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1 DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DELL'ECONOMIA E DELL'IMPRESA XXIV CICLO LA CRISTALLIZZAZIONE DEI DEBITI TRIBUTARI NELL'AMBITO DELLA TRANSAZIONE FISCALE: IL PROBLEMA DEGLI EFFETTI "TIPICI" DELL'ISTITUTO DI CUI ALL'ART. 182TER DEL R. D. N. 267/1942 Coordinatore del corso di Dottorato di Ricerca: Chiar.ma Prof.ssa GIULIANA SCOGNAMIGLIO Tutor: Chiar.mo Prof. GIULIANO TABET Dottoranda: FRANCESCA SANTORO CAYRO ANNO ACCADEMICO: 2011/2012

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE

CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN

DIRITTO DELL'ECONOMIA E DELL'IMPRESA

XXIV CICLO

LA CRISTALLIZZAZIONE DEI DEBITI TRIBUTARI

NELL'AMBITO DELLA TRANSAZIONE FISCALE: IL

PROBLEMA DEGLI EFFETTI "TIPICI" DELL'ISTITUTO DI CUI

ALL'ART. 182TER DEL R. D. N. 267/1942

Coordinatore del corso di Dottorato di Ricerca:

Chiar.ma Prof.ssa GIULIANA SCOGNAMIGLIO

Tutor:

Chiar.mo Prof. GIULIANO TABET

Dottoranda:

FRANCESCA SANTORO CAYRO

ANNO ACCADEMICO: 2011/2012

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3

ABSTRACT

La transazione fiscale è un istituto disciplinato dall’art. 182ter legge fall.,

norma introdotta nel nostro ordinamento giuridico con la recente riforma delle

procedure concorsuali. La medesima si configura come sub-procedimento accessorio

ad una procedura di concordato preventivo, o ad un accordo di ristrutturazione dei

debiti ex art. 182bis, che consente all’imprenditore in crisi di “concordare” con

l’Erario la percentuale, le eventuali garanzie e i tempi di pagamento dei tributi

amministrati dalle Agenzie fiscali e dei relativi accessori, ad eccezione dei tributi

costituenti risorse proprie dell’Unione europea.

L’iter si articola nella presentazione di una proposta di transazione fiscale sia

presso l’ufficio dell’Agenzia fiscale sia presso il concessionario (ora agente) della

riscossione territorialmente competenti, contestualmente al deposito presso il

Tribunale. Nei trenta giorni successivi alla presentazione della proposta l’Agenzia

dovrà procedere alla liquidazione delle dichiarazioni per le quali non è pervenuto

l’esito dei controlli automatici ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità,

nonché al rilascio di una certificazione attestante l’entità dei debiti non ancora iscritti

a ruolo; nel medesimo lasso temporale l’agente della riscossione dovrà procedere al

rilascio della certificazione dei debiti d’imposta iscritti a ruolo. Entrambe le predette

certificazioni andranno consegnate al commissario giudiziale affinché proceda agli

adempimenti di cui agli artt. 171, comma 1 e 172 legge fall. L’adesione o il diniego

alla proposta sono espressi, previo parare conforme della competente Direzione

Regionale dell’Agenzia delle Entrate, tramite voto favorevole o contrario in sede di

adunanza dei creditori, ovvero, in caso di transazione siglata in sede di accordi ex art.

182bis, con apposito atto equivalente alla sottoscrizione dell’accordo di

ristrutturazione.

Le criticità che la formulazione letterale dell’art. 182ter legge fall. solleva sono

molteplici, e numerose di esse restano tuttora insolute.

Il presente lavoro si propone di analizzare specificamente due delle

problematiche ancora aperte, che continuano ad alimentare un serrato dibattito

dottrinale e giurisprudenziale: trattasi dei cosiddetti effetti “tipici” della transazione

fiscale, espressione che allude all’effetto di “consolidamento del debito fiscale” di

cui al comma 2 dell’art. 182ter, ed alla “cessazione della materia del contendere

4

nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma”, disciplinato dal comma

5. Come si vedrà, la difficoltà maggiore nel tentare di proporre una plausibile lettura

delle citate disposizioni deriva dall’esigenza di conciliare la normativa tributaria con

i principi e le regole che governano le procedure di composizione negoziale della

crisi di impresa, attesa la natura “ibrida” della transazione fiscale, istituto a cavallo

fra diritto tributario e diritto concorsuale.

Quanto al “consolidamento del debito fiscale”, non avendo il legislatore

chiarito cosa debba esattamente intendersi con tale locuzione, il principale aspetto

critico concerne le ricadute che il perfezionamento di una transazione ha sugli

ordinari poteri di accertamento dell’Amministrazione finanziaria: in altri termini, ci

si chiede se sia possibile emanare, successivamente all’omologazione di un

concordato con transazione fiscale, nuovi avvisi di accertamento sui tributi e sulle

annualità oggetto della proposta transattiva. In dottrina sono state prospettate varie

interpretazioni: se alcuni ritengono che il consolidamento debba intendersi come

definitivo congelamento dei poteri accertativi dell’Erario, secondo altri all’opposto

l’Amministrazione conserverebbe integra la possibilità di attivare i controlli di

merito sulla posizione fiscale dell’imprenditore proponente; una diversa corrente,

ancora, ritiene che il consolidamento vada riferito alla sola attività di liquidazione in

senso proprio delle dichiarazioni fiscali da allegare alla proposta transattiva

(intendendosi per tale l’attività volta a rilevare eventuali errori materiali o di calcolo

commessi in sede di compilazione della dichiarazione, e verifica della regolarità dei

pagamenti dovuti). La prevalente giurisprudenza di merito sembra aderire alla prima

soluzione interpretativa, mentre la Cassazione, in due pronunce del 4 novembre

2011, ha deliberatamente omesso di pronunciarsi sulla questione.

Dopo aver analizzato diffusamente le varie proposte interpretative suggerite, e

le argomentazioni addotte a supporto delle medesime, si è tentata una lettura che

considera l’effetto di consolidamento nell’ottica sia del diritto tributario, sia del

diritto concorsuale: in particolare, si vedrà che la disciplina di cui all’art. 182ter non

ha alcun valore derogatorio rispetto alle norme che disciplinano l’accertamento

tributario, ben potendo l’Amministrazione procedere alla successiva (ed eventuale)

emissione di nuovi avvisi di accertamento, nel rispetto dei termini decadenziali ed in

presenza dei presupposti all’uopo previsti dalla normativa fiscale.

5

Il consolidamento, all’opposto, avrebbe una portata esclusivamente endo-

concorsuale, nel senso che sarebbe un effetto circoscritto alla sola procedura di

concordato preventivo in cui la transazione si inserisce: tale locuzione, infatti,

dovrebbe essere intesa in termini di definitiva quantificazione del debito d’imposta

valevole ai soli fini della determinazione del voto spettante all’Erario in sede di

adunanza dei creditori, nonché del quantum da soddisfare in moneta concordataria a

seguito dell’omologazione del concordato. Discorso parzialmente diverso vale,

ovviamente, per la transazione siglata in sede di accordi di ristrutturazione dei debiti:

mancando la fase della votazione, il consolidamento va inteso come quantificazione

delle pretese creditorie del Fisco da soddisfare secondo le percentuali e le modalità

proposte con l’accordo transattivo.

Quanto all’ulteriore effetto di estinzione del contenzioso tributario pendente, la

difficoltà maggiore consiste nel conciliare la previsione di cui al comma 5 dell’art.

182ter con il principio generale sancito dall’art. 176, comma 1, il quale prevede

l’attivazione ovvero la prosecuzione degli ordinari giudizi di cognizione aventi ad

oggetto crediti contestati, che saranno ammessi alla procedura di concordato ai soli

fini del voto e del calcolo delle maggioranze. Un ulteriore aspetto critico attiene alla

presunta violazione dell’art. 24 Cost., con particolare riguardo ai diritti di difesa

dell’imprenditore-contribuente, posto che l’immediata cessazione del giudizio

tributario comporta inevitabilmente l’accettazione della pretesa contenuta nell’atto

impositivo originariamente impugnato (ferma restando la sua soddisfazione in misura

percentuale e/o dilazionata). Si cercherà di dimostrare che tali criticità potrebbero

essere superate ammettendo la possibilità di presentare una proposta di transazione

“parziale”, ovvero avente ad oggetto soltanto una parte dei crediti tributari sub

iudice, che per la restante parte continueranno ad essere oggetto di contenzioso al

pari di ogni altro credito contestato, ferma restando l’apposizione di una congrua

riserva secondo le modalità stabilite dal Tribunale ex art. 180, comma 6.

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INDICE

CAPITOLO I.

CENNI INTRODUTTIVI

1. Il carattere “ibrido” della transazione fiscale, a cavallo fra normativa

tributaria e disciplina concorsuale ....................................................................13

2. La valorizzazione del consenso nell'ambito del diritto pubblico ………17

2.1. In particolare: il rapporto fra autorità e consenso nell'ambito del

diritto tributario .......................................................................................22

2.2. La transazione fiscale come strumento deflattivo del contenzioso

tributario ed il problema dell'indisponibilità delle obbligazioni

fiscali……………………………………………………………………34

3. Il “consenso” nel diritto della crisi di impresa e la riconducibilità della

transazione al nuovo trend “privatistico” della legislazione

concorsuale............................................................................................………39

4. Il profilo funzionale della transazione fiscale: la “cristallizzazione” del

debito tributario…………………………………………….………………49

CAPITOLO II.

EVOLUZIONE NORMATIVA E CARATTERISTICHE

DELL'ISTITUTO

1. Il precedente storico: la transazione dei tributi iscritti a ruolo ai sensi del

d.l. n. 138/2002..................................................................................................55

2. Il passaggio alla transazione fiscale di cui all'art. 182ter legge fall.:

evoluzione normativa di un istituto ancora in fieri ...........................................71

3. L’ambito di applicazione della transazione fiscale sotto il profilo

soggettivo. ........................................................................................................79

4. L’ambito di applicazione della transazione fiscale sotto il profilo

8

oggettivo………………………………………………………………………87

4.1. La vexata quaestio della transigibilità dell'Iva.................................90

5. Il contenuto della proposta di transazione................................................95

6. Il trattamento dei crediti tributari privilegiati..........................................99

7. Sull’obbligatorietà o meno della proposta di transazione fiscale..........108

8. La procedura e gli adempimenti del Fisco.............................................112

9. I criteri di valutazione della proposta di transazione, la conclusione del

sub-procedimento ex art. 182ter e la questione dell’impugnabilità del

diniego.............................................................................................................120

10. La transazione fiscale in sede di accordi di ristrutturazione dei

debiti……………………………………………………………....................134

11. Natura giuridica ed “autonomia” della transazione fiscale...................141

CAPITOLO III.

LA NOZIONE DI “CONSOLIDAMENTO DEL DEBITO FISCALE”

NELL'AMBITO DEL CONCORDATO PREVENTIVO

1. Introduzione della problematica............................................................151

2. La posizione dell'Agenzia delle Entrate................................................154

3. Le opinioni espresse in dottrina.............................................................162

3.1 La tesi dell'effetto preclusivo del consolidamento conseguente

all'omologazione del concordato preventivo.........................................164

3.2 La tesi dell'effetto preclusivo conseguente all'assenso prestato

dall'Amministrazione finanziaria alla proposta di transazione

fiscale………………………………………………………………….168

3.3 La tesi dell'effetto preclusivo conseguente al rilascio della

certificazione di cui al comma 2............................................................174

3.4 La tesi contraria all'effetto preclusivo del consolidamento …......178

3.5 La tesi del consolidamento in chiave esclusivamente

liquidatoria…………………………………………………………….186

4. La posizione della giurisprudenza …………………………................192

9

5. Proposta di soluzione interpretativa..................................................... 196

5.1. Il rapporto fra l'art. 182ter e i poteri pubblicistici

dell'Amministrazione finanziaria...........................................................201

5.2. Consolidamento del debito tributario e normativa

concorsuale............................................................................................226

5.3 Il mancato rilascio della certificazione, l’obbligatorietà della

medesima e la natura del termine di cui all’art. 182ter.……………….232

6. Il trattamento dei debiti d'imposta accertati successivamente

all'omologazione............................................................................................ 239

CAPITOLO IV.

LA “CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE”

NELL'AMBITO DEL CONCORDATO PREVENTIVO

1. Introduzione della problematica............................................................247

2. Il perimetro dell'effetto di cui al comma 5.............................................257

3. Necessità o meno del consenso dell'Amministrazione finanziaria ai fini

dell'effetto processuale estintivo ……............................................................267

4. Gli effetti dell'intervenuto annullamento o della risoluzione del

concordato preventivo.....................................................................................276

5. Il rapporto fra l'effetto estintivo di cui al comma 5 e la regola generale di

cui all'art. 176, comma 1. Problemi di legittimità costituzionale....................287

6. Ipotesi di lettura. Sulla presunta violazione dell'art. 24 Cost. dal lato del

proponente.......................................................................................................294

7. (Segue). Sulla presunta violazione dell'art. 24 Cost. dal lato

dell'Amministrazione finanziaria....................................................................306

8. L’impugnabilità delle certificazioni e degli “avvisi di

irregolarità”.....................................................................................................312

9. Effetto processuale estintivo e natura giuridica della transazione

fiscale...............................................................................................................317

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CAPITOLO V.

IL PROBLEMA DELLA CRISTALLIZZAZIONE DEL DEBITO DI

IMPOSTA NEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

E NELLA “TRANSAZIONE PREVIDENZIALE”

1. La transazione fiscale in sede di trattative precedenti la stipula di un

accordo di ristrutturazione dei debiti

1.1. Accordi di ristrutturazione, consolidamento e cessazione della

materia del contendere...........................................................................321

1.2. Proposta di soluzione interpretativa................................................329

1.3. Il mancato rilascio della certificazione............................................339

1.4. La cessazione della materia del contendere nelle liti

pendenti……………………………………………………………......344

1.5. La mancata omologazione dell'accordo di ristrutturazione contenente

una transazione fiscale.......................................................................... 347

1.6. L’inadempimento dell'accordo transattivo e la tutela del creditore

pubblico.................................................................................................350

2. La transazione dei contributi e premi dovuti ad enti gestori di forme

di previdenza ed assistenza obbligatorie (“transazione previdenziale”)

2.1. La disciplina generale dei crediti contributivi ed

assistenziali………………………………………................................357

2.2. I poteri ispettivi, l’accertamento e la riscossione dei contributi

previdenziali...........................................................................................361

2.3. Il contenuto della proposta di transazione previdenziale............... 362

2.4. Gli effetti della transazione previdenziale: sulla possibilità di

estendere il consolidamento e l'estinzione delle controversie pendenti

anche a tale fattispecie ..………………………....................................369

2.5. Eventi patologici e sorte dei crediti contributivi dopo la caducazione

del concordato o dell'accordo di ristrutturazione con transazione

previdenziale …………………………….............................................375

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CAPITOLO VI.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

..……………..........................................................................................379

BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA.

1) Letture di carattere generale…………………….……….………………389

2) Sulla transazione dei tributi iscritti a ruolo………………………….......401

3) Sulla transazione fiscale ex art. 182 ter legge fall. ……………………...402

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CAPITOLO I.

CENNI INTRODUTTIVI

1. Il carattere “ibrido” della transazione fiscale, a cavallo fra normativa

tributaria e disciplina concorsuale.

Nella gran parte dei contributi dottrinali dedicati al tema della transazione

fiscale non sono mancati rilievi critici in merito alle aporie ed alle profonde

contraddizioni che tuttora circondano l'art. 182ter legge fall., frutto di una

produzione legislativa a dir poco grossolana e frettolosa, poco attenta alla coerenza

dell'insieme e soprattutto varata senza un'approfondita meditazione delle criticità che

l'istituto avrebbe finito inevitabilmente per incontrare nella sua concreta

applicazione.

In primis, non risultano ancora del tutto sopite le dispute in merito alla natura

giuridica della transazione fiscale. La tesi che attribuisce all’istituto de quo carattere

esclusivamente endo-procedimentale, considerandolo come mera fase, tra l’altro

soltanto eventuale ed accessoria, della procedura di concordato preventivo, se ha

coagulato i consensi della prevalente dottrina e della giurisprudenza, anche di

legittimità, continua tuttavia a non trovare concorde più di qualche Autore; qualcuno

infatti, valorizzando l'anima consensuale dell’istituto di cui all’art. 182ter, è

propenso a ravvisarsi una certa “autonomia” rispetto al procedimento concorsuale di

cui agli artt. 160 e ss. legge fall. Senza considerare che questa seconda lettura

sembrerebbe più adatta ad inquadrare la “sottospecie” della transazione fiscale

conclusa nell'ambito delle trattative che precedono la stipula di un accordo di

ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182bis.

In secondo luogo, e sempre sotto un profilo prettamente dogmatico, non privo

tuttavia di rilevanti implicazioni pratiche, va rammentato che la quasi totalità degli

studi in materia di transazione fiscale si è sforzata di ricercarne una conciliazione con

il tradizionale canone di indisponibilità dell'obbligazione tributaria: l'orientamento

oggi consolidato tende a disconoscere che il principio de quo abbia copertura

costituzionale, superando la contrapposta tesi che tendeva a ricondurlo all'art. 53

Cost. Si tende, pertanto, ad attribuire al principio di indisponibilità delle pretese

fiscali un valore “relativo”, riconducendolo ad una norma di fonte legislativa

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ordinaria, come tale suscettibile di deroghe o disapplicazioni ad opera di successivi

interventi del legislatore tributario. Va detto, comunque, che non mancano posizioni

ancora fortemente conservatrici, che facendo leva sulla portata “assoluta” del canone

della non negoziabilità dei crediti tributari tacciano di incostituzionalità la disciplina

dettata dall'art. 182ter.

Ancora, l'infelice formulazione letterale della disposizione testé richiamata ha

sollevato più di qualche dubbio: se qualcuno è stato definitivamente risolto, vuoi

grazie ad una consolidata interpretazione giurisprudenziale e/o dottrinale1, vuoi ad

opera di successivi interventi legislativi2, altri restano tuttora insoluti. Si pensi, ad

esempio, alla vexata quaestio dell’obbligo di attivare il sub-procedimento transattivo

in presenza di debiti d’imposta da soddisfare in moneta concordataria, sulla quale è

ancora piuttosto vivo il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, in attesa di constatare

quale saranno le reazioni a due recentissime pronunce della Corte di Cassazione, che

hanno optato per la mera facoltatività della transazione fiscale.

Tutte queste tematiche saranno riprese nel prosieguo, ed in particolare nel

capitolo II, dove sarà sinteticamente illustrata la disciplina attualmente in vigore e le

problematiche interpretative ancora aperte.

L’oggetto principale del presente lavoro, invece, sono i due effetti cosiddetti

“tipici” della transazione fiscale, secondo l’aggettivazione tradizionalmente in uso

per descrivere le conseguenze connesse al perfezionamento di una transazione

fiscale: trattasi del “consolidamento del debito fiscale”, di cui al comma 2 dell’art.

182ter, e della “cessazione della materia del contendere” nelle liti pendenti,

contemplata al comma 5 della medesima disposizione. Tali effetti, secondo

l'opinione unanime degli interpreti, concreterebbero la cosiddetta “cristallizzazione”

del debito d’imposta, intesa come la definitiva ed irretrattabile determinazione dei

1 Si pensi alla questione relativa agli effetti di un eventuale voto negativo del Fisco (nella duplice

veste di Agenzia delle Entrate ed Agente della riscossione) in sede di adunanza dei creditori,

unanimamente risolta nel senso di ritenere comunque falcidiabile il credito tributario alla luce del

principio generale di cui all'art. 184 l. fall.

2 Sotto questo secondo profilo emblematica è la vicenda che ha interessato il credito Iva. Si rammenti

anche la problematica relativa alla possibilità di falcidiare i crediti tributari privilegiati, discussa in

un primo momento, anche in ragione del differente trattamento che il legislatore concorsuale

riservava in sede di concordato preventivo alla restante parte dei crediti assistiti da prelazione, ed

incontestabilmente ammessa solo dopo le modifiche introdotte con il d. lgs. 169 del 2007.

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carichi tributari da ammettere al passivo della procedura concordataria.

Il capitolo III sarà dunque dedicato alla tematica del “consolidamento del

debito fiscale”, locuzione piuttosto atecnica ed inconsueta nell’ambito della

disciplina della crisi d’impresa, che il legislatore tra l’altro ha impiegato senza

chiarirne il significato: si tratterà dunque di vedere in che modo, e soprattutto in

quali termini, il debito d’imposta si “consolidi”.

Il dibattito dottrinale sul punto si è focalizzato in particolare sulla pretesa

valenza “sostanziale” da attribuirsi al consolidamento dei crediti tributari, ossia sulle

eventuali ricadute che la stipula di una transazione fiscale avrebbe sui poteri

accertativi dell’Amministrazione finanziaria: alla tesi che attribuisce al

consolidamento efficacia inibitoria, nel senso che la stipula di una transazione fiscale

sortirebbe l’effetto di precludere del tutto il successivo esercizio dei controlli di

merito sui tributi e sulle annualità d’imposta oggetto dell'accordo transattivo, si

contrappone una diversa lettura del comma 2, secondo la quale la transazione, una

volta perfezionata grazie al voto favorevole dell'Erario ed alla conseguente

omologazione del concordato, non potrebbe comunque inibire il successivo (e pur

sempre eventuale) esercizio dei normali poteri di accertamento, che sarebbe sempre

ammissibile nel rispetto degli ordinari termini di decadenza previsti dalla normativa

tributaria.

Quanto alla “cessazione della materia del contendere” di cui al comma 5

dell’art. 182ter, oggetto del capitolo IV del presente lavoro, si tratterà di stabilire se

tale effetto processuale estintivo si concili con la regola generale della prosecuzione

degli ordinari giudizi di cognizione di cui all'art. 176 legge fall., applicabile alla

restante parte dei creditori concordatari, nonché con il principio costituzionale della

tutela giurisdizionale dei diritti di ambedue le parti coinvolte nel sub-procedimento

transattivo.

Infine, si cercherà di estendere le soluzioni interpretative proposte nei capitoli

III e IV anche alle ipotesi di transazione siglata in sede di accordi di ristrutturazione

dei debite e di transazione avente ad oggetto crediti per contributi previdenziali e/o

premi assistenziali, cui è dedicato il capitolo V.

Occorre puntualizzare che ai fini ai fini di un corretto inquadramento

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sistematico dell'istituto in generale, e dei menzionati effetti tipici in particolare, va

preliminarmente sottolineato un profilo di fondamentale importanza: trattasi del

carattere “ibrido” della transazione fiscale.

La peculiarità dell'istituto, infatti, consiste nel collocarsi a cavallo fra la

normativa concorsuale ed il diritto tributario, quasi a costituire una sorta di ponte fra

le due branche dell'ordinamento, attesa la particolare natura giuridica delle pretese

che ne sono interessate, ossia i crediti che il Fisco vanta nei confronti di un

imprenditore che acceda ad uno degli strumenti di composizione concordata della

crisi previsti dal nostro ordinamento: sicché la disposizione di cui all'art. 182ter,

lungi dal limitarsi a dettare norme di carattere solo “sostanziale”, afferenti cioè al

trattamento da riservare alle obbligazioni tributarie in sede di concordato preventivo

o di accordi di ristrutturazione dei debiti, contiene anche disposizioni di tipo

procedurale, che disciplinano i compiti devoluti all'Amministrazione finanziaria e

l'iter da seguire per l'espletamento dei medesimi, da considerare alla stregua di un

vero e proprio procedimento amministrativo, come meglio sarà chiarito.

Pertanto, per riprendere le parole di uno dei più autorevoli studiosi della

materia, la transazione fiscale, collocandosi a metà strada fra diritto tributario e

diritto delle procedure concorsuali, quasi come “cerniera” fra le due branche

dell'ordinamento giuridico, dirime in un unico istituto una questione di ordine

privato, qual è il governo della crisi di impresa, ed una di ordine pubblico, qual è

l'efficacia dell'attività sovrana di riscossione dei tributi, muovendosi a cavallo tra due

sistemi normativi connotati entrambi da principi assolutamente diversi, talvolta

opposti, e comunque di difficile conciliazione3. Il risultato è una figura che, appunto,

potrebbe essere definita “ibrida”, e che si distingue nettamente dal suo immediato

antecedente storico, rappresentato dall'abrogata transazione dei tributi iscritti a ruolo

(o “transazione esattoriale”) di cui al d.l. n. 138/2002: quest'ultima, infatti,

atteggiandosi come accordo autonomo siglato tra il contribuente e l’Agenzia delle

Entrate nell'ambito di una procedura di esecuzione coattiva già avviata, e non

essendo inserita nel contesto del r.d. n. 267/1942, non poneva analoghi problemi di

coordinamento fra la normativa concorsuale ed il diritto tributario.

3 Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, Maggioli, Milano,

2011, 8 e ss.

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È nell'ottica di questa “bivalenza” dell’istituto che saranno analizzati gli effetti

tipici del consolidamento del debito fiscale e dell'estinzione delle liti pendenti: la

cristallizzazione del carico fiscale che i medesimi concretano, infatti, dovrà essere

conciliata sia i principi generali che governano il diritto tributario, sia con la struttura

ed il modus operandi propri delle procedure concorsuali.

Ancora, il carattere “ibrido” dell'istituto potrebbe essere apprezzato anche sotto

un altro punto di vista, più squisitamente teorico: l'accordo (ammesso e non concesso

che di autentico accordo negoziale possa parlarsi) siglato fra l'Amministrazione

finanziaria e l'imprenditore in crisi, avente ad oggetto la definizione concordata

dell'entità, delle modalità e dei tempi di pagamento dell'obbligazione tributaria

nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, se da un lato è assimilabile

agli istituti deflattivi del contenzioso previsti dal diritto tributario, tendenti alla

valorizzazione di moduli consensuali nell'attuazione della norma impositiva,

dall'altro è ascrivibile al novero delle soluzioni stragiudiziali, o meglio negoziali,

della crisi di impresa, che al tradizionale esito liquidatorio della procedura

fallimentare privilegiano la conservazione dei valori aziendali, perseguita anche

grazie ad una più attiva partecipazione dell'imprenditore alla gestione della propria

crisi.

Sicché, una possibile ed interessante chiave di lettura potrebbe essere quella di

inquadrare la transazione fiscale, ed i suoi pretesi effetti tipici, nell'ambito delle due

tendenze appena menzionate. Queste, del resto, pur interessando ambiti

assolutamente distinti del nostro ordinamento giuridico, sembrerebbero in realtà

ricollegarsi ad un'identica e più generale impostazione di fondo del medesimo, la

quale, seppur sviluppatasi oramai da qualche decennio, va recentemente acquistando

nuovo vigore: si allude alla diffusa valorizzazione del “consenso”, inteso come

concorso di più volontà alla produzione dell'effetto giuridico desiderato.

2. La valorizzazione del consenso nell'ambito del diritto pubblico.

Quella da ultimo citata rappresenta, come accennato, una tendenza

generalizzata, in quanto la ricerca di moduli consensuali caratterizza, in modo per

così dire trasversale, tanto il diritto pubblico quanto il diritto privato.

Sono tuttora illuminanti, a tal proposito, le teorizzazioni della dottrina tedesca

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di fine ottocento concernenti la categoria giuridica della Vereinbarung4, termine

equivalente all’italiano “accordo”; tale concetto ha trovato larga applicazione anche

in Italia5, dove celeberrimi Maestri del diritto privato hanno cercato soprattutto di

delineare i tratti differenziali dell'accordo rispetto alla distinta categoria del

contratto6.

4

La teoria della Vereinbarung fu elaborata per la prima volta da BINDING, che la espose in un

saggio edito nel 1889 con il titolo “Die Grundung des Norddeutschen Bundes”; in esso l'A.

impiegava tale concetto per spiegare il processo di fondazione della Confederazione nord-

germanica. Successivi approfondimenti, volti soprattutto ad individuarne i tratti distintivi rispetto

alla figura del contratto, furono condotti da KUNTZE e TRIEPEL, mentre la teorizzazione

dell'accordo come categoria autonoma, suscettibile di trovare applicazione nei diversi settori del

diritto, si deve a JELLINEK: egli inquadrò nella Vereinbarung sia atti di diritto privato (quali le

delibere di società per azioni e gli atti istitutivi delle corporazioni), sia atti di diritto pubblico

interno (come leggi, delibere delle Camere e dei Collegi giudiziari, provvedimenti e ordinanze

ministeriali), nonché ancora atti di diritto internazionale (come gli accordi tra più Stati). Su una

ricostruzione della categoria della Vereinbarung cfr. A. MANCA, voce Accordi, in Noviss. Dig.

It., Utet, Torino, 1957, I1, 145 e ss.

5 I giuristi italiani impiegarono la categoria della Vereinbarung, o “accordo”, dapprima nell'ambito

del diritto internazionale, dove essa fu utilizzata per fondare la distinzione fra “trattati-accordi” (o

“trattati normativi”), finalizzati alla formazione di una volontà collettiva volta alla realizzazione di

un unico interesse, consistente nel regolamentare in modo uniforme ed obbligatorio i mutui

rapporti fra gli Stati aderenti, e “trattati-contratti”, aventi invece ad oggetto lo scambio di

prestazioni di diritto internazionale limitatamente agli Stati che avevano stipulato il patto, e che

finivano per assumere la veste di autentiche parti contraenti (cfr. D. ANZILOTTI, Corso di diritto

internazionale, Athenaeum, Roma, 1912, 47 e ss., ed E. ULLMANN, Trattato di diritto

internazionale pubblico, Utet, Torino, 1914, 66 e ss). Successivamente, la figura venne impiegata

nell'ambito del diritto processuale civile, dove l'accordo è stato concepito come espressione del

fondamentale principio dispositivo, codificato sia dall'art. 2907 c.c. sia dall'art. 99 c.p.c., che

consente alle parti in causa di regolare lo svolgimento dell'attività giurisdizionale civile secondo la

loro privata volontà (cfr. E. ALLORIO, Diritto processuale tributario, Utet, Torino, 1955, 461; S.

SATTA, voce Accordo (diritto processuale civile), in Enc. dir., Giuffrè, Milano, 1958, I, 300; F.

CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, Società Editoriale del “Foro italiano”,

Roma, 1956, I, 272). Per una sintetica rassegna delle varie tipologie di accordo processuale cfr. G.

BONGIORNO, voce Accordo processuale, in Enc. giur., Aggiornamento X, Treccani, Roma, I;

per una ricostruzione delle diverse posizioni dottrinarie in materia cfr. invece M. TRIMARCHI,

voce Accordo (Teoria generale), in Enc. dir., Giuffrè, Milano, 1958, I, 298).

6 Si allude agli studi di E. BETTI, secondo il quale il proprium dell'accordo risiederebbe

nell'unificazione di più volontà, convergenti verso un interesse comune, laddove il contratto si

configurerebbe piuttosto come l'incontro di due o più volontà diverse, tendenti alla composizione

di interessi contrapposti. L'A. dunque ricostruisce il “contratto” come negozio (bi- o plurilaterale)

ad interessi “contrapposti” o “divergenti”, laddove nell' “accordo” (qualificato anch'esso come

negozio bi- o plurilaterale) emergerebbero interessi “paralleli” o “convergenti” verso uno scopo

comune: con una formula ad effetto, egli affermò che mentre nell'accordo le volontà stanno l'una

accanto all'altra, nel contratto sono invece collocate l’una di fronte l'altra (cfr. Teoria generale del

negozio giuridico, Utet, Torino, 1960, 312 e 313). Sulla stessa scia di pensiero, nel senso di

fondare il contratto sulla contrapposizione di interessi, si colloca anche F. MESSINEO, Il

contratto in genere, Giuffrè, Milano 1968, 651 e 652 (secondo questo A., appunto, ciò che

differenzia l'accordo dal contratto, specie quello di scambio, è l'identità di contenuto delle

dichiarazioni di volontà).

19

La figura dell'accordo ha trovato comunque le sue più rilevanti applicazioni

teoriche, quantomeno in Italia, nell'ambito del diritto pubblico.

In particolare, il tema delle intese e convenzioni pubbliche catturò l'attenzione

degli studiosi italiani a partire dalla seconda metà del XX secolo: gli studi degli

“amministrativisti” si concentrarono non tanto sugli accordi siglati fra enti pubblici,

bensì sugli accordi conclusi fra la pubblica Amministrazione da un lato e soggetti

privati dall'altro7, in concomitanza con l'affermarsi della figura dell'“amministrazione

per consenso”8.

La ragione dell'accresciuta preoccupazione per l'ottenimento del consenso dei

soggetti amministrati era ravvisata nel nuovo quadro socio – politico che era venuto

progressivamente delineandosi per effetto del moltiplicarsi delle forze e dei centri di

aggregazione promananti dal tessuto sociale: col tempo, infatti erano emersi una

molteplicità di gruppi sociali portatori di valori ed interessi tra loro contrastanti,

meritevoli comunque di analoga tutela9, la cui composizione richiedeva un'azione

amministrativa ben può complessa ed incisiva di quella esercitata sino a quel

momento per il tramite dei tradizionali modelli imperativi ed unilaterali. Tanto che la

7 La letteratura in materia di “accordi amministrativi” è assai vasta. Gli studi più interessanti sono

quelli di R. FERRARA: cfr. Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Dig. disc. pubbl.,

Utet, Torino, 1993, VIII, 562 e ss., nonché Gli accordi tra i privati e la pubblica amministrazione,

Milano, Giuffrè, 1985. Cfr. anche AA.VV, L'accordo nell'azione amministrativa, a cura di A.

MASUCCI, Formez, Roma, 1988. Illuminanti sono anche le pagine scritte da alcuni Maestri del

diritto amministrativo, tra cui soprattutto M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993,

II, 14 e ss., il quale offre un'interessante disamina del fenomeno in chiave storica, e A. AMORTH,

Osservazioni sui limiti dell'attività amministrativa di diritto privato, in Arch. dir. pubbl., 1938, III,

455 e ss. Gli accordi fra pubblica Amministrazione e privati, variamente denominati (“protocolli

d'intesa”, “accordi-quadro”, “accordi di programma”, “convenzioni”, ecc.), avevano quale oggetto

immediato l'esercizio, appunto in forma concordata, di funzioni di carattere pubblico, normalmente

gestite con procedimenti ed atti amministrativi; le tipologie di accordi maggiormente diffuse nella

prassi delle pubbliche Amministrazioni furono le concessioni – contratto, aventi ad oggetto beni e

servizi pubblici, gli accordi bonari conclusi nel corso di un procedimento di espropriazione, le

convenzioni urbanistiche, gli accordi di programmazione e le convenzioni sanitarie.

8 Cfr. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 345: l'A. sottolinea come il modello di

amministrazione “per accordi”, sulla scia di quanto già avvenuto in altri paesi (quali USA,

Inghilterra, Germania e Francia), era all’epoca in netta espansione, ed in esso sarebbe stato

ravvisabile l'amministrare del futuro.

9 Cfr. G. BERTI, Dalla unilateralità alla consensualità nell'azione amministrativa, in AA.VV.,

L'accordo nell'azione amministrativa, cit., 30, parla di “amministrazione pluridimensionale”, in

riferimento proprio alla pluralità e diversità di interessi effettivi che si agitano nell'azione

amministrativa.

20

dottrina giunse a teorizzare un nuovo modello dell'agire pubblico, quello dello “Stato

pluriclasse”, così definito in quanto maggiormente attento alle esigenze sociali ed

incentrato su una più incisiva democratizzazione del potere amministrativo.

La prassi, di pari passo con le menzionate teorizzazioni dottrinali, segnò

dunque il progressivo stemperamento dei tratti di autoritarietà che erano stati tipici

della pregressa azione amministrativa, puntando viceversa sulla crescente

valorizzazione delle diverse forme di partecipazione dei privati. Emblematica, a

questo riguardo, è l'evoluzione che ha interessato il procedimento amministrativo:

alla tradizionale concezione “formale”, che ravvisava in esso un mero iter

procedurale, cioè una serie di atti collegati da un nesso di carattere teleologico, in

quanto funzionalmente preordinati al perseguimento di un unico scopo10, venne

contrapponendosi l'innovativa concezione “sostanziale” o “contenutistica”, che

intendeva il procedimento amministrativo come il luogo naturale di emersione e

bilanciamento dei variegati interessi, sia pubblici che privati, incisi dal

provvedimento finale11.

10

Cfr. A.M. SANDULLI, voce Procedimento amministrativo, in Noviss. dig. it., Utet, Torino, 1966,

XIII, 1021 e ss., che scompose il procedimento in varie fasi, individuando per ciascuna di esse gli

atti che le compongono, la rispettiva natura e le funzioni, nonché le situazioni giuridiche

soggettive che vengono in rilievo in ciascuna fase.

11

Si trattava del cosiddetto “procedimento – garanzia” o “procedimento – partecipazione”, inteso al

tempo stesso come forma di esercizio della funzione amministrativa ed istituto di garanzia del

cittadino. Le prime teorizzazioni in questo senso sono da attribuirsi a F. BENVENUTI:

celeberrima è rimasta la sua prolusione al Corso di diritto amministrativo tenuta il 3 dicembre

1951 alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Padova, pubblicata con il titolo “Funzione

amministrativa, procedimento, processo” in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 118 e ss. Con essa l'A.

proponeva l'esercizio della funzione amministrativa nelle forme del processo, anziché del

procedimento, ossia attraverso un meccanismo che garantisse la partecipazione del privato, in

qualità di portatore di un interesse diverso rispetto a quello ravvisabile in capo all'autorità

procedente, muovendo da quella che avrebbe dovuto essere la concezione più alta

dell'amministrazione, ossia l'agire al servizio della comunità, nel rispetto degli interessi del

cittadino: “questa collaborazione è processo; e processo è garanzia di giustizia della decisione; e

garanzia di giustizia è il massimo bene di ogni pubblica amministrazione e insieme di ogni

cittadino”. Cfr. anche Il ruolo dell'Amministrazione nello Stato democratico contemporaneo, in

Jus, 1987, 277 e ss.

Una parte della dottrina portò alle estreme conseguenze questa teorizzazione del procedimento

amministrativo, attribuendo al medesimo una funzione di tutela giurisdizionale degli interessi

privati coinvolti simile a quella svolta dal processo: trattasi della concezione cosiddetta “para-

giurisdizionale” del procedimento (cfr. M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela

giurisdizionale contro la P.A. (il problema di una legge generale sul procedimento

amministrativo), in Riv. dir. proc., 1980, 252 e ss., nonché R. FERRARA, Intese, convenzioni e

accordi amministrativi, cit.).

21

Non vanno sottaciute, tuttavia, le critiche mosse da una parte della dottrina,

schierata su posizioni maggiormente conservatrici, all'affermarsi di forme

consensuali di esercizio delle potestà pubblicistiche: qualche Autore, infatti,

sosteneva l’inammissibilità di accordi fra Amministrazione e privati aventi ad

oggetto la regolazione di rapporti di diritto pubblico, vertendo i medesimi su materie

tipicamente “incommerciabili”12. La volontà dello Stato, in altri termini, avrebbe

dovuto reputarsi “sovrana ed imperante”, ed al di sotto della stessa si sarebbe

collocata la volontà “suddita e passiva” del cittadino.

Questa rigida impostazione tradizionalista è stata del tutto superata dalla

successiva elaborazione dottrinale. Da un lato venne recepita la concezione secondo

la quale l'interesse della pubblica Amministrazione dovesse considerarsi

equiordinato, e non sempre e comunque prevalente, rispetto all'interesse del privato,

riconoscendo a quest'ultimo “pari dignità e valore”13; dall'altro lato fu rivisitato il

dogma dell'indisponibilità e della non negoziabilità del potere amministrativo14. In

particolare si ravvisò nella “funzionalizzazione” alla cura dell'interesse pubblico la

caratteristica precipua del potere amministrativo: in altri termini a connotare una

potestà come pubblica non sarebbe tanto il suo esercizio in via unilaterale ed

autoritativa, quanto piuttosto la sua finalizzazione al perseguimento di un interesse di

carattere generale15.

12

Cfr. F. CAMMEO, La volontà individuale ed i rapporti di diritto pubblico. Contratti di diritto

pubblico, in Giur. it., 1900, 1: secondo l'A. il contratto sarebbe stato inconcepibile sul terreno del

diritto pubblico, in quanto avrebbe assunto a proprio oggetto una pubblica funzione, cioè una

“cosa pubblica”, non costituente ricchezza in quanto non “surrogabile o permutabile”. Si trattava

quindi di una cosa certamente “utile”, ma sicuramente “non commerciabile”.

13

Cfr. F. BENVENUTI, Il ruolo dell'Amministrazione nello Stato democratico, cit., 292 e 293.

14

Cfr. F. PIGA, Presentazione, in L'accordo nell'azione amministrativa, cit., 13: l'A. sostiene che il

momento storico che aveva visto la pura supremazia della pubblica Amministrazione è ormai

inattuale e superato; di contro, il ricorso all'accordo ed al procedimento consensuale non ha il

significato di un trasferimento, di una rinuncia alle prerogative della funzione pubblica, ma può

significare invece una modernizzazione del modo di essere dello Stato. Cfr. anche M. NIGRO,

Conclusioni, ivi, 86 e ss.: l'A. afferma l'esigenza di superare definitivamente il pregiudizio

dell'inammissibilità del contratto di diritto pubblico, intendendo come tale quello avente per

oggetto lo svolgimento di funzioni pubbliche, pregiudizio alimentato dall'oramai obsoleta

concezione del rapporto Stato-individuo come un rapporto fra sovrano e suddito.

15

Sulla “funzionalizzazione”, da intendersi come preordinazione del potere alla cura di interessi

pubblici, cfr. su tutti M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 7 e ss.

22

Il vincolo della funzione riguarderebbe tanto l'attività unilaterale ed imperativa

quanto quella di tipo consensuale della pubblica Amministrazione. Né si potrebbe

obiettare che le nuove modalità di esercizio dei poteri pubblici contrastino con i

precetti costituzionali che governano l'agire amministrativo, ritenendo la dottrina che

i canoni dell'imparzialità e del buon andamento di cui all’art. 97 Cost. possano essere

meglio soddisfatti proprio grazie al coinvolgimento dei soggetti incisi da quei poteri.

2.1 In particolare: il rapporto fra autorità e consenso nell'ambito del

diritto tributario.

E' proprio nel solco di questo generale rafforzamento dei moduli consensuali di

esercizio dei pubblici poteri che si inscrive la recente tendenza del legislatore

tributario a ricorrere alla figura dell'accordo anche nell'ambito delle procedure di

attuazione della norma fiscale.

La tematica, che in questa sede non è dato di approfondire nel dettaglio, è di

notevole interesse. Basti ricordare la nutrita serie di studi monografici, convegni,

incontri di studio e seminari che si sono occupati del rapporto fra potere impositivo e

consenso del privato16, anche in una prospettiva interdisciplinare17. Secondo qualche

Autore, addirittura, sarebbe proprio nell'ambito del diritto tributario, ancor prima che

16

Quanto ai lavori di carattere monografico cfr. M. L. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti

negoziali nell'attuazione della norma tributaria, Giuffrè, Milano, 2007, nonché M.

VERSIGLIONI, Accordo e disposizione nel diritto tributario, Giuffré, Milano, 2001. Importanti

seminari ed incontri di lavoro si sono svolti, a cavallo fra il 2005 ed il 2006, presso le Università di

Catania (Facoltà di Giurisprudenza) e Verona (Facoltà di Economia), nell'ambito di un Progetto di

Ricerca di Interesse Nazionale cofinanziato dal MIUR sul tema “Autorità e consenso nel diritto

tributario”: i contributi forniti dai partecipanti all'iniziativa sono racchiusi in un'opera collettanea, a

cura di S. LA ROSA, dall'omonimo titolo Autorità e consenso nel diritto tributario, Giuffrè,

Milano, 2007. Nuovi spunti di riflessione, poi, sono emersi nel corso del Convegno conclusivo del

citato Progetto di Ricerca, tenutosi presso l'Università di Catania nei giorni 14 e 15 settembre

2007, le cui Relazioni sono contenute nel volume curato sempre da S. LA ROSA, dal titolo Profili

autoritativi e consensuali del diritto tributario, Giuffrè, Milano, 2008.

17

Si allude agli studi che, coniugando diritto amministrativo e diritto tributario, hanno tentato di

estendere al secondo il modello dell' “agire per consenso”. Interessante ad esempio fu il III

incontro di studio tra amministrativisti e tributaristi promosso dal Dipartimento di Scienze

Giuridiche dell'Università degli Studi “G. D'Annunzio” di Chieti – Pescara, tenutosi a Pescara in

data 5 ottobre 2007 e confluito nel volume “Azione amministrativa e azione impositiva tra autorità

e consenso”, a cura di S. CIVITARESE MATTUECCI – L. DEL FEDERICO, Franco Angeli,

Milano, 2010. In quest'ottica, dunque, si è cercato di estendere al settore tributario i principi

generali che informano l'azione amministrativa di tipo consensuale, ed in particolare quelli dettati

dalla legge sul procedimento amministrativo, fra cui spicca il disposto dell'art. 11.

23

in altri settori dell’agire pubblico, che il legislatore, in modo per così dire

lungimirante, avrebbe ravvisato l'importanza che riveste l'apporto offerto dal privato

all'esercizio delle funzioni proprie dell'Amministrazione18: del resto, si deve a questa

brillante intuizione l'avvento del sistema di autoliquidazione dell'imposta, fondato

sulla dichiarazione tributaria e sui connessi obblighi formali imposti al contribuente

(Ezio Vanoni, in particolare, fu il primo a teorizzare l'obbligo generalizzato di

dichiarazione come prima ed essenziale forma di partecipazione del contribuente

all'accertamento ed alla susseguente attuazione del prelievo tributario).

In un primo momento, alla partecipazione del privato all'attività di

accertamento dell’Amministrazione finanziaria erano comunque riservati spazi

piuttosto ristretti e nessuna immediata tutela: la partecipazione del contribuente

all’azione impositiva, infatti, poteva aver luogo nelle sole forme ammesse dal

legislatore tributario19, ed era concepita in chiave solo collaborativa, nel senso che ad

essa era assegnata la limitata funzione di fornire all’ente pubblico impositore dati,

notizie ed informazioni volte ad una migliore determinazione della base imponibile,

senza che potesse configurarsi in capo al contribuente un vero e proprio “diritto al

contraddittorio”.

Lo scenario mutò sensibilmente solo nel corso degli anni '80, a fronte

dell'introduzione di nuovi meccanismi di determinazione del presupposto impositivo,

destinati soprattutto alla platea dei contribuenti medio - piccoli e fondati su

coefficienti, parametri e criteri statistico-matematici, in sostituzione del pregresso

modello di accertamento basato sui dati contabili: l'opinabilità che ne conseguiva,

18

Qualche Autore ha addirittura sottolineato come, a differenza del diritto amministrativo, in cui alla

copiosità delle elaborazioni dottrinali ha fatto fronte la scarsa applicazione pratica delle figure

consensuali teorizzate, il diritto tributario registra già da tempo un largo ricorso della prassi a

forme consensuali di attuazione del prelievo, tanto da generare l'impressione che l'interesse della

dottrina per l'argomento segua, e non preceda, la concreta diffusione degli istituti in questione: cfr.

M. L. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma

tributaria, cit., 75. Non va però sottaciuto che altra parte della dottrina rileva criticamente la scarsa

diffusione dei moduli consensuali in ambito tributario, a differenza della fioritura che questi hanno

conosciuto nel diritto amministrativo: cfr. L. DEL FEDERICO, Autorità e consenso nella

disciplina degli interpelli fiscali, in S. LA ROSA, Profili autoritativi e consensuali del diritto

tributario, cit., 156.

19

Quali la presentazione della dichiarazione dei redditi, la tenuta delle scritture contabili, la risposta a

questionari, quesiti, richieste di documenti e chiarimenti formulate dai funzionari del Fisco

nell'esercizio dei loro poteri istruttori, nonché ancora la possibilità di fornire la prova contraria

rispetto a presunzioni relative previste da svariate disposizioni di legge.

24

infatti, impose di valorizzare maggiormente l’apporto informativo del privato, tanto

da indurre il legislatore ad introdurre l'obbligo della preventiva richiesta di

chiarimenti nel caso di accertamento condotto in base a coefficienti20.

Fu dunque la crescente attenzione verso le emergenti esigenze di “civiltà” del

Fisco a portare allo sviluppo delle prime forme di partecipazione del contribuente in

funzione non più di semplice collaborazione, bensì di autentico contraddittorio, in

quanto concepite in difesa di propri diritti ed interessi giuridicamente tutelati21: in

altri termini, alla partecipazione solo “collaborativa” venne sostituendosi una

partecipazione all’attività dell’Amministrazione finanziaria anche di tipo

“difensivo”22.

Occorre comunque chiarire che, quanto alla posizione soggettiva del

contribuente a fronte delle nuove forme di partecipazione all'azione impositiva, non

vi è ancora unanimità di vedute fra gli interpreti: se la dottrina maggioritaria, infatti,

esclude che possa configurarsi un autentico diritto soggettivo al contraddittorio,

ritenendo in tal senso decisiva la circostanza che la sua partecipazione continua ad

essere ammessa nelle sole ipotesi specificamente disciplinate dal legislatore

tributario23, la Corte di Cassazione ha talvolta ravvisato in capo al contribuente una

20

L'obbligo della preventiva richiesta di chiarimenti fu introdotto dall'art. 2, comma 29 della l.. n.

17/1985 (meglio nota come legge “Visentini ter”). Successivamente altre norme ne hanno esteso

l'ambito di applicazione: si trattava essenzialmente di disposizioni di legge che disciplinavano

accertamenti di tipo induttivo, contrassegnati da un elevato grado di aleatorietà, per i quali dunque

appariva quanto mai opportuno prevedere un contraddittorio anticipato con il contribuente, in

funzione deflattiva del contenzioso.

21

Sul punto cfr. A. FANTOZZI, Corso di diritto tributario, Utet, Torino, 2004, 166 e ss.

22

Sulla distinzione fra partecipazione “collaborativa” e partecipazione “difensiva” del contribuente,

come riflesso della differenza che esiste tra mera collaborazione e autentico contraddittorio, cfr. L.

SALVINI, La “nuova partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto

del contribuente ed oltre), in Riv. dir. trib., 2000, I, 13 e ss.

23

Cfr. M. L. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma

tributaria, cit., 77 e ss. Negli stessi termini si è espresso anche L. SALVINI, La “nuova

partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed

oltre) cit., 37 e 38, che attribuisce rilievo alla scelta del legislatore di non introdurre una norma

generale in materia di partecipazione – contraddittorio, poiché solo la previsione di un obbligo

generalizzato di attivare la partecipazione del contribuente, e motivare l'atto successivamente

emanato facendo riferimento anche alle indicazioni emerse in sede di contraddittorio, farebbe

sorgere in capo al privato un’autentica situazione soggettiva avente rilevanza giuridica in termini

di diritto soggettivo. Cfr. ancora S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Giappichelli, Torino,

2009, 339 e ss., il quale esclude l'esistenza di una norma a carattere generale che sancisca

l'obbligo, in capo all'ufficio, di “sentire” sempre il contribuente prima di procedere

25

situazione giuridica soggettiva tutelabile a pena di nullità dell’atto impositivo24.

Occorre dire, al riguardo, che nessuna norma di carattere generale in materia di

partecipazione all’azione impositiva ovvero diritto soggettivo al contraddittorio è

contenuta nella l. 27 luglio 2000, n. 212 (recante “Disposizioni in materia di statuto

dei diritti del contribuente”): l'art. 6, comma 2, ad esempio, si limita a sancire in

capo all'Amministrazione finanziaria l'obbligo di informare il contribuente di ogni

fatto o circostanza dai quali possa derivare il disconoscimento di un credito

d'imposta ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o

correggere gli atti da lui prodotti, laddove il comma 5 della medesima disposizione

statuisce che prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione

automatizzata, e qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione,

l'Amministrazione deve invitare il contribuente a fornire i necessari chiarimenti o

produrre i documenti mancanti. Priva di portata generale è anche la norma di cui

all'art. 12, che consente al contribuente di formulare osservazioni e richieste nel

rispetto del principio di cooperazione con l'Amministrazione finanziaria, ma solo

nell'ipotesi in cui lo stesso abbia subito una verifica fiscale.

Nonostante sia assodata la mancanza, in ambito tributario, di una previsione

che sancisca l’esistenza di un autentico diritto al contraddittorio dotato di valenza

generale, non può tuttavia disconoscersi il favor mostrato dal legislatore, soprattutto

in tempi recenti, per gli strumenti consensuali di attuazione della normativa fiscale.

L'intento che si è inteso perseguire è lo snellimento delle procedure attuative e la

deflazione del contenzioso, anche al fine di sviluppare un nuovo rapporto tra Fisco e

contribuente basato sulla dialettica e sulla reciproca fiducia. Attraverso successivi

interventi normativi, dunque, sono stati progressivamente introdotti vari istituti a

vocazione collaborativa, nella duplice prospettiva di garantire una più rapida e sicura

percezione del tributo e di ridurre le controversie connesse all'attuazione del prelievo

fiscale.

Occorre rilevare, comunque, che già nell'ordinamento italiano di fine ottocento

all'accertamento, salvo poi affermare comunque la natura contenziosa dell’eventuale

partecipazione al procedimento impositivo.

24

Cfr. Cass., 11 giugno 2010, n. 14105, in GT, 2010, 875. Contra però cfr. Cass., 29 dicembre 2010,

n. 26316, in banca dati Fisconline.

26

esistevano svariate disposizioni normative che facevano leva sull'accordo fra

l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente in ordine alla determinazione del

presupposto impositivo25. Il tratto che le accomunava era rappresentato dalla deroga

al normale meccanismo di imposizione: se questo era essenzialmente basato su un

atto unilaterale ed autoritativo del Fisco, costitutivo dell'obbligazione tributaria, nelle

menzionate fattispecie il provvedimento era preceduto dall'adesione del contribuente,

che prestava il proprio consenso sulla misura del prelievo, con l'effetto che tale

elemento rimaneva definitivamente accertato. Il rilievo assegnato dal legislatore al

consenso del privato indusse la dottrina a qualificare tali ipotesi come forme di

“imposizione concordata”: in particolare, era invalso nel lessico comune l'uso della

nozione “concordato tributario”, o “concordato fiscale”, per individuare il genus in

cui poter ricomprendere i vari istituti all’epoca vigenti26.

Con la riforma del 1971-1973 le ipotesi di intervento consensuale del privato,

nella forma dell'adesione preventiva all'accertamento operato dall'ufficio, furono

limitate soltanto alla sfera dell'imposta di registro, dell'imposta sulle successioni e

donazioni e dell'Invim, per essere eliminate del tutto nella seconda metà degli anni

'80, con l'emanazione dei testi unici in materia di imposte indirette sui trasferimenti

di ricchezza. Fra le ragioni che determinarono la soppressione del concordato

25

Si veda, ad esempio, l'art. 40 del r.d. 24 agosto 1877, n. 4021, recante il testo unico sull'imposta di

ricchezza mobile, che parlava di “somme di reddito netto concordate con i contribuenti”: al

riguardo, la Relazione Ministeriale del 30 marzo 1887 accennava alla capacità dell'agente di

concordare con il contribuente le correzioni all'accertamento. Analoghe disposizioni erano

contenute nel r.d. 24 agosto 1877, n. 4024, contenente il regolamento dell'imposta fondiaria, e

nella l. 6giugno 1877, n. 3684, in materia di imposta sui fabbricati. Una più compiuta disciplina

venne dettata con il Regolamento di attuazione dell'imposta di ricchezza mobile, approvato con

r.d. 11 luglio 1907, n. 560: tale normativa prevedeva l'intervento del contribuente nel

procedimento di imposizione, sia sotto forma di preventiva adesione alla rettifica operata

dall'ufficio ex art. 77, sia in forma di accordo successivo alla notifica dell'avviso di accertamento

ai sensi dell'art. 81. Quest'ultima disposizione, in particolare, prevedeva che detto accordo,

vertente sul valore da assoggettare ad imposizione, dovesse essere formalizzato in una

dichiarazione datata e sottoscritta da ambo le parti, a pena di nullità. Con il r.d. 7 agosto 1936, n.

1639, la possibilità di concordare la base imponibile con l’ufficio venne estesa anche all'imposta

di registro: l'art. 14 disponeva infatti che “nella materia delle imposte sui trasferimenti della

ricchezza, gli Uffici del Registro [...] hanno competenza a concordare con i contribuenti , senza

limiti di somma, i valori imponibili”.

26

Fu probabilmente il tenore letterale del menzionato art. 81 del r.d. n. 560/1907, secondo cui

“quando l'agente concordi con il contribuente le somme dei redditi, fa constatare dell'accordo

mediante dichiarazione [...]”, ad indurre la prassi e la dottrina prevalenti ad impiegare il nomen

“concordato tributario”, al fine di individuare, più in generale, le varie fattispecie di accordo tra

Amministrazione finanziaria e contribuente previste dall'ordinamento giuridico dell’epoca.

27

tributario vi furono essenzialmente le rilevanti difficoltà incontrate da dottrina e

giurisprudenza nel tentare un corretto inquadramento della figura a livello

dogmatico27, e soprattutto nell'individuazione del regime giuridico ad essa

applicabile; un ruolo di rilievo giocò anche il malcostume che l'istituto aveva

contribuito a determinare28, nonché ancora il diffondersi di nuovi metodi di

imposizione, che alla tassazione dei redditi con sistemi sintetici ed induttivi

sostituivano quella dei redditi effettivi29, riducendo drasticamente i margini di

discrezionalità di cui l'Amministrazione godeva nella misurazione del presupposto

impositivo, e dunque la connessa possibilità di addivenire ad un accordo con il

contribuente.

27

Acceso era lo scontro fra i fautori della tesi contrattuale, che ravvisava nel concordato un vero e

proprio contratto, specificamente inquadrabile nel modello della transazione civilistica (cfr. O.

QUARTA, Commento alla legge sull'imposta di ricchezza mobile, Società Editrice Libraria,

Milano, 1902, II, 482-512, che sostenne apertamente che “il concordato è una transazione”, ed E.

VANONI, Lezioni di diritto finanziario e scienza delle finanze, Roma, 1934, 428), ed i sostenitori

della tesi pubblicistica, che all'opposto configurava il concordato fiscale come atto unilaterale di

accertamento, contrassegnato dall'adesione del contribuente alla misura dell'imposizione (A. D.

GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1956, 171 e ss., B. COCIVERA, Il

concordato tributario, Società Editrice Libraria, Milano, 1948, B. GRIZIOTTI, Natura ed effetti

dell'accertamento e del concordato. Impugnabilità e termini, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1938, II, 283).

La tesi pubblicistica finì per essere condivisa anche dalla prevalente giurisprudenza di legittimità:

cfr. ex multis Cass., 17 maggio 1935, in Foro it., 1935, I, 1161; Cass., 12 marzo 1936, n. 871, in

Rep. Foro it., 1936, voce Tasse e imposte in genere, n. 35; Cass., SS.UU., 20 febbraio 1936, in

Foro it., 1936, I, 1344. Anche nella giurisprudenza tributaria venne consolidandosi la massima

secondo cui il concordato fiscale rivestiva carattere di atto amministrativo unilaterale: cfr. ex

multis Comm. Centr., 4 febbraio 1954, n. 56946, in Riv. leg. fisc., 1955, 1212, e Comm. Centr., 13

giugno 1946, in Giur. imp. dir., 1948, 43.

28

Nella Relazione di maggioranza della VI Commissione permanente del Senato, che accompagnava

il disegno di legge delega n. 1639/1970 (reperibile in Tributi, 1970, I, 176 e ss.), era espressamente

riconosciuto che il “patteggiamento” tra Fisco e contribuente, se portato alle estreme conseguenze,

non avrebbe fatto altro che produrre effetti negativi, consentendo evasioni d’imposta più o meno

diffuse: il contribuente, infatti, era spesso indotto a presentare una dichiarazione infedele,

consapevole di poter successivamente pervenire ad un conveniente accomodamento con il Fisco in

sede di definizione della pretesa. Anche la dottrina si era espressa contro l'uso deprecabile del

concordato fiscale: cfr. R. LUPI, Diritto tributario. Parte generale, Giuffrè, Milano, 2005, 66,

secondo cui con l'abolizione delle varie forme di patteggiamento esistenti nell'ordinamento

tributario il legislatore si era ripromesso di combattere il fenomeno degli accordi illeciti fra

funzionari del Fisco e contribuenti, e la diffusa corruzione che ne conseguiva.

29

Si allude al metodo dell'”accertamento contabile” previsto dal legislatore per imprenditori ed

esercenti arti e professioni, fondato sulle risultanze delle scritture contabili (alla cui tenuta tali

soggetti erano obbligati): con esso si intendeva porre un freno all'eccessiva discrezionalità di cui

l'Amministrazione godeva per effetto del metodo induttivo, per addivenire ad una determinazione

dell'imponibile certa ed inequivocabile, nonché maggiormente rispettosa del principio

costituzionale di capacità contributiva (cfr. la Relazione di maggioranza, cit., nt. 85).

28

Con il passare del tempo, tuttavia, la crescente sfiducia mostrata nei confronti

dell'accertamento contabile, che si rivelò ben presto uno strumento poco efficace,

soprattutto nei confronti dei contribuenti che fruivano di regimi contabili

semplificati30, e la conseguente predisposizione in via legislativa di metodi di

forfetizzazione della base imponibile, quali coefficienti di congruità, parametri e

studi di settore31, stimolarono una crescente spinta verso la reintroduzione di forme di

attuazione concordata della norma tributaria. A ciò si aggiunga che l'eliminazione del

concordato fiscale e di ogni ulteriore forma di contraddittorio anticipato lasciava al

contribuente, come unico strumento per far valere le proprie ragioni contro il Fisco,

il ricorso alle Commissioni tributarie, con conseguente aumento esponenziale del

contenzioso.

In questo contesto autorevole dottrina propose il ripristino di quegli istituti, già

ampiamente collaudati in passato, volti alla definizione in via consensuale dei

rapporti fra Fisco e contribuente, in modo da restaurare un clima di maggior fiducia

30

Tali soggetti, infatti, riuscivano a predisporre una contabilità formalmente corretta, ma

sostanzialmente infedele. Sicché la prassi aveva evidenziato che il rigido formalismo su cui sino ad

allora si era imperniato il controllo fiscale su piccole imprese e professionisti, basato, come detto,

sulle risultanze contabili, non consentiva di conseguire in modo soddisfacente quegli obiettivi di

effettività e giustizia del carico tributario che la riforma degli anni ’70 si era proposta di soddisfare,

finendo per diffondere un diffuso senso di malcontento che accentuò notevolmente la conflittualità

nei rapporti fra Fisco e contribuenti: critiche all’eccessiva rilevanza che il legislatore dell’epoca

attribuiva alle scritture contabili furono avanzate, fra gli altri, da F. TESAURO, Appunti sulle

procedure di accertamento dei redditi di impresa, in Impresa, ambiente e P.A., 1978, 470, F.

GALLO, Accertamento e garanzie del contribuente: prospettive di riforma, in Dir. prat. trib.,

1989, I, 52, nonché L. TOSI, Le predeterminazioni normative nell'imposizione reddituale, Giuffré,

Milano, 1999, passim.

31

I “coefficienti di congruità e presuntivi di reddito”, da impiegarsi per l’accertamento delle imprese

minori in regime di contabilità semplificata, furono introdotti nel nostro ordinamento con la l. 17

febbraio 1985, n. 17, di conversione del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853, il quale consentiva agli

uffici di determinare il reddito basandosi anche sulle caratteristiche esteriori dell’azienda.

Successivamente, la l. 10 dicembre 1991, n. 413 introdusse, con riferimento agli imprenditori e

agli esercenti arti e professioni con un limitato volume d’affari, i “coefficienti presuntivi di ricavi e

compensi”. In verità, già il d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito con l. 27 aprile 1989, n. 154,

consentiva agli uffici di basare sui coefficienti presuntivi la rideterminazione induttiva

dell’ammontare dei ricavi o delle operazioni imponibili ai fini IVA, spostando l’onere della prova

contraria sul contribuente che avesse dichiarato importi inferiori; sicché, la l. n. 413/1991 ha

soppresso i coefficienti di congruità e ha ridenominato “coefficienti presuntivi di compensi e

ricavi” i previgenti coefficienti presuntivi, basandoli su una serie di parametri extracontabili

relativi all’attività esercitata. Detti coefficienti furono sostituiti dagli “studi di settore” previsti

dall’art. 62sexies del d.l. 3 agosto 1993, n. 331, convertito con l. 29 ottobre 1993, n. 427. In attesa

della predisposizione degli studi di settore, con l’art. 3 della l. 28 dicembre 1995, n. 549 furono

introdotti i “parametri”.

29

nei rapporti tra le due parti e ridurre le mole del contenzioso esistente32.

Fu sulla scorta di questa nutrita corrente di pensiero, favorevole al recupero del

modello del concordato fiscale, che nel corso del 1994 il legislatore intervenne sulla

materia, introducendo i nuovi istituti dell'accertamento con adesione e della

conciliazione giudiziale: con essi veniva riconosciuta all'ufficio la possibilità di

definire, in contraddittorio con il contribuente, la rettifica della dichiarazione o la

conciliazione della controversia, a seconda dell'ambito, amministrativo o

processuale, in cui si fosse trovato il rapporto tributario33.

Per la verità i due istituti conobbero un'evoluzione normativa piuttosto

travagliata, che vide il susseguirsi di vari decreti legge prima di approdare alla

disciplina definitiva tuttora in vigore, contenuta nel d. lgs. 19 giugno 1997, n. 218.

Questo prevede, nella formulazione attualmente in vigore, che l’ufficio dell’Agenzia

delle Entrate ed il contribuente possano addivenire ad un accordo, su iniziativa

dell’una o dell’altra parte, prima dell’emissione di un avviso di accertamento o anche

in seguito, al fine di definire la maggiore imposta dovuta, fruendo della riduzione

delle sanzioni ad un terzo del minimo edittale (accertamento con adesione); ovvero è

possibile chiudere una controversia pendente dinanzi al giudice tributario di primo

grado, non oltre la prima udienza, con riduzione delle sanzioni al 40% dell’importo

irrogato (conciliazione giudiziale).

Come accaduto in precedenza per il concordato fiscale, anche per

l'accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale si è riproposta in dottrina la

32

Già nel 1986 il BERLIRI aveva rilanciato l'idea del concordato tributario, in occasione di un

intervento presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna. Successivamente anche

altri autori si pronunciarono in senso favorevole alla reintroduzione del soppresso istituto: cfr. R.

LUPI, Lezioni di diritto tributario. Parte generale, Giuffré, Milano, 1992, 115, e G. TINELLI,

L'accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema dell'IRPEF, Cedam, Padova, 1993,

37. Del dibattito concernente la reintroduzione dell'istituto de quo diede ampio risalto il quotidiano

Il Sole 24 Ore nei mesi di marzo ed aprile del 1993: la discussione trasse origine dalla proposta di

reintroduzione del concordato fiscale, avanzata da G. TREMONTI e S. PATRIARCA con

l'articolo Fisco, è meglio tornare al concordato, del 30 marzo; nei giorni successivi intervennero

F. GALLO, Concordato solo per gli accertamenti, F. BOSELLO, Il concordato può rivivere senza

cadere nei vecchi errori, R. LUPI, Trasparenza al concordato con le “liste di controllo”, P.

RUSSO, Concordato grazie agli “studi di settore”, ed E. DE MITA, Prima di concordare si

rinnovino gli uffici.

33

Se la figura dell'accertamento con adesione ricordava il vecchio concordato tributario, la

conciliazione giudiziale rappresentava una novità assoluta per la tradizione processuale tributaria:

cfr. F. BATISTONI FERRARA, Conciliazione giudiziale, in Riv. dir. trib., 1995, 1029 e ss.

30

querelle relativa alla natura giuridica dei due istituti: ai fautori della tesi negoziale,

che sottolineano il carattere privatistico e negoziale di ambedue gli istituti34, si

contrappongono coloro, che in realtà sembrerebbero rappresentare la dottrina

maggioritaria, i quali ne valorizzano la natura pubblicistica, ravvisandovi un'ipotesi

di atto amministrativo unilaterale, pienamente inquadrabile nel contesto della

funzione autoritativa di accertamento dell'Amministrazione finanziaria35. Altra

dottrina, ancora, escluso che possano essere “scomodate” entrambe le categorie del

negozio di diritto privato e del provvedimento amministrativo unilaterale, individua

un tertium genus, rappresentato dall'attività consensuale di diritto pubblico che si

esplica mediante la conclusione di un accordo fra le parti: si tratterebbe di una

fattispecie complessa, in cui la volontà del soggetto privato e quella della pubblica

Amministrazione, anche se non collocate su un piano di assoluta parità, concorrono

entrambe alla produzione dell'effetto giuridico finale, dispiegando rispetto ad esso

34

Cfr. F. BATISTONI FERRARA, Accertamento con adesione, in Enc. dir. Aggiornamento,

Giuffrè, Milano, II, 1998, 27 e ss., R. LUPI, Diritto tributario. Parte generale, cit., 69, e P.

RUSSO, Indisponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie, in S. LA ROSA,

Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, cit., 89 e ss.

A favore della tesi negoziale sembrerebbe essersi schierata anche la recente giurisprudenza di

legittimità: cfr. Cass., 20 settembre 2006, n. 20386, in Dir. e giust., 2006, 35, in cui si fa

riferimento all'obbligazione ”negozialmente convenuta” dalle parti all'esito di una conciliazione

giudiziale; cfr. anche Cass., 22 aprile 2005, n. 8455, in Mass., 2005, 611, in cui l'istituto della

conciliazione giudiziale è ricostruito come fattispecie a formazione progressiva, espressione dei

poteri dispositivi delle parti e avente natura negoziale (in senso conforme cfr. anche Cass., 13

giugno 2006, n. 21325, in Foro it., 2007, I, 1689, in cui si precisa che l'accordo raggiunto dalle

parti predispone un assetto negoziale paritariamente formato ed avente natura novativa rispetto alle

originarie pretese di ciascuna). Quanto all'accertamento con adesione, Cass., 9 maggio 2006, n.

14945, in Boll. trib., 2006, 1665, ha affermato la necessità della forma scritta ai fini della

formazione dell'atto, richiamandosi ai principi generali che regolano la materia dei contratti della

pubblica Amministrazione.

35

Cfr. M. MICCINESI, Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, in M. MICCINESI (a

cura di), Commentario agli interventi di riforma tributaria, Cedam, Padova, 1999, 10, e G.

FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Cedam, Padova 2005, 355. Cfr. anche

Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale d'appello per la Regione Sicilia, sentenza n. 2 del 18 gennaio

2006, in Foro amm. - Cons. Stato, 2006, 267: dopo aver escluso la possibilità di considerare il

procedimento di accertamento con adesione come libera contrattazione fra le parti, secondo la

schema del vecchio concordato fiscale, i giudici contabili ravvisano lo scopo dell'istituto

nell'esigenza di garantire, attraverso l'instaurazione di uno stretto rapporto di collaborazione con il

contribuente, l'individuazione dell'imposta realmente dovuta; pertanto la mancata indicazione,

nell'atto di adesione, degli elementi che consentono di ricostruire con precisione l'an e il quantum

dell'obbligazione tributaria non si pone come mera irregolarità formale dell'atto, bensì come causa

di inesistenza del medesimo, in quanto sarebbe un sintomo della rinuncia da parte dell'ufficio ai

suoi poteri di accertamento.

31

un’analoga efficacia causale36.

Il nuovo “corso” della legislazione fiscale, volto ad incrementare e rafforzare

le forme di determinazione consensuale del prelievo, ha dato impulso a fattispecie

ulteriori rispetto a quelle dell'accertamento con adesione e della conciliazione

giudiziale. Trattasi, comunque, di “figure” eterogenee, in quanto da un lato esse si

collocano in fasi diverse del procedimento di attuazione del rapporto giuridico

d'imposta, inserendosi ora nella fase dell'accertamento del presupposto impositivo,

ora nella fase della riscossione dell’obbligazione già accertata, mentre dall'altro lato

sono connotate da un diverso grado di partecipazione del contribuente. Ciò che

accomuna tali istituti, comunque, è la previsione di un potere di iniziativa in capo a

costui, volto a sollecitare un esercizio dell'azione impositiva non meramente

unilaterale: il fine è quello di pervenire ad una determinazione della misura del

concorso alle pubbliche spese “concordata” con la controparte pubblica, attenuando

il ricorso al giudice tributario37.

Si pensi all'interpello, termine generico che definisce una categoria piuttosto

ampia, la quale comprende in sé fattispecie assai diverse tra loro: tra esse merita

primaria attenzione la figura di interpello cosiddetto “ordinario” di cui all'art. 11

della l. n. 212/2000, che consente al contribuente di interpellare preventivamente

l'Amministrazione finanziaria circa il comportamento da adottare in relazione ad un

caso concreto; la risposta fornita è vincolante per entrambe le parti, con la

conseguente nullità di qualsiasi atto, sia impositivo che sanzionatorio, eventualmente

difforme rispetto ad essa.

Una peculiare tipologia di interpello, qui degna di nota, è il ruling di standard

internazionale, introdotto con il d.l. 30 settembre 2003, n. 269: trattasi di un

procedimento attivabile da imprese con attività internazionale, che culmina con la

36

Cfr. M. STIPO, L’accertamento con adesione del contribuente ex D. Lgs. 19 giugno 1997, n. 218,

nel quadro generale delle obbligazioni di diritto pubblico e il problema della natura giuridica, in

Rass. trib., 1998, 1231 e ss.; F. GALLO, La natura giuridica dell’accertamento con adesione, in

Riv. dir. trib., 2002, I, 425 E SS., e M. L. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali

nell'attuazione della norma tributaria, cit., 156 e ss. Da un punto di vista pragmatico, la tesi de

qua ritiene che a tali accordi non vadano applicate le regole codicistiche in materia di contratti,

bensì trovi applicazione la disciplina speciale appositamente prevista per i primi, e, laddove essa

risulti lacunosa, i principi generali in materia di accordi.

37

Di qui il carattere deflattivo che comunemente viene riconosciuto alle varie fattispecie in esame.

32

stipula di un accordo, dotato di efficacia vincolante per almeno un triennio, tra

l’istante ed il competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate, avente ad oggetto il

regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties. In

ordine alla natura giuridica di detto istituto la dottrina è pressoché concorde

nell'affermarne il carattere negoziale38, se non addirittura autenticamente

transattivo39.

Ancora, tratti di consensualità sono da ravvisare nella rateizzazione delle

somme iscritte a ruolo di cui all'art. 19 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 60240, nella

partecipazione delle associazioni di categoria, rappresentative di liberi professionisti

ed imprenditori, alla predisposizione degli studi di settore (anche se qualche autore

ritiene che l'apporto di tali associazioni sia in concreto piuttosto modesto e

marginale, costituendo gli studi uno strumento che viene generato e si sviluppa nelle

mani dell'Amministrazione41), nel procedimento di irrogazione delle sanzioni di cui

all'art. 16 del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 47242, nella comunicazione degli esiti del

38

Cfr. G. GAFFURI, Il ruling internazionale, in Rass. trib., 2004, 488 e ss.. Secondo l'A., l'intesa

negoziale è il connotato qualificante dell'istituto: “il nucleo pattizio assume una notevole

pregnanza, perché diversifica in radice il nuovo istituto dall'attività consultiva della pubblica

amministrazione [...] e determina la sorte del ruling per gli aspetti non diversamente disciplinati”.

Si afferma dunque che l'accordo, compatibilmente con le peculiarità del contesto, è soggetto alla

disciplina codicistica in materia di contratti.

39

Cfr. P. ADONNINO, Considerazioni in tema di ruling internazionale, in Riv. dir. trib., 2004, IV,

70: “l'accordo costituisce atto bilaterale a possibile contenuto transattivo, concluso dopo una fase

di confronto ed estraneo a manifestazioni autoritarie dell'amministrazione”. Cfr. anche L. TOSI -

R. TOMASSINI - R. LUPI, Il ruling di standard internazionale, in Dial. dir. trib., 2004, 489 e ss.

40

La disposizione riconosce al contribuente la possibilità di accordarsi con il concessionario della

riscossione per un pagamento dilazionato del carico a ruolo, secondo un piano di rientro

concordato tra le parti.

41

Cfr. M. BEGHIN, Autorità e consenso nella disciplina degli studi di settore: dalla validazione

dello strumento alle interferenze sul versante della motivazione e della prova dell'atto

amministrativo, in S. LA ROSA, Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, cit., 175 e

ss.: l'A. evidenzia un disequilibrio esistente in questa materia, con prevalenza dell'autorità sul

consenso.

42

Il comma 4 della menzionata disposizione prevede la possibilità, per colui cui sia stato notificato

l'atto di contestazione delle violazioni, di produrre deduzioni difensive, con l'obbligo per l'ufficio,

che intenda comunque disattenderle, di irrogare la sanzione con “atto motivato, a pena di nullità,

anche in ordine alle deduzioni” (cfr. Cass., 20 settembre 1997, n. 9338, in Riv. dir. trib., 1999, II,

111 e ss.). Il procedimento adottato per l'irrogazione delle sanzioni tributarie, dunque, è diretto ad

attuare la partecipazione del contribuente in chiave difensiva, attivando il preventivo

contraddittorio sui presupposti e sulle condizioni della violazione

33

controllo automatizzato e del controllo formale della dichiarazione, introdotte nel

nostro ordinamento dal d. lgs. 9 luglio 1997, n. 241 e disciplinate rispettivamente

dagli artt. 36bis e 36ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 60043, nell'autotutela,

disciplinata dal d.P.R. 27 marzo 1992, n. 28744. Ancora, sono indubbiamente

riconducibili alla categoria dei moduli consensuali anche i recenti istituti

dell'adesione del contribuente al processo verbale di constatazione di cui all'art. 5bis

del citato d. lgs. n. 218/199745, e dell'adesione agli inviti al contraddittorio di cui al

comma 1bis dell'art. 5 del medesimo decreto, su cui si avrà modo di soffermarsi nel

prosieguo.

Infine, sempre nel novero degli strumenti deflattivi del contenzioso si colloca

anche la recentissima definizione delle liti fiscali pendenti al 1° maggio 2011,

introdotta con l'art. 39, comma 12 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con l. 15

luglio 2011, n. 111: l’istituto consiste nella chiusura del contenzioso in atto con

l'Amministrazione finanziaria tramite il pagamento di una somma di denaro

commisurata al valore della lite.

43

Trattasi di un istituto avente, tra gli altri, lo scopo di consentire al contribuente la prospettazione di

dati ed elementi non considerati dall'ufficio all’atto della liquidazione dell’imposta dovuta, al fine

di dimostrare l'illegittimità del controllo e l'infondatezza della pretesa impositiva prima della sua

iscrizione a ruolo. Sul punto cfr. L. SALVINI, La “nuova partecipazione del contribuente (dalla

richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre), cit., 26 e ss., nonché P. RUSSO,

Manuale di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 2005, 220 e 221.

44

Il quale statuisce che “salvo che non sia intervenuto giudicato, gli uffici dell'amministrazione

finanziaria possono procedere all'annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti

illegittimi o infondati con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell'atto”.

Successivamente, il d.l. 18 luglio 1994, n. 452 rimandò ad un successivo decreto ministeriale, poi

effettivamente adottato nel 1997, la regolamentazione dei casi in cui avrebbe potuto essere

esercitato il potere di annullamento d'ufficio o revoca anche in pendenza di giudizio, in ossequio al

principio di economicità dell’azione amministrativa.

45

L'istituto, introdotto dall'art. 83, comma 18 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con l. 6

agosto 2008, n. 133, si rifà alla prassi, piuttosto diffusa in passato, di redigere in contraddittorio

con il contribuente un verbale in cui l'Amministrazione esplicava le ragioni che l'avevano indotta

ad un accoglimento solo parziale dei rilievi effettuati dalla Guardia di Finanza, archiviando quelli

considerati infondati, e di cui il contribuente prende atto, dichiarando implicitamente di rinunciare

all'impugnazione del successivo avviso di accertamento. Sulla menzionata prassi, e sugli effetti

che essa esplicava nei confronti dei soggetti del rapporto tributario, cfr. G. TABET, In tema di

accertamento preventivamente concordato, in Boll. trib., n. 8/2002, 565 e ss.

34

2.2. La transazione fiscale come strumento deflattivo del contenzioso

tributario ed il problema dell'indisponibilità delle obbligazioni fiscali.

Conclusa questa breve rassegna, occorre ora esaminare se e come la

transazione fiscale si collochi nel novero dei citati strumenti deflattivi, in quanto tesa

anch’essa ad una valorizzazione del consenso del privato nell'attuazione della norma

tributaria.

Se la dottrina maggioritaria propende per una riconducibilità dell'istituto al

nuovo trend della legislazione fiscale, inquadrando la fattispecie di cui all'art. 182ter

nell'ambito degli istituti di definizione concordata del debito tributario46, qualche

autore, all'opposto, ne esclude il carattere autenticamente deflattivo, almeno

nell'ipotesi in cui l'accordo con il Fisco non abbia ad oggetto un'obbligazione

tributaria sub iudice o ancora astrattamente impugnabile, ma concerna crediti oramai

definitivi, per i quali non vi è più alcuna possibilità di contestazione (si pensi ai ruoli

scaduti o agli accertamenti per i quali sono inutilmente decorsi i termini per

l'impugnazione, oltre che ai debiti d'imposta risultanti da sentenza passata in

giudicato). In particolare, si è detto che mentre l'accertamento con adesione, la

conciliazione giudiziale e le altre fattispecie di definizione lato sensu transattiva del

rapporto tra il cittadino e l'Amministrazione finanziaria, non specificamente

indirizzati alla soluzione della crisi di impresa, si riferirebbero sempre a pretese

erariali non ancora definitive, e ciò sembrerebbe sufficiente ad attenuare le criticità

connesse alla “negoziabilità” del credito erariale, l’istituto di cui all'art. 182ter, nel

caso in cui abbia ad oggetto pretese definitive, si tradurrebbe in una vera e propria

“rinuncia”, sia pure solo parziale, a crediti fiscali del tutto incontestati, non bilanciata

necessariamente da un’adeguata controprestazione47. Da tale constatazione

deriverebbe una qualificazione dell'istituto in termini di figura atipica di pactum ut

46

Cfr. ex multis L. DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure

concorsuali, in Riv. dir. trib., 2008, I, 216.

47

Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, in Il diritto fallimentare riformato, a cura di G.

SCHIANO DI PEPE Cedam, Padova, 2007, 679; F. MARENGO, Il correttivo e la nuova

Transazione Fiscale, in www.ilcaso.it, II, 95/2008, 8; ID., Il correttivo al correttivo della

Transazione Fiscale, in www.ilcaso.it, II, 132/2008, 10; D. PISELLI, Concordato e transazione

fiscale, in www.ilcaso.it, II, 143/2009, 2 e ss.; M FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale,

in La legge fallimentare. Commentario teorico – pratico, a cura di M. FERRO, Cedam, Padova,

2007, 1444.

35

munis solvatur, dal contenuto remissorio, dilatorio o misto, o comunque un'ipotesi di

accordo tra contribuente ed Amministrazione finanziaria non riconducibile al tipo

legale della transazione civilistica di cui all'art. 1965 c.c., difettando il presupposto

delle reciproche concessioni: il punto sarà chiarito meglio nel prosieguo, quando

saranno illustrate le diverse teorie allo stato rinvenibili in merito alla natura giuridica

dell’istituto di cui all’art. 182ter.

Giova qui precisare che la definitività delle obbligazioni oggetto di un

“accordo” transattivo (a prescindere, per ora, dalla vexata quaestio del carattere

autenticamente negoziale o procedimentale dell’istituto di cui all’art. 182ter) ha

alimentato seri problemi di ordine dogmatico: in particolare, soprattutto all'indomani

della sua introduzione ad opera della riforma del 2005/2006, era stato sollevato da

più di qualche Autore il dubbio che l'istituto segnasse un vulnus inaccettabile al

principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, il quale, seppur dettato da una

norma di legge ordinaria48, godrebbe di copertura costituzionale, essendo

direttamente riconducibile ai principi di capacità contributiva ed imparzialità

nell'azione della pubblica Amministrazione sanciti rispettivamente dagli artt. 53 e 97

Cost.

La disputa, come accennato anche in precedenza, può considerarsi

definitivamente sopita: al giorno d’oggi, infatti, risulta essere di gran lunga

prevalente la tesi secondo cui il canone di indisponibilità della pretesa erariale

sarebbe privo di portata costituzionale, trovando esso la propria fonte in una norma

di legge ordinaria, come tale suscettibile di essere derogata da successive

disposizioni del medesimo rango. Conseguentemente l'art. 182ter, nel prevedere la

falcidiabilità dei crediti fiscali, ivi compresi quelli già divenuti definitivi,

rappresenterebbe una deroga perfettamente legittima, al pari degli altri istituti

deflattivi disciplinati dal diritto tributario49.

48

Si tratta della disposizione di cui all'art. 49 del r. d. 23 maggio 1924, n. 827, contenente il

regolamento per l’esecuzione della legge sulla amministrazione del patrimonio e sulla contabilità

dello Stato: la norma dispone che “Nei contratti non si può convenire esenzione da qualsiasi

specie di imposte o tasse vigenti all'epoca della loro stipulazione”.

49

Molteplici sono i contributi dottrinali dedicati al tema dell’indisponibilità dell’obbligazione

tributaria: fra questi cfr., senza alcuna pretesa di completezza, G. FALSITTA, Funzione vincolata

di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv. dir. trib., 2007, I, 1047 e ss., R.

LUPI, Insolvenza, fallimento e disposizione del credito tributario, in Dial. trib., 2006, 457 e ss.,

36

Né è mancato chi, all'opposto, si è sforzato di ravvisare il fondamento

dell'istituto de quo in quegli stessi principi costituzionali di tutela dell'iniziativa

economica privata e buon andamento della pubblica Amministrazione che secondo

altri verrebbero ad essere sacrificati: tali principi consiglierebbero, in un contesto di

crisi di impresa, atteggiamenti dell'Amministrazione finanziaria più duttili e meno

rigorosi, che prestino maggiore attenzione all'esigenza di favorire il risanamento

dell'impresa, commisurando l'attività dispiegata per l'esazione dei tributi all'effettiva

possibilità di recupero del gettito fiscale50.

Non meno pertinente sarebbe il richiamo allo stesso principio di capacità

contributiva: si è detto infatti che anche l'art. 53 Cost., a ben guardare, imporrebbe

all’Erario di accettare la soluzione transattiva ogniqualvolta essa riservi al creditore

pubblico un trattamento comunque migliore rispetto a quello concretamente

conseguibile all'esito di una procedura liquidatoria. Sicché, la strada di un accordo

con il Fisco, lungi dal rappresentare una violazione di quel principio, ne costituirebbe

una concreta attuazione.

Senza dimenticare che la soluzione transattiva consentirebbe anche la

salvaguardia di altri valori parimenti dotati di rilievo costituzionale, quali la

conservazione dei livelli occupazionali e dei complessi produttivi non ancora

completamente decotti.

Chiariti i dubbi in merito alla possibilità di conciliare l’istituto con il

tradizionale canone di indisponibilità dell’obbligazione fiscale, sono evidenti le

analogie con gli strumenti deflattivi propri del moderno diritto tributario: come

questi si fondano sulla valorizzazione di moduli consensuali nell’attuazione della

ID., Accertamento con adesione, giurisprudenza della corte dei conti e pretesa “indisponibilità”

del credito tributario, in Dial. dir. trib., 2007, 1089 e ss., A. FANTOZZI, La teoria

dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, in AA.VV., Adesione, conciliazione e autotutela,

a cura di M. POGGIOLI, Cedam, Padova, 2007, 49 e ss. Fra i “fallimentaristi” cfr. soprattutto A.

LA MALFA - L. MARENGO, La transazione fiscale, cit., passim., nonché A. LA MALFA,

Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo, in Corr. trib., n. 9/2009, 710.

50

Cfr. D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 2. Sull’esigenza di valutare la proposta di

transazione alla luce delle concrete capacità di esazione del credito, avendo comunque di mira gli

interessi istituzionalmente perseguiti dall’Amministrazione, quali l’efficienza e l’efficacia

dell’azione di riscossione, cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, in Commentario alla legge

fallimentare. Artt. 124-215 e disposizioni transitorie, diretto da C. CAVALLINI, Egea, Milano,

2010, 838 e 839.

37

norma tributaria, anche la soluzione transattiva poggia inevitabilmente sul consenso

di ambedue le parti coinvolte nella vicenda. Tramite l’iter di cui all’art. 182ter,

infatti, l’imprenditore intende perseguire un’intesa, o comunque una qualche forma

di accomodamento con l'Erario: come si vedrà meglio nel prosieguo, oggetto

dell’intesa sarà principalmente il quantum da corrispondere al Fisco, oltre che profili

ulteriori quali tempi di pagamento, interessi ed eventuali garanzie. Si vedrà anche

che tale intesa non si perfeziona secondo il meccanismo proprio dei contratti di

diritto privato, né delle varie tipologie di accordi amministrativi che la prassi odierna

conosce, trattandosi, all'opposto, di una vicenda che trova il proprio inquadramento

esclusivamente nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, dove alla

proposta del debitore, comunque modificabile, almeno sino ad un certo termine,

segue il voto dei creditori, vincolante anche per la minoranza dissenziente.

