La Cultura del Movimento

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TEORIE PERSONE&CONOSCENZE N.79 84 E se ce li avessimo accompagnati…? Questa è la domanda che personalmente mi pongo tutte le volte che ascolto un dibattito sul mercato del lavoro in Italia e sulla “fuga dei cervelli”. Per l’opinione pubblica italiana la migrazione professionale di giovani dal Bel Paese ver- so l’estero ha le stesse caratteristiche di un drammatico esodo di massa, paragonabile ad un processo di desertificazione intellettuale senza precedenti. Eppure, non è così! La propensione a espatriare I dati ci raccontano dimensioni che portano l’Italia agli ultimi posti tra le grandi econo- mie europee e mondiali nella propensione dei nostri giovani ad intraprendere un perio- do di studio e di lavoro all’estero (Tab. 1). L’effetto di questa bassa propensione si riscontra nel numero di quanti effettivamente lasciano l’Italia per recarsi temporaneamente o stabilmente all’estero per lavoro; questo numero è infatti percentualmente vicino, e quantitativamente molto inferiore, a quello di altre grandi economie europee. In particolare, secondo i dati del OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), Paesi quali la Nuova Zelanda e l’Irlanda registrano flussi migratori in uscita di persone con elevato livello di cultura e competenze in misura pari al 15% dell’intera popolazione avente tali caratteristiche, mentre Germania e Regno Unito pre- sentano il maggior numero –in termini assoluti– di skilled expatriates tra tutti i 27 Paesi dell’Organizzazione. Nel confronto con l’Italia, ad esempio, i dati mostrano che, sebbene il fenomeno dei lau- reati italiani che lasciano l’Italia sia in crescita (circa 295.000 secondo i dati OECD nel La cultura del movimento di Marco Nicodemi In Italia il dibattito sul mercato del lavoro è costantemente di attualità. Il tema viene più spesso affrontato sulla base di opposte visioni ideologiche, che sintetizzano l’analisi sul versante della liberalizzazione vs. regolamentazione, opponendo nel primo caso l’effetto della precarizzazione e dell’insicurezza sociale al tema della deregulation, mentre nel secondo si riconduce la bassissima presenza di investitori e investimenti internazionali alla presenza di vincoli normativi troppo stringenti in tema di assunzioni e licenziamenti. Il rischio di affrontare la discussione senza prendere atto degli effetti della globalizzazione sulla competitività dei lavoratori italiani (in particolare i giovani) porta a drammatizzare i fenomeni migratori che sono tipici delle grandi economie, all’interno delle quali coesistono strategie di attrazione dei talenti, con iniziative che concorrono a favorirne l’accesso a opportunità educative e di lavoro all’estero. Nella riflessione che di seguito conduco, affronto il tema della ‘fuga dei cervelli’ allontanandomi volutamente dallo stereotipo del giovane che è vittima di un sistema perverso che non offre opportunità, ampliando il perimetro delle opportunità disponibili a quante ne offre il mercato del lavoro globale e perseguendo lo scopo di diffondere la cultura del movimento quale strumento non solo difensivo, ma quale strategia di sviluppo espansivo sia per l’individuo che per la Società. Laureato in Economia e Commercio, si occupa da sempre di Risorse Umane, prima come manager in aziende nazionali e multinazionali e poi come imprenditore e libero professionista; con una notevole esperienza in modelli gestionali e contrattuali, dinamiche del cambiamento e passaggi inter-generazionali, è orientato alla valorizzazione strategica delle persone, elabora politiche attive per il lavoro e progetta soluzioni innovative per il people care e il welfare aziendale, territoriale e integrativo.

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Da Persone&Conoscenzen° 79 - Este EditoreNella riflessione che di seguito conduco, affronto il tema della ‘fuga dei cervelli’ allontanandomi volutamente dallo stereotipo del giovane che è vittima di un sistema perverso che non offre opportunità, ampliando il perimetro delle opportunità disponibili a quante ne offre il mercato del lavoro globale e perseguendo lo scopo di diffondere la cultura del movimento quale strumento non solo difensivo, ma quale strategia di sviluppo espansivo sia per l’individuo che per la Società.

