosto 1972 un gruppo dineofascisti aggredisce e uccide a pu-gnalate Mario Lupo, giovane militante

di Lotta Continua. L’omicidio a freddo, davan-ti al cinema Roma di viale Tanara, segna il cul-mine di uno stillicidio di provocazioni e vio-lenze che hanno instaurato in città un clima diforte tensione. E qui, all’inizio degli anni Set-

tanta, la memoria storica delle barri-cate e degli Arditi del popolo stavivendo un ritorno di fiammache fa dell’antifascismo militan-te un dovere politico e morale.Tutto ciò accade quarant’anni fa,a mezzo secolo dall’insurrezioneche vide l’Oltretorrente resistere erespingere migliaia di squadristi inarmi capeggiati da Italo Balbo.

La voce corre nelle strade e sca-tena una reazione inarrestabile: lasede dell’Msi, da cui partivano leincursioni neofasciste, viene deva-stata da una folla infuriata, lo stessoquestore ordina alle forze di poliziadi non intervenire: «Se proviamo afermarli, qua si rischia una carnefici-na». Il ricordo di cosa era accaduto aParma nel 1922 sembra riaccenderele braci mai del tutto spente nell’Ol-tretorrente. Il poeta Attilio Bertolucciaveva contribuito a ravvivarle con ver-

si memorabili: «Si eran vestiti dalla festa /peruna vittoria impossibile /nel corso fangoso del-la Storia /(…) Vincenti per qualche giorno / vin-centi per tutta la vita». E proprio Lotta Conti-nua, l’organizzazione in cui militava MarioLupo, portava impressa sulla testata un’ela-borazione grafica di una barricata di Parmanel 1922. Sempre negli anni Settanta, i corteidella sinistra “extraparlamentare” marciava-no cantando Siam del popolo gli arditi, e mol-ti di noi credevano che fosse davvero l’inno deireduci della Grande guerra passati dai repartid’assalto alla resistenza armata contro le ordedi Mussolini. In realtà, quella canzone che intanti sapevamo a memoria era stata scritta emusicata da Leoncarlo Settimelli, operaio epoi giornalista dell’Unità (nonché autore dibiografie per la Rai di Pavarotti, Modugno,Gabriella Ferri), che aveva ripreso alcunestrofe dell’inno di battaglia originale, ormaiandato perduto.

Per la mia generazione, la memoria di que-gli eventi era un emblema di dignità, quellache i lavoratori parmigiani difesero strenua-mente. Qualcuno a distanza di mezzo secoloaveva rinfrescato la scritta sul muraglione del-l’argine: Balbo, t’è pasé l’Atlantic, mo miga laPerma. Fu la frase a caratteri cubitali che ac-colse Italo Balbo tornato sul luogo del misfat-to per prendersi la rivincita, tronfio delle im-prese di trasvolatore oceanico. Era riuscito apassare dall’altra parte dell’Atlantico ma nona superare le barricate dell’Oltretorrente.

(Sui “fatti di Parma” l’autore nel 2003ha scritto Oltretorrente, Feltrinelli)

Noi, ragazzidell’Oltretorrente

PINO CACUCCI

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I DOCUMENTI

Dall’alto in senso orario

Il cifrario segreto di Picelli;

un’informativa del prefetto

Pugliesi circa le sue attività

“sovversive” (1923);

una lettera inviata

all’esecutivo del Pc

nel 1924; qui sopra

a sinistra, l’elenco

dei comandanti

Volontari Internazionali

del 1936 nella guerra

di Spagna; a destra,

una lettera scritta

da Picelli durante

il “processo purga”

subìto a Mosca

In questa pagina

anche articoli apparsi

sul Popolo e su L’Unitànel 1924

LE FOTOGRAFIE

Qui sopra il Battaglione

di Picelli in Spagna nel 1936;

a sinistra e in basso,

le barricate di Parma

nel 1922; sotto,

Gino Gazzola,

quattordicenne

vedetta degli Arditi

Repubblica Nazionale

PASQUALINO SETTEBELLEZZE

1976, di Lina Wertmüller

Un giovane camorrista

uccide il seduttore della sorella

e finisce in un lager nazista

dove diventa kapò. Il film

viene candidato all’Oscar

NEW YORK STORIES

1989, di Coppola

È un concertista

che col flauto

conquista il pubblico

«Fu il padre di Francis

a insegnarmelo»

L’INNOCENTE

1976, di Luchino Visconti

Nell’ultimo film di Visconti,

ispirato a D’Annunzio,

è il ricco libertino Tullio Hermil:

uccide il figlio adulterino avuto

dalla moglie e poi si ammazza

LA DOMENICA■ 32

DOMENICA 22 LUGLIO 2012

Aeromodellista da bambino, da ragazzo quasi ingegnere,inventore da sempre. E poi fotografo, doppiatore, regista,

insegnante, naturalmente attore (al teatro, al cinema, in tv)Il “Mimì” nazionale compie gli anni

e si racconta: “Ho vissuto stagioni bellissime,ma mi interessa solo quello che accadrà”

SpettacoliGran carriere

I PERSONAGGI

FILM D’AMORE E D’ANARCHIA

1973, regia di Lina Wertmüller,

con Mariangela Melato

Giannini è Tunin, un contadino

lombardo che dopo l’uccisione

di un suo compagno anarchico

va a Roma per uccidere il Duce

DRAMMA DELLA GELOSIA

1970, di Ettore Scola,

con Marcello Mastroianni

e Monica Vitti. Con il personaggio

di Nello, pizzaiolo focoso,

svela la sua duttilità di attore

comico e drammatico

VIAGGIO CON ANITA

1979, di Mario Monicelli,

musiche di Ennio Morricone

In questa commedia Giannini

è un bancario che torna a casa

dal padre infermo in compagnia

di una giovane americana

I miei settant’annie i miei settanta mestieri

‘‘Madonna

A mio figlio che esitavadavanti al remake di “Travolti...” ho detto:quando ti ricapiteràdi schiaffeggiare Madonna?