La transazione, dunque, lungi dal costituire un autentico accordo negoziale

bilaterale, concreterebbe piuttosto una species di procedimento amministrativo51, la

cui caratteristica peculiare è quella di incanalarsi in una procedura di concordato

preventivo, di cui subisce appieno sorti ed effetti, dovendo sottostare alle regole ed ai

principi generali che la governano.

Discorso parzialmente diverso, ovviamente, vale per la transazione siglata in

sede di accordi di ristrutturazione dei debiti, per la quale, ferma restando la sua

connotazione in termini di procedimento amministrativo, sembrerebbero trovare

maggiore applicazione i moduli negoziali, nella misura in cui l’iter transattivo è

destinato a sfociare non già in un voto, bensì in un autentico accordo, sottoscritto da

entrambe le parti e collegato all’accordo (o agli accordi) siglati con la restante parte

del ceto creditorio da un nesso di carattere funzionale. Si tratterà dunque di vedere se

ed in quale misura siano applicabili alla fattispecie in esame i principi generali che

disciplinano il negozio giuridico, e soprattutto le regole codicistiche afferenti alla

materia contrattuale.

In ogni caso, in entrambe le ipotesi l'elemento del “consenso” è innegabile: si

tratterà di vedere, però, se tale consenso assuma rilievo ai fini della effetti “tipici”

51

O meglio un fascio di procedimenti amministrativi, tanti quanti sono gli enti (Agenzie fiscali,

Concessionario della riscossione, Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie)

chiamati ad esprimere il proprio voto in sede di adunanza.

38

dell'istituto, e quale portata esso abbia in concreto.

In particolare, è possibile anticipare sin da subito che il “consolidamento del

debito fiscale” di cui al comma 5 non va inteso in termini di rinuncia volontaria

dell’Amministrazione aderente ad ogni residuo potere accertativo sui tributi e le

annualità oggetto della proposta di transazione fiscale: nel capitolo III sarà

ampiamente argomentata la tesi secondo cui l’ufficio conserva integri i propri poteri

di controllo, potendo esercitarli negli ordinari termini di decadenza ed alle condizioni

previste dalla normativa tributaria. Viceversa, quell'espressione andrebbe piuttosto

intesa come quadro di insieme della complessiva esposizione debitoria dell’impresa

in crisi verso l'Erario52, diretta a fotografare la totalità dei debiti di imposta

precedentemente accertati o comunque già esistenti alla data di presentazione della

proposta di concordato, da riepilogare nella certificazione al fine di ottenerne

l'ammissione al voto e la successiva soddisfazione in moneta concordataria; sicché,

la mancata comprensione di alcune pretese nell'ambito della menzionata

certificazione dovrebbe precluderne la partecipazione alla procedura di concordato.

Il consenso, dunque, non potrebbe avere valore di abdicazione ai propri poteri.

Quanto alla cessazione della materia del contendere nelle liti tributarie

pendenti, nel capitolo IV si vedrà che la peculiare struttura impugnatoria del

processo tributario, connessa al modus operandi del concordato preventivo, ed in

particolare al principio maggioritario e alla regola della vincolatività del concordato

omologato di cui all’art. 184, induce a ritenere che l’Amministrazione finanziaria

abbia comunque interesse all’estinzione del contenzioso in atto. Sicché, l’eventuale

assenso non riguarda principalmente detto effetto estintivo, ma finirà per appuntarsi

piuttosto sulla misura di soddisfacimento offerta dal debitore.

Ma allora, ne deriverebbe che il consenso del soggetto pubblico finirà per

assumere valenza analoga a quello di ogni altro creditore privato: per entrambi i

soggetti, infatti, si tratta di accettare il trattamento proposto in sede concordataria,

esprimendo una valutazione di merito sulla fattibilità del piano, o attuabilità

dell’accordo di ristrutturazione, consistente nel sindacare la sufficienza delle risorse

52

Negli stessi termini si è espressa di recente anche la Corte di Cassazione, in due pronunce datate 4

novembre 2011: il contenuto di tali sentenze sarà meglio esaminato nel prosieguo.

39

destinate alla soddisfazione delle proprie ragioni creditorie e le concrete prospettive

di soddisfacimento.

3. Il “consenso” nel diritto della crisi di impresa e la riconducibilità della

transazione al nuovo trend “privatistico” della legislazione concorsuale.

Quanto appena constatato induce ad una piena riconducibilità della transazione

fiscale agli strumenti di “soluzione negoziale della crisi di impresa”, che la recente

riforma del diritto concorsuale ha inteso valorizzare.

L’intento che ha ispirato il legislatore, infatti, è stato quello incentivare il

ricorso a composizioni concordate (o consensuali) delle crisi, imprimendo alle

procedure concorsuali un più marcato carattere negoziale: sono stati così recepiti gli

auspici di chi proponeva di ricondurre la gestione della crisi al mercato, ed al “diritto

dell’impresa” in generale53.

Si è assistito, dunque, ad una radicale inversione di prospettiva rispetto al

passato.

Secondo la tradizionale concezione del diritto fallimentare, infatti, il problema

della crisi, sorto all’interno del mercato, era sottratto al mercato per essere gestito

dallo Stato nell’ambito di schemi prettamente processuali, di stampo pubblicistico:

nella codificazione commerciale ottocentesca, infatti, il fallimento era concepito

esclusivamente come “vicenda processuale del commerciante”54, secondo

un’impostazione mutuata dal code de commerce, in cui l’istituto manifestava una

spiccata connotazione pubblicistico-processuale, essendo governato dalla figura del

magistrato-commissario. Si discuteva, piuttosto, in merito alla riconducibilità del

fallimento al modello del processo esecutivo collettivo55, o allo schema della

53

In tal senso cfr. B. LIBONATI, Prospettive di riforma sulle crisi dell’impresa, in Giur. comm.,

2001, II, 327 e ss.; ID., Crisi delle imprese e crisi del fallimento, in Dir. fall., 1988, I, 455 e ss.

54

Cfr. G. BONELLI, Del fallimento, F. Vallardi, Milano, 1938 – 1939, I, 2 e ss., secondo il quale “è

nel diritto procedurale che nel sistema generale del diritto va classificato il fallimento”. Negli

stessi termini anche C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, Fratelli Bocca, Milano, 1901,

I, 324, ad avviso del quale il fallimento “appartiene alle leggi processuali, perché ha

essenzialmente lo scopo di far conoscere diritti già esistenti all’apertura del fallimento”.

55

Cfr. A. CANDIAN, Le parti e le fasi del giudizio di verificazione, in Riv. dir. comm., 1933, I, 166 e

ss.; ID., Diritto fallimentare italiano, ivi, 399 e ss.

40

volontaria giurisdizione56, ovvero ancora al paradigma del processo di liquidazione

del patrimonio del fallito57. Alla base della predominante impostazione processuale

dell’istituto, comunque, vi era la convinzione unanime che il fallimento fosse una

procedura di stampo rigorosamente sanzionatorio, diretta ad attuare la responsabilità

patrimoniale del debitore nel caso di inadempimento.

L’unico istituto alternativo al processo di fallimento, che trovava anch’esso la

propria collocazione all’interno del codice del 1882, era la moratoria dei pagamenti;

essa, tuttavia, non aveva dato buona prova di sé, poiché di fatto finiva soltanto per

ritardare l’avvio della procedura fallimentare, avvantaggiando esclusivamente “i

creditori più audaci, più minacciosi e meno scrupolosi”58.

In tale contesto, l’esigenza di evitare le rigide conseguenze personali e

patrimoniali derivanti dal fallimento aveva finito per alimentare il ricorso a strumenti

negoziali di composizione, detta appunto amichevole o “concordata”,

dell’insolvenza, che inizialmente si collocavano al di fuori di ogni tipizzazione

legislativa: l’accordo (o “concordato”) che il debitore siglava con la maggioranza dei

propri creditori, infatti, restava confinato esclusivamente all’area stragiudiziale, tanto

che autorevole dottrina aveva definito tali fenomeni negoziali quali fattispecie

spontanee avvinte l’una all’altra in una “arruffatissima matassa” che spettava solo

all’interprete districare59.

In realtà l’origine del concordato era assai più risalente. Se già la tradizione

giuridica romana aveva elaborato l’istituto del pactum ut minus solvatur, tramite il

quale l’erede di un’eredità oberata da debiti (hereditas damnosa) si accordava con i

creditori del de cuius per una riduzione dei debiti di costui entro i limiti dell’attivo

56

Cfr. F. CARNELUTTI, Natura del processo di fallimento, in Riv. dir. proc. civ., 1937, I, 213 e ss.

57

Cfr. A. BRUNETTI, Natura giuridica del processo di fallimento, in Riv. dir. comm., 1933, I, 666 e

ss.

58

Cfr. L. V. MELIS, voce Concordato preventivo (e piccoli fallimenti), in Enc. giur. it., Soc. Editrice

Libraria, 1914-1936, vol. 3, pt. III, sez. IV, 180. Sulla non felice esperienza della moratoria

disciplinata dal codice di commercio la dottrina era pressoché concorde: cfr. ex multis A.

MAISANO, voce Concordato preventivo, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988, VII, 1.

59

Cfr. E. VIDARI, Corso di diritto commerciale, Ulrico Hoepli, Milano, 1898, IV, 5.

41

ereditario60, è nell’età medioevale che emersero le prime forme di concordato quale

tramandato sino ad oggi. In particolare, la pratica consuetudinaria mercantile,

successivamente trasfusa in vari Statuti comunali italiani, aveva accordato al

mercante, prima che intervenisse la dichiarazione di fallimento, e proprio al fine di

evitarne le disastrose conseguenze, la possibilità di presentarsi di persona dal

magistrato, esibendo il bilancio ed i libri, al fine di chiedere la convocazione dei

creditori per la ricerca di un componimento amichevole dell’insolvenza; il

magistrato, qualora avesse accolto la domanda, concedeva una dilazione di

pagamento, e se durante tale lasso temporale la maggioranza dei creditori avesse

acconsentito, il concordato doveva ritenersi concluso, e ad esso era tenuta a

sottostare anche la minoranza dissenziente61.

La prima tipizzazione normativa dell’istituto si ebbe soltanto con la legge 24

maggio 1903, n. 197, con la quale il concordato venne disciplinato come “procedura

concorsuale” riservata al debitore meritevole, sulla falsariga del modello belga62. La

disciplina sarebbe stata successivamente ritoccata dal regio d.l. 8 febbraio 1924, n.

136, relativo ai concordati siglati da imprese bancarie, e successivamente dalla l. 10

luglio 1930, n. 99563. I citati interventi normativi, comunque, non valsero a scalfire la

60

Notizie circa l’esistenza di pacta ut minus solvatur sono fornite da Ulpiano (cfr. ULP, lib. IV, ad

Edictum; cfr. anche fr. 8 e 10 princ. de pactis, 2, 14, dove si riferisce di un rescritto dell’imperatore

Marco Aurelio che si limitò a dare formam ad un istituto già noto al diritto romano); dalle fonti

emerge che il pactum, ottenuta l’approvazione del pretore, diveniva vincolante anche per la

minoranza dissenziente. Per tali profili storici cfr. A. ROCCO, Il concordato nel fallimento e

prima del fallimento, Fratelli Bocca, Torino, 1902.

61

Cfr. L. V. MELIS, voce Concordato preventivo (e piccoli fallimenti), cit., 177, il quale cita

l’esempio dello Statuto dei mercanti del Comune di Lucca, risalente al 1610. Gli Statuti comunali

prevedevano anche un concordato siglato dopo la dichiarazione di fallimento: cfr. A. ROCCO, Il

concordato nel fallimento e prima del fallimento, cit., 36 e ss.

62

La legge belga, risalente al 1883, riservava il concordato al “debitore onesto ma sventurato” (“de

bonne foi et malheureux”, di cui all’art. 2), volendo premiare la condotta non speculativa, dunque

la moralità, del debitore.

63 Sulla disciplina del “vecchio” concordato preventivo, alla luce delle citate modifiche legislative, cfr.

la dettagliata ricostruzione di L. BOLAFFIO, Il concordato preventivo secondo le sue tre leggi

ispiratrici, Utet, Torino, 1932. Secondo l’A. l’istituto si atteggiava come composizione amichevole

giudiziale del dissesto commerciale, atta a soddisfare tre interessi: principalmente, l'interesse del

debitore ad evitare il fallimento, rovinoso sia economicamente che socialmente, salvaguardando

così il proprio patrimonio e l'avviamento (di cui la liquidazione fallimentare non teneva conto

adeguatamente), oltre che la propria reputazione personale; in secondo luogo, l’interesse dei

creditori, che ottenevano una soddisfazione (sia pure parziale) più rapida e sicura rispetto alla

liquidazione fallimentare; da ultimo, l'interesse pubblico dello Stato alla diminuzione del numero

42

natura giudiziale, ossia processuale, del concordato, sostenuta dalla prevalente

dottrina64, nonostante una diversa e più risalente corrente interpretativa ne avesse

tentato una ricostruzione in chiave negoziale65.

Il paradigma processuale connotava anche la disciplina varata con il r.d. 16

marzo 1942, n. 267, in cui i diversi strumenti elaborati dal legislatore per

fronteggiare la crisi d’impresa (fallimento, concordato preventivo, amministrazione

controllata e liquidazione coatta amministrativa) erano destinati a svolgersi secondo

le regole del processo: di qui la denominazione comunemente invalsa di “procedure

concorsuali”.

Ciò era particolarmente evidente a proposito del fallimento: all’autorità

giudiziaria, che poteva anche attivare l’iter d’ufficio, era riservato il ruolo di dominus

dell’intera procedura66.

Su un piano sostanziale, la dottrina non mancò di rilevare in termini critici che

l’attenzione del legislatore era rivolta quasi esclusivamente all’imprenditore,

dei fallimenti incolpevoli e delle pericolose ripercussioni che essi avevano sul commercio

nazionale.

64

Sul carattere processuale del concordato preventivo cfr. soprattutto A. CANDIAN, Il processo di

concordato preventivo, Padova, 1937, 13 e ss.: “Se dovessi tentarne una definizione, direi che

trattasi di un processo di natura esecutiva concorsuale, aperto dietro certi presupposti su

domanda di un commerciante o di una società commerciale cessanti, avente per obiettivo la

esenzione di costoro dalla espropriazione fallimentare attraverso un pagamento – egualitario e

garentito – di particolare vantaggio per i creditori partecipanti”. Cfr. altresì R. PROVINCIALI,

Trattato di diritto fallimentare, Giuffré, Milano, 1974, IV, 2213 e ss.; ID., voce Concordato

preventivo, in Noviss. Dig. it.,Utet, Torino, 1959, III, 980 e 981, che lo qualifica in termini di

“processo volontario concorsuale di esecuzione”.

65

Cfr. L. BOLAFFIO, Il concordato preventivo secondo le sue tre leggi ispiratrici, cit., 25, che lo

definì come “contratto giudiziale fra il commerciante dissestato e i suoi creditori”, e T.

ASCARELLI, Sulla natura dell’attività del giudice nell’omologazione del concordato, in Riv. dir.

proc. civ., 1928, II, 223. Alcuni Autori, tuttavia, pur ammettendo a natura negoziale del

concordato, non nascosero le venature pubblicistiche che lo connotavano: cfr. soprattutto F.

CARNELUTTI, Sui poteri del tribunale in sede di omologazione del concordato preventivo, in

Riv. dir. proc. civ., 1924, II, 61, che ricondusse l’istituto all’alveo della volontaria giurisdizione

(“il concordato preventivo è essenzialmente un contratto conchiuso fra il debitore e una

determinata maggioranza dei creditori con effetti obbligatori anche per i creditori dissenzienti. In

vista di questa sua efficacia anomala e pericolosa, la legge vuole che questi effetti non si

dispieghino se alcuni requisiti non sono controllati dal Tribunale”). Per una critica rivolta ad

entrambe le tesi (della natura contrattuale o processuale del concordato) cfr. A. BONSIGNORI,

Del concordato, in Commentario della legge fallimentare a cura di A. Scialoja – G. Branca,

Zanichelli, Bologna – Roma, 1977, 135 e ss.

66

Cfr. ex multis A. JORIO, Le procedure concorsuali fra tutela del credito e salvaguardia dei

complessi produttivi, in Giur. comm., 1994, I, 497.

43

soprattutto quello individuale67, piuttosto che all’impresa quale organizzazione dotata

di un suo valore intrinseco68: la disciplina dettata dalla legge fallimentare, pertanto, si

riduceva essenzialmente ad un’espropriazione concorsuale dei beni

dell’imprenditore, considerando così preminenti le ragioni della proprietà rispetto a

quelle dell’impresa, e di riflesso del mercato.

Non migliore erano stato il giudizio espresso dagli interpreti in merito alle

procedure cosiddette “minori”, quali il concordato preventivo e l’amministrazione

controllata. Quanto al primo, molteplici fattori ostavano ad una effettiva diffusione

dell’istituto: tra questi, in particolare, la circostanza che fosse riservato

all’imprenditore “onesto ma sfortunato”69, il rigoroso presupposto rappresentato dal

pagamento integrale dei creditori privilegiati e dal soddisfacimento dei chirografari

in misura non inferiore al 40%, ed ancora il requisito della doppia maggioranza (per

teste e per somma, ossia importo dei crediti) necessaria ai fini dell’approvazione

della proposta. Quanto all’amministrazione controllata, limitata alle imprese in

condizioni di “temporanea difficoltà” nei pagamenti, la dottrina maggioritaria

concordava nel ritenere che i due anni concessi dall’art. 187 rappresentassero un

lasso temporale assolutamente irrisorio per poter risollevare le sorti dell’impresa e

garantire il pagamento integrale di tutti i creditori; per cui la procedura finiva per

risolversi in una sorta di anticamera del fallimento.

Come noto tali criticità, unite alla diffusa insoddisfazione nei confronti delle

67

Per una critica all’assimilazione di fondo delle imprese “collettive”, specie quelle societarie, alle

imprese individuali cfr. A. NIGRO, Procedure concorsuali e società in Italia e in Europa, in Dir.

fall., 2005, I, 614 e ss.; ID., Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle

s.p.a., diretto da G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, Utet, Torino, 1993, IX, 209 e ss.

68

Cfr. G. TERRANOVA, Le procedure concorsuali, in AA.VV., Giuseppe Ferri e il legislatore: atti

del Convegno commemorativo della nascita di Giuseppe Ferri, Jovene, Napoli, 2009, 54, il quale

sottolinea come l’impresa non fosse considerata in alcun modo una realtà separata e diversa dal

relativo titolare.

69

L’accesso al concordato preventivo era circoscritto agli imprenditori che soddisfacessero stringenti

requisiti di “meritevolezza”: ai sensi dell’art. 160, comma 1 “l’imprenditore che si trova in stato di

insolvenza, fino a che il suo fallimento non è dichiarato, può proporre ai creditori un concordato

preventivo secondo le disposizioni di questo titolo se: a) è iscritto nel registro delle imprese da

almeno un biennio o almeno dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, ed ha

tenuto una regolare contabilità per la stessa durata; b) nei cinque anni precedenti non è stato dichiarato fallito o non è stato ammesso a una procedura di concordato preventivo; c) non è stato

condannato per bancarotta o per delitto contro il patrimonio, la fede pubblica, l'economia

pubblica, l'industria o il commercio”.

44

pesanti inefficienze e lungaggini della procedura fallimentare, indussero il

legislatore, dopo un susseguirsi di proposte di riforma mai attuate, ad una radicale

revisione delle procedure concorsuali, varata a cavallo tra il 2005 ed il 2007. Va

detto, soprattutto, che il recente restyling della disciplina dettata dalla legge fall. ha

inteso dare voce alle ragioni ed alle regole del mercato, che imporrebbero il

coinvolgimento attivo del ceto creditorio nella gestione della crisi: è stato affermato

che nel momento in cui il capitale di rischio è interamente perduto, i creditori

dell'imprenditore diverrebbero di fatto “soci senza diritti”, fornendo loro malgrado

capitale di rischio, e dunque finendo per rappresentare i veri interessati alla migliore

gestione e realizzazione del patrimonio dell'impresa debitrice70. Sicché, la soluzione

più efficiente sarebbe quella che trasferisse in capo ai creditori il controllo

dell'impresa in dissesto, attribuendo loro i poteri gestionali, con connesso

arretramento della giurisdizione71.

Il nuovo corso della legislazione della crisi di impresa ha interessato, in primis,

la principale procedura concorsuale, ossia il fallimento: in quest'ottica, si veda ad

esempio il rafforzamento del ruolo del curatore e del comitato dei creditori, con la

retrocessione dei compiti del giudice delegato ad una mera attività di vigilanza e di

controllo della legalità72. Ancora, rilevante è stata l'attenuazione del carattere di

inquisitorio della procedura, uno dei tratti salienti della disciplina originariamente

dettata dalla legge del 1942, grazie all'eliminazione del “fallimento d'ufficio”.

70

In tal senso cfr. L. STANGHELLINI, Le crisi di impresa tra diritto ed economia, Il Mulino,

Bologna, 2007, passim, che conduce un’interessante disamina in chiave comparatistica,

focalizzandosi in particolare sul diritto statunitense. Sull’affidamento dei poteri gestori ai creditori,

quando per effetto della crisi il capitale di rischio risulti azzerato e non rinnovato, cfr. anche B.

LIBONATI, Prospettive di riforma sulle crisi dell’impresa, cit., 327 e ss., secondo cui i creditori

finirebbero per trasformarsi in residual owners dell’impresa in crisi.

71

Si è detto che con la riforma delle procedure concorsuali il legislatore avrebbe inteso attuare una

“disintermediazione” dell'insolvenza, da intendersi ne l senso di un rafforzamento dei vertici

“privati” (debitore e creditori) a scapito dello Stato, che rappresenta il vertice pubblico del

triangolo ideale coinvolto nella gestione dell'insolvenza, ed interviene nelle due diverse forme del

potere giudiziario (sempre necessario) ed amministrativo (il quale può invece mancare): cfr. L.

STANGHELLINI, Creditori “forti” e governo della crisi di impresa nelle nuove procedure

concorsuali, in Fall., 2006, n. 4, 377. Si è parlato anche di “degiuridisdizionalizzazione”: cfr. ad

esempio F. D’ALESSANDRO, Il “nuovo” concordato fallimentare, in Giur. comm., 2008, I, 349.

72

Sulla funzione direttiva del giudice delegato nella disciplina ante riforma cfr. ex multis A.

CANDIAN, Il processo di concordato preventivo, cit., 79 e ss.

45

Ma ciò che va soprattutto messo in luce è il retrocedere dello stesso fallimento,

a fronte della maggiore rilevanza riconosciuta alle procedure ad esso alternative,

tradizionalmente denominate “minori” ed ora, secondo la nomenclatura

maggiormente in voga, definite di “composizione (negoziale) delle crisi”73. L’intento

che la riforma ha inteso perseguire, infatti, è stato quello di evitare drastici sbocchi

liquidatori, puntando ad una conservazione e valorizzazione dell’impresa che passa

attraverso un accomodamento con il ceto creditorio: l’impresa, dunque, viene

considerata nella prospettiva del going concern, ossia come valore da salvaguardare

nel primario interesse di chi abbia fornito i necessari mezzi finanziari, dunque anche

dei creditori. Con un’espressione ad effetto si è parlato di “privatizzazione” della

soluzione della crisi74.

E’ in questo trend che vanno inquadrati sia il concordato preventivo,

significativamente novellato dalla riforma del 2005/2007, sia gli accordi di

ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182bis ed i piani attestati di risanamento di cui

all’art. 67, comma 3, lettera d), che sono stati introdotti ex novo con la medesima

riforma.

Con i due istituti da ultimo menzionati il legislatore avrebbe inteso recepire

altrettanti strumenti elaborati dalla disciplina aziendalistica ed ampiamente collaudati

73

La valorizzazione dell’autonomia negoziale delle parti nella gestione della crisi è stata sottolineata

anche dalla giurisprudenza di merito: parla di rafforzamento delle “soluzioni negoziali della crisi

di impresa”, pur nel persistente dovere del Tribunale di svolgere un preliminare controllo di

legalità, Trib. Roma, 5 novembre 2009, decr., in www.ilcaso.it, I, 1894/2009, in materia di accordi

di ristrutturazione dei debiti. Sempre in tema di accordi cfr. Trib. Roma, 16 ottobre 2006, decr., in

www.ilcaso.it, I, 395/2006, che parla di “trionfo dell’autonomia privata in ambito concorsuale”.

Sulla “netta accentuazione del profilo negoziale” che connota il nuovo quadro normativo in tema

di concordato preventivo, invece, cfr. Trib. Milano, 21 gennaio 2010, decr., in www.ilcaso.it, I,

2208/2010.

74

L’espressione è stata utilizzata per la prima volta da A. JORIO, Le soluzione concordate delle crisi

d’impresa tra “privatizzazione” e tutela giudiziaria, in Fall., 2005, 1453 e ss. Fra gli Autori che

hanno ribadito il concetto cfr. ex multis A. NIGRO, “Privatizzazione” delle procedure concorsuali

e ruolo delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, 363, e B. LIBONATI, Crisi societarie e

governo dei creditori, in Dir. giur., 2007, 10 e ss., secondo il quale la “privatizzazione” non si

esaurirebbe nel maggior peso concesso a determinate figure, bensì esprimerebbe fiducia ed invito

per soluzioni raggiunte in un contesto di autonomia privata, collocate nel gioco del mercato.

Interessante è anche la ricostruzione di F. DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi di impresa,

Giuffré, Milano, 2011, 3 e ss., secondo cui la privatizzazione è da intendersi non come

arretramento della legge tout court, bensì come arretramento del diritto pubblico, di fronte al

prevalere della legge privata. Di “privatizzazione” (o “contrattualizzazione”) parla anche la

giurisprudenza di legittimità: cfr. da ultimo Cass., 15 settembre 2011, n. 18864, in www.ilcaso.it, I,

6740.

46

nella prassi, funzionali a fronteggiare le crisi imprenditoriali nel modo più rapido ed

efficace possibile: i piani di risanamento sono attuati al di fuori di qualsiasi

procedura concorsuale, e dunque di qualsiasi intervento ab externo, laddove gli

accordi di ristrutturazione dei debiti tipizzano, legittimandola, la prassi dei

concordati stragiudiziali, che avevano dato buona prova di sé in passato (il

riferimento corre soprattutto ai concordati siglati da banche ed istituti finanziari)75.

Quanto al “novellato” concordato preventivo, l'intento che ha animato il

legislatore è stato quello di ampliare le possibilità di accesso all'istituto, nonché di

agevolare la buona riuscita del medesimo: quanto al primo profilo si pensi

all'abbandono della vecchia concezione che limitava la fruibilità del concordato

all'imprenditore “onesto ma sfortunato”, che qualcuno aveva definito ormai come

“figurino ottocentesco”. In merito al secondo profilo basti pensare all'eliminazione

del requisito della “doppia maggioranza”, prima indispensabile ai fini

dell'omologazione del piano concordatario, nonché alla possibilità di suddividere il

ceto creditorio in classi.

Con la recente riforma il nostro legislatore ha inteso così adeguarsi alle

tendenze in atto nella legislazione concorsuale della gran parte degli altri Paesi

occidentali76, dove il ricorso all’autonomia negoziale ed a soluzioni concordate della

crisi di impresa è ampiamente collaudato già da diverso tempo. Basti qui solo un

rapidissimo accenno ad istituti quali la Reorganization ed il Prepackaged plan di cui

75

Cfr. soprattutto gli studi di E. FRASCAROLI SANTI, fra cui Il concordato stragiudiziale, Cedam,

Padova, 1984, Effetti della composizione stragiudiziale dell'insolvenza, Cedam, Padova, 1995,

Crisi dell'impresa e soluzioni stragiudiziali, in Trattato del diritto commerciale e del diritto

pubblico dell'economia, diretto da F. GALGANO, Cedam, Padova, 2005, XXVII, 3 e ss. Cfr.

anche R. PROVINCIALI, voce Concordato stragiudiziale, in Noviss. Dig. It., Utet, Torino, 1959,

987 e ss.: il concordato stragiudiziale veniva concepito dall’A. come contratto plurilaterale (ai

sensi dell’art. 1420 c.c.), che il debitore siglava con la maggioranza dei propri creditori, la cui

causa (ex art. 1325, n. 2) era ravvisata nell’intento di evitare il fallimento dell’imprenditore. Sotto

il profilo del contenuto il concordato poteva essere remissorio, dilatorio o misto, ovvero poteva

assumere le forme del contratto di cessione dei beni ai creditori ex art. 1977 c.c. I creditori

dissenzienti dovevano essere pagati regolarmente, mentre il concordato aveva efficacia liberatoria

verso quelli consenzienti (della liberazione parziale potevano fruire sia i fideiussori che i

coobbligati in solido). Ad esso si applicavano le disposizioni codicistiche in tema di nullità,

annullamento, risoluzione e rescissione, con la precisazione che il venir meno dell’accordo aveva

come effetto l’integrale ripristino dello status ante quo.

76

Cfr. F. DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi di impresa, cit., 2, nt. 1, con ampi riferimenti

bibliografici alla letteratura straniera.

47

al Chapter 11 dello U.S. Code (Title 11)77, all'Insolvezplan regolato

dall'Insolvenzordnung (InsO) di diritto tedesco78, ai Company o Individual Voluntary

Arrangements disciplinati dall'Insolvency Act britannico del 1986 (più volte

modificato, da ultimo con l'Enterprise Act del 2002)79, alle nuove procedure di

Conciliation e di Sauvegarde di diritto francese80, allo strumento del Convenio

previsto dalla Ley Concursal spagnola n. 22/200381, all'istituto della

Ausgleichsverfahren disciplinato dalla legge fallimentare austriaca

(Konkursordnung, KO)82.

Tratteggiata per sommi capi l’intonazione privatistica delle “nuove” procedure

concorsuali, così come rimaneggiate dalla recente riforma legislativa “a tappe”83,

occorre ora vedere se e come la transazione fiscale si ponga in sintonia con le linee

guida ispiratrici di detta riforma.

La dottrina maggioritaria che si è occupata dell’istituto di cui all’art. 182ter è

concorde nel ritenere che il medesimo sia perfettamente inquadrabile nell'ambito del

77

Trattasi di procedure concepite come alternative alla Liquidation, che prevedono il superamento

della crisi tramite la formulazione di un piano (anche ad opera di un terzo o del trustee

eventualmente designato dall'autorità giudiziaria) variamente strutturato.

78

Trattasi di un piano o “concordato” che può inserirsi in ogni momento nell'ambito della procedura

concorsuale (che resta comunque unica), predisposto su iniziativa del debitore o del curatore: il

piano può assumere i contenuti più vari, potendo derogare anche a disposizioni legislative.

79

Trattasi di accordi stragiudiziali, conclusi da imprenditori che versino in una condizione di

financial distress, e che consentono agli stessi di rimanere alla guida delle proprie imprese.

80

Tali procedure sono state introdotte dalla Loi n. 2005-845 du 26 juillet 2005 de sauvegarde des

entreprises del 26 luglio 2005: la prima consente al debitore che versi in difficoltà economiche o

finanziarie accertate o comunque prevedibili di ricercare, sotto l'egida del Tribunale, una

sistemazione amichevole con i propri principali creditori; con il secondo il debitore che versi in

difficoltà suscettibili di condurlo alla cessione dei pagamenti può proporre ai creditori un piano di

risanamento, il quale, dopo un periodo di osservazione ed a condizione che riscuota il consenso

delle maggioranze prescritte, può venire omologato dal Tribunale.

81

Trattasi di un concordato consistente nella predisposizione di un piano di risanamento, con finalità

conservative dell'impresa, e tale da comportare una remissione del debito in misura non superiore

al 50% o una dilazione di pagamento non superiore a 5 anni.

82

Tale istituto configura un concordato preventivo che può essere richiesto nell'imminenza dello stato

di insolvenza; anche nel corso del fallimento, comunque, è possibile proporre un concordato con

remissione parziale dei debiti di impresa.

83

L'espressione è di U. APICE: cfr. Le ragioni di una riforma, in Dir. prat. fall., 2006, I, 7 e ss.

48

recente trend legislativo che connota il diritto concorsuale. È invero largamente

diffusa l'opinione che esso abbia lo scopo di rendere più agevole il raggiungimento

di una soluzione concordata della crisi di impresa: l' “accomodamento” con l'Erario,

infatti, risulta spesso indispensabile per la buona riuscita del concordato o

dell'accordo di ristrutturazione, costituendo il debito con il Fisco, assai di frequente,

una parte rilevante, se non maggioritaria, del passivo d'impresa. Del resto la

possibilità di ravvisare nell'istituto caratteri di negozialità non sarebbe nemmeno

preclusa dalla pretesa indisponibilità dell'obbligazione tributaria, in quanto si è visto

che tale concezione risulta oggi largamente superata.

Quanto detto renderebbe anche ragione dei frequenti ritocchi normativi che

hanno interessato la transazione fiscale, e che saranno diffusamente analizzati nel

capitolo II. Basti qui rilevare che non v'è motivo di dubitare che il legislatore, con

tali reiterati interventi, abbia inteso agevolare, proprio per il tramite di un accordo

con l’Amministazione finanziaria, il ricorso a soluzioni pattizie della crisi di

impresa84.

Occorre ribadire, tuttavia, che la transazione non ha carattere negoziale puro,

quanto meno se conclusa nell'ambito di un concordato preventivo. Non è ravvisabile,

infatti, un vero e proprio accordo fra imprenditore ed Amministrazione finanziaria, in

cui alla proposta del primo segue l'accettazione da parte della seconda; l'intera

vicenda, infatti, è destinata a svilupparsi all'interno di una procedura concordataria,

di cui l'istituto contemplato dall'art. 182ter finirà inevitabilmente per condividere la

natura e le sorti. Ed al concordato la dottrina maggioritaria, come del resto la

giurisprudenza di legittimità, tendono ad attribuire carattere procedimentale, pur non

disconoscendone rilevanti elementi di consensualità. La principale conseguenza

dell'asserito carattere procedimentale è la falcidiabilità dell'obbligazione tributaria

anche in caso di voto negativo dell'Erario, come si vedrà meglio in seguito85.

84

Nella Relazione illustrativa al d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169 si legge che l'apertura degli accordi

di ristrutturazione alla transazione fiscale è riconducibile alla volontà legislativa di “eliminare uno

dei maggiori ostacoli all'utilizzo degli accordi stragiudiziali”.

85

Discorso diverso vale per la transazione fiscale conclusa in sede di accordi di ristrutturazione dei

debiti: tale sottospecie di transazione, infatti, risente inevitabilmente del carattere prevalentemente

negoziale dell'istituto di cui all'art. 182bis, rilevato dalla migliore dottrina e giurisprudenza. Sicché

alla luce della disciplina dettata dalla disposizione da ultimo citata ai fini della remissione o

dilazione del debito d’imposta sarà indispensabile il consenso espresso dal creditore Fisco, che

49

Inoltre, atteso il carattere pubblico del soggetto protagonista dell'iter

procedurale di cui all'art. 182ter, quest'ultimo finisce per assumere anche la veste di

procedimento amministrativo: come già detto, infatti, questa duplice connotazione

della transazione fiscale, in termini di procedimento (o meglio sub-procedimento)

concorsuale ed amministrativo al tempo stesso, è un riflesso della sua natura

“ibrida”.

4. Il profilo funzionale della transazione fiscale: la “cristallizzazione” del

debito tributario.

Dato per assodato l’inquadramento della transazione fiscale nell’ambito della

recente tendenza alla valorizzazione delle soluzioni concordate della crisi d’impresa,

è possibile comprendere meglio anche la funzione peculiare e specifica che ad essa è

assegnata.

Sotto questo profilo, la totalità dei contributi dottrinali sul tema ravvisa lo

scopo dell'istituto nella “cristallizzazione” del carico fiscale da ammettere al passivo

concordatario, intendendo l’espressione in termini di definitiva quantificazione del

debito d’imposta da soddisfare in seno ad una procedura di concordato preventivo; la

ratio dell’art. 182ter, in altri termini, risiederebbe nell’esigenza di accelerare e

semplificare le operazioni di quantificazione del debito tributario che operano

all’interno di quella procedura, e che sono sempre state connotate da un’estenuante

lentezza e farraginosità86. Tanto che, secondo autorevole dottrina, questi

inconvenienti costituivano probabilmente uno degli aspetti più critici della disciplina

ante riforma, portando a tardive emersioni dei carichi tributari che in molti casi

sortivano l’effetto di sconvolgere le valutazioni di merito compiute dalla restante

parte del ceto creditorio, alterando la convenienza e soprattutto la fattibilità dei piani

altrimenti andrà inquadrato nel novero dei “creditori estranei”, da soddisfare integralmente.

86

Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, 577

e ss. L'A. critica la restrizione dell'ambito di applicazione dell'istituto al solo concordato

preventivo, considerato che le esigenze di accelerazione e semplificazione delle procedure di

accertamento del debito tributario non sono proprie solo di detta procedura concorsuale. Cfr. anche

G. ROCCO, Il debito fiscale nelle procedure concorsuali (1995 – 2006). Parte prima – I debiti

sorti prima della procedura, inserto redazionale di Dir. prat. trib., 2006, 1072, nonchè L. DEL

FEDERICO, Commento sub art. 182ter, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. JORIO e

coordinato da M. FABIANI, Zanichelli, Bologna-Torino, 2007, 2562.

50

concordatari già approvati87.

D’altra parte il legislatore fallimentare è sempre stato propenso ad accordare ai

crediti tributari una posizione del tutto peculiare rispetto al resto dei crediti ammessi

al passivo concordatario: si veda, ad esempio, l’art. 7 della l. n. 197/1903, che dopo

aver disciplinato l’effetto moratorio conseguente alla presentazione del ricorso per

l’ammissione al concordato (consistente nell’impossibilità di acquistare diritti di

prelazione sopra i beni mobili del debitore, nonché nella sospensione di prescrizioni,

perenzioni e decadenze), prevedeva al comma 3 che “I crediti per tributi diretti, o

indiretti ancora privilegiati, non sono sottoposti agli effetti contemplati dal presente

articolo”88

.

Ancora, sotto il vigore della disciplina originariamente dettata dal r.d. n.

267/1942, sia pure nel contesto di istanze volte ad un attenuazione del carattere

rigidamente procedimentalizzato della medesima, si era osservato che comunque era

necessario distinguere la classe dei “creditori di impresa” in senso stretto dai

“creditori non di impresa”, fra cui il Fisco: se ai primi era riservato il potere gestorio

nel caso di mancato rinnovamento del capitale di rischio, i secondi andavano

soddisfatti nella loro pretesa nominale. E per questi ultimi l’estraneità alla vicenda

imprenditoriale propriamente detta avrebbe legittimato la deroga alla par condicio

creditorum, con la conseguente necessità di un pagamento integrale, dato che le

relative ragioni creditorie si connotavano immediatamente per una riconosciuta

valenza di interesse generale, quale la garanzia del gettito tributario89

.

87

Cfr. G. TERRANOVA, Le procedure concorsuali. Problemi d'una riforma, Giuffrè, Milano, 2004,

12.

88

La ragione dell’esenzione dagli effetti moratori previsti da tale disposizione era stata ravvisata nella

speciale natura dei crediti tributari, “più politici che civili, della cui esazione non puossi fare a

meno, e non puossi disconoscere il loro privilegio ad impedirne gli atti esecutivi”: cfr. L. V.

MELIS, voce Concordato preventivo (e piccoli fallimenti), cit., 205. L’A. prosegue affermando

che “Comune, Provincia e Stato devono far fronte al soddisfacimento dei bisogni collettivi, di

assoluta urgenza e necessità per i cittadini, e devon venir messi in grado di essere certi della

riscossione integrale [...]. Rimane in tal senso giustificato lo speciale ed eccezionale privilegio, e

la speciale esenzione dall’effetto moratorio, sia che agiscano sui mobili che sugli immobili del

debitore. Devesi però trattare di tributi diretti, o indiretti, che ancora godono di privilegio

secondo il codice civile; perchè altrimenti sarebbero da trattarsi alla stregua di tutti gli altri

crediti ordinari e chirografari; devono riflettere i tributi dell’anno in corso, nel quale si fanno

valere i diritti, o quanto meno dell’anno precedente”.

89

Cfr. B. LIBONATI, Prospettive di riforma sulla crisi dell’impresa, cit., 331.

51

Al fenomeno delle rinvenineze di nuovi crediti tributari in corso di procedura si

cercò di trovare adeguato rimedio già nel corso dei lavori della prima Commissione

Trevisanato: entrambi gli schemi di disegno di legge delega licenziati in data 20

giugno 200390, tra i criteri direttivi cui il Governo avrebbe dovuto attenersi nel

riformare la disciplina concorsuale, prevedevano all'art. 17, lettera a) “un

procedimento amministrativo volto al rilascio, da parte dell'amministrazione

finanziaria e degli enti gestori dei rapporti contributivi ed entro breve termine

dall'apertura delle procedure di cui agli artt. 4 e 5 (ossia i procedimenti di

“composizione concordata della crisi” e “liquidazione concorsuale”, n.d.r.), di una

certificazione dei debiti tributari e contributivi maturati fino all'ultimo periodo di

imposta liquidato ovvero per il quale risultano effettuati versamenti; in caso di

silenzio dell'amministrazione competente, si devono intendere non esistenti gli oneri

predetti”. Ancora, la lettera b) del medesimo art. 17 prevedeva anche “la possibilità,

da parte dell'amministrazione finanziaria e degli enti impositori, di transigere le liti

relative ai soggetti per i quali sono aperte le procedure di cui agli artt. 4 e 5, se

risulta la convenienza rispetto alle attività di riscossione coattiva ovvero in rapporto

al prevedibile esito delle procedure concorsuali, nonché l'assenza di pregiudizio per

gli altri creditori”.

Analoghe disposizioni erano contenute nello schema di disegno di legge

ordinaria elaborato dalla seconda Commissione Trevisanato91. L’intento di tali

previsioni è illustrato in modo eloquente dalla Relazione di minoranza al predetto

schema, in cui si legge che “uno dei fattori esterni al fallimento e alle altre

procedure concorsuali che maggiormente condiziona l'efficienza delle procedure è

quello del ruolo degli obblighi fiscali e del Fisco quale creditore. L'aspetto fiscale

delle operazioni svolte in ambito concorsuale ha assunto nel tempo un'importanza

sempre maggiore, per una complessa serie di motivi. La complessità della materia,

frammentaria e disorganica, l'atteggiamento dell'amministrazione finanziaria, che

spesso “scarica” sul curatore tutti gli adempimenti fiscali che facevano capo

all'imprenditore, considerando il professionista alla stregua di un sostituto del

90

Entrambi consultabili in Dir. fall., 2003, I, 2064 e ss.

91

Consultabile in Fall., 2004, Speciale riforma, 5 e ss.

52

fallito e la procedura come il presupposto per attivare provvedimenti sanzionatori a

tutela dell'interesse erariale, in modo non sempre collegato alla complessa serie di

altri interessi pubblici e privati coinvolti nelle procedure concorsuali”.

Nonostante il “naufragio” di quei progetti il legislatore della riforma ha

recepito, per ciò che qui interessa, il punto relativo alla determinazione del carico

fiscale, mercè un apposito iter procedimentale92 teso al rilascio, entro il termine di

trenta giorni dal deposito dell’istanza, di una “certificazione” dei crediti tributari, al

fine di conseguire il “consolidamento” dei medesimi.

Come si vedrà diffusamente nel capitolo III la locuzione “consolidamento del

debito fiscale” è intesa da una parte della dottrina come rinuncia definitiva

dell’Amministrazione finanziaria ai propri residui poteri accertativi, il cui esercizio

andrebbe dunque concentrato in quel ridotto lasso temporale. Nel prosieguo saranno

illustrate le ragioni che inducono a rigettare tale interpretazione, basate da un lato

sull’incapacità dell’art. 182ter di introdurre deroghe alla normativa tributaria (ed in

primis alle disposizioni di legge che disciplinano che disciplinano l’esercizio di quei

poteri), e dall’altro sull’esigenza di conciliare l’istituto con i principi generali che

governano la procedura concordataria.

Giova tuttavia anticipare sin da ora, con riferimento a questo secondo aspetto,

la soluzione interpretativa proposta nel presente lavoro: la funzione del

consolidamento risiederebbe esclusivamente nella fissazione definitiva del carico

tributario da ammettere al passivo concordatario, sia ai fini del voto sia in vista della

successiva fase esecutiva, funzionale ad escludere la successiva emersione di debiti

tributari ulteriori, già esistenti ma non ricompresi nelle prescritte certificazioni. In

altri termini sarà l’ammontare del credito fiscale determinato in via definitiva

all’esito del “sub-procedimento” transattivo a determinare il “peso” del voto ad esso

spettante in adunanza, nonché la base su cui applicare le percentuali di

soddisfacimento indicate nella proposta di concordato.

Il legislatore della riforma dunque avrebbe fatto proprie le medesime esigenze

di fondo che avevano ispirato il menzionato art. 17 del primo progetto Trevisanato:

92

A differenza dei progetti elaborati dalla Commissione Trevisanato, l’art. 182ter non parla

espressamente di “procedimento amministrativo”: tuttavia, nonostante tale silenzio, è indubbia la

qualificazione della transazione fiscale in tali termini, come si vedrà meglio oltre.

53

se questo prevedeva espressamente che il “silenzio dell'Amministrazione

competente” era da intendersi come inesistenza di oneri tributari ulteriori (rispetto a

quanto indicato nella proposta del debitore), lo stesso potrebbe sostenersi a proposito

dell’art. 182ter, che, sia pure con una terminologia non del tutto chiara, lascerebbe

intendere che l’inerzia dell’ufficio determini il “congelamento” delle obbligazioni

tributarie quantificate unilateralmente dal debitore nella proposta di transazione, ai

soli effetti tuttavia della procedura concorsuale in corso, ferma restando l’eventualità

di nuovi accertamenti successivi. L'esigenza di definire il carico tributario già

esistente alla data della proposta, evitando emersioni tardive dello stesso (con

salvezza, lo si ribadisce, delle pretese derivanti da ulteriori ed eventuali controlli di

merito, sempre possibili sino alla scadenza dei termini decadenziali previsti dalla

normativa tributaria), non può essere infatti lasciata in balia dell'Amministrazione

finanziaria e dei possibili atteggiamenti colposamente omissivi della medesima.

Anche con riferimento all'ulteriore effetto “tipico” di cessazione della materia

del contendere di cui al comma 5 dell’art. 182ter non può essere disconosciuto un

richiamo implicito alla “facoltà di transigere le liti pendenti”, contemplata dal

disegno di legge delega del 2003, con una rilevante differenza di fondo: se l’art. 17,

lettera b) di quel progetto accordava all’Amministrazione la sola possibilità di optare

per una cessazione anticipata del contenzioso in essere, previo adeguato

bilanciamento dei contrapposti interessi ivi esplicitamente menzionati (convenienza

della soluzione transattiva per l’Erario da un lato, salvaguardia delle altrui ragioni

creditorie dall’altro), la disposizione di cui al comma 5 dell’art. 182ter sembrerebbe

prefigurare l’estinzione del contenzioso come effetto automatico dell’omologazione

del concordato, indipendentemente dal voto favorevole dell’ufficio.

Ma allora occorre rilevare che ambedue i menzionati effetti “tipici” della

transazione fiscale sembrerebbero prescindere dall'assenso del Fisco: nel senso che la

cristallizzazione del debito d’imposta opererà comunque, anche nel caso in cui

l'Erario abbia votato contro la proposta di transazione, oppure non abbia espresso

alcun voto in adunanza, ovvero ancora non abbia proceduto al rilascio della

certificazione. Si tratta di un profilo di particolare interesse, che tuttavia non sembra

scalfire l’inquadramento dell’istituto nel novero degli strumenti di soluzione

concordata della crisi: anche perché l’attivazione di una transazione fiscale è limitata

54

alle sole procedure di concordato preventivo ed accordi ex art. 182bis.

55

CAPITOLO II.

EVOLUZIONE NORMATIVA E CARATTERISTICHE DELL'ISTITUTO

1. Il precedente storico: la transazione dei tributi iscritti a ruolo ai sensi

del d.l. n. 138/2002.

Il carattere “ibrido” della transazione fiscale, quale fattispecie a cavallo fra

normativa tributaria e disciplina concorsuale, consente di comprendere meglio alcuni

dei profili più problematici sollevati dall’art. 182ter. Il presente capitolo è appunto

dedicato alla disamina di tali aspetti.

Occorre premettere che la transazione fiscale non è un istituto del tutto nuovo

per il nostro ordinamento giuridico, trovando il suo antecedente storico nella oramai

abrogata “transazione dei tributi iscritti a ruolo” (nota anche come “transazione sui

ruoli” o “esattoriale”) di cui all'art. 3, comma 3 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138,

convertito con l. 8 agosto 2002, n. 178. Tale provvedimento legislativo venne

ribattezzato dalla dottrina come “decreto salva-Lazio” o “salva-calcio”, dal momento

che la fattispecie ivi contemplata, introdotta con lo strumento della decretazione

d’urgenza, era essenzialmente finalizzata a fronteggiare la gravissima esposizione

debitoria di alcune società calcistiche, in primo luogo la Lazio, nei confronti

dell'Erario93.

La norma, la cui formulazione apparve sin da subito piuttosto lacunosa ed

ambigua, è stata oggetto di una circolare interpretativa dell'Agenzia delle Entrate, la

93

La norma di cui all’art. 3, comma 3 così recitava: “L'Agenzia delle entrate, dopo l'inizio

dell'esecuzione coattiva, può procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo dai propri uffici

il cui gettito è di esclusiva spettanza dello Stato, in caso di accertata maggiore economicità e

proficuità rispetto alle attività di riscossione coattiva, quando nel corso della procedura esecutiva

emerga l'insolvenza del debitore o questi è assoggettato a procedure concorsuali. Alla transazione

si procede con atto approvato dal direttore dell'Agenzia, su conforme parere obbligatorio della

Commissione consultiva per la riscossione di cui all'art. 6 del decreto legislativo 13 aprile 1999,

n. 112,, acquisiti altresì gli altri pareri obbligatoriamente prescritti dalle vigenti disposizioni di

legge. I pareri si intendono rilasciati con esito favorevole decorsi 45 giorni dalla data di

ricevimento della richiesta, se non pronunciati espressamente nel termine predetto. La transazione

può comportare la dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo anche a prescindere dalla

sussistenza delle condizioni di cui all'art. 19, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 602/1973”. Va segnalato

che il decreto n. 138, nella sua versione originaria, prevedeva la possibilità di transigere soltanto i

tributi iscritti a ruolo per importi complessivamente superiori a 1,5 milioni di euro; tale limite

minimo venne successivamente eliminato ad opera della legge di conversione.

56

n. 8/E del 4 marzo 200594, emanata a distanza di ben 2 anni dalla data di entrata in

vigore del decreto (23 febbraio 2003), segno eloquente del disinteresse di fondo e

soprattutto del timore dell'Amministrazione finanziaria verso un istituto dalla portata

innovativa assolutamente dirompente: esso infatti rappresentava una svolta radicale

rispetto al dogma dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria, all'epoca ancora

fortemente radicato nel nostro ordinamento giuridico. Del resto, anche la quasi

totalità dei contributi dottrinali editi sul tema non ha mancato di sottolineare il vulnus

che la transazione esattoriale avrebbe inferto al principio della incommerciabilità

delle pretese erariali: comparata agli istituti che l'avevano preceduta (in primis

accertamento con adesione e conciliazione giudiziale), rispetto ai quali la dottrina

maggioritaria, come si è visto nel capitolo introduttivo, aveva avuto gioco facile nel

contestarne la natura propriamente transattiva o latamente negoziale, riconducendoli

viceversa all'alveo degli atti amministrativi unilaterali concernenti pretese impositive

non ancora definitive, la transazione sui ruoli, traducendosi nella rinuncia ad una

porzione del credito erariale definitivamente accertato, rappresentava un autentico

punto di rottura rispetto alla consolidata tradizione giuridica95. Tanto che l'Agenzia

delle Entrate, come si legge nel menzionato documento di prassi96, a fronte del

carattere fortemente innovativo della norma e delle numerose problematiche

interpretative che la medesima poneva, aveva reputato necessario acquisire il

preventivo parere del Consiglio di Stato su taluni aspetti ritenuti determinanti ai fini

della concreta applicazione dell'istituto.

Venendo ad un esame più approfondito della disciplina di cui al citato art. 3, va

detto che la disposizione prevedeva la possibilità per l'Agenzia delle Entrate di

94

“Riscossione – Transazione dei tributi iscritti a ruolo – Art. 3, comma 3, del decreto legge 8 luglio

2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178”, varata dalla

Direzione Centrale Accertamento dell'Agenzia delle Entrate e reperibile sul sito

www.agenziaentrate.gov.it.

95

Cfr. ex multis A. MERCATALI, La transazione, in sede esecutiva, sulle somme iscritte a ruolo per

imposte statali, in Boll. trib., n. 20/2004, 1467, nonché M. BASILAVECCHIA, La transazione dei

ruoli, in Corr. trib., n. 15/2005, 1217, il quale, nel suo commento alla circolare n. 8/E dell'Agenzia

delle Entrate, parlava di “valenza iconoclasta (della disposizione di cui all’art. 3, comma 3, n.d.r.)

rispetto ad un mito, quello della irrinunciabilità della pretesa tributaria”. Ancor prima, leggasi

l’opinione espressa dallo stesso autore in Azione impositiva ed economicità , in Corr. trib., n.36/

2002, 3223.

96

Cfr. soprattutto p. 2.

57

addivenire ad una “transazione” con il contribuente avente ad oggetto tributi iscritti a

ruolo il cui gettito fosse di esclusiva spettanza dello Stato, al ricorrere di taluni

presupposti rigorosamente individuati dal legislatore. In particolare, ai fini della

proponibilità della soluzione transattiva era necessario che: a) fosse già iniziata

l'azione esecutiva da parte del concessionario della riscossione; b) nel corso di

siffatta procedura esecutiva fosse emersa l'insolvenza del debitore o questi fosse

stato assoggettato a procedure concorsuali; c) fosse comprovata la convenienza della

soluzione transattiva per l'Agenzia delle Entrate, sotto il profilo di una “maggiore

economicità e proficuità della stessa rispetto alla procedura di esecuzione coattiva”.

In ordine alla necessità che la transazione avesse ad oggetto tributi iscritti a

ruolo, parte della dottrina aveva chiarito che l'iscrizione a ruolo poteva essere

indifferentemente a titolo definitivo, ex art. 14 del d.P.R. n. 602/1973, o provvisorio,

ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto97: se nel primo caso il debito d’imposta è

definitivamente determinato nel suo esatto ammontare (risultando ad esempio da un

provvedimento impositivo non impugnato nei termini o da una sentenza passata in

giudicato), nella seconda evenienza l'an e il quantum del tributo derivano da un titolo

ancora precario, in quanto oggetto di contestazione o tuttora astrattamente

impugnabile. Altri, invece, ritenevano che la locuzione “transazione” dovesse

intendersi in senso tecnico, conformemente al disposto di cui all'art. 1965, comma 1

c.c. in materia di contratto di transazione, il quale richiede l'esistenza di una lite,

attuale o anche solo potenziale: pertanto, l’istituto introdotto dal legislatore tributario

poteva concernere soltanto i ruoli provvisori, ossia essenzialmente gli importi ancora

sub iudice98. Sul punto la posizione dell'Agenzia delle Entrate non era

97

Cfr. F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso o stravaganza normativa? (appunti

a margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002), in Boll. trib., n. 18/2002, 18, 1301; F.

PACE, Transazione dei debiti iscritti a ruolo: i dubbi della nuova disciplina, in Forum fiscale n. 1

del novembre 2002, 33; L. FERRAJOLI, Il Fisco “tratta” sui maxi-debiti a ruolo, in Il Sole 24

Ore del 18 novembre 2002. Sono iscritte a ruolo a titolo definitivo: le imposte e le ritenute alla

fonte liquidate ai sensi degli artt. 36bis e 36ter del d.P.R. n. 600/1973; le imposte, le maggiori

imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base ad accertamenti divenuti definitivi; i redditi

dominicali dei terreni e i redditi agrari determinati in base alle risultanze catastali; i relativi

interessi, soprattasse e pene pecuniarie. L'art. 15 dispone l'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio

delle imposte, dei contributi e dei premi corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non

ancora definitivi, nonché i relativi interessi, a seguito della notifica dell'atto di accertamento e per

un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati.

98

Cfr. E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, in Boll. trib.,

58

sufficientemente chiara, non specificando la circolare interpretativa del 2005 se la

transazione esattoriale potesse avere ad oggetto esclusivamente imposte definitive o

anche tributi soltanto provvisori99.

La formulazione letterale dell'art. 3, comma 3 portava poi ad escludere

dall'ambito applicativo dell'istituto tributi il cui gettito non fosse di esclusiva

spettanza dello Stato, ancorché si trattasse di imposte amministrate dagli Uffici

dell'Agenzia delle Entrate in forza di apposite convenzioni siglate con gli enti titolari

della relativa potestà impositiva: fra i tributi esclusi la circolare n. 8/E menzionava

espressamente l'Irap100, le addizionali Irpef, i tributi locali e le tasse automobilistiche.

Era poi discusso se tra i tributi “patteggiabili” potesse includersi anche l'Iva, essendo

questa un'imposta di origine comunitaria il cui gettito era parzialmente destinato al

finanziamento del bilancio dell'Unione Europea: trattasi di una questione che è stata

a lungo dibattuta, come meglio si vedrà, anche con riferimento alla “nuova”

transazione fiscale di cui all'art. 182ter, prima dell'intervento chiarificatore operato

con il d.l. n. 185/2008101.

Inoltre, riferendosi il legislatore ai soli “tributi” iscritti a ruolo, la dottrina

maggioritaria giunse alla conclusione che la transazione esattoriale non potesse

estendersi alle sanzioni, mentre gli interessi, in quanto qualificabili come “accessori”

n. 20/2003, 1466.

99

Sulla lacunosità del menzionato documento di prassi cfr. T. LAMEDICA, Imposte che possono

essere “patteggiate”, in Corr. trib., n. 14/2005, 1101, secondo il quale comunque non sarebbe

fuori luogo pensare che la transazione dovesse attenere all'intero carico tributario iscritto a ruolo,

senza distinguere fra imposte definitive ed imposte solo provvisorie.

100

Cfr. anche E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit.,

1465: l'A. affermava chiaramente che essendo l'Irap tributo di spettanza della Regione nel cui

territorio è realizzato il valore della produzione netta, ai sensi dell'art. 15 del d. lgs. n. 446/1997,

non avrebbe dovuto essere consentito transigere anche questa imposta.

101

M. BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli, cit., 1218, riteneva che fosse eccessivo

considerare il gettito Iva come di “non esclusiva spettanza dello Stato”, nel senso di escludere

radicalmente l'imposta sul valore aggiunto dal novero dei tributi transigibili. In tal senso anche R.

RIZZARDI, Tributi a rate? La UE perplessa, in Il Sole 24 ore dell'11 marzo 2005, e T.

LAMEDICA, Imposte che possono essere “patteggiate”, cit., 1102, secondo cui anche l'Iva

poteva formare oggetto di transazione, nonostante detta soluzione sicuramente prestasse il fianco

ad indubbi problemi di legittimità comunitaria, poiché ”l'Unione europea potrebbe ritenere che lo

“sconto” sul debito IVA equivalga ad un (non consentito) aiuto di Stato”.

59

del tributo, avrebbero potuto essere transatti102.

Quanto alla necessità che fosse stato già avviato il procedimento di esecuzione

coattiva, in dottrina era stata ravvisata l'opportunità di interpretare il dato normativo

in modo rigoroso, nel senso di non ritenere sufficienti a tal fine l'iscrizione a ruolo

del tributo né la successiva notifica della cartella esattoriale, ma essendo altresì

necessario l'atto di pignoramento notificato dal concessionario della riscossione103.

In merito, poi, al presupposto di cui alla lettera b), la dottrina aveva rimarcato

la necessità di distinguere lo stato di “insolvenza” del contribuente dal suo

“assoggettamento a procedura concorsuale”, interpretando la norma nel senso che le

due condizioni dovessero considerarsi alternative104. In particolare, assodato che

accanto alla nozione di insolvenza propria del diritto fallimentare, intesa come

incapacità di adempiere regolarmente al complesso delle proprie obbligazioni, e

quindi come situazione di totale dissesto patrimoniale, era possibile enucleare una

nozione “civilistica” di insolvenza, ricorrendo più volte questo termine nel codice

civile con il significato, meno stringente, di incapacità di soddisfare una o più

obbligazioni105, la dottrina era divisa fra chi optava per la prima soluzione

interpretativa, sicuramente più restrittiva106, e chi invece era propenso ad intendere

102

Cfr. E BELLI CONTARINI, , La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1466. La

circolare n. 8/E, invece, considerava anche le sanzioni come “accessori” del tributo (cfr. pp. 7 e 8).

103

Sulla necessità del pignoramento anche nell'esecuzione coattiva dei crediti tributari cfr. C.

ASPRELLA, La nuova esecuzione esattoriale, in Le nuove leggi civili commentate, 1999, 840, e

M. C. GIORGETTI, La nuova esecuzione esattoriale, in Riv. esec. forz., 2000, 273. In tal senso si

era espressa anche la circolare interpretativa dell'Agenzia delle Entrate (cfr. p. 5).

104

Cfr. M. L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, in

Riv. dir. trib., 2005, I, 488: secondo l’A., pur essendo l'insolvenza presupposto indefettibile per

l’avvio di una procedura concorsuale, il legislatore avrebbe voluto intendere la prima come

condizione (di accesso alla transazione) autonoma e alternativa rispetto alla seconda, in quanto la

coincidenza fra le due poteva pur sempre mancare, sia sotto il profilo soggettivo, laddove

l'incapienza del patrimonio si fosse manifestata rispetto a contribuenti non assoggettabili a

procedure concorsuali, sia sotto il profilo temporale, quando, pur essendosi già manifestato lo stato

di insolvenza, non era stata ancora avviata alcuna procedura concorsuale.

105

La distinzione fra “insolvenza civile” e “insolvenza fallimentare” è stata messa in luce soprattutto

da G. RAGUSA MAGGIORE in Fallimento. I) Presupposti del fallimento, in Enc. Giur.,

Treccani, Roma, 1989, 3 e ss.

106

Cfr. E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1465:

l’A. giustificava l'adozione della nozione “fallimentare” di insolvenza, indubbiamente più rigida di

quella “civilistica”, in base alla considerazione che l'istituto della transazione sui ruoli comportava

una deroga al principio generale di irrinunciabilità della potestà di imposizione, circostanza questa

60

l'insolvenza di cui alla lettera b) in termini civilistici107. Quanti avevano abbracciato

questa seconda interpretazione non mancavano però di sottolineare le incertezze

derivanti dalla circostanza che nel codice civile il termine “insolvenza” non

compariva con un significato univoco: se alcune norme, infatti, intendono

l'insolvenza come incapienza attuale del patrimonio del debitore rispetto ad uno o più

crediti, ravvisandola dunque nella situazione concreta in cui egli versa dopo

l'infruttuoso esperimento di un'azione esecutiva108, in altre disposizioni codicistiche il

termine denota piuttosto una generica situazione di pericolo astratto per il creditore

in merito alla soddisfazione del proprio diritto109. La migliore dottrina propendeva

per la prima accezione del termine, ravvisando dunque il presupposto oggettivo per

l'attivazione di una transazione esattoriale nella situazione di conclamata

insufficienza dei beni del debitore-contribuente al soddisfacimento delle ragioni

creditorie dell'Erario, salvo poi rilevare criticamente la non idoneità

dell'Amministrazione finanziaria ad accertare tale condizione economica, mancando

delle prerogative proprie dell'autorità giudiziaria110. Viceversa la circolare

che avrebbe dovuto ostacolare un'estensione eccessiva del relativo ambito di applicazione,

dovendo la transazione risultare legittima nelle sole ipotesi in cui il debitore versi in uno stato di

totale dissesto patrimoniale, tale da non poter soddisfare nessuno dei propri creditori, ivi compresa

l'Amministrazione finanziaria.

107

Cfr. M.L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, cit.,

489.

108

Rientrano in questo primo gruppo di norme l'art. 1274 (il quale disciplina gli effetti dell'insolvenza

del nuovo debitore nell'ambito della delegazione di pagamento), l'art. 1299, comma 2 (in materia

di effetti dell'insolvenza di uno dei condebitori in solido), l'art. 1313 (che regola il caso

dell'insolvenza di uno dei condebitori in solido nel caso in cui il creditore abbia rinunciato alla

solidarietà) e l'art. 1954 (il quale detta la normativa da applicarsi ai rapporti fra più fideiussori, nel

caso di insolvenza di uno di essi).

109

Rientrano in questo secondo gruppo di disposizioni l’art. 1626 (che prevede la risoluzione del

contratto d'affitto per insolvenza dell'affittuario), l’art. 1833 (che disciplina l'ipotesi di recesso dal

contratto di conto corrente per insolvenza dell'altra parte), l’art. 1868 (che prevede il riscatto della

rendita nel caso di insolvenza del debitore), l’art. 1943, comma 2 (il quale dispone che nel caso di

successiva insolvenza del fideiussore, qualora sia previsto l’obbligo di prestare fideiussione, deve

esserne dato un altro): trattasi di fattispecie in cui l'insolvenza non deve essersi manifestata a

seguito dell'infruttuoso esperimento dell'esecuzione forzata, ma configura una semplice situazione

di pericolo per le ragioni creditorie.

110

Cfr. M.L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo,

cit.,, 489 e 490: atteso che in assenza di un accertamento giudiziale dello stato di insolvenza

sarebbe spettato all'Amministrazione finanziaria valutare la condizione economica del

contribuente, per verificare l'effettiva inidoneità del suo patrimonio all'integrale soddisfazione del

credito tributario, “qualche perplessità sorge in merito alla possibilità per un organo

61

dell'Agenzia delle Entrate aveva optato chiaramente per la nozione “fallimentare” di

insolvenza, richiamando all'uopo l'art. 5 legge fall., e quindi attribuendo rilievo

determinante a tutti quegli elementi che, secondo la consolidata giurisprudenza di

legittimità in tema di onere della prova, potevano essere considerati indizi dello stato

di insolvenza111; salvo poi escludere la possibilità di concludere accordi transattivi

con debitori che rivestivano la qualifica di imprenditori commerciali assoggettabili a

fallimento, stante il rischio dell’eventuale revocatoria fallimentare delle somme

ottenute in pagamento durante il periodo sospetto nell’ipotesi di successiva

dichiarazione di fallimento112.

Nel caso di transazione promossa nell'ambito di una procedura concorsuale,

non avendo il legislatore precisato nulla al riguardo, era lasciato all'interprete il

compito di tener conto della diversa morfologia delle varie procedure, chiarendo per

ognuna di esse quali dovessero essere le concrete modalità operative della

transazione esattoriale: ad esempio, se nel concordato preventivo sarebbe stato

l'imprenditore a manifestare la volontà di transigere, nel fallimento la legittimazione

sarebbe spettata al curatore. La dottrina non mancò di sottolineare gli innumerevoli

inconvenienti che l'applicazione pratica dell'istituto avrebbe incontrato nell'ambito

delle varie procedure concorsuali: quanto al fallimento lo scopo della transazione,

ravvisabile nell'ottenere la somma concordata con il debitore immediatamente, o

comunque con una certa sollecitudine, non sarebbe stato agevolmente attuabile, dato

amministrativo di accertare tale condizione, mancando delle prerogative e dei poteri propri

dell'autorità giudiziaria” .

111

Il documento di prassi richiamava esemplificativamente l'esistenza di procedimenti esecutivi

mobiliari e/o immobiliari avviati da terzi creditori, l'esistenza di iscrizioni ipotecarie giudiziali e la

presentazione di ricorsi per fallimento, tutti elementi oggettivamente riscontrabili (sia pure di

valore relativo), che indurrebbero a ritenere che il debitore non è più in grado di soddisfare

regolarmente le obbligazioni scadute.

112

Cfr. pp. 6 e 7, dove si diceva che il pagamento ricevuto dall'Amministrazione finanziaria in

esecuzione di una transazione esattoriale sarebbe stato un normale atto dispositivo assoggettabile a

revocatoria fallimentare, nonostante esso riguardasse imposte ormai scadute, in relazione alle quali

l'art. 89 del d.P.R. n. 602/1973 dispone l'esenzione da revocatoria; gli stessi timori erano stati

condivisi anche dal Consiglio di Stato nel parere reso in materia di transazione esattoriale, ivi

menzionato. La circolare, comunque, ammetteva un'eccezione, consentendo la stipula di un

accordo transattivo anche con debitori fallibili qualora esso fosse stato inserito in un piano di

riassetto dell'impresa e di ristrutturazione dei debiti che prevedesse il coinvolgimento di tutti i

creditori, precisando che in tal caso sarebbe necessario che i creditori assistiti da privilegio di

grado pari o superiore a quello dell'Erario avessero prestato il loro assenso all'accordo transattivo.

62

che le regole del concorso prevedono che il pagamento debba avvenire in sede di

riparto dell'attivo, non configurando le pretese erariali una specifica ipotesi di credito

prededucibile113. Ancora, con riferimento all'ipotesi di transazione esattoriale

proposta nell'ambito di un concordato fallimentare, se era possibile ottenere un

pagamento più celere, senza la necessità di sottostare alle lungaggini proprie della

liquidazione dell’attivo, sarebbe stato comunque opportuno per l’Erario chiedere

l’inserimento, nella proposta di cui all’art. 124 legge fall., di clausole a garanzia di

detto pagamento, quali ad esempio una condizione sospensiva o risolutiva, sulla cui

apponibilità, tuttavia, non vi è ancora unanimità di vedute fra gli interpreti114.

Un tema ampiamente discusso in dottrina concerneva la possibilità di

ricondurre al novero delle “procedure concorsuali” di cui all'art. 3 anche

l'amministrazione controllata, il cui presupposto era legislativamente individuato

nella condizione di “temporanea difficoltà di adempiere”, ben diversa dallo stato di

insolvenza115.

La terza ed ultima condizione prevista dal legislatore per accedere all'istituto de

quo era rappresentata dalla maggiore “economicità e proficuità” della transazione

esattoriale rispetto all'esecuzione coattiva, sia individuale che concorsuale: in altri

termini l'Amministrazione finanziaria avrebbe potuto dar corso alla transazione sui

113

Cfr. L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione

individuale, in Fall., 2003, 1035 e 1036: secondo questo A., sarebbe stata proprio la difficoltà di

ottenere un rapido pagamento dell'importo concordato a costituire un deterrente alla concreta

applicazione dell'istituto, l'utilizzo del quale avrebbe finito per essere limitato ai soli fallimenti non

particolarmente ricchi o privi addirittura di ogni attivo.

114

Se la giurisprudenza di legittimità, infatti, si è pronunciata in senso favorevole ad un concordato

fallimentare risolutivamente condizionato (cfr. Cass., 8 agosto 1990, n. 8009, in Dir. fall., 1991, II,

331), la giurisprudenza di merito e la dottrina maggioritaria non ammettono l'apposizione di

termini e condizioni (cfr. Trib. Cassino, 10 maggio 1989, in Fall., 1989, 855; in dottrina cfr. A.

BONSIGNORI, Del concordato, cit., 173, nonché F. FERRARA, voce Concordato fallimentare,

in Enc. Dir., Giuffrè, Milano, 1961, VIII, 489). La circolare dell’Agenzia delle Entrate ammetteva

la possibilità di inserire nell'atto di transazione clausole finalizzate ad assicurare l'effettività di

comportamenti del debitore (cfr. p. 4).

115

Cfr. E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1465.

Escludeva l'amministrazione controllata dal novero delle “procedure concorsuali” nelle quali era

possibile avvalersi della transazione esattoriale, in ragione della diversità di presupposto oggettivo,

L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione

individuale, cit., 1034. Nello stesso senso cfr. anche G. RIPA, Transazioni sui ruoli con ostacoli,

in Italia Oggi del 25 luglio 2002, 30. Contra F. PACE, Transazione dei debiti iscritti a ruolo: i

dubbi della nuova disciplina, cit., 33.

63

ruoli solo qualora dall'azione esecutiva non avesse potuto recuperare alcunché, o

comunque fosse riuscita ad ottenere una somma inferiore rispetto a quella offertagli

con l'accordo transattivo (tale situazione, ad esempio, poteva verificarsi nel caso in

cui oggetto di apprensione fossero beni inseriti nell'ambito del complesso aziendale

dell'imprenditore, che generalmente subiscono forti deprezzamenti in sede di

esecuzioni coattive)116. In dottrina è stata salutata con favore l'assenza di una

predeterminazione legislativa dei parametri cui ancorare la valutazione del

presupposto in esame, con la conseguente attribuzione di un ampio margine di

discrezionalità agli uffici, chiamati ad una verifica delle condizioni di operatività

dell’istituto da condurre flessibilmente caso per caso117; era sottolineata comunque

l'opportunità di garantire maggiore trasparenza nell’operato dell’Amministrazione

finanziaria, onde evitare irragionevoli disparità di trattamento118. Sul punto, la

circolare n. 8/E si limitava a precisare che la valutazione dell'ufficio doveva essere

condotta sulla scorta delle informazioni in suo possesso (sia quelle fornite dal

contribuente e dal concessionario, sia quelle già presenti in Anagrafe Tributaria),

senza ulteriori specificazioni.

L'istanza, poi, doveva contenere l'indicazione della somma offerta ad

estinzione dell'obbligazione tributaria, delle relative modalità e tempi di pagamento,

oppure la proposta di semplice dilazione di pagamento119; ancora, doveva essere

116

Una parte della dottrina, comunque, aveva rilevato che la transazione esattoriale risultava sempre e

comunque maggiormente proficua ed economica per l'Erario rispetto ad una riscossione coattiva

e/o ad una procedura concorsuale: cfr. A. JORIO, Senza limiti la transazione sui ruoli, in Il Sole

24 Ore del 19 luglio 2002, e G. RIPA, Transazioni sui ruoli con ostacoli, cit.

117

Cfr. L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione

individuale, cit., 1034 e 1037, secondo il quale l'assenza di parametri rigidi e la conseguente

valutazione casistica avrebbe permesso all'Amministrazione di ottimizzare l'azione coattiva di

riscossione dei tributi da un punto di vista economico – processuale. Secondo M.

BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli, cit., 3223, la norma sembrava attribuire agli uffici

una discrezionalità superiore, anche qualitativamente, a quella che sino ad allora era stata

riconosciuta ai medesimi, estendendo le valutazioni di opportunità anche al quantum della

riscossione, oltre che alle modalità di estinzione del debito erariale (laddove in precedenza la

possibilità di “accordo” con il contribuente riguardava soltanto quelle fasi del procedimento

impositivo in cui l'obbligazione d'imposta non era stata ancora determinata nella sua esatta entità).

118

Cfr. ex multis A. JORIO, Una valutazione caso per caso, in Il Sole 24 Ore del 12 luglio 2002.

119

Nell'ipotesi di istanza di transazione contenente una dilazione di pagamento, la norma prevedeva la

possibilità di prescindere dalle condizioni di cui all'art. 19 del d.P.R. n. 602/1973. La disposizione

da ultimo citata prevede che il contribuente che versi in una “temporanea situazione di obiettiva

64

quantificato l'ammontare delle spese relative al procedimento esecutivo in corso ed il

compenso spettante al concessionario della riscossione, da calcolarsi sulla somma

offerta in pagamento o sull'intero importo iscritto a ruolo, a seconda che la

transazione avesse avuto carattere remissorio o soltanto dilatorio. La circolare

dell’Agenzia delle Entrate, inoltre, conteneva una dettagliata elencazione dei

documenti da allegare all'istanza, pur riconoscendo al debitore la facoltà di integrare

la domanda, con l'aggiunta di uno o più elementi inizialmente mancanti, entro il

termine massimo di 15 giorni dall’apposita richiesta dell'Amministrazione.

Quanto all'individuazione dei possibili rimedi giurisdizionali esperibili in caso

di rigetto dell'istanza di transazione esattoriale, il Consiglio di Stato, nel parere reso

in sede consultiva e menzionato nella circolare n. 8/E, aveva ravvisato in capo al

contribuente una situazione di interesse legittimo, quasi a voler “prenotare” la

propria giurisdizione in materia, salvo poi escludere ogni sindacato di merito sulle

scelte discrezionali dell'Amministrazione finanziaria: ne derivava che il

provvedimento di diniego non poteva essere censurato sotto il profilo, ritenuto

appunto insindacabile, della non convenienza della transazione esattoriale rispetto

alla procedura di esecuzione coattiva, in termini di minore proficuità ed economicità

della prima rispetto alla seconda. Anche in dottrina era stata esclusa la giurisdizione

delle Commissioni tributarie120.

Discussa, poi, era l'esperibilità dell'azione di risoluzione a seguito del

successivo inadempimento del debitore o del suo assoggettamento a procedura

concorsuale121, con conseguente obbligo per il concessionario di riattivarsi per la

difficoltà” può chiedere al Concessionario della riscossione la dilazione del pagamento del

quantum dovuto fino ad un massimo di 72 rate mensili. Va rammentato che l'obbligo di presentare

idonea garanzia (sotto forma di fideiussione bancaria o polizza fideiussoria), precedentemente

previsto per la dilazione di somme superiori ad € 50.000, è stato soppresso dal d.l. n. 112/2008;

inoltre, il recente d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con l. 22 dicembre 2011, n. 241, ha

concesso la possibilità di accordare una proroga della dilazione di ulteriori 72 mensilità nel caso di

comprovato peggioramento della situazione di difficoltà del contribuente.

120

Cfr. M. BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli, cit., 1219, e M. L. MOSCATELLI, La

disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, cit., 502.

121

Favorevole era M. L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del

tributo, cit.,, 502. In senso contrario cfr. F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso o

stravaganza normativa? (appunti a margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002, cit.,

1302, e A. MERCATALI, La transazione, in sede esecutiva, sulle somme iscritte a ruolo per

imposte statali, cit., 1468: poiché secondo tale dottrina l'istituto non era configurabile in termini di

65

riscossione dell'intero importo originariamente iscritto a ruolo, al netto ovviamente

del quantum già corrisposto dal debitore in esecuzione dell’accordo transattivo.

La questione su cui si era maggiormente incentrata la riflessione dottrinale,

tuttavia, atteneva alla natura giuridica (negoziale o pubblicistico-unilaterale) della

transazione sui ruoli: sul punto si era formato un ventaglio di opinioni diversificate.

Una certa corrente interpretativa, muovendo anche dalla formulazione letterale

dell'art. 3, comma 3, ravvisava nell'istituto i caratteri propri della transazione di

diritto civile, attribuendovi dunque natura contrattuale: pertanto, sarebbe stata

pienamente applicabile la disciplina codicistica di cui agli artt. 1965 e ss.122. Negli

stessi termini si erano espressi anche l'Agenzia delle Entrate ed il Consiglio di Stato:

la prima, nella circolare del 2005, aveva condiviso la tesi secondo la quale con il

termine “transazione” il legislatore del 2002 avrebbe inteso riferirsi alla fattispecie

contrattuale tipica di cui all'art. 1965 c.c., inferendone, quali corollari, l'impossibilità

di azzerare il debito tributario123, la risoluzione dell'accordo a seguito

dell'inadempimento del debitore ex art. 1976 c.c., con conseguente ripristino delle

posizioni creditorie preesistenti, nonché l'ammissibilità di un'estinzione del debito

residuo tramite il pagamento proveniente da un terzo estraneo al rapporto

tributario124. Il Consiglio di Stato, del pari, nel parere reso in sede consultiva, aveva

transazione di diritto civile, non sarebbe possibile attivare la risoluzione per inadempimento,

prevista dalla disciplina codicistica per le sole transazioni non novative. La circolare interpretativa

dell'Agenzia, invece, aveva previsto espressamente il rimedio della risoluzione per inadempimento

ex art. 1976 c.c. (cfr. pp. 4 e 11).

122

Cfr. G. LOMBARDO, Transazioni tributarie da allargare, in Italia Oggi del 11 luglio 2002, 25,

G. RIPA, Transazioni sui ruoli con ostacoli, cit., 30, A. JORIO, Una valutazione caso per caso,

cit., E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1466

(secondo cui la nozione “transazione” avrebbe dovuto essere intesa in senso tecnico, cioè in

conformità al disposto di cui all'art. 1965, comma 1 c.c.).

123

Solo la mera riduzione del debito fiscale, infatti, avrebbe consentito di salvaguardare il presupposto

delle “reciproche concessioni”, tipico del contratto di transazione, in quanto il totale azzeramento

della pretesa avrebbe integrato, all'opposto, una rinuncia unilaterale del Fisco.

124

L'apertura agli schemi civilistici, infatti, avrebbe comportato la possibilità di utilizzare istituti di

natura privatistica quali l'espromissione ex art. 1272 c.c., l'accollo del debito ex art. 1273 c.c. e

l'adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. La circolare, tuttavia, finiva per contraddirsi, poiché se da

un lato ravvisava nell'istituto i caratteri propri del contratto tipico di transazione, così come

delineati dall'art. 1965 c.c., tra cui l'esistenza di una res litigiosa, attuale o anche solo potenziale

(oltre all'ulteriore presupposto rappresentato dalla reciprocità di concessioni, il cosiddetto aliquid

66

qualificato l'istituto come “accordo transattivo” o “accordo con effetti transattivi”:

esso derogava al tradizionale principio di indisponibilità del credito tributario, e la

sua ragionevolezza risiedeva nella circostanza di far conseguire all'Amministrazione

finanziaria un più proficuo introito rispetto a quello ottenibile dal prevedibile

sviluppo delle procedure esecutive (individuali o collettive). A giudizio dell'organo

consultivo, dunque, l'interesse pubblico perseguito ed il principio di economicità

dell'azione amministrativa avrebbero dovuto indurre a ritenere che tale peculiare

accordo fosse utilizzabile non solo in presenza di liti attuali, ma in ogni ipotesi di

credito tributario derivante da iscrizioni a ruolo nei confronti di contribuenti rimasti

insolventi, evitando la stessa insorgenza di episodi contenziosi. Ancora, nel citato

parere si afferma che in caso di inosservanza di quanto stabilito nell'accordo

transattivo non può che rivivere integralmente l'originaria pretesa tributaria.

Parzialmente difforme era la soluzione interpretativa prospettata da chi negava

che l'istituto fosse riconducibile alla categoria giuridica della transazione di diritto

civile, ribadendone comunque il carattere negoziale: in esso sarebbero stati

ravvisabili, infatti, i tratti di un negozio giuridico avente ad oggetto la

determinazione di condizioni di recupero del credito tributario più proficue per

l'Erario rispetto a quanto realisticamente fosse ottenibile all'esito di una procedura di

esecuzione coattiva125, ovvero i caratteri di un negozio solutorio atipico, non

transattivo, avente contenuto remissorio e/o dilatorio, a mezzo del quale il creditore,

essendo fuori di discussione la fondatezza del proprio diritto ma dubbia la sua

realizzazione, conveniva con il debitore una riduzione dell'importo dovuto ovvero

una modalità di pagamento differente e/o dilazionata nel tempo, a fronte del

datum aliquid retentum), dall'altro escludeva che la transazione potesse chiudere controversie di

cognizione pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie o ad altro giudice. In realtà, a giudizio

dell'Agenzia, il contenzioso suscettibile di essere “transatto” era rappresentato dalle sole

controversie relative alla fase di riscossione del tributo, purché le stesse presentassero

connotazioni di effettiva fondatezza tali da renderne incerto l'esito.

125

In tal senso cfr. A. DOLMETTA, Relatività dei nomina in diritto civile e in diritto tributario: la

nozione di “transazione” nella L. n. 178 del 2002, in Dir. prat. trib., 2004, I, 1515 e ss.: l'A.

critica la presa di posizione dell'Agenzia delle Entrate, che riconduce in toto l'istituto alla

transazione di diritto civile ex art. 1965 c.c. Cfr. anche A. LA MALFA, La transazione fiscale ex

art. 182ter legge fallim., dubbi sulla natura negoziale e possibilità di inserire clausole pattizie, in

Dir. fall., 2010, II, 70.

67

vantaggio di una soddisfazione certa126.

Sul versante opposto, invece, erano schierati quanti disconoscevano la natura

autenticamente contrattuale o anche semplicemente negoziale della transazione sui

ruoli: escludendo che nella fattispecie de qua potessero ravvisarsi i due requisiti

propri del contratto di transazione, quali la res litigiosa e l'aliquid datum aliquid

retentum, l'istituto avrebbe concretato, all'opposto, una rinuncia unilaterale

dell'Amministrazione alla riscossione coattiva dell'importo iscritto a ruolo127.

Un'ulteriore ed acuta tesi interpretativa, poi, aveva ritenuto necessario operare

un distinguo a seconda del titolo esecutivo in forza del quale il concessionario agiva

in executivis128. Nell'ipotesi in cui si fosse trattato di ruoli definitivi non era

configurabile alcuna res litigiosa, essendo l'obbligazione tributaria oramai

cristallizzata sia nell'an che nel quantum, con la conseguenza che non vi sarebbe

stato alcuno spazio operativo per una transazione civilistica tra le parti; in tale

evenienza, dunque, era ravvisabile in capo al Fisco soltanto una pretesa definitiva

insoddisfatta dall'inadempimento del contribuente, a fronte del quale il primo

accettava con la transazione un pagamento ridotto, con effetto liberatorio per la

controparte privata. Sicché, l'accordo siglato fra i due soggetti ex art. 3, comma 3 d.l.

n. 138/2002 avrebbe configurato un'ipotesi di pactum ut minus solvatur, intendendosi

come tale il negozio bilaterale con il quale il creditore acconsente a ricevere una

prestazione minore rispetto a quella originariamente dovuta, con carattere

integralmente satisfattivo. Diversamente, l’accordo avente ad oggetto tributi

risultanti da un titolo ancora provvisorio, presupponendo una res litigiosa, era

pienamente inquadrabile nell'ambito della transazione di diritto civile129.

126

Cfr. M.L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, cit.,

510; ID, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma tributaria, cit., 336 e

ss.

127

Cfr. F. PACE, Transazione dei debiti iscritti a ruolo: i dubbi della nuova disciplina, cit., 33, e L.

MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione

individuale, cit., 1033.

128

Cfr. F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso o stravaganza normativa? (appunti a

margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002), cit., 1301 e 1302. Negli stessi termini si

espresse anche A. MERCATALI, La transazione, in sede esecutiva, sulle somme iscritte a ruolo

per imposte statali, cit., 1467.

129

La dottrina di cui trattasi aveva parlato, polemicamente, di “previsione transattiva monca”, non

68

La transazione sui ruoli ebbe scarsa applicazione, per diverse ragioni.

In primo luogo, alla stipula di accordi a carattere transattivo in fase di

riscossione del tributo ostava, come accennato in precedenza, l'atteggiamento

timoroso e restrittivo del Fisco, frenato dal tradizionale dogma dell'indisponibilità

dell'obbligazione tributaria e dal pericolo di una revocatoria fallimentare delle

somme incassate durante il periodo “sospetto” in esecuzione di un accordo

transattivo, nonostante la disposizione speciale di cui all'art. 89 del d.P.R. n.

602/1973130. La ritrosia dell'Amministrazione finanziaria è stata formalizzata anche

nella circolare del 2005, dove trapela chiaramente un senso di disagio e sfavore verso

l’istituto131: il citato documento di prassi, infatti, aveva finito per dettare istruzioni

riuscendo a comprenderne la ratio: “resta però da scoprire la ragione per cui il contribuente,

indifferente all'accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale, possa cambiare idea

determinandosi a pagare (seppur in misura ridotta) il debito verso il Fisco proprio quando

raggiunga la certezza – fallita l'esecuzione esattoriale che lo ha trovato insolvente – di non dovere

pagare più nemmeno un centesimo” (cfr. F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso

o stravaganza normativa? (appunti a margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002), cit,

1302). Secondo A. MERCATALI, La transazione, in sede esecutiva, sulle somme iscritte a ruolo

per imposte statali, cit., 1468, invece, “le ragioni che inducono il contribuente ad avvalersi della

transazione invece che del concordato per adesione o della conciliazione giudiziale o ad

avvalersene nel caso di sua totale insolvenza sembrano abbastanza chiare”, poiché nel primo caso

egli doveva addurre prove che avessero consentito all'ufficio di modificare l'accertamento già

emenato, laddove ai fini della stipula di un accordo transattivo era sufficiente l'insolvenza; in

secondo luogo, nel caso di accertamento con adesione o conciliazione seguiti dall'inadempimento

del contribuente “l'eventuale esito totalmente negativo dell'esecuzione non provoca la

cancellazione del debito di imposta, che anzi verrà iscritto fra i crediti di dubbia o di difficile

esazione e potrà essere richiesto dall'Amministrazione per un lungo periodo di tempo, sì che

incomberà ancora per lunghi anni sul debitore che potrebbe nel frattempo ricostituire il proprio

patrimonio eliminando l'insolvenza ed essere così ancora costretto a risponderne”.