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teorie

PERSONE&CONOSCENZE N.79 84

E se ce li avessimo accompagnati…? Questa è la domanda che personalmente mi pongo tutte le volte che ascolto un dibattito sul mercato del lavoro in Italia e sulla “fuga dei cervelli”.Per l’opinione pubblica italiana la migrazione professionale di giovani dal Bel Paese ver-so l’estero ha le stesse caratteristiche di un drammatico esodo di massa, paragonabile ad un processo di desertificazione intellettuale senza precedenti.Eppure, non è così!

La propensione a espatriareI dati ci raccontano dimensioni che portano l’Italia agli ultimi posti tra le grandi econo-mie europee e mondiali nella propensione dei nostri giovani ad intraprendere un perio-do di studio e di lavoro all’estero (Tab. 1).L’effetto di questa bassa propensione si riscontra nel numero di quanti effettivamente lasciano l’Italia per recarsi temporaneamente o stabilmente all’estero per lavoro; questo numero è infatti percentualmente vicino, e quantitativamente molto inferiore, a quello di altre grandi economie europee.In particolare, secondo i dati del OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), Paesi quali la Nuova Zelanda e l’Irlanda registrano flussi migratori in uscita di persone con elevato livello di cultura e competenze in misura pari al 15% dell’intera popolazione avente tali caratteristiche, mentre Germania e Regno Unito pre-sentano il maggior numero –in termini assoluti– di skilled expatriates tra tutti i 27 Paesi dell’Organizzazione.Nel confronto con l’Italia, ad esempio, i dati mostrano che, sebbene il fenomeno dei lau-reati italiani che lasciano l’Italia sia in crescita (circa 295.000 secondo i dati OECD nel

La cultura del movimentodi Marco Nicodemi

In Italia il dibattito sul mercato del lavoro è costantemente di attualità. Il tema viene più spesso affrontato sulla base di opposte visioni ideologiche, che sintetizzano l’analisi sul versante della liberalizzazione vs. regolamentazione, opponendo nel primo caso l’effetto della precarizzazione e dell’insicurezza sociale al tema della deregulation, mentre nel secondo si riconduce la bassissima presenza di investitori e investimenti internazionali alla presenza di vincoli normativi troppo stringenti in tema di assunzioni e licenziamenti.Il rischio di affrontare la discussione senza prendere atto degli effetti della globalizzazione sulla competitività dei lavoratori italiani (in particolare i giovani) porta a drammatizzare i fenomeni migratori che sono tipici delle grandi economie, all’interno delle quali coesistono strategie di attrazione dei talenti, con iniziative che concorrono a favorirne l’accesso a opportunità educative e di lavoro all’estero.Nella riflessione che di seguito conduco, affronto il tema della ‘fuga dei cervelli’ allontanandomi volutamente dallo stereotipo del giovane che è vittima di un sistema perverso che non offre opportunità, ampliando il perimetro delle opportunità disponibili a quante ne offre il mercato del lavoro globale e perseguendo lo scopo di diffondere la cultura del movimento quale strumento non solo difensivo, ma quale strategia di sviluppo espansivo sia per l’individuo che per la Società.

Laureato in Economia e Commercio, si occupa da sempre di Risorse Umane, prima come manager in aziende nazionali e multinazionali e poi come imprenditore e libero professionista; con una notevole esperienza in modelli gestionali e contrattuali, dinamiche del cambiamento e passaggi inter-generazionali, è orientato alla valorizzazione strategica delle persone, elabora politiche attive per il lavoro e progetta soluzioni innovative per il people care e il welfare aziendale, territoriale e integrativo.

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2005), in termini assoluti tale evento è ampiamente in-feriore al numero dei loro omologhi tedeschi o francesi (rispettivamente pari a circa 900.000 e circa 400.000, sempre secondo le medesime stime).