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Repubblica Nazionale

HANNIBAL

2001, di Ridley Scott

Con Anthony Hopkins, Gary

Oldman e Julianne Moore

Giannini è l’ispettore di polizia

Rinaldo Pazzi che dà la caccia

allo spietato dottor Lecter

TERRA BRUCIATA

1999, regia di Fabio Segatori

Un attore campano che ha fatto

fortuna a Hollywood torna

a casa per la morte dei genitori

e si trova di fronte a boss

mafiosi, killer e morti ammazzati

TRAVOLTI DA UN INSOLITO DESTINO NELL’AZZURRO MARE D’AGOSTO

Nel film di Lina Wertmüller del 1974, Giannini è Gennarino Carunchio. Marinaio siciliano, comunista,

insofferente verso i ricchi turisti che deve servire per sopravvivere. Come la moglie

di un industriale milanese, interpretata da Mariangela Melato, con la quale finisce su un’isola deserta

TI HO CERCATA IN TUTTI I NECROLOGI

2011, diretto e interpretato

da Giannini nella parte di Nikita,

ex tassista emigrato in Canada

dopo un incidente

che si guadagna da vivere

come autista di un carro funebre

GIOVANNI FALCONE

1993, di Giuseppe Ferrara

È Paolo Borsellino nel film

dedicato al magistrato

palermitano ucciso nella strage

di Capaci. Falcone è interpretato

da Michele Placido

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DOMENICA 22 LUGLIO 2012

ROMA

L’appuntamento è in centro. Un barall’aperto, tre ore tra caffè e siga-rette, sigarette e caffè, e garbate ri-chieste di autografi da parte dei

passanti, strette di mano, l’emozione di una si-gnora che lo saluta incantata: «Ho appena rivistoMimì metallurgico, lei è il più grande di tutti!».Giancarlo Giannini sorride con imbarazzo. Ha ol-tre centoquaranta titoli tra cinema e tv sulle spal-le, ma la modestia è ancora una delle sue caratte-ristiche, insieme al sorriso da ragazzo e alla legge-rezza con cui affronta il principale dei suoi mestie-ri. «To play, jouer, dicono gli inglesi e i francesi.L’attore gioca. Un gioco difficile e faticoso da im-parare, ma pur sempre un gioco», ed è questo lospirito che cerca di trasmettere agli studenti delCentro Sperimentale in cui da dieci anni è respon-sabile dei corsi di recitazione.

Fare l’attore, insegnare, due delle molte atti-vità a cui Giannini si è dedicato in questi set-tant’anni attraversati con curiosità e piacere divivere, anni intensi, ricchi di occasioni, incontri,immagini, memorie che riaffiorano per disper-dersi in divagazioni e poi ancora ritornare. Licompirà il primo agosto, e non è un evento. «Saròin campagna con i miei figli, mia moglie, qualcheamico, un compleanno come tanti. L’età non lachiedo mai, non ricordo l’età di nessuno, ho unamia filosofia del tempo, è il divenire che mi inte-ressa, quello che accadrà finché potrò muover-mi, agire, pensare, inventare. Poi si vedrà. Hoavuto la fortuna di vivere stagioni bellissime, dilavorare con i grandi, Mastroianni, Gassman, To-gnazzi, sono l’ultimo di questa scuola, e forse perquesto troppo entusiasta».

Andiamo con ordine, almeno proviamoci.Tutto comincia grazie a una nonna vedova diguerra. «Avevo otto anni, mio padre lavorava allaPirelli nei cavi sottomarini, venne trasferito da LaSpezia a Napoli e portò giù la famiglia: mia ma-dre, mia sorella e me. Abitavamo a Pozzuoli, vici-no alla casa di Sofia Loren, poi ci spostammo aFuorigrotta. A Napoli presi il diploma di peritoelettronico, finiti gli studi potevo andare in Brasi-le a lavorare sui primi satelliti artificiali. Avevo ot-timi voti, non era come adesso, se eri bravo leaziende ti chiamavano. Ma prima dovevo fare ilmilitare e rinviai il Brasile di un anno». Voleva an-dare in aviazione: «Sì perché da piccolo costruivomodellini, a sei anni avevo già fatto una scuola diaeromodellismo, dovevo disegnare e costruiretutto, lì ho imparato la pazienza e il rigore che miporto dietro da tutta la vita. Comunque. Andai afare la visita medica, e mentre aspettavo lessi unmanifesto appeso al muro con i vari articoli perl’esonero. Uno riguardava il primo nipote ma-schio di una nonna con figli sposati e marito mor-to in guerra. Rientravo nell’articolo, anche se mianonna stava a La Spezia e non aveva bisogno dime. Vergognandomi lo dissi al medico, dopo unmese arrivò il congedo. Illimitato».

La passione per le costruzioni, per i marchin-gegni, per l’elettronica e per l’invenzione in gene-re non si è mai spenta — la sua creazione forse piùclamorosa è il giubbotto imbottito di gadget in-dossato da Robin Williams in Toys — ma inveceche in Brasile a fare l’ingegnere, su suggerimento

di un amico, Giannini va a fare l’esame per entra-re nell’Accademia d’Arte Drammatica, a Roma.«Mi presero. Non solo, mi diedero una borsa distudio di quarantamila lire. Mi potevo mantene-re. A diciott’anni Beppe Menegatti mi fece farePuck nel Sogno di una notte di mezza estate. A mepareva di fare una stronzata, ma la gente rideva. Emi pagavano». C’era Volonté nel cast: «Con me sidivertiva, ero sempre in movimento, dal palco al-la platea, Puck è un folletto invisibile e lui mi inse-guiva, “Eccolo, l’ho preso!”, e il pubblico rideva».Altri ricordi in libertà. La Magnani (insieme fece-ro La lupa in teatro e Il segreto di Santa Vittoria alcinema) «mi prese in simpatia, era straordinaria,generosa, spiritosa. C’era una scena in cui dava lespalle alla platea, mi guardava ammiccando, pri-ma di girarsi prolungava al massimo l’attesa delpubblico. Non dimenticherò mai le sue risate. Co-me non dimenticherò Fellini. Io avevo una 16 mmrarissima, andavo sui set e lui mi permetteva di gi-rare, di fare foto. Mi chiamava “il pipistrello dellanotte”, a volte mi telefonava alle quattro del mat-tino, andavo a casa sua, scartava il parmigianodalla stagnola e ci facevamo due fettuccine. Lepersone più belle, quelle grandi, sono le più sem-plici. Una volta andai da Pasolini a Mantova, pas-seggiammo, voleva fare con me un San Paolo am-bientato durante la Resistenza. Parlava del film,ma intanto si soffermava sulla bellezza di gerani

visti su un balcone, o sulla stranezza di una scato-la di fiammiferi».