130

La norma così recita: “I pagamenti di imposte scadute non sono soggetti alla revocatoria prevista

dall'art. 67, r.d. 16 marzo 1942, n. 267”. Il pericolo della revocabilità dei pagamenti effettuati in

esecuzione di un accordo transattivo, in quanto atto a carattere dispositivo, era stato confermato

anche dal Consiglio di Stato nel parere reso in sede consultiva. Contra cfr. L. MANDRIOLI, La

transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione individuale, cit., 1035, che

escludeva la possibilità di sottoporre a revocatoria, sia fallimentare che ordinaria, il pagamento

delle imposte oggetto di transazione esattoriale.

131

M. BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli, cit., 1217, parlava di “senso di imbarazzo”

creato dalla disposizione. L'A., nel commentare la circolare n. 8/E, rilevava criticamente che essa

trascendeva lo spirito della norma: mentre quest'ultima delineava un istituto essenzialmente

funzionale alle esigenze del Fisco, permettendo la riscossione di somme che altrimenti,

avvalendosi delle ordinarie procedure esattoriali, sarebbero state di difficile realizzazione, il

documento di prassi, preoccupato essenzialmente della discrezionalità da gestire, costruiva un

congegno macchinoso, in cui il principale interessato alla transazione sembrava essere il

contribuente, tratteggiando la fattispecie come concessione da farsi a costui, quasi fosse una sorta

di agevolazione. Ne deriva una sostanziale inapplicabilità dell'istituto, mentre secondo l'A. sarebbe

69

operative congegnate quasi come deterrente volto disincentivare la presentazione di

richieste di transazione (si pensi alla minuziosa elencazione dei documenti da

allegare all'istanza), limitandone fortemente l'ambito di operatività132. La chiusura

manifestata dall'Amministrazione finanziaria era stata ricondotta anche allo scarso

appeal che l'istituto presentava nei confronti della stessa, comportando in ogni caso

una parziale rinuncia unilaterale alle proprie ragioni creditorie senza il bilanciamento

di alcuna apprezzabile controprestazione133: tanto che qualche Autore non mancò di

mettere in luce l'inutilità della previsione legislativa di cui trattasi, la quale,

rivelandosi sempre e comunque dannosa per il Fisco, si sarebbe ridotta ad una mera

“trovata lessicale” priva di apprezzabili riscontri nella pratica ed utile ad innescare

solo qualche disputa accademica, tanto da essere degna di un posto nel “mausoleo

delle stravaganze normative”134.

stato più opportuno concedere maggiore fiducia agli uffici, che sino a quel momento avevano dato

buona prova nel gestire le altre forme di accordo con i contribuenti previste dalla normativa

tributaria. Contra cfr. M. CORVAJA - A. GUERRA, La transazione fiscale, in Fisco.

Approfondimento, fascicolo 1, n. 13/2006, 1916, secondo i quali la circolare avrebbe

regolamentato, in modo adeguatamente chiaro ed esaustivo, l'iter procedurale per il

perfezionamento dell'accordo.

132

Ne era circoscritta l'applicazione alle sole ipotesi di lite, attuale o potenziale, con il contribuente,

era imposta l'integrale estinzione, all'atto della stipula dell'accordo transattivo, di tutti i debiti

iscritti a ruolo non oggetto di transazione, ed ancora era precludeva l'utilizzo dell’istituto quando il

debitore/contribuente rivestisse la qualifica di imprenditore commerciale assoggettabile a

fallimento, salvo che l'accordo transattivo, come visto, non si inserisse in un più generale piano di

ristrutturazione dei debiti aziendali che prevedesse il coinvolgimento di tutti i creditori (ciò per

ovviare al menzionato pericolo di revocatoria dell'accordo nel caso di successivo fallimento del

debitore).

133

M. L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, cit.,

509, esclude la necessità di approntare garanzie a tutela dell'Erario. Per M. CORVAJA - A.

GUERRA, La transazione fiscale, cit., 1916, l'istituto era di sicuro appeal per i contribuenti a

rischio di insolvenza, che potevano così definire in via stragiudiziale le loro pendenze tributarie.

134

F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso o stravaganza normativa? (appunti a

margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002), cit., 1302. L'A., pur condividendo

astrattamente l'intento del legislatore di prevedere la possibilità di un accordo transattivo tra

contribuente in crisi e Fisco, ne bocciava la relativa disciplina, in quanto la stessa avrebbe

comportato sempre e comunque una perdita secca per l’Amministrazione finanziaria. Infatti, nelle

ipotesi in cui il tributo derivava da un titolo definitivo, poiché la norma non prevedeva la

prestazione di idonee garanzie da parte del contribuente, non vi sarebbe stata alcuna certezza che

l'Erario avesse successivamente introitato le somme su cui era stato raggiunto l'accordo con il

contribuente, né si sarebbe potuto ricorrere alla risoluzione per inadempimento; nel caso di tributi

risultanti da titolo provvisorio, invece, le cautele imposte dal legislatore (quali la ricerca dei

“pareri obbligatoriamente prescritti dalle vigenti disposizioni di legge”) sarebbero risultate

talmente eccessive da frenare il lavoro dei funzionari dell'Amministrazione finanziaria. Infine, nel

caso di accordo stipulato nel corso di una procedura esecutiva, il credito tributario da soddisfare

70

In secondo luogo, la sfortuna dell'istituto è sicuramente imputabile anche alla

sua infelice formulazione normativa: il tenore letterale dell'art. 3, comma 3 del d.l. n.

138/2002 non era sicuramente di immediata comprensione, sollevando una serie di

dubbi difficilmente superabili135. A ciò va il difettoso coordinamento fra la fattispecie

in esame, dettata da una disposizione di carattere “emergenziale”, e la disciplina

delle procedure concorsuali contenuta nella legge fall.

Ancora, non mancò chi avanzò perplessità in merito alla compatibilità della

transazione esattoriale con l'ordinamento comunitario, ed in particolare con la

normativa dettata dall'art. 87 del Trattato CE in materia di aiuto di Stato136.

Il tutto condito dalle accese polemiche che accompagnarono i primi, e tra l'altro

unici, tentativi di applicazione dell'istituto nei confronti di società sportive

calcistiche137, cui i media diedero ampio risalto138.

non poteva essere pagato in via immediata, bensì doveva essere ammesso al passivo come credito

concorsuale, essendo il relativo presupposto sorto prima dell'apertura della procedura: in assenza

di una disposizione legislativa ad hoc, infatti, la pretesa di cui trattasi non potava assurgere al

rango di credito prededucibile, subendo pertanto la falcidia fallimentare alla pari di ogni altro

credito. Contra cfr. L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e

nell'esecuzione individuale, cit., 1037, che sottolineava invece come l'istituto risulti vantaggioso

per l'Amministrazione finanziaria, in quanto “rimuovendo numerose posizioni da tempo

“incagliate” dovrebbe finire per apportare denaro “fresco” alle casse dell'erario, soprattutto in

caso di situazioni cosiddette “anomale”, quali ad esempio quelle attinenti alle procedure

concorsuali, in relazione alle quali il Fisco potrebbe ottenere qualcosa subito o in comode rate,

piuttosto che niente e mai”.

135

Cfr. M. L. MOSCATELLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e

nell'esecuzione individuale, cit., 484, M. POLLIO, La transazione fiscale, in Fallimento e altre

procedure concorsuali, diretto da G. FAUCEGLIA e L. PANZANI, Utet, Torino, 2009, III, 1837,

e T. LAMEDICA, Imposte che possono essere “patteggiate”, 1101. La genericità della norma,

soprattutto con riferimento ai presupposti per l'accesso all'istituto, è stata sottolineata anche da E.

BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1464.

136

Sulle perplessità di cui trattasi cfr. ex multis R. RIZZARDI, Tributi a rate?La UE perplessa, cit..

Contra, nel senso che l'istituto sarebbe rientrato nel novero degli aiuti di Stato concessi una

tantum, caratterizzati cioè dalla peculiarità e selettività dell'intervento, tali da non compromettere o

falsare la concorrenza sul Mercato comune, in piena coerenza con i principi dettati dal Trattato

CEE, cfr. L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e

nell'esecuzione individuale, cit., 1037. In generale, l'A. da ultimo citato formulava un giudizio

complessivamente positivo, nonostante non negasse le difficoltà che la relativa disciplina

sollevava a livello applicativo.

137

Di fatto, le uniche transazioni esattoriali furono concluse con la Lazio ed altre società calcistiche di

serie C.

138

Eloquenti sono le parole, riportate dal Messaggero in data 10 marzo 2005, di uno dei Ministri che

pure avevano fatto parte della compagine di Governo quando la norma fu introdotta, il quale ne

sottolineò la pericolosità e la problematicità, soprattutto sotto il profilo complessivo dei rapporti

71

2. Il passaggio alla transazione fiscale di cui all'art. 182ter legge fall.:

evoluzione normativa di un istituto ancora in fieri.

Le insormontabili difficoltà che l'istituto della transazione esattoriale incontrò,

sul piano sia pratico che teorico-interpretativo, indussero il legislatore alla sua

precoce eliminazione: l'art. 151 del d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 abrogò con effetto

immediato139 la norma di cui all'art. 3, comma 3 del d.l. n. 138/2002, mentre l'art.

146, comma 1 introdusse nel corpus della legge fall. l'art. 182ter, rubricato

“Transazione fiscale”, con decorrenza dal 16 luglio 2006140.

Trattasi di una figura le cui differenze rispetto alla previgente transazione sui

ruoli sono particolarmente marcate, nonostante la medesima denominazione adottata

dal legislatore (“transazione”) sembrerebbe suggerire un'ideale linea di continuità fra

i due istituti: in particolare, l'ambito di applicazione della transazione fiscale, se per

alcuni versi sembra essere più ampio rispetto a quello delineato dall’art. 3, comma 3

del d.l n. 138, sotto altri profili presenta margini operativi sicuramente più ristretti141.

fra Amministrazione e generalità dei contribuenti.

139

Cioè a decorrere dal 16 gennaio 2006, giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del

menzionato d. lgs. n. 5/2006.

140

Si è verificato, pertanto, un disallineamento temporale, dato dal fatto che la disposizione di cui

all'art. 3, comma 3 del d.l. n. 138/2002 è stata abrogata con effetto immediato, mentre quella di cui

all'art. 182ter del r.d. n. 267/1942 è entrata in vigore soltanto dopo il periodo di vacatio legis di sei

mesi dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (16 gennaio 2006), come previsto dall’'art.

153 del d. lgs. n. 5/2006. La Relazione illustrativa al citato decreto, nel commentare l'art. 151, ha

giustificato tale disallineamento con il fine di evitare che, durante il periodo di vacatio, potesse

verificarsi un'accentuazione del ricorso al vecchio istituto da parte dei contribuenti. Sul punto non

sono mancate critiche: cfr. ex multis L. MANDRIOLI, La Transazione fiscale, in La riforma

organica delle procedure concorsuali, a cura di S. BONFATTI e L. PANZANI, Ipsoa, Milano,

2008, 742.

141

È opportuno riportare il testo dell'art. 182ter, così come risultante a seguito delle modifiche subite

nel corso degli anni, di cui si dirà meglio infra: “1. Con il piano di cui all'art. 160 il debitore può

proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle Agenzie fiscali

e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di

previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito

avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti

risorse proprie dell'Unione europea; con riguardo all'imposta sul valore aggiunto, la proposta

può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. Se il credito tributario o contributivo è

assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono

essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli

che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli

enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo

ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri

creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è

72

Così, se l'accordo transattivo sui tributi a ruolo poteva essere concluso sia a

seguito di una procedura di esecuzione forzata dall'esito infruttuoso, attivata nei

confronti di qualsivoglia contribuente, non necessariamente imprenditore, sia nel

previsto un trattamento più favorevole.

2. Ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, copia della domanda e della

relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata

al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione ed all'ufficio competente

sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni

fiscali per le quali non è pervenuto l'esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni

integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda, al fine di consentire

il consolidamento del debito fiscale. Il concessionario, non oltre trenta giorni dalla data della

presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l'entità del debito iscritto

a ruolo scaduto o sospeso. L'ufficio, nello stesso termine, deve procedere alla liquidazione dei

tributi risultanti dalle dichiarazioni ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente

ad una certificazione attestante l'entità derivante da atti di accertamento ancorché non definitivi,

per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati, ma non ancora consegnati al

concessionario. Dopo l'emissione del decreto di cui all'art. 163, copia dell'avviso di irregolarità e

delle certificazioni devono essere trasmessi al Commissario giudiziale per gli adempimenti

previsti dall'articolo 171, primo comma, e dell'articolo 172. in particolare, per i tributi

amministrati dall'agenzia delle dogane, l'ufficio competente a ricevere copia della domanda con la

relativa documentazione prevista al primo periodo, nonché a rilasciare la certificazione di cui al

terzo periodo, si identifica con l'ufficio che ha notificato al debitore gli atti di accertamento.

3. Relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario

del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, l'adesione o il

diniego alla proposta di concordato è approvato con atto del direttore dell'ufficio, su conforme

parere della competente direzione regionale, ed è espresso mediante voto favorevole o contrario

in sede di adunanza dei creditori, ovvero nei modi previsti dall'articolo 178, primo comma.

4. Relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale

della riscossione alla data di presentazione della domanda, quest'ultimo provvede ad esprimere il

voto in sede di adunanza dei creditori, su indicazione del direttore dell'ufficio, previo conforme

parere della competente direzione regionale.

5. La chiusura della procedura di concordato ai sensi dell'articolo 181, determina la cessazione

della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma.

6. Il debitore può effettuare la proposta di cui al primo comma anche nell'ambito delle trattative

che precedono la stipula dell'accordo di ristrutturazione di cui all'articolo 182bis. La proposta di

transazione fiscale, unitamente con la documentazione di cui all'articolo 161, è depositata presso

gli uffici indicati nel secondo comma, che procedono alla trasmissione ed alla liquidazione ivi

previste. Alla proposta di transazione deve altresì essere allegata la dichiarazione sostitutiva, resa

dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente

della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che la documentazione di cui al periodo che precede

rappresenta fedelmente ed integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riguardo alle

poste attive del patrimonio. Nei successivi trenta giorni l'assenso alla proposta di transazione è

espresso relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al

concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda,

con atto del direttore dell'ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, e

relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale

della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del concessionario su

indicazione del direttore dell'ufficio, previo conforme parere della competente direzione

regionale. L'assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione.

7. La transazione fiscale conclusa nell'ambito dell'accordo di ristrutturazione di cui all'art.

182bis è revocata di diritto se i debitore non esegue integralmente, ovvero entro 90 giorni dalle

scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti gestori di forme di

previdenza e assistenza obbligatorie”.

73

corso di una procedura concorsuale, il nuovo istituto è destinato ad operare

esclusivamente nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo, ed a

seguito delle novità introdotte con il d.lgs. n. 169/2007 anche all'interno di un

accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis. Destinatari della nuova disciplina

saranno dunque i soli soggetti passibili di fallimento, ossia coloro cui è possibile

attribuire la qualifica di imprenditore commerciale medio-grande, avendo superato le

soglie dimensionali di cui all'art. 1, comma 2 legge fall. Non potranno dunque fruire

della transazione fiscale, come si vedrà meglio nel prosieguo, sia gli imprenditori

non fallibili, anche se con la manovra correttiva di luglio 2011 (ossia con il d.l. n.

98/2011) sono state introdotte significative aperture verso gli imprenditori agricoli,

sia gli insolventi civili, nonostante per i medesimi un recentissimo intervento

legislativo abbia riconosciuto la possibilità di addivenire ad un accomodamento con

la maggioranza qualificata dei propri creditori142.

Di contro, sotto il profilo oggettivo, si registra sicuramente un'estensione

dell'ambito di operatività degli accordi transattivi con il Fisco: se la transazione

esattoriale concerneva i soli “tributi il cui gettito fosse di esclusiva spettanza dello

Stato”, la nuova transazione fiscale può riguardare tutti i “tributi amministrati dalle

Agenzie fiscali”, indipendentemente sia dalla titolarità della relativa potestà

impositiva sia dalla destinazione del gettito introitato (con la sola esclusione dei

tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea); inoltre non è indispensabile

l'iscrizione a ruolo del quantum dovuto. Ancora, a seguito del d.l. 29 novembre 2008,

142 Si allude alle disposizioni di cui agli art. 1 e ss. del d.l. 22 dicembre 2011, n. 212 (recante

“Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina

del processo civile”), successivamente inglobate nella l. 27 gennaio 2012, n. 3. In estrema sintesi,

secondo la nuova disciplina il debitore (non assoggettabile a procedure concorsuali) che versi in

una situazione di sovraindebitamento può proporre ai propri creditori un accordo di

ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che assicuri il regolare pagamento dei creditori

estranei all’accordo stesso; la proposta può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la

soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione di crediti futuri,

ovvero, al ricorrere di talune condizioni, una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei

creditori estranei. La proposta di accordo, da depositarsi presso la cancelleria del Tribunale

territorialmente competente, deve essere approvata dai creditori che rappresentino almeno il 60%

dei crediti (ovvero il 50% nel caso di sovraindebitamento del consumatore), ed è successivamente

omologata ad opera del giudice. Non è chiaro se con il medesimo accordo il debitore può proporre

anche una transazione fiscale, e quale sia eventualmente il particolare iter da attivare.

74

n. 185, convertito con l. 28 gennaio 2009, n. 2, sono transigibili anche i contributi

previdenziali ed assistenziali, disancorando così la fattispecie de qua dalle sole

entrate aventi natura di “tributo”.

Degna di rilievo è anche la circostanza che il nuovo istituto è disciplinato da

una norma della legge fall., laddove l'abrogata transazione esattoriale era

contemplata da una disposizione di legge speciale avente carattere “emergenziale”,

in quanto introdotta essenzialmente per soddisfare le esigenze estemporanee di una

ristretta platea di contribuenti (si trattava, come accennato in precedenza, di alcune

società calcistiche, la cui esposizione debitoria verso l'Erario era a dir poco

drammatica). La collocazione “endo-concorsuale” della transazione fiscale,

espressamente prevista dall'art. 1, comma 5 della l. 14 maggio 2005, n. 80, di

conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, ne accentua il carattere “ibrido”,

esaltandone la duplice valenza di fattispecie di diritto tributario e procedimento, o

meglio sub-procedimento, di diritto fallimentare: sicché, come si è visto nel capitolo

introduttivo, se da un lato essa va ad affiancarsi agli istituti deflattivi del contenzioso

che l'ordinamento ha elaborato già da tempo per valorizzare i profili di consensualità

nell'attuazione della norma impositiva, dall'altro lato sarà assoggettabile ai principi

generali che governano il diritto concorsuale, ed in particolare a quelli afferenti le

soluzioni “negoziali” della crisi di impresa.

Le differenze fra l'abrogata transazione esattoriale e la nuova transazione

fiscale sono particolarmente marcate sotto il profilo della ratio dei due istituti: se la

transazione sui ruoli era stata congegnata come strumento di potenziamento

dell'attività di riscossione, data la maggiore proficuità per il Fisco di un accordo con

il debitore rispetto ad una procedura di esecuzione forzata, individuale o collettiva,

l'attuale normativa è stata disegnata per incentivare il ricorso alle soluzioni

concordate della crisi, al fine di evitare drastici sbocchi liquidatori143. Ne deriva,

dunque, una decisa inversione di prospettiva: l'interesse prioritario da tutelare non è

più quello dell'Amministrazione finanziaria all'acquisizione del gettito tributario

nella massima misura possibile, quanto piuttosto quello del singolo imprenditore, e

143

Cfr. ex multis P. PAJARDI, Transazione fiscale (a cura di A. SOLIDORO), in Codice del

fallimento, a cura di M. BOCCHIOLA e A. PALUCHOWSKI, Giuffrè, Milano, 2009, 1795.

75

di riflesso dell'economia in generale, ad evitare il dissesto irreversibile di complessi

imprenditoriali non ancora completamente decotti, salvaguardando anche la congerie

di valori (a cominciare dal mantenimento dei complessi occupazionali) che gravitano

attorno ai medesimi.

Non vi è dubbio, poi, che nei primi cinque anni dalla sua entrata in vigore il

nuovo istituto ha avuto applicazioni pratiche notevolmente maggiori e ben più

interessanti rispetto alla vecchia transazione esattoriale, alimentando anche una

nutrita giurisprudenza di merito, cui si sono affiancate di recente anche importanti

pronunce della Corte di Cassazione.

Evidente sintomo dell'interesse suscitato dalla nuova transazione fiscale, e

delle attese su di essa riposte in ordine alla capacità di rafforzare il ricorso a

soluzioni stragiudiziali della crisi di impresa, che nella maggioranza dei casi non

possono prescindere da una sistemazione delle pendenze con il Fisco, è la frequenza

con cui il legislatore è intervenuto sull’istituto, ritoccando più volte l'art. 182ter.

Dapprima, il citato decreto correttivo n. 169/2007 ha previsto la possibilità di

avvalersi della transazione fiscale anche nell'ambito delle trattative che precedono la

stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182bis, disciplinando

la procedura all'uopo applicabile (che ricalca, essenzialmente, quella prevista per la

transazione conclusa nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo).

Successivamente, l'art. 32 del decreto anticrisi n. 185/2008 ha esteso l'oggetto

della transazione fiscale anche ai contributi amministrati dagli enti gestori di forme

di previdenza ed assistenza obbligatorie e ai relativi accessori, rimettendo ad un

successivo decreto interministeriale, da emanarsi entro 60 giorni dall'entrata in

vigore della legge di conversione, la regolamentazione delle modalità applicative, dei

criteri e delle condizioni di accettazione da parte degli enti previdenziali degli

accordi sui crediti contributivi. Di conseguenza il legislatore in quell'occasione ha

circoscritto alle sole transazioni sui “crediti di natura fiscale” l’ambito di

applicazione delle disposizioni procedurali di cui ai commi 2 e seguenti dell'art.

182ter. Il preannunciato decreto ministeriale è stato varato nell'agosto del 2009144, e

144

Trattasi del d. m. del 4 agosto 2009, recante “Modalità di applicazione, criteri e condizioni di

accettazione da parte degli enti previdenziali degli accordi sui crediti contributivi”, varato dal

Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e

76

ad esso hanno fatto seguito le circolari interpretative di Inail145, Inps146 ed Enpals147.

Ancora, con riferimento all'Iva il medesimo art. 32 ha precisato che la proposta

non può avere carattere remissorio, bensì soltanto dilatorio, mettendo così fine alla

querelle relativa alla falcidiabilità o meno di detto tributo, il cui gettito sembrerebbe

costituire una delle fonti di finanziamento dell'Unione Europea.

Un ulteriore intervento sull'istituto si è avuto con il d.l. 31 maggio 2010, n. 78,

convertito con l. 30 luglio 2010, n. 122, il cui art. 29, comma 2 ha statuito che anche

con riferimento alle ritenute operate e non versate la proposta può avere, al pari

dell'imposta sul valore aggiunto, carattere soltanto dilatorio. Inoltre, è stato previsto

l’obbligo di allegare alla proposta presentata in sede di trattative precedenti la stipula

di un accordo di ristrutturazione dei debiti una dichiarazione sostitutiva di atto

notorio, con la quale il debitore attesta che la documentazione prodotta rappresenta

fedelmente ed integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riguardo alle

poste attive del patrimonio: Ancora, è stato aggiunto all'art. 182ter un nuovo comma

(il 7°), con la previsione della revoca di diritto della transazione conclusa nell'ambito

di un accordo ex art. 182bis nell'evenienza in cui il debitore, entro i 90 giorni

successivi alle scadenze previste, non esegua integralmente i pagamenti dovuti alle

Agenzie fiscali e agli enti previdenziali/assistenziali. Sempre il menzionato decreto

n. 78/2010 ha introdotto il nuovo reato di “transazione fraudolenta”148, oltre ad aver

delle finanze.

145

Trattasi della circolare n. 8 del 26 febbraio 2010, “Accordi su crediti contributivi ai sensi dell'art.

182ter della legge fallimentare. Modalità operative”, varata dalla Direzione Generale – Direzione

Centrale Rischi dell'Inail e reperibile sul sito www.normativo,inail.it/dbninternet/2010/ci201008.

146

Si tratta della circolare n. 38 del 15 marzo 2010, “Decreto Ministero del Lavoro, della Salute e

delle Politiche Sociali 4 agosto 2009. Art. 32, commi 5 e 6 del decreto legge n. 185/2008,

convertito, con modificazioni, nella legge n. 2/2009. Estensione della transazione fiscale di cui

all’art. 182-ter della Legge fallimentare ai crediti contributivi. Modalità di applicazione, criteri e

condizioni di accettazione degli accordi sui crediti contributivi”, emanata dalla Direzione Centrale

Entrate - Coordinamento Generale Legale dell'Inps e reperibile sul sito www.inps.it.

147

L'Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo ha formulato i

propri chiarimenti in materia con la circolare n. 15 del 5 novembre 2010, “Estensione dell'istituto

della transazione fiscale ai debiti per contributi previdenziali ed oneri accessori. Decreto del

Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali 4 agosto 2009”, varata dalla Direzione

Centrale – Area contributi e vigilanza, Ufficio Normativa e Circolari, e reperibile sul sito

www.enpals.it.

148

Cfr. il nuovo testo dell'art. 11, comma 2 del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rubricato “Sottrazione

77

limitato alla sola ipotesi di dolo la responsabilità contabile dei funzionari

dell'Agenzia delle Entrate impegnati nella valutazione delle proposte di

transazione149.

Da ultimo, con la manovra correttiva di luglio 2011 il legislatore ha esteso

l'istituto (come pure gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis) anche

agli imprenditori agricoli “in stato di crisi o di insolvenza”, in attesa di una

“revisione complessiva della disciplina dell'imprenditore agricolo in crisi e del

coordinamento delle disposizioni in materia”.

Le aspettative che il legislatore nutre nei confronti della transazione fiscale

sembrerebbero essere condivise anche dalla stessa Amministrazione finanziaria:

l'Agenzia delle Entrate, infatti, ha varato diversi documenti di prassi, a partire dalla

circolare interpretativa n. 40/E del 2008150, con la quale sono stati forniti i primi

chiarimenti in materia151. In particolare, il favor verso l’istituto de quo trapela con

netta evidenza dalla circolare n. 20 del 2010, che richiama l'attenzione degli uffici

periferici sull'esigenza di dare adeguata rilevanza all'attività necessaria per

addivenire alla conclusione di transazioni fiscali, rilevando come “in presenza di

situazioni di crisi aziendale, sia prodromiche alla dichiarazione di fallimento sia

evidenziate in una proposta di concordato preventivo, lo strumento transattivo può

fraudolenta al pagamento di imposte”.

149

Cfr. l'art. 29, comma 7 del d.l. n. 78/2010, che prevede analoga limitazione di responsabilità anche

per le valutazioni di diritto e di fatto operate nell'ambito di accertamenti con adesione e

conciliazioni giudiziali.

150

Dal titolo “D. Lgs. n. 169 del 2007, recante disposizioni integrative e correttive al R.D. n. 267 del

1942, nonché al D. Lgs. n. 5 del 2006 – Concordato preventivo e transazione fiscale”, varata dalla

Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell'Agenzia delle Entrate in data 18 aprile 2008 e

reperibile sul sito www.agenziaentrate.gov.it.

151

Gli altri documenti di prassi concernenti l’istituto di cui all’art. 182ter sono la nota del 7 febbraio

2008, prot. n. 6579/2008, della Direzione Regionale dell'Emilia Romagna, commentata da M.

POLLIO, “Transazione fiscale” e accordi di ristrutturazione, in Fall., 2008, 475, la risoluzione n.

3/E del 5 gennaio 2009, “Consulenza giuridica – Art. 182-ter, secondo comma della legge

fallimentare – Termini per la presentazione della proposta di transazione fiscale”, la circolare n.

14/E del 10 aprile 2009, “Transazione fiscale – Art. 32, comma 5 del decreto-legge 29 novembre

2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2”, la circolare n.

20/E del 16 aprile 2010, “Prevenzione e contrasto all'evasione – Anno 2010 – Indirizzi operativi”,

e la circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011, “Decreto-legge del 31 maggio 2010,n. 78, convertito

dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 – Commento alle novità fiscali – Primi chiarimenti”. Tali

documenti sono reperibili sul sito istituzionale dell’Agenzia delle Entrate.

78

infatti rivelarsi decisivo per garantire l'effettivo introito di somme dovute all'erario

in misura certamente superiore (ed in tempi ovviamente ben più rapidi) rispetto a

quanto potrebbe avvenire, con le ordinarie modalità di riscossione, in caso di

fallimento del contribuente”.

Dalla sintetica rassegna degli interventi legislativi che hanno interessato l'art.

182ter deriva quasi l'impressione di essere al cospetto di un istituto ancora in fieri, la

cui attuale fisionomia è il frutto di svariate stratificazioni normative succedutesi a

breve distanza l'una dall'altra, e forse non del tutto concluse, tese ad individuare,

volta per volta, una plausibile risposta ad alcune delle numerose questioni e criticità

che la fattispecie non ha mancato di sollevare, sin dalle sue prime applicazioni

pratiche.

Va sottolineato, comunque, che le criticità maggiori sono forse quelle generate

dalla duplice natura, tributaria e concorsuale, dell'istituto, stante la difficoltà di

conciliare principi generali assai dissimili, a cominciare dall'indisponibilità

dell'obbligazione tributaria, da un lato, e dalla par condicio creditorum, dall'altro.

Criticità, queste, destinate quasi paradossalmente ad acuirsi alla luce

dell'intervento normativo di fine 2008, che, come visto, ha esteso l'istituto di cui

all'art. 182ter anche ai crediti previdenziali ed assistenziali, facendo così della

transazione un crocevia non più soltanto fra due, bensì fra tre distinte branche

dell'ordinamento giuridico: tanto che oggi continuare a parlare di “transazione

fiscale” con riferimento all'intera normativa dettata dall'art. 182ter e dai

provvedimenti al medesimo connessi sarebbe a dir poco improprio e riduttivo,

essendo necessario, invece, qualificare diversamente la procedura a seconda della

natura (fiscale in senso lato, previdenziale o assistenziale) dei crediti oggetto di

definizione. Ne deriva che la rubrica di quella disposizione (dove continua a

campeggiare la locuzione “Transazione fiscale”) non riesce a cogliere in pieno la

reale portata operativa dell'istituto ivi regolato, essendovi oggi spazio anche per

transazioni “previdenziali” ed “assistenziali”: il disallineamento fra la rubrica e il

corpus della norma, a prima vista, sembrerebbe essere il frutto dell'ennesima svista

del legislatore, reo, ancora una volta, di aver propinato frettolosamente innovazioni

non adeguatamente coordinate con il quadro sistematico di riferimento. Tuttavia, si

potrebbe ritenere anche che si tratti della consapevole scelta di focalizzarsi sulla sola

79

transazione dei crediti fiscali, cui del resto sono dedicati i commi secondo e seguenti

di quella disposizione, rinviando la regolamentazione degli aspetti procedurali delle

nuove fattispecie di transazione previdenziale ed assistenziale alla normativa di

secondo grado.

3. L’ambito di applicazione della transazione fiscale sotto il profilo

soggettivo.

L'incipit dell'art. 182ter statuisce che la transazione fiscale può essere proposta

“con il piano di cui all'art. 160”. Ne deriva che l'accesso all'istituto è limitato a

quanti non soltanto sono ammessi potenzialmente a fruire del concordato preventivo

(soddisfacendo i due presupposti soggettivo ed oggettivo, rappresentati

rispettivamente dalla qualifica di imprenditore commerciale non piccolo152 e dallo

stato di crisi), ma che in concreto abbiano chiesto l'accesso a quella procedura

concorsuale.

Tuttavia tale disposizione andrà necessariamente coordinata con le novità

introdotte con il recente d.l. n. 98/2011, che, come visto, ha esteso anche agli

imprenditori agricoli l’accesso alla transazione fiscale ed degli accordi di

ristrutturazione dei debiti. Il legislatore, dunque, sembra aver prestato ascolto a

quella nutrita corrente dottrinale contraria ad escludere l'impresa agricola dall'ambito

di operatività della transazione fiscale: era stata infatti aspramente criticata la

chiusura manifestata dal legislatore nei confronti dell'imprenditore agricolo, che

sarebbe stato privato irragionevolmente della possibilità di pervenire ad un accordo

transattivo con il Fisco, considerato che molto spesso la sua esposizione debitoria

verso l'Erario è tanto estesa quanto quella di un qualsiasi imprenditore commerciale,

necessitando pertanto di soluzioni identiche. Più in generale, e per analoghe ragioni,

era stata (e rimane tuttora) contestata la radicale esclusione dall'area di fallibilità

degli imprenditori agricoli, confermata dalla recente legge di riforma del 2006: i

152

Ovviamente l'espressione imprenditori “non piccoli” utilizzata nel testo è atecnica, posto che il

decreto correttivo del 2007, nel novellare il citato art. 1, comma 2, ha eliminato ogni riferimento

alla nozione di “piccolo imprenditore”, al fine di evitare ulteriori rimandi alla figura di cui all'art.

2083 c.c.: ne deriva che l'area di esonero è individuata esclusivamente sulla base dei parametri

dimensionali di tipo quantitativo (attivo patrimoniale, ricavi lordi, debiti totali) previsti dalla legge

fallimentare, e non più dei criteri qualitativi (prevalenza del lavoro personale e familiare)

contemplati dal codice civile.

80

problemi di tutela del credito generati dall'insolvenza dell'imprenditore agricolo,

infatti, non appaiono poi molto diversi da quelli posti dall'insolvenza

dell'imprenditore commerciale, sembrando così necessitare di risposte simili153.

Né la giustificazione tradizionalmente addotta a fondamento di questa

esclusione, che fa leva sul duplice rischio (naturale – biologico – atmosferico da un

lato, imprenditoriale in senso stretto dall'altro) cui è soggetto l'imprenditore agricolo,

sembrerebbe avere fondamento, alla luce delle più recenti ed avanzate tecnologie in

grado di prevedere e circoscrivere le incognite legate ai fattori naturali,

congiuntamente alla possibilità di ricorrere a coperture assicurative contro i danni

cagionati da avversità atmosferiche154. Soprattutto, questa scelta appare tanto più

criticabile quanto maggiore è l'estensione della nozione di impresa agricola: questa,

infatti, è andata progressivamente dilatandosi sino a ricomprendere peculiari

tipologie di coltivazione ed allevamento in cui il collegamento con il fondo è

piuttosto labile (si pensi alle coltivazioni in vitro o agli allevamenti in batteria),

ovvero attività che di agricolo hanno ben poca cosa (si pensi all'agriturismo).

Qualcuno pertanto ha ritenuto che la qualificazione giuridica di un'attività economica

in termini di impresa agricola potrebbe continuare ad aver rilievo ai soli fini del

riconoscimento di particolari provvidenze ed agevolazioni dettate da speciali

disposizioni di legge, ma non anche in funzione dell'assoggettamento a procedure

concorsuali155. Si potrebbe, ancora, fare leva su un’argomentazione di sapore

squisitamente tributario, nel senso di qualificare come commerciale, anche agli

effetti concorsuali, un'attività che superi i limiti delineati dall'art. 32 t.u.i.r. (la

disposizione da ultimo citata prevede delle soglie quantitative, superate le quali i

proventi delle attività di coltivazione, allevamento, nonché attività agricole connesse

transitano dalla categoria del reddito agrario a quella del reddito d’impresa).

153

Cfr. ex multis G. COTTINO, Diritto commerciale, Cedam, Padova, 2000, I, 100.

154

Tuttavia non manca in dottrina chi ravvisa alla base dell’esclusione dell’imprenditore agricolo dal

fallimento un fondamento politico: cfr. M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle

crisi, in AA.VV., Diritto fallimentare. Manuale breve, Giuffrè, Milano, 2007, 103.

155

S. FORTUNATO, La nuova nozione di impresa agricola, in La riforma dell'impresa agricola, a

cura di N. ABRIANI e C. MOTTI, Giuffrè, Milano, 2003, 23: l'A. muove dal presupposto che fra

gli artt. 2135 e 2195 c.c. non esisterebbe un presupposto di reciproca esclusività.

81

Del resto, la persistente esclusione dell'imprenditore agricolo dall'area di

fallibilità, se in passato veniva tradizionalmente intesa come un privilegio accordato

a tale categoria di operatori economici, alla luce del carattere fortemente punitivo

dell’originaria disciplina del fallimento, oggi suona piuttosto come un’indebita

discriminazione proprio ai danni dei medesimi soggetti, nella misura in cui gli stessi

non sono ammessi a fruire di alcuni dei vantaggi introdotti con la recente riforma

delle procedure concorsuali, fra cui soprattutto l'esdebitazione e la possibilità di

adottare meccanismi di soluzione concordata della crisi, ivi compreso, per quanto qui

interessa, l’istituto di cui all’art. 182ter.

Con il recentemente intervento del luglio 2011 il legislatore, perfettamente

conscio del problema, ha cercato di darne una soluzione, la quale, sia pur ristretta, è

di immediata fruizione, in quanto attivabile indipendentemente da una più generale

(ed auspicata) revisione dell'intera normativa concorsuale applicabile all'impresa

agricola in stato di crisi: all'imprenditore agricolo è ora consentito di pervenire ad

una sistemazione consensuale della propria esposizione debitoria solo concludendo

un accordo di ristrutturazione ex art. 182bis con una maggioranza qualificata dei

propri creditori, oppure stipulando una transazione con le Agenzie fiscali e con gli

enti previdenziali e/o assistenziali secondo la procedura di cui all'art. 182ter156.

Tuttavia, la norma introdotta con l'art. 23, comma 43 del d.l. n. 98/2011, come

è del resto tipico di qualsiasi intervento normativo di carattere “emergenziale”,

sembra essere stata varata in modo grossolano e frettoloso: innanzitutto, il

riferimento all'art. 182ter “come modificato da ultimo dall'articolo 32, commi 5 e 6,

del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla

legge 28 gennaio 2009, n. 2”, denuncia chiaramente una svista da parte del

legislatore, posto che l'ultimo intervento normativo sulla disposizione de qua è stato

quello varato non con il decreto anticrisi del 2008, quanto piuttosto con il d.l.

78/2010157.

156

Per un primo commento sulle novità legislative cfr. M. FERRO, Manovra fiscale: più tutele ai

crediti tributari e prime procedure concorsuali per gli imprenditori agricoli, in Fall., 2011, 909 e

ss.

157

A tale svista il legislatore ha posto rimedio in sede di conversione del d. l. n. 98/2011, sicché ora il

comma 43 contiene un generico rinvio “agli articoli 182bis e 182ter e successive modificazioni”.

82

Al di là di questa “veniale” dimenticanza, però, vi è un problema di fondo assai

più grave, che rischia di pregiudicare la concreta applicazione della transazione

fiscale agli imprenditori agricoli. Occorre premettere che la fattispecie di cui all'art.

182ter, se si escludono gli ultimi due commi, è destinata necessariamente ad inserirsi

nell'alveo di una procedura di concordato preventivo, di cui, secondo l’orientamento

interpretativo oramai unanime, finirebbe per condividere la sorte e gli effetti (il punto

sarà esaminato meglio nel prosieguo, quando si analizzerà il profilo della non

“autonomia” della transazione ed i suoi rapporti con il concordato preventivo). Ora,

occorre rilevare che l'imprenditore agricolo continua tuttora a rimanere escluso dal

concordato, poiché nella formulazione del citato comma 43 non vi è alcun

riferimento all'art. 160, ma soltanto ad una futura, ipotetica e piuttosto vaga

“revisione complessiva della disciplina dell'imprenditore agricolo in crisi”. Ne

deriva che i titolari di un'impresa agricola, non avendo accesso al concordato

preventivo, potranno in concreto addivenire ad una transazione fiscale

esclusivamente in sede di accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis:

pertanto il richiamo all'art. 182ter contenuto nel d.l. n. 98/2011 sembrerebbe limitato

esclusivamente ai commi 6 e 7 di quella disposizione.

Al di là di queste innegabili criticità, la novità di cui trattasi va salutata con

favore, essendo condivisibile l'intenzione del legislatore di estendere anche

all'impresa agricola la fruibilità di istituti che consentono di addivenire ad una

soluzione negoziale della crisi che eviti la disgregazione del complesso aziendale:

disgregazione che in questo caso non deriverebbe dal fallimento, dal quale

l’imprenditore agricolo continua a restare escluso, quanto piuttosto dall'attivazione di

molteplici procedure esecutive individuali che potrebbero compromettere

irrimediabilmente la produttività di un'impresa che presenti ancora qualche

possibilità di recupero di valore.

L'esclusione dall'ambito di applicazione della transazione fiscale per carenza

del presupposto soggettivo persiste con riferimento agli altri soggetti non fallibili:

trattasi, come noto, degli imprenditori commerciali al di sotto delle soglie

dimensionali di cui all'art. 2, comma 1 legge fall.,degli enti pubblici e degli

83

“insolventi civili”158.

Anche sul punto non sono mancate aspre critiche da parte della dottrina

maggioritaria, che ha denunciato l'irragionevole discriminazione che tale disciplina

restrittiva opererebbe a discapito di tutti coloro che rimangono al di fuori dell'area di

fallibilità, con palese violazione dell'art. 3 Cost.159: anche in questo caso, come già

visto a proposito dell'esclusione degli imprenditori agricoli, viene criticata la

privazione dei benefici derivanti dalle procedure concorsuali, ivi compresa, per ciò

che qui interessa, la definitiva sistemazione dei debiti tributari e/o previdenziali,

connessa alla possibilità di falcidiare in via definitiva le residue prerogative

creditorie non soddisfatte.

In una prospettiva più ampia, che va al di là del solo istituto di cui all’art.

182ter, è stata contestata soprattutto la scelta del legislatore di escludere dall'area

della fallibilità le cosiddette “insolvenze civili”: trattasi di un’impostazione classica,

mutuata dalle radici storiche dell'istituto160, secondo la quale al di fuori dell'impresa il

dissesto rappresenterebbe un fenomeno limitato, fondandosi l'attività civile solo

marginalmente ed eccezionalmente sul credito, ed essendo essa adeguatamente

fronteggiabile attraverso gli ordinari mezzi di esecuzione coattiva individuale. Va

detto che tale assunto di fondo sembra al giorno d'oggi mostrare qualche crepa, a

fronte della sempre più massiccia espansione del credito al consumo e del crescente

158

La letteratura in materia è pressoché sterminata: una sintetica illustrazione di tali problematiche,

ricca di riferimenti in chiave comparatistica, è ad esempio quella contenuta in S. AMBROSINI -

G. CAVALLI - A. JORIO, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G.

COTTINO, Cedam, Padova, 2009, IX, 1 e ss.

159

Cfr. ad esempio M. R. GROSSI, Transazione fiscale, in La riforma della legge fallimentare, a

cura di M. R. GROSSI, Giuffrè, Milano, 2008, 1574 e 1575.

160

L'istituto del fallimento nacque nel Basso Medioevo nell'ambito degli statuti comunali, dunque in

piena età mercantile, e fu sin dalle origini concepito come strumento di tutela delle “ragioni sacre”

dell'affidamento che i creditori riponevano nell'adempimento delle obbligazioni contratte dal

mercante: cfr. U. SANTARELLI, voce Il fallimento (storia del), in Dig. disc. priv., Sez. comm.,

Utet, Torino, 1990, 366 e ss. Questa impostazione venne recepita successivamente sia dal Code de

commerce del 1807, che appunto limitava il fallimento ai soli commercianti, sia dai codici di

commercio italiani del 1865 e del 1882, che al primo direttamente si ispirarono, per poi essere

trasfusa nell'attuale legge fall.: cfr. L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Giappichelli,

Torino, 2008, 22, il quale sottolinea come l'unificazione dei codici operata nel 1942 portò

inevitabilmente ad estrapolare dall'unitario testo normativo l'istituto del fallimento, che anche la

Relazione del Guardasigilli sottolineò essere proprio dei soli commercianti., in ossequio alla

tradizione giuridica italiana.

84

indebitamento delle famiglie161. Del resto, in chiave comparatistica, l'esonero

dell'insolvente civile dall'area della fallibilità non è una costante dei diversi

ordinamenti giuridici, posto che nei paesi di common law, come anche in quelli di

tradizione giuridica tedesca, le procedure concorsuali trovano applicazione nei

confronti di qualsivoglia debitore; nello stesso senso si veda anche il Regolamento

dell'Unione Europea n. 1346/2000, che al punto 9) dei Considerando prevede

l'applicazione della disciplina concorsuale comunitaria a qualsiasi debitore “persona

fisica o giuridica, commerciante o non commerciante”. Inoltre anche in ordinamenti

più spiccatamente vicini al nostro, quali quello francese, di recente l'area di fallibilità

è stata significativamente estesa.

Di contro altra corrente dottrinale162, come anche la giurisprudenza della Corte

Costituzionale163, hanno sottolineato che un processo tanto oneroso, qual è quello di

fallimento, sarebbe giustificabile solo di fronte a fenomeni di crisi atti a generare un

sufficiente livello di allarme sociale, evitando altrimenti l'attivazione di mezzi che

risulterebbero sproporzionati rispetto all'entità del danno arrecato al sistema

economico complessivo.

Un’ulteriore precisazione sembra doverosa, sempre sul versante “soggettivo”.

Come visto, a seguito delle modifiche apportate con il decreto correttivo n.

169/2007 è stata riconosciuta all'imprenditore la possibilità di concludere una

transazione fiscale anche in sede di trattative finalizzate alla stipula di un accordo di

ristrutturazione dei debiti. Tale fattispecie, almeno in un primo momento, ha risentito

della disputa dottrinale concernente il presupposto soggettivo richiesto ai fini

dell’accesso all'istituto di cui all’art. 182bis: posto infatti che la disposizione da

ultimo citata parla semplicemente di “imprenditore”, senza ulteriori specificazioni, in

dottrina si è posto il problema di stabilire se l'istituto sia riservato ai soli imprenditori

161

Cfr. G. CAVALLI, I presupposti soggettivi del fallimento in generale, in Trattato di diritto

commerciale, diretto da G. COTTINO, cit., 22.

162

Cfr. A. NIGRO, L'insolvenza delle famiglie nel diritto italiano, in Dir. banc., 2008, I, 202.

163

Cfr. Corte cost., 16 giugno 1970, n. 94, in Foro it., 1970, I, 1857, la quale ha rigettato la questione

di costituzionalità in relazione ad una pretesa disparità di trattamento fra le diverse categorie di

debitori agli effetti dell'art. 3 Cost.

85

commerciali medio – grandi che versino in stato di crisi, al pari del concordato

preventivo, ovvero sia accessibile anche a quanti, in ragione dell'oggetto o delle

dimensioni della propria impresa, siano esclusi dall’area di fallibilità164.

La migliore dottrina, comunque, è propensa a circoscrivere l’ambito di

applicazione della fattispecie di cui all'art. 182bis, e quindi anche della connessa

possibilità di addivenire alla stipula di un accordo transattivo con il Fisco, ai soli

imprenditori commerciali fallibili165. Ovviamente le modifiche apportate con il d. l. n.

98/2011 sono destinate a sopire tale annosa querelle, almeno in parte: nel senso che,

avendo il legislatore esteso gli accordi di ristrutturazione dei debiti e la transazione

fiscale anche agli imprenditori agricoli, ora avrebbe senso continuare ad interrogarsi

sull'estensione dell'ambito applicativo di tali istituti in relazione soltanto ai “piccoli”

imprenditori commerciali.

Quanto all’ulteriore presupposto rappresentato dallo “stato di crisi”

dell’imprenditore proponente la mente corre all'elaborazione interpretativa cui il

concetto è stato sottoposto nel corso degli anni, sino alla precisazione legislativa

secondo cui esso è comprensivo anche dello stato di insolvenza166.

Ai fini del presente lavoro, tuttavia, è doverosa una puntualizzazione:

potrebbero verificarsi, infatti, situazioni in cui il passivo d'impresa è rappresentato

esclusivamente da debiti tributari. In tale evenienza sembra legittimo chiedersi se

possa comunque parlarsi di vera e propria “crisi d'impresa”, tale da legittimare la

presentazione di una proposta di concordato in cui l'unico creditore da soddisfare in

misura falcidiata o dilazionata sia l'Amministrazione finanziaria: del resto,

164

Cfr. ex multis C. D'AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fallimento e altre

procedure concorsuali, cit., 1805 e ss.

165

Cfr. M. LIBERTINI, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti e revocatoria, in

Autonomia negoziale e crisi d'impresa, a cura di F. DI MARZIO e F. MACARIO, Giuffrè,

Milano, 2010, 378. In senso conforme anche G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti,

ovvero la sindrome del teleobiettivo, in S. AMBROSINI, Le nuove procedure concorsuali,

Zanichelli, Bologna, 2008, 567 e G. PELLIZZONI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il

piano di risanamento, alla luce del decreto correttivo della riforma della legge fallimentare, in

www.unijuris.it, 2008, 19.

166

La letteratura sul punto è vastissima: cfr. su tutti G. TERRANOVA, Stato di crisi e stato di

insolvenza, Giappichelli, Torino, 2007.

86

indipendentemente dalla soluzione che si possa escogitare sotto il profilo sistematico

o ermeneutico, sul piano pratico-operativo occorre tener conto del concreto

atteggiamento che il Fisco adotterebbe in tali ipotesi, sembrando arduo che l’ufficio

decida di approvare la proposta transattiva.

È pacifico, comunque, che la transazione fiscale possa aver luogo solo

nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, o all'interno di un accordo di

ristrutturazione dei debiti. È esclusa pertanto ogni possibilità di addivenire ad una

sistemazione delle pendenze verso l'Erario, con i connessi effetti di cristallizzazione

della complessiva esposizione debitoria e cessazione della materia del contendere, al

di fuori delle due ipotesi legislativamente individuate.

Invero non è mancato in dottrina chi ha criticato la predetta limitazione, che

sembrerebbe essere del tutto irragionevole, soprattutto con riferimento a quelle

procedure concorsuali che prevedono una continuazione dell'attività

imprenditoriale167. Ancora, in una prospettiva de iure condendo, è stata proposta

un'estensione dell'istituto ad ogni procedura concorsuale, non essendo ravvisabile

alcun concreto vantaggio, né per l'Erario né per il debitore, derivante dalla

limitazione del relativo ambito di operatività168.

167

Cfr. E. DE MITA, Transazione con il fisco per tutte le crisi, in Il Sole 24 Ore del 28 giugno 2009.

168

Cfr. S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato preventivo, in

www.fallimentitribunalemilano.net, 2006, 3, e V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e pagamento

percentuale dei crediti privilegiati nel concordato preventivo: più dubbi che certezze, in Fall.,

2007, 579. Palesa una violazione ingiustificata del principio di parità di trattamento di cui all’art.

3 Cost., con particolare riferimento all'esclusione dall'ambito di applicazione dell'art. 182ter degli

istituti che prevedono una composizione negoziale del debito (quali il concordato fallimentare ed il

concordato siglato in sede di amministrazione straordinaria), E. MATTEI, La transazione fiscale

nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato delle procedure

concorsuali, a cura di L. GHIA - C. PICCININNI - F. SEVERINI, Utet, Torino, 2011, IV, 722. A.

LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, in Le procedure concorsuali, a cura di A.

CAIAFA, Cedam, Padova, 2011, 1429, sembra criticare l’impossibilità di attivare la transazione

fiscale in sede di piano attestato di risanamento e di concordato fallimentare, posto che essi

presenterebbero evidenti analogie con il concordato preventivo e con gli accordi di

ristrutturazione; l’A. comunque giudica l'istituto incompatibile tanto con il concordato in sede di

l.c.a. di cui all'art. 214 legge fall., quanto con il concordato attivabile nell'ambito

dell'amministrazione straordinaria di cui all'art. 78 del d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270, poiché

entrambe le procedure hanno carattere non convenzionale ma autoritativo, ed i creditori non sono

ammessi alla votazione, sicché per l'Erario sarebbe impossibile esprimere il proprio voto secondo

quanto previsto dall'art. 182ter. Ancora, la transazione fiscale non potrebbe operare neppure

nell'ambito del concordato previsto dal decreto “Parmalat” (d.l. 23 dicembre. 2003, n. 347,

convertito con l. 18 febbraio 2004, n. 39), il quale non prevede in radice alcuna falcidia dei crediti

87

In ogni caso, indipendentemente dalla fondatezza o meno di tali rilievi, nelle

altre procedure concorsuali il debitore potrà pur sempre avvalersi degli ordinari

strumenti deflattivi del contenzioso fiscale, ricorrendone i relativi presupposti169.

4. L’ambito di applicazione della transazione fiscale sotto il profilo

oggettivo.

Il comma 1 dell’art. 182ter prevede che la proposta di transazione può

riguardare esclusivamente “i tributi amministrati dalle Agenzie fiscali e i relativi

accessori”, nonché, a seguito delle integrazioni apportate con il d. l. n. 185/2008, i

contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza

obbligatorie ed i relativi accessori, ancorché non iscritti a ruolo.

Anche sotto il profilo oggettivo la norma ha sollevato non poche criticità,

alcune delle quali restano tuttora insolute.

In dottrina, anzitutto, è sorto il problema di individuare che cosa debba

intendersi esattamente per “tributo”, posto che nessuna norma del nostro

ordinamento tributario ne dà una precisa definizione. La questione non ha soltanto

rilievo teorico-dogmatico, considerati i risvolti pratici che derivano dalla

qualificazione di una certa entrata in termini di tributo, a partire dall'assoggettamento

delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario e, per

quanto qui interessa, dalla transigibilità o meno dell'introito ai sensi dell'art. 182ter.

L'interpretazione dottrinale prevalente, avallata anche dalla giurisprudenza

costituzionale, qualifica il tributo come “prestazione patrimoniale imposta,

caratterizzata dall'attitudine a determinare il concorso dei consociati alle pubbliche

spese”: si tratterebbe dunque di un sacrificio economico individuale imposto da un

atto autoritativo a carattere ablatorio, il cui gettito è destinato ad alimentare la

finanza pubblica, fornendo i mezzi necessari per il finanziamento delle pubbliche

privilegiati. Sulla possibilità di falcidiare i crediti tributari anche nell’ambito di una procedura di

concordato fallimentare cfr. A. LA MALFA, La transazione fiscale, il concordato preventivo e il

concordato fallimentare, in Dir. fall., 2008, 463 e ss., nonché ID., Transazione fiscale applicabile

anche al concordato fallimentare, in Corr. trib. n. 37/2008, 2997 e ss.

169

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2565: in particolare, saranno esperibili

l'accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale, le definizione agevolata delle sanzioni e

la rateizzazione della riscossione.

88

spese170. Ne deriverebbe l'esclusione dal novero dei tributi di quelle entrate a

carattere soltanto patrimoniale, quali i contributi di varia natura, i canoni demaniali,

le tariffe e i prezzi pubblici, che non soddisfano i menzionati criteri.

Quanto all'espressione “tributi amministrati dalle Agenzie fiscali”, con la quale

si è inteso perimetrare l'ambito di applicazione dell'istituto, il legislatore avrebbe

attribuito rilevanza esclusivamente al potere di gestione dell'imposta, inteso come il

fascio dei poteri funzionali al controllo, all’accertamento ed alla riscossione della

stessa171, indipendentemente dalla destinazione del relativo gettito; si tratta dunque

di una scelta diversa da quella compiuta all'atto dell'introduzione della vecchia

transazione esattoriale, che era stata limitata ai soli tributi il cui gettito fosse stato di

esclusiva spettanza dello Stato. L'attuale formulazione abbraccia così entrate che

vedono la compartecipazione anche di altri Enti impositori, ma la cui gestione è

devoluta ad una delle Agenzie fiscali, quali l'Irap, le addizionali Irpef (regionale e

comunale) e le tasse automobilistiche172; viceversa, non sarà possibile transigere i

tributi locali (quali l’Ici, la Tarsu, la Tosap, l’imposta sulle pubblicità e i diritti sulle

pubbliche affissioni), rispetto ai quali le medesime Agenzie non vantano alcun potere

di accertamento e/o riscossione173.

170

Cfr. A. FANTOZZI, Il diritto tributario, Utet, Torino, 2003, 20 e ss., e G. FALSITTA, Manuale di

diritto tributario, Cedam, Padova, 2010, 20 e ss. In giurisprudenza cfr. C. Cost., 11 gennaio 1995,

n. 2 e n. 11, in Riv. dir. trib., 1995, II, 261. In particolare, secondo la consolidata giurisprudenza

costituzionale i criteri da adottare per qualificare le entrate erariali come tributarie,

“indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina tali entrate,

consistono nella doverosità della prestazione e nel collegamento di questa alla pubblica spesa,

con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante” (cfr. da ultimo Corte Cost., 10

marzo 2008, n. 64, reperibile sul sito www.giurcost.org/decisioni)

171

Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 682.

172

Gli altri tributi transigibili sono: l'Irpef, l'Irpeg, l'Ires, l'imposta di registro, le imposte ipotecaria e

catastale, l'imposta di bollo, l'imposta sulle successioni e donazioni, l'imposta sugli intrattenimenti,

la tassa sulle concessioni governative, la tassa sui contratti di borsa, il canone RAI, l'abrogato

contributo per il S.S.N. (tutti amministrati dall'Agenzia delle Entrate); le imposte e i canoni

demaniali, sempre che per i secondi se ne escluda la natura patrimoniale (gestiti dall'Agenzia del

Territorio); i dazi di importazione ed esportazione e le imposte di fabbricazione e consumo (di

competenza dell'Agenzia delle Dogane). Sul punto cfr. la circolare dell'Agenzia delle Entrate n.

25/E del 21 marzo 2002, in www.agenziaentrate.gov.it, contenente l'elenco dei tributi di

competenza dell'Agenzia delle Entrate, come tali devoluti alla giurisdizione del giudice tributario.

173

L'art. 57, comma 2 d. lgs. 30 luglio 1999, n. 300 stabilisce comunque che “Le Regioni e gli Enti

locali possono attribuire alle Agenzie fiscali, in tutto o in parte, la gestione delle funzioni ad essi

spettanti, regolando con autonome convenzioni le modalità di svolgimento dei compiti e gli

obblighi che ne conseguono”. Sui dubbi che una parziale attribuzione di dette funzioni potrebbe

89

Un'ulteriore questione interpretativa attiene alla nozione di “accessori” del

tributo: se non vi è mai stato alcun problema nel ricomprendervi gli interessi, dubbi

sono sorti con riferimento alle sanzioni pecuniarie, posto che nell'ottica punitiva che

permea l'intero sistema dell'illecito amministrativo tributario le medesime presentano

un carattere afflittivo difficilmente conciliabile con una loro transigibilità. La

dottrina maggioritaria, tuttavia, propende per una lettura estensiva ed

omnicomprensiva della locuzione di cui trattasi, tale da ricomprendervi anche le

sanzioni, la cui esclusione penalizzerebbe altrimenti la funzionalità dell'istituto174; in

tal senso si è espressa anche la circolare interpretativa n. 40/E delle Entrate.

Ancora, il comma 1 esclude dall’ambito di applicazione della transazione

fiscale i “tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea”. Ai sensi di quanto

previsto dall'art. 2 della Decisione Euratom del 29 settembre 2000175 tali risorse sono

costituite da: prelievi e contributi agricoli; dazi doganali; una quota del gettito Iva

applicata agli imponibili armonizzati di ciascuno Stato membro; una percentuale del

P.N.L. di ciascuno Stato (attualmente l'aliquota uniforme è attestata sull'1,2%);

tributi istituiti nell'ambito della politica comunitaria in attuazione delle disposizioni

dei Trattati. Ancora, la menzionata circolare n. 40/E, conformandosi all'orientamento

espresso dalla Commissione europea nella Comunicazione 2007/C-207/05176, ha

generare, circa l'individuazione del soggetto cui riferire l'“amministrazione del tributo” e la

conseguente possibilità di transigerlo o meno, cfr. M. CORVAJA e A. GUERRA, La transazione

fiscale, cit., 1918, i quali auspicano un intervento chiarificatore del Ministero.

Quanto all'esclusione del credito per interessi e sanzioni dovute per l'omesso pagamento dell'ICI

cfr. Corte dei Conti, Sez. reg. Emilia Romagna, 27 febbraio 2007, delibera n. 2/2007, in GT, 2007,

515, con nota critica di C. LAMBERTI, La Corte dei Conti “ignora” la nuova transazione fiscale

del diritto fallimentare e l'autonomia finanziaria degli Enti locali.

174

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2568; M. POLLIO, La transazione

fiscale, cit., 1843. Contra L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 682 e S. GOLINO, La

transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fisco, n. 46/2007, fascicolo 1,

6705. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, in Fisco, n. 20/2006, 3015, vi

ricomprende anche le somme dovute a titolo di risarcimento danni.

175

“Decisione del Consiglio del 29 settembre 2000 relativa al sistema delle risorse proprie delle

Comunità europee”, 2000/597/CE, Euratom, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità

Europee L. 253/42 del 7 ottobre 2000.

176

“Verso l'esecuzione effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri

di recuperare gli aiuti di Stato illegali e incompatibili”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale

dell'Unione Europea del 15 novembre 2007.

90

escluso che possano costituire oggetto di una transazione fiscale i crediti relativi al

recupero di aiuti di Stato illegittimamente accordati all'impresa.

4.1. La vexata quaestio della transigibilità dell'Iva.

Quanto all'Iva, il decreto anticrisi del 2008 sembra aver definitivamente risolto

la querelle relativa alla sua falcidiabilità: se in passato la dottrina maggioritaria177,

come anche la giurisprudenza di merito178, avevano ammesso la possibilità di

proporre un trattamento remissorio anche per questa imposta, altra corrente

interpretativa179 aveva invece escluso tale possibilità. Di quest’ultimo avviso era

anche l'Agenzia delle Entrate, che nella circolare n. 40/E del 2008 invitava gli uffici

ad escludere l'Iva dalle transazioni fiscali, almeno fino al consolidamento

dell'orientamento giurisprudenziale in materia; secondo il citato documento di prassi

sarebbero stati comunque transigibili interessi e sanzioni, ed inoltre veniva precisato

che il debito Iva per imposta avrebbe dovuto essere ricompreso nella certificazione

da rilasciare al debitore.

La soluzione interpretativa più rigorosa muoveva dall'origine comunitaria del

tributo, il cui gettito era (ed è tuttora) parzialmente destinato al finanziamento delle

istituzioni europee ai sensi di quanto previsto dall'ottavo considerando della Direttiva

CE del 28 novembre 2006 n. 112180, attuativo dalla menzionata decisione Euratom

177

Cfr. ex multis L. TOSI, La transazione fiscale, in Rass. trib., 2006, 1078; L. MAGNANI, La

transazione fiscale, cit., 682; L. DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale secondo il

Tribunale di Milano: dal particolarismo tributario alla collocazione endoconcorsuale, in Fall.,

2008, 343.

178

Cfr. Trib. Bologna, 26 ottobre 2006, decr., in Fall., 2007, 579 e ss., Trib. Milano, 13 dicembre

2007, decr. in Fall., 2008, 333, Trib. Milano, 16 aprile 2008, decr., in www.ilcaso.it, I, 1214/2008,

nonché Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, decr., in Dir. fall., 2009, II, 66 e ss.

179

Cfr. L. MAZZUOCCOLO, Transazione fiscale: nuove disposizioni introdotte dall'art. 182ter del

R.D. n. 267/1942, in Fisco, n. 15/2006, fascicolo 1, 2258, e L. MANDRIOLI, Transazione fiscale

e concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, in Giur. comm., 2008, 301,

che si era mostrato dubbioso sulla possibilità di applicare la transazione fiscale anche all'Iva. In

giurisprudenza avevano escluso la remissione del debito Iva Trib. Lamezia Terme, 23 giugno

2008, decr., in Dir. fall., 2009, II, 224 e ss, e Trib. Piacenza, 1 luglio 2008, decr., in Dir. fall.,

2009, II, 66 e ss..

180

Trattasi della “Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema

comune d'imposta sul valore aggiunto”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea

L. 347/1 dell'11 dicembre 2006. Tale direttiva riconduce al sistema delle risorse proprie delle

91

del 2000. A favore della tesi più rigorosa militava anche il divieto, che le norme

comunitarie impongono a carico di ciascuno Stato membro, di disporre una rinuncia

generale e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica dei tributi

aventi origine comunitaria181.

L’orientamento dottrinale prevalente, viceversa, riteneva che la “quota di

richiamo Iva” da versare annualmente all'UE, essendo calcolata sul prodotto

nazionale lordo di ciascuno Stato membro, non aveva nulla da spartire con l'imposta

riscossa presso il singolo contribuente, né con il gettito complessivo annuale del

tributo: ad essere riversata alle istituzioni comunitarie non era, dunque, una frazione

dell'Iva riscossa, quanto piuttosto una porzione del proprio P.N.L., rispetto alla quale

la prima rappresentava semplicemente un riferimento (“parametro di contribuzione”)

cui commisurare convenzionalmente la misura di partecipazione di ciascuno Stato

membro al fabbisogno finanziario delle istituzioni comunitarie. Ne sarebbe derivata,

dunque, la transigibilità anche di detta imposta.

Il d. l. n. 185/2008, con un chiarimento che secondo alcuni avrebbe carattere

interpretativo piuttosto che innovativo182, ha statuito che “con riguardo all'IVA la

proposta di transazione può prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento”.

Alla base dell'intervento correttivo vi è stato sicuramente il timore di non incappare

in una nuova condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea, dopo la

Comunità europee quelle provenienti dall'IVA, ottenute applicando un'aliquota comune ad una

base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie, ed attualmente pari

allo 0,5% del PIL di ciascuno Stato membro.

181

Cfr. artt. 2 e 22 della VI direttiva Iva prima citata, nonché l'art. 10 del Trattato Ce.

182

Cfr. M. POLLIO, La transazione fiscale, cit., 1845: ne deriverebbe che la nuova norma dovrebbe

applicarsi anche per il passato, ossia alle proposte di transazione già pendenti alla data di entrata in

vigore del decreto n. 185. Lo stesso è stato ribadito dalla circolare n. 14/E del 10 aprile 2009, in

cui l'Agenzia delle Entrate sostiene che per le procedure di concordato preventivo pendenti alla

data del 29 novembre 2008 il debitore potrà presentare una nuova proposta di transazione

(eventualmente anche mediante integrazione della proposta originaria), contenente la dilazione del

debito Iva, purché le operazioni di voto non siano già iniziate (questo perché l'art. 175 legge fall.

dispone che l'avvio della votazione preclude la modifica della domanda di concordato). Quando la

transazione sia inserita in un accordo ex art. 182bis il debitore potrà integrare/modificare la propria

proposta originaria nell'ambito delle trattative ancora in corso alla data di entrata in vigore del

decreto anticrisi. Contra cfr. Trib. Mantova, 26 febbraio 2009, decr., in www.ilcaso.it, I,

1641/2009, il quale esclude che la novella che vieta la remissione del credito Iva sia applicabile

alle proposte di concordato preventivo presentate prima dell'entrata in vigore della suddetta

modifica normativa.

92

bocciatura del condono Iva varato nel 2002183; sono state però deluse, in tal modo, le

aspettative di quanti caldeggiavano la soluzione opposta, facendo leva sulla

circostanza che un pagamento integrale di detto tributo, che spesso costituisce una

parte rilevante del passivo d'impresa, sicuramente non agevola la riuscita dei piani

concordatari.

L'attuale formulazione dell'art. 182ter, inoltre, sembra essere difficilmente

conciliabile con il principio generale dell'osservanza dell'ordine delle cause legittime

di prelazione di cui all'art. 160, comma 2 legge fall.: dal combinato disposto delle

due norme discenderebbe infatti l'obbligo di pagamento integrale non solo del

credito Iva, collocato al 19° posto nella graduatoria dei privilegi di cui all'art. 2778

c.c., ma anche dei crediti privilegiati ad esso antergati, con buona pace dell'effettiva

attuabilità del concordato. Dottrina e giurisprudenza tendono a risolvere la questione

attribuendo all'art. 182ter portata derogatoria rispetto alla regola generale di cui al

comma 2 dell'art. 160, ravvisandovi una norma di carattere eccezionale, valevole per

il solo credito Iva, in ragione dell'origine comunitaria di detto tributo, e tale da non

dispiegare alcun effetto sull’ordine delle cause di prelazione che assistono gli altri

crediti184.

In particolare, coma chiarito anche da una recentissima giurisprudenza di

legittimità, la norma di cui all’art. 182ter attribuirebbe al credito Iva un trattamento

peculiare ed inderogabile, aggiuntivo rispetto a quello imposto ex lege nei confronti

della generalità dei crediti privilegiati (per i quali il pagamento deve essere ancorato

al valore dei beni oggetto della garanzia), in ragione dell'interesse comunitario del

tributo, sulla cui gestione gli Stati membri non sono esenti da vincoli: ne deriva che

183

Cfr. la sentenza della Corte di Giustizia UE, 17 luglio 2008, causa C-132/06, in cui l'Italia è stata

condannata per il condono previsto dalla l. n. 289/2002: in particolare, secondo la giurisprudenza

comunitaria le disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 di detta legge (concernenti rispettivamente

l'integrazione degli imponibili per gli anni pregressi ed il“condono tombale”), sono in contrasto

con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva CEE in materia di Iva, nonché con l'art. 10 del Trattato

istitutivo della Comunità Europea, in quanto prevedono una rinuncia generale ed indiscriminata

all'accertamento Iva.

184

Cfr. L. DEL FEDERICO, Profili evolutivi della transazione fiscale, in Il nuovo diritto fallimentare,

diretto da A. JORIO e M. FABIANI, Zanichelli, Bologna, 2010, 1222. Il carattere eccezionale

della disposizione che prevede l’obbligo di pagamento integrale del debito Iva è stato ribadito

anche dalla Corte di Cassazione nelle due recenti pronunce del 4 novembre 2011, di cui si dirà

infra.

93

la disciplina della graduazione dei crediti di cui all'art. 160, comma 2 vincolerebbe il

solo debitore, ma non anche il legislatore, sempre libero di “attribuire un trattamento

particolare a determinati crediti come avviene nella prededuzione, senza che ciò

incida automaticamente sul trattamento degli altri. Diversamente opinando, tra

l'altro, si dovrebbe attribuire al legislatore, se non l'intento quantomeno

l'accettazione del rischio di rendere in molti casi sostanzialmente inattuabile il

percorso concordatario in quanto, tenuto conto del basso grado di privilegio

dell'Iva, la necessità di proporne l'integrale pagamento comporterebbe l'analoga

necessità per tutti i crediti privilegiati, anche non tributari, rendendo oltretutto priva

di contenuto la stessa transazione fiscale”185.

Risolta definitivamente, ed in senso negativo, la vexata quaestio relativa alla

possibilità di un trattamento remissorio del debito Iva nell'ambito di una transazione

fiscale, il successivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale si è concentrato su una

problematica che risulta strettamente connessa alla precedente: ossia la possibilità di

un pagamento in misura percentuale del credito Iva nell'ambito di un concordato

preventivo non contenente una proposta di transazione.

La disputa, ovviamente, presuppone che si aderisca alla tesi della facoltatività

della transazione fiscale, che risulta essere al giorno d'oggi prevalente sia in dottrina

che in giurisprudenza, grazie anche alla recente presa di posizione della Corte di

Cassazione, con le pronunce nn. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011. Il punto sarà

chiarito meglio nel prosieguo: basti qui rammentare che la non obbligatorietà della

transazione implica che l'imprenditore possa offrire un pagamento parziale e/o

dilazionato dei crediti tributari con la sola domanda di concordato preventivo.

Si tratta a questo punto di accertare se la falcidia ivi contemplata possa

riguardare anche l'Iva: in altri termini, i due poli dell'alternativa sono quelli di

riconoscere alla disposizione che vieta il pagamento parziale dell'Iva, di cui al

comma 1 dell'art. 182ter, carattere di norma sostanziale, dunque di generica

applicazione, ovvero norma meramente processuale, come tale connessa

185

Cfr. Cass., 4 novembre 2011, n. 22931 e 22932, rispettivamente in www.ilcaso.it, I, 6682/2011 ed

in banca dati Fisco d'Italia.

94

esclusivamente allo specifico procedimento di transazione fiscale e non applicabile

al di fuori del medesimo.

La dottrina maggioritaria, al pari della prevalente giurisprudenza di merito186,

avevano optato per la seconda soluzione interpretativa, ammettendo la possibilità di

un trattamento remissorio del debito Iva al di fuori della transazione fiscale.

Favorevoli all'opposta soluzione interpretativa erano stati, invece, alcuni Autori, e

qualche sparuta pronuncia giurisprudenziale187, alla luce dell’asserita natura

imperativa della disposizione di cui al comma 1 dell'art. 182ter, la quale imporrebbe

un comando precettivo, come tale non suscettibile di essere derogato.

Sulla querelle è intervenuta di recente la Corte di Cassazione, che con le citate

pronunce del 4 novembre 2011 ha ribadito l'impossibilità di falcidiare il debito Iva

anche nell'ambito di un concordato senza transazione fiscale. In primo luogo, a

giudizio della Suprema Corte non sarebbe credibile che il legislatore abbia inteso

lasciare alla valutazione discrezionale del debitore la scelta di assoggettarsi o meno

all'onere dell’integrale pagamento dell'Iva, imposta armonizzata a livello

comunitario sulla cui gestione gli Stati membri non sono esenti da vincoli. In

secondo luogo, la disposizione che impone il divieto di falcidia di detto tributo

avrebbe valore di norma sostanziale, e non già meramente processuale: essa dunque

disciplinerebbe il trattamento da riservare a tale imposta nell'ambito di qualsivoglia

esecuzione concorsuale, in ragione della peculiarità del medesimo e prescindendo

dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi.

In ogni caso, a giudizio della Corte l’obbligo di pagamento integrale del debito

Iva “non comporta l’’inderogabile accoglimento della pretesa fiscale in quanto

nell’ambito del concordato senza transazione fiscale resta ferma la facoltà del

contribuente di opporsi alla stessa, così che è solo l’imposta definitivamente

186

Cfr. Trib. La Spezia, 2 luglio 2009, decr., in Dir. fall., 2009, II, 487 e ss; Trib. Milano, 12 ottobre

2009, decr., inedito; App. Genova, 19 dicembre 2009, decr., in www.ilcaso.it., I, 1971/2010.

187

Cfr. Trib. Roma, 16 dicembre 2009, decr., in Dir. fall., 2011, II, 369 e ss., e Trib. Monza, 23

dicembre 2009, decr., in www.ilcaso.it, I, 1947/2010. In dottrina cfr. G. GAFFURI, Aspetti

problematici della transazione fiscale, in Rass. trib., 2011, 1120 e ss., V. ZANICHELLI, I

concordati giudiziali, Utet, Torino, 2010, 263, e A. LA MALFA, Del consolidamento dei debiti

fiscali, e del carattere vincolante del ricorso alla transazione ex art. 182ter legge fallim. per la

falcidia dei crediti privilegiati fiscali (note in margine a Tribunale Roma 16 dicembre 2009), , in

Dir. fall., 2011, II, 374 e ss.

95

accertata che è soggetta al vincolo richiamato”188.

5. Il contenuto della proposta di transazione.

La proposta transattiva può avere contenuto remissorio, dilatorio o misto,

salvo, come visto, l’obbligo di pagamento integrale del debito Iva nonché, a seguito

delle modifiche introdotte con il d.l. n. 78/2010, delle ritenute operate

dall'imprenditore e non versate: per entrambi, infatti, è ammessa soltanto una

dilazione di pagamento.

Quanto all'impossibilità di falcidiare il debito per le ritenute alla fonte la

dottrina ha ravvisato la ragione del divieto nella circostanza che esse, al pari dell'Iva,

non costituirebbero un tributo “proprio” dell'imprenditore, non essendo questi il reale

soggetto passivo d'imposta, poiché interviene nella riscossione del tributo solo in

qualità di sostituto d'imposta: pertanto è sembrato al legislatore non giustificabile il

comportamento dell'imprenditore che in un primo momento trae vantaggio

dall'omesso versamento delle ritenute operate sugli emolumenti corrisposti a terzi per

poi fruire della transazione fiscale, approfittando della provvista creata in danno del

contribuente-sostituito189.

Una certa corrente dottrinale, all'opposto, non ha mancato di criticare

l’eccessiva chiusura manifestata dal legislatore, reo di aver depotenziato l'appeal

dell'istituto, laddove si consideri che il debito relativo alle ritenute spesso

rappresenta, congiuntamente a quello Iva, la parte più consistente della complessiva

esposizione debitoria dell'impresa in crisi: nell'attuale contesto di congiuntura

economica negativa, che implica un generale disequilibrio economico oltre che

finanziario, con conseguente contrazione del reddito imponibile, i debiti per Ires ed

Irap non costituiscono quasi mai le voci di debito fiscale più rilevanti, a differenza

188

Nello stesso senso cfr. G. ANDREANI e M. RATTI, Il problematico ricorso a procedure

concorsuali e transazione fiscale, in Corr. trib., n. 12/2011, 944 e ss., secondo cui il debito per Iva

dovrebbe essere falcidiabile qualora non sia stato ancora accertato definitivamente, ma risulti a

livello di mera pretesa impositiva in attesa di definizione.

189

Sulla portata morale del divieto di falcidia delle ritenute operate cfr. L. DEL FEDERICO, Profili

evolutivi della transazione fiscale, cit., 1223, il quale attribuisce alla motivazione che alla base del

medesimo carattere “pseudo-etico”, salvo criticare l'eccessiva rigidità dell'intervento legislativo,

che lederebbe ingiustificatamente il principio della par condicio creditorum e svilirebbe la

convenienza della transazione.

96

appunto dell'imposta sul valore aggiunto e delle ritenute erariali. Inoltre, l'obbligo di

pagamento integrale di questi ultimi tributi potrebbe avere ripercussioni negative sul

perfezionamento della procedura concorsuale in cui la transazione fiscale si innesta,

perché determina molto spesso la riduzione delle risorse finanziarie a disposizione

degli altri creditori concordatari, con contrazione delle relative percentuali di

soddisfazione, rendendo meno agevole il raggiungimento della maggioranza di cui

all'art. 177190.

Per quanto attiene, invece, al debito erariale per ritenute non operate

dall'imprenditore qualcuno ha affermato l'ammissibilità della relativa falcidia,

muovendo dalla formulazione letterale dell'art. 182ter191.

Con riferimento alla dilazione di pagamento la normativa in materia di

transazione fiscale non opera alcun richiamo alla disposizione generale di cui all'art.

19 del d.P.R. n. 602/1973, con la conseguenza che sarà possibile proporre una

diluizione temporale dei pagamenti prescindendo dalle condizioni previste da quella

norma (sussistenza di una temporanea situazione di obiettiva difficoltà e

frazionamento in un numero massimo di 72 rate mensili, con possibilità di proroga di

ulteriori 72 mesi nel caso di comprovato peggioramento di quella situazione), come

in precedenza era stato sostenuto già a proposito della transazione sui ruoli a

carattere dilatorio192.

190

Cfr. M. ZANNI - G. REBECCA, La disciplina della transazione fiscale: un “cantiere” sempre

aperto, in Il Fisco, n. 39/2010, fascicolo 1, 6303, nonché M. POLLIO – P. P. PAPALEO,

Transazioni fiscali con la zavorra, in Italia Oggi, 14 giugno 2010, 5. Secondo G. ANDREANI -

M. RATTI, Il problematico ricorso a procedure concorsuali e transazione fiscale, cit., 944 e ss., il

debito per le ritenute non versate, al pari del debito Iva, dovrebbe essere falcidiabile qualora non

sia stato ancora accertato definitivamente, ma risulti a livello di mera pretesa impositiva in attesa

di definizione.

191

Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A.

NIGRO - M. SANDULLI - V. SANTORO, Giappichelli, Torino, 2010, III, 2323, nonché M.

ZANNI - G. REBECCA, La disciplina della transazione fiscale: un “cantiere” sempre aperto,

cit., 6302 e 6303, dove viene prospettato l'esempio di un accertamento dell’Agenzia delle Entrate

per pagamenti fuori busta corrisposti a lavoratori dipendenti o compensi in nero pagati a lavoratori

autonomi: in tale ipotesi il relativo debito d'imposta (comprensivo delle ritenute non operate, più

relative sanzioni ed interessi) sarebbe transigibile.

192

Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale: la procedura, in Fisco, n. 21/2006, fascicolo 1, 3188

e ss., il quale ritiene, tuttavia, che si applichi alla transazione fiscale la disciplina di cui all'art. 19,

comma 3 del d.P.R. n. 602/1973: secondo la previgente formulazione della citata disposizione il

mancato pagamento della prima rata, o di due rate consecutive, determinava l’automatica

decadenza dal beneficio della rateizzazione, e l'intero importo iscritto a ruolo ed ancora dovuto era

97

La dottrina, poi, è unanime nel ritenere che la soddisfazione del credito erariale

debba avvenire esclusivamente con pagamento in denaro: in tal senso deporrebbe la

lettera della norma, che parlando di “pagamento” (parziale e/o dilazionato) dei

tributi, nonché di “percentuale di pagamento” (con riferimento ai crediti assistiti da

privilegio), escluderebbe la possibilità di ricorrere alle altre modalità di

soddisfazione contemplate dall'art. 160193. Qualcuno ha tuttavia precisato che, se

sono sicuramente inibite la cessio bonorum e l'attribuzione all'Erario di azioni, quote,

obbligazioni ed altri strumenti finanziari o titoli di debito, non vi sarebbe una

particolare preclusione per le proposte transattive che prevedano l'attribuzione delle

attività di impresa ad un assuntore o l'accollo di debiti, posto che in questi casi il

debito d'imposta sarebbe comunque destinato ad essere estinto con un successivo

pagamento in denaro, ancorché proveniente da un soggetto terzo rispetto al debitore

originario194.

Ancora, la dottrina maggioritaria è concorde nel ritenere che il debito tributario

possa essere soddisfatto anche tramite compensazione con i crediti, sia chirografari

che privilegiati, che l’imprenditore vanta nei confronti dell’Amministrazione

finanziaria, purché essi presentino i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità di cui

all'art. 1243 c.c., e siano maturati con riferimento ad annualità per le quali sia

prescritta l'azione accertatrice, ovvero risultino da provvedimenti dell'autorità

giudiziaria passati in giudicato195.

Sempre con riferimento al contenuto di una proposta di transazione fiscale la

dottrina maggioritaria ritiene che essa possa essere anche “parziale”, nel senso che

può riguardare solo una parte dei debiti d’imposta potenzialmente transigibili

gravanti sull’imprenditore, che per la restante parte dovranno soggiacere

immediatamente riscuotibile in unica soluzione. A seguito delle novità introdotte con d.l. 2 marzo

2012, n. 16, convertito con l. 26 aprile 2012, n. 44, la decadenza si verifica solo a seguito del

mancato pagamento di due rate consecutive.

193

Cfr. ex multis M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1576.

194

Cfr. L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi

del concorso, cit., 308 e ss., nonché G. RIPA, La transazione fiscale, in Commentario sistematico

al fallimento, Celt, Piacenza, 2011, 812 e 813.

195

Cfr. M. QUATRARO, La transazione fiscale, in www.fallimentitribunalemilano.net, 2005, 2.

98

esclusivamente alla regola generale della falcidia concordataria ex art. 184, senza che

si producano, per essi, gli ulteriori effetti tipici di consolidamento ed estinzione delle

liti pendenti196.

Tale conclusione sembrerebbe essere supportata dalla formulazione letterale

dell'art. 182ter, nell'ambito del quale non si rinverrebbero elementi tali da escludere

l’ammissibilità di una proposta parziale. A supporto della medesima tesi, inoltre,

sono state addotte anche argomentazioni di carattere logico, in quanto sembrerebbe

eccessivo e controproducente costringere l'imprenditore ad inserire nella proposta di

transazione fiscale anche debiti d'imposta che egli abbia già contestato con ricorso o

che intenda comunque contestare: in tale ipotesi, infatti, egli non avrebbe alcun

interesse ad ottenere l'estinzione delle controversie, pendenti o solo potenziali,

soprattutto quando l'ammontare del tributo preteso dall’Amministrazione è

particolarmente elevato, o qualora le probabilità di vittoria del contenzioso siano

sufficientemente alte. Pertanto se vi fosse un obbligo di ricomprendere nella proposta

l'intero carico tributario, comprensivo anche di detti debiti, l'utilizzo dell'istituto

sarebbe fortemente ridimensionato.

Ne deriva che, secondo la corrente dottrinale maggioritaria, la determinazione

del campo di azione della transazione fiscale è rimessa alla volontà del debitore,

libero di valutare quali tributi sarà opportuno e conveniente definire in via transattiva

e quali invece soddisfare secondo le ordinarie regole concordatarie. Parimenti, il

contribuente sarà libero di selezionare anche le annualità d’imposta da

ricomprendere nella propria istanza di transazione, potendo la medesima concernere

sia periodi di imposta ancora suscettibili di accertamento, sia periodi già “chiusi” per

effetto del decorso del termine di decadenza prescritto per l'esercizio dei controlli

sostanziali197.

196

Cfr. ex multis E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, in Il nuovo diritto

fallimentare, cit., 1189, G. ROCCO, I privilegi tributari e il riparto dell'insolvenza, tra

interpretazione estensiva, eccesso di delega e transazione fiscale, in Dir. prat. trib., 2010, I, 511, e

B. SANTACROCE - D. PEZZELLA, La gestione del debito fiscale da parte dell'imprenditore in

crisi nel concordato preventivo, in Corr. trib., n. 24/2010, 1960 e 1961. Contra S. PACCHI - L.

D'ORAZIO – A. COPPOLA, Il concordato preventivo, in Le riforme della legge fallimentare, a

cura di A. DIDONE, Utet, Torino, 2009,1805.

197

Cfr. M. FERRO, Transazione fiscale, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a

cura di M. FERRO, Cedam, Padova, 2011, 2162.

99

Quanto ai debiti contributivi ed assistenziali il d. m. del 4 agosto 2009 regola

minuziosamente il contenuto della proposta transattiva, prevedendo percentuali di

pagamento diversificate a seconda che si tratti di crediti chirografari o privilegiati e,

con riferimento a questi ultimi, a seconda del grado di privilegio che li assiste, ai

sensi della graduazione di cui all'art. 2778 c.c. La disciplina applicabile alla

transazione “previdenziale” e/o “assistenziale” sarà esaminata in dettaglio nel

prosieguo del presente lavoro: giova qui anticipare che non sono mancate forti

critiche in ordine all'eccessiva rigidità della normativa ministeriale, che fissando

rigorosamente precise percentuali di soddisfazione finirebbe per travalicare sia il

testo dell'art. 182ter sia lo spirito della riforma198.

6. Il trattamento dei crediti tributari privilegiati.

Anteriormente alle modifiche introdotte dal correttivo del 2007 un tema

“classico”, ampiamente dibattuto in dottrina, era rappresentato dal trattamento da

riservare ai crediti tributari privilegiati: si discuteva, cioè, in merito alla possibilità di

falcidiare o meno le pretese creditorie dell'Erario assistite da privilegio, essendo

sempre stata indubbia, all'opposto, la falcidiabilità dei crediti fiscali chirografari sulla

scorta della regola generale di cui all’art. 184, che sancisce l'obbligatorietà del

concordato omologato per tutti i creditori anteriori, ivi compresi quelli astenuti o

dissenzienti199.

Prima di analizzare le linee generali della accennata disputa sembra opportuna

una sintetica illustrazione dei vari privilegi che assistono i diversi crediti tributari,

alla luce delle novità apportate dalla recente manovra correttiva di luglio 2011200

.

198

Sul punto cfr. ex multis E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato

preventivo, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, diretto e coordinato da U. APICE,

Giappichelli, Torino, III, 2011, 576.

199

Cfr. ex multis L. TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso

della transazione fiscale, testo della relazione al Convegno “Azione amministrativa e azione

impositiva tra autorità e consenso”, tenutosi a Pescara il 5 ottobre 2007, in Giust. trib., 2008, 28.

200

Sulla quale cfr. M. FERRO, Manovra fiscale: più tutele ai crediti tributari e prime procedure

concorsuali per gli imprenditori agricoli, cit., 909 e ss.