L’atteggiamento italiano di fronte ai trasferimenti per lavoroIl modello culturale prevalente in Italia porta a guarda-re con sofferenza e –spesso– rassegnazione verso coloro i quali si muovono da un luogo ad un altro per motivi di lavoro; l’allontanamento dalla propria famiglia, dal proprio quartiere e dalla propria ristretta cerchia di re-lazioni non è vissuto come modello virtuoso di emanci-pazione e crescita, ma come rottura di quello ‘schema familiare’ tipicamente italiano che genera forme di ‘di-pendenza affettiva’ tuttora fortemente resistenti.Coloro i quali, viceversa, decidono di partire verso mete molto lontane dal proprio luogo d’origine ed iniziano un percorso che –spesso– assume i contorni di una re-ale nuova forma di nomadismo professionale, restano un’eccezione che ha tutt’altro che i contorni della fuga, ma è perfettamente coerente con il bisogno di auto-realizzazione.Questo è il punto! L’idea di fuga coincide con la rea-zione ad un evento che limita la libertà o preclude la possibilità di trovare riscontro alle proprie necessità e ambizioni; in questo senso, la persona che fugge è colei che reagisce ad una mancanza di opportunità che diver-samente la condannerebbe alla frustrazione.

L’intraprendenza di chi parteCertamente, l’Italia non è riconosciuta come terra di opportunità e, allo stesso modo dei capitali finanziari, anche il capitale umano reagisce alle difficoltà di trova-re adeguati rendimenti attraverso la ricerca di migliori possibilità di affermazione.Ma tra le molte ragioni per le quali si parla tanto del-la possibilità di lasciare l’Italia per lavorare all’estero, pochi (pochissimi) ricordano quanto importante sia per

un giovane aumentare in modo incremen-tale il proprio bagaglio di esperienze per affrontare la competizione sul mercato del lavoro globale con qualche chance in più di farcela.Se infatti capovolgiamo il paradigma che riduce i ‘migranti’ a ‘fuggitivi’ e conside-riamo –anche in senso antropologico– il movimento delle persone quale condizione imprescindibile che determina opportunità di crescita e miglioramento, vediamo che la presunta ‘fuga’ in realtà è ‘intraprendenza’ e l’intraprendenza è il fattore che meglio di ogni altro sostiene la possibilità di auto-realizzazione.Affermati imprenditori, autorevoli scien-ziati, importanti professionisti da sempre hanno vissuto il mondo come luogo privo di confini ed hanno posto le proprie origini

culturali alla base della propria capacità di interpreta-zione delle cose, assorbendo ed integrando nel loro mo-dello comportamentale stili, conoscenze ed approcci che gli sono provenuti dall’essere entrati in contatto con culture e modelli comportamentali diversi dal proprio.In questo senso, quindi, è più facile rintracciare il suc-cesso nell’idea del movimento, piuttosto che la sconfit-ta; è più coerente con il desiderio di auto-realizzazione il dinamismo di chi intraprende un percorso di cambia-mento rispetto a colui il quale accetta la convenzione dell’immobilismo.Sì, perché restare fermi in attesa che qualcun altro si faccia carico del nostro futuro è uno stereotipo assoluta-mente anacronistico, che rincorre l’idea che le persone riducano le proprie ambizioni al solo sostentamento.Per fortuna le cose stanno cambiando e, nonostante la crisi economica generale ci riservi un presente ed un futuro carichi di incertezze, l’ambizione e l’intenzione di seguire sogni, passioni e talenti rimangono intatte e la curiosità dei giovani verso il mondo –oggi– la si può trasformare nel movente che spinge ad intraprendere percorsi di studio e lavoro non confinati nel proprio ‘fazzoletto’ geografico né al proprio contesto culturale di riferimento.Un’indagine condotta recentemente su un campione di circa 1000 tra giovani e genitori mostra segnali di cam-biamento rispetto all’atteggiamento rilevato in prece-denti ricerche sul tema delle esperienze all’estero: oltre il 60% degli intervistati (senza differenza sostanziale tra ragazzi e adulti) ritengono molto importanti le espe-rienze di studio e lavoro all’estero (Tab. 2).