Lasciò il teatro dopo tredici anni e svariati suc-cessi, come Romeo e Giulietta per la regia di Zeffi-relli — «Non ricordo bene perché, forse dopo cer-te critiche feroci a uno spettacolo» — ma intanto siera affermato in tv, aveva ballato e cantato con Mi-na, recitato negli sceneggiati gloriosi degli anni ’60,David Copperfield, E le stelle stanno a guardare. Aventitré anni esordisce nel cinema, ma sul grandeschermo la vera affermazione è nel ’70 con Dram-ma della gelosia, di Scola, dove il personaggio diNello, pizzaiolo focoso, svela la sua duttilità di at-tore, dal comico al drammatico fino al grottescoesaltato poi negli anni Settanta nella straordinariastagione Wertmüller. «Il suo modo di raccontareera tre punti sopra la realtà. All’inizio fummo criti-cati, ma era il suo stile, sempre, anche quando sitrattava di una storia vera come in Film d’amore ed’anarchia, storia di Michele Schirru, un anarchi-co sardo che voleva uccidere il Duce. Io cambiaisolo il dialetto, mescolando bresciano, lodigiano,bergamasco. Mi feci aiutare dal capo della com-pagnia dei Legnanesi, a Milano, ma la facilità nelparlare dialetti diversi l’avevo imparata in Accade-mia da Orazio Costa: fu lui a insegnarci le radici deisuoni, le intonazioni delle vocali». Cominciaronoad arrivare i premi. A Cannes per Mimì metallur-gico — «Arrivai tardi, a cerimonia finita, il premio

me lo consegnarono Ingmar e Ingrid Bergman sul-le scale del Palais» — poi la candidatura all’Oscarper Pasqualino Settebellezze. Visconti lo volle perL’innocente, il suo ultimo, dannunziano film. «Al-l’inizio mi intimidiva, finì che durante le pausescappavamo a mangiare con lui contento di pren-dere una delle mie sigarette e fumare contro il vo-lere dei medici. Come due ragazzini».

Intanto Giannini era diventato anche produtto-re, e intanto continuava anche un’altra delle suevite, dare la voce ai grandi americani, Hoffman, AlPacino, De Niro, Nicholson. Fu doppiando Profes-sione: reporter che incontrò Antonioni: «Un rap-porto curioso, io gli scattavo le Polaroid, lui mi por-tava a mangiare ferrarese e mi parlava di progetti.Avrei dovuto fare un film con lui, la passeggiata diun architetto con una ragazza che alla fine entravain convento. Non trovammo mai i soldi, si chia-mava Patire o morire, non l’avrebbe visto nessu-no». E poi c’è il Giannini attore internazionale, inGermania con Fassbinder per Lili Marleen conHanna Schygulla, in Francia con Alain Delon, inAmerica antagonista di James Bond in Quantumof Solace, nel thriller di Guillermo Del Toro, Mimic,con Ridley Scott ispettore in Hannibal. E poi Cop-pola: «Mi chiamò per New York Storiese suo padremi insegnò a suonare il flauto, lo suono anche nelfilm. In America quando hanno bisogno di unoche fa il vino nella Napa Valley chiamano me. L’hofatto ne Il profumo del mosto selvatico di Arau, l’a-vevo già fatto in Legami di sangue, il primo film diJulia Roberts. Era mia figlia, l’avevano presa, dice-va il produttore, solo perché era la sorella del pro-tagonista, Eric Roberts, allora in ascesa, e quindiera a costo zero. Con me faceva fatica a non ridere,mi guardava e pensava ai miei film comici che ave-va visto. Durante quel film ho scoperto quanto erabrava, ma anche che quando qualcuno su un ca-vallo spara da fermo ci sono quattro uomini sottoche tengono ferme le zampe dell’animale. Pensaia quanti western avevo visto, e a tutti quei poveretticostretti a stare sotto un cavallo».

In settant’anni di mestieri non poteva mancarequello di regista. Il primo film, Ternosecco, è del1986, il secondo, I looked for you in obituaries, gi-rato in inglese e in italiano, è per Giannini l’impe-gno totale degli ultimi due anni. «Viene da una sto-ria vera, una storia allucinante di gente che anni fain Africa andava a caccia di uomini. È stato un filmdifficile, ma bello o brutto io l’ho fatto. Uscirà laprossima stagione con la Fox».

E poi c’è il Giannini marito, prima di Livia Giam-palmo e dal 1983 di Eurilla Del Bono, e padre, quat-tro figli, due dalla prima moglie, due dalla secon-da. «Non sono mai stato severo, ho cercato di farcapire ai miei figli che la vita è una scoperta conti-nua. Quando mi sono separato erano abbastanzapiccoli, il sabato e la domenica partivamo, pren-devamo una moneta, Nord o Sud. Arrivavamo inmontagna o al mare e tiravo fuori album e colori:“Adesso dipingiamo”. Poi andavamo al ristoran-te, facevo tutti bigliettini di carta e ognuno dava unvoto a quello che aveva scelto nel menu. Li co-stringevo ad assaporare il cibo, a gustarlo, pensoche se uno mangia bene non si deprime». Tra i suoifigli c’è anche Adriano, oggi attore affermato.«Quando mi disse che esitava a fare il remake diTravolti da un insolito destino, gli chiesi: “Ma scu-sa, quando ti ricapita di schiaffeggiare Madonna?A me in settant’anni non è mai capitato”».