100

Il legislatore, all’art. 2752 c.c., accorda ai crediti per imposte dirette (Irpef,

Irpeg, Ires, Irap ed Ilor) un privilegio generale mobiliare; limitatamente all'imposta o

alla quota proporzionale di imposta imputabile ai redditi immobiliari, l'art. 2771 c.c.,

abrogato per effetto dell'art. 23, comma 38 del d.l. n. 98/2011, prevedeva un

privilegio speciale immobiliare (avente ad oggetto i beni immobili siti nel territorio

del Comune in cui il tributo si riscuote ed i frutti, i fitti e le pigioni dei medesimi

immobili). Infine, l'art. 2759 c.c., tuttora vigente, accorda all'imposta o alla quota

proporzionale d’imposta imputabile al reddito d'impresa un privilegio speciale

mobiliare, gravante sui beni che servono all'esercizio dell'impresa e sulle merci

reperite nel locale adibito all'esercizio stesso o nell'abitazione dell'imprenditore. Il

privilegio generale mobiliare (al pari dell'abrogato privilegio speciale immobiliare)

assisteva i soli crediti per imposte ed interessi (in particolare, l'estensione del

privilegio a questi ultimi è sancita dall'art. 2749 c.c.), iscritti nei ruoli resi esecutivi

nell'anno stesso in cui il concessionario del servizio di riscossione procedeva o

interveniva nell'esecuzione e nell'anno precedente: pertanto, i crediti per sanzioni

pecuniarie, al pari di quelli (per imposta, interessi e sanzioni) iscritti in ruoli resi

esecutivi prima dell'anno precedente l'attivazione della (o l'intervento nella)

procedura esecutiva ad opera del concessionario, avevano natura chirografaria. A

seguito delle novità introdotte con il citato decreto n. 98/2011 il privilegio generale

mobiliare è stato esteso anche alle sanzioni, ed è venuta meno la limitazione

temporale prima contemplata dal comma 1 dell'art. 2752 c.c.: ne deriva che avranno

natura privilegiata tutti i crediti tributari, ivi compresi quelli per le sanzioni,

indipendentemente dalla data di iscrizione a ruolo.

Resta invariata, invece, la norma relativa ai crediti Iva di cui al comma 3

dell'art. 2752 c.c., che accorda un privilegio generale mobiliare al credito per

imposta, sanzioni201 ed interessi, nonché le disposizioni relative ai crediti per tributi

indiretti di cui agli artt. 2758 e 2772 c.c., assistiti da privilegio speciale

(rispettivamente mobiliare ed immobiliare)202.

201

Va rammentato che prima delle novità introdotte con il d.l. n. 98/2011 l'Iva e l'Invim erano le

uniche imposte per le quali il legislatore aveva esteso il privilegio anche alle sanzioni: cfr.

rispettivamente gli artt. 2752, comma 3 c.c. e 28 del d.P.R. n. 643/1972.

202

Sul privilegio speciale immobiliare di cui all’art. 2772 c.c. cfr. M. BASILAVECCHIA, Problemi

101

Alla luce delle novità recentemente introdotte nel nostro ordinamento203,

dunque, sembrerebbe che le uniche ipotesi di crediti tributari non assistiti da

privilegio siano i crediti per sanzioni relative a tributi indiretti, posto che il privilegio

speciale (sia mobiliare ex art. 2758 c.c., sia immobiliare ex art. 2772 c.c.) continua a

riguardare la sola imposta (oltre agli interessi, stante la regola generale di cui all'art.

2749 c.c.).

Premessa questa sintetica rassegna, si può ora procedere ad illustrare, per

sommi capi, la querelle relativa al trattamento da accordare ai crediti tributari

privilegiati, che è stata sopita solo a seguito delle novità apportate dal decreto n.

169/2007. Ad alimentare il dibattito vi era, da un lato, la non chiara formulazione del

primo comma dell'art. 182ter, e dall'altro la tematica, di più ampio respiro, della

falcidiabilità tout court dei crediti muniti di privilegio nell'ambito di una procedura

di concordato preventivo.

Quanto al primo profilo, va detto che l’art. 182ter prevede che la possibilità di

proporre il pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi sia limitata “alla quota di

debito avente natura chirografaria”, indipendentemente dall'iscrizione a ruolo, per

poi puntualizzare, con riferimento ai crediti assistiti da privilegio, che “la

percentuale di pagamento” non può essere inferiore a quella offerta ai creditori

assistiti da privilegio di grado inferiore o aventi posizione giuridica ed interessi

economici omogenei a quelli delle Agenzie fiscali e/o enti previdenziali. Il

legislatore sembrerebbe dunque contraddirsi, in quanto la prima disposizione, se

interpretata testualmente, limiterebbe la falcidia alla sola porzione del debito

tributario non assistita da privilegio, laddove la seconda parrebbe invece ammettere

il trattamento remissorio anche per i crediti tributari privilegiati.

L'orientamento prevalente, sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito,

ammetteva la falcidia dei crediti erariali muniti di prelazione, pur non mancando

interpretativi ed applicativi concernenti il privilegio speciale immobiliare per i tributi indiretti,

Studio del Consiglio Nazionale del Notariato del 18 marzo 2005 n. 31/2005/T, in

www.notariato.it.

203

Esse hanno applicazione retroattiva, posto che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 23, comma 37

del d.l. n. 98/2011, la norma che prevede l'estensione del privilegio anche alle sanzioni, nonché

l'abbattimento del limite temporale rappresentato dalla data di iscrizione a ruolo, si applica anche

ai crediti sorti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto (6 luglio 2011).

102

tuttavia qualche voce discorde204: tale interpretazione era prospettata come la più

conforme alla ratio dell'istituto, ravvisabile nell'intento di agevolare il ricorso a

soluzione concordate della crisi di impresa, che la necessità di un integrale

soddisfacimento dei crediti erariali privilegiati avrebbe seriamente ostacolato, specie

nei casi in cui l'esposizione debitoria verso il Fisco fosse particolarmente rilevante205.

Dello stesso avviso era anche l'Amministrazione finanziaria, secondo la quale

la medesima ratio di fondo avrebbe dovuto ispirare una lettura della locuzione

“credito assistito da privilegio” che andasse oltre il mero dato testuale: nella

circolare n. 40/E, pertanto, si legge che quell'espressione non andrebbe limitata ai

soli privilegi in senso stretto, intendendosi come tali le cause legittime di prelazione

accordate dalla legge in considerazione della causa del credito ovvero del rapporto

da cui esso è sorto (ex art. 2745 c.c.), ma dovrebbe essere interpretata in modo

atecnico, in quanto sarebbe comprensiva di tutti i crediti tributari muniti di un diritto

di prelazione diverso dal privilegio206.

Qualche Autore, ancora, aveva sostenuto che con riferimento ai crediti tributari

privilegiati il legislatore avesse inteso limitare la possibilità di pagamento parziale ai

soli importi iscritti a ruolo, laddove i crediti chirografari sarebbero stati falcidiabili in

ogni caso207; tale interpretazione, tuttavia, era stata respinta sia dalla dottrina

maggioritaria208 sia dall'Agenzia delle Entrate, prevalendo la tesi secondo la quale la

204

Cfr. V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e pagamento percentuale dei crediti privilegiati nel

concordato preventivo: più dubbi che certezze, cit., 579 e ss.

205

Cfr. G. MARINI, Art. 182ter. Transazione fiscale, in La riforma della legge fallimentare, a cura di

A. NIGRO - M. SANDULLI, Giappichelli, Torino, 2006, II, 1119.

206

Il citato documento di prassi menziona nello specifico i crediti erariali assistiti da ipoteca ex art. 77

del d.P.R. n. 602/1973. Si legge anche che “diversamente interpretata, la disposizione

determinerebbe una illegittima alterazione della cause di prelazione, in quanto il trattamento dei

crediti tributari privilegiati, oggetto di falcidia, sarebbe deteriore rispetto al trattamento dei

crediti aventi un grado di prelazione inferiore”. In dottrina cfr. E. STASI, Profili istituzionali della

transazione fiscale, cit., 1191, e M. FERRO, Transazione fiscale, cit., 2163.

207

Cfr. V. SELVI, Art. 182ter. Transazione fiscale, in Il nuovo fallimento, a cura di F.

SANTANGELI, Giuffrè, Milano, 2006, 796, e G. MARINI, Art. 182ter. Transazione fiscale, cit.,

1119 e 1120. Quest'ultimo A., tuttavia, ha successivamente rivisto la propria posizione sulla

questione: cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2322.

208

Cfr. ex multis L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative

e principi del concorso, cit., 299 e ss., che respinge l'interpretazione de qua sulla base del principio

ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, nonché L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1077.

103

falcidia sarebbe stata ammissibile indipendentemente dall'iscrizione a ruolo del

credito privilegiato.

In una prospettiva più ampia, si era rilevato che l’originaria formulazione della

legge fall. non contemplava espressamente la possibilità di falcidiare i crediti muniti

di prelazione nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, diversamente

dalla disciplina dettata dall'art. 124, comma 3 in materia di concordato

fallimentare209. La dottrina era divisa fra quanti ritenevano che la disposizione da

ultimo citata potesse applicarsi in via analogica anche al concordato preventivo210, e

quanti negavano tale possibilità, ritenendo che il legislatore avesse intenzionalmente

circoscritto al solo concordato fallimentare la possibilità di una soddisfazione non

integrale dei crediti privilegiati, come avrebbe lasciato intendere anche il testo

dell'art. 177, comma 3211.

Anche in giurisprudenza non esisteva un orientamento uniforme: dopo le prime

pronunce di segno contrario, i tribunali fallimentari sembravano aver ammesso la

possibilità di soddisfazione parziale dei crediti muniti di prelazione anche nell'ambito

del concordato preventivo212. Un passo indietro rispetto a questa parziale apertura è

209

Tale disposizione, introdotta con il d. lgs. n. 5/2006, disponeva che “La proposta può prevedere

che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il

piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della

collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di

mercato attribuibile al cespite o al credito oggetto della garanzia indicato nella relazione

giurata di un esperto o di un revisore contabile o di una società di revisione designati dal

tribunale”.

210

Cfr. ex multis P. F. CENSONI, Concordato preventivo e coinvolgimento dei creditori con diritti di

prelazione, in Fall., 2007, 434 e ss.

211

La norma accordava il diritto di voto ai creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca nella sola

ipotesi in cui costoro avessero rinunciato volontariamente al proprio diritto di prelazione, con la

conseguenza che al di fuori di quell’ipotesi i privilegiati non avrebbero avuto la possibilità di

votare, e ciò sarebbe stato indice della volontà legislativa di escluderne una falcidia “imposta” dal

proponente (il cd impairment o danneggiamento): cfr. in tal senso L. PANZANI, Il d.l. n. 35 del

2005 e la riforma della legge fallimentare, in www.fallimentonline.it, 2005, secondo cui “sarebbe

lesivo dei diritti del creditore privilegiato prevedere che la proposta di concordato presentata dal

debitore ne possa prevedere il soddisfacimento in percentuale, con il conseguente

assoggettamento alla falcidia concordataria, senza nel contempo consentire al creditore falcidiato

di esprimere il suo voto sulla proposta stessa”.

212

Cfr. ex multis Trib. Torino, 20 dicembre 2006, decr., in Fall., 2007, 431 e ss.; Trib. Verona, 13

ottobre 2006, decr., in Fall., 2007, 665 e ss.. In senso contrario alla falcidiabilità dei crediti

privilegiati, a pena di inammissibilità della proposta concordataria, si era espresso Trib. Bologna,

26 ottobre 2006, decr., cit.

104

stato però segnato da una sentenza della Corte di Cassazione, la quale, facendo leva

proprio sull'esclusione del diritto di voto sancita dal previgente comma 3 dell'art.

177, ha negato che, anteriormente all'entrata in vigore del decreto correttivo del

2007, la proposta di cui all'art. 160 potesse prevedere il pagamento solo percentuale

dei crediti assistiti da prelazione213.

A seconda della soluzione interpretativa prescelta sul piano generale variava

anche la lettura data alla norma in materia di transazione fiscale. A supporto della

tesi della falcidiabilità dei crediti privilegiati anche nell'ambito del concordato

preventivo veniva richiamata, fra l'altro, proprio la lettera dell'art. 182ter, contenente,

come visto, un riferimento alle “percentuali di pagamento” offerte ai creditori con

grado di privilegio inferiore a quello che assisteva il credito tributario: tale

disposizione, si era detto, non avrebbe rappresentato null'altro che la conferma di una

regola di portata ben più ampia e generale, che la riforma del 2006 avrebbe

introdotto per la totalità dei crediti muniti di prelazione, ed il d. lgs. n. 169/2007 si

sarebbe limitato ad esplicitare. All'opposto, chi riteneva che la falcidia dei crediti

privilegiati potesse aver luogo solo nell'ambito di un concordato fallimentare,

interpretava l'art. 182ter come norma eccezionale, che limitava la possibilità di una

soddisfazione parziale alle sole pretese creditorie vantate dal Fisco: si sarebbe

trattato, in altri termini, di una disposizione assolutamente specifica e settoriale,

come tale non in grado di comportare il superamento di un principio tanto radicato

quale era quello del pagamento integrale dei crediti privilegiati214.

213

Cfr. Cass., 22 marzo 2010, n. 6901, in Fall., 2010, 653 e ss.: la S. C. ha rigettato sia l'argomento

analogico, sia quello che fa leva sul tenore letterale dell'art. 182ter.

214

In tal senso cfr. F. MARELLI, Transazione fiscale, principi generali del concorso e soddisfazione

parziale dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Fall., 2007, 661 e ss. In

giurisprudenza cfr. Trib. Bologna, 26 ottobre 2006, decr., cit., e Trib. Messina, 29 dicembre 2006,

decr., in Fall., 2007, 663 e ss., secondo cui “risulta un'evidente forzatura ricavare da due

disposizioni normative eccezionali, quali gli artt. 182ter e 127 (che disciplina la votazione, in sede

di concordato fallimentare, dei creditori muniti di prelazione ai quali la proposta riserva un

pagamento non integrale, n.d.r.) il principio generale secondo cui nel concordato preventivo

sarebbe possibile una soddisfazione parziale dei creditori privilegiati, i quali sarebbero

conseguentemente costretti a subire la defalcazione del privilegio, quando invece l'art. 177 l. f.

subordina detta defalcazione ad una rinuncia espressa totale o parziale del creditore al

privilegio”. Da ultimo cfr. Cass., 22 marzo 2010, n. 6901, cit., che condivide l'argomentazione

sulla valenza assolutamente specifica e settoriale dell'art. 182ter.

105

Coloro che aderivano a questa seconda interpretazione non mancavano anche

di rilevare che la falcidia dei crediti tributari sarebbe stata proponibile, in concreto,

nelle sole ipotesi in cui non sussistessero altri crediti muniti di privilegio di grado

inferiore: altrimenti, dovendo questi essere soddisfatti integralmente, ed imponendo

l'art. 182ter il pagamento dei crediti erariali in misura almeno pari a quella offerta ai

crediti privilegiati postergati, sarebbe stato necessario il pagamento integrale anche

delle pretese erariali215.

Le modifiche apportate dal decreto correttivo del 2007 alla disciplina del

concordato preventivo, con l'introduzione di una norma di tenore analogo a quello

dell'art. 124, comma 3, e l'aggiunta del nuovo comma 4 all'art. 177, contenente

l'equiparazione, ai fini del voto, dei creditori privilegiati falcidiati ai chirografari per

la parte di credito non soddisfatta, hanno definitivamente fugato ogni dubbio in

ordine alla possibilità di proporre un pagamento percentuale ai crediti assistiti da

prelazione.

Rimangono tuttora aperte, comunque, diverse questioni interpretative, cui in

questa sede è dato solo accennare. Anzitutto, è dubbio se la norma di cui all'art. 160,

comma 2 si applichi anche ai crediti muniti di privilegio generale, ossia quello

gravante sull'intero patrimonio dell'imprenditore216: la relativa formulazione letterale

sembrerebbe escluderlo, adottando come parametro di commisurazione il ricavato

ritraibile dal realizzo, al valore di mercato, di singoli beni o diritti su cui la

prelazione insiste. La Relazione governativa al decreto correttivo, tuttavia, si è

espressa in termini favorevoli alla falcidiabilità anche di dette pretese217.

215

Cfr. L. TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso della

transazione fiscale, cit., 27.

216

Come visto, sono assistiti da privilegio generale (mobiliare) i crediti per imposta, interessi ed ora

anche sanzioni in materia di imposte dirette ed Iva, fatta eccezione per l'imposta o la quota di

imposta relativa al reddito d'impresa, che gode di privilegio speciale (sempre mobiliare) si sensi di

quanto previsto dall’art. 2759 c.c. Ancora, sono minuti di privilegio speciale anche i tributi

indiretti: l’art. 2758 c.c. prevede infatti che “essi hanno privilegio sui mobili i quali i tributi si

riferiscono e sugli altri beni indicati dalle leggi relative”.

217

In essa si legge che “In accoglimento dell’osservazione della Camera, si precisa,

analogamente a quanto già previsto nel concordato fallimentare, che il debitore ha la

possibilità di offrire un pagamento in percentuale non solo ai creditori muniti di un

privilegio speciale, nella parte in cui il credito sia incapiente, ma anche a quelli muniti di

un privilegio generale, sempre nella misura in cui tale credito non risulti capiente.

106

Ancora, la dottrina non ha mancato di rilevare che la condizione generale cui è

subordinata la remissione del credito munito di prelazione, ossia la possibilità di

soddisfarlo in misura superiore a quella che sarebbe ricavabile dalla liquidazione

fallimentare del bene su cui la prelazione insiste, in concreto sarebbe realizzabile nei

soli concordati caratterizzati da nuova finanza, ossia dall'apporto di risorse esterne

all'impresa; un concordato meramente liquidatorio, in cui i mezzi finanziari destinati

alla soddisfazione delle pretese creditorie sono ritraibili esclusivamente dal

patrimonio del proponente, difficilmente potrà soddisfare detta condizione218.

Altro quesito attiene alla necessità o meno di creare un'apposita classe in cui

inserire i crediti tributari e/o contributivi da falcidiare, separandoli dunque dalla

restante massa delle passività d'impresa, ovvero creare tante classi quanti sono i

diversi gradi di privilegio che assistono le varie pretese erariali219

. Una parte della

dottrina reputa necessaria la creazione di una classe ad hoc riservata all'Erario, in cui

inserire sia il credito chirografario soddisfatto in misura percentuale, sia la porzione

falcidiata del credito privilegiato, e ciò al fine di salvaguardare la tenuta

costituzionale dell'istituto di cui all'art. 182ter: altrimenti, comportando l'art. 184 la

falcidia di detti crediti anche senza il consenso del relativo titolare, tale norma si

risolverebbe in una inammissibile compressione del principio di indisponibilità

dell'obbligazione tributaria. L’inserimento delle pretese fiscali falcidiate in apposita

classe consentirebbe invece all'Amministrazione finanziaria dissenziente di opporsi

all'omologazione, sollecitando il cram down power di cui al comma 4 dell'art. 180220,

laddove la collocazione dell'Erario in una classe che comprenda anche altri creditori

rischierebbe di annacquarne il voto, potendo precludere allo stesso la possibilità di

218

Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, in S. AMBROSINI - P.G. DEMARCHI -

M. VITIELLO, Il concordato preventivo, Zanichelli, Bologna, 2009, 280. Secondo questo autore,

dunque, la possibilità di pagare in misura percentuale i crediti erariali privilegiati sussiste nelle sole

ipotesi di erogazioni e apporti finanziari esterni, come pure nel caso di vendita dei beni del

debitore ad un prezzo superiore a quello di mercato, oppure nell'ipotesi di postergazione di alcuni

crediti.

219

Sulla non obbligatorietà del classamento dei crediti privilegiati degradati dalla proposta cfr. Cass.,

10 febbraio 2001, n. 3274, in www.unijuris.it, nonché Trib. Udine, 15 giugno 2011, decr., in

www.ilcaso.it, I, 6121/2011.

220

Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 278 e 279, nonché e L. MANDRIOLI,

Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, cit., 316

e ss.

107

richiedere al Tribunale una valutazione di merito nell'ipotesi in cui sia raggiunta la

maggioranza all'interno di quella classe, proprio grazie al voto favorevole degli altri

creditori in essa ricompresi.

Quanto al credito tributario chirografario, cui andrà equiparata ai soli fini del

voto la quota di credito privilegiato non soddisfatta, la norma impone un trattamento

non diverso da quello accordato agli altri crediti chirografari o, nell'ipotesi di

concordato con classi, alla classe cui è riservato il trattamento più favorevole221.

Se l'intento del legislatore è ravvisabile nella volontà di evitare che l'Erario

possa subire un trattamento deteriore rispetto a quello accordato alla restante parte

dei creditori chirografari, la formulazione letterale della norma sembrerebbe però

escludere anche la possibilità di un trattamento più favorevole. Ancora, non è

sfuggito ad un'attenta dottrina che tale disposizione mal si concilierebbe con le

regole generali sancite in tema di classi dalle lettere c) e d) dell'art. 160, comma 1,

che impongono un trattamento diversificato, in quanto commisurato alla posizione

giuridica ed agli interessi economici dei crediti ricompresi in ciascuna classe: i

crediti tributari chirografari, alla stregua di quanto previsto dall'art. 182ter,

finirebbero per essere inseriti, sempre e comunque, nella classe che riceve il

trattamento migliore, indipendentemente dall'equivalenza di posizione giuridica ed

interesse economico rispetto agli altri crediti in essa ricompresi222.

A prescindere da tali criticità, occorre tener conto delle novità apportate dal d.l.

n. 98/2011, che ha esteso il privilegio generale mobiliare praticamente ad ogni

credito tributario, stante la nuova formulazione dell'art. 2752, comma 1 c.c.: ne

deriva che la disposizione relativa al trattamento da riservare ai crediti fiscali

chirografari atterrà essenzialmente alla percentuale del credito privilegiato degradata

in chirografo, cioè alla porzione di esso destinata a subire la falcidia concordataria.

221

L’obbligo di riservare ai crediti chirografari tributari un trattamento identico a quello degli altri

chirografari è stato introdotto dall'art. 32, comma 5 del d.l. n. 185/2008, mentre il d.l. n. 78/2010

ha chiarito che nell'ipotesi di suddivisione in classi il trattamento da riservare ai crediti fiscali deve

essere almeno pari a quello previsto per i crediti della classe trattata con più favore.

222

Cfr. V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 843 e 844.

108

7. Sull’obbligatorietà o meno della proposta di transazione fiscale.

Risolte definitivamente le dispute in merito alla falcidiabilità dei crediti

privilegiati tout court, e di quelli tributari nello specifico, uno dei profili su cui al

giorno d'oggi dottrina e giurisprudenza appaiono maggiormente divise riguarda la

possibilità di un pagamento non integrale dei crediti tributari al di fuori di una

proposta di transazione fiscale: in altri termini, ci si interroga sull'esistenza o meno di

un obbligo di attivare il sub-procedimento di cui all'art. 182ter in presenza di pretese

creditorie dell'Erario, ed ora anche di enti previdenziali/assistenziali, che il debitore

intenda soddisfare solo parzialmente.

Dottrina223 e giurisprudenza224 prevalenti ritengono che la procedura de qua sia

soltanto facoltativa, riconoscendo dunque al proponente la possibilità di presentare

un piano di concordato preventivo contenente la falcidia e/o la dilazione dei crediti

tributari e previdenziali senza l'obbligo di proporre contestualmente una transazione

fiscale: qualora optasse per questa soluzione, ovviamente, l'imprenditore non

potrebbe fruire degli effetti “tipici” della transazione fiscale, quali il consolidamento

del debito tributario e l'estinzione delle controversie pendenti.

La teoria in questione, meglio nota come “dualistica” o “del doppio binario”, fa

leva su argomentazioni di carattere sia testuale, posto che il 1 comma dell'art. 182ter

prevede che il debitore “può” (e non “deve”), presentare una proposta di transazione

fiscale, sia logico-sistematico, dal momento che la ratio dell'istituto consisterebbe

nel favorire il risanamento in sede concordataria delle imprese in crisi anche tramite

la sistemazione delle pendenze con il Fisco, cui dovrebbero essere applicate le regole

ordinarie di cui agli artt. 160 e ss. Inoltre si è detto che gli effetti discendenti

dall'intervenuta conclusione di una transazione fiscale, riconducibili essenzialmente

223

Cfr. ex multis G. FAUCEGLIA, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, in

Dir. fall., 2009, II, 493 e ss.; G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento

facoltativo del concordato preventivo, in Fall., 2010, 712 e ss.; E. STASI, Anche l'IVA è

falcidiabile?, in Fall., 2009, 1485; E. CECCHERINI, La transazione fiscale. Aspetti di procedura

e contraddizioni, in Dir. fall., 2011, I, 349 e ss.

224

Cfr. ex multis Trib. La Spezia, 2 luglio 2009, decr., cit.; Trib. Asti, 3 febbraio 2010, decr., in Fall.,

2010, 707 e ss.; Trib. Ravenna, 19 gennaio 2011, decr., in Dir. fall., 2011, II, 528 e ss; Trib.

Bergamo, 10 febbraio 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 5038/2011.

A favore della non obbligatorietà della transazione fiscale sembrerebbe essersi pronunciata anche

la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 22 marzo 2010, n. 6901, cit., in cui, sia pure in un

obiter dictum, qualifica l'istituto di cui all'art. 182ter in termini di “opzione”.

109

alla definitiva cristallizzazione del debito d'imposta, comportano per il proponente la

compressione del diritto di difesa contro gli atti impositivi da cui quel debito

promana, con la conseguenza che detta limitazione risulterà ragionevole soltanto se

volontaria; pertanto è stato argomentato che il debitore avrebbe l'onere di proporre

una transazione solo qualora intenda fruire di quegli effetti, con la conseguenza che

ben potrebbe proporre una riduzione e/o dilazione dei crediti tributari con la sola

domanda di concordato, nel rispetto esclusivamente delle condizioni generali cui

l'art. 160 subordina la falcidia dei crediti concorsuali, senza che si verifichi anche la

cristallizzazione (sul duplice versante sostanziale e processuale) della sua

esposizione debitoria verso l'Erario.

Non privo di rilievo sarebbe anche il principio generale di cui all’art. 184 legge

fall.: nel sancire l’obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori, senza

prevedere esclusioni di sorta, tale disposizione troverebbe applicazione anche ai

crediti tributari, che sarebbero dunque costretti ad “accontentarsi” delle percentuali

di pagamento proposte con il piano concordatario anche in caso di voto negativo, ed

anche nell’ipotesi in cui l’ufficio non sia stato preventivamente interpellato con la

procedura di cui all’art. 182ter.

Ancora, la tesi della facoltatività dell'istituto fa leva anche sui costi

dell’istituto: in particolare, la necessità del pagamento integrale del debito Iva,

collocato al 19° posto nella graduatoria dei crediti privilegiati di cui all'art. 2778 c.c.,

combinata con l'obbligo di rispettare l'ordine della cause legittime di prelazione di

cui al comma 2 dell'art. 160, comporterebbe che anche tutti gli altri crediti muniti di

privilegio, antergati a quello per Iva, debbano essere soddisfatti integralmente225.

Viceversa, al di fuori della norma speciale di cui all'art. 182ter nessuna disposizione

di legge sembrerebbe prevedere l'obbligo di pagamento integrale di quel tributo, con

la conseguenza che il debitore potrà giudicare più conveniente “muoversi”

nell'ambito del solo art. 160 e proporre un pagamento falcidiato anche dell'Iva (ed

ora anche delle ritenute), purché sia rispettata l'unica condizione ivi prevista, cioè

225

Senza considerare che già il solo obbligo di pagamento integrale dell'Iva e delle ritenute alla fonte,

indipendente dalla soddisfazione degli altri crediti privilegiati antergati, rappresenta un costo non

indifferente per l'impresa, considerato che nella maggior parte dei casi il “peso” di questi tributi è

piuttosto gravoso, rappresentando i medesimi la parte più rilevante del passivo d’impresa.

110

l'attribuzione di un importo non inferiore a quello ricavabile dalla liquidazione, al

valore di mercato, del bene o del diritto su cui la prelazione insiste226.

A supporto di questa soluzione interpretativa soccorre anche la tesi, avallata

dall'oramai unanime orientamento giurisprudenziale e dottrinale, che esclude

l'autonomia della transazione fiscale, qualificandola come sub-procedimento,

soltanto accessorio ed appunto eventuale, della più ampia procedura di concordato

preventivo: tale teoria sarà meglio illustrata nel prosieguo.

Di contro, qualche isolata pronuncia giurisprudenziale227, conformemente ad

una parte minoritaria della dottrina228, reputa indispensabile la presentazione di

transazione fiscale agli effetti del pagamento percentuale dei crediti tributari, a pena

di inammissibilità dell’intera proposta di concordato. Ad avviso di questa tesi

minoritaria la transazione configurerebbe un procedimento volto a determinare con

certezza il debito tributario, la cui quantificazione sarebbe altrimenti rimessa in via

unilaterale al solo debitore, senza possibilità di verifica da parte

dell'Amministrazione; l'istituto sarebbe dunque lo strumento tramite il quale l'Erario

viene messo in condizione di determinare correttamente il debito tributario ed

esprimere una valutazione consapevole sulla proposta di concordato229.

La tesi dell'obbligatorietà della transazione è stata sposata anche

dall'Amministrazione finanziaria, che nella circolare n. 40/E si appella al principio di

indisponibilità del credito tributario per sancire l'impossibilità di una soddisfazione

226

Tuttavia, come si è visto in precedenza, una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene

necessario il pagamento integrale del debito Iva anche nell’ambito di un concordato senza

transazione fiscale.

227

Nella giurisprudenza di merito, a supporto della tesi dell'obbligatorietà della transazione fiscale si

sono espressi soprattutto il Tribunale di Roma e quello di Monza: quanto al primo, cfr. il decreto

del 20 aprile 2010, in www.ilcaso.it, I, 2253/2010, nonchè quello del 16 dicembre 2009, cit.

Quanto al secondo, cfr. i decreti del 15 aprile 2010, in Fall., 2011, 82 e ss., e del 23 dicembre

2009, cit. Lo stesso Tribunale di Monza, tuttavia, si era precedentemente espresso per la non

obbligatorietà della transazione fiscale: cfr. decreto del 7 aprile 2009, in www.ilcaso.it, I,

2059/2010.

228

Cfr. E. DE MITA, L'accordo fiscale ha come arbitro solo l'Agenzia, in Il Sole 24 Ore del 13

dicembre 2009, 21; C. ATTARDI, Inammissibilità del concordato preventivo in assenza di

transazione fiscale, in Fisco, n. 39/2009, fascicolo 1, 6437 e ss.; A. LA MALFA, La transazione

dei crediti fiscali, cit., 1441 e 1442.

229

In tal senso cfr. anche C. ESPOSITO, Il piano del concordato preventivo tra autonomia e limiti, in

S. AMBROSINI, Le nuove procedure concorsuali, cit., 550 e 551.

111

parziale del medesimo al di fuori della specifica disciplina di cui all'art. 182ter: solo

attenendosi puntualmente alle disposizioni ivi contenute sarebbe dunque ammissibile

la falcidia del credito tributario. Il citato documento, dunque, è piuttosto rigoroso sul

punto, sembrando escludere ogni possibilità di trattamento remissorio e/o dilatorio

dei crediti erariali non solo nel caso di mancata presentazione tout court di una

proposta di transazione fiscale, ma anche nell'ipotesi in cui detta proposta non si

attenga puntualmente alle disposizioni di cui all'art. 182ter: sia l'omessa che

l'irrituale presentazione di detta proposta ne comporterebbero l'inammissibilità230. Né,

a giudizio dell'Agenzia, potrebbe essere invocato, in senso contrario, il disposto di

cui al comma 2 dell'art. 160, nella sua formulazione attualmente vigente, dal

momento che la possibilità, ivi prevista, di un pagamento non integrale dei crediti

muniti di privilegio, pegno ed ipoteca può ritenersi riferibile ai crediti di natura

tributaria soltanto a condizione che siano rispettate (anche) le disposizioni di cui

all'art. 182ter.

Sulla questione si è espresso anche il Consiglio Nazionale dei Dottori

Commercialisti e degli Esperti Contabili231: muovendo dalla considerazione che il

principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria trova applicazione

esclusivamente quando si opera fuori dalle regole del concorso, il CNDCEC si è

pronunciato a favore della non obbligatorietà della proposta di transazione,

costituendo la medesima solo una facoltà cui il debitore concordatario può ricorrere

nei casi in cui lo ritenga conveniente. A giudizio dell'organo collegiale, inoltre, la

disposizione di cui all'art. 182ter avrebbe carattere di specialità, rappresentando la

norma in tema di Iva ivi contenuta una deroga al principio generale del rispetto della

graduazione dei crediti fissato dal comma 2 dell'art. 160: sarebbe pertanto possibile

la soddisfazione integrale di questa imposta e contemporaneamente il pagamento in

misura percentuale degli altri crediti privilegiati di grado anteriore.

230

“La presentazione di copia della domanda debitamente documentata, sia al competente agente

delle riscossione sia al competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate, costituisce un onere il cui

assolvimento rileva come requisito di ammissibilità della transazione fiscale” (p. 31). La dottrina,

tuttavia, non ha mancato di rilevare criticamente che non spetta all'Amministrazione finanziaria

stabilire quali debbano essere le condizioni di ammissibilità dell'istituto.

231

Osservazioni in tema di transazione fiscale, aprile 2010, riportato da G. ANDREANI, L'Iva e la

transazione fiscale, in Trattato delle procedure concorsuali, cit., 789.

112

Da ultimo si registra sul punto il recente intervento della Cassazione, che con le

due pronunce del 4 novembre 2011, precedentemente richiamate, si è anch'essa

schierata a favore della facoltatività della transazione fiscale. Escluso che questa

conclusione possa essere ricavata dal mero dato letterale dell'art. 182ter, la Suprema

Corte fa leva sugli effetti tipici dell'istituto: nel senso che l'imprenditore può ricorrere

alla transazione fiscale solo qualora sia interessato ad ottenere il consolidamento del

debito fiscale (inteso dai giudici di legittimità come quadro di insieme del debito

tributario, tale da consentire di valutare la congruità della proposta con riferimento

alle risorse necessarie a far fronte al complesso dei debiti, ed utile certamente a

fronteggiare l'incognita fiscale che normalmente grava sui concordati) e la

cessazione della materia del contendere nei giudizi in corso.

Pertanto sembrerebbe che la tesi “dualistica”, o del “doppio binario”, sia quella

che allo stato attuale raccolga i maggiori consensi, nonostante il dibattito sul punto

sia tutt’altro che sopito232.

8. La procedura e gli adempimenti del Fisco.

La procedura da seguire e gli adempimenti a carico dell'ufficio e del

concessionario della riscossione233 sono minuziosamente disciplinati dal comma 2

dell'art. 182ter.

Tali disposizioni vanno lette congiuntamente alle istruzioni impartite dalla

232

Tra i contributi più recenti a favore della tesi dell'obbligatorietà della transazione fiscale si

segnalano quelli di A. LA. MALFA, Del consolidamento dei debiti fiscali, e del carattere

vincolante del ricorso alla transazione ex art. 182ter legge fallim. per la falcidia dei crediti

privilegiati fiscali (note in margine a Tribunale Roma 16 dicembre 2009), cit., 369 e ss., G.

GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1115, ed E. MATTEI, La

transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in

Trattato delle procedure concorsuali, cit., 745 e ss.

233

All’uopo giova sottolineare che l’art. 3 del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con l. 2

dicembre 2005, n. 248, ha abrogato, con decorrenza dal 1° ottobre 2006, il sistema di affidamento

in concessione del servizio nazionale della riscossione, devolvendo le relative funzioni all’Agenzia

delle Entrate, che le esercita tramite la società “Riscossione S.p.a.”, il cui capitale sociale è

partecipato per il 51% dall’Agenzia e per il 49% dall’Inps. Inoltre, il comma 28 della medesima

disposizione precisa che, a decorrere da quella data, ogni riferimento contenuto in norme vigenti ai

concessionari del servizio di riscossione si intende riferito alla Riscossione S.p.a. ed alle società

dalla stessa partecipate, complessivamente denominate “agenti della riscossione”. Sicché, anche

nel presente lavoro i riferimenti al concessionario della riscossione devono essere intesi come

rivolti all’agente della riscossione.

113

circolare n. 40/E dell'Agenzia delle Entrate, contenente anche la minuziosa

elencazione degli elementi che la proposta dovrà contenere e dei documenti da

allegarvi (che ricalcano, essenzialmente, quelli previsti dall'art. 161, con l'aggiunta

delle dichiarazioni per le quali non è ancora pervenuto al contribuente l'esito dei

controlli automatizzati, da allegare in copia, e delle dichiarazioni integrative relative

al periodo sino alla data di presentazione della domanda). Sotto questo profilo il

documento di prassi sottolinea l'importanza che la proposta di transazione sia redatta

nel modo più analitico ed esauriente possibile, in analogia con le regole che

disciplinano la redazione di una proposta di concordato preventivo234.

In questa sede preme sottolineare essenzialmente le criticità sollevate dalle

citate disposizioni.

In primis, posto che il comma 2 prescrive che copia della domanda debba

essere presentata al concessionario ed all'ufficio competenti in relazione all'ultimo

domicilio fiscale del debitore235, “contestualmente” al suo deposito presso il

Tribunale, ci si è interrogati sul significato da attribuire all'avverbio temporale

impiegato dal legislatore, essendo irrealistico imporre al debitore di porre in essere i

medesimi adempimenti esattamente nello stesso giorno. La dottrina maggioritaria

ammette la possibilità di presentare la proposta di transazione anche in epoca

successiva al deposito della domanda ex art. 160, ma comunque entro il termine

massimo accordato per la modifica o per l'integrazione della proposta di concordato

preventivo, rappresentato dall'adunanza dei creditori. Anche l'Agenzia delle Entrate,

con la risoluzione n. 3 del 2009, ha chiarito che l'avverbio “contestualmente” non

implica necessariamente che la proposta debba essere presentata all'ufficio e al

concessionario nell'arco della medesima giornata in cui si procede al suo deposito in

234

Cfr. pp. 31 e ss: a parere dell'Agenzia, nonostante l'art. 182ter non disciplina la forma ed il

contenuto della domanda di transazione, intendendo il legislatore valorizzare al massimo

l'autonomia delle parti nella formulazione della proposta, la circostanza che l'istituto sia finalizzato

alla conclusione di un accordo per la ristrutturazione e la soddisfazione, anche parziale, del debito

tributario imporrebbe comunque una elevata minuzia e precisione nella predisposizione di tale

domanda.

235

Il “domicilio fiscale” va individuato ai sensi di quanto disposto dall'art. 58 del d.P.R. n. 600/1973,

secondo cui per le persone fisiche il domicilio fiscale è nel comune nella cui anagrafe sono iscritte,

mentre per i soggetti diversi dalle persone fisiche il domicilio è nel comune in cui si trova la sede

legale. Per i tributi amministrati dall'Agenzia delle Dogane lo stesso comma 2 attribuisce la

competenza all'ufficio che ha notificato al debitore gli atti di accertamento.

114

Tribunale, pur essendo interesse dell'istante assicurare la contestualità prevista dalla

norma: ciò perché il termine di trenta giorni accordato all'Agenzia ed al

concessionario per procedere agli adempimenti prescritti decorre proprio dalla data

di presentazione dell'istanza di transazione presso tali soggetti.

Sempre sotto il profilo temporale, un'acuta dottrina non ha mancato di

osservare che sarebbe stato più opportuno, per esigenze di certezza e stabilità

dell'intera procedura concordataria, prevedere un iter procedurale inverso rispetto a

quello delineato dall'art. 182ter, in cui la proposta di transazione, e gli adempimenti

che ne seguono, siano antecedenti e non successivi alla domanda di concordato236. La

certificazione rilasciata dall'Agenzia e/o dal concessionario, infatti, potrebbe

contenere un debito maggiore rispetto a quello originariamente quantificato dal

debitore nella sua proposta, costringendolo ad apportare al piano di concordato le

modifiche necessarie, anche al fine di rivedere la complessiva distribuzione delle

risorse disponibili fra tutti i creditori concorsuali, e ciò determinerebbe un

allungamento della durata della procedura, stante anche l'esigenza di sottoporre la

nuova proposta al vaglio del commissario giudiziale. Anticipando la transazione ed i

connessi adempimenti, invece, l'imprenditore potrebbe contare su una

quantificazione definitiva del credito tributario, ottenuta prima della formulazione

della domanda di concordato, e sulla base di essa potrebbe elaborare il piano

concordatario e ripartire le risorse a sua disposizione.

Ancora, qualcuno ha sottolineato come l'onere di allegare le dichiarazioni di

cui al comma 2 costituisca una violazione dell'art. 6, comma 4, dello Statuto dei

diritti del contribuente, nella misura in cui impone la presentazione di documenti già

in possesso dell'Amministrazione finanziaria237.

Un profilo particolarmente delicato attiene all'esatta individuazione delle

incombenze istruttorie a carico dell'ufficio, da espletarsi nel termine di trenta giorni

236

Cfr. L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi

del concorso, cit., 321. Condivide parzialmente tale assunto G. LO CASCIO, Il concordato

preventivo, Giuffrè, Milano, 2011, 847, secondo il quale, tuttavia, anche una proposizione

anticipata della proposta di transazione presenterebbe degli inconvenienti.

237

Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, cit., 3015.

115

prescritto dal comma 2: il problema sarà discusso approfonditamente nel prosieguo

del presente lavoro, quanto sarà esaminato nel dettaglio l'effetto di “consolidamento

del debito fiscale”.

Giova qui rilevare che per la dottrina maggioritaria detti adempimenti istruttori

configurano un vero e proprio obbligo a carico dell'Amministrazione finanziaria238;

meno chiara, invece, è la reale portata di detto obbligo. La lettera dell'art. 182ter

prevede, in primo luogo, che l'ufficio dovrà procedere alla “liquidazione dei tributi

risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità”: se il

legislatore ha inteso riferirsi indubbiamente ai controlli automatizzati previsti dagli

artt. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972 (relativi

rispettivamente alle imposte dirette ed all'imposta sul valore aggiunto), il cui esito

sarà contenuto in apposita comunicazione (o avviso) di irregolarità da notificare al

contribuente (di regola a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento),

qualcuno ha interpretato la locuzione “liquidazione” in senso atecnico,

ricomprendendovi anche i controlli formali (o documentali) previsti dall'art. 36ter del

citato d.P.R. n. 600. La diversità frale due tipologie di controllo (automatizzato e

formale) sarà illustrata meglio nel capitolo III.

Ancora, l'ufficio dovrà rilasciare al debitore una “certificazione” riepilogativa

del credito tributario (per imposta, sanzioni ed interessi) risultante da atti di

accertamento anche non definitivi, per la parte non ancora iscritta a ruolo, ovvero

degli importi iscritti in ruoli già vistati ma non ancor consegnati al concessionario.

Quanto ai crediti erariali risultanti da ruoli scaduti o sospesi, la relativa certificazione

dovrà essere predisposta e consegnata a cura del concessionario della riscossione.

Non è assolutamente chiaro, invece, se entro il medesimo lasso temporale

l'ufficio dovrà espletare anche i controlli di merito per i quali non siano ancora

scaduti i relativi termini di decadenza, essendogli del tutto inibito l'esercizio di

ulteriore attività accertativa a seguito della conclusione di una transazione fiscale, o

meglio una volta che sia intervenuta l'omologazione del concordato. Ancora, il

238

Cfr. ex multis E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1205; V. ZANICHELLI,

I concordati giudiziali, cit., 271. Dubbioso circa l'esistenza di un vero e proprio obbligo in capo

all'ufficio, avente ad oggetto l'effettuazione di controlli sostanziali in capo al contribuente, è S.

LOCONTE, La transazione fiscale, in Dir. fall., 2008, I, 197.

116

legislatore non dispone nulla in merito alla sorte di quegli elementi emersi in fase

istruttoria, già a disposizione dell'ufficio alla data di presentazione della domanda di

transazione ma non ancora trasfusi in atti aventi valenza impositiva: in particolare, si

pensi ai questionari inviati al contribuente, agli inviti al contraddittorio, ai processi

verbali di constatazione già sottoscritti e consegnati, oppure alla sorte di verifiche

fiscali già avviate ma non ancora concluse con un pvc. Anche tali questioni saranno

esaminate meglio in seguito.

Un ulteriore aspetto critico, tuttora molto dibattuto in dottrina, riguarda la

qualificazione del termine di trenta giorni accordato all'ufficio (ed al concessionario)

per condurre a termine l'attività istruttoria prescritta dal comma 2: se qualcuno

propende per la natura ordinatoria di siffatto termine239, altra corrente dottrinale

ritiene che il medesimo sia perentorio240.

Le argomentazioni addotte a supporto sia dell'una che dell'altra tesi sono

molteplici.

La valenza meramente ordinatoria risiederebbe nella circostanza che

mancherebbe un’espressa ed univoca dichiarazione da parte del legislatore di voler

attribuire al termine de quo carattere perentorio, che sarebbe all'uopo necessaria ai

sensi dell'art. 152, comma 2 c.p.c.241. Inoltre, data la complessità dell'attività

istruttoria che gli uffici sono tenuti ad espletare, il termine di trenta giorni

risulterebbe assolutamente ristretto ed insufficiente per portarla a compimento,

considerato anche che né l'Agenzia né il concessionario possono sottrarvisi242.

Ancora, parlare di perentorietà avrebbe senso solo nel caso in cui ad un termine è

239

Cfr. ex multis MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e

principi del concorso cit., 322; M FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit., 2007, 1449;

G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2325.

240

Cfr. ex multis L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2573; L. TOSI, La transazione

fiscale, cit., 1082; S. CAPOLUPO, La transazione fiscale: la procedura, cit., 3190; V. FICARI,

Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” del debiti tributari, in Rass. trib., 2009,

78.

241

Sulla necessità di una espressa qualificazione in termini di perentorietà di un termine

legislativamente imposto cfr. ex multis Cass., 6 giugno 1997, n. 5074, in Mass. giust. civ., 1997,

930.

242

Cfr. POLLIO, La transazione fiscale, cit., 1856.

117

subordinato l'esercizio di un diritto, con conseguente estinzione del medesimo una

volta che quel lasso temporale sia decorso infruttuosamente: poiché invece l'art.

182ter non attribuisce all'ufficio alcun diritto, configurando viceversa un potere-

dovere, la scadenza dei trenta giorni senza che sia stata rilasciata la certificazione

prescritta comporterà esclusivamente che l'Amministrazione voterà in adunanza

esclusivamente sulla base del quantum individuato unilateralmente dal debitore nella

proposta di transazione, anche se non è escluso del tutto l'assoggettamento a sanzioni

disciplinari243.

A supporto della tesi della perentorietà del termine de quo, all'opposto, si è

detto che la norma connota gli adempimenti a carico dell'ufficio e del concessionario

in termini di doverosità. E la mancanza di una sanzione applicabile nell'ipotesi di

sforamento di quel termine, che sarebbe stato comunque opportuno prevedere in

modo espresso, è stata colmata in via interpretativa, leggendo l'art. 182ter in

combinazione con le altre norme che scandiscono, in modo piuttosto rigoroso, la

tempistica delle varie fasi in cui si articola la procedura di concordato preventivo:

posto che l'inosservanza di quel termine intralcerebbe i compiti del commissario

giudiziale, creerebbe incertezze fra i creditori, impedendo loro un'adeguata

ponderazione della proposta, e renderebbe difficoltoso il calcolo delle maggioranze,

un’autorevole dottrina ha ravvisato come plausibile sanzione a carico

dell'Amministrazione la privazione del diritto di voto in sede di adunanza244. Ancora,

soccorrono a favore della perentorietà del termine le esigenze di celerità tipiche del

concordato preventivo, e la connessa necessità di cristallizzare il debito tributario nel

rispetto dei tempi propri di tale procedura245. Non è mancato chi, arditamente, ha

ritenuto applicabile alla fattispecie de qua l'obbligo di concludere il procedimento

entro il termine stabilito per legge ai sensi dell'art. 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241, la

cui applicabilità non sarebbe affatto preclusa dal successivo art. 13, comma 2246.

243

Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2325.

244

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2573 e ss. Il pregiudizio che lo

sforamento di quel termine comporterebbe è messo in luce anche da E. FICARI, Riflessioni su

“transazione” fiscale e “ristrutturazione” del debiti tributari, cit., 78.

245

Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 284 e 285.

246

Cfr. L. DEL FEDERICO, La transazione fiscale nel sistema della legga fallimentare, in

118

L'Amministrazione finanziaria, da par suo, afferma la non perentorietà del

termine in questione, anche se la circolare n. 40/E invita gli uffici a richiederne

motivatamente una proroga solo in casi del tutto eccezionali, dovendo prevalere le

esigenze di celerità della procedura.

Sulla questione si è pronunciata anche la Corte di Cassazione, sia pure in un

obiter dictum: nella citata sentenza n. 6901 del 22 marzo 2010, la S.C. ha affermato

che “in procedimenti connotati da una certa complessità, nell'alternativa tra il

rigoroso rispetto di norme sollecitatorie e quello della garanzia di un voto

informato, la prudenza può imporre la prevalenza del secondo anche a costo di un

modesto sforamento che comunque tenga conto della necessità di rispettare il

termine complessivo di cui all'art. 181, ferma restando l'insussistenza di un diritto”.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, dunque, esigenze di certezza in ordine alla

quantificazione del debito tributario, unitamente alla complessità che connota gli

adempimenti istruttori posti a carico dell'Amministrazione finanziaria, porterebbero

ad escludere la rigida perentorietà del termine di cui all'art. 182ter, purché lo

sforamento dei trenta giorni sia comunque contenuto (“modesto”) e la procedura di

concordato si concluda entro sei mesi dalla presentazione del ricorso, fatta salva la

possibilità di ottenere una proroga di ulteriori 60 giorni (proroga, questa, non

costituente un diritto delle parti, ma una facoltà rimessa all'apprezzamento

discrezionale del Tribunale).

Si discute, ancora, sulla possibilità si svolgere trattative dirette alla definizione

del contenuto della proposta di transazione, tramite la rimodulazione di percentuali,

tempi di pagamento e garanzie da rilasciare.

La dottrina maggioritaria tende ad ammettere tale possibilità, che del resto è

conforme alla prassi invalsa negli uffici dell’Amministrazione finanziaria, fermo

restando il rispetto del termine massimo accordato dal comma 2 dell'art. 175 per la

modifica della proposta di concordato, ossia l'inizio delle operazioni di voto.

Qualcuno ha anche affermato che la trattativa, soprattutto nell'ipotesi in cui le risorse

da destinare alla soddisfazione degli obblighi concordatari provengano da fonti

www.unich.it, 6/2010.

119

esterne all'impresa, potrebbe vertere non già sull'an o sul quantum dell'obbligazione

tributaria da soddisfare in misura percentuale, bensì sul quid pluris che l'Erario

potrebbe ottenere dal terzo, maggiore rispetto a quanto possa ritrarre dalla

liquidazione del patrimonio imprenditoriale247.

Il comma 2 dell'art. 182ter prevede, inoltre, che una copia degli avvisi di

irregolarità notificati all'istante e delle certificazioni rilasciate dall'ufficio e dal

concessionario deve essere trasmessa anche al Commissario giudiziale per gli

adempimenti di cui all'art. 171, comma 1 e 172 legge fall. E’ sulla scorta di quella

documentazione, che va ad aggiungersi a quella già allegata alla domanda di

concordato preventivo, che il Commissario dovrà procedere alla verifica dell'elenco

nominativo dei creditori e dei debitori, apportandovi le necessarie modifiche nel caso

in cui risultino divergenze fra i dati trasmessi dal Fisco e quelli indicati dal debitore;

inoltre certificazioni ed avvisi di irregolarità lo coadiuveranno nella predisposizione

della relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore,

sulla proposta di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori.

Nel silenzio della norma la dottrina ritiene che la consegna di copia delle

certificazioni al commissario giudiziale sia incombenza a carico del soggetto

direttamente interessato, ossia l'imprenditore concordatario248. Sul punto la circolare

n. 40/E contiene un riferimento ai soli adempimenti a carico del concessionario,

precisando che è onere di quest'ultimo trasmettere al commissario copia della

certificazione dei carichi a ruolo.

Va sottolineata, altresì, l'importanza che detti adempimenti rivestono

nell'ambito della complessiva procedura di concordato preventivo, soprattutto con

riferimento all'art. 172: sarà essenzialmente sulla scorta della relazione redatta dal

commissario giudiziale, predisposta anche considerando l'effettivo debito d'imposta

scaturente dalle dichiarazioni, dagli avvisi e dalle certificazioni di cui all'art. 182ter,

che il ceto creditorio compierà le proprie valutazioni di merito, saggiando la

247

Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1205, nt. 58.

248

Cfr. M. QUATRARO, La transazione fiscale, cit., 4, e P. PANNELLA, L'incognita transazione

fiscale, in Fall., 2009, 651.

120

convenienza o meno della proposta di concordato prima dell'espressione del voto in

adunanza.

9. I criteri di valutazione della proposta di transazione, la conclusione

del sub-procedimento ex art. 182ter e la questione dell’impugnabilità del

diniego.

L'art. 182ter non precisa quali debbano essere i criteri sulla scorta dei quali

l'ufficio è chiamato a valutare le proposte di transazione fiscale. Tale silenzio

normativo è stato criticato da una parte della dottrina, secondo la quale l'ampia

discrezionalità che in tal modo verrebbe accordata all'Amministrazione finanziaria

finirebbe per accentuare i già numerosi profili di incostituzionalità della disposizione

di cui all’art. 182ter, acuendo soprattutto il vulnus inferto al principio di

indisponibilità dell'obbligazione tributaria249.

Le prime interpretazioni dottrinali, peraltro, una volta ricondotto

concettualmente l'istituto alla pregressa transazione esattoriale (in quanto species del

medesimo genus), hanno ritenuto applicabili anche alla nuova fattispecie i criteri di

“maggiore economicità e proficuità rispetto alle attività di riscossione coattiva” di

cui all'abrogato art. 3, comma 3 d.l. n. 138/2002250: l'Amministrazione finanziaria,

pertanto, sarebbe tenuta a valutare la convenienza della proposta transattiva in

termini di “più proficuo introito rispetto a quello ottenibile dallo sviluppo delle

procedure esecutive”, per riecheggiare le parole adottate dalla circolare n. 8/E

dell’Agenzia delle Entrate. La stessa corrente dottrinale, tuttavia, non ha mancato di

rilavare che l'inserimento del nuovo istituto nell'ambito della procedura di

249

Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2323; quanto all'indisponibilità del credito erariale v. L.

TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso della transazione

fiscale, cit., 25 e ss.. Anche M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1582, teme che l'assoluta

discrezionalità di cui gode il Direttore dell'ufficio potrebbe generare atteggiamenti

aprioristicamente ostili contro l’istituto di cui all’art. 182ter.

250

Cfr. M. POLLIO – P.P. PAPALEO, La fiscalità nelle nuove procedure concorsuali, Ipsoa, Milano,

2007, 117, L. DEL FEDERICO, Profili processuali della transazione fiscale, in Corr. trib., n.

45/2007, 3661, e TOSI, La transazione fiscale, cit., 1075, secondo il quale, comunque, sotto il

profilo dei criteri di valutazione della proposta di transazione il legislatore avrebbe fatto un passo

indietro rispetto alla previgente disciplina, che almeno prevedeva quali dovessero essere i

parametri cui ancorare tale valutazione; ad avviso di tale A., inoltre, l'assenza di linee guida

espressamente dettate dal legislatore provocherà rallentamenti nelle decisioni degli uffici

periferici.

121

concordato preventivo imporrà che la valutazione di maggiore economicità e

proficuità dovrà essere condotta in un'ottica più ampia, tenendo conto della ratio del

concordato preventivo e, più in generale, delle finalità delle nuove soluzioni

negoziali della crisi di impresa: ne deriva che l'esigenza di favorire la composizione

della crisi, anche con il sacrificio dei creditori dissenzienti (imposto tramite il

giudizio di cram down), dovrebbe implicare una maggiore apertura ed elasticità da

parte del Fisco, chiamato ad andare oltre il mero interesse erariale per considerare gli

effetti che il perfezionamento dell'accordo transattivo sortirebbe sulla concreta

possibilità di salvataggio dell'impresa, tutelando gli altri valori ed interessi in essa

coinvolti, quali essenzialmente la conservazione dei livelli occupazionali e dei

complessi produttivi ancora vitali251.

Le citate considerazioni sono state successivamente recepite dalla circolare n.

40/E dell'Agenzia delle Entrate, la quale dispone appunto che l'ufficio dovrà saggiare

il merito della proposta di transazione valutando in primis “l'effettiva possibilità di

una migliore soddisfazione del credito erariale in sede di accordo transattivo,

rispetto all'ipotesi di avvio di una procedura concorsuale di fallimento, tenendo

conto dei principi di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa nonché

della tutela degli interessi erariali”: vi è un chiaro richiamo, pertanto, alla

“maggiore economicità e proficuità” di cui alla disciplina della pregressa transazione

sui ruoli. Il menzionato documento di prassi va oltre, invitando gli uffici a tener

conto, altresì, degli obiettivi sottesi alla riforma organica delle procedure concorsuali

in generale, ed alla transazione fiscale in particolare: la ratio dell'intervento

legislativo è quella di “evitare, per quanto possibile, il dissesto irreversibile

dell'imprenditore commerciale, per promuovere le finalità ispirate ad una maggiore

sensibilità verso la conservazione delle componenti positive dell'impresa (beni

produttivi e livelli occupazionali)”, allineandosi agli altri Stati membri dell'Unione

europea e semplificando le procedure di regolazione dell'insolvenza attualmente

esistenti, con una nuova regolamentazione più agile e snella che garantisca la

251

Tuttavia non manca chi esclude che l'Amministrazione finanziaria possa attribuire rilevanza, nella

ponderazione da compiere, ad interessi ad essa estranei, quali il salvataggio dell'impresa in crisi e

la conservazione dei livelli occupazionali: cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 840 e

ss.: secondo l'A., l'Amministrazione dovrebbe tener conto primariamente dei profili di efficienza

ed efficacia dell'azione di riscossione coattiva.

122

conservazione dell'impresa e la tutela dei creditori. L'ufficio sarà chiamato dunque a

considerare anche gli altri interessi coinvolti nella gestione della crisi, quali

esemplificativamente “la difesa dell'occupazione, la continuità dell'attività

produttiva, la complessiva esposizione debitoria dell'impresa, la sua generale

situazione finanziaria e patrimoniale (ad esempio la tipologia dell'attività svolta, le

diverse componenti positive di bilancio, la consistenza immobiliare e la presenza di

eventuali garanzie)”.

Viene dunque confermato l'assunto secondo cui la valutazione

dell'Amministrazione finanziaria andrà condotta sulla scorta dei criteri di maggiore

proficuità della transazione (in termini di tempi di pagamento e percentuale di

incasso dei propri crediti) rispetto ad un'esecuzione concorsuale coattiva, da un lato,

e di concreta possibilità di salvataggio dell'impresa in crisi, con connessa

salvaguardia dei molteplici interessi che gravitano attorno alla medesima, dall'altro.

La circolare, pertanto, sembrerebbe aderire alla tesi, ampiamente consolidata in

dottrina252, secondo la quale quella demandata all'ufficio è una vera e propria

valutazione discrezionale, implicante il bilanciamento dell'interesse primario del

Fisco, da ravvisarsi nella soddisfazione del credito tributario nella misura più ampia

possibile, con gli altri interessi suscettibili di essere incisi dalla crisi imprenditoriale

(tutela degli altri creditori, salvaguardia dei livelli occupazionali, conservazione del

complesso produttivo); in questo modo verrebbe rispettata la funzione dell'istituto,

che sarebbe appunto da ravvisare nel sacrificio parziale dell'interesse erariale, di cui

si ammette la limitata disponibilità, quando ciò sia imposto dall'esigenza di

salvaguardare gli altri valori costituzionalmente tutelati nell'ambito di un tentativo di

soluzione negoziale della crisi d’impresa.

252

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2575 e 2576, nonché nt. 37: secondo

questo A., l'Amministrazione è tenuta, anche in tale evenienza, ad esercitare la sua “funzione”,

attenendosi pertanto alle regole dell'agire funzionalizzato che impongono di perseguire l'interesse

pubblico, ponderandolo con le situazioni soggettive del privato. Troverebbe pertanto applicazione

il consolidato orientamento della dottrina amministrativistica, secondo cui l'Amministrazione deve

comunque garantire la finalizzazione dei propri atti alla cura dell'interesse pubblico

indipendentemente dallo strumento in concreto adottato (unilaterale, consensuale o negoziale): cfr.

F. G. SCOCA, voce “Attività amministrativa”, in Enc. Dir. Aggiornamento, Giuffrè, Milano,

2002, VI, 95. Sulla funzionalizzazione dell'operato dell'Amministrazione finanziaria cfr. anche

M.T. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma

tributaria, cit., 93 e ss.

123

Una volta appurato che la valutazione formulata dall'Erario in sede di

transazione fiscale è espressione di discrezionalità amministrativa, si è posto in

dottrina il problema dell'impugnabilità o meno dell'eventuale diniego

dell'Amministrazione finanziaria. Coloro che abbracciano la soluzione affermativa

discutono ulteriormente in ordine all'individuazione del giudice competente.

Contro l'impugnabilità del diniego manifestato dall’ufficio su una proposta di

transazione fiscale una parte della dottrina ha osservato che si tratterebbe di un atto

di discrezionalità che esula dalla materia tributaria253. Ancora, è stato osservato che

sarebbe problematico operare un controllo giudiziale sulle valutazioni di

convenienza del soggetto pubblico, ed ancora più arduo surrogare alle medesime la

valutazione dell'autorità giudiziaria, che non potrebbe mai estendersi ai profili di

merito254.

L'Agenzia delle Entrate sino ad ora non ha assunto alcuna posizione ufficiale

sulla questione, diversamente da quanto era avvenuto con la vecchia transazione

esattoriale, relativamente alla quale la circolare n. 8/E del 2005, recependo il parere

espresso dal Consiglio di Stato, aveva qualificato la posizione giuridica del debitore

in termini di interesse legittimo, escludendo però la reclamabilità del provvedimento

di diniego per questioni attinenti a valutazioni di convenienza.

Peraltro, sempre con riferimento al vecchio istituto, il T.A.R. Lombardia si era

pronunciato a favore della competenza delle Commissioni tributarie255, mentre la

dottrina era orientata ad escludere la giurisdizione delle medesime, dato che la

vicenda era destinata a svolgersi in quell'ambito del potere impositivo, successivo

alla notifica della cartella esattoriale, sottratto espressamente al giudice tributario ai

sensi dell'art. 2 del d. lgs. n. 546/1992256. La medesima dottrina, pertanto, era

253

Cfr. L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1090.

254

Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 612 e 613, il quale tuttavia ritiene che l'unica

forma di tutela azionabile sembrerebbe essere il ricorso all'a.g.a. per l'annullamento del diniego,

previa sospensione dell'atto impugnato (prima della deliberazione del concordato preventivo), con

eventuale risarcimento del danno.

255

Cfr. TAR Lombardia, 7 febbraio 2007, n. 191, in Boll. trib., 2007, 733.

256

M. BASILAVECCHIA, La transazione sui ruoli, cit., 1219.

124

propensa ad attribuire la cognizione del diniego al giudice amministrativo, cui del

resto erano già state devolute le impugnazioni dei dinieghi di rateizzazione dei tributi

iscritti a ruolo, nonché, più in generale, quelle degli atti discrezionali che non

rilevavano ai fini della determinazione dell'an o del quantum del tributo257.

Anche con riferimento alla “nuova” transazione fiscale la dottrina

maggioritaria si è schierata a favore dell'impugnabilità del diniego dell'Erario, che

sarebbe censurabile secondo il regime proprio degli atti discrezionali, sia nel caso in

cui l'Amministrazione abbia manifestato il proprio dissenso in adunanza (tramite

voto negativo), sia nell'ipotesi di silenzio-rifiuto258; la medesima dottrina, tuttavia,

non manca di rilevare che sarebbe difficile ottenere una pronuncia giurisdizionale in

tempi utili, considerata la serrata tempistica entro cui la procedura concordataria

deve concludersi.

Quanto al giudice competente, la dottrina maggioritaria lo individua nelle

Commissioni tributarie, alla luce del progressivo ampliamento della loro

giurisdizione, sia in via legislativa (a decorrere dalla l. n. 448/2001, cui hanno fatto

seguito la l. n. 248/2005 ed il d.l. n. 223/2006), sia ad opera della giurisprudenza di

legittimità259, di pari passo con la tendenza al superamento del principio di tipicità

degli atti impugnabili ex art. 19 del d. lgs. n. 546/1992260: alcuni Autori, infatti, non

hanno mancato di rilevare, sia pure criticamente, che l'avvenuta rimozione dei limiti

“esterni” alla giurisdizione speciale avrebbe comportato l'abbattimento anche di

quelli “interni”, tanto da porre in crisi la tradizionale concezione del processo

tributario come giudizio di impugnazione degli atti tassativamente individuati dal

legislatore, facendone viceversa quasi un giudizio di accertamento, in positivo o in

257

Cfr. M. BASILAVECCHIA, Il riparto di giurisdizione fra commissioni tributarie e giudice

amministrativo ordinario, in Boll. trib., 1990, 805; L. DEL FEDERICO, La giurisdizione delle

Commissioni Tributarie, in AA.VV., Il processo tributario, Utet, Torino, 1998, 32.

258

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2576 e G. VERNA, Gli accordi di

ristrutturazione e la transazione fiscale, in S. AMBROSINI, Le nuove procedure concorsuali, cit.,

593.

259

La S.C. ha ribadito in diverse occasioni che la giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie

deve essere interpretata estensivamente: cfr. SS.UU., ord., 10 febbraio 2006, n. 2888, in Rass.

trib., 2006, 587, nonché SS.UU., ord., 14 giugno 2007, n. 13902, in GT, 2007, 929.

260

Cfr. ad es. Cass., 8 ottobre 2007, n. 21045, in GT, 2008, 507.

125

negativo, delle pretese fatte valere dall'Amministrazione finanziaria261. Un appiglio

testuale per questa tesi sembrerebbe ravvisabile nella lettera h) del medesimo art. 19,

che devolve esplicitamente al giudice tributario la giurisdizione sugli atti di rigetto di

domande di definizione agevolata di rapporti tributari262. Altra corrente dottrinale,

all'opposto, propende per l’attribuzione della relativa giurisdizione al giudice

amministrativo, posto che il diniego non configurerebbe un vero e proprio

provvedimento tributario riconducibile agli atti impositivi in senso stretto263, ma

costituirebbe un atto discrezionale contenente una valutazione di interessi

assimilabile a quella sottesa ad un provvedimento di dilazione di pagamento di

tributi iscritti a ruolo, impugnabile per eccesso di potere dinanzi all'a.g.a.

Peraltro è ovvia la constatazione che il problema dell'impugnabilità del diniego

(e quello connesso dell'individuazione del giudice competente) avrebbe ragione di

porsi solo laddove si attribuisca al dissenso dell'Erario valenza ostativa

all'omologazione dell'intera domanda di concordato preventivo, ossia nell'ipotesi in

cui esso abbia impedito il raggiungimento delle maggioranze di cui all’art. 177.

Quanto al primo profilo, si vedrà meglio infra che la dottrina e la giurisprudenza

consolidate disconoscano ogni potere di veto in capo all'Amministrazione

finanziaria, costretta a subire comunque la falcidia delle proprie pretese nel caso di

omologazione di una proposta che abbia riscosso il voto favorevole della

maggioranza (calcolata per numero e per classi) del ceto creditorio, alla luce del

principio generale dell'obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori

concorsuali di cui all'art. 184: ne deriva che una volta ottenuta l’omologazione del

261

Per una critica nei confronti della trasformazione della natura del processo tributario (da giudizio di

impugnazione a giudizio di accertamento), ad opera del recente orientamento della giurisprudenza

di legittimità, con conseguente anticipazione della tutela giurisdizionale ad una fase in cui la

pretesa tributaria non si è ancora tradotta in veri e propri atti autoritativi, cfr. G. TABET, Verso la

fine del principio di tipicità degli atti impugnabili?, in GT, 2008, 511 e ss.; ID, Una giurisdizione

speciale alla ricerca della propria identità, in Riv. dir. trib., 2009, I, 21 e ss.

262

Cfr. ex multis L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2576 e 2577; ID., La

transazione fiscale nel sistema della legga fallimentare, cit.; G. MARINI, Transazione fiscale, cit.,

2329. Anche G. VERNA, Gli accordi di ristrutturazione e la transazione fiscale, cit., 593,

propende per la giurisdizione delle Commissioni tributarie, facendo leva sulla specialità del

giudice tributario.

263

Cfr. M. POLLIO – P.P. PAPALEO, La fiscalità nelle nuove procedure concorsuali, cit., 119,

nonché L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 689.

126

concordato mancherebbe, in capo al debitore, un interesse concreto ed attuale ad

impugnare il diniego dell'Erario. A meno che l’interesse ad agire non possa essere

ravvisato nella cristallizzazione del debito tributario, inteso nel duplice significato di

congelamento dei residui poteri accertativi ed estinzione del contenzioso tributario in

corso: essendo questi i due effetti “tipici” della transazione fiscale, non si

produrrebbero in caso di dissenso del Fisco. Senonché, sembra eccessivo ritenere che

tale interesse, seppur eventualmente possa essere ravvisato, assurga al rango di

situazione giuridica sostanziale azionabile in giudizio264.

Diversamente, nel caso in cui il voto negativo dell'ufficio e/o del

concessionario risulti essere stato determinante, impedendo il raggiungimento delle

maggioranze richieste ai fini dell'approvazione della proposta di concordato,

all'impugnabilità del diniego si potrebbe opporre il principio maggioritario che

domina la procedura di concordato preventivo: esso imporrebbe la cessazione

dell’iter concordatario, senza altra alterativa per l'imprenditore che proporre una

nuova domanda, diversa dalla precedente, che accolga le osservazioni

dell'Amministrazione in modo da catalizzarne il consenso265. In questa seconda

evenienza, dunque, si potrebbe ritenere che il debitore sia privo di legittimazione

attiva.

Senza considerare che, sia pure ammettendo astrattamente una legittimazione

all'impugnazione del diniego, gli ordinari tempi processuali risulterebbero

incompatibili con la snellezza tipica della procedura concordataria, sicché in

concreto l'eventuale accoglimento del ricorso non salverebbe comunque l'esito

negativo del concordato, in quanto quasi sicuramente interverrebbe dopo la chiusura

dello stesso266.

264

Esclude l’esistenza di un interesse concreto alla contestazione del diniego G. GAFFURI, Aspetti

problematici della transazione fiscale, cit., 1124 e 1125. Ancora, sulla mancanza di un interesse

legittimo del debitore, cioè di una posizione giuridicamente rilevante necessaria per l’accesso alla

giurisdizione cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 848, secondo cui il debitore

vanterebbe un mero interesse di fatto, inidoneo a fondare l’impugnabilità del diniego.

265

In tal senso cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione

fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, 836 e 837, secondo cui l’espressione del voto contrario non è

rivolta al debitore, ma si inserisce nella procedura concorsuale, quale elemento partecipativo del

volere dei creditori in ordine all’approvazione della proposta.

266

In tal senso cfr. anche P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare,

127

Ed in ogni caso, al di là di queste considerazioni, già la semplice constatazione

che il sub-procedimento di transazione sia destinato a concludersi con il voto

espresso in adunanza, e non con un vero e proprio provvedimento amministrativo

recettizio, osterebbe all'esperimento di un'autonoma impugnazione giudiziale

avverso il diniego: quel voto, al pari di quello formulato da qualsiasi altro creditore,

sottintende valutazioni di merito insindacabili, posto che in una procedura di

concordato preventivo il giudizio sulla convenienza o bontà della proposta è rimesso

all’esclusivo apprezzamento dei creditori, residuando in capo all'autorità giudiziaria

solo il potere di vagliare la regolarità formale della procedura (salvo, ovviamente, il

giudizio di cram down). Conseguentemente, si potrebbe ritenere che un limitato

spazio per la sindacabilità del diniego vi sia solo laddove siano riscontrabili vizi

procedurali, quali ad esempio lo scostamento del voto contrario formulato in

adunanza rispetto al parere favorevole della Direzione Regionale, oppure rispetto

all'“atto del direttore dell'ufficio” cui il funzionario delegato al voto ha l'obbligo di

attenersi: in tali ipotesi il giudizio dovrebbe essere devoluto all’autorità cui compete

la supervisione della procedura di concordato preventivo, dunque tanto al giudice

delegato quanto al Tribunale.

Qualcuno, inoltre, ha ammesso che il debitore sia legittimato ad esperire

un'azione di responsabilità ex art. 2043 c.c. contro l'Amministrazione finanziaria, nel

caso in cui al rifiuto illegittimo dell'ufficio, e al conseguente rigetto della proposta di

concordato, sia seguita l'apertura di una procedura di fallimento, con i pesanti risvolti

economici e personali che ne derivano267. Trattasi, però, di un'opinione contestata da

altra dottrina, in quanto difficilmente conciliabile con la discrezionalità di cui

l'ufficio gode nel valutare la proposta268.

Inoltre, prima che il d.l. n. 78/2010 modificasse l'art. 1, comma 1 della l. 14

gennaio 1994, n. 20, limitando alla sola ipotesi di dolo la responsabilità contabile dei

funzionari delle Agenzie fiscali per le valutazioni di fatto e di diritto effettuate ai

Giuffrè, Milano, 2008, 903.

267

Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1206; V. FICARI, Transazione

tributaria a doppia giurisdizione, in Il Sole 24 Ore del 30 giugno 2008.

268

Cfr. POLLIO, La transazione fiscale, cit., 1860, nt. 75.

128

sensi dell'art. 182ter, una parte della dottrina era propensa ad ammettere anche la

possibilità, per l'Amministrazione di appartenenza, di chiamare in responsabilità i

propri funzionari per le negligenze commesse nell'istruttoria della pratica e per il

voto contrario ad una proposta di transazione, qualora fosse ab origine evidente la

maggiore convenienza della stessa rispetto alla liquidazione fallimentare269.

La valutazione andrà condotta dall'ufficio, o dal concessionario, sulla scorta del

parere conforme della Direzione Regionale.

La formulazione letterale dell'art. 182ter induce a ritenere che tale parere abbia

carattere vincolante: sul punto la dottrina ha sottolineato il ruolo necessario espletato

dalla D. R. E., il cui assenso costituisce condizione di perfezione ed efficacia

dell'accordo270. In particolare, essa non si limiterebbe ad accettare o rifiutare in modo

“secco” la proposta transattiva, potendo andare anche oltre, sino ad indicare

all'ufficio periferico la necessarie modifiche ed integrazioni da sottoporre al debitore,

ovvero gli ulteriori chiarimenti da richiedere al fine di appurare la fattibilità del piano

di risanamento. Si ritiene che l'ufficio, a sua volta, sia obbligato a conformarsi al

“rifiuto costruttivo” della Direzione Regionale, al fine di ottenere dal debitore una

seconda bozza di transazione conforme alle indicazioni dell’organo sovraordinato, il

cui assenso sulla nuova proposta dovrebbe allora considerarsi quasi scontato.

Potrebbe astrattamente verificarsi l'ipotesi in cui il voto espresso in adunanza

(dall'ufficio o dal concessionario) sia difforme rispetto al parere formulato dalla

Direzione Regionale: in tale evenienza si dovrebbe ritenere che l'autorità giudiziaria

debba rilevare questo scostamento e dichiarare la nullità del voto271. Come accennato

in precedenza, il sindacato sulla validità formale della dichiarazione di voto resa

269

Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1206, nt. 63.

270

Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel

concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. BUONOCORE - A.

BASSI, Cedam, Padova, 2010, I, 617 e 618. Secondo A. LA MALFA, La transazione dei crediti

fiscali, cit., 1432, alla Direzione Regionale spetterebbe il reale potere decisorio, con riferimento

sia ai tributi iscritti a ruolo che a quelli non iscritti.

271

Quanto agli effetti di una eventuale divergenza del voto espresso in adunanza rispetto al parere reso

dalla Direzione Regionale cfr. P. PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 661, secondo

cui, poiché vi è una “dipendenza diretta” del voto dal parere, nel caso di difformità la proposta non

può essere accolta. Per cui, sostiene l'A., il voto avrebbe lo stesso contenuto del parere.

129

dall'Erario potrebbe essere condotto sia dal giudice delegato, in sede di accertamento

dell'avvenuto raggiungimento delle maggioranze necessarie ai fini dell'approvazione

della proposta, da condursi ai sensi dell'art. 179272, sia dal Tribunale, all'atto

dell'omologazione del concordato, alla luce del potere di sindacare “la regolarità

della procedura e l'esito della votazione” di cui al comma 3 dell'art. 180, che

comprenderebbe anche la verifica in ordine alla validità ed efficacia dei voti

espressi273.

Va dato atto, tuttavia, che una recente pronuncia di merito ha considerato

valida ed irrevocabile l'adesione da parte del rappresentante dell'Agenzia delle

Entrate alla proposta di concordato con transazione fiscale anche in assenza del

previo parere della competente Direzione Regionale, equiparabile all'ipotesi di parere

contrario274.

La valutazione dell'Amministrazione si estrinseca, appunto, tramite il voto,

favorevole o contrario, espresso in sede di adunanza dei creditori.

Quanto all'individuazione del soggetto legittimato all'espressione del voto,

occorre distinguere a seconda che il tributo oggetto della proposta di transazione sia

iscritto o meno a ruolo. Per i tributi non iscritti, ovvero iscritti in ruoli non ancora

consegnati al concessionario alla data di presentazione della domanda, il comma 3

prevede che l'accettazione o il diniego sono approvati con atto del direttore

dell'ufficio dell’Agenzia, previo conforme parere della competente Direzione

Regionale (come visto poc'anzi), e sono espressi tramite voto favorevole o contrario;

272

Peraltro una parte della dottrina esclude ogni competenza del giudice delegato in materia di

accertamento dell'avvenuta approvazione del concordato, ritenendo che le modifiche apportate

dalla riforma del 2005 avrebbero inteso rimettere la verifica delle operazioni di voto

esclusivamente al Tribunale: cfr. G. DE CECCO, Commento sub art. 179, in La legge fallimentare

dopo la riforma, cit., III, 2212 e 2213.

273

Cfr. M. VITIELLO, L'omologazione del concordato, in S. AMBROSINI - P. G. DEMARCHI - M.

VITIELLO, Il concordato preventivo, cit., 172 e 190, nonché E. STASI, Profili istituzionali della

transazione fiscale, cit., 1206 e 1207, secondo cui l'invalidità dell'atto di accettazione della

transazione dovrebbe essere considerata anche dal commissario giudiziale in sede di redazione del

parere ex art. 180, comma 2, dal momento che essa, comportando il mancato consolidamento

dell'esposizione debitoria verso il Fisco e la conservazione dei normali poteri accertativi, potrebbe

pregiudicare la fattibilità del concordato.

274

Cfr. Trib. Tivoli, 15 luglio 2009, decr., in Fall., 2009, 1481.

130

quanto invece ai tributi iscritti in ruoli già consegnati al concessionario della

riscossione, il comma 4 attribuisce a quest'ultimo la legittimazione al voto, da

esercitarsi però secondo le indicazioni del direttore del competente ufficio

dell'Agenzia, e sempre previo parere conforme della Direzione Regionale.

Le disposizioni appena citate sono foriere di non poche problematiche

interpretative, soprattutto se si considera che il voto rappresenta il momento in cui il

sub-procedimento di transazione fiscale si congiunge alla procedura principale di

concordato preventivo. La dottrina, del resto, non ha mancato di porre in luce questa

ideale “saldatura”, affermando che il voto dell'Amministrazione finanziaria assume

una duplice valenza, riguardando sia la proposta di transazione che la domanda di

concordato in cui la prima è inserita275.

In primis, controversa è l'obbligatorietà dell'espressione del voto, positivo o

negativo, in sede di adunanza: per la ravvisabilità di un obbligo di tal fatta a carico

dell'Erario, nella duplice veste di ufficio dell’Agenzia ed agente della riscossione, si

è schierata parte della dottrina276, laddove altri autori ritengono che non vi sia alcun

obbligo in tal senso, potendo l'Amministrazione trincerarsi dietro il silenzio-rifiuto,

da valutarsi in termini di provvedimento di diniego277. Qualcuno, ancora, ritiene che

l'obbligo del voto sussiste solo laddove sia stata presentata l’istanza di transazione

fiscale278.

Inoltre, la circostanza che la valutazione dell'Erario, al pari di quella di ogni

altro creditore, è destinata ad estrinsecarsi tramite il voto induce a ritenere

pienamente applicabili le disposizioni che disciplinano la fase della votazione

concordataria, di cui agli artt. 174 e ss: in tal senso depone anche la lettera del

comma 3, il quale stabilisce che il voto (favorevole o contrario) dell'ufficio può

essere espresso sia sede di adunanza dei creditori sia nei modi previsti dal primo

275

Cfr. S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 200.

276

Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 738. Dello stesso ordine di idee è anche la circolare n.

40/E, che ingiunge agli uffici, nell'ipotesi di diniego, di formulare le opportune contestazioni in

sede di adunanza.

277

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2576.

278

Cfr. M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 2293.

131

comma dell'art. 178279.

Assodato ciò, soccorrono alcune precisazioni.

La facoltà, che il comma 2 dell'art. 174 accorda a ciascun creditore, di farsi

rappresentare da un mandatario speciale, con procura da rilasciarsi anche per iscritto

senza particolari formalità, con specifico riferimento alle Agenzie fiscali andrebbe

intesa nel senso che il direttore dell'ufficio potrà delegare al voto un proprio

funzionario, ed è questa, del resto, la prassi largamente in uso.

Ancora, ai sensi di quanto previsto dal comma 3 dell'art.175, il funzionario

delegato potrà esporre in sede di adunanza le ragioni per le quali non ritiene

ammissibile (ad esempio, a causa della violazione di una delle norme procedurali di

cui all'art. 182ter) o accettabile (sotto il profilo del merito) la proposta di concordato

e/o transazione, con possibilità di sollevare contestazioni sui crediti concorrenti: sul

punto soccorrono anche le precisazioni contenute nella circolare n. 40/E, in cui si

invitano gli uffici a sollevare le proprie contestazioni già in sede di adunanza,

dunque dinanzi al giudice delegato, senza attendere necessariamente la fase

dell'opposizione all'omologazione esperibile davanti al Tribunale.

Queste osservazioni consentirebbero anche di dare una plausibile lettura alla

norma di cui al comma 3, che parla di “atto del direttore dell'ufficio” con cui

vengono approvati l’adesione o il diniego alla proposta di concordato: se la

valutazione dell'Amministrazione è destinata ad estrinsecarsi in un voto, da

collocarsi sullo stesso piano di quello degli altri creditori, l'atto de quo dovrebbe

essere inteso come mero provvedimento non recettizio, e quindi non tale, di per sé,

da concludere il sub-procedimento di cui all'art. 182ter, che verrebbe invece a

perfezionarsi con la formulazione del voto dell’Agenzia in sede di adunanza, e la

successiva omologazione dell’intero piano concordatario ad opera del Tribunale. Si

tratterebbe, pertanto, di un provvedimento destinato ad avere una valenza meramente

interna all’ufficio, nel senso che esso conterrà le istruzioni in base alle quali il

funzionario delegato voterà in adunanza280.

279

Sulla possibilità per l'Amministrazione di esprimere il proprio voto anche nei venti giorni

successivi alla data fissata per l'adunanza dei creditori cfr. L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e

concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, cit., 323.

280

Ma secondo parte della dottrina si tratta di un atto ad hoc, sottoscritto anche dal contribuente al

132

Chiarito questo, potrebbe verificarsi l'ipotesi in cui il funzionario voti in senso

difforme rispetto al contenuto di quell'atto: in tale evenienza, come accennato in

precedenza a proposito della questione dell'impugnabilità del diniego, si potrebbe

ipotizzare un duplice sindacato giurisdizionale, del giudice delegato prima e del

Tribunale poi, in ordine alla validità formale della dichiarazione di voto proveniente

dall'Amministrazione finanziaria, al pari di quanto avverrebbe nel caso di un

eventuale scostamento del voto dal parere vincolante della Direzione Regionale.

Particolarmente problematica sembrerebbe l'applicazione ai crediti tributari

oggetto di un contenzioso pendente della disposizione di cui all'art. 176, comma 1,

afferente l'ammissione provvisoria al voto dei crediti contestati: la regola secondo

cui l'ammissione alla fase della votazione “non pregiudica le pronunce definitive

sulla sussistenza dei crediti stessi”, rispetto ai quali al giudice delegato spetterebbe

una cognizione solo incidentale, si scontra con la previsione contenuta nel comma 5

dell'art. 182ter, che contempla invece la cessazione della materia del contendere per

le liti relative ai tributi oggetto di una proposta di transazione. Tale profilo sarà

approfondito nel capitolo appositamente dedicato all’effetto processuale estintivo

della transazione fiscale.

Perplessità suscita anche la disposizione di cui al comma 2 del medesimo art.

176, in materia di opposizione avverso il provvedimento che abbia escluso uno o più

crediti contestati dalla votazione: ci si potrebbe chiedere se il giudice delegato abbia

il potere di escludere dal voto crediti, quali quelli vantati dall'Erario, su cui sia

totalmente privo di giurisdizione, sia pure incidenter tantum, fermo restando

comunque che la “contestazione” di uno o più crediti erariali, con conseguente

possibilità di esclusione dei medesimi dalla votazione (laddove ammessa),

presuppone il diniego dell'Amministrazione, e quindi la mancata conclusione della

transazione fiscale. Nell’ipotesi estrema in cui riconosca al giudice delegato il potere

di escludere dalla votazione un credito tributario, residuerebbe comunque in capo al

creditore pubblico la facoltà di opporsi all'esclusione in sede di omologazione del

concordato, alle condizioni previste dal medesimo art. 176, comma 2, rimettendo la

relativa decisione al Tribunale: anche in siffatta evenienza riemerge, tuttavia, il

termine di una vera e propria fase di contraddittorio: cfr. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1086, e

S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 202.

133

problema della riserva di giurisdizione a favore del giudice tributario, che sarà

oggetto di più approfondita disamina nel prosieguo.

La giurisprudenza maggioritaria, tenuto conto di tali criticità, circoscrive il

sindacato dell’autorità giudiziaria ordinaria (giudice delegato e Tribunale) alle sole

questioni relative all'esistenza titolo giuridico alla base del credito tributario

ammesso ad una procedura concorsuale (es. atto di accertamento, ruolo,

dichiarazione)281.

Troverà invece integrale applicazione la disposizione di cui all'art. 177, in tema

di maggioranza necessaria per l'approvazione del concordato, che il correttivo del

2007 ha novellato per tener conto della possibilità di falcidia dei crediti muniti di

prelazione (con l'aggiunta della previsione di cui al comma 3), come pure il disposto

di cui all'art.178, ultimo comma, che consente all'Erario di far pervenire il proprio

voto nei venti giorni successivi alla chiusura del processo verbale dell'adunanza dei

creditori.

In ordine all'applicabilità del “nuovo” art. 177, che ha sostituito il meccanismo

previgente, basato su una duplice maggioranza (per “numero” dei creditori e

“somma” dei crediti), con un sistema più snello, in cui è richiesta unicamente la

maggioranza semplice dei crediti ammessi al voto, si è sostenuto in dottrina che

l'Amministrazione avrebbe comunque la possibilità di formulare un voto divergente,

esprimendo il proprio assenso limitatamente ad una parte soltanto dei crediti tributari

ammessi al concordato; per la restante parte potrebbe, con il proprio diniego,

precludere non già la relativa falcidia, quanto piuttosto la conclusione della

transazione282. Al di fuori del ristretto ambito tributario, tuttavia, la dottrina tende in

281

Su questi profili cfr. L DEL FEDERICO, Profili di specialità ed evoluzione giurisprudenziale nella

verifica fallimentare dei crediti tributari, in Fall., 2009, 1369, ed i riferimenti giurisprudenziali e

dottrinali contenuti in nt. 15. Cfr. anche F. MICCIO, Appunti in tema di verifica dei crediti

tributari, relazione presentata in occasione dell’incontro di studio del CSM sul tema

“L’accertamento del passivo concorsuale”, Roma, 15 – 17 maggio 2006, in

www.giustiziatributaria.it, 9 e ss., secondo cui nell’ambito di una procedura di fallimento la

verifica del giudice delegato sarebbe limitata a tre profili: a) concorsualità del credito tributario,

ossia anteriorità al fallimento del verificarsi del presupposto di fatto del tributo; b) prova del

credito tributario; c) esistenza dei privilegi richiesti.

282

Cfr. G. ROCCO, I privilegi tributari e il riparto dell'insolvenza, tra interpretazione estensiva,

eccesso di delega e transazione fiscale, cit., 512, il quale riconosce anche la piena legittimità di un

voto divergente fra Agenzia e concessionario, sulla scorta anche della loro distinta soggettività

giuridica.

134

generale a disconoscere la legittimità di un doppio voto divergente da parte dello

stesso soggetto.

Ancora, la “saldatura” fra il sub-procedimento di cui all'art. 182ter e la

procedura di concordato preventivo comporta l'equiparazione del voto

dell'Amministrazione finanziaria a quello degli altri creditori, in virtù del principio

della par condicio creditorum, e l'assoggettamento della prima al cram down power

di cui al comma 4 dell'art. 180: Tale conclusione è oramai pacifica in giurisprudenza,

e trova l’avallo anche dalla dottrina maggioritaria, pur non mancando qualche voce

discorde.