La piattaforma globaleLa risposta al generale disorientamento determinato dalle statistiche sull’inoccupazione dei giovani italiani (superiore ormai stabilmente al 30%) e sulla c.d. pre-carizzazione del lavoro (per la maggioranza dei giovani il lavoro è un susseguirsi di stage, tirocini e rapporti a

Tabella1

La disponibilità dei giovani a trascorrere un periodo all’estero per lavoro Un’indagine della Commissione Europea evidenzia come i giovani italiani siano tra i più restii a recarsi all’estero

per studio o lavoro: solo il 38% dei giovani di età tra i 15 e i 35 anni è disposto a trasferirsi all’estero

Tab. 1

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termine mal retribuiti e privi di valore contenutistico) sta nell’anticipare alle prime fasi di ingresso nella scuo-la superiore (se non addirittura prima) il contatto con il mondo e con la possibilità di fruirne come di una piat-taforma globale che mette a disposizione enormi possi-bilità di crescita, sviluppo e maturazione.Accompagnare i ragazzi verso la scoperta di quante op-portunità siano disponibili al di là del muro rappresen-tato dagli stereotipi sociali che insistono nel proporci l’idea che il ‘buon’ lavoro sia quello sotto casa nostra è la vera scommessa.Di recente, affermazioni come quella del Presidente Monti, che in un passaggio non sufficientemente ripre-so dai media nazionali del proprio discorso di insedia-mento, ha sostenuto che ‘il miglior alleato della mobilità sociale è la mobilità geografica’, hanno smosso la coltre di polvere che sovrasta le tradizionali politiche pubbli-che in tema di accesso dei giovani al mercato del lavo-ro.In sé, l’affermazione non definisce quale modello, ma traccia una traiettoria che dati, statistiche e comporta-menti di altri Paesi confermano essere quella che mag-giormente sostiene le possibilità dei giovani di incon-trare la globalizzazione nel suo aspetto più virtuoso, di aprire –cioè– le porte del mondo al desiderio di scoper-ta e alla voglia di intraprendere dei ragazzi italiani e, di conseguenza, di risollevarne le possibilità di auto-rea-lizzazione attraverso il movimento e non la fuga.Se si abbandonasse l’idea conservativa che un’intelli-genza che si propone di studiare o lavorare all’estero sia una ferita non rimarginabile, si potrebbe accogliere il tema ben più progressista che accompagnare un’intelli-genza ad esprimersi ovunque questo sia possibile offra l’opportunità a tutti di trarne vantaggi sostanziali.

Diffondere la conoscenza nel Paese d’origineLe intelligenze di ritorno, come le rimesse degli emi-granti nella bilancia commerciale dei Paesi, non consi-stono esclusivamente in quelle di coloro i quali si riav-

vicinano all’Italia con la vocazione del missionario che, per un ‘presunto’ bene superiore, accetta condizioni economiche e modelli organizzativi peggiori rispetto a quanto è in grado di realizzare altrove, ma bensì in coloro i quali non perdono il desiderio di contribuire alla promozione dei propri valori culturali (quelli ap-presi nei luoghi d’origine) attraverso la costruzione di capillari reti d’accesso al mondo che consentano anche ad altri di auto-realizzarsi.Sempre secondo importanti organismi internaziona-li (OECD, OCSE) l’emigrazione di ‘cervelli’ (skilled workers), quali ad esempio ricercatori e scienziati, può accrescere la generazione e la diffusione di conoscenza anche nei loro Paesi d’origine. In particolare, il rappor-to The Global Competition for Talent pubblicato dalla rivista ufficiale dell’OECD nel 2009 rileva come le op-portunità di migrazione possano incoraggiare lo svi-luppo delle competenze. Infatti, allorquando gli skilled workers si muovono verso economie più grandi e dense di opportunità ne beneficiano di riflesso anche i Paesi d’origine, attraverso la produzione di conoscenze mi-gliori di quanto potrebbero svilupparne a casa propria, migliorando la propria produttività ed accrescendo il proprio capitale umano, alimentando il potenziale flus-so di ritorno del ‘sapere’ verso i luoghi d’origine. In tal senso, quindi, un’iniziativa come quella dell’Am-ministrazione USA denominata ‘100.000 Strong’, che promuove come leva di sviluppo dell’economia ame-ricana la migrazione di centomila studenti americani verso la Cina entro i prossimi 4 anni, va colta nel suo valore reale, di promozione e sviluppo degli interessi a lungo termine del Sistema Paese attraverso l’accompa-gnamento dei giovani nella direzione di aprirsi al mon-do e portare valori che si trasformeranno in ricchezza e benessere per tutti.