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IL DOPPIATORE

AL PACINO

Da Quel pomeriggiodi un giorno da cani(1975) a Carlito’s Way(1993) a Ocean’sThirteen (2207):

Al Pacino è l’attore

che Giannini

ha doppiato di più

MICHAEL DOUGLAS

Lo doppia in WallStreet di Oliver Stone

(1987), film che valse

l’Oscar a Michael

Douglas come miglior

attore nei panni

del cinico finanziere

Gordon Gekko

DUSTIN HOFFMAN

Nel film di John

Schlesinger del 1976,

Il maratoneta,dà la voce

a Dustin Hoffman

nei panni del celebre

Thomas Babington

Levy “Babe”

JACK NICHOLSON

Professione: reporter(1975), Shining (1980),

La promessa (2001),

Tutto può succedere(2003), The Departed(2006): Nicholson

l’altro grande a cui

ha prestato la voce

MILANO-PALERMO:IL RITORNO

2007, regia di Claudio Fragasso

Nel sequel di Palermo Milanosolo andata, Giannini interpreta

Turi Leofonte, un ragioniere

della mafia che torna in libertà

dopo undici anni di carcere

MARIA PIA FUSCO

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 34

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Tra pochi anni il traffico della Rete sarà al settanta per cento composto da video. Per questo si è già aperta la corsa a chi sarà il Google del futuro Intanto una cosa è certa: sarà l’immagine la chiave d’accesso. Dentro e fuori il web

NextImpronte

Dal pc allo smartphone, dalweb alle applicazioni, daimotori di ricerca ai socialnetwork. E ora dalla paro-le alle immagini. Meglio:

dalla parole ai volti. La nuova frontieradella tecnologia, una di quelle che po-trebbe rivelarsi fra le più remunerative,ha a che fare con le nostre espressioni.Perché se oggi cerchiamo contenutionline attraverso nomi, frasi e vocabo-li, domani lo faremo attraverso ele-menti visivi. E per un semplice motivo:il web sarà fatto soprattutto di video,dunque avremo bisogno di strumenticompletamente diversi per continua-re a usarlo. Tutto sta nel capire chi riu-scirà a metterli appunto, diventando ilGoogle prossimo venturo.

«Sul mercato, già ora, ci sono diversetecnologie per l’individuazione deivolti e di altri elementi presenti in un fil-mato o in una foto», spiega Matteo Sor-ci, trentottenne emigrato in Svizzeranel 2000 dove ha fondato un’aziendaall’avanguardia, la nViso, che lavoraproprio sul riconoscimento facciale.«Possono dirci se in un’immagine c’èuna persona, ma non ancora qualeespressione ha. Sanno isolarle dal re-sto, eppure non le distinguono fra loro.Che è invece quello su cui stanno lavo-rando tutti».

Ma andiamo per gradi, anzi per sin-tomi: entro il 2016, sostiene la Cisco Sy-stem, il traffico della Rete sarà per il 78per cento da e verso dispositivi mobili eper il 70,5 per cento si tratterà di video.Questo significa, stando a un’altra in-dagine della Ericsson, un flusso diquindici volte superiore rispetto aquello attuale. Fra gli oltre sei miliardidi schede telefoniche in circolazione,l’87 per cento della popolazione mon-diale ormai ne ha una, più di un miliar-

do sono state inserire in uno smartpho-ne che permette di navigare e guardarevideo, ovviamente, ma anche di pro-durre migliaia di foto e ore di film in al-ta risoluzione. Già oggi, analizzando iltraffico dati nel corso di una settimana,i filmati occupano la maggior parte del-la banda. Dalle riprese fatte con i te-lefonini ai servizi dei network televisi-vi, dai filmati delle telecamere a circui-to chiuso ai cortometraggi. Senza di-menticare le fotografie. Solo Facebookne contiene fra i 100 e i 140 miliardi e diqueste 45 miliardi le hanno pubblicatelo scorso anno. È una pluralità di fontiprive di una gerarchia dove è facile per-dersi. Di qui le soluzioni, per ora par-ziali e circoscritte. La Lumix Fx40 dellaPanasonic ad esempio, uscita nel 2009,è stata la prima macchina fotografica ariconoscere le persone per poter pub-blicare sui social network l’immaginegià legata a un nome. Mentre con le ul-time versioni di iPhoto della Apple, sipossono fare ricerche nel proprio ar-

chivio di scatti partendo da un unicovolto. Queste tecnologie adesso stan-no migrando sugli smartphone, ancheattraverso applicazioni come Klik diFace.com, l’azienda acquistata a giu-gno da Facebook per consentire ai suoiutenti di rintracciare le persone met-tendo a confronto delle immagini.

Ma è solo la punta dell’iceberg. Goo-gle, dopo l’acquisto della PittsburghPattern Recognition nel 2011, pochigiorni fa ha tentato di riprodurre il si-stema neurale umano con un networkdi circa mille computer connessi fra lo-ro. Poi gli ha dato in pasto centinaia dimigliaia di sequenze di YouTube pervedere se era in grado di riconoscere dasolo elementi ricorrenti come facce,gatti, automobili. In pratica l’autoap-prendimento di una macchina diffusaè stato messo alla prova, guarda caso,attraverso dei video. «Fino a ieri», pro-segue Matteo Sorci, «le tecnologie mi-gliori funzionavano bene solo in labo-ratorio. Oggi invece abbiamo un algo-ritmo che può analizzare le espressio-ni attraverso 188 punti differenti incorrispondenza dei muscoli sottili delvolto ripreso da una semplice webcame in condizioni visive non ottimali. Eriusciamo a farlo usando una schedagrafica della nVidia di medio livello daduecento euro circa». L’intero sistemasi basa sulle teorie di Paul Ekman, psi-cologo americano e pioniere nella ca-talogazione e nell’interpretazione del-le espressioni. Le stesse usate nel serialLie to medella Fox del 2009. Da qui Sor-ci e compagni sono partiti costruendouno strumento tanto raffinato da ana-lizzare il contenuto di dodici videocontemporaneamente pescando i vol-ti di chi vi compare e distinguendo le lo-ro espressioni dunque la loro unicità.