Tale conclusione, unitamente alla piena applicabilità dell'art. 184, che sancisce

l'obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori anteriori al decreto di

apertura della procedura, comporta la falcidiabilità del credito erariale anche nel caso

di voto negativo espresso dall'Amministrazione sulla proposta di concordato e

sull'annessa transazione fiscale, come si vedrà più diffusamente nel prosieguo.

Quanto alla votazione del concessionario, le modalità di espressione del

relativo voto previste dal comma 4 portano ad escludere radicalmente che il suo

intervento in adunanza sia caratterizzato da una qualche discrezionalità, dovendo lo

stesso attenersi rigorosamente alle indicazioni formulate dal direttore dell'ufficio: il

ruolo del concessionario, dunque, è relegato di fatto a quello di mero esecutore delle

decisioni assunte dall'Agenzia delle Entrate283.

10. La transazione fiscale in sede di accordi di ristrutturazione dei

debiti.

Come accennato in precedenza con il decreto “correttivo” n. 169/2007 il

legislatore ha esteso la transazione fiscale anche agli accordi di ristrutturazione dei

debiti di cui all'art. 182bis, recependo pertanto le istanze avanzate da una nutrita

corrente dottrinale, che aveva aspramente criticato l'originaria limitazione della

283

Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di

ristrutturazione dei debiti, cit., 763, nt. 72. M. CORVAJA e A. GUERRA, La transazione fiscale,

cit., 1918 riducono il ruolo del concessionario in adunanza a quello di mero nuncius.

135

transazione al solo concordato preventivo.

Anzi, è stato sostenuto da qualcuno che la transazione fiscale sarebbe un

istituto che molto meglio si adatterebbe proprio alla fattispecie degli accordi di

ristrutturazione dei debiti, piuttosto che alla procedura di concordato preventivo,

nella quale la necessità di coordinare la previsioni dell'art. 182ter, ed il latente

principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, con i principi generali dettati

dagli artt. 160 e ss., ed in primis con il principio maggioritario, pone delicati

problemi interpretativi ed applicativi piuttosto ardui da risolvere284. Negli accordi ex

art. 182bis, di contro, la dilazione o la remissione del credito erariale non possono

prescindere dal consenso espresso dal titolare della pretesa, formalizzato in apposito

atto, senza che l'Erario sia costretto a subire la volontà della maggioranza.

Ancora, si è detto che la prima “occasione” che l'ordinamento offrirebbe

all'imprenditore in crisi per addivenire ad una sistemazione delle proprie pendenze

verso il Fisco sarebbe proprio l'accordo di ristrutturazione, laddove il concordato

preventivo rappresenterebbe l'estrema ratio, in quanto sarebbe esperibile a fronte di

una crisi più grave, o comunque nell'ipotesi in cui non sia possibile pervenire ad un

accordo con la maggioranza qualificata dei creditori d'impresa285.

Sicché, a seguito del menzionato intervento correttivo è caduta la preclusione

di cui al previgente comma 6 dell'art. 182ter. Per effetto del richiamo testuale al

“primo comma”, contemplato dalla nuovo testo della citata disposizione, la

transazione in sede di accordi ex art. 182bis è esperibile alle medesime condizioni

previste in caso di concordato preventivo (deve trattarsi, dunque, di proposta avente

ad oggetto tributi amministrati dalle Agenzie fiscali e relativi accessori, con

esclusione dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea e di quelli

locali286, e ferma restando la necessità di pagamento integrale dell'Iva e delle ritenute

284

Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 276 e 287.

285

Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel

concordato preventivo, cit., 610.

286

Salvo che l'ente locale, titolare della pretesa impositiva, stipuli un apposito accordo con l'Agenzia

delle Entrate per devolvere alla stessa l'esercizio delle funzioni afferenti la gestione del tributo: cfr.

V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel concordato

preventivo, cit., 612.

136

non versate).

Peraltro, il citato decreto correttivo del 2007 non ha sopito del tutto la querelle,

sorta sotto il vigore del previgente art. 182ter, relativa alla possibilità di utilizzare il

solo accordo di ristrutturazione di cui all'art. 182bis, ovviamente senza l'annesso

accordo transattivo, per i tributi non transigibili (quali, ad esempio, le imposte

locali). Se una parte della dottrina era propensa ad applicare l'art. 182bis a tali

pretese impositive287, altra corrente interpretativa escludeva decisamente tale

possibilità, ammettendo la falcidiabilità dei soli crediti fiscali che potessero essere

astrattamente oggetto di una proposta di transazione fiscale, altrimenti ostandovi

l'indisponibilità dell'obbligazione tributaria: per gli altri tributi, dunque, essendo

preclusa alla radice l'ammissibilità stessa della transazione fiscale, era da escludersi

anche la possibilità di una loro “ristrutturazione” ai sensi del solo art. 182bis,

potendo eventualmente applicarsi ai medesimi soltanto gli istituti consensuali di

attuazione della norma impositiva specificamente contemplati dalla legge

tributaria288. Anche a seguito del d. lgs. n. 169/2007 qualche Autore continua a

ritenere possibile una ristrutturazione ex art. 182bis dei tributi non transigibili, in

primis quelli locali, argomentando tale conclusione in base al rapporto di genere a

specie che legherebbe i due istituti (rispettivamente accordo di ristrutturazione dei

debiti e transazione fiscale), e ritenendo che una diversa soluzione determinerebbe

una irragionevole discriminazione289.

Peraltro, nonostante il menzionato rinvio al comma 1, le differenze fra la

transazione fiscale perfezionata in sede di concordato preventivo e la transazione

conclusa nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti sono molteplici,

tanto che autorevole dottrina, proprio in considerazione di ciò, ha attribuito

all'istituto di cui all’art. 182ter carattere “ibrido”, a seconda che l’accordo transattivo

287

Cfr. G. GAFFURI, Profili fiscali della riforma concernente le procedure concorsuali, in

www.tibunali.it/Monz; M. FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, in Le insinuazioni al

passivo. Trattato teorico-pratico dei crediti e dei privilegi nelle procedure concorsuali, a cura di

M. FERRO, Cedam, Padova, 2010, III, 1096 e ss..

288

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2579.

289

Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel

concordato preventivo, cit., 613.

137

si inserisca nell’una o nell’altra procedura concorsuale290. Tali differenze sono

apprezzabili sia sotto il profilo “sostanziale” (quello relativo al trattamento da

riservare ai crediti tributari), sia sotto il profilo della natura giuridica della due

fattispecie. Quanto all'aspetto procedurale, invece, le due tipologie di transazione

fiscale sembrano essere piuttosto affini, fatta salva la possibilità di presentare al

Fisco una proposta transattiva ex comma 6 anche prima di intavolare le trattative con

la restante parte del ceto creditorio (se non addirittura a prescindere da esse, qualora i

crediti tributari e contributivi rappresentino da soli almeno il 60% della complessiva

esposizione debitoria dell'imprenditore in crisi)291

, oppure in un momento

successivo292, non essendo previsto il requisito della “contestualità” proprio della

transazione proposta in sede concordato preventivo.

Dal punto di vista “sostanziale”, il debitore non sembrerebbe vincolato al

rispetto delle regole sulla par condicio creditorum e sull'ordine delle cause di

prelazione che governano la procedura di concordato preventivo. Uno dei vantaggi

della transazione conclusa in sede di accordi di ristrutturazione, infatti, sembrerebbe

risiedere nella possibilità di proporre per i crediti tributari, sia privilegiati che

chirografari, un trattamento anche deteriore rispetto a quello accordato

rispettivamente ai creditori muniti di privilegio di grado inferiore o agli altri

chirografari: secondo una certa opinione dottrinale, infatti, il richiamo testuale al

comma 1 non dovrebbe estendersi anche alle condizioni di trattamento ivi previste

per la falcidiabilità delle pretese erariali, che si è visto essere diverse a seconda che

queste ultime siano assistite o meno da una causa legittima di prelazione. Tale

conclusione sarebbe basata sulla constatazione che nell'ambito della procedura di

290

Cfr.A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., passim.

291

Cfr. ad esempio Trib. Ancona, 12 novembre 2008, decr., in www.ilcaso.it, I, 1494/2009, con cui è

stato omologato un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale stipulato esclusivamente con

l’Agenzia delle Entrate e l’agente della riscossione, che rappresentavano il 98,95% dell’intero

indebitamento della società proponente. Per un commento su tale pronuncia cfr. G. GENTILI, Il

Tribunale di Ancona ha omologato il primo accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione

fiscale stipulato in Italia, in www.ilcaso.it, II, 136/2009. 292

Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel

concordato preventivo, cit., 611, secondo cui l'imprenditore in crisi può aprire due diversi e

paralleli “tavoli di confronto”, uno con il Fisco e l'altro con la restante parte dei creditori, ciascuno

governato da regole diverse in ragione della differente natura dei crediti da ristrutturare.

138

ristrutturazione ex art. 182bis il debitore è libero di definire come meglio crede la sua

complessiva esposizione debitoria, come pure i creditori saranno perfettamente liberi

di accettare o meno il trattamento remissorio e/o dilatorio loro proposto293. A

supporto di tale tesi non mancherebbero nemmeno appigli testuali, posto che la

locuzione “il debitore può effettuare la proposta di cui al primo comma anche

nell'ambito delle trattative che precedono la stipula dell'accordo di ristrutturazione”

sembrerebbe riferirsi soltanto all'istituto della transazione fiscale in sé, senza che

quel richiamo debba intendersi esteso anche al trattamento da riservare ai crediti

fiscali interessati dall'accordo di ristrutturazione294. Il punto, tuttavia, non è pacifico

in dottrina295.

Sotto l’aspetto procedurale, si è detto che la disciplina dettata dal comma 6

dell'art. 182ter ricalca essenzialmente quella dettata per la transazione conclusa in

sede di concordato preventivo, come attesta anche il richiamo al comma 2: pertanto

il debitore è tenuto a depositare la proposta presso i medesimi uffici competenti (sia

delle Agenzie fiscali sia del concessionario della riscossione), i quali a loro volta

saranno tenuti ad espletare nei trenta giorni dal deposito i medesimi adempimenti

istruttori (liquidazione delle dichiarazioni, notifica degli avvisi di irregolarità,

certificazione dei carichi tributari) disciplinati da quella disposizione. Una

particolarità è stata introdotta, come già accennato, per effetto del d.l. n. 78/2010,

con il quale è stato previsto che alla documentazione da allegare alla domanda di

transazione, che ricalca quella di cui all'art. 161, va aggiunta la dichiarazione

sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante e redatta ai sensi dell'art.

47 del d.P.R. n. 445/2000, comprovante che la suddetta documentazione rappresenta

fedelmente ed integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riferimento

alle poste attive del patrimonio: l'aggiunta si giustifica essenzialmente alla luce della

293

Sottolinea l'”ampia autonomia negoziale privatistica” di cui gode il debitore che abbia presentato

una domanda di transazione ai sensi del comma 6 A. FELICIONI, La transazione fiscale e

contributiva, in Italia Oggi, 12 luglio 2007, 37.

294

Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 288 e 289.

295

Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel

concordato preventivo, cit., 611, P. PAJARDI, Transazione fiscale (a cura di A. SOLIDORO), cit.,

1803, e E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1212.

139

mancanza, nell'ambito della fattispecie degli accordi di ristrutturazione, della figura

del commissario giudiziale, cui in seno al concordato preventivo sono devolute le

funzioni di verifica dei crediti concorsuali, inventario del patrimonio imprenditoriale

ed analisi della contabilità296.

Altra peculiarità è la previsione secondo cui l'assenso espresso dal direttore

dell'ufficio o dal concessionario, a seconda dell'iscrizione o meno dei tributi in ruoli

già consegnati all'agente della riscossione, ed in entrambi i casi previo parere

conforme della competente Direzione Regionale, “equivale a sottoscrizione

dell'accordo di ristrutturazione”. É stato correttamente rilevato che nella logica che

governa l'istituto di cui all'art. 182bis tale assenso costituirebbe l'unico modo per

poter addivenire ad una ristrutturazione del credito tributario, altrimenti dovendosi

pagare lo stesso per intero ed alle scadenze originarie, in quanto credito “estraneo”

all’accordo. Il riferimento legislativo alla sottoscrizione dell'accordo sembrerebbe,

inoltre, dissipare ogni dubbio in ordine alla possibilità di pervenire ad un accordo

separato con la sola Amministrazione finanziaria, che come visto sopra potrebbe

anche precedere, o seguire, le varie intese siglate con la restante parte del ceto

creditorio: la dottrina maggioritaria, del resto, non ritiene necessario concludere un

unico negozio giuridico cui partecipi la maggioranza qualificata dei creditori

d'impresa, ben potendo l'istituto di cui all'art. 182bis presentarsi come un “fascio” di

negozi individuali, la cui unitarietà è recuperata sul piano funzionale del

collegamento negoziale297.

Ulteriore previsione dettata specificamente per il solo accordo transattivo

concluso in sede di trattative ex art. 182bis è quella contemplata dal nuovo comma 7,

introdotto nel 2010, secondo cui qualora il debitore non esegua integralmente i

pagamenti dovuti decorsi i 90 giorni dalle scadenze all’uopo previste l'accordo è

revocato di diritto. Trattasi di una previsione che mira a scoraggiare possibili abusi

nell'uso dello strumento transattivo, rafforzando la tutela dei crediti erariali

296

Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2327.

297

Anche se non mancano posizioni che escludono la pluralità di negozi collegati da un vincolo di

interdipendenza funzionale, reputando invece necessaria la stipula di un unico negozio

plurilaterale: cfr. G. SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali (ovvero gli accordi di

ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle esposizioni debitorie), in AA.VV,

Manuale di diritto fallimentare, Giuffrè, Milano 2011, 535.

140

attraverso l'eliminazione immediata degli effetti della transazione, non mancando

tuttavia di sollevare diverse perplessità298. Del resto, la dottrina è concorde

nell'ammettere che l'accordo transattivo possa contenere una clausola risolutiva

espressa ex art. 1976 c.c., conformemente all'uso ampiamente invalso nella prassi

degli uffici periferici ed alla natura negoziale dell'istituto, come si vedrà meglio in

seguito299.

Rimangono tuttavia insolute una serie di questioni.

Innanzitutto, si pone il problema di stabilire se gli effetti “tipici” di

consolidamento del debito tributario e cessazione della materia del contendere nelle

liti in corso, che l'art. 182ter prevede testualmente con riferimento alla sola

transazione conclusa in sede di concordato preventivo, trovino applicazione anche

alla fattispecie in esame: la questione sarà discussa approfonditamente nel prosieguo

del presente lavoro.

Ancora, non è chiaro quali siano gli effetti che la mancata omologazione

dell'accordo di ristrutturazione sortisce sulla transazione già conclusa. Qualcuno ha

sostenuto che l'omologazione varrebbe soltanto ai fini dell'esenzione dall'azione

revocatoria ex art. 67, terzo comma, lett. e), senza che essa possa incidere anche

sull'efficacia dell'accordo di ristrutturazione, derivando quest'ultima dalla sola

pubblicazione dell'accordo nel Registro delle imprese: in assenza di una contraria

disposizione legge, analoga soluzione dovrebbe valere anche per la transazione

fiscale300. Altri invece, muovendo dal presupposto che l'accordo con i creditori, ivi

compreso il Fisco, sarebbe stipulato proprio in funzione dell'effetto tipico di

esenzione da revocatoria, ritengono che esso rimarrebbe del tutto privo di effetti nel

298

Sul punto cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1456 e 1457: secondo l'A.

sarebbe stato più opportuno prevedere la risoluzione della transazione, poiché la “revoca” sarebbe

un rimedio giuridico che in ambito civilistico non è contemplato per gli atti negoziali già

perfezionati; inoltre, il rimedio sarebbe troppo drastico, non prevedendo la norma alcun correttivo

(né in termini di assenza di dolo o colpa nell'inadempimento, né di scarsa importanza del

medesimo); ancora, non sono specificate le concrete modalità secondo le quali la revoca sarà

destinata ad operare, né gli effetti che essa esplica sugli accordi siglati con gli altri creditori.

299

Cfr. ex multis M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 288; L. MAZZUOCCOLO,

Transazione fiscale: nuove disposizioni introdotte dall'art. 182ter r.d. n. 267/1942, cit., 2260; E.

STASI, La transazione fiscale, cit., 740.

. 300

Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 741.

141

caso di mancata omologazione da parte del Tribunale301.

11. Natura giuridica ed “autonomia” della transazione fiscale.

Come in passato era accaduto per la transazione esattoriale, molto si è discusso

in ordine all'esatta qualificazione giuridica della transazione fiscale: in altri termini ci

si è chiesti se tale istituto abbia carattere privatistico, partecipando della medesima

natura negoziale della transazione di diritto civile di cui agli artt. 1965 c.c. e ss.,

come suggerirebbe prima facie la lettera dell'art. 182ter, ovvero si tratti di una figura

di tipo pubblicistico – procedimentale, come sembrerebbe invece ricavarsi dalla

collocazione sistematica dell’istituto all'interno della disciplina del concordato

preventivo.

Giova premettere che non esiste una soluzione che possa considerarsi valida in

via assoluta: occorre distinguere, infatti, a seconda che la transazione sia proposta in

sede di concordato preventivo ex art. 160 e ss. o nell'ambito di un accordo di

ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182bis, giacché la diversa natura giuridica

delle due menzionate procedure concorsuali (ammesso e non concesso che l’accordo

di ristrutturazione possa qualificarsi in termini di “procedura”) finisce

inevitabilmente per riflettersi anche sulla qualificazione dell'accordo transattivo

siglato con il Fisco, spezzandone l'unitarietà302.

Con riferimento alla transazione concordataria, a supporto della natura

negoziale dell'istituto si era schierata in un primo momento, ossia anteriormente alle

novità apportate con il correttivo del 2007, la giurisprudenza di merito303. Il

presupposto da cui muoveva il ragionamento dei giudici fallimentari era

rappresentato dalla regola generale dell'inammissibilità, in sede di concordato

preventivo, di un pagamento percentuale dei crediti muniti di prelazione: rispetto a

quella regola, la disciplina di cui all'art. 182ter, che con riferimento al “credito

tributario assistito da privilegio” alludeva alla “percentuale di pagamento”,

301

Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1453

302

Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 8 e ss; D.

STEVANATO, Transazione fiscale, cit.,843.

303

Cfr. Trib. Bologna, 26 ottobre 2006, decr., cit., e Trib. Messina, 29 dicembre 2006, decr., cit., che

definisce la transazione fiscale come “accordo negoziale bilaterale”.

142

rappresentava una deroga, in quanto consentiva, in via del tutto eccezionale, la

falcidia dei crediti fiscali privilegiati, e ciò sarebbe stato possibile solo sulla scorta di

quanto convenuto con l'Amministrazione finanziaria in via negoziale ed extra-

concordataria, in base appunto ad un accordo stipulato fra le due parti304.

Anche l'Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 40/E del 2008, ha prospettato

una ricostruzione dell'istituto in chiave prettamente negoziale, parlando di “accordo

per la ristrutturazione e la soddisfazione, anche parziale, del debito tributario”,

pienamente rispondente all'obiettivo generale, perseguito dalla riforma delle

procedure concorsuali, di attribuire maggiore rilevanza alla composizione concordata

della crisi d'impresa attraverso la valorizzazione degli accordi negoziali. Nel citato

documento di prassi tale “accordo” viene configurato come autentica transazione di

diritto privato: la circolare, infatti, allude alla transazione fiscale come ad una

“particolare procedura transattiva fra Fisco e contribuente”, o “accordo

transattivo”, non mancando anche di osservare che “l'istituto della transazione,

tipico del diritto civile (articolo 1965 c.c.), appare del tutto innovativo

nell'ordinamento tributario, dove è tradizionalmente vigente il principio di

indisponibilità del credito tributario”. Nonostante dunque l'Amministrazione

finanziaria puntualizzi le “significative differenze” che intercorrono fra il nuovo

istituto e l'abrogata transazione dei tributi iscritti a ruolo, la qualificazione in chiave

giuridica è esattamente la medesima: entrambe le fattispecie configurerebbero infatti

un accordo a carattere autenticamente (cioè “civilisticamente”) transattivo, che

quand’anche si inserisse in una procedura di concordato preventivo manterrebbe

integra la propria autonomia.

Anche una parte minoritaria della dottrina qualifica l'istituto in termini di

“transazione” di diritto civile, ravvisandovi un carattere privatistico – negoziale305.In

particolare si rinverrebbe nella figura de qua la conferma di quel trend legislativo,

cui si accennava nel capitolo introduttivo, che punta sulla valorizzazione dei moduli

consensuali nell'attuazione della norma tributaria, affidando la determinazione del

304

Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 828.

305

Cfr. L. TOSI, La transazione fiscale cit., 1071 e ss. ; G. LA CROCE, Autonomia endoconcorsuale

e non obbligatorietà della transazione fiscale nel concordato preventivo, in Fall., 2010, 146 e ss.

143

tributo a forme di accordo tra contribuente e Fisco306. La stessa dottrina, tuttavia, non

manca di rilevare criticamente la singolarità della scelta operata dal legislatore307 e la

“grave lacunosità” della relativa disciplina, rea di non aver dettato alcuna previsione

in ordine ad aspetti, sia sostanziali che procedurali, di estrema rilevanza, quali i

criteri che l'Amministrazione finanziaria dovrebbe seguire nel valutare la proposta di

transazione308, il momento esatto di perfezionamento dell'accordo e la modalità con

cui esso si inserisce formalmente nella procedura concordataria, lo svolgimento di un

preliminare contraddittorio per la “contrattazione” della proposta formulata dal

debitore309, la necessità o meno dell'autorizzazione del giudice delegato ai sensi

dell'art. 167, essendo dubbio se l'accordo transattivo configuri un atto eccedente

l'ordinaria amministrazione.

Ancora, altra corrente dottrinale, pur avendo escluso che l'istituto sia

riconducibile allo schema della transazione civilistica, ne ribadisce pur sempre la

306

Cfr. ancora L. TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso della

transazione fiscale, cit., 25.

307

Secondo L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1072, parlare di “transazione” nel diritto tributario

sarebbe davvero singolare: la transazione, infatti, è un istituto tipico del diritto civile, dove viene

ad atteggiarsi come contratto basato sulle reciproche concessioni delle parti e funzionale

all'estinzione di una lite attuale o potenziale scoppiata fra le medesime; il credito tributario, invece,

è per definizione indisponibile e non rinunciabile, e conseguentemente non dovrebbe essere

negoziabile sulla base di criteri prettamente transattivi. Secondo l'A. tale assunto non è scalfito da

istituti quali l'accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale, in cui potrebbero pur

sempre scorgersi i tratti peculiari delle forme di definizione transattiva delle controversie, poiché

tali istituti operano in una fase particolare del rapporto tributario, in cui la pretesa erariale non può

considerarsi ancora certa nell'an e nel quantum; inoltre, essi vengono impiegati tendenzialmente

nei casi in cui ad essere dubbie non sono le questioni di diritto, bensì quelle di fatto, fungendo così

da strumenti destinati a risolvere i casi in cui è l'evento generatore dell'obbligo tributario a non

essere accertabile con precisione. Di qui la loro pacifica conciliabilità con il canone

dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria, cui invece la transazione fiscale sembrerebbe

arrecare un vulnus maggiore, potendo comportare la soddisfazione non integrale di pretese già

iscritte a ruolo, una non meglio precisata “dilazione di pagamento”, un taglio delle sanzioni in

misura non prestabilita dal legislatore ed ancora tempistiche di pagamento e garanzie concordate

volta per volta tra contribuente e Amministrazione finanziaria.

308

Sotto questo profilo, si sostiene che il legislatore avrebbe fatto addirittura un passo indietro rispetto

all'art. 3, comma 3 del d.l. 138/2002, che almeno prevedeva che la transazione sui ruoli dovesse

aver luogo in caso di “accertata maggiore economicità e proficuità rispetto alle attività di

riscossione coattiva”: cfr. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1075.

309

Cfr. TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso della

transazione fiscale, cit., 34, secondo cui il postulato della natura transattiva dell'istituto farebbe

ritenere indispensabile un incontro finalizzato allo svolgimento di una trattativa vertente sul

quantum dell'obbligazione tributaria, sulla tempistica di rientro e sulle garanzie da rilasciare.

144

natura negoziale, quale atto consensuale implicante una parziale remissione del

credito tributario310. Tale connotazione negoziale riposerebbe sul carattere

asseritamente contrattuale del nuovo concordato preventivo, che la riforma delle

procedure concorsuali avrebbe spogliato di ogni venatura pubblicistica; sulla

ipotizzata natura negoziale tale dottrina fa leva anche per rivendicare alla transazione

una sua “autonomia” nell'ambito della procedura concordataria311.

Non manca anche chi, ai fini di un corretto inquadramento giuridico della

figura, ne rileva la natura “ibrida”, in quanto relativa sia a tributi contestati e/o

ancora contestabili, sia a pretese impositive oramai divenute definitive: se nel primo

caso avrebbe senso “scomodare” lo schema negoziale di cui all'art. 1965 c.c., nella

seconda ipotesi sarebbe più corretto configurare l'istituto come pactum ut minus

solvatur312.

Sul versante opposto, a sostegno della connotazione pubblicistico –

procedimentale dell'istituto, sono schierate tanto la dottrina maggioritaria quanto la

prevalente giurisprudenza di merito. In particolare, in dottrina viene valorizzato

l'incipit dell'art. 182ter, secondo cui la transazione è proposta “con il piano di cui

all'art. 160”, che testimonierebbe il suo indefettibile inserimento all'interno della più

ampia procedura concordataria. Ne deriva che la rubrica dell'art. 182ter non deve

310

Cfr. G. LO CASCIO, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica?, in Fall.,

2008, 999; D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 838, parla di negozio solutorio implicante

una (parziale) rinuncia del credito. M. CATTANEO - M. PALLADINO, Commento sub art.

182ter, in La riforma del diritto fallimentare, Egea, Milano, 2006, 209, ravvisano nella transazione

una “vera e propria remissione del debito da parte dell'Erario”. Cfr. anche L. M. PETRONE, La

transazione fiscale tra contratto transattivo e modello di adesione dell'Amministrazione al

concordato fallimentare, in Obbl. e contr., 2007, 791 e ss.: l'A. si pone poi il problema di

individuare una responsabilità dell'Amministrazione finanziaria per culpa in contrahendo

nell'ipotesi di rifiuto illegittimo ed ingiustificato di concludere una transazione fiscale.

311

G. LO CASCIO, Il concordato preventivo, cit., 846 e ss.: egli intende l' “autonomia” nel duplice

senso di iniziativa indipendente di definizione negoziale delle obbligazioni d'imposta e specifico

atto esecutivo per la realizzazione del piano concordatario. Parla di “individualità giuridica” delle

pattuizioni con il Fisco E. STASI, La transazione fiscale, cit., 734 e 735.

312

Cfr. L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi

del concorso, cit., 302 e ss.; M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 276 e 277; D.

PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 5 e 6. La giurisprudenza di legittimità ha

ricostruito il fenomeno della parziale esdebitazione ex art. 184 in termini di pactum de non

petendo: cfr. Cass., 7 maggio 1992, n. 5424, in Fall., 1992, 809.

145

trarre in inganno313: l'istituto de quo, infatti, nulla avrebbe da spartire con il tipo

legale della transazione di diritto civile, non potendosi ravvisare i tratti peculiari di

tale fattispecie contrattuale, quali la res litigiosa e l'aliquid retentum.

Una volta negato l'inquadramento nell'ambito del contratto tipico di transazione

l'orientamento dottrinale prevalente si spinge anche oltre, sino a disconoscere

all'istituto ogni carattere contrattuale o semplicemente negoziale. L'inserimento

nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, infatti, porta necessariamente

ad escludere che la transazione fiscale sfoci in un vero e proprio accordo tra Fisco e

contribuente, finalizzato ad una determinazione autenticamente consensuale del

quantum da soddisfare in moneta concordataria: in particolare mancherebbe la

sequenza proposta negoziale – accettazione della controparte tipica di qualsivoglia

tipo contrattuale. Da un lato, infatti, la proposta di transazione non è un atto

autonomo, ma costituisce necessariamente parte integrante di una domanda di

concordato preventivo, senza la quale la prima non potrebbe neppure concepirsi

(fatta eccezione per l'alternativa rappresentata dalla transazione proposta in seno ad

un accordo di ristrutturazione ex art. 182bis); dall'altro lato l'Agenzia delle Entrate ed

il concessionario della riscossione non pongono in essere alcun atto di accettazione

di quella proposta, ma si limitano a formulare il proprio voto in sede di adunanza,

dove concorrono alla formazione della maggioranza concordataria alla pari con tutti

gli altri creditori314. Ancora, non vi sarebbe lo spazio né la tempistica necessaria per

intavolare un’autentica trattativa negoziale fra il debitore e l'ufficio, dal momento

che la struttura stessa del concordato preventivo non prevede alcuna fase

precontrattuale in cui possa aver luogo l'incontro delle volontà dei vari soggetti

partecipanti: la proposta è predisposta unilateralmente dall'imprenditore, ed i

creditori, Fisco compreso, saranno chiamati soltanto a votarla o meno, senza

313

Cfr. FALSITTA, Funzione vincolata di riscossione dell'imposta e intransigibilità del tributo, cit.,

1066, che esorta a non lasciarsi fuorviare dall'impegnativo vocabolo (“transazione”) impiegato dal

legislatore, che richiamerebbe subito alla mente l'art. 1965 c.c.

314

Cfr. ex multis F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale,

cit., 830 e ss.; A. PENTA, Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei creditori e

carattere autonomo o dipendente della transazione fiscale, in Fall., 2010, 233 e ss.; P.

PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 646 e 647; A. LA MALFA, La transazione dei

crediti fiscali, cit., 1435 e 1436.

146

possibilità di presentare una controproposta; l'Agenzia potrebbe pur sempre

sollecitare una modifica dell'originaria proposta di transazione, ma ciò avverrà

soltanto in modo informale, posto che l'art. 175 attribuisce la relativa iniziativa al

solo debitore315.

Anche l’oramai consolidata giurisprudenza di merito316 è concorde nel

disconoscere alla transazione fiscale valenza di accordo negoziale autonomo,

configurandola all'opposto come “sub-procedimento” incardinato nell'alveo della

ampia procedura di concordato preventivo, di cui condivide appieno la sorte e gli

effetti317; la funzione dell'istituto sarebbe semplicemente quella di consentire agli

uffici fiscali la partecipazione al concordato tramite l’espressione del proprio voto in

adunanza, dettando le regole attraverso le quali tale voto è da considerarsi

legittimamente espresso.

Corollario dell’asserita non autonomia della transazione fiscale è la regola

secondo cui la falcidia del credito tributario non necessita dell'assenso del Fisco,

essendo all'uopo sufficiente l’approvazione del concordato ad opera della

maggioranza dei creditori e la successiva omologazione da parte del Tribunale

(eventualmente anche a seguito dell'esercizio del cram down power di cui all'art.

180, comma 4), che renderebbe la proposta obbligatoria per tutti i creditori, ivi

compresi quelli dissenzienti, ai sensi di quanto previsto dall'art. 184. Ragionando

diversamente, invece, si finirebbe per accordare all'Erario un vero e proprio diritto

potestativo di veto, con palese violazione dei diritti del proponente e degli altri

creditori318.

315

Cfr. A. LA MALFA, La transazione fiscale ex art. 182ter legge fallim., dubbi sulla natura

negoziale e possibilità di inserire clausole pattizie, cit., 74 e ss; ID., La transazione dei crediti

fiscali, cit., 1439, dove l'A. afferma che è esclusa ogni “interlocuzione diretta” tra Fisco e

proponente.

316

A partire da Trib. Venezia, 27 febbraio 2007, decr., in Fall., 2007, 1464 e ss.; cfr. anche Trib.

Milano, 13 dicembre 2007, cit., e Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, cit. Più di recente cfr. ex multis Trib.

Ravenna, 19 gennaio 2011, cit., App. Torino, 23 aprile 2010, decr., in www.ilcaso.it., I,

2314/2010, e App. Firenze, 13 aprile 2010, decr., in www.ilcaso.it., I, 2318/2010.

317

Anche le due pronunce della Corte di Cassazione dello scorso 4 novembre, più volte citate,

configurano la transazione in termini di sub-procedimento.

318

Cfr. Trib. Roma, 27 gennaio 2009, decr., in www.ilcaso.it., I, 1500/2009, nonché App. L'Aquila, 16

marzo 2011, decr., in Fall., 2011, 881.

147

Secondo l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale oggi prevalente, dunque,

la transazione conclusa in sede di concordato preventivo sarebbe priva di

qualsivoglia autonomia, mancando di ogni connotazione di stampo negoziale;

all'opposto, essa avrebbe carattere endo-procedimentale, o meglio endo-concorsuale,

connotandosi come fase, secondo i più solo opzionale, della procedura di concordato

preventivo, di cui condivide gli effetti, sotto il duplice profilo fisiologico

(omologazione) e patologico (annullamento e/o risoluzione)319.

Assodato ciò, si pone il problema di valutare se e come eventuali eventi

“patologici”, intervenuti a seguito dell’omologazione del concordato, incidano sulla

transazione fiscale perfezionata all’interno della medesima procedura: in particolare,

se è indubbia la reviviscenza dell'originaria obbligazione tributaria, al pari di quanto

accade per ogni altro credito concordatario, con la possibilità per il relativo titolare di

pretenderne l'integrale pagamento, perplessità sorgono in merito alla sorte delle

controversie tributarie precedentemente estinte per effetto dell'omologazione del

concordato ai sensi di quanto previsto dal comma 5. Tali profili saranno discussi

approfonditamente nel prosieguo.

Discorso diverso vale, ovviamente, per la transazione siglata in sede di accordi

di ristrutturazione dei debiti ex art. 182ter, commi 6 e 7.

In primo luogo, così come la transazione in sede di concordato preventivo

finisce per riflettere la connotazione essenzialmente pubblicistica della procedura de

qua, nonostante la deriva “privatistica” ad essa impressa dalla recente legge di

riforma delle procedure concorsuali, la transazione inserita nell'ambito di un accordo

di ristrutturazione dei debiti non può non condividerne la natura prevalentemente

negoziale: sul carattere negoziale della fattispecie di cui all’art. 182bis si registra il

consenso dalla dottrina320 e della giurisprudenza321 prevalenti, pur non mancando

319

Sulla natura endoconcorsuale della transazione cfr. anche L. DEL FEDERICO, Profili processuali

della transazione fiscale, cit., 3658.

320

La dottrina maggioritaria è propensa a valorizzare la natura negoziale dell'istituto di cui all’art.

182bis, e dunque la sua autonomia rispetto al concordato preventivo: cfr. ex multis G. PRESTI,

L'art. 182bis al primo vaglio giurisprudenziale, in Fall., 2006, 172, e G. GIANNELLI,

Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento dell'impresa

nella riforma delle procedure concorsuali. Prime riflessioni, in Dir. fall., 2005, I, 1170.

148

qualche voce discorde, propensa a mettere in risalto gli aspetti processual-

pubblicistici dell'istituto322, oppure tesi intermedie, che ne ravviserebbero una

procedura concorsuale di natura composita o mista, in quanto pattizia e

giurisdizionale allo stesso tempo323.

Ancora, l'inserimento della transazione nell’ambito delle trattative antecedenti

la stipula di un accordo di ristrutturazione alluderebbe alla possibilità di intavolare

un negoziato anche con il Fisco, in cui alla proposta iniziale del debitore potrà fare

seguito una controproposta dell'Erario, secondo un iter finalizzato a definire

consensualmente le condizioni economiche e giuridiche della ristrutturazione dei

crediti tributari.

Inoltre il riferimento legislativo alla “sottoscrizione dell'accordo” sembrerebbe

supportare la tesi della natura negoziale della fattispecie, sembrando il legislatore

alludere ad un esplicito atto di accettazione della proposta del debitore324; poiché la

dottrina maggioritaria non reputa necessaria la stipula di un unico accordo di

ristrutturazione dei debiti con struttura plurilaterale, come accennato in precedenza,

321

Cfr. ex multis Trib. Brescia, 22 febbraio 2006, decr., in Fall., 2006, 669, nonché Trib. Milano, 11

gennaio 2007, decr., in Dir. fall., 2008, II, 136, che parla di “contratto consensuale bilaterale, a

causa unitaria, che non vincola i creditori rimesti estranei all'accordo”; negli stessi termini si è

espresso Trib. Milano, 24 gennaio 2007, decr., in www.ilcaso.it, I, 1006/2007. Più di recente cfr.

App. Roma, 1 giugno 2010, decr., in www.ilcaso.it, I, 2246/2010, che definisce gli accordi come

“strumento negoziale per la risoluzione della crisi di impresa”, e Trib. Sulmona, 2 novembre

2010, decr., in banca dati Il Foro italiano online, che, sia pure in un obiter dictum, parla di

“accordo di natura privatistica tra il debitore ed il sessanta per cento dei creditori”.

322

Sulla valorizzazione dei profili pubblicistici dell'istituto di cui all'art. 182bis, con la conseguente

asserita non autonomia del medesimo rispetto al concordato preventivo (tanto che taluno ha

definito il primo come una sorta di “concordato semplificato”), cfr. P. VALENSISE, Art. 182bis,

in La riforma della legge fallimentare, cit., passim; G. VERNA, Sugli accordi di ristrutturazione

ex art. 182bis legge fallimentare, in Dir. fall., 2005, I, 865 e ss.; M. FERRO, Art. 182bis, la nuova

ristrutturazione dei debiti, in Nuovo dir. soc., 2005, 49.

323

Cfr. P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 908, secondo i quali

si tratterebbe di un mezzo di potenziamento della rilevanza degli accordi stragiudiziali ai fini della

soluzione della crisi di impresa. Fra i principali esponenti della tesi secondo cui il legislatore, con

l'introduzione dell'art. 182bis, avrebbe inteso valorizzare l'autonomia privata e

“giurisdizionalizzare” i concordati stragiudiziali, che buona prova di sé avevano dato in passato, vi

è E. FRASCAROLI SANTI: cfr. ad esempio la monografia dal titolo Gli accordi di

ristrutturazione dei debiti, Cedam, Padova, 2009, passim. Del resto, anche la relazione governativa

al d. lgs. n. 169/2007 afferma che con la sostituzione dell'ultimo comma dell'art. 182ter “si è inteso

rimuovere uno dei principali ostacoli all'utilizzo degli accordi stragiudiziali”.

324

Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 735.

149

nulla osta a che l’imprenditore proceda alla stipula di un accordo separato, concluso

con la sola Amministrazione finanziaria, parallelo agli altri accordi remissori e/o

dilatori siglati con la restante maggioranza qualificata del ceto creditorio.

Data per assodata la natura negoziale della fattispecie de qua, non vi sarebbero

particolari ostacoli per l'inserimento di clausole contrattuali che puntino a rendere

l'accordo più aderente agli interessi delle parti: può trattarsi di clausole risolutive

espresse ex art. 1976 c.c. (volte a scongiurare il pericolo che il debitore possa

invocare una pretesa efficacia novativa dell'accordo transattivo per sottrarsi

definitivamente al pagamento dei crediti tributari, appellandosi all’avvenuta

estinzione delle originarie pretese)325, o clausole che prevedano la risoluzione della

transazione nell'ipotesi di mancata omologazione del più ampio accordo di

ristrutturazione in cui essa è inserita326.

Anche nel caso di transazione in sede di accordi di ristrutturazione, comunque,

la dottrina prevalente propende per disconoscerne il carattere propriamente

transattivo, mancando il presupposto delle reciproche concessioni e non essendo

necessario quello della res dubia327; viceversa, l'istituto sembrerebbe piuttosto

atteggiarsi come rinuncia unilaterale del Fisco ad una parte delle proprie pretese,

riemergendo anche in tale ipotesi i caratteri del pactum ut minus solvatur.

325

Si rammenti, tuttavia, che con il d.l. n. 78/2010 il legislatore ha ancorato la revoca (rectius, la

risoluzione) di diritto della transazione fiscale alla mancata esecuzione integrale, entro 90giorni

dalle scadenze previste, dei pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti previdenziali: stante

l’indubbia valenza imperativa della disposizione de qua, si dovrebbe escludere la validità di

clausole risolutive espresse che contemplino un termine inferiore.

326

L'apponibilità di una clausola risolutiva espressa è pacifica in dottrina: cfr. L. MAZZUOCCOLO,

Transazione fiscale, cit., 2260. Sul punto cfr. anche A. LA MALFA, La transazione fiscale ex art.

182ter legge fallim., dubbi sulla natura negoziale e possibilità di inserire clausole pattizie, cit., 72

e 73. Del resto l'utilizzo di clausole risolutive è ampiamente invalso nella prassi degli uffici

finanziari.

327

Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1453.

150

151

CAPITOLO III.

LA NOZIONE DI “CONSOLIDAMENTO DEL DEBITO FISCALE”

NELL'AMBITO DEL CONCORDATO PREVENTIVO

1. Introduzione della problematica.

Come già accennato in precedenza, fra le tante criticità che la formulazione

letterale dell'art. 182ter lascia tuttora insolute, nonostante i vari ritocchi cui la

disposizione è stata sottoposta nel corso del tempo, emerge in modo particolare la

problematica della “cristallizzazione del debito fiscale”, sotto il duplice versante del

“consolidamento” dell'esposizione debitoria dell'imprenditore nei confronti

dell'Erario e della “cessazione della materia del contendere” nelle liti pendenti aventi

ad oggetto i tributi interessati da una proposta di transazione fiscale. Trattasi di quelli

che la dottrina maggioritaria ama definire come effetti “tipici" dell'istituto de quo.

Il presente capitolo sarà dedicato alla disamina del primo profilo.

In primis, è stato oggetto di critiche lo stesso impiego del termine

“consolidamento” da parte del legislatore tributario per intendere la definitiva

quantificazione dei debiti fiscali ammessi a partecipare ad una procedura di

concordato preventivo: si tratterebbe, invero, di una nozione alquanto atecnica ed

imprecisa, tanto che la dottrina non ha mancato di rilevare che il concetto

rappresenterebbe, in questa accezione, una novità assoluta nel nostro panorama

legislativo328.

In secondo luogo, resta da chiarire quale sia l'ambito oggettivo entro il quale

detto effetto è destinato ad esplicarsi: in altri termini, ci si chiede se il

consolidamento, così come prevede la lettera del comma 2, riguardi i soli debiti

328

Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 837.

L'atecnicità dell'espressione è messa in luce anche da A. LA MALFA - F. MARENGO,

Transazione fiscale e previdenziale, cit., 199, nt. 62: gli Autori rilevano criticamente che in ambito

civilistico si allude al “consolidamento” dei debiti bancari con riferimento alla loro rinegoziazione

convenzionale (per ciò che riguarda le scadenze, il tasso di interesse e le garanzie); sempre in

ambito privatistico si parla atecnicamente di consolidamento delle ipoteche nell'ipotesi in cui siano

esenti da revocatoria fallimentare. Ancora, cosa del tutto diversa è l'istituto del bilancio

consolidato, per non parlare del consolidato fiscale di cui agli artt. 117 e ss. t.u.i.r. Ancora, L.

MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 685, definisce tale espressione “anodina”.

152

d’imposta che trovino la propria fonte nelle dichiarazioni che il contribuente è tenuto

a depositare contestualmente alla domanda di transazione, ivi comprese le

dichiarazioni integrative, nonché negli avvisi di irregolarità eventualmente notificati

a seguito della liquidazione delle medesime dichiarazioni, cui si aggiungono, per

espressa previsione di legge, gli importi contenuti in avvisi di accertamento non

ancora iscritti a ruolo o in ruoli già vistati ma non ancora consegnati al

concessionario della riscossione; oppure se, al di là della formulazione testuale della

norma, la cristallizzazione si estenda anche ai crediti che trovino la propria fonte in

atti non espressamente contemplati dall’art. 182ter, quali processi verbali di

constatazione, inviti al contraddittorio, atti impositivi diversi dagli avvisi di

accertamento in senso stretto (si pensi agli atti di contestazione ex art. 16 del d. lgs.

n. 472/1997, ovvero agli “avvisi di liquidazione e rettifica” in materia di imposta di

registro, ipotecarie e catastali, nonché alle comunicazioni contenenti gli esiti del

controllo formale delle dichiarazioni dei redditi ex art. 36ter del d.P.R. n. 600/1973).

Ancora, non è chiaro se la “certificazione” che l'Amministrazione è tenuta a

rilasciare debba comprendere solo i dati già noti al momento della presentazione

dell'istanza, intendendosi come tali i maggiori tributi (con relative sanzioni ed

interessi) contenuti in atti impositivi precedentemente notificati al contribuente, in

aggiunta ovviamente a quelli scaturenti dall'attività liquidatoria prevista dalla norma,

oppure debba riguardare anche nuova materia imponibile, contenuta atti emessi

soltanto a seguito della proposizione di un’istanza di transazione fiscale.

Strettamente connessa alla precedente questione è la tematica afferente alla

portata, solo “endo-concorsuale” o anche “sostanziale”, del consolidamento del

debito tributario. In altre parole, occorre chiarire se con quella locuzione il

legislatore abbia inteso alludere ad una quantificazione del debito d'imposta con

efficacia limitata alla sola procedura di concordato preventivo; o se, all'opposto,

detta quantificazione abbia risvolti anche sul piano tributario, nel senso di precludere

del tutto l'esercizio di ogni successiva attività accertativa, costringendo

conseguentemente l'Amministrazione ad anticipare i controlli di merito di propria

competenza nel ridotto lasso temporale previsto dall'art. 182ter. E, qualora si optasse

per questa seconda soluzione, è giocoforza interrogarsi in ordine ai presupposti in

presenza dei quali opererebbe l'asserito consolidamento “sostanziale”: occorrerebbe

153

chiarire se sia necessario, a tal fine, il consenso dell'Amministrazione finanziaria

(naturalmente manifestato con il voto positivo espresso in sede di adunanza dei

creditori, o nei venti giorni successivi ex art. 178 legge fall.), ovvero se possa

reputarsi sufficiente la sola omologazione della proposta di concordato da parte del

Tribunale, indipendentemente dall'assenso del Fisco.

Ancora, sempre in relazione al menzionato effetto di consolidamento, ci si

interroga sull'obbligatorietà della certificazione dei carichi tributari prescritta dal

comma 2 e sulle conseguenze del mancato rilascio, posto che nessuna sanzione è

stata prevista dal legislatore a presidio di quel paventato obbligo.

Infine, strettamente connessa alla problematica da ultimo citata è la questione

relativa alla perentorietà o meno del termine di trenta giorni contemplato dall'art.

182ter per il rilascio di quella certificazione: come si è avuto modo di illustrare nel

precedente capitolo, su tale aspetto non vi è ancora unanimità di vedute, nonostante

sembri prevalente in dottrina la tesi, avallata anche dalla giurisprudenza di

legittimità, che ritiene perentorio detto termine.

In questa sede, dunque, saranno esaminate nel dettaglio le diverse criticità che

tuttora circondano l'effetto di “consolidamento del debito fiscale” di cui al comma 2,

ed in particolare il profilo dell'eventuale preclusione di ogni successiva attività di

accertamento dell'Amministrazione finanziaria. A tal fine, saranno esaminate le

diverse soluzioni interpretative che sono state all’uopo prospettate da dottrina,

giurisprudenza e prassi amministrativa; si illustrerà poi una possibile, diversa chiave

interpretativa, che sembra essere meglio in grado di adattarsi al menzionato carattere

“ibrido” della transazione fiscale, in linea con i principi generali che governano vuoi

il diritto tributario, vuoi la disciplina delle procedure concorsuali.

Si possono comunque anticipare sin da ora le conclusioni che saranno

sviluppate meglio nel prosieguo: la lettura che si intende proporre è quella che

considera il consolidamento come quantificazione del debito tributario sì definitiva,

ma avente una valenza esclusivamente endo-procedimentale, o meglio endo-

concorsuale, in quanto finalizzata a determinare il complessivo ammontare dei

crediti tributari al solo fine di misurare il voto spettante all'Amministrazione

finanziaria in sede di adunanza, nonché il quantum cui applicare le percentuali di

154

soddisfazione proposte dall'imprenditore concordatario.

Pertanto si ritiene che il consolidamento debba essere circoscritto al solo

versante “concorsuale” della transazione fiscale, senza che esso operi anche sul

diverso piano tributario: in altri termini, la determinazione del carico fiscale esistente

alla data di presentazione della proposta non preclude l'esercizio dei normali poteri di

accertamento di cui l'Amministrazione finanziaria è, e resta, titolare. Va da sé,

tuttavia, che i medesimi poteri andranno esercitati in presenza dei presupposti e nel

rispetto degli ordinari termini di decadenza previsti dalla normativa tributaria, e non

nel ridotto lasso temporale di trenta giorni che l'art. 182ter accorda all’ufficio per il

rilascio della certificazione.

Ovviamente, qualora si accettasse questa premessa, si porrà poi il problema di

stabilire quale sia il trattamento da riservare ai maggiori crediti d'imposta derivanti

da avvisi di accertamento o altri atti impositivi emanati successivamente

all'omologazione del concordato preventivo: la risposta, anche in questo caso, non

potrà prescindere dal confronto con le regole generali che governano la procedura

concordataria, fra cui spicca in particolare la norma di cui all'art. 184 legge fall.

Si cercherà, poi, di trovare una soluzione soddisfacente anche per le altre

questioni cui in precedenza si è fatto cenno (trattamento da riservare agli atti

impositivi diversi da quelli espressamente contemplati dalla norma, obbligatorietà o

meno degli adempimenti che la norma pone a carico dell'ufficio e del concessionario,

nonché perentorietà del relativo termine), con la precisazione che si tratta,

comunque, di problematiche fra loro strettamente interconnesse.

2. La posizione dell'Agenzia delle Entrate.

Sulla portata del consolidamento la posizione ufficiale dell'Amministrazione

finanziaria è piuttosto restrittiva: la più volte menzionata circolare n. 40/E del 2008,

infatti, afferma a chiare lettere che l'intervenuta conclusione di una transazione

fiscale non preclude l'esercizio dei normali poteri di accertamento relativamente alle

annualità interessate dall'accordo, purché ne sussistano i relativi presupposti329.

329

Lo stesso principio è ribadito anche in una Guida elaborata dall’Ufficio Riscossione della

Direzione Regionale della Sicilia, dal titolo “Il Fisco a sostegno delle imprese in crisi”, in

www.sicilia.agenziaentrate.it/: a p. 15 dell'opuscolo si legge infatti che “resta salva la possibilità

155

In particolare, è utile analizzare nel dettaglio le istruzioni contenute nel

paragrafo 5.2 di tale documento di prassi, rubricato appunto “consolidamento del

debito fiscale”. In esso, innanzitutto, si invitano gli uffici, previa verifica dei requisiti

cui la legge subordina l'ammissibilità della proposta di transazione, a provvedere,

qualora ne ricorrano i presupposti, ai necessari adempimenti connessi con l'attività di

“controllo”, quali la liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e la notifica

delle relative comunicazioni di irregolarità, nonché la notifica degli avvisi di

accertamento, entro il termine di 30 giorni dalla presentazione della domanda di

transazione fiscale.

Quanto alla preliminare verifica di ammissibilità, la circolare prevede che

l’istanza dovrà essere corredata dal piano di concordato di cui all'art. 160 e dalla

documentazione di cui all'art. 161, oltre che da una copia delle dichiarazioni per le

quali non è pervenuto l'esito dei controlli automatici e delle dichiarazioni integrative

relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda. Ancora, il

medesimo documento di prassi contiene un minuzioso elenco degli elementi che la

proposta dovrà contenere330, sottolineando l'importanza che la medesima sia redatta

nel modo più analitico ed esauriente possibile, in analogia con le regole che

disciplinano la redazione di una proposta di concordato preventivo331. L'ufficio

pertanto, anche alla luce della documentazione allegata all’istanza di transazione,

sarà chiamato ad appurare la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1 dell’art.

per l'Amministrazione di esercitare attività accertatrice ulteriore relativa ai tributi oggetto di

transazione in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”.

330

In particolare: le indicazioni complete del contribuente, gli elementi identificativi della procedura

di concordato preventivo in corso, la completa ed esauriente ricostruzione della posizione fiscale

del contribuente, così come a lui nota e con indicazione di eventuali contenziosi pendenti,

l’illustrazione della proposta di transazione, con indicazione dei tempi, delle modalità e delle

garanzie prestate per il pagamento, l'indicazione del contenuto del piano concordatario, nonché

ogni elemento che il contribuente riterrà utile all'accoglimento della proposta, e che comunque

ponga l'ufficio in condizione di effettuare le relative valutazioni: cfr. pp. 31 e 32.

331

A parere dell'Agenzia, nonostante l'art. 182ter non disciplina la forma ed il contenuto della

domanda di transazione, intendendo il legislatore valorizzare al massimo l'autonomia delle parti

nella formulazione della medesima, la circostanza che l'istituto sia finalizzato alla conclusione di

un accordo per la ristrutturazione e la soddisfazione, anche parziale, del debito tributario

imporrebbe comunque una elevata minuzia e precisione nella predisposizione di tale domanda.

Sull’onere da parte del proponente di un’illustrazione analitica della proposta, al fine di renderla

meritevole di considerazione positiva e quindi ammissibile, si espresso recentemente G.

GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1123.

156

182ter: in particolare, sotto il profilo soggettivo, dovrà accertare il superamento delle

soglie dimensionali di cui all'art. 1 legge fall. e lo stato di crisi dell'imprenditore

proponente, mentre quanto all'oggetto della proposta occorrerà verificare la tipologia

dei crediti d’imposta interessati, la loro natura privilegiata o chirografaria e la

legittimità del tipo di trattamento ai medesimi riservato.

Occorre però rilevare che dette verifiche non richiedono un rigore estremo:

nell'ipotesi qui esaminata, in cui la transazione fiscale accede ad un concordato

preventivo, l'Amministrazione finanziaria, infatti, sarà sufficientemente garantita

dalla presenza dell'autorità giudiziaria. In particolare, il Tribunale è tenuto ad

esprimere una duplice valutazione332 sulla proposta di concordato e sull'annessa

domanda di transazione fiscale; l'intera procedura, poi, si svolge sotto il costante

controllo del giudice delegato. Ancora, ulteriori garanzie sono offerte dalle

incombenze devolute al commissario giudiziale: in particolare, saranno di estrema

importanza sia la verifica dell'elenco nominativo dei creditori e debitori ex art. 171,

dovendo il commissario appurare se siano stati inseriti anche i crediti vantati

dall'Erario, sia la relazione di cui all'art. 172, che l'ufficio sarà tenuto a valutare

accuratamente prima di esprimere il proprio voto sulla proposta (di transazione e

concordato insieme)333. Ben diverso, invece, sarà il caso della transazione proposta

nell'ambito delle trattative che precedono la stipula di un accordo di ristrutturazione

dei debiti, come si vedrà più avanti: basti accennare qui alla circostanza che, poiché

l'autorità giudiziaria interviene soltanto in un momento successivo, ad accordo già

concluso, l'Amministrazione sarà chiamata ad una valutazione più stringente in

merito ai presupposti di accesso all'istituto di cui all'art. 182bis, onde evitare che il

332

Al Tribunale, infatti, compete una valutazione preliminarmente di ammissibilità della proposta, che

secondo l’indirizzo giurisprudenziale oramai consolidato si traduce in un giudizio di legittimità

formale e sostanziale. Successivamente, in sede di omologazione, lo stesso Tribunale sarà

chiamato ad esprimere un giudizio che, in assenza di opposizioni, sarà anche qui di mera

legittimità, in quanto volto ad accertare la regolarità della procedura e l'esito della votazione; in

presenza di opposizioni, invece, l'autorità giudiziaria, assunti i mezzi istruttori all'uopo necessari, è

tenuta a formulare un giudizio esteso anche al merito della proposta, dovendo sindacarne la

maggiore convenienza rispetto alle altre alternative concretamente praticabili (trattasi del cram

down power di cui al comma 4 dell'art. 180). Sui poteri del Tribunale cfr. ex multis Trib. Roma, 18

settembre 2010, decr., in Dir. fall., 2011, II, 18 e ss.

333

Del resto, la stessa circolare invita gli uffici a tener conto della relazione di cui all'art. 172, sotto il

profilo della valutazione del merito della proposta di transazione e dell'eventualità di sollevare

contestazioni già in sede di adunanza: cfr. pp. 39 e 40.

157

rilevante dispendio di risorse, tempo ed energia su una proposta di accordo sia

vanificato dalla mancata omologazione del medesimo per difetto proprio dei

prescritti requisiti.

Una volta terminata la verifica preliminare dei presupposti di ammissibilità

della proposta di transazione, gli uffici dovranno procedere agli adempimenti

connessi con l'attività di “controllo” previsti dalla medesima circolare n. 40/E, da

compiersi nel termine, qualificato come non perentorio, di 30 giorni dalla

presentazione della domanda.

Sotto questo ulteriore profilo, il documento di prassi si limita a prevedere la

sola “liquidazione delle imposte derivanti dalle dichiarazioni” e la successiva

“notifica delle relative comunicazioni di irregolarità”, nonché la “notifica di avvisi

di accertamento”, da espletarsi prima della predisposizione e trasmissione della

certificazione attestante il complessivo debito tributario. Le istruzioni impartite dalla

circolare n. 40/E non specificano esattamente che cosa debba intendersi con

l'espressione “liquidazione”, ma è indubbio che essa si riferisca alle procedure di cui

agli art. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 in materia di imposte dirette e 54bis del d.P.R.

n. 633/1972 in materia di Iva334. Nel documento, poi, è contenuto un accenno al caso

in cui l'ufficio competente a valutare la proposta di transazione in ragione dell'ultimo

domicilio fiscale del debitore sia diverso da quello competente in base al domicilio

risultante alla data di presentazione della dichiarazione da liquidare: in tal caso, viene

sottolineata l'esigenza di un rapido coordinamento fra i due uffici interessati, per

garantire un più puntuale assolvimento delle rispettive incombenze (si intende,

rilascio della certificazione e votazione in adunanza, di spettanza del primo, e

liquidazione delle imposte con notifica del relativo esito di irregolarità, di

competenza del secondo).

Nulla viene precisato, invece, riguardo all'ulteriore procedura di controllo

formale delle dichiarazioni dei redditi di cui all'art. 36ter del d.P.R. n. 600/1973, per

cui non è chiaro se, a parere dell'Agenzia, entro il termine di 30 giorni l'ufficio

334

Che infatti sono rubricati rispettivamente “Liquidazione delle imposte, dei contributi, dei premi e

dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni” e “Liquidazione dell'imposta dovuta in base alle

dichiarazioni”. Occorre precisare che in sede di transazione fiscale i controlli di cui trattasi

vengono espletati con modalità manuali, e non in forma automatizzata come di regola avviene.

158

competente debba anche procedere alla verifica di tipo documentale ivi disciplinata.

Assodato ciò, occorre valutare quale sia la posizione dell'Amministrazione

finanziaria con riferimento all'attività di accertamento, o “controllo sostanziale”,

diversa da quella propriamente liquidatoria sin qui esaminata. In altri termini, si

tratta di verificare se la circolare imponga agli uffici anche l'obbligo di emanare e

notificare all'istante eventuali avvisi di accertamento relativi ai tributi ed alle

annualità di imposta interessate dalla proposta di transazione, previo esercizio dei

poteri istruttori di cui l'Erario è investito335; il tutto, ovviamente, nell'arco dei trenta

giorni previsti dall'art. 182ter, termine che, seppur espressamente qualificato come

non perentorio, andrebbe comunque rispettato per esigenze di celerità del

procedimento. Strettamente connesso a questo è il problema dell'efficacia preclusiva

del consolidamento del debito fiscale, ossia la possibilità di procedere ad ulteriore

attività accertativa anche a seguito dell'intervenuta conclusione di una transazione

fiscale.

Quanto al primo dei menzionati profili, la posizione dell’Agenzia della Entrate

non è del tutto chiara. Da un lato, le istruzioni impartite prevedono che

nell'identificazione del debito d’imposta gli uffici dovranno tener conto, tra l’altro,

degli avvisi di accertamento notificati, ovviamente per la parte non iscritta a ruolo:

tale precisazione potrebbe essere letta nel senso che l'ufficio competente, nel

predisporre la certificazione di cui all'art. 182ter, dovrà considerare i soli avvisi di

accertamento che siano stati già portati a conoscenza del debitore tramite la

procedura di notificazione, ancorché si tratti di atti non ancora definitivi. Ma allora

non sarebbe del tutto chiaro che cosa la stessa circolare abbia voluto intendere in un

precedente passaggio, quando, nel prescrivere all’ufficio i necessari adempimenti

connessi con l’attività di controllo, menzionava espressamente anche la “notifica

degli avvisi di accertamento”, come se fosse possibile procedere all’emanazione ed

alla notifica di eventuali avvisi anche in un momento successivo alla proposizione

dell’istanza di transazione.

Lo stesso documento, poi, prevede che gli uffici dovranno tener conto, a fini

335

Trattasi dei poteri di cui agli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972, come si

vedrà meglio nel prosieguo.

159

istruttori, di eventuali processi verbali di constatazione, redatti dai verificatori a

seguito dell’ultimazione delle operazioni di ispezione e verifica e comunicati al

contribuente, nonché di inviti al contraddittorio inviati al medesimo: non è

specificato, in quali termini l’ufficio debba tenerne conto. Si potrebbe azzardare una

possibile chiave di lettura delle citate istruzioni, ipotizzando che l'ufficio abbia

l’obbligo di emanare un nuovo accertamento qualora ne ravvisi i necessari

presupposti, sulla base dei rilievi (formali e sostanziali) contenuti in processi verbali

di constatazione già redatti336, e/o in inviti al contraddittorio già notificati all'istante ai

sensi degli artt. 5 e 11 del d. lgs. n. 218/1997.

In ogni caso, non è previsto espressamente alcun obbligo di attivare ex novo

una verifica fiscale al momento della ricezione di una proposta di transazione, né di

procedere all'invio di inviti al contraddittorio, né altrimenti di esercitare qualcuno

degli altri poteri istruttori di cui l'ufficio è investito: poteri, questi, che come si

desume chiaramente dal menzionato documento di prassi, potranno essere esercitati

in un secondo momento, anche in seguito all'intervenuta conclusione della

transazione fiscale, con il rispetto delle sole condizioni previste dalla normativa

tributaria.

Su quest'ultimo punto, che attiene alla seconda delle problematiche cui sopra si

accennava, le istruzioni, viceversa, sono piuttosto chiare, affermando che “la

disciplina normativa non dispone la preclusione di ulteriore attività di controllo da

parte dell'Amministrazione finanziaria in caso di transazione fiscale. Ciò comporta

che è sempre possibile per l'Amministrazione finanziaria, ove ne ricorrano le

condizioni, l'esercizio dei poteri di controllo, con la conseguente determinazione di

un debito tributario superiore rispetto a quello attestato nella certificazione

rilasciata al debitore o altrimenti individuato al termine della procedura di

transazione fiscale, che l'Amministrazione finanziaria potrà far valere nei confronti

dello stesso contribuente che ha ottenuto l'omologazione del concordato nonché

degli obbligati in via di regresso”.

Ne deriva che l'omologazione della proposta di concordato non potrà avere

336

Trattasi dei verbali predisposti da militari della Guardia di Finanza o da funzionari dell'Agenzia

delle Entrate a seguito di verifica fiscale.

160

l'effetto di inibire l'esercizio degli ordinari poteri di controllo, ovviamente nel

rispetto, lo si ribadisce, delle relative “condizioni”: trattasi dei presupposti

disciplinati dalle norme generali di diritto tributario, fra cui l’osservanza dei termini

di decadenza previsti per la notifica di un atto impositivo337, nonché la possibilità di

emanare, entro quei termini, un nuovo accertamento, modificativo e/o integrativo di

un precedente avviso, nell'ipotesi di sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi da

parte dell'ufficio.

La tesi sostenuta nella circolare n. 40/E, secondo cui l'omologazione del

concordato preventivo o dell'accordo ex art. 182bis non sortirebbe alcun effetto

inibitorio nei confronti degli poteri di accertamento devoluti all'Amministrazione

finanziaria, vale sia nel caso in cui quest'ultima abbia rigettato la proposta di

transazione, sia nell'ipotesi inversa. Sotto questo secondo profilo, nel documento

viene prospettato l'esempio di una proposta di transazione avente ad oggetto il debito

d'imposta relativo ad un periodo per il quale non è stata ancora presentata la relativa

dichiarazione, in quanto non sono scaduti i termini all’uopo previsti: in tal caso,

“l'accettazione della proposta e la sua successiva omologazione, sia in sede di

concordato che di accordo di ristrutturazione, non preclude all'ufficio l'esercizio dei

poteri di controllo della relativa dichiarazione, presentata successivamente alla

omologa della transazione fiscale”.

Pertanto, dalla lettura del citato documento di prassi deriverebbe che l'ufficio,

nei trenta giorni successivi alla presentazione di una proposta di transazione fiscale,

debba innanzitutto procedere alla liquidazione (manuale) delle dichiarazioni

presentate dal contribuente (ivi comprese le dichiarazioni integrative), procedendo

eventualmente alla notificazione della relativa comunicazione di irregolarità qualora

dai controlli effettuati emerga un debito d'imposta superiore rispetto a quello

dichiarato, o gli importi indicati non risultino versati in tutto o in parte. In secondo

luogo, dovrà verificare se siano stati già emessi e notificati avvisi di accertamento

non ancora iscritti a ruolo, al fine di ricomprenderli nella certificazione. Ancora,

occorrerà verificare la presenza a sistema di processi verbali di constatazione e/o

inviti al contraddittorio già consegnati e/o notificati al debitore, e, nell’ipotesi in cui

337

Tali termini di decadenza, diversi a seconda della tipologia di imposta considerata, saranno meglio

illustrati nel prosieguo.

161

dai medesimi emergano violazioni di carattere formale e/o sostanziale, procedere

all'emissione ed alla tempestiva notificazione del relativo avviso di accertamento o

atto di contestazione ex art. 16 del d. lgs. n. 472/1997. Viceversa, l'ufficio non è

tenuto ad avviare nuove verifiche fiscali, inviare questionari, richiedere chiarimenti,

attivare indagini bancarie, o porre in essere altre attività istruttorie comunque volte

ad appurare l'esistenza di infrazioni alla normativa tributaria, e destinate a sfociare in

un atto impositivo da emanarsi necessariamente entro i trenta giorni dalla

presentazione dell'istanza: tali controlli sostanziali potranno sempre essere esercitati

in un secondo momento, e l'eventuale emersione di violazioni, precedentemente

sconosciute all'ufficio, legittimerà l'emanazione di nuovi avvisi di accertamento a

carico dell'istante, indipendentemente dall'approvazione della proposta di transazione

e dalla sua successiva omologazione.

In altri termini, sembrerebbe scorgersi fra le righe del documento di prassi

l'onere di considerare esclusivamente gli elementi istruttori già a disposizione

dell'ufficio alla data di presentazione di un'istanza di transazione: soltanto nel caso in

cui l'ufficio già disponga di tali elementi, nel senso di essere a conoscenza di

infrazioni formali o sostanziali rilevate in occasione di precedenti verifiche fiscali, o

formalizzate in inviti al contraddittorio già emessi, sarà tenuto a trasfondere detti

rilievi in atti impositivi da emanare e notificare nei trenta giorni dalla ricezione della

proposta. Resta inteso che l'emersione di nuovi elementi prima sconosciuti

all'Amministrazione, sopravvenuta all'omologazione del concordato, potrà

legittimare l'emanazione di un nuovo avviso, integrativo o modificativo del

precedente, ai sensi di quanto previsto dall'art. 43, comma 4 del d.P.R. n. 600/1973.

Ancora, la circolare ribadisce che l'ufficio dovrà tener conto di ruoli già vistati

ma non ancora consegnati al concessionario della riscossione, nonché dei ruoli al

medesimo consegnati nei trenta giorni successivi alla data di presentazione

dell'istanza, con esclusione, invece, dei ruoli già consegnati a quella data: anche gli

importi risultanti da tali ruoli devono essere ricompresi nella certificazione da

rilasciare al debitore.

All'esito delle verifiche di cui sopra, l'ufficio procederà a trasmettere la

“certificazione attestante il complessivo debito tributario”: la circolare non si

162

sofferma nel dettaglio sul contenuto della medesima, limitandosi solo a sottolinearne

la particolare importanza nel caso in cui il debito ricostruito dall'ufficio sia superiore

a quello indicato nella proposta di transazione, e la necessità di ricomprendervi anche

il debito Iva, di cui però esclude, almeno momentaneamente, la transigibilità338.

Senonché, utili indicazioni sul punto potrebbero trarsi dalle precisazioni

contenute in un precedente passaggio della medesima circolare, dove, con

riferimento alle imposte che possono formare oggetto di una transazione fiscale,

viene chiarito, in via solo esemplificativa, che la proposta può riguardare imposte

emergenti da dichiarazioni già presentate e non ancora liquidate, da dichiarazioni

integrative dirette a rettificare o integrare gli importi originariamente dichiarati (le

cosiddette “integrative a sfavore”), oppure ancora imposte derivanti dalla

liquidazione o dal controllo formale delle dichiarazioni dei redditi di cui

rispettivamente agli artt. 36bis e 36ter del d.P.R. n. 600/1973, ovvero il debito

d’imposta quantificato in atti di accertamento, avvisi di liquidazione, atti di recupero,

atti di contestazione e/o irrogazione di sanzioni, ancorché non definitivi, per la parte

non iscritta a ruolo, ed infine i crediti tributari iscritti a ruolo dagli uffici

dell’Agenzia.

Pertanto, se ne ricava che tutti i menzionati tributi debbano essere ricompresi

nella certificazione di cui al comma 2.

Inoltre, posto che la circolare prescrive che l’istanza di transazione debba

contenere, tra l’altro, l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti, anche i debiti

d’imposta sub iudice dovrebbero essere certificati.

3. Le opinioni espresse in dottrina.

In dottrina la problematica del “consolidamento” non ha trovato una soluzione

univoca, essendosi formato sul punto un ventaglio di opinione disparate339.

338

Si rammenti che il documento di prassi è datato 18 aprile 2008, epoca in cui era ancora dubbia la

possibilità di transigere il debito Iva: per questo motivo la circolare invita gli uffici ad escludere

tale imposta dalle transazioni fiscali (in attesa che si consolidi l'orientamento giurisprudenziale in

merito alla riconducibilità dell'Iva al novero delle “risorse proprie dell'Unione Europea”), pur

disponendo che la certificazione del debito tributario dovrà ricomprendere anche quello relativo

all'Iva.

339

Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 837.

163

Una certa corrente dottrinale propone un'interpretazione della locuzione

piuttosto rigorosa e sicuramente penalizzante per l'Erario, ritenendo che

l'Amministrazione finanziaria, nei trenta giorni previsti dall’art. 182ter, sia obbligata

ad effettuare a carico del proponente, oltre ai controlli di carattere formale ivi

espressamente contemplati (consistenti nell'attività di liquidazione delle

dichiarazioni e notificazione dei relativi avvisi di irregolarità), anche quelli

sostanziali o di merito, onde non vedersi preclusa questa possibilità in un momento

successivo all’omologazione del concordato, anche a prescindere dall'eventuale

diniego espresso sulla proposta di transazione.

Altri Autori propendono invece per una nozione di “consolidamento del debito

fiscale” meno rigida, ritenendo che l'effetto preclusivo di cui trattasi si produca solo

nel caso in cui l'Amministrazione finanziaria abbia manifestato il proprio assenso

sulla proposta di transazione, tramite il voto favorevole espresso in sede di adunanza

dei creditori. Il voto negativo dell’ufficio, di contro, non comporterebbe alcun

congelamento degli ordinari poteri accertativi, che potrebbero pur sempre essere

esercitati in un secondo momento, nel rispetto dei soli termini decadenziali previsti

dalla normativa tributaria.

Una tesi estrema, poi, ritiene che all'Amministrazione finanziaria sia inibito del

tutto l'esercizio di ogni ulteriore attività accertativa per effetto della sola

certificazione rilasciata ai sensi del comma 2 dell'art. 182ter, indipendentemente non

soltanto dall'accettazione o meno della proposta di transazione, bensì anche

dall'omologazione del concordato.

Altri, all'opposto, escludono decisamente che la conclusione di una transazione

fiscale possa precludere in via definitiva il successivo ed eventuale esercizio degli

ordinari poteri accertativi: l'Amministrazione finanziaria, infatti, potrà in ogni caso

procedere all’esercizio degli stessi, entro i normali termini e sussistendo le

condizione previste dalla normativa tributaria. All'interno di questa corrente

dottrinale, poi, vi è chi propende per limitare il consolidamento, ed il connesso

effetto preclusivo, alla sola attività liquidatoria in senso stretto, consistente

nell’effettuazione di controlli automatizzati sulla dichiarazione finalizzati ad

appurare l’esistenza di errori di calcolo o omissioni di versamenti: ad essa infatti

alluderebbe il concetto di “liquidazione” impiegato dal legislatore, laddove sarebbe

164

sempre possibile il successivo esercizio dei controlli sostanziali e l'emissione dei

conseguenti atti di accertamento.

Sarà opportuno, dunque, procedere ad una più dettagliata ricognizione delle

diverse tesi prospettate in dottrina e delle svariate argomentazioni (alcune di sapore

squisitamente letterale, altre di carattere logico - sistematico) addotte a supporto

delle medesime, prima di tentare l'individuazione di una soluzione interpretativa che

appaia coerente, giova ribadirlo, con i principi generali che governano sia il diritto

tributario sia la disciplina delle procedure concorsuali.

Soccorre tuttavia una precisazione. Si parlerà di consolidamento in senso

“sostanziale” con riferimento a quelle soluzioni interpretative che optano per la

preclusione di ogni ulteriore attività di accertamento, facendola derivare ora dalla

mera omologazione del concordato, ora dall'assenso dell'Amministrazione

finanziaria, ora dalla certificazione del complessivo carico tributario rilasciata

dall’ufficio. In tale prospettiva, la “valenza sostanziale” del consolidamento va intesa

come estensione degli effetti della transazione fiscale al distinto versante tributario:

essa dunque allude all’incidenza che l’accordo transattivo avrebbe sulla posizione

fiscale del debitore, al di fuori del ristretto ambito concorsuale.

All'opposto, in relazione a quelle teorie che escludono ogni effetto inibitorio

sugli ordinari poteri accertativi, si parlerà di consolidamento “formale” o “endo-

concorsuale”, appunto ad intendere che la definizione delle pendenze fiscali rileva

soltanto nell'ambito ed agli effetti propri della procedura concorsuale in cui ha luogo

la transazione con il Fisco, senza interessare il distinto versante propriamente

tributario dell’istituto.

3.1. La tesi dell'effetto preclusivo del consolidamento conseguente

all'omologazione del concordato preventivo.

Un’autorevole e risalente corrente dottrinale340 ritiene che la sola omologazione

340

Cfr. soprattutto L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1084; L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e

concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, cit., 321 e 322; P.

PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 661 e 662, il quale tuttavia precisa che l'effetto

preclusivo di cui trattasi è condizionato alla definitività del decreto di omologazione, benché il

concordato possa essere successivamente annullato o risolto (inoltre, l'A. aggiunge che tale effetto

si produrrà soltanto per i tributi costituenti oggetto dell'accordo transattivo, che si auspica siano

tutti quelli per i quali vi è anche contestazione, con l'effetto di estinguere i contenziosi). Cfr. anche,

165

del concordato ai sensi dell'art. 181 legge fall. avrebbe l'effetto di inibire del tutto il

successivo esercizio dei normali poteri accertativi relativamente ai tributi ed alle

annualità d'imposta oggetto dell'accordo transattivo, anche qualora

l'Amministrazione finanziaria non sia ancora decaduta dal relativo potere.

Tale conclusione non deriverebbe dal tenore letterale dell'art. 182ter, posto che

dal medesimo non sembrerebbero rinvenirsi indicazioni univoche in ordine alla

sussistenza di una vera e propria preclusione in capo all'Amministrazione finanziaria

relativamente all'emanazione di ulteriori provvedimenti impositivi; a supporto della

medesima tesi, piuttosto, sono state ravvisate motivazioni di “ragionevolezza”.

Si è sostenuto, infatti, che qualora gli uffici potessero “mettere in discussione” i

risultati concordati con la controparte privata, mercé una successiva attività

accertativa, l'accordo transattivo perderebbe significativamente di efficacia,

divenendo poco appetibile: così interpretata, infatti, la norma di cui all’art. 182ter

rischierebbe di non trovare applicazione alcuna nella pratica, in quanto il debitore

non trarrebbe alcun effettivo giovamento dalla transazione, mentre tutti gli altri

creditori sarebbero esposti all'alea della effettiva realizzazione del piano di

concordato, compromessa proprio della sopravvenienza di nuovi o maggiori tributi

conseguenti ad atti impositivi emanati successivamente alla chiusura della procedura

concorsuale. L'interpretazione più ragionevole della nozione di “consolidamento”, o

meglio l'unica che consentirebbe di evitare il depotenziamento della transazione,

sarebbe appunto quella che esclude del tutto la possibilità di emanare,

successivamente all'intervenuta omologazione del concordato, atti di imposizione a

carico dell'istante, con la conseguente preclusione di ulteriori controlli di merito sui

tributi oggetto della proposta di cui all’art. 182ter.

La bontà di questa soluzione interpretativa sarebbe confermata anche dalla

ratio che sottende l’istituto, ossia l’intento di consentire all'impresa in crisi di tornare

in bonis e “ripartire da zero”, anche per il tramite di una ristrutturazione definitiva e

sia pure in senso fortemente critico, S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato

preventivo, cit., 5. Più di recente, a favore della tesi de qua si sono pronunciati M. POLLIO, La

transazione fiscale, cit., 1850 e 1851, A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, Ipsoa,

Milano, 2010, 305, E. TERZANI, La transazione fiscale. Effetti tipici dell'istituto e classi

omogenee di creditori concorsuali, in Fisco, n. 16/2011, fascicolo 1, 2527, nonché G. GAFFURI,

Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1122.

166

non più modificabile dei propri carichi fiscali: nella transazione, dunque, tale dottrina

ravvisa un proficuo strumento capace di imprimere un'accelerazione all'intero tessuto

economico – produttivo italiano, puntando alla valorizzazione dei complessi

aziendali ancora in grado di produrre valore tramite la definitiva sistemazione delle

pendenze verso l'Erario, le quali rappresentano nella maggior parte dei casi buona

parte del passivo d'impresa341. La sopravvivenza dei poteri accertativi, pertanto,

rischierebbe di vanificare la portata innovativa della disposizione, annullando gli

encomiabili sforzi che il legislatore ha fatto a sostegno delle imprese in crisi.

Ancora, al di là della motivazione attinente alla stabilità del piano

concordatario, si è detto che non avrebbe molto senso imporre all'Amministrazione

di quantificare la pretesa, sulla quale verrebbe a coagularsi il consenso del debitore e

sostanzialmente quello degli altri creditori, se poi l'importo fornito dall'ufficio

dovesse essere ritenuto solo indicativo e suscettibile di ulteriori integrazioni, magari

tali da rendere inattuabile il concordato: se la ratio dell'istituto è non solo quella di

ottenere un incasso più rapido e certo, ma soprattutto quella di favorire il recupero

dell'impresa in difficoltà sgombrando l'orizzonte dal rischio fiscale, sarebbe

inevitabile interpretare la disposizione nel senso di imporre all’ufficio la rinuncia ad

avvalersi compiutamente degli strumenti e dei tempi ordinariamente riconosciutigli

dalla legge, accettando di quantificare il credito per le annualità ancora non definite

in modo necessariamente sommario342. E ciò avverrebbe anche nell'ipotesi in cui

l'Amministrazione ritenga la proposta non accettabile, posto che il tenore letterale

della norma non sembra operare distinzioni. Tale soluzione, poi, sarebbe tutt'altro

che irrazionale, in quanto finalizzata anche a sollecitare la collaborazione del

creditore pubblico, non potendosi escludere che il proponente, alla luce della

quantificazione prodotta dal Fisco, modifichi in un secondo momento la propria

proposta in senso migliorativo per la controparte.

Ancora, elementi ulteriori (che potremmo definire “di sistema”)

avvalorerebbero tale lettura: fra di essi in particolare vi sarebbe l'effetto processuale

estintivo di cui al comma 5 della citata disposizione, il quale andrebbe riferito non

341

Cfr. P. PANNELLA, L’incognita transazione fiscale, cit., 662.

342

Cfr. V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 270 e 271.

167

solo alle controversie già pendenti ma anche a quelle potenziali (e che del resto,

come si vedrà meglio oltre, sembrerebbe discendere anch’esso dalla sola

omologazione del concordato), nonché il principio del ne bis in idem, il quale

imporrebbe che, una volta intervenuta la definizione del complessivo carico fiscale

all'esito della procedura di concordato, non sarebbe ammissibile una “riapertura” del

contenzioso limitata ai soli crediti tributari, salve le sole possibilità di reclamo,

risoluzione o annullamento del concordato con le modalità previste dalla legge

fallimentare.

Ne conseguirebbe anche che l'attività accertativa, essendo successivamente

inibita, dovrebbe essere portata a compimento nei trenta giorni successivi alla

presentazione dell'istanza di transazione: in capo all'Amministrazione finanziaria,

pertanto, si configurerebbe un vero e proprio obbligo di espletare i controlli

sostanziali in quel ridotto lasso temporale343. La medesima dottrina, tuttavia, non

manca di rilevare criticamente l'eccessiva brevità di detto termine, anche in

considerazione del fatto che l'Amministrazione potrebbe essere tenuta a svolgere

attività istruttorie particolarmente complesse, e che i dati comunicati dal contribuente

potrebbero risultare errati o incompleti: ciononostante, viene esclusa decisamente la

natura meramente ordinatoria del termine di cui all’art. 182ter, a ciò ostando sia la

terminologia impiegata dal legislatore344, sia le esigenze di celerità e snellezza che

connotano la procedura di concordato. Né tale rilievo critico, pur fondato, potrebbe

scalfire la ragionevolezza della soluzione proposta.

Un ulteriore e più recente filone interpretativo345 fonda l'effetto preclusivo de

343

La tesi della sussistenza di un vero e proprio obbligo in tal senso è sostenuta in particolare da L.

TOSI, La transazione fiscale, cit., 1082: “è pacifico che tale attività – ossia quella che

l'Amministrazione finanziaria è tenuta a svolgere nei trenta giorni dalla presentazione della

domanda di transazione, n.d.r. - avrà ad oggetto i controlli che vengono abitualmente effettuati

mediante procedure automatizzate, come confermato dalla circostanza che il contribuente è tenuto

ad allegare alla propria proposta di transazione solamente le dichiarazioni per le quali non è

pervenuto l'esito di detti controlli. Più dubbio, invece, è che l'Amministrazione finanziaria sia

obbligata ad effettuare [...] controlli sostanziali a carico del contribuente, preclusivi di successive

attività accertative. A tale interrogativo pare che, se non altro sulla base di criteri di

ragionevolezza, si dovrebbe dare risposta affermativa”.

344

Secondo cui “l'ufficio deve “trasmettere la certificazione “non oltre trenta giorni”.

345

Cfr. S. LA ROCCA, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, in Boll. trib., n. 3/2011, 190.

168

quo su considerazioni di carattere pratico-operativo: pur condividendo la posizione

cautelativa espressa dall'Agenzia delle Entrate nella citata circolare n. 40/E, con

riferimento soprattutto alle ipotesi di successiva emersione di palesi e gravi

violazioni della normativa tributaria (si pensi alla scoperta di operazioni fittizie o

fraudolente, tali da aver consentito l'occultamento di ingente materia imponibile o

l'evasione di cospicui redditi), sono stati avanzati dubbi in merito alla concreta

possibilità di esercitare i poteri di verifica ed accertamento a seguito non tanto

dell'approvazione di una proposta di transazione, ma anche della sola omologazione

del concordato346. Secondo questa opinione la potestà accertativa, anche se

astrattamente sarebbe in grado di sopravvivere alla chiusura dell'iter di concordato,

in concreto dovrebbe cedere il passo alle ulteriori esigenze poste dall'istituto di cui

all'art. 182ter, che potrebbe comportare la rinuncia all'incasso delle imposte dovute

nei termini di legge o addirittura la falcidia parziale delle medesime: trattasi di

conseguenze rilevanti, che però sarebbero in linea con l'estinzione di ogni residuo

potere impositivo.

3.2. La tesi dell'effetto preclusivo conseguente al consenso prestato

dall'Amministrazione finanziaria sulla proposta di transazione fiscale.

Altra corrente dottrinale ritiene che l'effetto di consolidamento in termini

sostanziali si produca solo nell'ipotesi in cui l'Agenzia abbia espresso voto

favorevole in sede di adunanza, con conseguente accettazione della proposta di

transazione (e della domanda di concordato preventivo allo stesso tempo): in caso di

voto negativo, invece, non si verificherebbe alcuna cristallizzazione del debito

tributario ed il Fisco conserverebbe i suoi normali poteri accertativi347.

346

Secondo S. LA ROCCA, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, cit., 190, infatti, i

rilevati dubbi in ordine alla concreta possibilità di un successivo esercizio dei poteri di

accertamento si porrebbero, oltre che con riferimento all'ipotesi di accettazione della proposta

transattiva, anche “nel caso di omologazione da parte del Tribunale fallimentare”, il che induce a

ritenere che secondo l'A. il menzionato effetto preclusivo si verificherebbe anche nel caso di

mancata approvazione da parte dell'Erario.

347

Cfr. G. FAUCEGLIA, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, cit., 496; A.

PENTA, Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei creditori e carattere autonomo o

dipendente della transazione fiscale, cit., 242; E. STASI, La transazione fiscale, cit., 739 e 740;

ID., Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1184; L. TROMBELLA, La transazione

169

Tale corrente dottrinale muove dall'assunto secondo cui la funzione precipua

da attribuirsi all'istituto di cui all'art. 182ter sarebbe condensata nei due effetti,

definiti appunto “tipici”, di consolidamento del debito erariale e cessazione della

materia del contendere, non già nella sola possibilità di falcidiare le pretese creditorie

vantate dal Fisco: alle medesime, infatti, potrà essere ugualmente destinato un

trattamento remissorio e/o dilatorio anche senza un’istanza di transazione fiscale,

essendo all'uopo sufficiente quanto previsto dall'art. 160. Inoltre, il carattere

vincolante del piano concordatario omologato, stante il principio generale di cui

all’art. 184 e l’effetto esdebitatorio ivi contemplato, si imporrebbe anche

all'Amministrazione finanziaria, nonostante il suo eventuale dissenso. Le

disposizioni di cui ai menzionati artt. 160 e 184, infatti, dettano regole generali,

informate al principio della par condicio creditorum, e pertanto sono pienamente

applicabili ad ogni credito ammesso a partecipare ad una procedura di concordato,

ivi compresi i crediti tributari. Per conservare dunque all’art. 182ter una qualche

utilità, evitando che la medesima norma si riduca ad una pleonatistica esplicitazione

di principi già vigenti, l'unica interpretazione possibile sarebbe quella che ne ravvisa

la ratio nella definitiva ed incontrovertibile quantificazione del debito tributario, sul

duplice versante sostanziale (preclusione di ogni ulteriore controllo di merito del

Fisco) e processuale (estinzione delle liti in corso): la conclusione di una transazione

fiscale, dunque, produrrebbe effetti “diversi ed ulteriori” rispetto a quelli remissori

e/o dilatori sulle preesistenti obbligazioni, ivi comprese quelle tributarie. E tali

ulteriori effetti non potrebbero prescindere dal consenso dell’Amministrazione.

Nemmeno si potrebbe ritenere, riduttivamente, che la funzione dell'art. 182ter

sia solo quella di consentire la votazione dell'ufficio e del concessionario. Se

l'intenzione del legislatore fosse stata solo quella di disciplinare l'espressione del

voto da parte dell'Amministrazione finanziaria, senza che ad esso sia attribuito alcun

effetto ulteriore rispetto al voto espresso da ogni altro creditore, non vi sarebbe stato

il bisogno di regolare in termini così minuziosi l'attività ricognitiva della

complessiva posizione debitoria del proponente nei confronti dell'Erario: un simile

fiscale: dalle incertezze interpretative alle interpretazioni azzardate, cit., 279 e 280; G.

ANDREANI, L'Iva e la transazione fiscale, cit.,791 e ss; D. PISELLI,Concordato e transazione

fiscale, cit., 8.

170

risultato, infatti, si sarebbe potuto ottenere altrimenti, senza necessità di introdurre

una norma ad hoc (ad esempio, integrando il precetto di cui all'art. 90 del d.P.R. n.

602/1973348, ovvero intervenendo in via amministrativa tramite una fonte di

normazione secondaria o una circolare).