Internazionalizzare il lavoro per rilanciare l’economiaIl movimento delle persone è il grande meccanismo attivatore di scambi commerciali e sviluppo di reti di trasmissione che definiscono nuovi modelli di benesse-re, che solo la diffusione della conoscenza è in grado di promuovere e stabilizzare.Per questo, proporre il cambiamento di approccio al tema della ‘fuga dei cervelli’ (c.d.: ‘Brain Drain’), sal-dandolo al dibattito sulla creazione di migliori condizio-ni per rendere l’Italia un Paese attrattivo per gli investi-tori internazionali (c.d.: ‘Brain Exchange’), rappresenta un tema di riflessione sul quale concentrare l’attenzione degli opinion leader, chiamando ciascuno a riconoscere e promuovere il valore espresso dall’intraprendenza di chi parte, affinché famiglie e ragazzi siano incoraggiati e sostenuti (anche economicamente) ad ampliare il pro-prio orizzonte visivo e culturale nella direzione di auto-realizzarsi, ovunque questo si determini.La visione di lungo termine che si può trarre dall’attua-le scenario economico italiano è che l’innesco che può rimettere in moto la macchina dello sviluppo è quello

Tabella2

L’importanza delle esperienze all’estero Un’indagine condotta sul tema del lavoro dei giovani nell’ambito della Giornata Nazionale della Previdenza e della Mostra Nazionale del Welfare - tenutesi recentemente a Milano - su un campione di circa 1000 tra giovani e genitori sembrerebbe

evidenziare un ‘cambio di rotta’ verso l’idea di fare esperienze all’estero

Fonte: Indagine condotta da Tolomeo Ricerche e Close2U attraverso interviste face-to-face assistite da computer (CAPI) – 10/17 Maggio 2012

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di internazionalizzare il lavoro e non delocalizzarlo. La stessa fertilità delle aziende italiane di successo nel mondo sarà favorita dalla capacità di rintracciare sul mercato italiano e su quello internazionale persone che possano e sappiano muoversi su rotte che preservino la radice culturale originaria, spendendola in un contesto multi-culturale. I manager delle grandi imprese che proiettano le pro-prie strategie a 5, 10, 15 anni sanno bene che per quel-le date dovranno avere a stock competenze in grado di essere spese su mercati multi-regionali, e anticipano quegli investimenti attraverso programmi che guar-dano alla scuola primaria e secondaria, riconoscendo l’università come un momento di consolidamento di conoscenze tecniche che hanno la possibilità di esse-re valorizzate solo se radicate su ‘cervelli’ abituati alla multi-culturalità.Tali programmi sono una risposta concreta all’impor-tanza che gli Employers italiani attribuiscono, in fase di reclutamento di giovani neo-laureati, sia alle esperien-ze di lavoro (Tab. 3) che di studio svolte all’estero.