Gli impieghi possibili sono straor-dinari e spaventosi a un tempo. E fraquesti il settore della sicurezza, dall’u-

Un’applicazione

o una tecnologia

capace di riconoscere

il volto delle persone

sia dal vivo, sia su

fotografia o filmatoGL

OSSA

RIO

Facial recognition

È un procedimento

gestito

da un computer

che, in automatico,

è in grado di risolvere

un problema

Algoritmo

Disciplina recente

Studia i processi

decisionali d’acquisto,

mediante l’utilizzo

di metodologie legate

alle neuroscienze

Neuromarketing

Dimenticate la passwordora bisogna metterci la facciaJAIME D’ALESSANDRO

FACEOFF

I rischi

Queste tecnologie possonoessere di grande aiutoMa alcune personepotrebbero usarlein maniera molto,molto pericolosa

‘‘Eric Schmidt

presidente di Google

Repubblica Nazionale

■ 35

DOMENICA 22 LUGLIO 2012

tilizzo negli aeroporti ai database del-la polizia, è di gran lunga il meno im-portante. Perché è un mercato saturoe con un giro di affari relativamentebasso. I soldi veri verranno dai motoridi ricerca e dalla medicina, dove il ri-conoscimento facciale può esser im-piegato nella diagnosi e nella cura del-le malattie mentali. Ma soprattuttodalla pubblicità e dal marketing. Omeglio: dal “neuromarketing”. Per sa-pere quale campagna promozionale èpiù adatta a un determinato prodottoo servizio, prima si ricorreva ai cosid-detti “focus group”. Gruppi di perso-ne che provavano l’oggetto sotto la su-pervisione di un sociologo o di unopsicologo. Ora le campagne sono glo-bali e i focus group stanno diventandoobsoleti. Verranno sostituiti da colle-gamenti singoli a migliaia di soggetti

È una tecnologia,

usata nelle macchine

fotografiche digitali,

per individuare

in automatico quando

una persona sorride

Smile detection

Sul volto determinano

le espressioni

I loro movimenti

sono alla base

del riconoscimento

facciale avanzato

Muscoli sottili

FIND MY FACE

Sistema automatico

che riconosce le facce e permette

agli utenti del social network

Google+ di taggare i volti amici

con un semplice clic

FACE.COM

Piattaforma che consente

il riconoscimento automatico

dei volti presenti nelle foto digitali

Il mese scorso è stata acquistata

dal social network Facebook

FACELOOK

Software per il riconoscimento

facciale: serve a bloccare e sbloccare

le applicazioni sui dispositivi

che utilizzano il sistema

operativo Android

IPHOTO

Il software della Apple riconosce

i volti e consente di organizzare

la libreria ITunes, raggruppando

automaticamente le foto

che ritraggono lo stesso soggetto

LA FICTION

Se in Face-off era la chirurgia

plastica ad aiutare il protagonista,

oggi al cinema, ancor prima

che nella realtà, spopola

la biometria facciale

Nel 2002, in Minority Report, Tom Cruise viene riconosciuto

da cartelloni pubblicitari

che lo chiamano per nome;

in Babilon A.D., nel 2008

è un computer a riconoscere

i criminali mentre nel 2011,

in Mission Impossible-Protocollo fantasma, gli scanner

di riconoscimento facciale

sono sostituiti da lenti a contatto

computerizzate che, collegate all’iPhone,

rintracciano gli obiettivi tra la folla

IL TRAFFICO

Il grafico in alto è il risultato di una ricerca del MIT Senseable

City Lab e rappresenta il flusso totale dei dati mobile

nel continente asiatico in una settimana. È diviso

in sette categorie: il flusso maggiore, blu scuro, al centro,

è quello che riguarda la trasmissione e riproduzione di immagini

LA REALTÀ

Siamo ancora all’inizio

Oggi la biometria facciale

è usata negli Stati Uniti,

non solo dalla Cia e dall’Fbi

ma anche da società online,

come Drug Emporium, che verificano

l’identità degli utenti ad esempio

per prescrivere i farmaci o per accedere

a conti bancari. In Giappone,

la Hitachi Kokusai Electric ha creato

un sistema in grado di scandagliare 36 milioni

di volti al secondo. Mentre in Gran Bretagna

la biometrica al momento ha scopi meno

ambiziosi: alla Sir Christopher School

la usano per gli studenti ritardatari

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via Rete, sfruttando gli algoritmi comequelli della nViso e una webcam. L’a-nalisi è omogenea e si registrano conesattezza le reazioni al prodotto. L’e-laborazione avviene tutta nel cloud,senza dover istallare nulla sul pc dellepersone esaminate. Non è fantascien-za. Alcune note multinazionali stannosfruttando questi sistemi studiando leemozioni di bambini sotto i tre anniper la promozione di alimenti. Straor-dinario e spaventoso, come dicevamoprima.

Il prossimo passo? Non si tratteràpiù di trovare la foto o la sequenza. Matutte le immagini in cui un nostro pa-rente è corrucciato o i film dove quellastar hollywoodiana ha pianto. E chissàcosa accadrà quando strumenti similiverranno applicati ai social network.

Repubblica Nazionale

I saporiPoveri

Maruzzelle, fragoliniacquadelle e fasolariNoiosi da preparare,delicati da cuocerema infinitamentegustosi

Tanto da ambirea ricette monodedicateEccone alcune

pronti per la padella, ai filetti surgelati o decon-gelati. Quando il budget lo permette, il pesce lo simangia al ristorante.

Eppure, lontano dal profilo rincagnato dellacoda di rospo e dal carapace rosato degli scampi,il mini-pescato regala profumi e fragranze da ma-re di un altro tempo. Perché a differenza della ce-lebre paranza, spadellata maxima dove conflui-scono pescetti e molluschi uniti nel sacro nomedella frittura, chioccioline e calamaretti punta dispillo, acquadelle e fasolari, gamberetti di lagunae canestrelli ambiscono a ricette monodedicate,che ne esaltano la riservata originalità.

Non a caso, le stesse cucine regionali proteg-gono queste specialissime materie prime conbolliture impercettibili e marinature in punta dipiedi, mentre la cucina d’autore punta su acco-stamenti apparentemente bizzarri, e invece ma-gnificamente godibili, come il piatto squisito cheil marchigiano Mauro Uliassi ha ideato in abbi-namento allo Champagne Mumm Brut Rosé:seppie “sporche” appena arrostite, profumatecon erbe aromatiche e accompagnate da una sal-sa fatta con il fegato delle seppie e ricci di mare(presenti anche sotto forma di granita).