A ben guardare anche tale chiave di lettura, al pari di quella esaminata nel

paragrafo precedente, poggia su considerazioni che potremmo definire di

ragionevolezza, sia pure in senso parzialmente dissimile. Se la corrente dottrinale

prima esaminata, infatti, considera la ragionevolezza in termini di appetibilità e

convenienza dell'istituto, ossia rispondenza all'effettivo interesse del debitore (che

non avrebbe alcun motivo per attivare una transazione qualora non potesse

conseguire alcuna definitiva cristallizzazione della propria esposizione verso l'Erario,

rimanendo soggetto ad eventuali ed ulteriori controlli di merito), l'opinione

interpretativa qui esaminata sembrerebbe intendere la ragionevolezza in chiave di

utilità e non superfluità dell'art. 182ter (posto che la citata disposizione sarebbe

perfettamente inutile se la sua funzione fosse limitata a consentire la falcidia dei

crediti tributari anche contro la volontà dell'Amministrazione, essendo all'uopo

sufficienti, come visto, le norme che disciplinano il contenuto della domanda di

concordato preventivo ex art. 160 e l’obbligatorietà del medesimo ex art. 184).

Anche le altre argomentazioni addotte a supporto della teoria che àncora il

consolidamento sostanziale all'assenso dell'Amministrazione non sono molto

dissimili da quelle in precedenza esaminate a proposito della tesi che riconosce

all'omologazione del concordato valenza preclusiva rispetto all'ulteriore attività di

accertamento. Così, si è ritenuto che l'espressione “transazione” che campeggia nella

rubrica dell'art. 182ter sarebbe un chiaro indice della volontà legislativa di attribuire

all'istituto il significato di una definitiva chiusura delle partite debitorie nei confronti

del Fisco, onde consentire all'impresa di uscire dalla crisi e tornare in bonis, a meno

di non voler ipotizzare che il legislatore sia stato tanto distratto da scrivere una cosa

348

Tale disposizione regola le modalità di riscossione coattiva dei tributi iscritti a ruolo nell'ipotesi di

ammissione del debitore al concordato preventivo (e all'abrogata procedura di amministrazione

controllata), stabilendo che “il concessionario compie, sulla base del ruolo, ogni attività

necessaria ai fini dell'inserimento del credito da esso portato nell'elenco dei crediti della

procedura”.

171

diversa da quella che invece realmente pensava e voleva349: questa motivazione si

rifà direttamente alla ratio dell'istituto.

Ancora, anche secondo la teoria qui esaminata la cristallizzazione definitiva

dell'esposizione debitoria nei confronti dell'Erario sarebbe avvalorata, sotto il profilo

sistematico, dalla previsione di cui al comma 5 dell'art. 182ter, che deroga alla regola

generale della prosecuzione, anche in seguito all'omologazione del concordato, degli

ordinari giudizi di cognizione aventi ad oggetto l'esistenza e l'ammontare dei crediti

contestati ex art. 176, comma 1. A ciò andrebbe anche aggiunta la statuizione

contenuta nell'art. 4 del D.M. 4 agosto 2009 in tema di transazione dei crediti

previdenziali e assistenziali: tale disposizione, nel richiedere all'impresa

concordataria il riconoscimento formale ed incondizionato del credito per contributi

e premi, nonché la rinuncia a tutte le eccezioni che possono influire sull'esistenza e

sull'azionabilità dello stesso, sembra muovere dall'implicito presupposto che un

corrispondente vincolo sinallagmatico debba parimenti gravare anche sull'ente

creditore350.

Viene sottolinea anche la bontà di questa possibile lettura sotto il profilo della

stabilità e realizzabilità dell'intero piano concordatario: la possibilità di transigere

controversie non più conciliabili351, unitamente al blocco degli accertamenti futuri,

costituirebbero condizioni stabilizzanti del concordato preventivo, evitando future

lievitazioni del passivo concordatario da soddisfare, nell'interesse sia del debitore sia

degli altri creditori, i quali non sarebbero costretti a subire la successiva limitazione

delle risorse originariamente destinate alla soddisfazione delle loro pretese.

Il congelamento dei poteri accertativi dell'Erario e l'estinzione delle liti

tributarie costituirebbero dunque il “cuore” dell'istituto, rappresentandone i due

aspetti maggiormente attrattivi, posto che altrimenti la disposizione di cui all'art.

182ter risulterebbe “spuria, contraddittoria e affetta da dubbi di

349

Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 1209.

350

Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 1185 e 1209.

351

Come si vedrà meglio oltre, infatti, la transazione determina la cessazione delle tutte le liti

attualmente in corso, ivi comprese quelle pendenti in secondo grado di giudizio o in sede di

legittimità, le quali non potrebbero formare più oggetto di una proposta di conciliazione giudiziale

ex art. 48, comma 2 del d. lgs. n. 546/1992.

172

incostituzionalità”352.

Una volta rilevato che l'assenso dell'ufficio comporta la definitiva

consumazione dei normali poteri accertativi, anche tale dottrina ravviserebbe in capo

all'Amministrazione finanziaria e agli altri enti interessati un vero e proprio obbligo

di svolgere l'attività istruttoria prevista dalla legge, non limitata alla mera

liquidazione delle dichiarazioni ma comprensiva anche dei controlli di merito, da

concludere nell'arco dei trenta giorni di cui all'art. 182ter353. Il problema della

eccessiva brevità di detto lasso temporale, soprattutto in considerazione dei tempi

piuttosto lunghi che ordinariamente sono necessari per l'espletamento delle verifiche

fiscali di tipo sostanziale, sarebbe agevolmente superabile in un duplice modo: da un

lato, si potrebbe ritenere che tale termine sia meramente ordinatorio354, mentre

dall'altro lato si potrebbe ovviare a tale inconveniente con una confacente

organizzazione interna degli uffici deputati allo svolgimento di tali attività istruttorie,

adottando anche adeguate metodologie di controllo a campione sulle più significative

poste di bilancio355.

Occorre rilevare, ancora, che tale dottrina, proprio in considerazione dei

complessivi effetti “tipici ed ulteriori” che vengono riconnessi all'intervenuta

conclusione di una transazione fiscale, si preoccupa di accordare alla parte privata un

effettivo “margine di manovra”. In altri termini, si propende per la mera facoltatività

352

Cfr. M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1580: l'A. sottolinea appunto che le due opportunità

apparentemente accessorie previste dall'art. 182ter costituiscono, in realtà, il nucleo centrale della

transazione fiscale, consentendo la chiusura di ogni vertenza esistente o potenziale.

353

Tuttavia D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 15, ritiene che l'attività di verifica che

l'Amministrazione è tenuta a svolgere nel brevissimo termine di cui al comma 2 sia circoscritta ai

soli controlli effettuabili mediante procedure automatizzate, senza che esista l'obbligo di attivare

controlli sostanziali a carico del contribuente.

354

Cfr. E STASI, La transazione fiscale, cit, 738 e 739, il quale ritiene che la perentorietà del termine

di trenta giorni sembrerebbe “in contrasto con la ratio dell'istituto, che è chiaramente quella di

favorire la composizione della crisi”.

355

Cfr. sempre E STASI, La transazione fiscale, cit., 1210. L'esigenza di garantire una più efficace

trattazione delle istanze di transazione da parte degli uffici dell'Agenzia delle entrate è sottolineata

anche dalla circolare n. 20/E del 16 aprile 2010, in cui viene caldeggiato l'affidamento delle

medesime a personale con competenze professionali idonee a garantire che l'istituto trovi concreta

attuazione.

173

della transazione, sicché l'imprenditore in crisi non avrebbe alcun obbligo di

presentare la relativa proposta nel caso in cui la procedura di concordato sia destinata

ad incidere anche su crediti tributari.

L’istanza di cui all’art. 182ter, infatti, può essere presentata solo ove il debitore

intenda fruire di quegli effetti tipici. Tale assunto muove da una considerazione

dell'istituto in termini di costi/benefici: se la transazione arreca all'imprenditore

indubbi vantaggi, rappresentati dalla definitiva chiusura di ogni pendenza, attuale o

soltanto potenziale, con il Fisco, tuttavia essa comporterebbe anche un costo non

trascurabile per la parte privata, rappresentato in primo luogo dalla necessità di

pagare integralmente sia l'Iva sia le ritenute non versate. A pesare sarebbe soprattutto

il divieto di trattamento remissorio attualmente vigente per l'Imposta sul valore

aggiunto, la quale occupa il 19° posto nell'ordine dei privilegi di cui all'art. 2778 c.c.:

pertanto, letto l'art. 182ter in combinato disposto con l'art. 160, comma 2, si

renderebbe necessario il pagamento integrale anche di tutti gli altri crediti antegati al

credito Iva, al fine di non alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione356.

Viceversa, al di fuori dell'art. 182ter nessuna disposizione di legge prescrive

l'obbligo di pagare integralmente l'Imposta sul valore aggiunto o il debito per le

ritenute non versate, con la conseguenza che con la sola domanda di concordato

preventivo l'imprenditore potrà proporre una soddisfazione percentuale anche di tali

tributi e dei relativi accessori, dovendosi attenere esclusivamente alle condizioni di

cui al comma 2 dell'art. 160.

In secondo luogo, potrebbe verificarsi l'ipotesi in cui siano stati emessi nei

confronti dell'imprenditore atti impositivi manifestamente infondati, che lo stesso ha

già impugnato o avrebbe tutto l'interesse ad impugnare: in tale evenienza la

conclusione di una transazione, comportando l'immediata cessazione delle liti in

corso o potenziali, e la conseguente intangibilità delle pretese erariali contenute in

tali atti, sarebbe una soluzione non conveniente per la parte privata.

Alla luce di queste considerazioni, la corrente dottrinale qui esaminata ritiene

che la proposizione di una transazione fiscale sia meramente facoltativa, e come tale

356

Tale argomentazione è stata prospettata anche in giurisprudenza: cfr. Trib. La Spezia, 1° luglio

2009, cit.

174

rimessa all'insindacabile apprezzamento del debitore concordatario: in altre parole

sarebbe lo stesso a dovere scegliere, all'esito di un'oculata comparazione

costi/benefici, se attivare la disciplina speciale di cui all'art. 182ter, fruendo della

definitiva chiusura di tutte le partite debitorie ancora aperte con il Fisco, ma con

l'obbligo di integrale pagamento del debito Iva e di quello per le ritenute non versate,

oppure limitarsi a proporre un trattamento remissorio e/o dilatorio dei crediti fiscali o

contributivi, ivi compresi anche i crediti per i tributi da ultimo citati, nell'ambito di

un piano di concordato non accompagnato da una proposta di transazione fiscale, che

dunque non consenta di ottenere né il congelamento dei residui poteri accertativi

dell'Erario né l'estinzione delle liti in corso357.

La prospettata facoltatività della transazione fiscale, ancora, oltre ad assicurare

il rispetto delle finalità perseguite dalla legge, si armonizzerebbe perfettamente con

la logica del sistema nel quale l'istituto è inserito, oltre ad evitare un'inammissibile

forzatura del dato testuale, che utilizzando l'espressione “può proporre” lascerebbe

intendere che l'imprenditore non ha alcun obbligo di presentare un'istanza di

transazione fiscale nell'ipotesi in cui la procedura di concordato preventivo da lui

attivata interessi anche crediti “pubblici”.

3.3. La tesi dell'effetto preclusivo conseguente al rilascio della

certificazione di cui al comma 2.

Altra corrente dottrinale, ancora, anticipa l'effetto preclusivo di cui trattasi,

collegandolo al rilascio della certificazione di cui al comma 2 dell'art. 182ter358. Il

legislatore, infatti, avrebbe consapevolmente inteso cristallizzare i debiti d’imposta

esistenti alla data della menzionata certificazione, senza lasciare agli uffici alcuno

spazio per l'esecuzione di controlli ulteriori, ed accordando al debitore l'indubbio

vantaggio di ancorare a quella data la sua complessiva esposizione nei confronti

dell'Erario.

357

Cfr. E STASI, La transazione fiscale, cit., 1200 e ss.

358

Cfr. S. GOLINO, La transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 6705 e ss..

Sembrerebbe aderire a tale opinione anche M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1580, poiché

ricollega al mancato rilascio della certificazione la sopravvivenza degli ordinari poteri istruttori in

capo all'ufficio.

175

Ne deriverebbe una lettura della locuzione “consolidamento del debito fiscale”

ancora più rigorosa e pregiudizievole per l'Erario di quelle sinora prospettate, posto

che l'effetto preclusivo, lungi dal discendere dall'omologazione della domanda di

concordato ovvero dall'accettazione della proposta di transazione da parte

dell'Amministrazione, sarebbe riconducibile al semplice rilascio della certificazione

delle pendenze tributarie. Sembrerebbe pertanto che la sorte della procedura

concorsuale non abbia alcuna rilevanza: il diniego dell'Amministrazione, oppure la

mancata omologazione del concordato, non potrebbero far “rivivere” gli ordinari

poteri accertativi, rimasti definitivamente congelati per effetto di quella

certificazione. Sicchè, il debito d'imposta che l'Erario può pretendere sarebbe

solamente quello certificato, senza possibilità di incrementarlo per effetto di

successivi controlli di merito sulla posizione fiscale dell’imprenditore.

Né a supporto dell'opposta conclusione, ossia della tesi secondo la quale

l'ufficio, anche dopo il rilascio della certificazione ed in pendenza degli ordinari

termini di decadenza, potrebbe pur sempre accertare tributi maggiori rispetto a quelli

certificati, sarebbe invocabile in via analogica l'istituto dell'accertamento con

adesione, ed in particolare la norma di cui all'art. 2, comma 4, lettera a) del d. lgs. n.

218/1997359: la disciplina in materia di transazione fiscale, infatti, non prevede alcuna

norma che sia vagamente assimilabile a quella da ultimo citata. Inoltre la

transazione, essendo parte integrante del procedimento di concordato preventivo,

sconta anch’essa la regola dettata dall'art. 175, comma 2, che sancisce

l'immodificabilità della proposta di concordato dopo l'inizio delle operazioni di voto

da parte dell'assemblea dei creditori. Ne deriverebbe che l'ammontare complessivo

del debito tributario risultante dalla certificazione rilasciata dall’ufficio non potrebbe

essere successivamente incrementato, in via unilaterale ed autoritativa, a discapito

non solo del proponente ma anche degli altri creditori concordatari.

Tale indirizzo dottrinale si spinge ancora oltre, fino ad escludere radicalmente

anche la possibilità di espletare controlli di merito immediatamente dopo la

359

Detta disposizione prevede la possibilità di esercitare ulteriore azione accertatrice entro i termini

previsti dall'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 nel caso in cui “sopravviene la conoscenza di nuovi

elementi”, da intendersi come elementi di valutazione non precedentemente noti all'ufficio, da cui

risulti un imponibile maggiore rispetto a quello quantificato nell'avviso di accertamento

precedentemente concluso con l'adesione del contribuente.

176

presentazione della proposta di transazione e prima del rilascio della certificazione:

muovendo dal tenore letterale dell'art. 182ter, che parla di “debito derivante da atti

di accertamento ancorché non definitivi”, questa dottrina ritiene che il legislatore

abbia inteso riferire il consolidamento ai soli atti impositivi già notificati alla data di

presentazione dell'istanza di transazione, escludendo la possibilità di emanare nuovi

avvisi, anche nelle ipotesi in cui risultino processi verbali di constatazione già

consegnati al contribuente ovvero rilievi non ancora trasfusi in un atto formale di

accertamento360. Ad ulteriore riprova della fondatezza di tale assunto viene addotta

anche l'eccessiva brevità del termine di trenta giorni di cui all'art. 182ter, troppo

esiguo per espletare le complesse attività istruttorie previste dalla normativa

fiscale361. La funzione della certificazione sarebbe dunque quella di “raccogliere” e

cristallizzare in via definitiva i soli elementi di qui l'ufficio già dispone.

Pertanto sia la lettera che la ratio dell'art. 182ter indurrebbero a ritenere che

all'Erario sia preclusa ogni azione che comporti l’emanazione di nuovi avvisi di

accertamento dopo la ricezione della domanda di transazione, dovendo limitarsi a

consolidare il debito tributario già esistente a quella data; a fortiori, si dovrebbe

escludere l'esperimento di azioni volte ad accertare nuova materia imponibile dopo

che l’ufficio abbia rilasciato la certificazione, quand'anche sopravvengano ulteriori

elementi di valutazione prima non conosciuti.

Il mancato rilascio della certificazione, all’opposto, legittimerebbe la

sopravvivenza degli ordinari poteri istruttori in capo all'ufficio: questo, in ragione

360

Negli stessi termini cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, cit., 3021.

361

Cfr. S. GOLINO, La transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 6705: “il

termine di trenta giorni per la “certificazione” potrebbe essere congruo per le attività di più

semplice e rapida esecuzione, come la liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni

ex art. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e relativi avvisi di irregolarità, o per gli accertamenti

notificati ma non ancora definitivi perché sub iudice o perché non ancora iscritti a ruolo, ma non

è sufficiente per eventuali accertamenti da eseguire […] Infatti, per l’esecuzione di verifiche

presso la sede del soggetto da controllare l’ufficio non potrebbe disporre del pur breve termine di

trenta giorni previsto dall’art. 12, comma 5, della L. 27 luglio 2000, n. 212, tenuto conto dei tempi

tecnici necessari per l'avvio della verifica e per la successiva stesura e notifica dell'avviso di

accertamento. Lo stesso vale per i poteri che attengono all'invio di questionari, all'invito a

comparire o ad esibire documenti, e per tutti gli altri inviti e richieste per i quali l'ufficio deve

fissare, per l'adempimento da parte del contribuente, un termine minimo di quindici giorni dalla

data della notifica […]. Da ciò deriva la concreta impossibilità di ricorrere a tutti gli strumenti di

controllo diversi da quelli resi possibili dall’esame della documentazione già in possesso degli

uffici”.

177

delle norme speciali sull'accertamento e sulla riscossione dei tributi, potrà sempre

integrare o modificare le proprie pretese sino al termine di decadenza e/o

prescrizione dell'azione di accertamento e/o riscossione362.

La medesima dottrina, tuttavia, non manca di sottolineare le “smagliature”

insite nella disciplina dell'istituto. In particolare, la necessaria simultaneità del piano

concordatario e della annessa proposta di transazione imposta dal comma 1 dell'art.

182ter comporta che alla data di presentazione del primo il debitore non conosca

ancora con esattezza l'entità della propria esposizione debitoria nei confronti del

Fisco, di cui sarà reso edotto soltanto all'atto del rilascio della certificazione di cui al

comma 2. Potrebbe dunque rendersi successivamente necessaria una modifica del

piano originario, con la revisione dello schema di riparto delle risorse disponibili fra

tutti i creditori, nell'ipotesi in cui il debito tributario certificato dall'Agenzia risulti

essere maggiore di quello inizialmente quantificato dal proponente363: a tal fine

potrebbe ipotizzarsi l'applicazione in via analogica della norma di cui al comma 1

dell'art. 162, che riconosce al Tribunale il potere di accordare al debitore un termine

non superiore a 15 giorni (che decorrerebbe in tal caso dal rilascio della

certificazione da parte dell'Agenzia), per proporre le necessarie integrazioni al piano

e produrre nuovi documenti. Tuttavia, anche un termine maggiorato rispetto a quello

ordinario potrebbe rivelarsi insufficiente, soprattutto se si dovesse reputare

necessaria una nuova relazione da parte del professionista.

Le accennate difficoltà di ordine pratico inducono tale dottrina a propugnare,

ovviamente in una prospettiva de iure condendo, un'anticipazione della proposta di

transazione rispetto alla domanda di concordato: invertendo l'attuale iter procedurale,

e quindi facendo in modo che il debitore disponga già della certificazione rilasciata

dall'Amministrazione al momento in cui chiede l'ammissione alla procedura

362

Cfr. M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1580 e 1581.

363

La possibilità di modificare il piano concordatario a seguito delle liquidazioni e certificazioni

provenienti dagli uffici fiscali è confermata da E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato

preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in www.ilcaso.it, II, 104/2008, 32, nt. 54:

l'A. sottolinea come tali modifiche debbano essere apportate in tempo utile rispetto all'adunanza

dei creditori, dovendo considerare il Tribunale un congruo lasso di tempo (compatibile con le

esigenze di celerità e speditezza della procedura) per permettere agli uffici la liquidazione e la

certificazione dei debiti tributari.

178

concorsuale, sarà possibile predisporre il piano di cui all'art. 160 tenendo conto

anche del complessivo debito d’imposta, oramai consolidato e non più suscettibile di

subire incrementi. Ciò permetterà al proponente di elaborare uno schema pressoché

definitivo di destinazione delle risorse di cui dispone, su cui i restanti creditori

potranno fare affidamento al momento della votazione.

3.4. La tesi contraria all'effetto preclusivo del consolidamento.

Altra parte della dottrina, viceversa, esclude che il “consolidamento del debito

fiscale” debba essere inteso in senso sostanziale, disconoscendo dunque che la

conclusione di una transazione fiscale, e, a fortiori, la mera omologazione del

concordato preventivo in assenza del voto favorevole dell’ufficio, abbiano l'effetto di

obbligare l'Amministrazione finanziaria ad anticipare i propri controlli sostanziali,

inibendo del tutto ogni ulteriore attività accertativa364.

In primo luogo l'art. 182ter non conterrebbe alcun divieto espresso di

successivo esercizio dei normali poteri di accertamento e rettifica delle dichiarazioni,

come invece sarebbe necessario365. Né tale preclusione potrebbe ricavarsi dalla

disposizione che prevede la cessazione della materia del contendere, poiché questa

atterrebbe esclusivamente al versante processuale dell’istituto, operando

364

Cfr. ex multis S. LA ROSA, Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, in Riv.

dir. trib., 2008, I, 330; E. MATTEI, Transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo,

cit., 596; ID., La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione

dei debiti, cit., 746; A. MAFFEI ALBERTI, Transazione fiscale, in Commentario breve alla legge

fallimentare, Cedam, Padova, 2009, 1088; L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 686 e 687;

G. LA CROCE, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà della transazione fiscale nel

concordato preventivo, cit., 148 e ss. ; M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, in Il

concordato preventivo, cit., 284; A. FELICIONI, La transazione fiscale e contributiva, cit., 37.

Dubbioso circa l'esistenza di un obbligo in capo all'ufficio di effettuare controlli sostanziali in capo

al contribuente è S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 197; E. CECCHERINI, La

transazione fiscale. Aspetti di procedura e contraddizioni, cit., 351 e 352.

365

Cfr. S. LA ROSA, Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, cit., 330, nonché E.

MATTEI, Transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, cit., 596, nt. 62:

nonostante l'A. sottolinei la portata dirompente del mantenimento del potere accertativo in capo

all'Amministrazione finanziaria, potendo il maggiore onere sopravvenuto sovvertire gli esiti di una

procedura concordataria già omologata, tuttavia egli afferma chiaramente che la norma, così com'è

formulata, decisamente non lascia presupporre deroghe alla normativa sull'accertamento, lasciando

intatti i poteri officiosi in capo all'Amministrazione finanziaria. In tema di accordi di

ristrutturazione, invece, l'A. ritiene che sarà possibile rinunciare all'azione accertatrice con

l'inserimento di apposita clausola nel testo della convenzione, acclarati i costi-benefici

dell'opzione.

179

esclusivamente sulle liti tributarie già instaurate e non potendo dunque riguardare

l'attività di accertamento, che si colloca sul distinto versante amministrativo. Tant'è

che quando il legislatore intende inibire ulteriori attività di controllo sostanziale fa

ricorso ad espressioni verbali ad hoc, che esplicitamente menzionano tale effetto

preclusivo366.

Ancora, è stato argomentato che, ragionando diversamente, si dovrebbe

ritenere che le norme tributarie relative al potere di accertamento devoluto

all’Amministrazione finanziaria, che ne disciplinano condizioni, modalità di

esercizio e termini di decadenza, siano state modificate da una norma specifica,

inserita nel contesto della legge fall., la quale fra l'altro nemmeno prevede

esplicitamente una siffatta deroga: il che non parrebbe ammissibile367.

Escluso dunque che la transazione fiscale, una volta perfezionata con il voto

favorevole dell’ufficio e l’omologazione del concordato, possa inibire il successivo e

pur sempre eventuale esercizio dei controlli di merito sulla posizione fiscale del

contribuente, la medesima dottrina ha anche tentato di interpretare la disciplina

normativa di cui all’art. 182ter in modo coerente tanto con i caratteri di fondo della

tutela giurisdizionale in materia tributaria, che sarebbe una giurisdizione di tipo

esclusivamente impugnatorio, rimessa pertanto all'esclusiva iniziativa del

366

Si pensi all'art. 2, comma 3 del d. lgs. n. 218/1997, il quale dispone che “L'accertamento definito

con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte

dell'ufficio”, mentre il successivo comma 4 prevede tassativamente le ipotesi in cui è possibile

l'esercizio di ulteriore attività accertatrice. Cfr. anche l'art. 10ter della l. n. 8 maggio 1998, n. 146,

in materia di accertamento basato sulle risultanze degli studi di settore, che prevede le condizioni

alle quali opera la preclusione di ulteriori accertamenti basati su presunzioni semplici nel caso di

adesione ai contenuti degli inviti a comparire: cfr. C. ATTARDI, Inammissibilità del concordato

preventivo in assenza di transazione fiscale, cit., 6440.

367

Cfr. G. LA CROCE, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà della transazione fiscale nel

concordato preventivo, cit., 149. L'A. è fortemente critico anche con chi ritiene che l'effetto di

consolidamento, sia parziale che assoluto, possa derivare in modo automatico dal semplice silenzio

dell'ufficio: da un lato, infatti, sarebbe irragionevole una norma che prevedesse, solo per il Fisco,

la compressione dei propri diritti di difesa, sino a riconoscere all'istituto del concordato preventivo,

nei confronti unicamente di questo creditore, una funzione accertativo-giurisdizionale che esso

invece non ha nei confronti di nessun altro creditore. Dall'altro, l'esperibilità di una transazione

fiscale anche all'interno degli accordi ex art. 182bis, dove non può negarsi l'assoluta potestatività

adesiva dell'Amministrazione, escluderebbe ogni automatismo anche nell'ambito del concordato

preventivo. Secondo l'A., “L'ipotesi di automatica definitività assoluta della pretesa tributaria, in

ipotesi di silenzio degli uffici finanziari, porterebbe con sé una conseguenza decadenziale

specifica che solo la legge – quella speciale in materia, tra l'altro – potrebbe/dovrebbe stabilire

espressamente”.

180

contribuente inciso dall'atto impositivo, quanto con la struttura propria del

concordato preventivo, dove manca del tutto una fase di accertamento giudiziale dei

crediti ammessi368. Ne deriva, da un lato, che senza lo speciale procedimento di cui

all'art. 182ter l'Amministrazione finanziaria sarebbe costretta necessariamente a

subire la quantificazione del debito d’imposta effettuata unilateralmente dal debitore

nell'ambito della proposta di concordato: nell'impossibilità di modificarne

l'ammontare, ad essa nemmeno sarebbe data la facoltà di attivare un giudizio

finalizzato all'esatta quantificazione delle proprie pretese, dal momento che il nostro

ordinamento processuale tributario non prevede la possibilità di esperire azioni

giudiziarie di accertamento positivo dei crediti fiscali.

Dall'altro lato, l'assenza di una fase di autentica verifica giudiziale del passivo

nell'ambito della procedura di concordato preventivo confermerebbe ulteriormente il

pregiudizio che l'Erario subirebbe nell'ipotesi in cui gli fosse disconosciuta la

possibilità di determinare, o contribuire a determinare, l'entità delle proprie pretese.

A tal fine è stato messo in luce che il ruolo, pur rilevante, accordato al commissario

giudiziale non sarebbe all'uopo sufficiente, in quanto egli, ai sensi di quanto previsto

dal comma 1 dell'art. 171, è tenuto soltanto a verificare l'elenco dei creditori sulla

scorta delle sole scritture contabili dell'imprenditore, rimanendogli perciò ignoto

tutto ciò che esuli dalle medesime. Ancora, nonostante il commissario sia tenuto a

comunicare ai creditori un avviso contenente, tra l'altro, la proposta del debitore,

mettendoli in condizione di partecipare all’adunanza in modo consapevole ed

informato, e di sollevare in quella sede eventuali contestazioni in merito

all'ammontare dei rispettivi crediti, si è purtuttavia rilevato che la votazione avverrà

comunque sulla base del contenuto di quella proposta, e quindi commisurando la

quantità dei voti spettanti a ciascun partecipante al quantum ivi determinando, fatte

salve eventuali contestazioni.

Onde evitare questi inconvenienti, pertanto, il legislatore avrebbe previsto un

meccanismo che consente all'Amministrazione di quantificare il reale debito

d'imposta, sottraendola così al rischio di subire il pregiudizio di una determinazione

368

Cfr. C. ATTARDI, Inammissibilità del concordato preventivo in assenza di transazione fiscale,

cit., 6438 e 6439.

181

operata unilateralmente dal debitore in modo non veritiero né agevolmente

rettificabile: l'iter di cui all'art. 182ter avrebbe dunque la funzione di garantire che

l'Erario abbia l'ultima parola in punto di quantificazione delle proprie pretese ai fini

dello svolgimento della procedura concordataria, senza che il perfezionamento

dell'accordo transattivo sortisca l'ulteriore effetto di inibire in via definitiva

l'esercizio dei controlli di merito. In questa prospettiva, dunque, con la locuzione

“consolidamento del debito fiscale” il legislatore avrebbe inteso alludere soltanto a

quella quantificazione, e dunque ad una determinazione del carico tributario dotata di

valenza esclusivamente procedimentale: gli effetti sarebbero quindi circoscritti al

solo ambito concorsuale, senza interessare il distinto versante tributario.

Da ciò si fa discendere anche l'obbligatorietà della transazione fiscale in

presenza di crediti tributari da sottoporre a falcidia, onde evitare che le pretese

dell'Amministrazione siano lasciate in balia del solo debitore concordatario.

Nell'ambito del filone interpretativo qui esaminato merita una particolare

menzione la tesi di Antonino La Malfa, uno dei principali studiosi della materia, il

quale si è sforzato di definire in modo chiaro la portata “procedimentale” del

consolidamento369.

Secondo La Malfa la “cristallizzazione” del complessivo debito d'imposta

varrebbe ai soli fini dell'espressione del voto dell'Agenzia in sede di adunanza dei

creditori; viceversa, sarebbe da escludersi ogni definitiva ed irretrattabile

quantificazione di quel debito anche agli effetti dell'esecuzione del piano

concordatario (ciò che La Malfa definisce in termini di “consolidamento

sostanziale”): ne deriva che anche durante tale fase sarà sempre possibile sollevare

contestazioni dinanzi al giudice competente. L'estensione del consolidamento anche

alla fase dell'adempimento del concordato, infatti, comporterebbe un'inammissibile

compressione dei diritti di tutela giurisdizionale di entrambe le parti coinvolte nella

vicenda, cozzando contro i principi fondamentali del nostro ordinamento, tra cui in

primis l'art. 24 Cost; sicché in sede di esecuzione del concordato le eventuali

contestazioni che dovessero sorgere relativamente all'entità, alla composizione e alle

369

Cfr. A. LA MALFA, Transazione fiscale e previdenziale, cit. 197 e ss., nonché La transazione dei

crediti fiscali, cit.,1442 e ss.

182

garanzie che assistono il credito erariale potranno essere azionate dinanzi all'autorità

giudiziaria competente (in tal caso si tratta della Commissione tributaria),

analogamente a quanto avviene per ogni altro credito concordatario ai sensi della

regola sancita in via generale dall'art.176, comma 1.

La Malfa esclude un consolidamento sostanziale dei crediti tributari muovendo

da un duplice presupposto. Da un lato, l'art. 182ter si limiterebbe a disciplinare la

procedura da seguire per addivenire alla determinazione complessiva e “consolidata”

del debito d'imposta, scandendo i diversi passaggi in cui tale iter si articola, senza

tuttavia precisare su quale importo, indicato da quale soggetto, si determini il

consolidamento. Dall'altro lato, l'effetto di consolidamento verrebbe ad intersecare il

generale ed inviolabile principio di riserva di giurisdizione in materia tributaria.

Quanto al primo profilo, secondo l'Autore non si desume chiaramente dalla

norma se l'ammontare del debito tributario che verrebbe a consolidarsi sia quello

indicato dall'imprenditore nella sua proposta di transazione, oppure quello risultante

dalle certificazioni rilasciate dagli uffici fiscali e dal concessionario della riscossione.

Ritenere, tuttavia, che il consolidamento si determini sul quantum indicato dal

proponente non avrebbe molto senso, sia perché sarebbe iniquo e pregiudizievole per

il Fisco subire una cristallizzazione delle proprie pretese sulla scorta delle sole

indicazioni unilaterali del contribuente, sia perché tale interpretazione renderebbe

inutili le attività di liquidazione, notifica e certificazione prescritte dalla norma.

Muovendo da tali considerazioni, dunque, l'Autore ritiene che il consolidamento si

riferisca all'ammontare indicato dall'Amministrazione nella certificazione rilasciata,

salvo poi rilevare le criticità derivanti dall'assenza di un contraddittorio fra le due

parti volto alla definizione concordata del quantum da consolidare370. Ne deriva,

come corollario, che il consolidamento del debito d’imposta nella misura

determinata dall'Amministrazione, in via unilaterale ed autoritativa, andrebbe inteso

esclusivamente in chiave procedurale, e non anche in termini sostanziali, pena la

violazione dei diritti di difesa della controparte privata.

370

L'A. critica apertamente la tesi di PANNELLA (cfr. L'incognita transazione fiscale, cit., 644 e ss.),

secondo cui la transazione sarebbe una forma di determinazione dell'intera esposizione debitoria

fiscale che deve avvenire nel contraddittorio fra le parti, in quanto l'istituto non sembra prefigurare

un contraddittorio, ma soltanto atti unilaterali del proponente prima e degli uffici fiscali poi: cfr. A.

LA MALFA, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 199, nt. 63.

183

Quanto al rilievo relativo della riserva di giurisdizione, per la quale è devoluta

alla cognizione esclusiva delle Commissioni tributarie ogni contestazione in merito

alla debenza, all'ammontare e agli elementi accessori dei tributi, escludendo in radice

possibili interferenze sia del giudice delegato che di ogni altro organo di giustizia

ordinaria o speciale, La Malfa sottolinea che sarebbe in contrasto con tale riserva un

definitivo accertamento dei crediti tributari operato in sede concorsuale. Senza

contare che nell'ambito del concordato preventivo non è prevista alcuna fase di

accertamento formale dei crediti ammessi, sicché il passivo concordatario, così come

indicato nella proposta ed eventualmente modificato dal giudice delegato, vale ai soli

fini del voto: qualora in sede di adunanza sorgano contestazioni in merito

all'esistenza, all'ammontare o alle garanzie che assistono taluni crediti, queste

saranno risolte dal giudice delegato con provvedimento a cognizione sommaria, la

cui efficacia, cioè, è limitata unicamente all'attribuzione del diritto di voto senza

incidere sulla reale portata del credito contestato. Nel caso in cui le contestazioni non

dovessero essere sopite dall'omologazione del concordato, esse saranno rimesse alla

cognizione ordinaria del giudice competente ex art. 176, comma 1.

Ora, l'effetto di consolidamento non mira ad introdurre alcuna deroga alla

disposizione da ultimo citata, limitandosi a dettare una norma eccezionale valevole

per i soli crediti tributari: la disciplina dettata dal comma 2 dell’art. 182ter ha

soltanto la funzione di determinare entro un breve lasso temporale le pretese

dell'Amministrazione finanziaria in vista dell'espressione del voto in sede di

adunanza, senza attendere i tempi ordinari dell'accertamento e del possibile

contenzioso (che generalmente richiedono anni). In tal modo vengono soddisfatte le

esigenze di rapidità ed efficacia proprie della procedura di concordato371; una volta

ottenuta l'omologazione, i crediti tributari subiranno la sorte di tutti gli altri crediti

d'impresa, con la possibilità di far valere eventuali contestazioni dinanzi al giudice

tributario.

Ne deriva che né il Fisco né il proponente hanno la possibilità di quantificare

unilateralmente il debito d’imposta anche agli effetti sostanziali: si intende così

371

Tali esigenze di celerità discendono dalla regola del voto per capitale, che impone una precisa

determinazione dei crediti al fine di verificare il raggiungimento delle maggioranze di cui all'art.

177.

184

evitare potenziali pregiudizi ai danni della controparte, alla quale viceversa deve

sempre consentirsi la difesa delle proprie ragioni nelle sedi giurisdizionali

competenti. Una diversa lettura darebbe luogo, infatti, ad una inaccettabile disparità

di trattamento, nonché a violazioni dei diritti di tutela giurisdizionale difficilmente

compatibili con i principi fondamentali del nostro ordinamento.

La fondatezza della tesi del consolidamento in senso sostanziale, poi, sarebbe

da escludersi anche alla luce delle situazioni che in concreto possono verificarsi.

Tralasciando l'ipotesi in cui il complessivo credito erariale ricostruito nella

certificazione rilasciata dall'Agenzia coincida con il quantum indicato dal proponente

(evenienza, questa, che non solleverebbe alcun problema), l'Autore analizza gli altri

due casi che possono presentarsi nella realtà operativa: certificazione contenente un

debito maggiore, e mancato rilascio della certificazione.

Nel primo caso la quantificazione rilevante, come già si è visto sopra, è quella

operata unilateralmente dall'Amministrazione finanziaria, ma se essa dovesse

ritenersi definitiva anche sotto il profilo sostanziale il contribuente non avrebbe

alcuna possibilità di controbattere, il che renderebbe la transazione fiscale

controproducente per lo stesso. In secondo luogo, nelle ipotesi (più diffuse nella

pratica) di concordato con assuntore o garante le modifiche dell'onere concordatario

imposte dalla certificazione rilasciata dal Fisco forzerebbero la mano di tale soggetto

terzo, potendo anche condurlo a rinunciare alla proposta. Né sarebbe possibile

pensare ad un intervento del giudice delegato volto a ridimensionare la portata delle

pretese erariali, essendo tale soggetto del tutto privo di giurisdizione in materia

tributaria. Tali considerazioni non escludono, tuttavia, che si produca un parziale

effetto di consolidamento sostanziale del credito erariale, nel senso che non può

essere consentito all'Amministrazione finanziaria di richiedere, successivamente al

rilascio della certificazione, il pagamento di somme ulteriori per gli stessi titoli. La

Malfa però esclude da questo limitato effetto di consolidamento i debiti scaturenti da

dichiarazioni non ancora presentate, perché tuttora pendenti i relativi termini: sui

medesimi, infatti, l'Agenzia non ha ancora avuto modo di svolgere alcuna attività

istruttoria.

L'altra ipotesi analizzata è quella in cui l'Amministrazione finanziaria non

rilasci alcuna certificazione nei 30 giorni dalla presentazione della proposta. La

185

Malfa, preliminarmente, nega la perentorietà di detto termine372, propendendo invece

per un'accezione sollecitatoria del medesimo: ne deriva che alla relativa scadenza il

debito d’imposta non potrà comunque ritenersi cristallizzato in via definitiva

secondo la misura determinata dall'istante. Tuttavia, non essendo possibile il

differimento sine die del voto in attesa della risposta dell'Amministrazione, è

comunque necessario che, decorso un ulteriore congruo lasso temporale senza che gli

uffici abbiano rilasciato la prescritta certificazione, magari fruendo anche di un

rinvio dell'adunanza, la procedura possa andare avanti: pertanto il giudice delegato

darà ugualmente corso all'adunanza dei creditori ed alla votazione, alla quale

l'Agenzia prenderà parte votando in base al quantum dichiarato dal proponente.

Anche in tal caso, dunque, il consolidamento del debito d'imposta, che in questa

ipotesi avviene secondo la misura indicata dal debitore, opererà ai soli fini del voto,

senza comportare alcuna cristallizzazione in termini sostanziali, cioè al di fuori della

procedura di concordato: altrimenti opinando, infatti, si determinerebbe una

inammissibile lesione dei diritti di tutela della parte pubblica, potenzialmente

soggetta a dichiarazioni riduttive contenute nella proposta concordataria. Ne deriva

che anche in questa seconda ipotesi i debiti tributari andrebbero parificati a tutti gli

altri in relazione al differimento ad altra sede giurisdizionale delle contestazioni sul

relativo ammontare, sulla composizione e sulla eventuale natura privilegiata.

Secondo La Malfa la tesi del consolidamento in chiave esclusivamente

procedurale sarebbe dunque l'unica possibile chiave di lettura dell'art. 182ter che non

intaccherebbe i principi generali che governano l’iter di concordato, tenendo conto

372

La perentorietà di tale termine sarebbe esclusa da motivazioni di carattere testuale (la legge, infatti,

non qualifica quel termine come perentorio, come invece sarebbe stato necessario secondo i

principi generali), nonché da argomentazioni di carattere sistematico (se al giudice delegato spetta

il potere di differire l'ultimazione delle operazioni dell'adunanza dei creditori ex art. 178, allora, in

linea di principio, i termini previsti per gli adempimenti concordatari vanno considerati come

sollecitatori e non rigorosamente perentori) e logico (il lasso temporale di 30 giorni sarebbe

assolutamente inadeguato e troppo breve rispetto alle esigenze dell'Amministrazione finanziaria, in

quanto “chiunque sia al corrente delle modalità operative dell'Amministrazione finanziaria sa che

trenta giorni è un arco di tempo insufficiente per compiere le liquidazioni dei tributi,

considerando poi che queste devono essere eseguite con sistemi manuali”: cfr. A. LA MALFA,

Transazione fiscale e previdenziale, cit., 207). L'A., inoltre, rileva che il mancato rispetto del

termine de quo non dipende necessariamente dall'inerzia degli uffici, ben potendo essere causato

dall'insufficienza della documentazione prodotta dal proponente. Pertanto, esclude che la norma

abbia carattere sanzionatorio puro: l'unica sanzione connessa al mancato rispetto del termine

sarebbe il “consolidamento” del credito tributario secondo la misura indicata dal proponente, ma ai

soli fini del voto dell'Agenzia in adunanza.

186

altresì dell’esigenza di tutelare ambedue le parti protagoniste della vicenda

transattiva: da un lato tale interpretazione consentirebbe alla procedura di procedere

speditamente verso l'omologazione, mentre dall’altro lato la soluzione di eventuali

contestazioni viene rimandata ad un momento successivo, in cui si verificherà la

definitiva quantificazione del debito d'imposta anche agli effetti sostanziali. Né

contro tale interpretazione potrebbe essere addotta l'esigenza di stabilità del

concordato e la necessità di impedire che le modifiche del fabbisogno concordatario

possano minare l'attuazione del piano, perché le stesse obiezioni sarebbero valide per

tutti gli altri crediti373; senza contare che all'inadempimento delle pretese tributarie

sarebbe sempre possibile reagire tramite il rimedio generale della risoluzione del

concordato.

3.5. La tesi del consolidamento in chiave esclusivamente liquidatoria.

Altra corrente dottrinale, ancora, circoscrive l'effetto preclusivo alla sola

attività di liquidazione in senso proprio dei tributi oggetto della proposta, escludendo

che la transazione fiscale possa avere una qualche ricaduta sulla distinta attività di

accertamento374.

Secondo questa tesi il consolidamento di cui al comma 2 comporterebbe la

definitiva cristallizzazione dei soli debiti tributari risultanti dai controlli cosiddetti

“automatizzati” effettuati dall’Agenzia ai sensi degli artt. 36bis del d.P.R. n.

600/1973 in materia di imposte dirette e 54bis del d.P.R. 633/1972 in materia di

Imposta sul valore aggiunto375; sarebbe dunque inibita all'ufficio soltanto la

373

Cfr. A LA MALFA, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 203: “La tesi per cui il

consolidamento tende ad evitare modificazioni dell'onere concordatario in fase di esecuzione non

convince, poiché variazioni anche notevoli di crediti successivamente all'omologazione sono

possibili e accadono sovente per tutti i crediti, e non solo per quelli fiscali, e non si vede alcun

motivo per cui solo debba accadere diversamente per i crediti erariali”.

374

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572 e ss; ID., La nuova transazione

fiscale secondo il Tribunale di Milano: dal particolarismo tributario alla collocazione

endoconcorsuale, cit., 342; A. GUITTO, Opportunità della transazione fiscale e disciplina dei

crediti privilegiati insoddisfatti, in Fall., 2010, 1281; F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del

debito tributario nella transazione fiscale, cit, 839; G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-

procedimento facoltativo del concordato preventivo, cit., 714 e ss.; D. STEVANATO,

Transazione fiscale, cit., 843 e ss.

375

Giova riportare il testo di ambedue le disposizioni. L’art. 36bis (“Liquidazione delle imposte, dei

contributi, dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni”) prevede che “Avvalendosi

187

di procedure automatizzate, l'Amministrazione finanziaria procede, entro l'inizio del periodo

di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo, alla liquidazione delle imposte,

dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni

presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta. Sulla base dei dati e degli elementi

direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell'anagrafe

tributaria, l'Amministrazione finanziaria provvede a: a) correggere gli errori materiali e di

calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei

contributi e dei premi;b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto

delle eccedenze delle imposte, dei contributi e dei premi risultanti dalle precedenti

dichiarazioni;c) ridurre le detrazioni d'imposta indicate in misura superiore a quella prevista

dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni;d) ridurre le

deduzioni dal reddito esposte in misura superiore a quella prevista dalla legge; e) ridurre i

crediti d'imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti

sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni;f) controllare la rispondenza con la dichiarazione

e la tempestività dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti a titolo di

acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d'imposta. Se vi

e' pericolo per la riscossione, l'ufficio può provvedere, anche prima della presentazione della

dichiarazione annuale, a controllare la tempestiva effettuazione dei versamenti delle imposte,

dei contributi e dei premi dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate

in qualità di sostituto d'imposta. Quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato

diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, ovvero dai controlli eseguiti

dall'ufficio, ai sensi del comma 2-bis,emerge un'imposta o una maggiore imposta, l'esito della

liquidazione e' comunicato al contribuente o al sostituto d'imposta per evitare la reiterazione

di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali. Qualora a seguito della

comunicazione il contribuente o il sostituto di imposta rilevi eventuali dati o elementi non

considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, lo stesso può fornire i

chiarimenti necessari all'Amministrazione finanziaria entro i trenta giorni successivi al

ricevimento della comunicazione. I dati contabili risultanti dalla liquidazione prevista nel

presente articolo si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente e dal sostituto

d'imposta.

L’art. 54bis (“Liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni”) prevede che

“Avvalendosi di procedure automatizzate l'Amministrazione finanziaria procede, entro l'inizio

del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo, alla liquidazione

dell'imposta dovuta in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti. Sulla base dei dati e

degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso

dell'anagrafe tributaria, l’Amministrazione finanziaria provvede a: a) correggere gli errori

materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione del volume d'affari e delle

imposte;b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze

di imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni;c) controllare la rispondenza con la

dichiarazione e la tempestività dei versamenti dell'imposta risultante dalla dichiarazione

annuale a titolo di acconto e di conguaglio nonché dalle liquidazioni periodiche di cui agli

articoli 27, 33, comma 1, lettera a), e 74, quarto comma. Se vi e' pericolo per la riscossione,

l'ufficio può provvedere, anche prima della presentazione della dichiarazione annuale, a

controllare la tempestiva effettuazione dei versamenti dell'imposta, da eseguirsi ai sensi

dell'articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100,

degli articoli 6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 14 ottobre 1999, n. 542, nonché

dell'articolo 6 della legge 29 dicembre 1990, n. 405. Quando dai controlli automatici eseguiti

emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, ovvero dai

controlli eseguiti dall'ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un'imposta o una maggiore

imposta, l'esito della liquidazione e' comunicato ai sensi e per gli effetti di cui al comma 6

dell'articolo 60 al contribuente, nonché per evitare la reiterazione di errori e per consentire la

regolarizzazione degli aspetti formali. Qualora a seguito della comunicazione il contribuente

rilevi eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei

tributi, lo stesso può fornire i chiarimenti necessari all'Amministrazione finanziaria entro i

trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione. I dati contabili risultanti dalla

188

possibilità di procedere in un secondo momento a nuove liquidazioni d'imposta,

modificando gli importi scaturenti dalle comunicazioni di irregolarità già notificate.

Sul versante dei controlli sostanziali, invece, è da escludersi ogni effetto preclusivo

riconducibile alla conclusione di una transazione fiscale, o semplicemente

all'omologazione del piano concordatario cui la proposta transattiva accede: ne

deriva, dunque, che nel ridotto lasso temporale di trenta giorni l'ufficio sarà tenuto a

procedere soltanto al controllo automatizzato delle dichiarazioni allegate alla

proposta di transazione fiscale, senza che sussista l'ulteriore obbligo di esercitare i

propri poteri istruttori ed accertativi, per i quali resterebbero impregiudicati gli

ordinari termini di decadenza previsti dalla normativa fiscale.

La portata esclusivamente “liquidatoria” del consolidamento poggerebbe sia su

motivazioni di ordine testuale, sia su argomentazioni di carattere logico –

sistematico. Quanto al primo profilo, la norma di cui all'art. 182ter non conterrebbe

alcun riferimento all'ordinario potere di accertamento: la locuzione “liquidazione dei

tributi risultanti dalle dichiarazioni” non sembrerebbe infatti idonea ad abbracciare

anche i poteri sostanziali di controllo e l'emissione dei conseguenti avvisi di

accertamento, ma dovrebbe essere intesa in senso letterale. Essa dunque alluderebbe

soltanto al controllo delle dichiarazioni che normalmente viene effettuato tramite

procedure automatizzate (ex artt. 36bis e 54bis sopra citati)376, nonché, secondo

alcuni, anche al controllo formale di cui all'art. 36ter del menzionato d.P.R. n.

600/1973377.

Ancora, con la locuzione, sicuramente atecnica, “avvisi di irregolarità” il

legislatore avrebbe inteso far riferimento non ai veri e propri atti di accertamento,

bensì agli “atti liquidatori” in senso stretto, intendendo come tali quelli scaturenti dal

liquidazione prevista dal presente articolo si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati

dal contribuente.

376

Cfr. A. GUITTO, Opportunità della transazione fiscale e disciplina dei crediti privilegiati

insoddisfatti, cit., 1281, nt. 17; D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 843; S. CAPOLUPO,

La transazione fiscale: la procedura, cit., 3188.

377

Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 839;

G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del concordato preventivo,

cit., 715.

189

controllo automatizzato delle dichiarazioni378.

Da un punto di vista logico, poi, si è detto che mentre avrebbe senso

concentrare eccezionalmente in trenta giorni l'attività di liquidazione, ciò non

potrebbe avvenire per l'attività propriamente accertativa: sarebbe impensabile, infatti,

che l'ufficio abbia la possibilità effettiva di intraprendere controlli di merito ex novo

e/o portare a compimento quelli già attivati entro quel ridotto lasso temporale, attesa

la molteplicità e complessità delle verifiche da effettuare, le quali normalmente

richiedono tempi che eccedono di gran lunga il termine di trenta giorni accordato

dall’art. 182ter379. Il consolidamento, invece, dovrebbe riguardare solo quella

porzione di credito scaturente da atti impositivi già emanati e notificati ma non

ancora iscritti a ruolo, che concorrono da subito a formare il credito fiscale da

ammettere al concorso ed alla votazione380.

È stato argomentato che anche la ratio della transazione fiscale farebbe ritenere

preferibile la soluzione centrata sul profilo liquidatorio, non solo per superare la

tradizionale ritrosia degli uffici finanziari a concludere transazioni fiscali (ritrosia

comprovata dalla sterile vicenda della pregressa transazione sui ruoli), ma anche per

considerazioni di ordine sostanziale: gli avvisi di liquidazione di cui all'art. 182ter, a

prescindere dalla loro non chiara natura giuridica, derivano da controlli di tipo

formale, dunque agevoli e piuttosto celeri da espletare, ed inoltre presenterebbero un

grado di attendibilità superiore rispetto a quello dell’avviso di accertamento vero e

proprio381.

Ancora, a supporto della menzionata tesi interpretativa è stata richiamata la

diversità dei termini di decadenza previsti dalla normativa tributaria per le

378

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572.

379

Cfr. ancora RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit,

839 e L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 230.

380

Cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 844: la funzione del consolidamento sarebbe

dunque quella di consentire all'Amministrazione di insinuare nella procedura anche crediti non

ancora iscritti a ruolo, superando così l'orientamento consolidato che ritiene necessaria la previa

iscrizione a ruolo per l'ammissione al passivo della procedura.

381

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572 e 2573.

190

liquidazioni automatizzate ed i controlli formali da un lato382, per l'accertamento in

rettifica e quello d'ufficio dall'altro383, nonché le differenti modalità di individuazione

delle rettifiche da apportare alla dichiarazione, che sarebbero effettuate mediante

procedure automatizzate o concordate a tavolino nel primo caso, laddove nel

secondo scaturirebbero da verifiche fiscali e/o dati raccolti presso il contribuente,

presso soggetti terzi ovvero già presenti in Anagrafe Tributaria384.

In conclusione, l'Amministrazione finanziaria sarebbe chiamata ad operare

solamente sui dati già “acquisiti”, come testimonierebbe il riferimento legislativo ai

ruoli già vistati ma non ancora consegnati al concessionario. Alcuni degli autori che

propendono per questa tesi non mancano tuttavia di rilevare le criticità che essa

solleverebbe: in particolare, si è detto che l'assenza di una disposizione che

chiaramente inibisca all'Erario l'ulteriore esercizio dei suoi poteri di accertamento

creerebbe pericolosi margini di incertezza in ordine all'efficacia del consolidamento

fiscale; tanto più che la definitiva determinazione del debito tributario appare come il

principale elemento qualificante l'istituto di cui all’art. 182ter385.

Inoltre, è stata manifestata la sensazione che, inteso in questi termini, il

“consolidamento del debito fiscale” si riduca a ben poca cosa386.

Sono state sollevate perplessità anche per il riferimento legislativo ai soli

tributi scaturenti da dichiarazioni fiscali, che dovrebbe portare ad escludere

dall'ambito del consolidamento le pretese relative, ad esempio, all'imposta di registro

nonché a tutti gli altri tributi indiretti “minori” che non presuppongono una

382

Da attivarsi, rispettivamente, entro l'inizio del primo o del secondo periodo d'imposta successivo

alla presentazione della dichiarazione; nel caso di mancato pagamento, la relativa cartella deve

essere notificata rispettivamente entro il terzo ed il quarto anno successivo a quello di

presentazione della dichiarazione.

383

L'avviso di accertamento va notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno

successivo a quello di presentazione della dichiarazione se trattasi di accertamento in rettifica,

mentre il termine è prorogato di un anno qualora trattasi di accertamento d'ufficio.

384

Cfr. G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del concordato

preventivo, cit., 715.

385

Cfr. A. GUITTO, Opportunità della transazione fiscale e disciplina dei crediti privilegiati

insoddisfatti, cit., 1281, nt. 17.

386

Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 842.

191

dichiarazione periodica387.

Ancora, sono state messe in luce le criticità derivanti dalla circostanza che il

legislatore non ha affatto previsto gli effetti scaturenti dalla violazione del termine di

30 giorni prescritto per il compimento delle attività di liquidazione, notificazione e

certificazione dei carichi fiscali. Da un lato, dunque, si è detto che in mancanza di

una norma ad hoc non sarebbe possibile qualificare l'inutile decorso di quel termine

in termini di silenzio-assenso dell'Amministrazione finanziaria (rispetto alla

quantificazione del debito di imposta operata dal contribuente); dall'altro lato si è

tuttavia sostenuta la perentorietà di tale termine, posto che gli adempimenti a carico

degli uffici e del concessionario sono configurati ripetutamente come doverosi.

Muovendo da tale considerazione viene attribuita efficacia preclusiva al vano

decorso del termine de quo, stante la serrata cadenza temporale delle varie fasi in cui

si articola il concordato preventivo, procedura che il legislatore ha inteso

circoscrivere rigorosamente entro tempi ben precisi388: il superamento dei 30 giorni

per il rilascio delle certificazioni e la notifica della comunicazioni di irregolarità

finirebbe infatti per intralciare i compiti del commissario giudiziale, creare incertezze

fra i creditori, impedire loro un’adeguata ponderazione della proposta e rendere

difficoltoso il calcolo delle maggioranze. Del resto, a supporto di questa rigorosa

interpretazione viene menzionata la prassi, consolidatasi nel tempo, di anticipare la

dichiarazione dei crediti tributari durante la fase di formazione dell'elenco dei

creditori ad opera del commissario, prassi poi formalizzata con il d. lgs. 36 febbraio

387

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572, nt. 32. Secondo G. GAFFURI,

Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1117, laddove non sia prevista la dichiarazione

il contribuente avrebbe l’obbligo di presentare il documento che materializza il rapporto: si pensi

[…] ai tributi indiretti sui trasferimenti onerosi, il cui ordinamento prevede l’esibizione

all’agenzia della scrittura nella quale si identifica l’operazione traslativa”.

388

In particolare, a seguito della presentazione della proposta di concordato con annessa transazione

fiscale il Tribunale, verificati i presupposti di cui agli artt. 160 e 161, con decreto dovrà dichiarare

aperta la procedura di concordato preventivo e disporre la convocazione dei creditori non oltre 30

giorni dalla data del decreto, stabilendo anche il termine per la sua comunicazione ai creditori.

Successivamente, ufficio e concessionario dovranno trasmettere al commissario giudiziale copia

delle certificazioni e degli avvisi di irregolarità emessi ai sensi del comma 2 dell'art. 182ter; il

commissario, a sua volta, dovrà provvedere alla convocazione dei creditori, alla redazione

dell'inventario ed alla predisposizione di una relazione sulle cause del dissesto, sulla condotta del

debitore e sulla proposta di concordato, da depositare in cancelleria almeno 3 giorni prima

dell'adunanza dei creditori. Inoltre, prima di detta adunanza il commissario procederà alla verifica

dell'elenco dei creditori, apportando le eventuali rettifiche (art. 171).

192

1999, n. 46, che ha modificato l'art. 90 del d.P.R. n. 602/1973: detta norma, nella sua

formulazione attuale, prevede che se il debitore è ammesso al concordato preventivo

il concessionario compie, sulla base del ruolo, ogni attività necessaria ai fini

dell'inserimento del credito da esso portato nell'elenco dei creditori della procedura.

Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito

in via provvisoria.

Sulla scorta di queste argomentazioni di sapore “processuale” si è dunque

sostenuto che l'inutile decorso del termine di 30 giorni precluderebbe all'ufficio e al

concessionario la possibilità di partecipare all'adunanza dei creditori e dunque di

esprimere il proprio voto, con la conseguenza di dover subire passivamente gli effetti

scaturenti dalla deliberazione e successiva omologazione del concordato389.

4. La posizione della giurisprudenza.

La giurisprudenza di merito, come visto nel capitolo precedente, concorda nel

qualificare la transazione come sub-procedimento accessorio, e secondo la maggior

parte delle pronunce anche eventuale, ossia non obbligatorio390, rispetto alla

procedura di concordato preventivo, attraverso il quale l'imprenditore mira a

conseguire, qualora ne abbia un effettivo interesse, finalità ulteriori rispetto a quelle

derivanti dall'omologazione del concordato, quali appunto il consolidamento del

debito fiscale attraverso la definitiva quantificazione della propria esposizione

debitoria verso l’Erario e l’estinzione delle liti aventi ad oggetto i tributi ricompresi

nell'istanza di transazione.

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non viene aggiunto null'altro con

specifico riferimento ai due effetti “tipici” dell'istituto. Solo alcuni dei decreti di

omologazione delle proposte di concordato preventivo contenenti una transazione

fiscale hanno cercato di suggerire una possibile chiave di lettura della nozione di

“consolidamento” che vada oltre il semplice riferimento alla “definitiva

quantificazione del complessivo debito d’imposta”: così, il decreto del Tribunale di

389

Cfr. anche L. DEL FEDERICO, Profili processuali della transazione, cit., 3660.

390

Cfr. ex multis Trib. Asti, 3 febbraio 2010, decr., cit. Contra Trib. Roma, 20 aprile 2010, decr., cit.

193

La Spezia del 2 luglio 2009391 precisa che nell'ipotesi di omologazione del

concordato nonostante il voto negativo degli uffici fiscali “la falcidia ivi prevista

sarà vincolante per il fisco, ancorché gli effetti tipici della transazione fiscale non si

realizzino e l'Amministrazione finanziaria mantenga dunque intatto il proprio potere

di procedere ad ulteriori attività di accertamento [...]”.

Sulla preclusione di ulteriori accertamenti come effetto “tipico” della

transazione fiscale, nonché “diverso” dalla semplice remissione e/o dilazione delle

pretese erariali, concordano rispettivamente la Corte d'Appello di Firenze392, secondo

cui la mancata proposizione di un'istanza ex art. 182ter comporta che “resteranno

impregiudicati i poteri di verifica ed accertamento del Fisco”, e il Tribunale di

Pescara393, che parla di “impedimento al successivo esercizio dei poteri accertativi

dell’amministrazione finanziaria sui rapporti tributari oggetto di transazione”.

Ancora, la Corte d'Appello di Torino394 ha ribadito che l'approvazione della

proposta di transazione fiscale determinerebbe “il conseguimento da parte del

debitore di quegli effetti, già definiti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, “tipici”

ed “ulteriori” insiti, in una parola, nel consolidamento della sua posizione fiscale

con riguardo tanto ai tributi già iscritti a ruolo, quanto a quelli ancora in corso di

determinazione (definizione degli accertamenti pendenti, preclusione degli

accertamenti futuri, cessazione delle liti)”; viene ulteriormente precisato che lo

specifico vantaggio insito nella definizione complessiva della posizione fiscale,

“anche con riguardo ai debiti ancora in corso di accertamento e teoricamente

suscettibili di essere opposti al debitore dopo la chiusura della procedura”,

rappresenta un incentivo al ricorso al concordato preventivo, costituendo perciò la

“chiave di lettura” dell'art. 182ter.

391

Cit.. Tale pronuncia è stata confermata da App. Genova, 19 dicembre 2009, decr., cit.

392

Cfr. decreto del 13 aprile 2010, cit.

393

Cfr. decreto del 2 dicembre 2008, in www.ilcaso.it, I, 1630/2009. Secondo i giudici gli effetti

remissori/dilatori, all'opposto, discenderebbero direttamente dall'approvazione e dall'omologazione

della domanda di concordato, secondo la disciplina propria di tale procedura concorsuale, e quindi

possono prescindere dal voto favorevole dell'Amministrazione finanziaria.

394

Cfr. decreto del 23 aprile 2010, cit. Le conclusioni cui perviene tale decreto sono condivise anche

da Trib. Ravenna, 19 gennaio 2011, decr., cit., con riferimento all'effetto esterno di

“cristallizzazione del debito tributario”.

194

Sembrerebbe dunque che la prevalente giurisprudenza di merito aderisca alla

tesi che ricollega alla conclusione di una transazione fiscale, e dunque all’assenso del

Fisco, un effetto preclusivo rispetto ad ulteriori controlli sostanziali sulla posizione

fiscale dell'imprenditore concordatario, con conseguente congelamento dei residui

poteri accertativi ed estinzione delle controversie pendenti.

Quanto alla giurisprudenza di legittimità, nelle due recentissime pronunce

datate 4 novembre 2011395

, con cui la Corte di Cassazione si è espressa a favore della

facoltatività della transazione fiscale e dell'obbligo di un pagamento integrale del

debito Iva anche nell'ipotesi di concordato non comprendente una proposta ex art.

182ter, la Suprema Corte si è soffermata anche sugli effetti “tipici” conseguenti

all'omologazione del concordato con transazione. Rispetto alla norma di cui al

comma 2, secondo la quale il debito tributario si “consolida”, entrambe le sentenze

precisano che tale formulazione è evidentemente atecnica, in quanto nel tessuto

normativo con l'espressione “consolidamento” viene definita una modalità opzionale

di calcolo della tassazione dei redditi di un gruppo di imprese (ex artt. 117 e ss

t.u.i.r.). La Cassazione, inoltre, prende atto del vivace dibattito dottrinale esistente

sul punto, rammentando che il significato dell'espressione, piuttosto complesso, non

è stato ancora univocamente definito: in particolare, nelle due pronunce il concetto

viene impiegato nell'accezione, unanimemente condivisa, di “quadro di insieme del

debito tributario, tale da consentire di valutare la congruità della proposta con

riferimento alle risorse necessarie a far fronte al complesso dei debiti, e certamente

utile a fronteggiare l'incognita fiscale che normalmente grava sui concordati”.

Tuttavia, la Cassazione rammenta anche l'esistenza di un “altro e concorrente

possibile significato dell'espressione sul quale si è interrogata la dottrina [...]:

quello secondo cui tale quadro del debito complessivo cristallizzerebbe la pretesa

tributaria alla data di presentazione della domanda così come qualificata dall'ufficio

con l'esclusione da una parte della facoltà del medesimo di procedere ad ulteriori

accertamenti anche se non sia ancora maturata la decadenza e dall'altra del

debitore di contestare pretese anche se non ancora definitive”. Pertanto, prosegue la

Corte, a seconda del significato che si intenda attribuire al consolidamento “con la

395

Trattasi delle sentenze nn. 22931 e 22932, cit.

195

transazione fiscale il debitore ottiene il vantaggio della apprezzabile o assoluta

certezza sull'ammontare del debito, e quindi una maggiore trasparenza e leggibilità

della proposta con conseguente maggiore probabilità di ottenere, oltre all'assenso

del fisco, anche quello degli altri creditori”.

A ben vedere, dunque, la Cassazione non prende una posizione netta sulla

questione dell'efficacia preclusiva del consolidamento rispetto al successivo ed

eventuale esercizio degli ordinari poteri accertativi: le pronunce, infatti, si limitano

soltanto a rammentare l'esistenza, nel panorama dottrinale, di questa possibile ed

ulteriore chiave di lettura, la quale, come precisato a chiare lettere, viene richiamata

“solo per chiarezza espositiva, non essendo materia del contendere”.

Il consolidamento, dunque, secondo l'opinione dei giudici di legittimità è da

intendersi sicuramente come la fotografia del complessivo carico tributario già

esistente alla data di presentazione della proposta di concordato, con funzione di

fornire agli organi della procedura ed agli altri creditori chiamati al voto un quadro

esaustivo e sufficientemente attendibile dell’esposizione debitoria dell'impresa verso

l'Erario. Se tale quadro di insieme, poi, sia da intendersi anche come definitivo, ossia

tale da garantire una “certezza assoluta” (e non solo meramente “apprezzabile”) circa

l'ammontare dei carichi tributari da soddisfare in moneta concordataria, è una

questione che, esulando dall'oggetto del giudizio, non viene risolta dalle citate

pronunce. Ne deriva quasi l'impressione che la Corte abbia deliberatamente

“liquidato”, almeno per il momento, la problematica dell'efficacia preclusiva del

consolidamento, appellandosi alla sua estraneità rispetto al thema decidendum: il che

potrebbe essere imputabile all’esigenza, avvertita dai giudici di legittimità, di

mostrare cautela e prudenza di fronte ad una questione dai rilevanti risvolti sia pratici

che dogmatici.

Sarebbe interessante, poi, vedere come le Commissione Tributarie

risolverebbero la medesima questione, ovviamente nell'eventualità in cui fossero

impugnati avvisi di accertamento su annualità ed imposte oggetto di transazione

fiscale precedentemente conclusa nell'ambito di un concordato preventivo

omologato: sino ad oggi, infatti, non risultano ancora pronunce che si siano espresse

sul punto.

196

5. Proposta di soluzione interpretativa.

Una volta trascorse in rassegna le varie tesi prospettate in dottrina sul tema del

“consolidamento del debito fiscale”, ed analizzata anche la posizione della

giurisprudenza e dell'Amministrazione finanziaria, è possibile proporre, come

accennato, una soluzione interpretativa che tenga adeguatamente conto sia dei

principi generali che informano il diritto tributario, sia delle disposizioni che

regolano la materia concorsuale, ed in particolar modo la procedura di concordato

preventivo.

La necessità di considerare ambedue le branche dell'ordinamento deriva, come

più volte accennato, dal carattere “ibrido” dell'istituto de quo: la transazione fiscale,

infatti, seppur disciplinata da una disposizione della legge fall., che la colloca

nell'alveo di una procedura di concordato preventivo, o nell’ambito delle trattative

antecedenti la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti, mantiene, per altro

verso, i caratteri propri del procedimento amministrativo di diritto pubblico396. In

realtà sul versante pubblicistico dell'istituto sarebbero precisamente ravvisabili tanti

distinti e paralleli procedimenti quanti sono, in concreto, i soggetti destinatari di una

proposta di transazione: l'Agenzia delle Entrate (per quanto riguarda i tributi da essa

amministrati e i relativi accessori), le altre Agenzie fiscali (per quanto attiene alle

entrate di rispettiva competenza), il concessionario della riscossione (competente per

gli importi iscritti a ruolo), nonché gli enti previdenziali ed assistenziali (a titolo

esemplificativo, Inps, Inail, Enpals, Enasarco ed altri enti gestori di forme di

previdenza e assistenza obbligatorie).

Sarebbe pertanto più corretto, e maggiormente rispondente all’effettiva

“fisionomia” dell’istituto, oltre che alla sua collocazione sistematica, ravvisarvi non

già un unico procedimento, bensì un “fascio” di procedimenti amministrativi

autonomi e gestiti in parallelo da enti diversi, propedeutici all'esplicazione di una

potestà di tipo discrezionale, trattandosi infatti di esprimere una valutazione di

396

Cfr. V. FICARI, Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” del debiti tributari, cit.,

72, che definisce la transazione fiscale come vero e proprio procedimento amministrativo, in cui la

Direzione Regionale delle Entrate assume il ruolo di play maker. In una diversa prospettiva, M.

CORVAIA - A. GUERRA, La transazione fiscale, cit., 1918, sottolineano come la riconduzione

dell'istituto all'art. 160 legge fall. ha comportato la perdita del carattere esclusivo di procedimento

amministrativo che la transazione aveva in precedenza, trovando ora la sua unica ragione

nell'ambito della procedura giudiziale di concordato preventivo.

197

merito sulla convenienza e/o sull’opportunità di una proposta destinata ad incedere

su molteplici interessi, di sicuro rilievo pubblicistico, da contemperare con l'interesse

primario (alla celere ed integrale soddisfazione delle proprie pretese patrimoniali) di

cui ciascuno degli enti coinvolti è titolare.

Tali procedimenti di carattere amministrativo sarebbero completi di quelle fasi

(iniziale, istruttoria e decisoria) che connotano un qualsiasi procedimento di diritto

pubblico. In particolare, la transazione si configurerebbe come procedimento ad

iniziativa di parte, il cui atto di impulso è rappresentato dalla proposta

dell'imprenditore che abbia già formulato un piano di concordato preventivo, ed il

cui contenuto deve conformarsi alle prescrizioni di cui al comma 1 dell'art. 182ter.

Quanto alla fase istruttoria, essa si articola, in primo luogo, nell'attività di

liquidazione delle dichiarazioni presentate dal contribuente, seguita dalla (eventuale)

notifica397 delle relative comunicazioni di irregolarità; occorrerà poi procedere al

rilascio della certificazione attestante l'entità del complessivo carico tributario, sia

quello non ancora iscritto a ruolo, ovvero iscritto in ruoli già resi definitivi ma non

ancora consegnati al concessionario, di competenza dell’Agenzia delle Entrate, sia il

debito iscritto in ruoli già consegnati, di competenza dell’Agente della riscossione.

Quanto alla fase decisoria, in cui il creditorie pubblico è chiamato a formulare le sue

valutazioni di merito sulla proposta di transazione, si è visto nel precedente capitolo

che al silenzio del legislatore in ordine ai criteri che dovrebbero orientarne il giudizio

hanno sopperito le istruzioni impartite con la circolare n. 40/E dell'Agenzia delle

Entrate. Analoghe indicazioni sono contenute in alcune recenti circolari varate da

Inps, Inail ed Enplas, il cui contenuto sarà illustrato più diffusamente nel capitolo

dedicato alla transazione previdenziale.

La peculiarità dei citati procedimenti amministrativi risiede nella circostanza

che i medesimi, una volta che siano state compiute le classiche fasi di impulso,

istruttoria e decisoria, sono destinati a “sfociare” nell'unitaria procedura di

concordato preventivo: questa convergenza si realizza a valle, ossia in sede di

397

Trattasi di un adempimento solo eventuale, in quanto dai controlli automatizzati espletati

dall'ufficio potrebbe anche non emergere alcuna maggiore imposta. Viceversa, la norma non

chiarisce quale sia il trattamento di eventuali esiti di maggior credito derivanti dalla medesima

attività di liquidazione.

198

adunanza dei creditori, assodato che la valutazione di merito del soggetto pubblico è

destinata ad estrinsecarsi nel voto espresso sulla proposta del debitore.

Ne deriva che il voto dell'ente andrà necessariamente apprezzato in una

prospettiva diversa da quella che connota il voto di qualsiasi altro creditore

concordatario: se i creditori privati, infatti, saranno pienamente liberi di aderire o

meno alla proposta sulla scorta della sola convenienza personale della medesima, da

valutare avendo quale unico parametro di riferimento il mero interesse economico di

ciascuno, considerazioni del tutto diverse valgono per i soggetti pubblici destinatari

di un’istanza di transazione. La discrezionalità di cui essi sono investiti implica

infatti, come accennato, la necessaria ponderazione del loro interesse “particolare”

con ulteriori valori non meno degni di tutela, anche di rilievo costituzionale, a

cominciare da quello relativo alla conservazione degli apparati produttivi non ancora

irrimediabilmente decotti, che rappresenta sicuramente il leitmotiv della recente

riforma delle procedure concorsuali. Il voto dell'ente pubblico in seno alla procedura

concorsuale di cui agli artt. 160 e ss., pertanto, è destinato a rimpiazzare il

provvedimento amministrativo che tradizionalmente chiude l'iter procedimentale di

diritto pubblico: tale “surrogazione” non manca di creare molteplici criticità, quali

l'eventuale rilevanza di quei vizi (incompetenza, violazione di legge, eccesso di

potere) suscettibili di inficiare la legittimità di un provvedimento discrezionale,

nonché l’individuazione di possibili rimedi per farli valere.

Nello stesso tempo, trattandosi di un voto formulato in seno ad una procedura

di concordato, governata dal canone della par condicio creditorum, esso andrà

necessariamente allineato ai voti degli altri creditori, ponendosi sul loro stesso piano

e scontando il generale principio maggioritario. Il che potrebbe suggerire di limitare

la rilevanza di eventuali vizi alle sole ipotesi in cui il voto del creditore pubblico

abbia avuto un peso determinante sulla sorte della proposta concordataria, influendo

sulla formazione delle maggioranze, come proposto dalla migliore dottrina in tema di

invalidità o inefficacia del voto del singolo creditore privato398.

Senonché tale considerazione, con riferimento in particolare ai crediti fiscali399,

398

Cfr. A. BONSIGNORI, Concordato preventivo, cit., 348.

399

Il riferimento limitato ai soli crediti fiscali è d'obbligo, sia alla luce dell'incipit del comma 2, che

199

a prima vista potrebbe sembrare riduttiva, nella misura in cui il voto negativo

dell'Erario produce un effetto ulteriore rispetto a quello (eventuale) del rigetto della

proposta di concordato, ossia la mancata conclusione della transazione fiscale, e

dunque il mancato conseguimento degli effetti tipici di consolidamento del debito

fiscale e cessazione del contenzioso pendente. In tale evenienza, dunque, si potrebbe

ipotizzare astrattamente una legittimazione all'impugnazione del voto contrario

anche nel caso in cui il dissenso dell'Amministrazione finanziaria non abbia avuto

un'influenza determinante sull'approvazione della proposta di concordato, in quanto

questa ha raggiunto comunque la maggioranza semplice degli altri creditori votanti.

Accogliendo questa possibile interpretazione si imporrebbe l'ulteriore questione di

individuare il giudice competente a pronunciarsi sulla legittimità del diniego

espresso dall'ufficio. Il punto è stato sommariamente tratteggiato nel capitolo

precedente, dove si è accennato al contrasto che in dottrina vede contrapposti quanti

parteggiano per la giurisdizione del giudice tributario a quanti invece propendono per

quella amministrativa. In quella sede, tuttavia, si è anche detto che l'impugnabilità

del diniego sembrerebbe essere una soluzione eccessiva, non essendo ravvisabile alla

base di essa una situazione giuridica soggettiva azionabile in giudizio, bensì

semplicemente un interesse di mero fatto.

Discorso parzialmente diverso vale per l’altra “tipologia” di transazione fiscale,

ossia quella conclusa in sede di trattative antecedenti la stipula di un accordo di

ristrutturazione dei debiti: la natura negoziale dell’istituto di cui all’art. 182bis,

caldeggiata dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti (propense ad escluderne

la connotazione in termini di autentica “procedura concorsuale”), finisce

inevitabilmente per riflettersi anche sulla transazione fiscale eventualmente conclusa

al suo interno. Sicché non sarebbe azzardato ritenere che l’istituto di cui all’art.

182ter, commi 6 e 7, se per un verso mantiene alcuni dei tratti propri del

procedimento amministrativo di tipo discrezionale, al pari della transazione

perfezionata in sede di concordato preventivo400, sotto il profilo “concorsuale”

circoscrive l'iter procedurale ivi contemplato, ed il connesso effetto di consolidamento, ai “crediti

di natura fiscale”, sia sulla scorta del comma 5, che circoscrive l'effetto estintivo alle sole liti

aventi ad oggetto “tributi”. L'eventuale estinzione di tali effetti anche ai contributi e premi oggetto

di una proposta transattiva sarà esaminata nel prosieguo. 400

In particolare, l’iter sarebbe molto simile, ravvisandosi anche qui la fase di impulso (deposito della

200

presenterebbe un più marcato carattere negoziale, in quanto l’iter è destinato a

concludersi con un autentico “accordo” sottoscritto da entrambe le parti. Si tratterà

dunque di valutare se vi sia spazio per l’eventuale applicazione dei principi generali

che regolano il negozio giuridico, e soprattutto la materia contrattuale: la questione

sarà approfondita nel capitolo V.

Queste preliminari considerazioni, afferenti alla collocazione sistematica

dell'istituto, consentono di affrontare con maggiore cognizione di causa il tema

oggetto del presente capitolo, ossia il significato della locuzione “consolidamento del

debito fiscale”: una plausibile ipotesi interpretativa, infatti, non può prescindere dal

considerare la portata di tale effetto sul duplice versante amministrativo, o meglio

amministrativo-tributario, e concorsuale dell’istituto.

Come si è visto, infatti, occorre tenere ben distinti i due piani, con il risultato

che sarà possibile attribuire al consolidamento valenza soltanto “formale” (o endo-

procedimentale) ovvero anche “sostanziale”, a seconda che si intenda circoscrivere

tale effetto alla sola procedura di concordato o lo si estenda anche al distinto versante

tributario. Quest’ultima, come visto, è la tesi fatta propria da autorevole corrente

dottrinale, secondo cui la definitiva determinazione del carico tributario è destinata a

riflettersi inevitabilmente sui poteri di accertamento del Fisco, nel senso di

precluderne il successivo esercizio nonché, secondo alcuni, obbligare

l'Amministrazione ad anticipare i propri controlli di merito nel lasso temporale di

trenta giorni dalla presentazione della proposta. All'opposto si colloca la tesi di altra

dottrina, non meno autorevole, secondo cui il “consolidamento” avrebbe valore solo

formale, o meglio procedimentale, nel senso che è stato chiarito in precedenza.

Si è visto anche che non si è ancora consolidato sul punto un orientamento

interpretativo unanime, come ammesso recentemente anche dalla Corte di

Cassazione401; del resto ambedue le teorie sono suffragate da valide argomentazioni.

Né mancano tesi intermedie, come quella dell'efficacia meramente “liquidatoria” del

consolidamento, o letture fortemente restrittive e pregiudizievoli per l'Erario, quali la

proposta ad opera del debitore), quella istruttoria (liquidazione delle dichiarazioni, notifica dei

relativi avvisi e rilascio della certificazione da parte dell’ufficio competente), e quella decisoria

(valutazione di merito), come attesta anche il richiamo al comma 2 dell’art. 182ter. 401

Cfr. le due sentenze del 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, più volte citate.

201

tesi che fa discendere gli effetti sostanziali del consolidamento (anticipazione dei

controlli di merito e congelamento dei residui poteri accertativi) dalla mera

omologazione del concordato, a prescindere dall'assenso prestato dal Fisco, se non

addirittura dal solo rilascio della certificazione di cui al comma 2,

indipendentemente, sembrerebbe, dalla sorte dell’iter concordatario.

Il carattere ibrido della transazione fiscale impone dunque lo sforzo di

coordinare il non meglio precisato effetto di “consolidamento del debito fiscale” sia

con la normativa tributaria, sia con i principi generali e le regole che governano la

procedura di concordato preventivo.

Quanto al rapporto tra transazione e diritto tributario, si tratta di vedere come

l'art. 182ter si concili con le norme che disciplinano i poteri istruttori ed accertativi

del Fisco, verificando se quella disposizione abbia un’effettiva efficacia derogatoria

rispetto alle medesime, tale cioè da imporre l'anticipazione dei controlli di merito e/o

precluderne l’ulteriore, successivo esercizio.

Relativamente al rapporto tra transazione fiscale e concordato preventivo, si

tratta di individuare una possibile chiave di lettura che armonizzi la cristallizzazione

del debito tributario con i principi cardine che informano questa procedura

concorsuale, quali in particolare il ruolo del commissario giudiziale, l'assenza di una

fase di accertamento del passivo e la prosecuzione degli ordinari giudizi di

cognizione per i crediti contestati.

5.1. Il rapporto fra l'art. 182ter e i poteri pubblicistici

dell'Amministrazione finanziaria.

Sul versante tributario dell'istituto, come accennato, soccorre il confronto con

le disposizioni che disciplinano i poteri di cui l'Amministrazione finanziaria è

investita, in qualità di titolare della sovrana potestà di imposizione.

In particolare, il legislatore tributario ha previsto un’ampia gamma di poteri

istruttori, che vanno, per citare solo i principali, dalla possibilità di effettuare accessi,

ispezioni e verifiche all'invio di questionari, dalla richiesta di chiarimenti, anche con

l'eventuale convocazione personale del contribuente, all'effettuazione di indagini

bancarie. Le disposizioni di riferimento sono contenute negli artt. 32 e 33 del d.P.R.

n. 600/1973 in materia di imposte dirette (Irpef, Ires ed Irap) e 51 e 52 del d.P.R. n.

202

633/1972 in materia di Iva. Le norme che disciplinano accessi, ispezioni e verifiche

ai fini Iva sono applicabili anche all'imposta di registro, nonché all'imposta sulle

successioni e donazioni, in forza del rinvio esplicito contenuto, rispettivamente,

nell'art. 51, ultimo comma del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e nell'art. 34, comma 4

del d. lgs. 31 ottobre 1990, n. 346; quanto agli altri poteri istruttori, l'art. 53bis del

citato d.P.R. n. 131/1986 statuisce che le disposizioni di cui agli artt. 31 e ss. del

d.P.R. n. 600/1973 sono applicabili sia all'imposta di registro, sia a quelle ipotecaria

e catastale. Chiude il quadro l'art. 47 del d. lgs. n. 346/1990, il quale prevede che

l'ufficio può chiedere ai soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione di

successione la produzione di documenti, la comparizione di persona per fornire

indicazioni utili ai fini dell'accertamento, nonché l'invio di questionari con invito a

restituirli debitamente compilati e sottoscritti.

Trattasi di poteri funzionali all'esplicazione della potestà di accertamento di cui

l'Amministrazione finanziaria è investita, intendendosi come tale il potere di

quantificare la reale dimensione del presupposto impositivo, portando in luce una

base imponibile eventualmente maggiore rispetto a quella denunciata unilateralmente

dal contribuente, sia in sede di dichiarazione (qualora trattasi di tributi per i quali è

previsto l'obbligo di presentare una dichiarazione con cadenza annuale, quali le

imposte sui redditi, l'Iva, l'Irap, nonché le ritenute operate dal contribuente in qualità

di sostituto d'imposta), sia in atti dal medesimo prodotti (in relazione a quei tributi

per i quali non è prevista la presentazione di una dichiarazione, come ad esempio le

imposte di registro, ipotecaria e catastale, per le quali la misura del tributo dovuto si

ottiene applicando determinate aliquote al valore dichiarato dal contribuente nell'atto

sottoposto a registrazione e/o trascrizione nei registri immobiliari). La maggiore

imposta emersa a seguito dell'esercizio dei menzionati poteri istruttori, ovvero quella

accertata sulla scorta dei dati già in possesso dell'Amministrazione finanziaria402,

andrà quantificata in un atto motivato, in quanto contenente a pena di nullità

l'enunciazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche alla base della

pretesa impositiva; la denominazione di tale atto varia a seconda della tipologia di

402

Si pensi all'accertamento parziale ex art. 41bis del d.P.R. n. 600/1973, in cui l'esistenza di un

reddito non dichiarato o di un maggior reddito imponibile può essere desunta, tra l'altro, dai dati

presenti in Anagrafe Tributaria.

203

imposta accertata, sicché si parlerà di “avviso di accertamento” per le imposte dirette

e l'Iva, “avviso di liquidazione e rettifica” per le imposte di registro, ipotecaria e

catastale, nonché per l'imposta sulle successioni e donazioni, ovvero ancora “atto di

recupero” nell'ipotesi in cui la pretesa impositiva si estrinsechi nel recupero di crediti

d'imposta non spettanti, già rimborsati o altrimenti fruiti indebitamente dal

contribuente403. Le disposizioni che attengono al potere di accertamento in materia di

tributi erariali quelle dettate agli artt. 37 e ss. del d.P.R. n. 600/1973 per quanto

attiene alle imposte dirette, 54 e ss. del d.P.R. n. 633/1972 per quanto attiene all’Iva,

52 del d.P.R. n. 131/1986 con riferimento all’imposta di registro, nonché alle

imposte ipotecaria e catastale, nonché 34 e 35 del d. lgs. n. 346/1990 per l’imposta di

successione e donazione.

L'atto impositivo, inoltre, va notificato al contribuente nel rispetto dei rigorosi

termini di decadenza previsti dalla normativa tributaria. In particolare, per le imposte

dirette e l’Iva il termine è il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la

dichiarazione è stata presentata (accertamento in rettifica), oppure nell'ipotesi di

omessa dichiarazione del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione

avrebbe dovuto essere presentata (accertamento d'ufficio). Ancora, l’art. 76 del t.u.

sull'imposta di registro fissa in cinque anni il termine decadenziale per procedere

all'accertamento dell'imposta dovuta su atti non registrati, ridotto a due anni,

decorrenti dal pagamento, nel caso in cui si provveda alla rettifica ed alla

liquidazione della maggiore imposta dovuta (imposta “complementare”), oppure tre

anni, decorrenti dalla richiesta di registrazione nel caso di imposta “principale”,

ovvero dalla data della registrazione nel caso di imposta “suppletiva”404. Analoghi

403

L'atto (o avviso) di recupero di crediti di imposta indebitamente utilizzati in tutto o in parte è stato

introdotto nel nostro ordinamento dall'art. 1, comma 421 della l. 30 dicembre 2004, n. 311

(Finanziaria 2005), il quale ne prevede l'obbligo di notifica secondo le regole ordinarie; il

successivo comma 422 dispone che il mancato versamento delle somme richieste nel termine

assegnato dall'ufficio, e comunque non inferiore a 60 giorni, costituisce titolo per l'iscrizione a

ruolo delle medesime. In più occasioni la giurisprudenza di legittimità ha statuito che gli atti di

recupero, oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario,

costituiscono manifestazioni della volontà impositiva da parte dello Stato, al pari degli avvisi di

accertamento e liquidazione, e come tali sono autonomamente impugnabili dinanzi alle

Commissioni tributarie, anche se emessi anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 311/2004

(cfr. Cass., 22 marzo 2011, n. 6582, nonché Cass., 3 febbraio 2009, n. 4968, entrambe reperibili in

banca dati Fisconline).

404

Le definizioni di “imposta principale”, “complementare” e “suppletiva” sono contenute nell'art. 42

204

termini di decadenza (cinque anni per l'ipotesi di omessa dichiarazione, due per la

rettifica della dichiarazione incompleta ed infedele con conseguente liquidazione

della maggiore imposta da corrispondere, tre per la liquidazione dell'imposta dovuta,

decorrenti dalla data di presentazione della dichiarazione di successione) sono

previsti in materia di imposta sulle successioni e donazioni dall'art. 27 del citato d.

lgs. n. 346/1990. Infine, l'art. 37 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 in materia di

imposta di bollo prevede che l'Amministrazione finanziaria può procedere

all'accertamento delle violazioni nel termine di tre anni a decorrere dal giorno in cui

l’infrazione è stata commessa.