Le basi dell’employabilityIl processo attraverso il quale un individuo costruisce la propria ‘identità di carriera’, ovvero la definizione di sé in un contesto lavorativo in termini di ‘chi sono/chi vo-glio essere’, consiste nel prendere atto che è indispensa-bile ‘adattarsi’ per raggiungere o creare le opportunità che coincidono con le proprie aspirazioni. Trasferire ai giovani (e alle loro famiglie) informazioni adeguate sull’ambiente lavorativo, predisporli all’adattamento attraverso il rinforzo di attributi individuali (pro-attivi-tà, ottimismo, senso di auto-efficacia) e schemi cognitivi che consentano di affrontare la sfida del cambiamento, rappresentano le basi dell’employability, ovvero della misura della competitività di un lavoratore nel mercato del lavoro.La sfida, quindi, da raccogliere è quella di semplificare l’accesso dei giovani italiani alla multi-culturalità, sti-molarne l’intraprendenza e sostenere la competitività dei loro ‘portafogli di competenze’ rispetto ai coetanei di altri grandi economie internazionali.

Bibliografia:Youth on the Move – Analytical Report, Indagine Eurobaro-metro realizzata a Gen. 2011 e pubblicata a Maggio 2011The Global Competition for Talent, OECD Observer, 2009Employers’ perception of graduate employability – Analyti-cal Report, Indagine Eurobarometro realizzata tra Ago-sto e Settembre 2010 e pubblicata a Novembre 2010Carriere Professionali: Aspetti Psicosociali delle Transi-zioni, Tesi di Dottorato, Dr. Pierpaolo Scarpuzzi, Dot-torato di ricerca di Psicologia Sociale, dello Sviluppo e delle Organizzazioni, Univ. Bologna, 2009Discorso di insediamento del Pres. Sen. Mario Monti al Senato del 17 Novembre 2011The “100.000 Strong” iniziative, Lettera del Segretario di Stato USA, Hillary Clinton a Mr. Allan Goodman, Presidente e CEO dell’Institute of International Edu-cation, Nov. 2009No Italian Jobs – Why Italian Graduates cannot wait to emigrate, The Economist, Giugno 2011Realtà e Retorica del brain drain in Italia, Dr. Loren-zo Beltrame, Quaderni del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Facoltà di Sociologia, Univ. Trento, Marzo 2007Indagine sul mercato del lavoro condotta da Tolomeo Ricerche e Close2U nell’ambito della Giornata Nazio-nale della Previdenza e Mostra Nazionale del Welfare organizzate da Itinerari Previdenziali - Edizione 2012 - Maggio 2012.

Tabella3

E’ importante che i neo-assunti abbiano fatto un’esperienza di stage all’estero

Fonte: Employers’ perception of graduate employability – Analytical report (Eurobarometer – Nov. 2010)

Un’indagine condotta sui “datori di lavoro” che assumono laureati in Europa evidenzia come il 45% degli Employers Italiani ritengano molto o estremamente importante l’aver fatto un’esperienza di lavoro all’estero

Strongly agree Rather agree Rather disagree Strongly disagree DK/NA

IT

TOTA

L

L’ “employability” di un  lavoratore è una misura definita dal mercato e, quindi, non può essere 

valutata in assoluto, ma dipende dal momento, dal luogo e da molteplici fa:ori economici. 

La valutazione 

espressa dal mercato 

determina una 

classificazione che, in 

termini generali, 

consente di inserire i 

lavoratori su una 

scala di misura della 

propria compe>>vit? 

(dal livello 4, 

considerato “super”, 

al livello 1, 

considerato “basso”). 

G fa:ori che inHuenzano maggiormente le opportunit? di un giovane sul mercato del lavoro sono la 

formazione specialis>ca, la propensione alla mobilit? geografica, la conoscenza di una o piI lingue 

straniere e l’aver compiuto almeno un’esperienza di studi e/o professionale all’estero. 

Kegli  ul>mi  LM  anni  è  significa>vamente  aumentata  la  compe>>vit?  sul  mercato  del  lavoro, 

diventato sempre piI esigente sia nella richiesta di qualificazione  professionale che di aNtudine al 

cambiamento. 

Come si diventa un super‐employable