Se Senigallia non è nei vostri prossimi itinera-ri, scaricate la nuovissima applicazione persmartphone “Fishbook”, dove la veterinaria itti-ca Valentina Tepedino — ideatrice del progettoL’Amo per la pesca sostenibile — ha raccolto inschede tutto quello che avreste voluto sapere suipesci presenti sul mercato italiano e non avetemai osato chiedere, comprese stagionalità e di-mensioni minime. Per voi, la zuppetta di garuso-li non avrà più segreti.

La rivincitadell’inutileminutaglia

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LICIA GRANELLO

Insalata di mareNella ricetta alla livornese

moscardini, gamberetti,

seppioline e cozze. Una goccia

di limone se piace. Si serve

con crostini di pane toscano

LA DOMENICA■ 36

DOMENICA 22 LUGLIO 2012

Piccoli, son piccoli. Minutaglie di ma-re e di fiume riservate tempo addietrosolo a chi — per passione o indigenza— sapeva cavarne fuori i sentori ioda-ti più segreti e rapinosi. Sono i pescimeno visibili e quindi meno attraen-

ti, perché di dimensioni minime, noiosi da pre-parare, delicati da cuocere, l’esatto contrario diquelli pronti, cotti e mangiati delle pubblicità.

È l’estate a riproporli, quasi loro malgrado: unagita di pesca-turismo, un piatto del giorno nel ri-storantino pieds-dans-l’eau, il gozzo appenarientrato si trasformano in occasione imprevistaper scoprire la bontà antica del pesce formato mi-crochip. La storia della pesca in Italia è fatta più dipovertà che di tradizione, come ben testimonia-no i ricettari storici delle due isole maggiori, dovel’orata è sconfitta dal porceddu e le vongole dalleinteriora di vitello. Né bastano gli ottomila chilo-metri di coste per fare dell’Italia un paese ad altogradiente marinaro.

Così, quando benessere e cultura alimentarehanno finalmente spinto verso un maggior con-sumo di pesce, i novelli consumatori, poco inconfidenza con lische e squame, si sono affidatiall’abilità dei pescivendoli perché eviscerassero,sfilettassero e scaltrissero al posto loro. Ma i pe-scivendoli sono una razza in via di estinzionequasi quanto i tonni rossi, i prezzi del pescato so-no semiproibitivi, i prodotti di allevamento sonomolto spesso di livello mediocre e i supermerca-ti che fanno servizio di sfilettatura si contano sul-le dita di una mano sola. Risultato: più carne chepesce. E in caso di scelta ittica, via libera ai tranci

Pescipiccoli

Repubblica Nazionale

Gli indirizzi

DOVE MANGIARE

AL PORTEGO

San Lio 6015, Castello

Venezia

Tel. 041-5229038

Sempre aperto, menù 20 euro

TRATTORIA VENEZIA

Viale Venezia 10

Portogruaro

Tel. 0421-275940

Chiuso domenica, menù 25 euro

ALL’ARENA

Via Vespucci 4

Chioggia

Tel. 041-5544265

Chiuso lunedì e martedì, menù 35 euro

DOVE COMPRARE

PESCHERIA DI RIALTO

Sestiere Sa Polo 125

Venezia

Tel. 041-274 8111

MERCATO DEL PESCE

Porta a Prisca

Corso del Popolo

Chioggia

ITTICA ALTRO ADRIATICO

Via Gritti 54

Caorle

Tel. 0421 261007

DOVE DORMIRE

ALBERGO CERTOSA

Isola della Certosa

Venezia

Tel. 041-2778632

Doppia da 80 euro, colazione inclusa

LA CORTE B&B

Calle Gabardi 150

Chioggia

Tel. 346-1021497

Doppia da 70 euro, colazione inclusa

RESIDENZA IL GRANDE LECCIO

Strada Valle Tagli, Località Tezzon

Caorle

Tel. 0421-80179

Doppia da 70 euro, colazione inclusa

Sulla strada

Sua maestà il granchio porro

Sulla mappa Venezia è un pesce ma, se si restaimpigliati nel reticolo delle sue calli, qua e làinterrotto dai ponti e dai campielli, è il pe-

scetto il gran protagonista. Acciughe avvoltolate,trafitte dagli stuzzicadenti, polipetti, sardine e ali-ci marinate fra mezze uova sode occhieggiano nel-le bacheche di osterie, bàcari e cicchetterie chepresidiano ogni angolo della città. Stuzzichini inattesa del palato esperto, ma anche del turista stre-mato dallo shopping che spesso non distingue ungranchio da una fava.

Sotto le volte di pietra della pescheria di Rialto sipuò ammirare sua maestà il granchio porro, cheancora danza nelle vaschette del ghiaccio allinea-te sui banchi e, come se fosse una cassetta degli at-trezzi, squaderna pinze e punteruoli: lo spettacoloincanta i bambini che allungano gli indici curiosiper toccare la corazza di quella strana creatura for-se appena sbarcata da un’astronave. E accanto al

re dei granchi, oltre la falange delle canocchie,stanno le schiere dei granchietti, stretti uno all’al-tro, con il ventre giallo per aria: finiscono a man-ciate nei cartocci che i commessi allungano ai fa-melici clienti che già se li vedono indorati e fritti.

«I veneziani — scrive George Sand — hanno nelcarattere un immenso fondo di gioia; il loro pec-cato capitale è la golosità, ma una golosità ciarlie-ra e viva» che da sempre seduce l’avventore stra-niero: dal marinaio d’altri tempi, approdato nellacittà delle spezie e delle sarde in saòr— che nei se-coli hanno salvato le ciurme dallo scorbuto — fi-no a quel pasciuto turista che qualche giorno fa,giunto in cima al Ponte di Rialto, ansimando, michiese «Scusi, per caso sa dov’è il Ponte di Rialto?».Anche lui, in fondo, altro non è che un ignaro pe-scetto finito nella pigra e gioiosa rete delle calli edei canali.