Inoltre, il legislatore tributario riconosce all'Amministrazione la facoltà di

emanare un nuovo avviso di accertamento, integrativo o modificativo in aumento di

un avviso precedente, nell'ipotesi di “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”, a

condizione che non siano ancora scaduti gli ordinari termini di decadenza e che il

nuovo avviso contenga la specifica indicazione dei nuovi elementi istruttori e degli

atti o fatti attraverso i quali detti elementi sono pervenuti a conoscenza dell'ufficio: le

norme di riferimento sono contenute negli artt. 43, comma 4 del d.P.R. n. 600/1973 e

57, comma 4 del d.P.R. n. 633/1972, concernenti rispettivamente le imposte dirette e

l'Iva. Si discute in merito alla possibilità di estendere in via analogica tali

disposizioni anche alle altre imposte indirette: la migliore dottrina tende ad

escluderlo, poiché la successiva integrazione o modifica in aumento di un precedente

atto impositivo, costituendo una deroga al principio generale di unicità

dell'accertamento, sarebbe possibile nei soli casi tassativamente previsti dal

legislatore, altrimenti dovendo l'Amministrazione riversare in via esaustiva le proprie

pretese in un unico atto. Senonché per le imposte indirette un'espressa deroga di

siffatto tenore non si rinviene in alcuna disposizione di legge, né sarebbe altrimenti

giustificabile, data la maggiore semplicità strutturale della loro base imponibile,

nonché la predeterminazione ex lege ed oggettività dei parametri secondo i quali

del d.P.R. n. 131/1986: in particolare, è principale l'imposta applicata al momento della

registrazione dell'atto e quella richiesta dall'ufficio, se diretta a correggere errori ed omissioni

effettuati in sede di autoliquidazione (il meccanismo dell'autoliquidazione dell'imposta di registro,

nonché di quelle ipotecaria e catastale, si applica alla registrazione in via telematica); è suppletiva

l'imposta applicata successivamente, se diretta a correggere errori e/o omissioni commesse

dall'ufficio; complementare quella applicata in ogni altro caso (ad esempio qualora risulti che il

valore venale dei beni e diritti sia superiore rispetto a quello dichiarato in atto).

205

l'Amministrazione dovrà procedere alla rettifica del maggior valore405.

Premessa questa sintetica rassegna sui poteri dell'Amministrazione finanziaria,

si tratta di stabile, come sopra accennato, se la norma di cui all'art. 182ter sia in

grado di derogare alle disposizioni che tali poteri disciplinano, nel duplice senso di

imporre l'effettuazione dei controlli di merito, con la notifica di eventuali avvisi di

accertamento, nei trenta giorni dalla presentazione di una proposta di transazione

fiscale, ed al tempo stesso precludere del tutto ogni attività accertativa successiva

all'omologazione del concordato.

Considerazioni di ordine testuale e sistematico dovrebbero indurre ad escludere

l'ipotizzata efficacia derogatoria.

Dal punto di vista testuale soccorre la lettera art. 182ter. Il comma 2, infatti,

obbliga l'ufficio solamente a procedere alla “liquidazione dei tributi risultanti dalle

dichiarazioni”, con “notifica dei relativi avvisi di irregolarità”; la medesima

disposizione, poi, sancisce l’obbligo, a carico del debitore, di depositare “copia delle

dichiarazioni per le quali non è pervenuto l'esito dei controlli automatici”. È chiaro

che il legislatore, impiegando termini quali quelli di “liquidazione”, “controlli

automatici” e “avvisi di irregolarità”, abbia inteso circoscrivere gli adempimenti a

carico dell'ufficio alla sola attività di cui ai più volte citati artt. 36bis e 54bis, in cui

figura una terminologia analoga. In particolare, la nozione di “liquidazione”

campeggia nella rubrica di ambedue le citate disposizioni, laddove i “controlli

automatici” cui allude l'art. 182ter non sarebbero null'altro che le “procedure

automatizzate” menzionate dalle due norme tributarie. Quanto poi agli “avvisi di

irregolarità”, seppur tale espressione non figura in alcuna delle richiamate

disposizioni406, e nonostante in dottrina ne sia stata proposta un'interpretazione

estensiva407, si ritiene che essa alluda alla “regolarizzazione degli aspetti formali” di

405

Cfr. P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, cit., 341.

406

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572, secondo cui l'espressione “avvisi

di irregolarità” è assolutamente atecnica, in quanto risulta del tutto estranea alla classica

denominazione degli atti impositivi. In senso conforme cfr. anche L. TROMBELLA, Riflessioni

critiche sulla transazione fiscale, cit., 606, che definisce lo strumento degli “avvisi di irregolarità”

“sicuramente inedito”.

407

Cfr. sempre L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 607, secondo cui

206

cui al comma 3 degli artt. 36bis e 54bis: del resto l'uso, ampiamente invalso nella

prassi linguistica dell'Agenzia delle Entrate, del termine “comunicazione” o “avviso”

per designare l'atto contenente l'esito di quella regolarizzazione non dovrebbe dare

adito a dubbi di sorta in ordine alla volontà legislativa di circoscrivere l'attività

istruttoria da compiersi ex art. 182ter, comma 2 alla sola attività di liquidazione nel

senso proprio del termine. Tale attività, lo si ribadisce, si concreta nella correzione

degli errori materiali e/o di calcolo commessi nella compilazione della dichiarazione,

nonché nella verifica della regolarità dei versamenti dovuti, da effettuarsi

esclusivamente sulla base dei dati indicati nella dichiarazione medesima, senza

necessità di un raffronto con elementi ad essa esterni; pertanto la liquidazione viene

espletata ordinariamente tramite procedure automatizzate.

Per le stesse motivazioni di ordine testuale si ritiene che l'ufficio non sia

obbligato anche a procedere al “controllo formale” delle dichiarazioni dei redditi di

cui all'art. 36ter del d.P.R. n. 600/1973408: controllo che, diversamente dall'attività di

con tale termine il legislatore avrebbe inteso far riferimento “a tutti gli atti con i quali è possibile

la rideterminazione autoritativa del debito fiscale, siano essi avvisi di liquidazione oppure veri e

propri atti di accertamento”.

408 L’art. 36ter dispone che “Gli uffici periferici dell'Amministrazione finanziaria, procedono, entro il

31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione, al controllo formale delle

dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta' sulla base dei criteri selettivi

fissati dal Ministro delle finanze, tenendo anche conto di specifiche analisi del rischio di evasione

e delle capacità operative dei medesimi uffici. Senza pregiudizio dell'azione accertatrice a norma

degli articoli 37 e seguenti, gli uffici possono:a) escludere in tutto o in parte lo scomputo delle

ritenute d'acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti d'imposta, dalle comunicazioni di

cui all'articolo 20, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,

n. 605, o dalle certificazioni richieste ai contribuenti ovvero delle ritenute risultanti in misura

inferiore a quella indicata nelle dichiarazioni dei contribuenti stessi;b) escludere in tutto o in

parte le detrazioni d'imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli

elenchi di cui all'articolo 78, comma 25, della legge 30 dicembre 1991, n. 413;c) escludere in tutto

o in parte le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o

agli elenchi menzionati nella lettera b);d) determinare i crediti d'imposta spettanti in base ai dati

risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti;e) liquidare la maggiore

imposta sul reddito delle persone fisiche e i maggiori contributi dovuti sull'ammontare

complessivo dei redditi risultanti da più dichiarazioni o certificati di cui all'articolo 1, comma 4,

lettera d), presentati per lo stesso anno dal medesimo contribuente;f) correggere gli errori

materiali e di calcolo commessi nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.Ai fini dei commi 1 e 2,

il contribuente o il sostituto d'imposta e' invitato, anche telefonicamente o in forma scritta o

telematica, a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o

trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione o difformi dai

dati forniti da terzi. L'esito del controllo formale e' comunicato al contribuente o al sostituto

d'imposta con l'indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle

imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarate, per consentire anche la

207

liquidazione di cui all'art. 36bis, consiste in un raffronto fra i dati esposti in

dichiarazione e la documentazione prodotta dal contribuente su richiesta

dell'Amministrazione, allo scopo di appurare l'effettiva spettanza di deduzioni,

detrazioni e crediti d'imposta409.

A fortiori, la lettera dell'art. 182ter non contiene alcun riferimento né ai

variegati poteri istruttori di cui l’Amministrazione è titolare, né all’attività di

accertamento o controllo “sostanziale”, ben più incisiva della mera liquidazione della

dichiarazione, in quanto diretta ad appurare la misura reale dell'imponibile al di là di

quanto dichiarato, in modo tale da contrastare fenomeni di evasione o elusione

d'imposta. Né potrebbe avallare una diversa soluzione interpretativa il riferimento

testuale agli “atti di accertamento” di cui al medesimo comma 2 dell'art. 182ter: la

disposizione testé menzionata, infatti, non impone di procedere ex novo al “controllo

delle dichiarazioni”, di cui agli artt. 37 e ss. del d.P.R. n. 600/1973, ed alla notifica

dei relativi avvisi di accertamento, immediatamente dopo la presentazione di una

proposta di transazione fiscale. Quel richiamo, viceversa, è da intendersi circoscritto

agli avvisi di accertamento che siano stati già emanati dall'ufficio e notificati al

contribuente in data anteriore al deposito dell’istanza: tali atti andranno infatti

ricompresi nella certificazione da rilasciare al debitore. La circostanza, poi, che detti

avvisi possano essere anche “non definitivi”, nel senso di contenere una

quantificazione del debito tributario non ancora certa ed assoluta, perché già

impugnati dinanzi al giudice tributario, ovvero perché non siano ancora decorsi i

termini per impugnarli, presuppone indubbiamente che un atto, sia pure soltanto

provvisorio, vi sia già410.

Sotto il profilo sistematico viene alla mente l'art. 2 dello Statuto dei diritti del

segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di

controllo formale entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione.”

409 Parte della dottrina, all'opposto, propende per ricomprendere nella locuzione “controlli automatici”

anche il controllo ex art. 36ter: cfr. ex multis E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato

preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 26, nt. 41.

410

Del resto, la dottrina è assolutamente unanime nel ritenere che in assenza di notificazione l'avviso

di accertamento è da reputarsi non già nullo, quanto piuttosto giuridicamente inesistente: cfr ex

multis E. ALLORIO, Diritto processuale tributario, Utet, Torino, 1969, 471, secondo cui “l'avviso

di accertamento non è distinguibile dalla sua notificazione al contribuente: non esiste, se non in

quanto è notificato”.

208

contribuente, che impone al legislatore di varare le disposizioni tributarie in modo

“chiaro” e “trasparente”: assodato che la disposizione di cui all'art. 182ter ha

indubbiamente anche una valenza tributaria, seppur inserita nel contesto della legge

fall., è chiaro che una lettura tesa ad estrapolarne una portata diversa ed ulteriore

rispetto a quella ricavabile sulla base del solo dato testuale finirebbe per violare quei

canoni di chiarezza e trasparenza, che si vorrebbe informino tutte le disposizioni

tributarie.

Senza considerare che l'ultimo comma del menzionato art. 2, nel prescrivere

che “le disposizioni modificative di leggi tributarie debbono essere introdotte

riportando il testo conseguentemente modificato”, sembrerebbe presupporre che

anche le disposizioni soltanto derogatorie rechino menzione del testo di legge cui si

intende derogare, quantomeno sottoforma di riferimento agli estremi identificativi

della norma derogata: ne deriva che se la volontà sottesa all'art. 182ter fosse stata

effettivamente quella di derogare alla normativa disciplinante i termini e le modalità

ordinarie di esplicazione dell'attività di accertamento, vi sarebbe stata sicuramente

una clausola del tipo “In deroga alle disposizioni di cui agli articoli...”, o altra

equivalente formulazione. Il che, del resto, è perfettamente coerente con il modus

operandi del nostro legislatore tributario, il quale, laddove ha inteso apportare

deroghe alla normativa de qua, introducendo limiti ai normali poteri di accertamento

dell'Amministrazione finanziaria, ha espresso la propria volontà in modo

assolutamente chiaro ed inequivoco: si pensi, ad esempio, alle disposizioni introdotte

dall'ultima legge condonistica, ossia la l. 27 dicembre 2002, n. 289, il cui art. 7,

comma 11, nel disciplinare gli effetti della definizione automatica dei redditi di

impresa e di lavoro autonomo risultanti da dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre

2002, ha previsto espressamente che la medesima definizione inibisce l'esercizio dei

poteri di cui agli articoli 32, 33, 38, 39 e 40 del d. P.R. n. 600/1973, ed agli articoli

51, 52, 54 e 55 del d.P.R. n. 633/1972. Ancora, l'art. 8 della medesima legge, che

consente l'integrazione delle dichiarazioni relative a periodi di imposta per i quali i

termini di presentazione della dichiarazione siano già scaduti alla data del 31 ottobre

2002, dispone al comma 6, lettera a) “la preclusione, nei confronti del dichiarante e

dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario e contributivo”, ed analoga

previsione è contenuta nel successivo art. 9, comma 10, lettera a).

209

Per le menzionate esigenze di chiarezza e trasparenza, che dovrebbero guidare

il legislatore nella redazione delle norme di diritto tributario, sarebbe stato più

opportuno che l'art. 182ter avesse contenuto un rinvio esplicito agli artt. 36bis e

54bis, in luogo di “sintetizzarne” il contenuto tramite l'uso delle espressioni

linguistiche sopra esaminate: non fosse altro perché la stessa l. n. 212/2000, al

comma 3 del citato art. 2, prescrive che i rinvii a disposizioni tributarie si fanno

indicando “anche” il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare

rinvio, dando per scontato che il rinvio presupponga almeno un richiamo agli estremi

formali che identificano quella disposizione, ossia l'atto normativo e l'articolo che la

contiene.

Sempre sotto un profilo logico-sistematico non si può non rilevare, poi, che

l'anticipazione dei controlli di merito entro il termine di 30 giorni dalla presentazione

dell'istanza di transazione, con efficacia preclusiva rispetto ad ogni successiva ed

ulteriore attività di accertamento, sarebbe a dir poco impossibile: non si può

dissentire da quella corrente dottrinale, in precedenza richiamata, che rileva come

tale lasso temporale non terrebbe assolutamente conto della complessità delle attività

istruttorie funzionali alla ricostruzione dell’imponibile reale, la quale richiede

controlli così accurati ed indagini tanto minuziose che sarebbe assurdo pensare di

completare in un termine così esiguo.

Del resto soccorre ancora una volta la normativa dettata dallo Statuto del

contribuente, ed in particolare la disposizione di cui al comma 5 dell'art. 6, il quale

prevede che qualora l'Amministrazione finanziaria abbia invitato il contribuente a

fornire chiarimenti o esibire documenti, il termine all'uopo accordato deve essere

congruo e “comunque non inferiore a trenta giorni”: ne deriva che sarebbe

contraddittorio ritenere che l'ufficio debba richiedere informazioni o documentazione

non oltre i trenta giorni dalla presentazione di una proposta di transazione, al fine di

esercitare e concludere i controlli di merito entro il medesimo lasso temporale,

laddove contemporaneamente l'imprenditore concordatario avrebbe a disposizione,

per adempiere alla suddetta richiesta, un termine minimo esattamente identico.

Ancora, il comma 5 dell'art. 12 prevede che la durata delle verifiche fiscali presso la

sede del contribuente non può eccedere i trenta giorni, prorogabili per altri trenta nei

casi di particolare complessità dell'indagine (peraltro, a seguito delle novità

210

introdotte con l'art. 7, comma 2, lettera c) del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito

con l. 12 luglio 2011, n. 106, il termine per la permanenza degli operatori tributari

civili e militari è ridotto a 15 giorni, prorogabili di altri 15, nel caso in cui il

contribuente sia un lavoratore autonomo o un'impresa in contabilità semplificata):

anche in tale evenienza il termine ivi contemplato non si concilierebbe con quello

previsto dall'art. 182ter, qualora a quest'ultima disposizione fosse attribuita valenza

anticipatoria dei controlli di merito411. Senza considerare che il comma 7 della

disposizione da ultimo citata attribuisce al contribuente la facoltà di comunicare

entro 60 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione osservazioni e

richieste, che l'ufficio sarà tenuto a valutare; in tale evenienza l'avviso di

accertamento non può essere emanato prima della scadenza di detto termine, salvo

casi di particolare e motivata urgenza.

In altri termini, aderendo alla tesi dell'efficacia preclusiva del consolidamento

del debito fiscale, si finirebbe di fatto per privare definitivamente l'Amministrazione

finanziaria di ogni possibilità di esercitare i propri controlli sostanziali, finendo quasi

per ridurre la transazione ad una sorta di “condono individuale”412, che del resto

nemmeno sarebbe rimesso ad una libera scelta del contribuente, come accade invece

negli ordinari condoni fiscali, che ancorano automaticamente la definizione di ogni

pendenza tributaria, con la conseguente estinzione dei residui poteri di accertamento,

411

Del resto, l'impossibilità di concludere le verifiche fiscali nel termine di cui all'art. 182ter è ancora

più marcata se si aderisse all'orientamento dell'Agenzia delle Entrate (cfr. circolare n. 64/E del 27

giugno 2011, in www.agenziaentrate.gov.it) e della Guardia di Finanza (cfr. circolari n. 259400 del

17 agosto 2000 e n. 1 del 29 dicembre 2008, in Banca Dati BIG, Ipsoa), secondo il quale il

termine di cui all'art. 12, comma 5 dello Statuto di diritti del contribuente (30 giorni, più eventuale

proroga di altri trenta) dovrebbe intendersi come riferito al numero di giorni di permanenza

effettiva dei verificatori presso la sede del contribuente, e quindi non rappresenta il tempo

massimo di esecuzione del controllo. In giurisprudenza non si registra un orientamento uniforme:

se alcune pronunce hanno avallato l'interpretazione dell'Amministrazione, reputando irrilevante, ai

fini della validità dell'avviso di accertamento, la durata delle operazioni ispettive, altre sentenze

hanno ritenuto che il mancato rispetto di questo termine massimo implichi la violazione di un

diritto del contribuente, comportando la nullità dell'avviso di accertamento: cfr. in tal senso

Comm. Trib. Prov. Terni, 16 dicembre 2009, n. 141, Comm. Trib. Reg. Piemonte, 7 maggio 2009,

n. 26 e Comm. Trib. Reg. Lombardia, 19 marzo 2008, n. 12, in Banca Dati BIG, Ipsoa.

412

Parla di “condono permanente”, sia pure sotto l'egida di un controllo giudiziale e nell'ambito di un

processo cui partecipano anche gli altri creditori, il documento redatto dal Consiglio Nazionale dei

Dottori Commercialisti – Commissione Procedure Concorsuali – Gruppo di Lavoro Decreti

Competitività, dal titolo Osservazioni sullo schema di d. lgs. recante la riforma organica della

disciplina delle procedure concorsuali.

211

alla volontà del privato, accompagnata ovviamente dal pagamento di un quantum

predeterminato dal legislatore: in sede di transazione fiscale, viceversa, la

cristallizzazione dei carichi tributari, con l'ipotizzato congelamento di ogni ulteriore

potere impositivo, sarebbe di fatto rimessa alla volontà dell'Amministrazione, nella

misura in cui è la stessa a poter decidere se concludere o meno una transazione

fiscale, ed è intuibile che a queste condizioni ben difficilmente la stessa acconsentirà

ad una soluzione tanto drastica, che renderebbe ancora più profondo il vulnus inferto

al principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria. A meno che non si voglia

aderire a quella tesi dottrinale, ancora più radicale e restrittiva per la stessa

Amministrazione, secondo cui la preclusione sostanziale conseguirebbe alla mera

omologazione del concordato, indipendentemente dall'avvenuta conclusione di una

transazione fiscale, cioè anche a prescindere dall'assenso espresso dal Fisco in

adunanza: soluzione, questa, ancor più inaccettabile, poiché finirebbe per lasciare i

poteri accertativi in balia della restante parte del ceto creditorio e del successivo

apprezzamento del giudice ordinario, il quale è oltretutto privo di ogni giurisdizione

in materia fiscale.

Del resto, anche ammettendo assurdamente che l'ufficio riesca a concludere la

propria attività istruttoria e notificare un avviso di accertamento nei trenta giorni

dalla presentazione dell'istanza di transazione, soccorrerebbero diverse criticità. In

primo luogo non vi sarebbe praticamente alcuno spazio concreto per un confronto

con l'interessato, mancando a costui il tempo necessario per proporre eventuali

osservazioni sul processo verbale, ed all'ufficio quello occorrente per valutarle

adeguatamente: ciò contrasterebbe con un principio, quello del contraddittorio in

sede di accertamento tributario, la cui valenza in termini di principio generale è

tuttora fortemente discussa, anche se ad esso talvolta la giurisprudenza di legittimità

ha riconosciuto valore di canone fondamentale ed inderogabile, la cui violazione

sarebbe causa di nullità dell'atto impositivo413. In secondo luogo, anche ammesso che

413

Cfr. Cass., 28 luglio 2006, n. 17229, in GT, 2006, 1048, in materia di accertamento in base a studi

di settore, nonché Cass., 11 giugno 2010, n. 14105, in GT, 2010, 875; non mancano tuttavia

pronunce discordanti: cfr. Cass., 29 dicembre 2010, n. 26316, in Corr. trib., n. 5/2011, 380 e ss. Il

principio del contraddittorio in ambito tributario, dunque, non può ancora considerarsi consolidato

in giurisprudenza: cfr. A. MARCHESELLI, Contraddittorio e procedimento tributario, un passo

indietro e due avanti, in Corr. trib., n. 5/2011, 376 e ss. Del resto, la vigenza di un principio

generale di partecipazione del contribuente all'attività di accertamento tributario è controversa

212

il contribuente riesca a presentare le proprie memorie ai sensi del citato art. 12,

comma 7 della l. n. 212/2000, occorre dare atto di quell'indirizzo giurisprudenziale

che, in relazione alla rigorosa scansione temporale prevista da questa disposizione,

ritiene che la notifica immotivata dell'avviso di accertamento prima dei 60 giorni

dalla presentazione delle memorie da parte del contribuente è causa di nullità

dell'avviso medesimo, in quanto violerebbe un suo diritto soggettivo414.

Infine, non può non assumere un certo rilievo anche l'argumentum per

analogiam. Sotto questo profilo, soccorre il confronto con gli altri strumenti

deflattivi del contenzioso tributario, nessuno dei quali determinerebbe il definitivo

congelamento dei residui poteri accertativi dell'Amministrazione. In particolare,

quanto all'accertamento con adesione, è lo stesso legislatore a prevedere testualmente

che “la definizione non esclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice [...] se

sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibili accertare

un maggior reddito, superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore

a € 77.468,53” (cfr. art. 2, comma 4, lettera a) del d. lgs. n. 218/1997)415. Del pari, i

nuovi istituti dell'adesione agli inviti al contraddittorio e ai processi verbali di

constatazione, introdotti nel corso del 2008, sarebbero anch'essi soggetti, secondo la

dottrina, all'analogo principio rebus sic stantibus416. Sicché, anche qualora si optasse

per la tesi più rigorosa, che riconnette all'intervenuta conclusione di una transazione

fiscale efficacia inibitoria rispetto ad ogni ulteriore attività accertatrice, non potrebbe

anche in dottrina: cfr. R. MICELI, La partecipazione del contribuente alla fase istruttoria, in AA.

VV., Statuto dei diritti del contribuente, a cura di A. FANTOZZI e A. FEDELE, Giuffrè, Milano,

2005, 671 e ss. Fra i contributi più recenti sul tema si segnala quello di F. GALLO,

Contraddittorio procedimentale e attività istruttoria, in Dir. prat. trib., 2011, 467 e ss.

414

Cfr. Corte Cost., 24 luglio 2009, n. 244, ord., Cass., 3 novembre 2010, n. 22320, e Cass., 15 marzo

2011, n. 6088, ord., tutte in Corr. trib., n. 21/2011, 1724 e ss..

415

Sull'applicazione in via analogica della disposizione de qua alla transazione fiscale cfr. V.

ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 271. M. CORVAJA e A. GUERRA, La transazione

fiscale, cit., 1918, ritengono che si applichi la norma generale dettata in tema di accertamento

integrativo di cui all'art. 43, comma 3 del d.P.R. n. 600/1972, argomentando che “è ovvio che

l'interesse del contribuente a chiudere la propria posizione fiscale sarebbe maggiormente

stimolato (dall'applicazione dei limiti ivi previsti, n.d.r.), fermo restando l'interesse pubblico a

recuperare a tassazione rilevanti evasioni di imposta, non emerse al momento della redazione

dell'accordo transattivo.”

416

Cfr. A. GIOVANARDI, L'adesione ai processi verbali di constatazione e agli inviti a comparire

tra principio di uguaglianza e deterrenza delle sanzioni, in Rass. trib., 2010, 364 e 365.

213

disconoscersi la valenza di detto principio generale, con la conseguenza che la

sopravvenienza di nuovi elementi istruttori, da cui sia possibile ricavare un

imponibile maggiore rispetto a quello considerato nella proposta di transazione o

comunque definito all'esito della procedura di concordato, dovrebbe necessariamente

indurre l'Amministrazione all'emanazione di un nuovo avviso di accertamento per il

recupero della maggiore imposta che ne deriva; a supporto di tale conclusione si

potrebbe anche “riesumare” il principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria,

altrimenti pregiudicato ingiustificatamente proprio dalla rinuncia, preventiva ed

assoluta, ad ogni residuo potere di accertamento.

Analoghe considerazioni, poi, dovrebbero portare ad escludere anche l'obbligo

di notificare nei trenta giorni eventuali avvisi di accertamento o altri atti impositivi

già sottoscritti dal Direttore dell'ufficio alla data della presentazione della proposta,

ma appunto non ancora portati a conoscenza del contribuente. In dottrina si registra

una spaccatura fra chi ritiene che anche questi atti possano rientrare nell'ambito del

consolidamento417, e chi invece sembra escludere detta possibilità418. Senonché, una

lettura aderente al tenore testuale dell'art. 182ter induce a ritenere che tale obbligo

non sussista, a meno che nell'arco dei trenta giorni successivi alla presentazione della

proposta non vengano a scadere, contemporaneamente, gli ordinari termini di

decadenza previsti per la notifica dell'atto impositivo: ma si tratterebbe, è evidente,

di un obbligo imposto non già dall'art. 182ter, quanto piuttosto dalla normativa

tributaria ordinariamente applicabile a quell'atto.

Ancora, l'unanime orientamento dottrinale, secondo cui in assenza di

notificazione l'avviso di accertamento non sarebbe neppure esistente sul piano

417

Cfr. in tal senso S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. La procedura, cit., 7923, il quale ritiene

appunto che la notifica possa avvenire anche successivamente alla ricezione della proposta di

transazione, tenuto conto delle modalità con le quali gli adempimenti notificatori sono assolti e del

tempo intercorrente tra la sottoscrizione del provvedimento di accertamento e l'assolvimento di

tale adempimento.

418

Cfr. L. DEL FEDERICO, Transazione fiscale, cit., 2573, nt. 35, e L. MAGNANI, La transazione

fiscale, cit., 686, secondo il quale poiché l'avviso di accertamento è un atto recettizio, non può

produrre alcun effetto finché non sia stato notificato. In tal senso anche V. FICARI, La

“transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel concordato preventivo, cit.,

617, che limita la definitiva rappresentazione di quanto dovuto dal contribuente (si intende,

ovviamente, la quantificazione contenuta nelle certificazioni prescritte dall'art. 182ter) a: cartelle

esattoriali definitive, cartelle notificate ma ancora impugnabili, avvisi di accertamento definitivi ed

avvisi di accertamento notificati ma ancora impugnabili.

214

giuridico, dovrebbe portare a ritenere che il debito d'imposta scaturente da tale

avviso nemmeno debba essere inserito nella certificazione da rilasciare al

contribuente, essendo questa afferente ai soli atti impositivi già notificati, dunque già

venuti ad esistenza.

In ogni caso l'obbligazione scaturente dagli avvisi notificati successivamente

alla chiusura del procedimento andrà soddisfatta secondo le percentuali

concordatarie, ai sensi della regola generale di cui all'art. 184, come meglio si vedrà.

Pertanto, alla luce di quanto detto sino ad ora, gli adempimenti istruttori a

carico dell'ufficio ex art. 182ter dovrebbero riguardare, innanzitutto, la sola

liquidazione delle dichiarazioni, seguita dalla notifica dell'eventuale comunicazione

di irregolarità contenente l’esito di maggiore imposta dovuta, con relative sanzioni

ed interessi.

Si ritiene che tali adempimenti debbano essere condotti secondo le ordinarie

modalità, con la conseguenza che anche nell'ambito di un procedimento di

transazione fiscale il contribuente avrà comunque la possibilità di sollecitare un

riesame della comunicazione in autotutela, qualora “rilevi eventuali dati o elementi

non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi”, fornendo i

chiarimenti all'uopo necessari, che stando al disposto di cui all'art. 36bis, comma 3

dovrebbero pervenire nei trenta giorni dal ricevimento dell'avviso di irregolarità.

Sotto questo profilo, tuttavia, non può non disconoscersi che la tempistica ivi

prevista mal si concilia con quella di cui all'art. 182ter: è evidente, infatti, che i trenta

giorni a disposizione del contribuente per fornire all'ufficio chiarimenti sull'esito

della liquidazione automatizzata verrebbero a scadere sempre e comunque dopo il

decorso del termine ultimo previsto dall'art. 182ter; il disallineamento temporale è

ancora più evidente qualora l'ufficio abbia notificato la comunicazione di irregolarità

proprio a ridosso di quest'ultimo termine419.

Senonché, per salvaguardare la possibilità di un contraddittorio e superare

419

Anche S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 197 ritiene che, nonostante in linea teorica nulla

impedisca al debitore di fornire i necessari chiarimenti all'Amministrazione finanziaria entro i

trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione, onde ottenere una correzione della

prima certificazione in via autotutela, “non sembra che possa essere seguita tale strada, almeno

sul piano fattuale”.

215

l'impasse, si potrebbe propendere per la natura ordinatoria del termine previsto

dall'art. 182ter, oppure ritenere che detto termine rilevi solo ai fini della notifica del

primo avviso di irregolarità, senza che il decorso dei trenta giorni possa impedirne il

successivo riesame in autotutela. Del resto, la possibilità di ottenere una riduzione

del quantum originariamente preteso con l'atto liquidatorio non sembrerebbe

preclusa nemmeno dall'avvenuto rilascio della certificazione da parte dell'Agenzia:

stando al tenore letterale del comma 2 la certificazione dovrebbe riferirsi

esclusivamente agli atti di accertamento già emanati, nonché ai debiti d'imposta, da

qualunque fonte promananti (ivi compresi quelli scaturenti da precedenti controlli

automatizzati su dichiarazioni già presentate), iscritti in ruoli non ancora consegnati

al concessionario. Dovrebbero restare esclusi dalla certificazione, pertanto, i debiti

derivanti dalle comunicazioni di irregolarità emesse nei trenta giorni successivi alla

presentazione della domanda di transazione, come attesterebbe anche l'obbligo di

trasmettere al commissario giudiziale una copia di detti avvisi, congiuntamente ad

una copia della medesima certificazione420

.

E’ evidente, comunque, che l'eventuale riesame in autotutela dovrebbe essere

sollecitato dall'interessato quanto prima, considerata la tempistica, piuttosto serrata,

che scandisce l'intera procedura di concordato preventivo: in particolare, stante il

citato obbligo di trasmettere una copia delle comunicazioni di irregolarità al

commissario giudiziale, ai fini degli adempimenti gravanti sul medesimo, per i quali

sono previsti termini rigorosi421, sarà interesse del debitore l'ottenimento immediato

di una nuova comunicazione di irregolarità, da trasmettere quanto prima al

commissario, al fine di ottenere la correzione al ribasso dell’importo del debito

d’imposta indicato nell'elenco dei creditori e debitori di cui all'art. 171.

Si porrà, ovviamente, il problema di individuare se vi siano possibili rimedi

giurisdizionali esperibili nell'ipotesi in cui l'Amministrazione rifiuti di riesaminare

l'atto liquidatorio, ed il contribuente non concordi con la quantificazione ivi

420

Se infatti la certificazione dovesse comprendere anche l’esito delle liquidazioni di cui al comma 2,

allora non avrebbe avuto senso prevedere la trasmissione al commissario giudiziale anche degli

avvisi di irregolarità, posto che il loro contenuto sarebbe stato già compreso nella suddetta

certificazione.

421

Ai sensi di quanto previsto dall’art. 172, infatti, il commissario giudiziale deve redigere, oltre

all’inventario del patrimonio del debitore, anche una relazione particolareggiata sulle cause del

dissesto, da depositarsi in cancelleria almeno tre giorni prima dell’adunanza dei creditori.

216

contenuta. La normativa fiscale, infatti, non ricomprende gli avvisi di irregolarità fra

gli atti autonomamente impugnabili ex art. 19 del d. lgs. n. 546/1992, in materia di

processo tributario, sicché, in via generale sarà necessario attendere la formazione

del ruolo e la notifica della cartella esattoriale per poter far valere, dinanzi al giudice

tributario, eventuali vizi di merito della comunicazione contenente gli esiti del

controllo automatizzato. Va detto, tuttavia, che l’art. 182ter sembra escludere la

necessità di iscrivere a ruolo gli esiti del controllo automatizzato, essendo sufficiente

la notifica della sola comunicazione di irregolarità ai fini dell'inserimento del relativo

debito d’imposta nel passivo della procedura concordataria: sarebbe così derogato il

principio generale di cui all'art. 90 del d.P.R. n. 602/1973, il quale invece impone la

preventiva iscrizione a ruolo dei crediti tributari per ottenerne l’ammissione al

concordato.

Inoltre, la possibilità di impugnare le pretese scaturenti da attività liquidatorie

non sembrerebbe conciliarsi con l'effetto di cessazione della materia del contendere

di cui al comma 5 dell'art. 182ter, che secondo la migliore dottrina sarebbe riferibile

non solo ai contenziosi già pendenti, bensì anche alle liti potenziali, ossia quelle non

ancora instaurate.

Ancora, la fase istruttoria del sub-procedimento di cui all’art. 182ter procede,

parallelamente allo svolgimento dell'attività liquidatoria di cui sopra, con il rilascio

di una certificazione attestante l'entità complessiva del carico tributario

(comprensivo di sorte capitale, sanzioni ed interessi) derivante da atti di

accertamento già notificati, ancorché non definitivi, per la parte non ancora iscritta a

ruolo, ovvero iscritti in ruoli già vistati ma non ancora consegnati al

concessionario422.

Trattasi di un'attività meramente ricognitiva, consistente nel “riepilogare” il

debito d’imposta derivante sia da atti definitivi (divenuti tali perché non impugnati

nei 60 giorni successivi alla notifica, ovvero per effetto di sentenza passata in

422

Sul carattere “omnicomprensivo” della certificazione del carico tributario, nel senso di

determinazione complessiva del medesimo, cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla

transazione fiscale, cit., 593, nt. 35, il quale tuttavia ne fa discendere l'inammissibilità di una

proposta di transazione solo parziale, sostenuta invece da altra parte della dottrina (cfr. L. TOSI,

La transazione fiscale, cit., 1079).

217

giudicato), sia da avvisi non ancora definitivi (in quanto sono ancora pendenti i

termini per l'impugnazione, ovvero questa è stata già proposta ma risulta ancora sub

iudice)423. In questa seconda evenienza con l'espressione “per la parte non iscritta a

ruolo” il legislatore ha inteso riferirsi alla porzione del debito tributario non

iscrivibile a ruolo ai sensi dell'art. 15 del d.P.R. n. 602/1973, pari ai due terzi424

dell'ammontare corrispondente al maggior imponibile accertato (per imposta ed

interessi): quanto invece alla restante parte (un terzo) che risulta già iscritta a ruolo,

detto importo andrà ovviamente indicato nella distinta certificazione rilasciata dal

concessionario della riscossione, ai sensi di quanto previsto dal medesimo comma 2

dell'art. 182ter. Sotto questo profilo il debito emergente da atti impositivi non

definitivi andrà comunque considerato per l'intero, in quanto ricompreso in parte

nella certificazione rilasciata dall'Agenzia e per la parte residua nella certificazione

elaborata dal concessionario.

Quanto al contenuto della certificazione rilasciata dall'ufficio, occorre superare

il tenore letterale della disposizione di legge, interpretando estensivamente la

locuzione “atti di accertamento” ivi utilizzata, in modo da ricomprendervi ogni atto

contente una pretesa di tipo impositivo: il legislatore avrebbe inteso riferirsi, dunque,

oltre agli avvisi di accertamento in senso stretto e agli atti ad essi analoghi (quali gli

avvisi di liquidazione e rettifica in materia di imposte di registro, ipotecaria e

catastale), anche agli atti di contestazione di violazioni tributarie ex art. 16 del d. lgs.

472/1992, nonché ancora agli avvisi di recupero di crediti di imposta indebitamente

fruiti.

Per le medesime ragioni nella certificazione andrà inserito anche il debito, per

maggiore imposta, sanzioni ed interessi, scaturente da controlli formali attivati ai

sensi del citato art. 36ter del d.P.R. n. 600/1973, perfezionati (con esito) prima della

423

Parte della dottrina ritiene che, con riferimento agli accertamenti non ancora definitivi, la proposta

transattiva equivarrebbe ad una richiesta di accertamento con adesione: cfr. ex multis D. PISELLI,

Concordato e transazione fiscale, cit., 7, nonché S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 197, il

quale tuttavia sottolinea come la ratio della norma sembrerebbe esigere una maggiore disponibilità

dell'Amministrazione al compromesso.

424

A seguito delle modifiche introdotte con l’art. 7 del d.l. n. 70/2011 le imposte corrispondenti agli

imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, insieme ai relativi interessi, sono iscritte

a ruolo a titolo provvisorio per un terzo del loro ammontare (secondo la previgente formulazione

dell’art. 15 l’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio operava per la metà dell’ammontare

corrispondente al maggior imponibile accertato).

218

presentazione di una proposta di transazione fiscale (si è visto sopra che si ritiene

non condivisibile la tesi secondo cui un tale controllo andrebbe attivato ex novo nei

trenta giorni dalla presentazione della proposta): si tratta, infatti, di atti espressione di

una potestà, se non propriamente accertativa (laddove per accertamento si intende il

controllo sostanziale della posizione fiscale del contribuente, e non un riscontro

meramente documentale dei dati esposti in dichiarazione), quantomeno lato sensu

impositiva. Inoltre, nonostante la comunicazione contenente gli esiti del controllo ex

art. 36ter non sia impugnabile in via autonoma, si tratterebbe pur sempre di un atto

avente valore di titolo esecutivo ai fini della successiva iscrizione a ruolo degli

importi in esso quantificati, che costituiscono pertanto un credito

dell’Amministrazione perfettamente liquido, certo ed esigibile; per cui si potrebbe

anche far leva sulla sua qualificazione in termini di “credito concorsuale” per

asserirne la necessaria soddisfazione, in concorso con ogni altro credito, tributario e

non, anteriore alla data di presentazione della domanda di concordato,

ricomprendendo anch'esso nella certificazione dell'Agenzia delle Entrate.

Lo stesso dicasi per il debito d'imposta contenuto in comunicazioni di

irregolarità ex artt. 36bis e/o 54bis che risultino già notificate al contribuente al

momento dell'attivazione della procedura di transazione: trattandosi, anche in tal

caso, di un debito liquido, certo ed esigibile, scaturente da una pregressa attività

impositiva, anch'esso andrà ricompreso nella certificazione di cui al comma 2. Si è

già visto che è da escludersi, all'opposto, che tale certificazione debba comprendere

anche gli importi (richiesti a titolo di maggiore imposta, sanzioni ed interessi)

eventualmente scaturenti dal controllo automatizzato delle dichiarazioni allegate alla

proposta di transazione, attivato nei trenta giorni successivi alla presentazione della

medesima: poiché l'esito dell’attività di liquidazione deve essere contenuto in

apposito avviso notificato al contribuente e trasmesso in copia al commissario

giudiziale, sarebbe superfluo ricomprendere il relativo debito d’imposta anche nella

certificazione da rilasciare ai sensi del comma 2.

Un profilo piuttosto delicato attiene alla sorte degli inviti al contraddittorio già

inviati al contribuente ex artt. 5 (in materia di imposte sui redditi ed Iva) e 11

(relativo ad altre imposte indirette) del d. lgs. n. 218/1997, nonché dei processi

219

verbali di constatazione già consegnati al momento del deposito dell’istanza di

transazione.

A generare incertezze è la circostanza che inviti al contraddittorio e processi

verbali non conterrebbero una vera e propria pretesa impositiva, ma costituiscono

soltanto “momenti” della fase istruttoria del procedimento tributario, le cui risultanze

sono destinate a sfociare in un successivo avviso di accertamento.

Il problema da risolvere è duplice. Da un lato ci si chiede se, sia pure

accogliendo la tesi che esclude ogni valenza sostanziale all'effetto di

consolidamento, l'ufficio sia comunque tenuto ad emanare e notificare, nei trenta

giorni di cui all'art.182ter, un avviso di accertamento basato sui rilievi contenuti in

un precedente invito o pvc, muovendo dal presupposto che tali rilievi avrebbero

valore di elementi istruttori di cui l'Erario è già a conoscenza alla data di

presentazione di un’istanza di transazione; una soluzione che negasse tale obbligo,

ed ammettesse la possibilità di emanare l'atto impositivo anche in un secondo

momento, potrebbe risultare eccessivamente sbilanciata a favore

dell'Amministrazione finanziaria.

In secondo luogo, qualora si escluda un obbligo di tal fatta, ci si chiede allora

se la certificazione dell'Agenzia debba ricomprendere anche gli importi scaturenti da

inviti o processi verbali già notificati o consegnati all’imprenditore proponente, ma

non ancora trasfusi in un avviso di accertamento.

Quanto alla prima questione, ritenere che l'ufficio sia comunque tenuto ad

emanare un avviso di accertamento, che recepisca i dati già in suo possesso (salvo il

successivo esercizio di ulteriore attività accertatrice in caso di sopravvenuta

conoscenza di nuovi elementi, alla luce della clausola generale rebus sic stantibus) è

una soluzione che non necessariamente garantirebbe il debitore, anzi all'opposto

potrebbe finire per pregiudicarlo: si è fatta menzione, in precedenza, di quelle

disposizioni dettate dallo Statuto dei diritti del contribuente che sembrerebbero

essere finalizzate a garantire, se non un autentico contraddittorio, quantomeno una

proficua dialettica fra il contribuente e l’ufficio. In particolare, il riferimento è alla

norma di cui all'art 12, comma 7, la cui portata è stata analizzata in precedenza: basti

qui considerare che il preteso obbligo di emanare un avviso di accertamento in

presenza di un pvc, entro trenta giorni dalla presentazione di una proposta di

220

transazione fiscale, collide con il diverso termine (60 giorni dalla consegna del

verbale) che quella disposizione accorda al contribuente per comunicare eventuali

osservazioni e richieste, prima del quale l'ufficio, del resto, non potrà procedere

all'emanazione dell'avviso di accertamento, se non per motivi di particolare e

motivata urgenza. Sarebbe dunque pregiudicata la possibilità di un confronto con

l'imprenditore, in spregio al principio di leale collaborazione fra le parti; principio,

questo, che sarebbe invece pienamente salvaguardato dall'esercizio dell'attività

accertativa nei termini ordinari, nel rispetto delle scansioni temporali previste dallo

Statuto, che consentono al contribuente di far valere le proprie ragioni in un termine

considerato congruo, ed eventualmente indurre l'ufficio a ridimensionare il quantum

derivante da un precedente processo verbale.

Escluso, dunque, che l'Amministrazione abbia l'obbligo di trasfondere il

contenuto di precedenti inviti o verbali in un atto impositivo da notificarsi nei

ristretti termini di cui all'art. 182ter, resta da chiarire quale sia il trattamento da

riservare al debito d'imposta scaturente dai menzionati atti425.

La dottrina sembra propensa ad escludere dall'ambito del consolidamento il

maggior debito contenuto in processi verbali di constatazione426, laddove l'Agenzia

delle Entrate, come visto in precedenza, invita l'ufficio a “tener conto ai fini

istruttori” di inviti al contraddittorio già notificati e verbali precedentemente

consegnati, senza però precisare quali debbano essere esattamente le incombenze da

espletare in concreto.

Occorre chiedersi, preliminarmente, se gli importi indicati in tali atti

costituiscano l'oggetto di un'autentica obbligazione tributaria, da soddisfare

nell'ambito del concordato in concorso con gli altri debiti d'impresa, ivi compresi

quelli scaturenti da provvedimenti impositivi già emanati, e quindi destinati ad essere

425

Cfr. il testo dell'art. 5, comma 1, lettera c), che nel disciplinare il contenuto dell'invito al

contraddittorio prevede che esso debba ricomprendere anche l'indicazione delle “maggiori

imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi dovuti”.

426

Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 686, secondo il quale nessun rilievo potrebbe

attribuirsi alla circostanza che a carico del debitore siano in corso accessi, ispezione e verifiche.

Anche S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, cit.,7589 reputa necessario un

atto impositivo, posto che la redazione di un semplice verbale di constatazione a seguito di una

verifica fiscale non sarebbe sufficiente.

221

ricompresi nella certificazione da rilasciare all'imprenditore: tale dilemma potrebbe

essere risolto optando per l'oramai consolidata tesi dichiarativa dell'accertamento, e

dunque ritenendo che anche in tali ipotesi sia comunque ravvisabile un'obbligazione

tributaria427, la quale, pur non essendo stata ancora accertata con provvedimento

formale, è già sorta ex lege, per effetto del verificarsi del relativo presupposto

impositivo (ad esempio, il possesso di maggiore reddito imponibile per quanto

attiene alle imposte sui redditi, o l’effettuazione di ulteriori operazioni soggette ad

Iva). Si potrebbe ipotizzare, allora, un'equiparazione dell'obbligazione de qua ai

“crediti condizionali”, che nel concordato preventivo subiscono un trattamento

identico a quello previsto in sede fallimentare, in forza dell'espresso rinvio all’art. 55

contenuto nella disposizione di cui all'art. 169. In particolare, ai crediti sub

condizione sospensiva, ai sensi di quanto previsto dal comma 3 del citato art. 55, si

applicano le norme di cui agli artt. 96, 113 e 113bis, nella misura in cui le medesime

siano compatibili con la procedura di concordato preventivo428: pertanto, anche detti

crediti andranno inseriti nell'elenco redatto dal debitore ex art. 161, comma 1, lettera

b), e sottoposto successivamente al vaglio del commissario giudiziale ai sensi

dell'art. 171, partecipando alla votazione in sede di adunanza ed alla formazione

delle maggioranze prescritte dall'art. 177. Il relativo pagamento, invece, dovrebbe

aver luogo, secondo le percentuali proposte dall'imprenditore ed impiegando le

riserve all’uopo costitute dal Tribunale, soltanto a seguito del verificarsi della

condizione sospensiva cui è subordinata l’efficacia di dette obbligazioni.

Premesse queste opportune considerazioni di ordine generale, è necessaria

un'ulteriore precisazione quanto alla “condizione” cui è subordinata l'efficacia, e

dunque l'esigibilità, del debito d'imposta scaturente da inviti al contraddittorio o

processi verbali di constatazione: se in via generale detta condizione sarà

427

In realtà già da tempo la consolidata dottrina ritiene che non sia possibile ricondurre il debito di

imposta allo schema privatistico dell'“obbligazione”, in ragione del prevalere dell'ottica

pubblicistica e della multiforme varietà degli schemi di applicazione dei diversi tributi: cfr. A.

FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 246 e ss.

428

Dal combinato disposto delle citate disposizioni deriva che nell'ambito del fallimento tali crediti

devono essere ammessi al passivo con riserva, con conseguente formazione, in sede di ripartizioni

parziali, delle quote da assegnare eventualmente ai medesimi, e soltanto dopo il verificarsi

dell'evento che ha determinato l'ammissione con riserva il giudice delegato dovrà modificare lo

stato passivo e ammettere il credito in via definitiva.

222

rappresentata dall'emanazione di un avviso di accertamento che recepisca i rilievi

contenuti in tali atti, occorre tener conto delle novità introdotte con il d.l. n.

185/2008. In particolare, tale decreto ha modificato la disciplina dettata dal d. lgs. n.

218/1997 in materia di accertamento con adesione e conciliazione giudiziale: sicché,

la nuova formulazione degli artt. 5, commi 1bis e ss., e 5bis del d. lgs. n. 218/1997

accorda al contribuente la possibilità di definire in via anticipata le pendenze

scaturenti rispettivamente da inviti al contraddittorio e processi verbali di

constatazione, tramite il pagamento degli importi dovuti entro un certo lasso

temporale429, con il vantaggio di fruire di una riduzione delle sanzioni applicabili ad

un sesto del minimo edittale. L’adesione si perfeziona con la comunicazione al

competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate della volontà di aderire all'invito o al

verbale, che nel primo caso dovrà essere accompagnata dalla quietanza dell'avvenuto

pagamento della prima o unica rata.

Ne deriva che in tali ipotesi l'adesione costituisce condizione legale di efficacia

dell'obbligazione tributaria (comprensiva di imposta, sanzioni ed interessi) contenuta

in un invito o in un verbale, senza che si faccia luogo all'emanazione di un

successivo avviso di accertamento: ciò è ulteriormente confermato dalle previsioni di

cui agli artt. 5, comma 1quater, e 5bis, comma 4, i quali dispongono che nel caso di

mancato versamento degli importi dovuti, alle prescritte scadenze, l'invito o il

verbale costituiscono titolo per l'iscrizione a ruolo, a titolo definitivo, degli importi

ivi indicati.

Viceversa, nell'ipotesi in cui il contribuente non abbia manifestato la volontà di

aderire ai contenuti dell'invito o del pvc alle scadenze all'uopo prescritte, l'ufficio

non potrà procedere alla riscossione degli importi ivi quantificati tramite immediata

iscrizione a ruolo, essendo invece necessario operare in via ordinaria, ossia con

l'emissione di un avviso di accertamento in cui andrà trasfuso il contenuto di tali atti

istruttori (ovviamente in tal caso il contribuente perderà il beneficio della riduzione

delle sanzioni irrogate).

429

Quindici giorni prima la data fissata per la comparizione, nel caso si tratti di invito al

contraddittorio, ovvero 30 giorni dall’atto di definizione dell’accertamento parziale, da notificarsi

entro i 60 giorni dalla data in cui il contribuente ha comunicato al competente ufficio la volontà di

aderire.

223

Alla luce di quanto detto è possibile optare per un'interpretazione dell'art.

182ter che si armonizzi con le menzionate disposizioni tributarie, tenuto conto che il

lasso temporale previsto per l'adesione potrebbe non collimare con la tempistica che

scandisce sia il sub-procedimento di transazione, sia la complessiva procedura di

concordato430.

Pertanto potrebbe verificarsi l'ipotesi in cui il debitore, già con la proposta di

transazione fiscale431 o anche prima, abbia manifestato la volontà di aderire ad inviti

al contraddittorio precedentemente notificati o processi verbali di constatazione già

consegnati, purché ovviamente siano rispettati i tempi all'uopo prescritti dagli artt. 5

e 5bis del decreto n. 218: in tal caso si dovrà ritenere verificata la citata condizione

sospensiva, con la conseguenza che la certificazione rilasciata dall'ufficio dovrà tener

conto anche del relativo debito d'imposta, da considerarsi certo, liquido ed esigibile.

Tale obbligazione, dunque, costituendo un credito definitivo, andrà soddisfatta

secondo i termini e le percentuali indicate nella proposta di transazione, non già

secondo le condizioni dettate dal decreto n. 218432.

430

In particolare, per quanto attiene al profilo temporale, è da reputarsi, in linea con la soluzione

interpretativa prospettata nel presente lavoro, che l'art. 182ter non abbia efficacia derogatoria

rispetto alla normativa di cui ai citati artt. 5 e 5bis, con la conseguenza che i termini ivi previsti per

l'adesione agli inviti e ai pvc valgono anche nell'ipotesi in cui sia stata presentata una proposta di

transazione fiscale. Pertanto, il debitore che intenda definire le pendenze contenute in tali atti

istruttori non avrà l'obbligo di perfezionare l'adesione nel diverso termine di trenta giorni dal

deposito dell’istanza di cui all'art. 182ter.

431

In tale evenienza, ci si potrebbe chiedere se la “comunicazione al competente ufficio”, prevista sia

dall’art. 5, comma 1bis, sia dall’art. 5bis, con cui il contribuente manifesta la propria volontà di

aderire rispettivamente ad un invito al contraddittorio o ad un processo verbale di constatazione,

possa essere contenuta all’interno della domanda di transazione, ovvero debba formare oggetto di

un atto ad hoc, da depositarsi separatamente.

432

Non è chiaro, però, se il debitore che intenda prestare adesione ad un invito al contraddittorio sia

tenuto contestualmente al pagamento della prima o unica rata, come prescritto dal comma 1bis

dell'art. 5: il dubbio si pone perché detto adempimento costituisce, insieme alla comunicazione

della volontà di aderire, condizione di perfezionamento dell'adesione. Il quesito si ricollega al più

generale problema afferente l'ammissibilità di un pagamento dei crediti anteriori effettuato prima

dell'omologazione del concordato: se in passato si riteneva che tale pagamento fosse

inammissibile, perché effettuato in violazione della par condicio creditorum (cfr. ex multis Cass.,

28 agosto 1995, n. 9030, in Fall., 1996, 69; in dottrina cfr. A. CANDIAN, Il processo di

concordato preventivo, cit., 163; R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, cit., 2250, e

U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., 1566), successivamente è

venuto consolidandosi in giurisprudenza l'orientamento secondo cui detto pagamento può essere

autorizzato dal giudice delegato qualora ne ravvisi l'utilità (cfr. Cass., 5 novembre 1990, n. 10620,

in banca dati Il Foro italiano online). La dottrina maggioritaria propende per la seconda soluzione

(cfr. S. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in

Trattato di diritto commerciale, diretto da G. COTTINO, Cedam, Padova, 2008, 95, e G. LO

224

Ancora, nulla vieta che inviti al contraddittorio possano essere notificati al

debitore successivamente alla presentazione di una domanda di transazione, sulla

base dei dati e degli elementi attualmente a disposizione dell'ufficio. Inoltre, sempre

nel lasso temporale di cui all'art. 182ter potrebbero essere consegnati al contribuente

inviti o processi verbali, magari a conclusione di verifiche fiscali avviate in

precedenza: il legislatore, come detto, non prevede un vero e proprio obbligo in tal

senso, non essendo l'ufficio tenuto ad anticipare i propri controlli di merito, ma

nell'ipotesi in cui ciò accada è necessario accordare all'imprenditore la possibilità di

definire le relative pendenze tramite l'adesione all'invito o al pvc. Pertanto si ritiene

che il debitore possa sempre modificare la propria domanda di transazione, al fine di

estendere la proposta anche a tali debiti tributari; anche in tale evenienza, inoltre,

questi andranno ricompresi nella certificazione dell'Agenzia, ed ammessi al voto

come crediti definitivi.

Qualora invece il proponente non abbia manifestato la volontà di aderire ad

inviti o processi verbali di constatazione, ma siano ancora pendenti i termini

prescritti dalla normativa tributaria per manifestare siffatta adesione, si dovrà ritenere

che la condizione sospensiva di cui trattasi sia ancora pendente. Pertanto l'ufficio

dovrà comunque considerare nella propria certificazione anche tali importi, che

andranno ricompresi nell'elenco dei creditori ex art. 161, ed ammessi al voto come

qualsiasi altro credito condizionale; qualora poi il contribuente, successivamente

all'omologazione del concordato, manifesti la propria adesione il credito andrà

soddisfatto secondo le modalità previste per tutti gli altri crediti condizionali per i

quali si sia verificata la relativa condizione sospensiva dopo il decreto di omologa.

Viceversa, in caso di mancata adesione del contribuente nei termini all’uopo

previsti l'ufficio potrà sempre procedere all'emanazione di un avviso di accertamento

sulla scorta dei rilievi formali e/o sostanziali contenuti nell’invito o nel verbale di

constatazione: la conclusione di una transazione fiscale, come già visto, non ha

alcuna efficacia preclusiva rispetto al successivo esercizio del potere accertativo.

Altro problema sarà quello di stabilire in che misura il Fisco possa pretendere il

pagamento del complessivo debito d'imposta scaturente da tali avvisi: si tratta,

CASCIO, Il concordato preventivo, cit., 430), pur non mancando qualche voce discorde (cfr. U.

TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Cedam, Padova, 2001, 552).

225

invero, di una questione che attiene alla “sorte” di qualsiasi credito d'imposta avente

la propria fonte in atti impositivi successivi all'omologazione di un concordato, e che

sarà analizzata più approfonditamente nel prosieguo.

Infine, potrebbe verificarsi l'ulteriore ipotesi che il termine per aderire sia già

infruttuosamente decorso alla data di presentazione della proposta di transazione,

oppure dopo la presentazione della stessa ma prima del rilascio della certificazione.

In tale evenienza l'invito o il processo verbale perderebbero la loro valenza di titoli

esecutivi, poiché gli importi ivi contenuti dovrebbero pur sempre essere trasfusi in

un successivo atto di accertamento per assurgere al rango di vera e propria

obbligazione tributaria: si dovrebbe ritenere, dunque, che in tal caso non vi sia

l'onere di ricomprendere nella certificazione da rilasciare anche gli importi

quantificati in tali atti istruttori, ben potendo (anzi dovendo) l'ufficio pretenderli in

un momento successivo, secondo le regole ordinarie che disciplinano l’esercizio dei

poteri accertativi.

Senonché considerazioni di opportunità pratica potrebbero anche suggerire una

conclusione opposta: si pensi ad un concordato liquidatorio proposto da una società,

che preveda l'estinzione della medesima al termine della procedura concorsuale. In

tale ipotesi è ovvio che non vi sarà più alcun patrimonio su cui rivalersi, una volta

chiusa la fase esecutiva del concordato e provveduto alla cancellazione della società

dal Registro delle imprese: sarà interesse dell'ufficio, pertanto, procedere ad una

celere e tempestiva emanazione dell'avviso di accertamento, in modo da

ricomprendere immediatamente nel passivo concordatario, dunque nella propria

certificazione, anche gli importi contestati in tali atti istruttori. Quindi è sul piano

pratico, piuttosto che giuridico, che verrebbe ad essere “recuperata” la funzione di

accelerazione dell'attività di accertamento che secondo parte della dottrina sarebbe il

proprium della transazione fiscale.

In conclusione, quanto ai riflessi propriamente tributari dell’istituto di cui

all’art. 182ter si dovrebbe ritenere che il consolidamento attenga al solo debito

d'imposta scaturente dall'attività liquidatoria in senso stretto, senza precludere

ulteriori controlli di merito sulla posizione fiscale del contribuente, attivabili anche a

seguito della conclusione della transazione e dell'omologazione del concordato, nel

226

rispetto dei termini decadenziali all'uopo previsti dalle ordinarie disposizioni di

legge. Ne deriva che l'ufficio avrà soltanto l'onere di procedere, nei trenta giorni

dalla presentazione della proposta, alla liquidazione delle dichiarazioni (si intende,

quelle non ancora liquidate) ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità. Sicché

l'inutile decorso di quel lasso temporale dovrebbe precludere del tutto il successivo

esercizio della sola attività di controllo automatizzato delle dichiarazioni di cui agli

artt. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972: l'ufficio, pertanto,

non potrebbe più far valere il maggior debito d'imposta che eventualmente ne

scaturirebbe una volta decorsi i trenta giorni dal deposito dell’istanza di transazione

fiscale.

In altre parole si ritiene pienamente condivisibile quella corrente dottrinale che

circoscrive l'effetto di consolidamento alla sola attività liquidatoria, intesa nel senso

proprio del termine. Ne deriva che se è possibile ipotizzare una deroga alla

normativa tributaria, essa riguarderà le sole disposizioni che disciplinano l'esercizio

di detta attività: in particolare, essa andrà espletata non già “entro l'inizio del periodo

di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo”, così come dispone

il citato art. 36bis, bensì entro il ridotto lasso temporale di trenta giorni dalla

presentazione dell'istanza di cui all'art. 182ter.

5.2. Consolidamento del debito tributario e normativa concorsuale.

Argomentata la tesi secondo la quale la certificazione rilasciata non avrebbe

alcuna efficacia preclusiva rispetto all'esercizio dei poteri pubblicistici di

accertamento di cui l'Amministrazione finanziaria è titolare, inibendo, semmai,

solamente l'ulteriore espletamento dell'attività di liquidazione delle dichiarazioni

presentate dal contribuente, occorre ora considerare la funzione precipua che la

medesima certificazione riveste nel contesto della procedura di concordato

preventivo. Il discorso, dunque, andrà spostato sul versante concorsuale dell'istituto

di cui all'art. 182ter.

Su questo piano lo scopo della certificazione è quello di rendere edotto il

commissario giudiziale del reale ammontare del debito fiscale esistente alla data di

presentazione di una proposta di concordato: ciò si evince dal comma 2 dell’art.

182ter, nella parte in cui prescrive che “copia degli avvisi e delle certificazioni

227

devono essere trasmessi al Commissario giudiziale per gli adempimenti previsti

dall'articolo 171, primo comma, e dall'articolo 172”.

In particolare, la norma di cui all’art. 171 prevede che il commissario debba

procedere alla verifica dell'elenco dei creditori e dei debitori (che il proponente deve

allegare alla domanda di concordato preventivo, ai sensi di quanto prescritto dall’art.

161, comma 2, lettera b)433, apportandovi le necessarie rettifiche. La disposizione

recita testualmente che la verifica andrà condotta “con la scorta delle scritture

contabili presentate a norma dell'art. 161”434.

Occorre premettere che quella demandata al commissario giudiziale è una

“verifica di tipo amministrativo”435, finalizzata alla sola ammissione dei crediti alla

votazione: ciò è perfettamente in linea con l'assunto, ribadito da unanime dottrina e

giurisprudenza436, secondo il quale nel concordato preventivo manca una fase di

433

In realtà, se il comma 1 dell'art. 171 parla di “elenco dei creditori e dei debitori”, l'art. 161, tra la

documentazione da allegare al ricorso, include il solo “elenco dei creditori”: il difetto di

coordinamento fra le due disposizioni è rilevato, tra gli altri, da G. U. TEDESCHI, Manuale del

nuovo diritto fallimentare, cit., 558.

434

La dottrina non ha mancato di rilevare un ulteriore difetto di coordinamento fra l'art. 171, non

ritoccato dalla riforma delle procedure concorsuali, ed il testo novellato dell’art. 161, che fra i

documenti da allegare alla domanda di concordato preventivo non contempla più le scritture

contabili (essendo venuto meno il requisito della regolare tenuta della contabilità quale condizione

di ammissibilità del concordato). Pertanto un’isolata corrente dottrinale propende per l'abrogazione

implicita del primo comma dell'art. 171, come pure del precedente art. 170 (anch'esso contenente il

riferimento ai “libri presentati”, da intendersi come scritture contabili nel loro complesso): cfr. S.

D'AMORA, Note esegetiche sul nuovo concordato preventivo e le procedure di ristrutturazione

dei debiti, in www.tribunale.milano.it, 2005, 7, nonché G. BOZZA, La proposta di concordato

preventivo, la formazione delle classi e le maggioranze richieste nella nuova disciplina del

concordato preventivo, in Fall., 2005, 1212. La dottrina maggioritaria, tuttavia, supera tale difetto

di coordinamento ritenendo che l'imprenditore sia tuttora obbligato al deposito delle scritture

contabili, non necessariamente in via contestuale alla presentazione della domanda, ma anche in un

momento successivo, su richiesta del Tribunale (il quale potrebbe anche fissare un apposito

termine per il deposito con il decreto di ammissione al concordato: cfr. P. G. DEMARCHI, I

provvedimenti immediati, in S. AMBROSINI - P.G. DEMARCHI - M. VITIELLO, Il concordato

preventivo, cit., 117 e 118), ovvero del commissario giudiziale (cfr. P. BRENCA, Il commissario

giudiziale. Convocazione dei creditori. Relazione e stima, in Fallimento e altre procedure

concorsuali, cit., 1677).

435

Di “verifica amministrativa”, anche con riferimento alla previgente disciplina, parla la prevalente

dottrina: cfr. ex multis U. TEDESCHI, Le procedure concorsuali, Utet, Torino, 1997, II, 146, con

ampi riferimenti bibliografici.

436

Cfr. ex multis S. SATTA, Diritto fallimentare, Cedam, Padova, 1997, 493. In giurisprudenza cfr.

da ultimo Cass., 18 giugno 2008, n. 16598 in www.ilcaso.it, I, 2109/2010, la cui motivazione

richiama le pronunce della medesima S.C. n. 23721 del 2006, n. 523 del 1999, n. 8116 del 1998, n.

6859 del 1995 e n. 6083 del 1978.

228

autentico accertamento del passivo analoga a quella prevista per il fallimento dagli

artt. 92 e ss., avendo il legislatore inteso valorizzare le esigenze di sollecitudine e

celerità proprie della procedura concordataria, destinate a prevalere su quelle di

certezza e giustizia437.

L'assenza di una vera e propria fase di verifica giudiziale del passivo

concordatario giustifica la previsione di cui all'art. 176, comma 1, secondo cui il

giudice delegato può ammettere provvisoriamente i crediti contestati “ai soli fini del

voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie

definitive sulla sussistenza dei crediti stessi”: trattasi, dunque, di una cognitio

incidenter tantum, la cui funzione è circoscritta all’individuazione dei crediti da

ammettere alla votazione nell'ipotesi in cui alcuni di essi siano contestati, vuoi

nell'an che nel quantum. Secondo la migliore dottrina il rimedio della contestazione,

introdotto allo scopo di evitare la creazione di artificiose maggioranze, non

rivestirebbe alcun carattere di procedimento formale, ma si svolgerebbe oralmente e

darebbe luogo ad una pronuncia che non attiene all'aspetto sostanziale del credito:

quello del giudice delegato, in altri termini, sarebbe un provvedimento di natura

esclusivamente ordinatoria438, avente ad oggetto l'ammissione o l'esclusione di un

credito dalla fase della deliberazione della proposta di concordato, senza incidere sui

profili concernenti l'esistenza e/o l'ammontare del medesimo439.

Del pari, il comma 2 dell’art. 176 prevede che i creditori esclusi possono

opporsi all'esclusione in sede di omologazione “nel caso in cui la loro ammissione

avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze”. Anche in tale

437

Secondo una parte della dottrina l'unica preclusione che potrebbe derivare in merito al successivo

accertamento dell'esistenza o meno del credito, nella sede competente, sarà costituita dal

riconoscimento, espresso o tacito, che di esso avrà fatto il debitore con l'iscrizione nell'elenco di

cui all'art. 161: per alcuni (cfr. R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, cit., 2092) si

tratterebbe di un'ammissione di parte, da valutarsi secondo le comuni norme di diritto processuale

(giova rammentare che questa soluzione è coerente con l'idea di fondo dell'A., il quale attribuisce

al concordato preventivo natura processuale, aderendo alla tesi pubblicistica); per altri (cfr. G. LO

CASCIO, Il concordato preventivo, cit., 170) si tratterebbe di una ricognizione di debito.

438

Cfr. U. TEDESCHI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 744, secondo cui neppure sarebbe

esperibile il reclamo ex art. 26 per ragioni di tempo. Più in generale, sulla mancanza di poteri

cognitori in capo al giudice delegato, cfr. Cass., 15 febbraio 1969, n. 523, in Giur. it., 1969, I,

1056. Di “pronuncia delibativa” parla Cass., 18 giugno 2008, n. 16598, cit.

439

Cfr. S. SATTA, Diritto fallimentare, cit., 499.

229

evenienza, come nell’ipotesi di contestazione dinanzi al giudice delegato, non vi

sarebbe un autentico giudizio, attivabile nel corso della fase di omologazione del

concordato: l'opposizione, infatti, sarà esperibile solo qualora l'ammissione dei

crediti esclusi avrebbe avuto una concreta incidenza sul raggiungimento delle

percentuali di cui all’art. 177 (trattasi della cosiddetta “prova di resistenza”)440, ed il

Tribunale prenderà in considerazione tali crediti esclusivamente sotto questo profilo.

In altri termini, qualora ritenga che le pretese creditorie escluse avrebbero dovuto

essere ammesse, e considerandole come crediti votanti in senso contrario, rifiuterà

l'omologazione, posto che il loro conteggio avrebbe precluso il raggiungimento delle

maggioranze necessarie ai fini dell'approvazione della proposta; nel caso in cui,

all'opposto, ritenga che tali crediti erano stati fondatamente esclusi, procederà

all'omologazione del concordato. In ambedue le ipotesi, comunque, la pronuncia del

Tribunale lascia impregiudicato il giudizio definitivo sull'an ed il quantum del

credito escluso (ossia la “pronunzia definitiva sulla sussistenza” del medesimo cui

allude l'art. 176, comma 1), devoluto alla competente autorità giudiziaria441.

Ne deriva che nessuno degli organi della procedura (commissario giudiziale,

giudice delegato e Tribunale) avrà il potere di esprimersi sui crediti concorsuali con

una pronuncia dotata di efficacia “sostanziale”, i cui effetti, cioè, siano tali da

trascendere il ristretto ambito endo–concorsuale. Assodato ciò, ne deriva che l'elenco

dei creditori (con l’indicazione dei rispettivi crediti) sottoposto al vaglio del

commissario giudiziale, l'ammissione provvisoria dei crediti contestati ad opera del

giudice delegato, ed il decreto motivato con cui il Tribunale si pronuncerà

sull'opposizione dei creditori esclusi rilevano esclusivamente in funzione del calcolo

delle maggioranze richieste in sede di deliberazione della proposta concordataria,

oltre che ai fini della determinazione del quantum da corrispondere in sede esecutiva.

Del resto la duplice funzione di calcolo della maggioranza e quantificazione

dell’importo complessivo da soddisfare in moneta concordataria era stata rilevata

440

Sull’esperibilità dell’opposizione da parte dei soli creditori esclusi la cui votazione avrebbe influito

sulla formazione della maggioranza cfr. ad esempio Trib. Mantova, 15 dicembre 2005, decr., in

www.ilcaso.it, I, 234/2005.

441

Cfr. ancora S. SATTA, Diritto fallimentare, cit., 499 e 500. La massima è consolidata in

giurisprudenza: cfr. ex multis Trib. Roma, 30 dicembre 2008, decr., in Fall. 2009, 742.

230

anche a proposito della previgente disciplina del concordato di garanzia442.

Ne deriva che una funzione non dissimile dovrebbe essere accordata anche alla

certificazione dei carichi fiscali di cui all'art. 182ter. La predetta certificazione

(congiuntamente agli avvisi di irregolarità scaturenti dall'attività liquidatoria, da

trasmettere anch'essi in copia al commissario) mira esclusivamente a determinare il

complessivo ammontare dei debiti d’imposta da ammettere al voto, ai fini del calcolo

delle maggioranze richieste per l'approvazione della proposta, onde evitare che la

predetta determinazione sia rimessa unilateralmente al debitore, con probabile

pregiudizio per l'Erario; del pari, sarà su quell'ammontare che si applicheranno le

percentuali di soddisfazione previste dall'imprenditore nella proposta di cui all’art.

182ter.

L'Amministrazione finanziaria, pertanto, sarà tenuta a collaborare attivamente

alla ricostruzione della complessiva esposizione debitoria dell'imprenditore verso

l'Erario, fornendo al commissario dati preziosi, al di là delle risultante contabili di

cui costui già dispone. Per quanto attiene specificamente ai debiti tributari, infatti,

oltre all'ipotesi (più semplice) in cui l'elenco ex art. 161 contenga l'indicazione di un

debito d'imposta in misura inferiore a quella risultante dalle scritture contabili (nel

qual caso, ai fini della rettifica operata ai sensi dell’art. 171, comma 1 sarà

sufficiente l’esame delle medesime), potrebbe verificarsi che la contabilità prodotta

dall’imprenditore non rappresenti la reale esposizione debitoria fiscale, ben potendo

esistere debiti d'imposta non ancora contabilizzati443. È evidente che in tale

442

Con riferimento ad ambedue gli scopi perseguiti per il tramite della quantificazione del debito

(determinazione del voto spettante e misura della soddisfazione) cfr. G. BONELLI – V.

ANDRIOLI, Del fallimento, Vallardi, Milano, 1939, III, 553: “la pronunzia del Tribunale in sede

di omologazione serve al duplice importantissimo scopo di rettificare, se occorre, il computo della

maggioranza [...] e di fornire l'elemento di raffronto per l'apprezzamento della proposta del

debitore e, in conseguenza per la misura della garanzia”. In nota viene precisato che “questo

secondo scopo sembra sfuggito al legislatore, che non solo non ne fa menzione, ma enuncia

all'art. 19 che la sussistenza e l'ammontare dei crediti contestati vengono qui apprezzati al solo

effetto di stabilire la maggioranza. Ma noi vedremo che la legge non può ragionevolmente

interpretarsi in modo diverso da quello che noi proponiamo”. Ancora, con riferimento alla fase

dell'omologazione ed al giudizio sui crediti contestati viene detto che spetta al Tribunale decidere

“quali tra i crediti contestati si presentano con apparenza di fondamento [...], da doversi

presumere facenti parte del passivo, e quindi da prendersi a calcolo pel giudizio della congruità

della proposta e della sufficienza della garanzia” (cfr. p. 561).

443

Può trattarsi di carichi tributari di cui il debitore non sia ancora a conoscenza, qualora si tratti di

importi (a titolo di maggior imposta, sanzioni ed interessi) derivanti dall'attività di liquidazione

delle dichiarazioni condotta dall'ufficio nei trenta giorni dalla presentazione della proposta, oppure

231

circostanza il solo esame delle scritture contabili ad opera del commissario giudiziale

non consente al medesimo di avere contezza della reale debitoria fiscale

dell'impresa: di qui l'esigenza di coinvolgere direttamente l'Amministrazione

finanziaria, chiamata a quantificare l'effettivo debito tributario esistente ed esigibile

alla data della presentazione della domanda di concordato sulla base dei dati e degli

elementi a sua disposizione, che potrebbero risultare diversi ed ulteriori rispetto alle

risultanze contabili presenti agli atti del procedimento concorsuale.

Il tutto sarebbe finalizzato all'inclusione dei crediti tributari nell'elenco di cui

all'art.171, che avrebbe la funzione di determinare la misura secondo la quale i

creditori saranno ammessi a partecipare al concorso: nel duplice senso, giova

ribadirlo, di quantificare l'importo su cui applicare le percentuali di soddisfazione

proposte dall'imprenditore e determinare il peso del voti spettante a ciascun creditore

in adunanza (fatte salve, ovviamente, le ammissioni provvisorie disposte dal giudice

delegato per i crediti contestati, originariamente non ricompresi nella predetta

elencazione). Con l’ovvia precisazione, per quanto attiene a questo secondo profilo,

che i creditori, ivi compreso anche l'Erario, saranno ammessi a votare solo per la

porzione di credito falcidiata, ossia per “la parte residua di credito” di cui all'art.

177, comma 3.

Questa lettura muove da un duplice presupposto di ordine generale.

Da un lato il riferimento alle “scritture contabili” contenuto all'art 171 non

deve essere inteso in modo eccessivamente rigoroso e restrittivo, nel senso che il

commissario giudiziale debba intendersi comunque vincolato alle risultanze della

contabilità: egli, infatti, potrà accertare la misura del passivo concordatario con ogni

mezzo di verifica, posto che alle risultanze contabili non deve essere attribuito un

ruolo costitutivo. Pertanto la mera circostanza che un credito non figuri in

contabilità, o vi figuri per un importo più basso rispetto a quello reale, non legittima

il commissario ad omettere la convocazione del relativo titolare444.

Dall'altro lato si ritiene che il potere di rettificare l'elenco dei creditori, che il

debiti di cui sia già a conoscenza, come quelli scaturenti da atti impositivi notificati in data

anteriore alla presentazione della proposta, ma non ancora contabilizzati.

444

In tal senso cfr. G. RACUGNO, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione

fiscale, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. BUONOCORE - A. BASSI, cit., 520.

232

primo comma dell'art. 171 accorda al commissario giudiziale, vada oltre la mera

correzione di errori materiali o aritmetici, come un certo orientamento interpretativo

è propenso a ritenere445, ma si tratti di un potere anche decisorio, che può estendersi

sino all'inserimento o all'esclusione di un credito, ai soli fini, lo si ribadisce, della

relativa partecipazione all’adunanza446.

5.3. Il mancato rilascio della certificazione, l’obbligatorietà della

medesima e la natura del termine di cui all’art. 182ter.

Da quanto detto deriva che la certificazione prodotta dall'Amministrazione

finanziaria, saldandosi alle verifiche condotte in parallelo dal commissario

giudiziario, avrebbe, al pari di queste, una valenza esclusivamente endo-concorsuale,

rilevando ai soli fini della quantificazione del debito di imposta da pagare in

percentuale e da ammettere al voto per il residuo.

Tale chiave di lettura può essere validamente adottata anche per ricostruire le

conseguenze derivanti dall’eventuale inadempimento dell’ufficio, optando per una

soluzione ermeneutica maggiormente conforme alla struttura ed alle regole della

procedura concordataria.

Ne deriva che il mancato rilascio della certificazione entro il termine di 30

giorni all'uopo previsto dall'art. 182ter dovrebbe comportare, semplicemente, che il

credito tributario da ammettere al voto, e al tempo stesso da sottoporre a falcidia o

pagamento dilazionato, sia quello quantificato unilateralmente dal debitore nella

proposta di transazione fiscale, non potendo né l'Agenzia né il concessionario

attivarsi tardivamente per far valere pretese di importo maggiore rispetto a quanto

445

Cfr. A. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, cit., 275; S. BONFATTI – P. CENSONI,

Manuale di diritto fallimentare, Cedam, Padova, 2009, 528. In giurisprudenza cfr. Cass., 12

novembre 1993, n. 11192, in Nuova giur. civ, comm., 1994, I, 619, nonché Trib. Milano, 12

novembre 1964, in Foro it., 1965, I, 379. Secondo questa tesi restrittiva, se il commissario

giudiziale ravvisi false indicazioni contenute nella contabilità o nell'elenco dei creditori, non

sarebbe possibile la rettifica dell’elenco direttamente ad opera del medesimo, ma egli dovrebbe

limitarsi a darne immediata informazione al giudice delegato, conformemente a quanto prescritto

dall’art. 173.

446

In tal senso cfr. P. PAJARDI, Codice del fallimento, cit., 1736. In giurisprudenza cfr. Trib. Lodi,

13 febbraio 1984, decr., in Dir. fall., 1984, II, 501.

233

“autodenunciato” dal proponente447. In questa seconda evenienza, dunque, la

cristallizzazione del debito fiscale opererebbe sul quantum dichiarato dal debitore ed

inserito nell'elenco di cui all'art. 171, precludendo all’Erario la possibilità di far

valere successivamente un importo maggiore. All’ufficio dovrebbe dunque essere del

tutto inibita la possibilità di sollevare contestazioni in sede di adunanza, ovvero

proporre opposizione all'omologazione del concordato; del pari, non sarà possibile

pretendere il pagamento del maggior credito erariale (sia pure in misura percentuale)

in sede di esecuzione del concordato già omologato.

Appurato che l'effetto di “consolidamento del debito tributario” è destinato ad

esaurirsi all’interno della procedura concordataria, configurandosi come definitiva

447

Si può chiarire il tutto con un esempio. Si pensi all'ipotesi in cui l'imprenditore presenti una

proposta di transazione fiscale relativa a diverse annualità di imposta, da cui risulti un'Irpef

complessivamente dovuta pari ad € 1.000, un'Iva pari ad € 1.200 ed un'Irap pari ad € 800

(naturalmente tali importi sono da intendersi come comprensivi di sorte capitale, sanzioni ed

interessi), per un debito fiscale di € 3.000 totali, di cui € 1.800 (ossia la somma di quanto dovuto a

titolo di Irpef ed Irap) falcidiabili, mentre i restanti € 1.200 (ossia l'Iva) soltanto dilazionabili. E si

ipotizzi che la menzionata proposta di transazione fiscale preveda un pagamento al 60% per la

parte suscettibile di trattamento remissorio, sicché all'Amministrazione sarebbe proposto un

pagamento pari ad € 1.080 (60% di € 1.800), laddove i restanti € 720 (40%) sarebbero oggetto di

falcidia. Quanto all’importo di € 1.200 dovuti a titolo di Iva, si ipotizzi che la medesima proposta

offra una dilazione di pagamento in 12 rate mensili, di importo pari ad € 100 ciascuna.

Si ipotizzi, ancora, che la reale esposizione debitoria complessiva nei confronti dell'Erario

(derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni presentate dal contribuente, nonché da atti

impositivi e/o carichi a ruolo dal medesimo non considerati) risulti essere più elevata: ad esempio,

si consideri il caso in cui risultino effettivamente dovute un'Irpef per € 2.200, un'Iva per € 2.400

ed un'Irap per € 2.000, per un totale di complessive € 6.600 (più del doppio dell'importo

quantificato nella proposta di transazione), di cui € 4.200 falcidiabili ed il restante debito per Iva

solo dilazionabile.

Si ipotizzi, infine, che l'Amministrazione ed il concessionario siano rimasti assolutamente inerti

nei 30 giorni successivi alla presentazione della proposta di transazione, con la conseguenza che né

il proponente né il commissario giudiziale abbiano ricevuto gli avvisi di irregolarità e le

certificazioni da cui risulti l'effettiva e più elevata esposizione debitoria verso il Fisco.

In tale evenienza, secondo la lettura proposta nel testo il debito da “consolidare” sarà pari ad €

3.000, ossia l'importo quantificato nell'originaria proposta di transazione: ne deriva, da un lato, che

l'Amministrazione sarà ammessa a votare solo per € 720 (pari all’importo oggetto di falcidia),

laddove se avesse provveduto al rilascio della certificazione avrebbe votato per € 1.680 (pari al

40%, non soddisfatto, dei complessivi 4.200 euro falcidiabili). Dall'altro lato, questa non potrà far

valere successivamente il maggior importo di € 6.600 (e quindi pretendere il pagamento di Irpef ed

Irap per complessive € 2.520, ossia il 60% dei 4.200 euro effettivamente dovuti, ed il pagamento

dell'Iva in 12 rate mensili di importo pari ad € 200 ciascuna), magari con contestazione sollevata in

sede di adunanza dei creditori o opposizione in sede di omologazione, oppure ancora durante la

fase di esecuzione del concordato già omologato.

Inteso in questo senso, il consolidamento comporta una cristallizzazione del debito d'imposta

sull’importo di € 3.000 risultante dalla proposta, con la conseguenza che il maggior importo

effettivamente dovuto e non considerato nella proposta medesima (di € 3.600, in quanto pari alla

differenza fra il complessivo debito “reale” di € 6.600 ed € 3.000 quantificati dal debitore) sarebbe

da considerarsi definitivamente perso per il Fisco.

234

determinazione del quantum, complessivamente dovuto a titolo di imposta, sanzioni

ed interessi, da ammettere alla votazione e da sottoporre al trattamento remissorio e/o

dilatorio proposto del debitore concordatario, è da rilevarsi che esso si pone in

perfetta aderenza con la rigida scansione temporale delle diverse fasi in cui si articola

la procedura di concordato preventivo, e dei vari adempimenti a carico dei soggetti

che vi intervengono.

Inoltre, tale interpretazione avrebbe anche il pregio di parificare il soggetto

pubblico agli altri creditori privati che intervengono nella procedura di concordato,

precludendo al primo la possibilità di far valere tardivamente, magari a concordato

già omologato ed in fase di esecuzione, importi maggiori rispetto all'ammontare

risultante dalla proposta originariamente presentata dal contribuente, sul quale i

creditori potrebbero aver riposto il loro legittimo ed incolpevole affidamento nel

momento in cui, in sede di adunanza, sono chiamati a valutare la convenienza del

concordato, e soprattutto le concrete possibilità di esecuzione del medesimo: è

chiaro, infatti, che la fattibilità di una proposta, in cui figuri un debito tributario di un

dato importo, non contestato dall'Amministrazione prima del voto, risulterà

sicuramente minata nell’ipotesi in cui all’ufficio fosse riservata la possibilità di

pretendere, in un secondo momento, importi più elevati.

Le considerazioni che precedono permetterebbero anche di risolvere la querelle

relativa alla obbligatorietà o meno della certificazione di cui al comma 2.

Innanzitutto, da quanto detto dovrebbe desumersi che il mancato rilascio della

medesima non priverebbe l'Amministrazione del proprio voto in adunanza, come

invece sostenuto da una certa dottrina448: ufficio e concessionario, infatti, sarebbero

comunque ammessi a votare sulla base dell'importo quantificato unilateralmente dal

debitore, fatte salve, ovviamente, le eventuali rettifiche apportate dal commissario

giudiziale all’elenco contenente la medesima quantificazione. Si ritiene condivisile,

dunque, quell’orientamento dottrinale secondo cui la sanzione per il mancato

adempimento degli oneri prescritti è costituta dal consolidamento del debito

448

Cfr. L. DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali,

cit., 232 e 233.

235

d’imposta nei termini indicati dal contribuente nella proposta di concordato, che

rimane definitivamente fissato ai soli fini del voto e dell’esecuzione del piano449.

Ne deriva che sarà interesse dell’Amministrazione finanziaria procedere al

tempestivo svolgimento dei propri adempimenti, con un'attività in parte liquidatoria

(quanto alle dichiarazioni non ancora sottoposte a controllo automatizzato) ed in

parte ricognitiva della complessiva ed attuale esposizione debitoria dell’impresa

verso l’Erario, finalizzata ad appurare la reale misura del debito d'imposta al di là di

quello individuato dall'imprenditore nella propria proposta di transazione fiscale. Del

resto la stessa Agenzia dell’Entrate, nella circolare esplicativa del 2008, ha

sottolineato l’importanza della prescritta certificazione proprio nell'ipotesi in cui il

debito tributario complessivo sia di importo superiore a quanto indicato da debitore

nella domanda di transazione.

Peraltro, anche il raffronto fra la posizione dell'Amministrazione in seno ad

una procedura concordataria e quella degli altri creditori dovrebbe avvalorare questi

rilievi. Si è visto sopra come, mancando una fase di autentica verifica giudiziale del

passivo concordatario, eventuali contestazioni in merito all'esistenza e all'ammontare

di un credito debbano essere risolte nelle sedi giurisdizionali competenti, ivi

sollecitando un'ordinaria cognitio, anche nell'ipotesi in cui il creditore sia stato

escluso del tutto dalla procedura concordataria, ovvero sia stato ammesso in misura

asseritamente inferiore rispetto all'ammontare reale del proprio credito; sarà

possibile, cioè, far valere tali pretese con un parallelo o successivo giudizio di

condanna, o comunque di accertamento positivo.

Con specifico riferimento ai crediti tributari le predette considerazioni non

potrebbero valere: il carattere esclusivamente impugnatorio del nostro processo

tributario esclude ogni azione di accertamento, sia positivo che negativo, della

pretesa contenuta in un atto impositivo, sicché la domanda giudiziale sarà diretta

esclusivamente alla caducazione, anche parziale, di quell'atto, nel rispetto del

principio di tipicità codificato dall'art. 19 del d. lgs. n. 546/1992. Da ciò discende che

mancherebbe in radice, in capo all'Amministrazione, lo strumento processuale per far

valere successivamente alla chiusura della procedura concordataria un credito

449

Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 208.

236

maggiore rispetto a quello accertato, sia pure incidenter tantum, in seno a quella

procedura.

Conseguentemente, vi sarà tutto l'interesse, da parte dell'Agenzia e del

concessionario, a far valere tempestivamente la totalità delle pendenze attualmente

esistenti a carico del contribuente: pertanto l'Amministrazione provvederà non solo

al rilascio della certificazione, ma al rilascio di una certificazione quanto più

esaustiva ed accurata possibile.

Né avrebbe fondamento l'ipotetica obiezione secondo cui l'Amministrazione, a

seguito del’omologazione, potrebbe comunque procedere secondo le consuete

modalità, iscrivendo a ruolo i maggiori importi che siano rimasti esclusi dalla

procedura di concordato450, ovvero intraprendendo l'ordinaria attività di esecuzione

coattiva per i crediti che risultino già iscritti, secondo le regole di cui al d.P.R. n.

602/1973. A ciò osterebbe, da un lato, la formulazione letterale dell’art. 182ter, che

con la locuzione “consolidamento del debito fiscale” avrebbe inteso prevenire

proprio tale possibilità, circoscrivendo il pagamento (parziale o dilazionato) ai soli

importi certificati o comunque indicati nell'elenco dei crediti ammessi al voto di cui

all'art. 171, che per la restante parte sconterebbero la falcidia concordataria.

Dall'altro lato soccorre il principio dell'obbligatorietà del concordato omologato di

cui all’art. 184, pacificamente applicabile anche ai crediti erariali, con la

conseguenza che né l’ufficio né il concessionario, che partecipano a quella procedura

in qualità di creditori concorsuali anteriori, potranno pretendere, in un secondo

momento, il pagamento non soltanto della porzione falcidiata, ma anche di importi

maggiori rispetto a quelli ricostruiti in seno alla medesima procedura.