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LA RICETTA

Ingredienti

per 4 persone

200 g. di cicireddi (varietà di pesce azzurro,gymnammodytes cicerelus)200 g. di patate a julienne100 g. di mandorle pelate1 spicchio di aglio4 pomodori da sugo pelati1 mazzetto di basilicoolio extraverginesale, pepe350 g. di pasta corta tipo fusillio caserecce

ILLU

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Preparare il pesto, frullando mandorle,basilico, pomodori sbucciati e senza

semi, sale e pepe aggiungendoa filo l’olio fino a ottenereun composto cremosoFriggere in abbondante oliole patate tagliate in fili sottiliPulire i pesciolini, asciugarli bene

con carta assorbente, infarinaree friggere, salando alla fine

Mettere il pesto in una padellagrande, diluendo con qualche cucchiaio

di acqua di cottura. Unire la pastamolto al dente e mantecare, aggiungendo se necessariopoca acqua e un filo d’olio a crudo. Disporre nei piatti,distribuendo sopra le fritturine ben calde e una spolverata di pepe

Patrizia Di Benedetto

è l’unica donna chef stellata

della Sicilia. Dalla cucina

del Bye Bye Blues, a pochi

passi dalla spiaggia

di Mondello, Palermo,

escono piatti eleganti

e golosi, come la ricetta

ideata per i lettori

di Repubblica

TellineDietro il nome latino Donax

trunculus si nasconde la mini

conchiglia piatta e triangolare

amante della sabbia, dal gusto

delicato e finemente profumato

ANDREA MOLESINI

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Pasta con pesto di mandorle e fritturina di cicireddi

PolpettiArriva dal rione Santa Lucia, Napoli,

la ricetta per i piccoli polpi, lessati

e messi a riposo dopo averli

conditi caldi con olio, aglio,

prezzemolo e pepe nero

Gamberetti grigiIl nome dialettale schie identifica

i micro-crostacei d’acqua dolce,

da friggere interi, accompagnati

con polenta bianca (ideale

per il pesce) o radicchietto

Chiocciole di marePiccole e saporitissime, le maruzzelle

sono alla base della zuppetta

(aglio, olio, peperoncino,

pomodoro) da gustare usando

lo stuzzicadenti per estrarle

Seppioline Le Scarpette di Venere si cucinano

senza eviscerarle (purché in tempo

brevissimo) per assaporarne

fino in fondo il gusto marino,

saltandole nella padella di ferro

CannolicchiLunghe e sottili, le capelonghe

dalla conchiglia cilindrica vivono

infilate verticalmente nella sabbia

Hanno carne finissima,

magnifica con gli spaghetti

FragoliniSono grandi la metà dei moscardini

normali e hanno carni tenerissime,

che accettano solo cotture lievi

e brevi. Perfetti per fritture

impalpabili o insalate

Granchi verdiMoeche (maschi) e masanete

(femmine), mini crostacei

della laguna veneziana, mutano

la corazza, rimanendone

privi qualche giorno. Ottimi fritti

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 38

DOMENICA 22 LUGLIO 2012

Quando il suo “La vera storiadel pirata Long John Silver” diventa un bestseller pensa di aver sbagliatoqualcosa. “Ho sempre inseguito più la libertà che il successo”

Ora lo scrittore-marinaiosvedese cominciaad abituarcisiE dopo annivissutisu una barca

in giro per il mondoconfessa: “Adesso ci salgosoltanto per scrivere”

MILANO

«Un nomade a ve-locità modera-ta». Così si defi-nisce Björn

Larsson, lo scrittore-marinaio svede-se, che con coerenza, determinazionee anticonformismo ha inseguito pertutta la vita il suo bisogno di libertà.Una libertà reale e individuale, non ro-mantica o astratta, che si è concretiz-zata nelle peregrinazioni a vela, da so-lo o in coppia, tra i gelidi e tempestosimari del Nord Atlantico a bordo delRustica, nella mancanza di un domici-lio fisso, nella refrattarietà a mode eimposizioni quotidiane, nella capa-cità di reinventarsi e rimettersi in gio-co, perfino nella scrittura. Oltre al be-stseller La vera storia del pirata LongJohn Silver, tradotto in quindici lingue,Larsson ha scritto romanzi di mare, tragli altri Il cerchio celticoe Il porto dei so-gni incrociati, filosofico-scientifici co-me Otto personaggi in cerca (con auto-re), un’autobiografia marina in duetappe (La saggezza del mare e Bisognodi libertà) e alcuni thriller sui generiscome I poeti morti non scrivono gialli.

«La letteratura a cui penso è moltosimile alla mia visione del mare: sonoluoghi dov’è possibile immaginare esperimentare altre vite, altri mondi, al-tre identità, altri sentimenti, altri pen-sieri. Entrambe le esperienze sono

esercizi di libertà. Una libertà cui aspi-ro fin da quando ero bambino». Men-tre parla con voce pacata ma decisa efuma una sigaretta dopo l’altra comeogni marinaio che si rispetti, seduto altavolino di un chiosco vicino ai Giardi-ni di Porta Venezia, a pochi metri dallasede di Iperborea (l’editore italiano ditutti i suoi libri), Björn Larsson sembraguardare un orizzonte lontano e nonappartenere a nessun luogo. Camiciaazzurra, jeans e scarpe da barca («l’ul-tima volta che ho portato la cravatta ri-sale, credo, alla mia Maturità»), sorrisosincero, modi sobri, gentili e diretti, al-la soglia dei sessant’anni racconta dicome si è costruito una vita trascorsa amollare gli ormeggi e a prendere il lar-go. «Fin da piccolo ho sentito l’esigen-za di partire alla scoperta del mondo. Asette anni ho perso mio padre, anne-gato in mare per un incidente. Io, miamadre e mia sorella ci siamo trasferitiin una cittadina vicino a boschi e fore-ste in cui andavo a passeggiare da solo,col rischio di perdermi. Mi spronava ilgusto per l’avventura. A quindici annigrazie a una borsa di studio ho passatoun anno in Arizona. Quell’esperienzami ha formato per sempre: ho capitoche volevo proseguire il mio cammi-no, viaggiare, conoscere altri posti, an-che se l’America mi è apparsa un pae-se troppo patriottico e conservatoreper decidere di tornarci. Ero in classecon la figlia di Ronald Reagan, alloragovernatore della California, e ricordoancora il suo discorso alla consegnadei diplomi: ha raccomandato a noi ra-gazzi di trovare ispirazione di vita neipiloti americani della Seconda guerramondiale. Al ritorno in Svezia ero di-ventato adulto, pronto ad assumermile mie responsabilità».

Larsson, che parla un italiano per-fetto (una delle sei lingue da lui cono-sciute), ordina un caffè e si accendeun’altra sigaretta. «Finito il liceo dove-vo fare il servizio militare. Ma il sem-plice fatto di indossare un’uniformemi faceva star male fisicamente. E ave-re in mano un’arma mi ripugnava. Co-sì mi sono rifiutato. Non c’entravanomotivi ideologici: sono un pacifico,non un pacifista. Mi sembrava sempli-cemente inammissibile che fosse unamaggioranza, anche se democratica, adecidere al posto mio, a obbligarmi asacrificare la vita in caso di guerra.Quel rifiuto mi è costato sei mesi di car-cere. Ma sono orgoglioso della miascelta, ho dimostrato di avere coraggio

civile. È facile essere coraggiosi se nonti costa niente».

A vent’anni Larsson si trasferisce aParigi, senza soldi, per dedicarsi allascrittura. «Mi affascinava il lato bohé-mien e un po’ sregolato della vita delloscrittore. Non mi rendevo conto che èun mestiere che non può essere im-provvisato ma che si impara con impe-gno e fatica. Ho vissuto lì due anni fin-ché mi sono reso conto che stavo per-dendo la mia lingua. Sono tornato inSvezia, all’università, ma non ero capa-ce di vivere una normale vita studente-sca. Così mi sono trasferito a Copena-ghen». Lì conosce Halle, e con lei deci-de di vivere per sei anni a bordo del 31piedi Rustica, girovagando di porto inporto. «Sono stati anni felicissimi, digrande libertà. Non ho mai avuto l’ideadi “casa”. Per anni, per non intorpidir-mi nei confronti della vita, mi sono spo-stato di continuo tra Lund, Copena-ghen, Madrid, Parigi e Saint Malo, do-

ve è nata la passione della vela. La bar-ca è la dimora ideale perché mi per-mette non solo di conoscere nuovi luo-ghi ma anche di viverli intensamente».

Poi succede l’inaspettato. NasceKathrine, oggi diciassettenne, Il cer-chio celtico e La vera storia del pirataLong John Silver cominciano a vende-re in tutta Europa, e Larsson ottiene unposto fisso all’università di Lund doveinsegna lingua e letteratura francese.«Mi sembrava un fallimento», confes-sa ironico. «L’unico mio desiderio erariconquistare quella libertà perdutache mi permetteva di scrivere libri. Miafiglia è stato un ostacolo e una limita-zione alla mia libertà. Avevo l’angosciadi sparire, come era sparito mio padreper me. Ma ho scoperto alla fine che icompromessi sono necessari perchéla libertà assoluta è assurda, non esi-ste. Forse può esistere se si trascorre lavita in solitudine, ma se si sceglie di vi-vere in coppia, in famiglia, in società èimpossibile essere del tutto liberi.D’altronde la vera libertà ha senso so-lo nel rapporto con gli altri».

Ora Larsson, dopo che sono passatitanti anni e diversi amori, trascorremetà settimana a Gilleleje, lungo la co-sta della Danimarca che si affaccia sulMare del Nord, sulla sua nuova barca di12 metri, lo Stornoway, e l’altra metà inun monolocale a Helsingborg, in Sve-zia a 50 chilometri dall’università diLund. Ma continua a viaggiare, soprat-tutto in Italia e in Francia. Confessa discrivere meglio in barca, dove non cisono distrazioni («a casa ci sono libri,cd, dvd»). E di identificarsi spesso con ipersonaggi di cui narra le gesta: «Il miopreferito è Marcel, il giovane capitanodel Porto dei sogni incrociati. Vorrei es-sere come lui: è un marinaio, fa sogna-re la gente che incontra nei porti, vivefelicemente nel presente, non si chiedemai cosa succederà domani. Purtrop-po uno scrittore non può vivere così.Scrivere è un progetto lento, faticoso,difficile. Non ho mai scritto per moda,per soldi o per sedurre i lettori. L’ur-genza di scrivere ha altre ragioni. Io so-no un uomo felice, ma da sempre vivouna disperazione ontologica per comeva il mondo. Penso ogni giorno a tuttoil male che ci circonda e non so comeporvi rimedio. L’unico contributo cheposso dare agli altri è scrivere libri cheparlino ai lettori. Non credo che la let-teratura contenga un messaggio. Maoffre libertà. Non deve essere uno spec-chio della vita concreta bensì proporre

un’alternativa, a tutti i livelli, compre-so quello del linguaggio, e fare immagi-nare un’altra realtà possibile e concre-ta. Per farlo, purtroppo, deve racconta-re anche il male, che nel nostro mondorappresenta una possibilità. Per que-sto motivo il rapporto bene/male è unodei temi fondamentali di tutti i miei ro-manzi».

In Italia, dove riesce a trascorrerequalche mese all’anno e dove i suoi li-bri hanno venduto 350mila copie,Björn Larsson è particolarmente ap-prezzato. Come mai? «Penso di dareuna risposta ai sogni di avventura de-gli italiani. Gli italiani amano la libertàma solo idealmente. In realtà dannomolta importanza ai legami e sonoprofondamente radicati alla loro terra,alla famiglia, al buon cibo. È la qualitàdi vita a frenarli a partire. Eppure, pa-radossalmente, l’Italia è un paese cheha vissuto l’emigrazione di massa. Maquesto notevole flusso migratorio èstato considerato come una necessità,un male e infatti non c’è un grande ro-manzo italiano che lo racconti. Gli ita-liani hanno una forte identità naziona-le. La prima cosa che si dicono quandosi conoscono è: “Di dove sei?”. Io inve-ce non mi considero svedese perchécredo che l’identità non sia stabile eimmutabile, bensì in continua evolu-zione. Per questo mi identifico di piùcon i vagabondi e i senza-terra. E ri-vendico la libertà di scegliere ognigiorno chi sono».

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L’incontroNomadi

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Da ragazzo mi fecisei mesi di carcereper aver rifiutatoil servizio militareÈ facile esserecoraggiosise non ti costaniente

Björn Larsson

BENEDETTA MARIETTI

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Repubblica Nazionale