A fronte di questa preclusione non varrebbe nemmeno il rimedio della

contestazione in adunanza ex art. 175, comma 3, ovvero quello dell'opposizione

all'omologazione: si potrebbe obiettare, infatti, che l'Agenzia, anche senza aver

proceduto al rilascio della certificazione, avrebbe pur sempre la possibilità di far

valer in sede di discussione della proposta di concordato le proprie ragioni,

ottenendo l'ammissione provvisoria del maggior debito d’imposta ex art. 176, oppure

ancora contestarne l'esclusione dinanzi al Tribunale nella successiva fase di

450

Si pensi ad esempio ad avvisi di accertamento oppure a ruoli che siano “sfuggiti” all'ufficio e al

concessionario, nel senso che non sono stati ricompresi nelle rispettive certificazioni.

237

omologazione. Tale soluzione, tuttavia, sarebbe osteggiata dal tenore letterale dello

stesso art. 182ter, che sancisce la doverosità degli adempimenti posti a carico sia

dell'Agenzia sia del concessionario, tra cui il rilascio delle prescritte certificazioni.

Sulla scorta di tali considerazioni si potrebbe ritenere che la certificazione del

carico tributario, congiuntamente alla liquidazione delle dichiarazioni, configuri un

obbligo, o meglio un dovere in capo all'Amministrazione. La sanzione posta a

presidio di detto dovere andrebbe ravvisata nell'effetto preclusivo di cui si è detto,

ossia nell'impossibilità di far valere un debito d'imposta di ammontare più elevato

rispetto a quello indicato dal proponente, vuoi in sede di adunanza, vuoi nella fase

dell'omologazione, vuoi infine durante l'esecuzione del concordato.

Quanto poi alla questione della natura perentoria o meramente ordinatoria del

termine entro cui procedere ai predetti adempimenti, su di essa, come visto, non vi è

un orientamento interpretativo unanime, posto che all’eccessiva brevità del

medesimo, ed alla formulazione letterale della disposizione, che non contempla

alcuna sanzione per l’infruttuoso decorso dei trenta giorni, vengono contrapposte le

esigenze di celerità e snellezza che dominano l’intera procedura di concordato.

Per risolvere l’impasse soccorre, ancora una volta, il richiamo alle regole

generali che governano la procedura di concordato preventivo. Da un lato, occorre

considerare la funzione accordata alla certificazione, che sarebbe quella,

innanzitutto, di determinare la base di calcolo su cui quantificare il peso del voto

spettante all’Erario in sede di adunanza: ne deriva, allora, che oltre la data della

deliberazione detta certificazione non potrebbe avere più alcuna valenza. Pertanto,

sembrerebbe che l’ufficio possa procedere al rilascio delle medesima anche decorsi i

trenta giorni previsti dal comma 2 dell’art. 182ter, ma fino al momento in cui hanno

luogo le operazioni di voto, ossia sino al momento in cui quella certificazione può

avere una qualche utilità.

Dall’altro lato, occorre trovare un punto di equilibrio tra la posizione

dell’Amministrazione e quella degli altri creditori concorsuali, in modo tale da

evitare letture interpretative eccessivamente sbilanciate a favore della prima. Di ciò

sembrerebbe essersi fatto carico lo stesso legislatore: la formulazione letterale del

comma 2 dell’art. 182ter, infatti, disponendo espressamente la “trasmissione” al

238

commissario giudiziale di una copia delle certificazioni rilasciate da Agenzia e

concessionario per gli adempimenti di cui agli artt. 171, comma 1 e 172,

sembrerebbe suggerire la necessità che il debito tributario certificato debba

comunque essere portato preventivamente a conoscenza del commissario giudiziale.

Si consideri che, fra i compiti istituzionali al medesimo devoluti, vi è la redazione

della relazione di cui all’art. 172, in cui egli dovrà esprimere, tra l’altro, un giudizio

sulla “proposta di concordato”: ovviamente tale giudizio attiene soprattutto alla

concreta fattibilità del piano concordatario, intesa nel senso di idoneità delle limitate

risorse disponibili a soddisfare il totale del crediti concorsuali; ed è su tale relazione,

come già è stato detto, che i creditori formuleranno le proprie valutazioni di merito in

sede di deliberazione della proposta. Ne deriva che il successivo incremento del

passivo concordatario da soddisfare, conseguente all’ammissione di nuovi crediti

d’imposta successivamente alla predisposizione di detta relazione, se non addirittura

direttamente in sede di adunanza, potrebbe alterare quella prognosi di fattibilità,

pregiudicando una serena ed obiettiva valutazione da parte degli altri creditori

concorsuali. Tale evenienza, infatti, si tradurrebbe in una diminuzione delle risorse in

concreto destinate alla soddisfazione di ciascuna pretesa, singolarmente considerata,

essendo dunque parificabile all’ipotesi di una modifica in peius della proposta

concordataria, che richiederebbe necessariamente il vaglio preventivo del

commissario giudiziale451.

Sicché, sembra che la lettura più consona sia quella che accorda all’ufficio ed

al concessionario la possibilità di procedere all’espletamento delle proprie attività

ricognitive in merito alla posizione debitoria fiscale del proponente anche oltre i

trenta giorni dal deposito della proposta di transazione, ma comunque non oltre il

termine massimo previsto dalla legge fall. per la predisposizione della relazione del

commissario giudiziale, da individuarsi nel terzo giorno anteriore alla data

dell’adunanza dei creditori, ai sensi di quanto prescritto dall’art. 172, comma 1.

451

La giurisprudenza di merito, nella contrapposta ipotesi di modifica migliorativa della proposta

originariamente presentata dal debitore, ha escluso la necessità di procedere ad un nuovo giudizio

di fattibilità del concordato (con conseguente obbligo di comunicare la nuova proposta ai

creditori): cfr. Trib. Mantova, 5 marzo 2009, decr., in www.ilcaso.it, I, 1640/2009.

239

6. Il trattamento dei debiti d'imposta accertati successivamente

all'omologazione.

La tesi sin qui sostenuta, secondo la quale la conclusione di una transazione

fiscale non precluderebbe il successivo esercizio dei controlli di merito sulle

annualità e sui tributi interessati dalla proposta di cui all'art. 182ter, purché siano

rispettati i termini di decadenza ordinariamente previsti dalla normativa tributaria,

pone il problema del trattamento da riservare ai maggiori debiti d'imposta

eventualmente accertati all'esito di dette verifiche sostanziali. Occorre chiedersi,

infatti, se i debiti che emergono da atti impositivi emanati successivamente

all'omologazione del concordato debbano essere soddisfatti integralmente, o secondo

le percentuali offerte nella domanda di cui all'art. 182ter.

Va detto che il problema delle sopravvenienze passive attiene alla fase

esecutiva di una procedura concordataria già chiusa, e riguarda non soltanto le

obbligazioni tributarie bensì, più in generale, ogni credito che venga fatto valere

dopo l'omologazione del concordato, anche se sorto in epoca anteriore alla

presentazione della relativa proposta.

Sotto questo secondo profilo soccorre la norma di cui all'art. 184, che sancisce

l'obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori anteriori al decreto di

ammissione. A tal proposito appaiono illuminanti, ed attualmente valide, le

considerazioni che autorevole dottrina aveva prospettato con riferimento al

concordato preventivo disciplinato dalla legge del 1903, e all'effetto obbligatorio

previsto dall'art. 25 della menzionata legge, secondo cui “La omologazione rende

obbligatorio il concordato preventivo per tutti i creditori”. Si era detto che i

creditori rimasti estranei alla procedura, perché ritardatari nella votazione, non

denunciati dal debitore, né scoperti dal commissario o dal Tribunale, e dei quali

dunque non si era potuto tener conto nel misurare le condizioni del patrimonio del

debitore, non avrebbero potuto “starsene celati” durante la procedura per poi

pretendere, sia pure dopo l'esecuzione del concordato, il pagamento dell'intero una

volta che l’imprenditore questi fosse tornato in bonis; ma neppure sarebbe stato

giusto che i loro crediti restassero completamente pregiudicati. Ad essi, dunque,

andava riconosciuto il diritto di pretendere, durante l’esecuzione del concordato, la

loro percentuale, ed anche dopo la conclusione della fase esecutiva non poteva venir

240

meno la possibilità di esigere il proprio credito, subendone comunque la riduzione

concordataria452.

Ora, si tratta di stabile se la norma di cui all'art. 184, ed il principio di ordine

generale ivi contemplato, da intendersi nel senso illustrato da quella autorevole

dottrina, trovi applicazione anche con riferimento ai crediti tributari sopravvenuti

all'omologazione.

Senonché, la problematica de qua si intreccia con una delle classiche e più

dibattute questioni che da sempre animano gli studi di diritto tributario: si allude alla

querelle relativa alla natura, costitutiva o meramente dichiarativa, dell'avviso di

accertamento. In un primo momento, agli albori della scienza italiana del diritto

tributario, si tendeva ad attribuire all'accertamento la funzione di dichiarare, cioè

determinare nel quantum, un'obbligazione già sorta al verificarsi del presupposto

impositivo: pertanto i fautori della teoria dichiarativa453 si rifacevano allo schema

privatistico dell'obbligazione, ritenendo che l’obbligazione tributaria sarebbe sorta

ex lege al verificarsi dell'atto o del fatto previsto dal legislatore come fattispecie

imponibile, e l'attività pubblicistica di accertamento avrebbe avuto esclusivamente

l'obiettivo di quantificare quella obbligazione454.

In un secondo momento, la progressiva accentuazione dei caratteri pubblicistici

propri dell’attività di attuazione del tributo portò all'affermarsi della concezione

secondo cui l'obbligazione tributaria troverebbe la propria fonte nell'atto di

accertamento, e non direttamente nel presupposto impositivo contemplato dal

legislatore455: in altri termini, al verificarsi di quest'ultimo sorgerebbe solo una

452

Cfr. G. BONELLI – V. ANDRIOLI, Del fallimento, cit., 581.

453

Tra cui E. VANONI, Elementi di diritto tributario, Roma, 1934, ora in Opere giuridiche, Giuffrè,

Milano, 1961-1962, II. Cfr. anche M. PUGLIESE, Istituzioni di diritto finanziario, Milani,

Padova, 1937, 121 e ss.; A.D. GIANNINI, Il rapporto giuridico d'imposta, Giuffrè, Milano, 1937,

232 e ss.

454

Si tratta dello schema “norma - fatto”, nel senso che la norma disciplina direttamente il fatto

costituente il presupposto impositivo, collegandovi effetti sostanziali e realizzando pertanto una

tutela finale ed immediata degli interessi dei soggetti coinvolti, le cui posizioni di vantaggio

assurgono al rango di diritti soggettivi.

455

Fra i primi fautori della teoria costitutiva vedasi E. ALLORIO, Diritto processuale tributario, cit.,

74 e ss., A. BERLIRI, Principi di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1952, III, 339, G.

INGROSSO, Istituzioni di diritto finanziario, Jovene, Napoli, 1973, II, 62. Quanto alla dottrina

fallimentarista cfr. A. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, cit., 1979, 475.

241

funzione vincolata di imposizione, ossia un potere del Fisco cui corrisponde una

soggezione generica del contribuente, la quale si tradurrebbe in autentica

obbligazione giuridica solo a seguito dell'emanazione dell'atto di accertamento456.

Al giorno d'oggi la contrapposizione fra tesi costitutive e teorie dichiarative

dell’accertamento risulta quasi del tutto sopita, registrandosi il deciso rigetto delle

prime, o comunque il diffondersi di concezioni intermedie che, discostandosi da

questa tradizionale dicotomia, tendono a valorizzare la molteplicità degli schemi

attuativi dei tributi previsti dalle singole leggi di imposta457, o l'articolazione del

rapporto obbligatorio in una duplice fase, genetica (o statica, nella quale si collocano

la norma impositiva e la fattispecie imponibile) ed attuativa (o dinamica, in quanto

preordinata alla determinazione quantitativa della prestazione oggetto

dell’obbligazione già sorta)458.

Quanto all'orientamento della giurisprudenza, in un primo momento la stessa,

fedele alla teoria costitutiva dell'accertamento, era stata propensa ad affermare la

necessità di un pagamento integrale delle obbligazioni d’imposta contenute in avvisi

emanati successivamente all'omologazione del concordato, in quanto i fatti e le

situazioni costituenti il presupposto delle medesime obbligazioni non avrebbero

generato di per sé veri e propri “crediti d'imposta”, ma soltanto diritti di credito,

almeno finché non fosse intervenuto l'accertamento tributario459.

In un secondo momento, invece, il prevalere della tesi dichiarativa ha portato al

consolidamento della massima secondo cui i crediti d'imposta sopravvenuti scontano

la falcidia concordataria, al pari di ogni altro credito concorsuale, qualora il relativo

presupposto si sia verificato prima del decreto di ammissione alla procedura di

456

Si tratta dello schema “norma – potere - fatto”, in cui la norma attribuisce ad un soggetto il potere,

costituente l'effetto specifico della medesima, di dettare la concreta disciplina di un determinato

fatto, nel qual caso vi saranno, a fronte dell'atto emanato nell'esercizio di quel potere, situazioni di

mero interesse legittimo e non di autentico diritto soggettivo.

457

Cfr. A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 248, nonché S. LA ROSA, Principi di diritto

tributario, cit., 317.

458

P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1999, 115 e ss.

459

Cfr. Cass., 12 agosto 1963, n. 2293, in Dir. fall., 1965, II, 29, e Cass., 28 marzo 1973, n. 849, in

Dir. fall., 1974, II, 66.

242

concordato preventivo, nonostante i medesimi non siano ancora esigibili per difetto

di accertamento o iscrizione a ruolo460.

Tale ultima soluzione appare maggiormente condivisibile, in quanto concilia il

principio della natura tendenzialmente dichiarativa, o comunque non costitutiva,

dell'avviso di accertamento con la regola dell'obbligatorietà del concordato

omologato di cui all'art. 184. Pertanto poiché l'obbligazione tributaria è sorta

precedentemente all'instaurazione di quella procedura, in conseguenza del verificarsi

del fatto assunto dal legislatore come presupposto impositivo, ed indipendentemente

dall'accertamento del medesimo con apposito avviso, essa andrà qualificata in

termini di “credito anteriore all'ammissione”, scontando pertanto gli effetti del

concordato omologato. Del resto si è visto in precedenza come dottrina e

giurisprudenza concordino in via pressoché unanime nel ritenere che la falcidia si

applichi anche ai debiti d’imposta già accertati, o comunque già esigibili,

indipendentemente dall'assenso del Fisco, proprio in ragione del citato principio di

obbligatorietà.

Ne deriva ai crediti fiscali sopravvenuti all’omologazione si applicherà il

medesimo trattamento remissorio o dilatorio previsto nella domanda di

transazione461. Sotto questo profilo non avrebbe molto senso interrogarsi sulla natura

giuridica degli effetti, che taluno ha definito esdebitatori o comunque modificativi,

del concordato omologato462, poiché, quale che sia la soluzione che si intenda dare al

460

Cfr. Cass., SS.UU., 6 settembre 1990, n. 9201, in Fall., 1991, 348; Cass., SS.UU., 28 maggio 1987,

n. 4779, in Dir. fall., 1987, II, 601; App. Roma, 17 settembre 1980, in Fall., 1980, 941. In dottrina

cfr. ex multis S. PACCHI - L. D'ORAZIO - A. COPPOLA, Il concordato preventivo, cit., 1908.

461

Cfr. da ultimo E. CECCHERINI, La transazione fiscale. Aspetti di procedura e contraddizioni, cit.,

352.

462

Si tratta di una disputa che aveva visto la dottrina divisa fra quanti ritenevano che l'omologazione,

con la conseguente riduzione quantitativa dei debiti da soddisfare, fosse assimilabile ad una

trasformazione della porzione falcidiata in obbligazione naturale ex art. 2034, comma 2 c.c.,

escludendosi dunque la ripetizione di quanto spontaneamente pagato (cfr. ex multis S. SATTA,

Diritto fallimentare, cit., 393, e A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge

fallimentare, Cedam, Padova, 2000, 733), quanti parlavano di estinzione parziale per remissione

(cfr. U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Utet, Torino, 1961, II, 1022),

di transazione (cfr. F. FERRARA - A. BORGIOLI, Il fallimento, Giuffrè, Milano, 1995, 164), di

perdita dell'azione sostanziale (cfr. G. RAGUSA MAGGIORE, Diritto fallimentare, Morano,

Napoli, 1974, 834), oppure ancora di un obbligo legale de non petendo esclusivamente personale

al debitore concordatario (cfr. L. GHIA, Il credito bancario garantito da pegno ed il concordato

preventivo del debitore principale, in Fall., 1989, 872).

243

quesito, resta assodata la definitiva estinzione della porzione falcidiata

dell'obbligazione tributaria.

Chiarito questo, emerge però un problema di ordine pratico: se la proposta

prevede la suddivisione dei crediti in varie classi, non è chiaro quale percentuale

andrà applicata ai crediti scaturenti da successivi atti impositivi. Potrebbe ritenersi

applicabile la percentuale di soddisfazione, o, nel caso di trattamento dilatorio, le

scadenze contemplate nella proposta di transazione per i crediti d'imposta della

stessa specie; ma resta il dubbio nel caso in cui con l'avviso di accertamento siano

pretesi tributi diversi da quelli oggetto di una precedente transazione fiscale.

Ed ancora, si pensi all'ipotesi in cui l'atto impositivo accerti tributi relativi ad

annualità d'imposta anteriori ad una domanda di concordato che non contenga il

riferimento ad alcun credito tributario, in quanto alla data di presentazione della

medesima non risultavano pendenze verso il Fisco: in tal caso si potrebbe ipotizzare

che possano applicarsi le percentuali di soddisfazione proposte per crediti affini a

quelli tributari, ad esempio perché assistiti anch'essi da privilegio (si pensi alle

obbligazioni contributive).

E' pacifico inoltre che si applichi ai crediti tributari la previsione secondo cui i

creditori anteriori al decreto di apertura “conservano impregiudicati i diritti contro i

coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso”.

Un riferimento ai soggetti “coobbligati” è contenuto nelle disposizioni di cui

agli artt. 25 del d.P.R. n. 602/1973 (che allude al debitore “coobbligato”) e 22 del d.

lgs. n. 472/1997 (il quale parla di “soggetti obbligati in solido”): si pone, dunque, il

problema di stabilire il significato da attribuire alle medesime espressioni. A tal fine

la dottrina ha individuato diverse ipotesi di “solidarietà tributaria passiva”, tra cui, a

titolo esemplificativo: la responsabilità paritaria degli eredi per i debiti tributari del

de cuius (ex art. 65 del d.P.R. n. 600/1973, secondo cui gli eredi rispondono in solido

tra loro e non pro quota); la solidarietà fra le parti dell'atto sottoposto a registrazione

ex art. 57 del d.P.R. n. 131/1986; le varie figure di responsabile d'imposta,

riconducibili al genus della solidarietà dipendente (si pensi al pubblico ufficiale che

ha redatto, ricevuto o autenticato l'atto sottoposto ad imposta di registro ex art. 57 del

d.P.R. n. 131/1986, al cessionario di azienda ex art. 14 del d. lgs. n. 472/1997, al

244

terzo proprietario di beni oggetto di privilegio a favore dell'Amministrazione ex art.

28 del d.P.R. n. 643/1972, al sostituito per le ritenute d'imposta non operate dal

sostituto ex art. 35 del d.P.R. n. 602/1973).

Quanto ai “fideiussori”, il riferimento è, ovviamente, a tutte quelle disposizioni

che prevedono la prestazione di una garanzia fideiussoria per poter accedere a taluni

benefici: vedasi, ad esempio, le norme in tema di pagamento rateale, le quali,

tuttavia, sono state significativamente novellate per effetto dei recenti interventi

anticrisi.

Nelle ipotesi appena menzionate la disposizione di cui al comma 1, secondo

capoverso dell’art. 184 consente all'Amministrazione di procedere, per la residua

parte falcidiata del proprio debito d’imposta, nei confronti del soggetto coobbligato,

fideiussore o obbligato in via di regresso dell'imprenditore concordatario. La

disposizione si applica sia ai crediti sopravvenuti, in quanto scaturenti da

accertamenti emanati successivamente all'omologazione ma relativi a fattispecie

impositive verificatesi precedentemente alla data di instaurazione della procedura

concordataria, sia ai crediti già esigibili a quella data, e cristallizzati in atti di

liquidazione ovvero nella certificazione di cui all'art. 182ter.

Si potrebbe discutere se l'effetto di “consolidamento del debito tributario”,

inteso nel senso che si è già visto, sia opponibile all'Amministrazione anche da parte

di tali soggetti: in altri termini, una volta che l'Agenzia abbia proceduto al rilascio

della certificazione, nell'ipotesi in cui l’ufficio pretenda dal coobbligato o dal

fideiussore del debitore principale il pagamento di importi ulteriori rispetto a quelli

certificati, quali ad esempio le somme scaturenti da precedenti atti impositivi non

ricompresi in quella certificazione, tali soggetti abbiano la possibilità di far valere

l'intervenuta cristallizzazione del carico tributario.

Se si ritiene che la cristallizzazione abbia una valenza esclusivamente endo-

procedimentale, in quanto funzionale alla determinazione del voto spettante in

adunanza ed alla misura di soddisfazione ottenibile dallo stesso debitore

concordatario, allora ne deriva che tale effetto non dovrebbe prodursi nei confronti

dei soggetti richiamati dall’art. 184, che rimangono estranei alla procedura di

concordato.

245

246

247

CAPITOLO IV.

LA “CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE”

NELL’AMBITO DEL CONCORDATO PREVENTIVO.

1. Introduzione della problematica.

E' venuto ora il momento di incentrare l'attenzione sulla disposizione di cui al

comma 5 dell'art. 182ter, la quale prescrive che “la chiusura della procedura di

concordato ai sensi dell'art. 181 determina la cessazione della materia del

contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma”.

Come visto, la norma de qua concreta, a giudizio di unanime dottrina e

giurisprudenza, uno degli effetti cosiddetti “tipici” della transazione fiscale, ottenibili

solo con la presentazione della relativa proposta: se la possibilità di falcidiare il

credito erariale viene ricondotta agli artt. 160 e 184, comma 1, cui si attribuisce

portata di regole generali applicabili anche ai debiti d'imposta, senza che sia all’uopo

necessaria, per tali pretese, una disposizione ad hoc, allora la funzione dell'istituto di

cui all'art. 182ter sarebbe da ravvisare altrove, ossia risiederebbe nella definitiva

cristallizzazione del complessiva esposizione debitoria verso l'Erario, sotto il duplice

profilo sostanziale (“consolidamento del debito fiscale”) e processuale (“cessazione

della materia del contendere”).

Del resto, in dottrina non è mancato chi ha ravvisato proprio nell'estinzione

delle liti tributarie lo scopo primo (se non anche l’unico) dell'art. 182ter, “riducendo”

di fatto l’istanza di transazione fiscale ad una proposta di conciliazione delle

controversie che vedono contrapposti imprenditore in stato di crisi e

Amministrazione finanziaria: la disciplina dettata dalla menzionata disposizione,

infatti, atterrebbe non tanto al trattamento da riservare ai crediti tributari in sede di

concordato preventivo, quanto piuttosto alla definizione del contenzioso pendente o

allo stato solo potenziale, con la conseguente definitiva determinazione del quantum

dovuto463. A giudizio di questa dottrina, una diversa lettura renderebbe la norma del

463

Cfr. S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato preventivo, cit., 4 e ss. Secondo la tesi

interpretativa proposta dall'A., scopo unico della norma sarebbe la conciliazione delle controversie

tributarie, insorte ed insorgende, su proposta del debitore; e la circostanza, definita “impossibile e

quanto meno sorprendente”, che tale proposta si approva automaticamente in caso di omologa del

concordato, anche nell'ipotesi di dissenso dell'ufficio e/o del concessionario, induce lo stesso A. ad

248

tutto inutile, in quanto la priverebbe di qualsivoglia contenuto effettivo: il primo

comma dell'art. 182ter, infatti, si limiterebbe a vietare un trattamento dei crediti

tributari deteriore rispetto a quello accordato alle pretese di grado pari o inferiore,

dettando una regola sicuramente non innovativa, ma meramente ripetitiva di un

principio di ordine generale già vigente nel nostro ordinamento. Il secondo comma,

poi, illustrerebbe soltanto l’iter procedimentale da seguire a fronte della

presentazione di un'istanza di transazione, mentre il terzo ed il quarto comma

conterrebbero esclusivamente una disciplina di tipo regolamentare sul riparto di

competenze tra ufficio e concessionario, finendo per impartire mere istruzioni

operative di nessun ausilio per definire il contenuto e gli effetti della proposta

transattiva.

Ancora, vi è chi ha ravvisato nella cessazione della materia del contendere un

profilo di riemersione delle connotazioni propriamente transattive dell'istituto,

assolutamente originale rispetto alle vicende che interessano gli altri rapporti

obbligatori, per i quali i giudizi di cognizione proseguono in via del tutto ordinaria ai

sensi dell’art. 176. Si tratterebbe, dunque, di una modalità di definizione della

contesa assimilabile ad una transazione di diritto civile, che troverebbe la propria

giustificazione nella rigorosa fase di quantificazione dei crediti d'imposta disciplinata

dal comma 2 dell'art. 182ter: detta quantificazione, comportando una sorta di

acclaramento del rapporto, produrrebbe, sul piano processuale, la cessazione della

materia del contendere464. Pertanto, ad avviso di questa dottrina, l'effetto da ultimo

menzionato, congiuntamente al riconoscimento formale, da parte dell'imprenditore,

del credito per contributi e premi dovuti, con rinuncia espressa ad ogni eccezione che

possa condurre ad una ridiscussione dei medesimi, così come previsto dall'art. 4 del

d.m. 4 agosto 2009 in materia di transazione contributiva, “fungerebbero da basi

giustificative di un completato percorso di sinallagmaticità coinvolgente altresì il

un'aspra critica nei confronti della norma, definita come “una delle più oscure ed ostiche” che egli

abbia mai affrontato.

464

Cfr. L. DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale secondo il Tribunale di Milano:dal

particolarismo tributario alla collocazione endoconcorsuale, cit., 346; ID., Commento sub art.

182ter, cit., 2577 e 2578. L'A. puntualizza che tale effetto estintivo è limitato esclusivamente alle

liti oggetto della proposta di transazione, con esclusione, ad esempio, delle controversie in materia

di rimborso.

249

creditore pubblico”465: in altri termini, la rinuncia del Fisco ad una porzione del

proprio credito sarebbe controbilanciata dalla rinuncia, da parte del contribuente, al

relativo accertamento giudiziale, integrando questo “scambio sinallagmatico” il

presupposto dell'aliquid datum, aliquid retentum, tipico del contratto di transazione

disciplinato dal codice civile.

Viceversa, altra corrente dottrinale ha ravvisato nella disposizione di cui al

comma 5, e nel rinvio ivi contenuto all'omologazione del concordato, una conferma

della natura sub-procedimentale, ossia meramente endo-concorsuale, della

transazione fiscale466: sarebbe solo con il completamento della procedura di

concordato preventivo, all'interno della quale si inserisce l'iter di cui all'art. 182ter,

che si determinerebbe l'agognato effetto di cristallizzazione del debito fiscale, sul

duplice versante sostanziale e processuale.

A prescindere dalla fondatezza di queste suggestioni, che può essere saggiata

diversamente a seconda della soluzione che si intenda dare alla problematica, di

ordine più generale, afferente alla natura giuridica della transazione fiscale

(propriamente transattiva o lato sensu negoziale secondo la prima interpretazione,

pubblicistico-procedimentale nel secondo caso), va detto che la norma di cui al

comma 5 è foriera di ulteriori, e non secondarie, problematiche interpretative, alla

cui disamina è dedicato il presente capitolo467.

In via preliminare, occorre puntualizzare una rilevante differenza intercorrente

fra la disposizione de qua e l'abrogata normativa in materia di transazione sui ruoli:

quest'ultima, infatti, potendo aver luogo solo nel corso di un'espropriazione forzata

già avviata, determinava la cessazione della sola procedura esecutiva, senza incidere

su eventuali giudizi di cognizione in corso468. Tale conclusione era stata ribadita

465

Cfr. M. FERRO, Transazione fiscale, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, cit.,

2161. Anche E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1185, parla di “vincolo

sinallagmatico”.

466

Cfr. M. POLLIO, La transazione fiscale, cit.,1851.

467

La difficoltà nell'interpretazione ed applicazione della disposizione di cui al comma 5 è messa in

luce anche da un'attenta dottrina: cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e

previdenziale, cit., 211.

468

Cfr. S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato preventivo, cit., 4, secondo cui sotto il

vigore della previgente disciplina “era possibile raggiungere un accordo a saldo e stralcio

250

anche dall'Agenzia delle Entrate, che nella circolare n. 8/E del 2005 aveva affermato

a chiare lettere che l'accordo siglato ai sensi dell'art. 3, comma 3 del d.l. n. 138

consentiva la chiusura delle (sole) “controversie relative alla fase di riscossione”,

ovvero ne impediva l'insorgenza, a patto, comunque, che le medesime presentassero

“connotazioni di effettiva fondatezza tali da renderne incerto l'esito”. Quanto invece

alle controversie di cognizione pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie o a

qualsiasi altro Giudice, il documento escludeva che la transazione potesse sortire un

analogo effetto estintivo, pur non disconoscendo la rilevanza, ai fini delle valutazioni

complessive di convenienza, di eventuali controversie in atto, ivi comprese quelle

relative a rapporti tributari.

Diversa, e per alcuni versi più ampia, sembra essere invece la valenza, sul

piano processuale, del nuovo istituto: la formulazione del comma 5, alludendo

genericamente alle “liti aventi ad oggetto i tributi” interessati dalla proposta di

transazione, non solo prescinde dall'iscrizione a ruolo dell'imposta oggetto della

contesa da transigere, bensì è idonea ad abbracciare tutti (o quasi) i giudizi di

cognizione pendenti dinanzi al giudice tributario, in cui l'oggetto del contendere è

rappresentato dalla fondatezza o meno della pretesa fiscale, ovvero dall'ammontare

della medesima che debba reputarsi conforme alle reali dimensioni quantitative del

presupposto impositivo.

Quanto alle procedure di esecuzione forzata già attivate dall’Agente della

riscossione alla data di presentazione della proposta di transazione fiscale, o non

ancora instaurate perché pendenti i 60 giorni dalla notifica della cartella di

pagamento, troverà invece applicazione il divieto generico di cui all'art. 168, comma

1, posto che tale norma non contiene alcuna clausola di salvezza di diverse

disposizioni legislative, a differenza di quanto dispone l'art. 51 in materia di

fallimento469. A tal riguardo, va rammentato che non è stata riproposta, nell'attuale

soltanto sull'ammontare o sui tempi di pagamento dei tributi iscritti nei ruoli”. Rimarca l'“assoluta

novità” della fattispecie di cui all'art. 182ter anche L. MANDRIOLI, Il concordato preventivo e la

transazione fiscale, cit., 761.

469

Cfr. ex multis M. FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit. ,1267, e P.F. CENSONI,

Commento sub art. 168, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 2420. In giurisprudenza cfr. Cass.,

SS.UU., 6 settembre 1990, n. 9201, in Fall., 1991, 348, la quale ha statuito che i crediti

dell'esattore, per imposte i cui presupposti si siano verificati prima dell'apertura del concordato

preventivo, sono crediti anteriori al concordato stesso, ai sensi degli artt. 168 e 184 legge fall.;

251

formulazione della legge fall. la regola di cui all'art. 7, comma 4 della l. n. 197/1903

in materia di concordato preventivo, che escludeva espressamente dal divieto di

intraprendere o proseguire atti di espropriazione forzata proprio le azioni esecutive

relative ai crediti per tributi diretti e indiretti470.

Ne deriva l'automatica sospensione471 delle esecuzioni esattoriali in corso,

ovvero l'inammissibilità di nuove procedure esecutive instaurate dall’Agente della

riscossione in data successiva alla presentazione di una proposta di concordato, ivi

compresa l'ipotesi di emissione di una cartella di pagamento, quale atto prodromico

all'esecuzione forzata472. Resta salvo l'obbligo, gravante sul medesimo

concessionario, di compiere, sulla scorta del ruolo, ogni attività necessaria ai fini

dell'inserimento del debito erariale nell'elenco dei crediti della procedura, ai sensi di

quanto previsto dall'art. 90 del d.P.R. n. 602/1973. Ovviamente, la disposizione da

ultimo citata andrà coordinata con le previsioni di carattere procedurale di cui al

comma 2 dell'art. 182ter: ne deriva che le “attività necessarie” di cui al menzionato

art. 90 si esaurirebbero nella predisposizione della certificazione riepilogativa del

complessivo debito tributario iscritto a ruolo473, e nella consegna di una copia della

detti crediti, pertanto, debbono essere fatti valere nell'ambito concorsuale, considerando che

l'esattore, pur se munito di titolo esecutivo, soggiace in quella procedura al divieto delle azioni

esecutive individuali (ai sensi degli artt. 188, comma 2 e 168), non operando la deroga prevista

dall'art. 51 legge fall. per il diverso caso del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa.

Cfr. ancora Cass., 26 giugno 2007, n. 14738, in Fall., 2007, 1371 e 1372, relativa al caso di un

pignoramento presso terzi avente ad oggetto un credito tributario, già iniziato al momento

dell'apertura di una procedura di concordato: in tale ipotesi la S.C. statuì che l'Agenzia delle

Entrate, terzo pignorato, non dovesse sottostare al precetto intimatole dal creditore assegnatario

delle somme, essendo venuto meno il presupposto dell'esecuzione individuale.

470

Secondo A. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, cit., 233 e 234, “le deroghe al divieto di

esercizio di azioni esecutive hanno un senso preciso là dove vi sia un patrimonio da liquidare,

come nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa, ma non lo hanno più dove tali

finalità liquidative cedono di fronte a un pagamento in percentuale effettuato dal debitore, come

nel concordato preventivo ordinario, ovvero di fronte a una cessione di beni”.

471

Un'autorevole dottrina ritiene invece che l'effetto del divieto di cui all'art. 168 sia l'estinzione del

processo esecutivo già instaurato, stante il particolare scopo della procedura di concordato,

consistente nel conservare i beni dell'imprenditore e costituire la massa attiva di un eventuale

successivo fallimento: cfr. A. BONSIGNORI, Del concordato, cit., 243.

472

Cfr. Cass., 2 ottobre 2008, n. 24427, in Fall., 2009, 23.

473

Come chiarisce la circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 40/E del 2008, tale debito di imposta

dovrà essere unitariamente determinato, nel senso che sarà comprensivo di tutte le somme (tributi,

interessi moratori e sanzioni) iscritte a ruolo, nonché degli interessi di cui all'art. 30 del d.P.R. n.

602/1973.

252

medesima, oltre che al debitore, anche al commissario giudiziale entro il termine di

30 giorni dalla presentazione della proposta di transazione, a meno che non si

intenda aderire a quella opinione dottrinale che, nel silenzio del legislatore, pone

quest'ultimo adempimento a carico del proponente474.

L'eventuale proposizione di una transazione fiscale, dunque, sembra non

suscitare particolari problemi di coordinamento con la disposizione di cui all'art. 168.

Forse l'unico dubbio che potrebbe porsi attiene all'individuazione del termine

iniziale, a decorrere dal quale scatta l'effetto preclusivo ivi contemplato: se l'art. 168

identifica il dies a quo nella presentazione del ricorso, intendendo con ciò riferirsi

alla domanda di concordato ex art. 160, nell'ipotesi di concordato con transazione

fiscale il termine iniziale potrebbe essere ravvisato nella presentazione della proposta

di cui all’art. 183ter al competente concessionario della riscossione, che potrebbe

avvenire anche in un momento successivo deposito in cancelleria della domanda di

concordato475.

Ancora, dovrebbe trovare applicazione anche alle procedure esecutive

esattoriali il consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo cui i

processi esecutivi sospesi medio tempore potrebbero essere riattivati solo nel caso di

mancata omologa del concordato: l'omologazione, infatti, ai sensi di quanto

prescritto dall'art. 184 impone a tutti i creditori anteriori, ivi compreso l'Erario, di

sottostare ai tempi e alle modalità di soddisfazione previste nella proposta

concordataria, senza possibilità di agire in executivis secondo le regole ordinarie e

salva, comunque, la successiva risoluzione del concordato per inadempimento.

474

La citata circolare n. 40/E pone tale adempimento a carico dell'agente della riscossione, precisando

inoltre che una copia della certificazione deve essere trasmessa anche al Direttore del competente

ufficio dell'Agenzia delle Entrate, allo scopo di consentire allo stesso di porre in essere le attività

demandategli dalla norma.

475

Si veda quanto detto nel capitolo II sul significato del termine “contestualità” di cui al comma 2

dell'art. 182ter. E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di

ristrutturazione dei debiti, cit., 766, nt. 77, ipotizza una sospensione delle attività esecutive

anticipata rispetto al deposito del ricorso per il concordato presso il Tribunale, già nelle more del

procedimento istruttorio che verrebbe attivato dall'ufficio competente all'atto della presentazione,

in via del tutto informale, della proposta di transazione da parte del debitore, anteriormente al

deposito ufficiale della medesima: sarebbe questo, infatti, il momento più delicato, in quanto

durante tale arco temporale vengono poste in essere tutte le attività prodromiche al

perfezionamento degli atti impositivi. Di qui, secondo l'A., l'opportunità di anticipare il blocco

delle espropriazioni già avviate dal concessionario.

253

Fatta questa doverosa premessa, occorre procedere all'esame delle numerose

criticità che la norma di cui al comma 5 pone.

In primis, è necessario chiarire quali sono le controversie di cognizione

interessate dall'effetto estintivo di cui trattasi: in altri termini, è legittimo domandarsi

se esso debba riguardare, indistintamente, tutti i processi tributari in corso, o possa

concernere i soli contenziosi che il contribuente abbia un concreto interesse ad

estinguere, ferma restando la facoltà di proseguire gli altri tramite un'esclusione dalla

proposta di transazione.

Ancora, non è chiaro se la chiusura delle liti pendenti presupponga

necessariamente l'assenso del Fisco sulla proposta di transazione, come sembrerebbe

suggerire un'interpretazione della norma logicamente orientata, oppure se,

indipendentemente dal voto espresso in adunanza, sia sufficiente la mera

omologazione del concordato preventivo, come invece disporrebbe la formulazione

letterale del comma 5. Una volta accolta questa seconda soluzione interpretativa la

dottrina prevalente ha lamentato la violazione dell'art. 24 Cost.: l'automatismo con

cui l'effetto processuale estintivo opererebbe, con il conseguente ed ineluttabile

consolidamento delle pretese erariali contenute negli atti impositivi originariamente

impugnati, mal si concilierebbe con la garanzia costituzionale dei diritti di difesa

della parte privata. Senza dimenticare che tale effetto sembrerebbe stridere con la

regola generale di cui all'art.176, comma 1, che, come visto, prevede la prosecuzione

degli ordinari processi di cognizione parallelamente al decorso della procedura

concordataria: è forse questo il principale nodo dolente della norma in esame.

Dubbi sono anche gli effetti di un'eventuale risoluzione o annullamento del

concordato preventivo, non essendovi unanimità di vedute in merito alla sorte dei

giudizi tributari precedentemente estinti a seguito dell'omologazione della proposta

concordataria: se qualcuno, ivi compresa anche l'Amministrazione finanziaria,

propende per la “reviviscenza” di tali controversie, la maggioranza degli interpreti

esclude decisamente tale opzione interpretativa, ritenendo che l’evento patologico

renda definitiva la pretesa contenuta nell'atto impositivo originariamente impugnato.

Inoltre, non è chiaro se l'effetto di cessazione della materia del contendere nelle

liti in corso consegua anche ad una transazione conclusa nell'ambito di un accordo di

254

ristrutturazione dei debiti: a suscitare perplessità, ancora una volta, è la formulazione

letterale del comma 5, che allude testualmente alla sola procedura di concordato.

Parimenti, è dubbio se l'estinzione riguardi anche le liti vertenti su premi e contributi

previdenziali, che a decorrere dal 29 novembre 2008 (data di entrata in vigore del d.

l. n. 185) possono formare oggetto di una proposta di transazione, posto che la norma

di cui al comma 5 continua a riferirsi ai soli “tributi”: senonché, come si vedrà

meglio nel capitolo seguente, qualche indicazione utile al riguardo potrebbe trarsi

dall'art. 4, lettera b) del decreto interministeriale del 4 agosto 2009, che nel

prevedere, quale condizione di accettazione della proposta di accordo da parte degli

enti previdenziali, il “riconoscimento formale e incondizionato del credito per

contributi e premi” e la “rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire

sull'esistenza ed azionabilità dello stesso”, sembrerebbe prefigurare un effetto

estintivo del tutto simile a quello concernente il contenzioso tributario.

Infine, occorrerà valutare se lo spirare delle liti pendenti sia compatibile con la

tesi, sostenuta nel presente lavoro, secondo cui il perfezionamento della transazione

fiscale determina la cristallizzazione del debito tributario con valenza esclusivamente

procedimentale: è evidente, infatti, che l'estinzione del contenzioso in atto è un

fenomeno i cui effetti trascendono il ristretto ambito della procedura concordataria,

finendo per riverberarsi sul distinto piano “tributario”, ossia quello propriamente

attinente ai rapporti fra Fisco e contribuente.

Tali profili problematici saranno analizzati diffusamente nelle pagine che

seguono.

Basti qui rammentare che, alla luce del più volte asserito carattere “ibrido”

della transazione fiscale, occorre necessariamente tentare una conciliazione fra le

norme di diritto concorsuale e quelle di diritto tributario, come si è cercato di fare nel

paragrafo precedente in relazione all'effetto di “consolidamento del debito fiscale” di

cui al comma 2. Con la doverosa precisazione che, quanto alla “cessazione della

materia del contendere”, il coordinamento andrà ricercato non tanto con la normativa

tributaria di diritto “sostanziale”, che si è visto essere quella che disciplina l'esercizio

dei poteri pubblicistici di accertamento, quanto piuttosto con i principi generali e le

disposizioni che regolano il processo tributario.

In particolare, occorre far riferimento all'art. 46 del d. lgs. n. 546/1992,

255

rubricato “Estinzione del processo per cessazione della materia del contendere”476.

Merita un breve cenno la questione relativa alla presunta incoerenza sistematica della

citata disposizione, messa in luce dalla migliore dottrina tributarista, secondo la

quale la cessazione della materia del contendere costituirebbe fenomeno ben diverso

dall'estinzione del giudizio per rinuncia al ricorso o per inattività delle parti, di cui

rispettivamente agli artt. 44 e 45 del medesimo d. lgs. 546/1992477. E' sufficiente qui

rammentare che la fattispecie, secondo alcuni, abbraccerebbe ogni ipotesi in cui si

verifichi un mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio, per effetto di

fatti o atti sopravvenuti all'instaurazione del medesimo, e le parti concordino su tale

mutamento, con il conseguente venir meno del loro interesse alla prosecuzione del

contenzioso al fine di ottenere una pronuncia di merito478.

Invero, secondo altri, non sarebbe corretto ravvisare nella vicenda de qua una

476

La disposizione è così formulata: “Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione

delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del

contendere. La cessazione della materia del contendere è dichiarata, salvo quanto diversamente

disposto da singole norme di legge, con decreto del Presidente o con sentenza della Commissione.

Il provvedimento presidenziale è reclamabile a norma dell'art. 28. Le spese del giudizio estinto a

norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di

legge”.

477

Cfr. P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, cit., 226, secondo il quale

l'istituto di cui all'art. 46, se comparato a quelli della rinuncia al ricorso o dell'inattività delle parti,

manterrebbe una sua rilevante peculiarità sotto il profilo ontologico: “invero, ove si tenga presente

che il fenomeno della cessazione della materia del contendere si ricollega necessariamente al

verificarsi di fatti ed eventi nel corso del processo la cui portata sia tale da rendere superflua la

prosecuzione di quest'ultimo verso il suo epilogo naturale, appare evidente che è netta la

differenza tra l'istituto in esame e l'estinzione del processo, la quale viceversa discende, tanto nel

processo civile quanto in quello amministrativo, dalla rinuncia agli atti del giudizio o dalla

inattività delle parti”. Sicché, con la disposizione in esame il legislatore avrebbe inteso assimilare

la cessazione della materia del contendere all'estinzione semplicemente quoad effectum, nel senso

che il provvedimento che dichiara la prima avrebbe la stessa forma e sarebbe soggetto agli stessi

rimedi previsti per le pronunce di estinzione del processo ex artt. 44 e 45, ferma restando però la

sua autonomia ontologica. In giurisprudenza cfr. Comm. Trib. Centr., 27 ottobre 2000, n. 6229, in

banca dati Il Foto italiano online, secondo la quale “la cessazione della materia del contendere si

verifica allorché sia sopravvenuta una situazione che, riconosciuta e ammessa da tutte le parti in

giudizio, elimina il contrasto fra le stesse e fa venir meno la necessità della pronuncia del giudice,

a differenza della richiesta di estinzione del giudizio, che se limitata all'impugnazione formulata fa

passare in giudicato la decisione del giudice del grado precedente”.

478

Cfr. V. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Giappichelli, Torino, 2000, II, 349. Secondo P.

RUSSO, voce Cessazione della materia del contendere: III) diritto tributario, in Enc. giur.

Treccani, Roma, 1988, VI, 2, nel caso di cessazione della materia del contendere l'interesse ad

agire viene meno, ma ciò avverrebbe in via indiretta, come riflesso del venir meno dell'oggetto del

giudizio. In giurisprudenza, sul venir meno dell'interesse alla decisione della controversia per

cessazione della materia del contendere nel processo tributario, cfr. Cass., 9 luglio 2010, n. 16217,

in Mass., 2010, 736, e Cass., 1° ottobre 2004, n. 19695, in banca dati Il Foro italiano online.

256

sopravvenuta carenza di interesse alla sentenza di merito, ma semplicemente

l'obbligo, per il giudice, di dare atto di un evento successivo alla proposizione del

ricorso, che ha determinato il venir meno dell'oggetto del giudizio, nel senso che

l'atto impositivo dell'Amministrazione, impugnato con quel ricorso, non

costituirebbe più la fonte dei rapporti fra Fisco e ricorrente479. Sicché, a differenza

delle altre fattispecie estintive del processo tributario, che comporterebbero

inevitabilmente il consolidamento dell'atto impugnato e delle sentenze pronunciate

sino a quel momento, la cessazione della materia del contendere determinerebbe,

all'opposto, la caducazione non solo degli atti impositivi emanati480, bensì anche di

tutte le sentenze rese medio tempore. Ancora, diversamente dalla dichiarazione

giudiziale che prende atto dell'intervenuta estinzione del processo per inattività delle

parti o rinuncia al ricorso, avente carattere di mera pronuncia di rito, la sentenza (o il

decreto presidenziale) di estinzione della lite per cessazione della materia del

contendere ha natura di pronuncia di merito, assumendo dunque valore di res

iudicata: la medesima, infatti, comporta il definitivo accertamento del fatto che

integra l'intervenuta cessazione della materia del contendere, facendo stato fra le

parti481.

Da quanto detto conseguirebbe che nell'ipotesi di transazione fiscale il

“mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio”, ovvero “l'evento

successivo che determini il venir meno dell'oggetto del contendere”, sarebbe da

ravvisare nell'accordo siglato con l'Amministrazione finanziaria in seno alla

479

Cfr. A. SCALA, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Giappichelli,

Torino, 2001, 118, e L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 623 e ss.,

secondo cui “la pronuncia di cessazione della materia del contendere estingue il giudizio non

perché le parti, come avviene in caso di rinuncia al ricorso o di inattività, hanno manifestato una

sopravvenuta carenza di interesse, ma perché il giudice si vede obbligato a dare atto del

verificarsi di un evento in grado di incidere sull'oggetto del giudizio, rendendo in tal modo inutile

una pronuncia sulla domanda originaria”.

480

Secondo P. RUSSO, voce Cessazione della materia del contendere, cit., 1999, 2, “resterà acquisito

per sempre che l'atto primariamente emanato non può più ritenersi esistente nel mondo

giuridico”. In giurisprudenza cfr. Cass., 29 dicembre 2010, n. 26273, in Mass. Foro it., 2010, 1111

e 1112, secondo cui la declaratoria di estinzione del giudizio per cessazione della materia del

contendere, a seguito di condono ai sensi della l. n. 413/1991, determina il venir meno della

originaria pretesa sostanziale avanzata nei confronti del contribuente.

481

Cfr. Cass., 22 marzo 2007, n. 21529, in banca dati Fisconline. Cfr. anche P. RUSSO, voce

Cessazione della materia del contendere: III) diritto tributario, cit., 2.

257

procedura concordataria, o meglio, stando alla formulazione letterale del comma 5,

nella semplice chiusura della procedura de qua. Pertanto, sarebbe la proposta di

transazione, una volta ottenuta l'omologazione, a porsi come nuova fonte di

regolamentazione dei rapporti fra le parti in causa: sicché la medesima, sostituendosi

all'atto impositivo originariamente impugnato, renderebbe superflua ogni ulteriore

indagine giudiziale in merito alla legittimità di quest'ultimo. In altri termini, la nuova

regolamentazione dei rapporti tributari contenuta nell’accodo transattivo renderebbe

inutile, se non addirittura contra jus, qualsiasi pronuncia sul titolo originariamente

dedotto in giudizio482.

2. Il perimetro dell'effetto di cui al comma 5.

Quanto all'individuazione della tipologia di controversie interessate dall'effetto

estintivo di cui trattasi, la formulazione letterale della norma non sembra dare adito a

particolari dubbi interpretativi: con la locuzione “liti aventi ad oggetto i tributi di cui

al comma 1”, il legislatore ha inteso alludere ai soli giudizi relativi a tributi che

possono essere oggetto di una proposta di transazione fiscale, ovviamente pendenti

dinanzi al giudice tributario, stante la riserva di giurisdizione di cui all'art. 2 del d.

lgs. n. 546/1992.

Ne deriva che dovrebbero restare in piedi, seguendo il loro regolare iter

processuale, le controversie su imposte non suscettibili di essere transatte (quali ad

esempio i tributi locali o i dazi doganali). Ancora, si pensi a quelle ipotesi in cui

materia del contendere non è rappresentata dall’asserita illegittimità di una pretesa

impositiva fatta valere nei confronti del contribuente, quanto piuttosto da una pretesa

restitutoria che costui vanta nei confronti dell'Amministrazione finanziaria: è il caso

delle liti in tema di rimborso di imposte indebitamente versate, che anche la circolare

n. 40/E dell'Agenzia delle Entrate esclude espressamente dall'ambito di operatività

dell'effetto estintivo di cui al comma 5483.

482

L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 624, parla appunto di

“modificazione del titolo”.

483

Sull'esclusione dei contenziosi aventi ad oggetto istanze di rimborso cfr. anche L. DEL

FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2578, e P. PAJARDI, Transazione fiscale (a cura di

A.. SOLIDORO), cit., 1802.

258

Qualcuno, ancora, ha affermato che la cessazione della liti non dovrebbe

riguardare neppure eventuali giudizi incardinati dinanzi alla Corte Costituzionale,

posto che la relativa materia del contendere (violazione o meno di una norma di

rango costituzionale) è sottratta alla volontà delle parti: è stato osservato, infatti, che

il giudizio di legittimità costituzionale non potrebbe essere ridotto al livello di mero

“fatto privato” di risoluzione di una controversia fra il debitore e l'Erario,

concretando, viceversa, un giudizio dotato di portata generale, con validità erga

omnes484.

Dunque, alla stregua del rinvio generalizzato al primo comma dell'art. 182ter,

verrebbero a cessare soltanto il contenzioso relativo ai tributi amministrati dalle

Agenzie fiscali, quale che sia l'atto impositivo da cui essi siano scaturiti: potrebbe

trattarsi, indistintamente, di avvisi di accertamento, avvisi di rettifica e liquidazione,

atti di contestazione e/o irrogazione di sanzioni, atti di recupero di crediti di imposta

indebitamente concessi all'impresa, cartelle di pagamento, nonché ogni altro atto

riconducibile ad una delle tipologie di provvedimenti impugnabili di cui all'art. 19

del d. lgs. n. 546/1992. Anche la circolare n. 40/E contempla un'analoga

elencazione485.

È dubbio, invece, se la cessazione debba riguardare necessariamente tutte le liti

potenzialmente transigibili pendenti dinanzi al giudice tributario, ovvero le sole

controversie che l’imprenditore concordatario in concreto abbia indicato nella sua

proposta di transazione.

La dottrina maggioritaria, ammettendo la possibilità di una transazione soltanto

parziale486, propende per la seconda soluzione interpretativa, legittimando il debitore

ad operare una sorta di “selezione”, tesa ad escludere dall'ambito di operatività della

transazione, e dunque dell'effetto estintivo de quo, quelle controversie alla cui

484

Cfr. A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, cit., 306 (cfr. anche nt. 71).

485

Cfr. l'elenco dei tributi passibili di essere oggetto di transazione fiscale di cui alle pp. 29 e 30 del

citato documento di prassi: la circolare, infatti, precisa che “la proposta di transazione può avere

ad oggetto anche i tributi in precedenza richiamati per i quali sia pendente una lite”.

486

Cfr. ex multis L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1079, V. FICARI, La “transazione” fiscale

nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel concordato preventivo, cit., 619, e D. PISELLI,

Concordato e transazione fiscale, cit., 9.

259

prosecuzione egli sia particolarmente interessato, sulla scorta di una valutazione di

convenienza personale. Alcuni hanno affermato, inoltre, che tale possibilità di scelta

contribuisce a rendere l'istituto maggiormente appetibile, lasciando all'imprenditore

la possibilità di contestare quelle pretese impositive che risultino essere palesemente

infondate o eccessivamente gravose: estendere obbligatoriamente l'effetto estintivo a

tutte le liti attualmente in corso potrebbe rivelarsi pregiudizievole per la parte

privata, nella misura in cui vi siano, appunto, controversie in cui le sue probabilità di

vittoria siano piuttosto alte, o l'ammontare preteso dall'Amministrazione risulti

troppo elevato. In tali circostanze, infatti, l'imprenditore potrebbe essere

disincentivato a ricorrere all'istituto di cui all'art. 182ter, proprio allo scopo di evitare

la cessazione del giudizio e la conseguente cristallizzazione della pretesa impositiva

dallo stesso non condivisa.

Senza considerare che l'automatica ed inevitabile cessazione di ogni

contenzioso pendente renderebbe ancora più marcato il vulnus inferto ai diritti di

difesa di cui all'art. 24 Cost., almeno ad avviso di quella parte della dottrina che

lamenta la violazione di detto precetto costituzionale.

Del resto, l'ammissibilità di una proposta transattiva parziale potrebbe essere

dimostrata anche facendo leva sull'argumentum per analogiam, applicando cioè la

disciplina dettata per gli istituti condonistici, con i quali la transazione

condividerebbe proprio l'effetto processuale estintivo rappresentato dalla cessazione

della materia del contendere: in materia di “condono tombale”, infatti, la Cassazione

ha recentemente ammesso la possibilità di una definizione agevolata soltanto

parziale, in quanto limitata alla porzione sub iudice dell'originaria pretesa

impositiva487.

Tuttavia va rilevato che contro la soluzione interpretativa favorevole ad

un'estinzione soltanto parziale del contenzioso tributario pendente sembra essersi

schierata, di recente, proprio la stessa Suprema Corte: nelle recenti pronunce del 4

487

Cfr. Cass., 20 gennaio 2011, n. 1197, in Mass. Foro it., 2011, 83, secondo cui “l'art. 16 l. 27

dicembre 2002 n. 289, nel prevedere la facoltà del contribuente di definire in modo agevolato la

lite pendente, non opera distinzioni a seconda che essa coinvolga interamente o parzialmente la

pretesa tributaria: ne deriva che qualora il contribuente abbia impugnato solo una parte dell'atto

impositivo, potrà definire in via agevolata la pretesa fiscale solo limitatamente a quella parte

oggetto di contestazione”.

260

novembre 2011, nn. 22931 e 22932, la Cassazione afferma che l'opzione per la

transazione fiscale avrebbe un “costo” per la parte privata, rappresentato “dalla

sostanziale necessità di accogliere tutte le pretese dell'Amministrazione, non essendo

plausibile che la stessa, dopo aver indicato il proprio credito, accetti in questa sede

di discuterlo e ridurlo”. Viceversa, “escludendo il ricorso alla transazione fiscale il

debitore non ottiene i richiamati benefici [ossia il vantaggio del consolidamento del

debito di imposta, n.d.r.], ma può optare per la contestazione della pretesa erariale

in vista di un minore esborso”488.

Sembra dunque che la S. C. colleghi indefettibilmente alla conclusione di una

transazione fiscale la cessazione di ogni lite tributaria attualmente pendente,

diversamente da quanto avviene con riferimento agli altri creditori, i quali, come

ammettono espressamente le due pronunce, “quando votano sulla proposta

concordataria sostanzialmente formulano il proprio consenso solo in relazione alla

percentuale o alle modalità di soddisfacimento prospettate, ma possono non solo

proseguire l’eventuale contenzioso in corso, ma iniziarlo anche ex novo se in

disaccordo con l’ammontare o la qualità dei crediti indicati nella domanda”.

Sarebbe questo, infatti, il “prezzo” da pagare per ottenere il beneficio del

consolidamento del debito d'imposta, ossia “l'assoluta o apprezzabile certezza

sull'ammontare del debito” da soddisfare nell'ambito del concordato.

Ancora, le stesse pronunce considerano le diverse ipotesi che potrebbero

presentarsi nella realtà, ivi compresa quella in cui l'imprenditore che abbia presentato

un'istanza di transazione non concordi con la quantificazione del carico tributario

contenuta nella certificazione rilasciata dall'ufficio, ritenendo dunque di non doversi

adeguare alla medesima. In tale evenienza, afferma la Cassazione, egli sarà

perfettamente libero di non modificare la propria proposta (se non appostando una

congrua riserva) e di manifestare l'intenzione di proseguire l'eventuale contenzioso in

corso, ovvero di opporsi alle eventuali, ulteriori pretese impositive: “tale

atteggiamento sarebbe infatti perfettamente lecito, non potendosi evidentemente

subordinare ex lege l'omologabilità del concordato alla rinuncia del debitore a

difendersi nei confronti del creditore-fisco, né potendo tale rinuncia ritenersi

488

Cfr. sentenze nn. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011, cit.

261

implicita nella richiesta di transazione fiscale quando ancora il quadro delle pretese

(consolidamento) non è definito”. La Cassazione non lo dice espressamente, ma

sembra suggerire, fra le righe, la necessità di “abbandonare” l'intera proposta di

transazione nell'ipotesi in cui il debitore non concordi con alcune delle pretese

impositive certificate: solo in questo modo, infatti, sarebbe possibile proseguire i

giudizi già pendenti o instaurarne di nuovi, consentendo alla parallela procedura di

concordato preventivo di continuare il suo normale corso.

Del resto, la chiara affermazione secondo cui la transazione implica la

“necessità di accogliere tutte le pretese dell'Amministrazione” porta ad escludere che

la Corte sia propensa ad accettare la possibilità di circoscrivere (successivamente al

rilascio della certificazione) l'ambito della proposta di transazione, e del connesso

effetto processuale estintivo, alle sole pretese impositive accettate dall'imprenditore,

lasciandolo libero di impugnare le altre.

Secondo il prevalente indirizzo dottrinale, inoltre, l'estinzione dovrebbe

riguardare non soltanto le controversie già instaurate, ovviamente non ancora decise

con sentenza passata in giudicato, bensì anche quelle potenziali, ossia eventualmente

scaturenti da atti impositivi già notificati alla parte, anche nei 30 giorni successivi

alla presentazione della proposta di concordato con transazione fiscale, ma non

ancora impugnati, in quanto risulta essere ancora pendente il relativo termine di

decadenza (60 giorni dalla notifica dell'atto).

Tale lettura estensiva del comma 5 viene prevalentemente giustificata facendo

leva sulla ratio che connota l'istituto di cui all'art. 182ter: se la funzione della

transazione fiscale sarebbe quella di cristallizzare una volta per tutte il carico

tributario complessivamente esistente alla data di presentazione di una proposta di

concordato, in modo tale da consentire all'imprenditore in crisi di tornare in bonis e

“partire da zero”, ne deriva che detta cristallizzazione dovrà riguardare anche le

pretese impositive non ancora definitive, perché già oggetto di contenzioso o perché

non sono ancora scaduti i termini per impugnarle489.

489

Cfr. su tutti L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1085. Favorevole ad estendere ai giudizi non

ancora incardinati l'effetto processuale estintivo de quo sembrerebbe anche la Corte di Cassazione:

nelle citate pronunce del 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, cit., la S.C. infatti chiarisce che il

262

Ne deriverebbe, ad avviso di questa dottrina, che mentre nel primo caso

(contenzioso attuale) gli effetti della transazione fiscale sarebbero assimilabili a

quelli di una conciliazione giudiziale, nella seconda ipotesi (contenzioso potenziale)

si avranno effetti analoghi a quelli scaturenti da un accertamento con adesione490.

Quanto alle ricadute che il perfezionamento della transazione sortirebbe sulle

controversie tributarie già incardinate, la medesima dottrina, comunque, non ha

mancato di rilevare una differenza fondamentale intercorrente fra l'istituto de quo e

la conciliazione ex art. 48 del d. lgs. n. 546/1992: mentre la conciliazione giudiziale

può aver luogo solo davanti alla Commissione tributaria provinciale (alias,

esclusivamente in primo grado), per di più non oltre la prima udienza, il comma 5

dell'art. 182ter non prevede alcun limite di tipo “cronologico”, con la conseguenza

che possono essere estinti a seguito di transazione fiscale anche giudizi pendenti in

secondo grado o in sede di legittimità491.

Considerando sempre l'ipotesi in cui il debito d'imposta da transigere sia

oggetto di un giudizio già instaurato, l'orientamento dottrinale maggioritario ritiene

che l'effetto estintivo di cui al comma 5 sia non solo automatico, in quanto

discendente ipso iure dalla conclusione del procedimento concordatario, bensì anche

rilevabile ex officio, senza che sia richiesta un'apposita eccezione di parte492.

Assodato ciò, qualcuno si è posto il problema di stabilire se sia comunque necessaria

costo dell'opzione di cui all'art. 182ter sarebbe dato dalla necessità di accogliere tutte le pretese

dell'Amministrazione, laddove l'intenzione di proseguire nell'eventuale contenzioso in corso e di

“volersi opporre ad eventuali ulteriori pretese”, successivamente al rilascio della certificazione ad

opera dell'ufficio, non dovrebbe considerarsi preclusa dall'avvenuta richiesta di transazione fiscale.

Come si è detto, tali parole dovrebbero essere lette nel senso che il debitore che intenda impugnare

ex novo alcune delle ulteriori pretese contenute nella certificazione rilasciata dall'Agenzia

dovrebbe abbandonare la proposta di transazione, appunto perché il mantenimento della medesima

implicherebbe la necessaria accettazione delle stesse, e dunque l'impossibilità di attivare un

contenzioso, alla luce proprio del disposto di cui al comma 5.

490

Cfr. ex multis D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 7, e L. TOSI, La transazione

fiscale, cit., 1084.

491

Cfr. S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 197, e G. LA CROCE, Autonomia

endoconcorsuale e non obbligatorietà della transazione fiscale nel concordato preventivo, cit.,

151.

492

M. FERRO - R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit., 2172, definisce la cessazione ex comma 5

un “effetto legale automatico” dell'adesione al concordato preventivo, confermato anche dalla

mancata previsione dell'autorizzazione scritta del giudice delegato, altrimenti necessaria ex art.

167, comma 2.

263

una pronuncia della Commissione tributaria originariamente adita, che prenda atto

dell'avvenuta cessazione della materia del contendere conseguente alla conclusione

di una transazione fiscale e, soprattutto, statuisca sul riparto delle spese

processuali493. Parte della dottrina è di tale avviso, ritenendo che, nonostante la

cessazione operi di diritto, sia necessario in ogni caso un provvedimento del giudice

tributario che dichiari l'intervenuta estinzione del contenzioso pendente494.

Questa, in effetti, sembrerebbe essere la lettura più ragionevole, anche alla luce

del criterio interpretativo sopra suggerito, consistente nel coordinare la disposizione

in esame con le regole disciplinanti il processo tributario: pertanto, nel silenzio della

legge fall., dovrebbe trovare applicazione il disposto di cui all'art. 46, comma 2 del d.

lgs. n. 546/1992, il quale prevede che “la cessazione della materia del contendere è

dichiarata, salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge, con

decreto del presidente o con sentenza della commissione”. Il comma 5 dell’art.

182ter, infatti, si limita a prevedere solo un'ipotesi di cessata materia, che opererebbe

in via automatica al momento della conclusione positiva della procedura

concordataria, senza dettare alcuna “norma di legge” ad hoc, che disciplini anche le

modalità procedurali per far valere la cessata materia in seno al giudizio tributario in

corso.

Ancora, nulla osta all'applicabilità del terzo comma del menzionato art. 46,

che pone le spese del giudizio estinto a carico della parte che le ha anticipate, salvo

diversa disposizione di legge. Occorre rammentare che tale previsione normativa è

stata oggetto di un importante intervento della Consulta, che con sentenza n. 274 del

12 luglio 2005495 ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale per violazione del

493

Il dubbio è sollevato da D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 7, che tuttavia non

propone una soluzione.

494

Cfr. S. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 62.

495

In precedenza, la Consulta aveva sempre respinto le censure di incostituzionalità sollevate contro il

comma 3 dell'art. 46: cfr. la sentenza n. 53 del 1998 e le ordinanze n. 368 del 1998, n. 77 e 265 del

1999, n. 465 del 2000, n. 303 del 2002 e n. 68 del 2005, tutte in www.cortecostituzionale.it. Anche

la Corte di Cassazione si era adeguata al consolidato orientamento della giurisprudenza

costituzionale, pronunciando la compensazione integrale delle spese processuali in ogni ipotesi di

cessazione della materia del contendere, ivi compresi i casi in cui la cessazione conseguiva

all'annullamento in autotutela dell'atto impugnato: cfr. Cass., 1° ottobre 2004, n. 19695, in banca

dati Il Foro italiano online, e Cass., 4 ottobre 2001, n. 12276, ord., in Riv. giur. trib., 2002, 183.

264

principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., “nella parte in cui si riferisce alle

ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione

delle pendenze tributarie previsti dalla legge”. A giudizio della Corte,

l'irragionevolezza della disposizione discende dalla circostanza che essa

contrasterebbe con il principio generale di responsabilità che governa il riparto delle

spese di giudizio, noto anche come “criterio della soccombenza virtuale”, secondo

cui le spese processuali gravano sulla parte soccombente o su quella rinunciante, ai

sensi del combinato disposto degli artt. 15 e 44 del d. lgs. n. 546/1992: viceversa, la

compensazione ope legis delle spese processuali in ogni ipotesi di cessazione della

materia del contendere si tradurrebbe in un ingiustificato privilegio per la parte che

pone in essere un comportamento concludente (ritiro dell'atto in autotutela da parte

dell'ente impositore, acquiescenza alla pretesa impositiva o dichiarazione di condono

da parte del contribuente), sostanzialmente diretto a riconoscere la fondatezza delle

altrui ragioni, con pregiudizio per la controparte, specie quella privata (che la

normativa vigente obbliga ad avvalersi dell'assistenza tecnica di un difensore)496.

Senonché, sembra improbabile che il giudice tributario, all'atto di pronunciare

l'estinzione del giudizio per intervenuta transazione fiscale, possa condannare

l'ufficio al pagamento delle spese processuali, in deroga alla regola generale della

compensazione di cui al citato comma 3: se è ragionevole parlare di soccombenza

virtuale dell'Amministrazione ogniqualvolta la cessazione della res litigiosa dipenda

dall'annullamento dell'atto impugnato in via di autotutela, riconoscendo l'Erario le

ragioni del contribuente, tale criterio non potrebbe invece applicarsi al diverso caso

in cui le parti siano addivenute ad una accordo transattivo principalmente

nell'interesse del contribuente, all'esito di un procedimento attivabile esclusivamente

su impulso di costui. Pertanto, la disposizione di cui al comma 5 farebbe della

transazione fiscale uno dei “casi di definizione delle pendenze tributarie previsti

dalla legge” che, a giudizio della Consulta, costituiscono giusto motivo di

compensazione delle spese processuali.

Ancora, la dottrina maggioritaria ritiene che l'automatismo che connota la

496

La Corte di Cassazione sembra essersi pienamente adeguata al mutato orientamento della Consulta

in punto di principio di responsabilità della parte soccombente: cfr. ex multis Cass., 4 ottobre 2006,

n. 21380, e Cass., 15 ottobre 2007, n. 21530, entrambe in banca dati Fisconline.

265

cessazione della materia del contendere presuppone che la pretesa tributaria sia

ricompresa nell'elenco dei crediti di cui all’art. 161, e ciò sarebbe fortemente

innovativo rispetto alle regole generali che governano la procedura concordataria:

l'ammissione al passivo, infatti, se per la generalità dei crediti sarebbe

esclusivamente finalizzata all'espressione del voto in adunanza, stante il disposto di

cui all'art. 176, comma 1, per le sole pretese fiscali avrebbe, all'opposto, valore di

riconoscimento del debito anche sul piano sostanziale497.

Inoltre, qualcuno ha suggerito di presentare, congiuntamente con la proposta di

cui all'art. 182ter, anche un'istanza di sospensione delle liti in corso, inviando al

giudice tributario adito copia di tale proposta: infatti, posto che il legislatore

fallimentare non ha abbinato l'effetto di cessazione della materia del contendere né

ad una preventiva sospensione obbligatoria (ex art. 39 del d. lgs. n. 546/1992), né ad

una interruzione (ex art. 40 del medesimo decreto) dei processi tributari pendenti,

potrebbe verificarsi che i medesimi proseguano parallelamente alla procedura

concordataria, pervenendo, prima della pronuncia del decreto di omologazione, ad

una sentenza in contrasto con le determinazioni quantitative contenute nella proposta

di transazione498. Di qui l'opportunità di prevedere una sospensione facoltativa delle

liti in corso, sino alla chiusura dell'iter concordatario.

Potrebbe poi discutersi in merito a quali siano i poteri eventualmente spettanti

alla Commissione tributaria originariamente adita, una volta che sia stata dedotta in

giudizio una transazione fiscale perfezionata in sede di concordato preventivo. In

particolare, secondo una certa dottrina il giudice tributario sarebbe tenuto ad

esaminare il contenuto della proposta di cui all'art. 182ter, a verificare l'avvenuta

omologa del concordato preventivo che la contiene e ad accertare l'idoneità della

transazione ad estinguere la lite, anche sotto il profilo dell'esistenza di eventuali vizi

dell'accordo rilevabili d'ufficio; solo una volta appurata detta idoneità, il processo

potrebbe terminare con una pronuncia di cessazione della materia del contendere499.

497

Cfr. M. FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit., 2172.

498

Cfr. E. TERZANI, La transazione fiscale. Effetti tipici dell'istituto e classi omogenee di creditori

concorsuali, cit., 2527.

499

Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 625.

266

Quanto all'interpretazione estensiva del comma 5 avvalorata dalla dottrina

maggioritaria500, che include nell'effetto estintivo ivi contemplato anche il

contenzioso potenziale, ossia i giudizi non ancora incardinati, vengono in rilievo sia

gli avvisi di accertamento già notificati al momento della proposizione di una

domanda di transazione, per i quali non sia ancora decorso il relativo termine

perentorio di impugnazione, sia eventuali atti impositivi notificati successivamente

alla presentazione della proposta, ma comunque ricompresi nella certificazione

rilasciata dall'Agenzia ai sensi del comma 2.

Qualcuno, al riguardo, ritiene che l'unico rimedio esperibile avverso tali atti

impositivi, qualora siano affetti da gravi errori nella determinazione del carico

tributario accertato, sia il reclamo di natura amministrativa per violazione degli

obblighi posti all'azione dei funzionari dello Stato, in quanto un eventuale ricorso

giurisdizionale sarebbe vanificato proprio dalla previsione di cui al comma 5501. In

altri termini, nell'impossibilità di promuovere un ricorso che potrebbe essere

dichiarato inammissibile per l'intervenuta omologazione di un concordato con

annessa transazione fiscale, il privato sarebbe legittimato soltanto a sollecitare il

potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria, chiedendo l'annullamento

dell'atto impositivo che lo stesso reputi illegittimo.

È evidente, tuttavia, che tale lettura finirebbe per acuire il vulnus inferto all'art.

24 Cost, di cui si dirà meglio infra. Pertanto, sembrerebbe più accettabile, ed anche

più coerente con l'eventuale carattere parziale della transazione fiscale di cui si è

detto sopra, riconoscere all'imprenditore proponente la facoltà di impugnare, in corso

di procedura o anche successivamente all'omologazione del concordato, quegli atti

impositivi (notificati medio tempore) che egli reputi illegittimi o “abnormi”,

escludendo tali pretese dal contenuto della proposta transattiva.

Sembra ovvio, poi, che la disposizione di cui al comma 5 non è suscettibile di

inibire le impugnazioni proposte avverso eventuali avvisi di accertamento emanati

500

Qualcuno, tuttavia, continua a nutrire dubbi in merito alla possibilità di un'interpretazione

estensiva, tale da far rientrare nell'effetto di cessazione delle liti di cui al comma 5 anche le

controversie future: cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit.,

213.

501

Cfr. A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, cit., 301.

267

successivamente alla chiusura della procedura di concordato, nel rispetto dei normali

termini decadenziali previsti dalla normativa tributaria. Tale conclusione,

ovviamente, presuppone che si intenda il “consolidamento del debito fiscale” di cui

al comma 2 in termini esclusivamente endo-procedimentali, in adesione alla lettura

interpretativa prospettata nel precedente capitolo: laddove invece si attribuisca a tale

locuzione una valenza sostanziale o extra-procedimentale, intendendo tale effetto in

termini di definitivo congelamento dei residui poteri accertamenti dell’ufficio, è

evidente che dopo l'omologazione del concordato non potrà esservi alcun ulteriore

provvedimento impositivo da impugnare.

3. Necessità o meno del consenso dell'Amministrazione finanziaria ai

fini dell'effetto processuale estintivo.

Un aspetto particolarmente delicato, e tuttora controverso, concerne la

necessità o meno che, affinché si verifichi in concreto l'effetto di cessazione della

materia del contendere, l'Amministrazione esprima il suo assenso sulla proposta di

transazione fiscale.

Come si è già anticipato, se ci si fermasse alla formulazione letterale del

comma 5 sembrerebbe all’uopo sufficiente la mera omologazione del concordato

preventivo: la disposizione, infatti, ricollega l'effetto estintivo di cui trattasi alla

“chiusura della procedura di concordato ai sensi dell'art. 181”, il quale appunto

dispone che “La procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di

omologazione [...]”. Il dato testuale, dunque, indurrebbe a ritenere che la cessazione

della materia del contendere presupponga la semplice omologazione del concordato

preventivo, eventualmente anche all'esito di un giudizio di cram down, senza che sia

indispensabile anche il voto favorevole formulato dall'Amministrazione sulla

proposta di cui all'art. 182ter, in quanto nulla al riguardo è stato esplicitamente

previsto dal legislatore: si potrebbe dire, in altri termini, che l'effetto processuale di

cui trattasi richieda esclusivamente la conclusione (positiva) della procedura

concorsuale, e non anche la conclusione (sempre con esito positivo) del sub-

procedimento di transazione fiscale.

Sicché, la dottrina maggioritaria, in stretta aderenza alla lettera della norma,

reputa sufficiente, ai fini del verificarsi dell'effetto estintivo di cui trattasi, il decreto

268

di omologazione del concordato preventivo, non essendo ulteriormente necessari né

l'assenso dell'Amministrazione né alcuna specifica attività del debitore502: del resto,

come detto in precedenza, la cessazione delle liti conseguirebbe al provvedimento di

omologa in via automatica, quale effetto ipso iure del medesimo.

Nell'ambito di questa nutrita corrente dottrinale, tuttavia, non manca chi

polemizza contro la scelta legislativa di ancorare l'estinzione del contenzioso

pendente alla mera omologazione del concordato, a prescindere dall'assenso espresso

dal creditore pubblico503, o dall'integrale pagamento, da parte del contribuente, delle

somme concordate504: in particolare, quanto al rilievo da ultimo menzionato, si è

detto che il legislatore non avrebbe tenuto in adeguata considerazione l'eventualità di

una successiva risoluzione o di un annullamento del concordato, ignorando quindi gli

effetti che deriverebbero da tali vicende “patologiche”. Trattasi, tuttavia, di critiche

che restano pur sempre ancorate al livello di considerazioni de iure condendo, posto

che la chiara formulazione letterale della norma non lascerebbe spazio ad un'altra

possibile chiave di lettura, come la medesima dottrina ammette.

Ancora, vi è chi prospetta l'opportunità di un'immediata notifica del decreto di

omologa del concordato alle Commissioni tributarie, in modo da rendere edotto il

giudice adito dell'intervenuta automatica estinzione del giudizio pendente505, e chi,

considerando la circostanza diametralmente opposta, puntualizza che la mancata

omologazione della proposta di concordato comporta che la transazione non possa

dispiegare alcun effetto, nonostante la sua approvazione da parte dell'ufficio506.

502

Cfr. ex multis L. MANDRIOLI, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, cit., 761 e 761;

ID., L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e

principi del concorso, cit., 320, dove la scelta del legislatore di subordinare la definizione delle

controversie al passaggio in giudicato del decreto di omologazione, e non all'adesione da parte

dell'Agenzia, è definita “alquanto singolare”; E. TERZANI, La transazione fiscale. Effetti tipici

dell'istituto e classi omogenee di creditori concorsuali, cit., 2527 e 2528.

503

Cfr. S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato preventivo, cit., 4 e ss., che definisce la

soluzione normativa “quanto meno sorprendente”.

504

Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 613, il quale ritiene che

sarebbe stato più opportuno legare il perfezionamento della transazione al pagamento delle somme

concordate, come del resto prevedeva l'art. 225, comma 4 del schema di d.d.l. licenziato dalla II

Commissione Trevisanato.

505

Cfr. A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, cit., 303.

506

Cfr. M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1584: secondo l'A. tale lettura sarebbe l'unica a non

269

Propende per un'interpretazione letterale della norma anche l'Amministrazione

finanziaria, che nella circolare n. 40/E del 2008 si limita a prevedere che “la

cessazione della materia del contendere si produce con la chiusura della procedura

e, quindi, con il decreto di omologazione (articoli 180 e 181)”.

Qualcuno, ancora, ha proposto di operare una sorta di “scissione” fra i due

effetti tipici della transazione fiscale: quanto all'effetto di cessazione della materia

del contendere nelle liti pendenti, il chiaro disposto del comma 5 non lascerebbe

dubbi in merito alla circostanza che il solo decreto di omologazione sia sufficiente a

definire l'esposizione debitoria tributaria sub iudice esistente al momento della

presentazione della domanda di concordato. Viceversa, e fermo restando che i crediti

tributari sopravvenuti subiranno in ogni caso gli effetti esdebitativi di cui all'art. 184,

il voto negativo dell'Amministrazione precluderebbe l'ulteriore risultato del

“consolidamento del debito fiscale”, con la conseguenza che l'ufficio finanziario

manterrà i pieni poteri di controllo in relazione ai periodi di imposta interessati dalla

domanda di transazione507. Secondo questa lettura interpretativa, dunque, il consenso

dell'Erario sarebbe necessario solo ai fini dell'effetto “sostanziale” di cui al comma 2,

da intendersi come blocco degli accertamenti futuri, e non anche di quello

“processuale” di cui al successivo comma 5.

Un'acuta dottrina, viceversa, trascende il mero dato testuale, ritenendo che la

cessazione delle liti pendenti presupponga necessariamente, oltre al decreto finale di

omologa del concordato, anche il previo consenso dell'Amministrazione

finanziaria508. Ad avviso di questa corrente dottrinale, infatti, sarebbe inaccettabile

legare l'approvazione della proposta di transazione alle maggioranze di cui all'art.

177, indipendentemente, se non addirittura contro, la volontà del creditore pubblico:

essere in conflitto con il presupposto essenziale del beneficio, ossia l'esistenza di una domanda di

concordato preventivo.

507

Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 286.

508

Cfr. G. LO CASCIO, La disciplina della transazione fiscale: orientamenti interpretativi innovativi,

in Fall., 2008, 341 e 342; G. LA CROCE, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà della

transazione fiscale nel concordato preventivo, cit., 151; E. STASI, Profili istituzionali della

transazione fiscale, cit., 1185 e 1207; ID., La transazione fiscale, cit., 739; V. ZANICHELLI, I

concordati giudiziali, cit., 273; A. PENTA, Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei

creditori e carattere autonomo o dipendente della transazione fiscale, cit., 242.

270

pertanto dovrebbero essere tenuti distinti, sia pure limitatamente alla fase

dell'approvazione (e non anche nelle sorti), il concordato preventivo e la transazione

fiscale, nel senso che l'approvazione del primo non comporterebbe l'automatico

perfezionamento anche della seconda509. Ne deriverebbe che in caso di diniego

dell'Erario le controversie tributarie dovrebbero continuare il loro regolare iter

processuale, fermo restando che l'ammontare definitivamente accertato all'esito del

giudizio subirà la falcidia concordataria operante per ogni altro credito concorsuale,

alla luce del noto principio generale dell'obbligatorietà del concordato omologato di

cui all'art. 184, comma 1510.

Non mancano, invero, anche interpretazioni alquanto dubbie. Autorevole

dottrina, infatti, da un lato sembra ricollegare la chiusura del procedimento di cui

all’art. 182ter al ritorno in bonis dell'imprenditore, conseguente all'adempimento

degli obblighi assunti nell'ambito della proposta di transazione, salvo subito

precisare che “l'emanazione del decreto di omologazione da parte del Tribunale

dovrebbe “chiudere la partita” ai fini fiscali”: non è del tutto chiaro, dunque, se la

definitiva estinzione del contenzioso in atto consegua al pagamento di quanto

concordato con l'Amministrazione finanziaria, o semplicemente all’omologazione

del concordato511. In ogni caso l'Erario potrà reagire all'inadempimento del debitore

sia con l'escussione delle garanzie eventualmente acquisite, sia con la richiesta

giudiziale di risoluzione della transazione ai sensi dell'art. 1976 c.c.

Ancora, vi è chi ricollega entrambi gli effetti di consolidamento del debito

fiscale e cessazione delle liti pendenti alla mera “attivazione” del procedimento di

cui all'art. 182ter, senza specificare nulla di più512.

Anche la giurisprudenza di merito appare divisa sul punto. Alcune pronunce, in

509

L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit. 614 e ss.

510

Cfr. G. LO CASCIO, La disciplina della transazione fiscale: orientamenti interpretativi

innovativi, cit., 342, e V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 273.

511

Cfr. L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1091.

512

Cfr. G. FAUCEGLIA, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, cit., 495 e

496.

271

stretta aderenza al dato testuale, affermano che “l'eventuale omologazione della

procedura di concordato preventivo determinerà la cessazione della materia del

contendere nelle liti relative ai tributi definiti”513: la massima viene argomentata

facendo leva sul carattere endo-concorsuale della transazione, la quale, confluendo

nel concordato preventivo, non può che condividerne appieno gli effetti e le sorti,

nelle sue varie fasi fisiologiche (omologazione ed esecuzione) e patologiche

(risoluzione ed annullamento), con la conseguenza che l'Agenzia ed il concessionario

resteranno irrimediabilmente soggetti alla decisione della maggioranza,

successivamente avallata dal Tribunale, ancorché contrastante con la propria volontà

negativa.

Di contrario avviso sembra essere altro filone giurisprudenziale, che ricollega

la cessazione del contenzioso tributario in corso all'esito positivo della transazione

fiscale: l'eventuale diniego dell'Amministrazione finanziaria, pur non potendo

impedire la falcidia dei crediti fiscali (soggetta comunque al volere della

maggioranza dei creditori ed alla successiva omologa del concordato), preclude

tuttavia che si producano gli effetti tipici della transazione fiscale514. Eloquenti, a

questo proposito, sono le parole pronunciate dalla Corte d'Appello di Torino in un

decreto del 2010, in cui si afferma che “pare più consono ad una ricostruzione

logica e sistematica dell'istituto affermare che l'approvazione della proposta di

transazione fiscale abbia sì effetto condizionante, ma non dell'esito del concordato

preventivo, bensì del conseguimento, da parte del debitore, di quegli effetti [...]

“tipici” ed “ulteriori” insiti, in una parola, nel consolidamento della sua posizione

fiscale”: e nel novero di tali effetti “tipici ed ulteriori” il decreto include, appunto, la

cessazione delle liti pendenti. Il Collegio prosegue precisando che qualora

l'Amministrazione finanziaria dovesse rigettare la proposta di transazione,

esprimendo voto contrario in sede di adunanza dei creditori, il debitore sarà

sottoposto agli effetti pregiudizievoli del mancato consolidamento dei debiti

513

Cfr. Trib. Piacenza, 1 luglio 2008, decr., cit., e Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, decr., cit.

514

Trib. La Spezia, 2 luglio 2009, decr., cit.; App. Firenze, 13 aprile 2010, decr., cit.; Trib. Pescara, 2

dicembre 2008, decr., cit.; Trib. Pescara, 27 novembre 2008, decr., inedito, citato da A. PENTA,

Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei creditori e carattere autonomo o dipendente

della transazione fiscale, cit., 242, nt. 58.

272

d’imposta515.

La Corte di Cassazione ha accolto la seconda soluzione l'interpretativa: nelle

citate sentenze nn. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011 la Suprema Corte ha

sostenuto che “la mancata adesione al concordato comporta il non verificarsi di

particolari effetti della transazione fiscale (consolidamento del debito inteso come

non modificabile manifestazione della pretesa ed estinzione dei giudizi in corso) che

sono chiaramente subordinati all'omologazione, in uno con il concordato, della

connessa transazione fiscale, non potendo né il debitore né il fisco rimanere

pregiudicati nei rispettivi diritti se non hanno concordemente accettato l'assetto

degli interessi che tale pregiudizio giustifica”.

Senonché, sembra che la querelle relativa alla necessità o meno del consenso

dell'Erario, ai fini del perfezionamento della transazione fiscale, e del connesso

effetto processuale estintivo, sia in realtà un falso problema.

Infatti, l'opinione che ritiene indispensabile l’assenso del creditore pubblico

muove dall'esigenza di tutelarne la posizione in seno alla procedura concorsuale:

pertanto, una volta escluso che l'Amministrazione possa impedire con il proprio voto

negativo l'approvazione della proposta concordataria (posto che nemmeno tale

dottrina si spinge sino al punto da accordare al Fisco un vero e proprio potere di

veto), o più semplicemente la falcidia delle proprie pretese (non potendo

disconoscersi l'inderogabilità e l’assolutezza del vincolo di cui all'art. 184), tale

dottrina ritiene che il suo assenso sia viceversa indispensabile ai fini del

conseguimento degli effetti tipici del sub-procedimento transattivo, che altrimenti

sarebbero lasciati in balia della volontà dei creditori privati, e degli interessi

inevitabilmente particolari di cui questi ultimi sono latori.

Ora, è proprio il modo in cui vengono intesi tali effetti “tipici” ad aver indotto

questa dottrina ad attribuire eccessivo valore al consenso dell'Amministrazione:

interpretando il consolidamento in termini di congelamento dei residui poteri

accertativi, e quindi preclusione di ogni ulteriore controllo di merito, nonché

intendendo la cessazione della materia del contendere come estinzione di ogni

515

Cfr. App. Torino, 23 aprile 2010, decr., cit.

273

giudizio pendente, con rinuncia alla tutela giurisdizionale delle proprie ragioni

impositive, tale orientamento dottrinale ritiene giocoforza inevitabile l’assenso del

soggetto pubblico.

Una diversa lettura della norma di cui all’art. 182ter, invero, potrebbe dissipare

ogni criticità.

In particolare, quanto all’effetto di “consolidamento del debito fiscale”, se ad

esso fosse attribuita una portata solo endo-concorsuale, secondo il significato che è

stato illustrato nel precedente capitolo, è evidente che la procedura di concordato non

arrecherebbe all'Erario alcun pregiudizio particolare (o, se vogliamo, ulteriore

rispetto alla falcidia obbligatoria delle proprie ragioni creditorie, che riguarderebbe

tutti i creditori, ivi compresi gli astenuti e i dissenzienti): l'ufficio, infatti,

conserverebbe intatti i suoi poteri accertativi, indipendentemente da come abbia

votato sulla proposta di concordato, se non addirittura a prescindere dalla circostanza

di avere espresso o meno un voto in adunanza. Pertanto non vi sarebbe motivo di

ravvisare alcun pericolo sul versante tributario, o meglio “sostanziale”: non avrebbe

senso, infatti, ritenere che senza il consenso dell’ufficio i poteri pubblicistici di

accertamento correrebbero il rischio di essere “sacrificati” alla volontà della

maggioranza, posto che, come visto, detto sacrificio non verrebbe mai a prodursi,

neanche in caso di voto favorevole dell'Amministrazione.

Il consolidamento, come si è visto, è da intendersi come definitiva

quantificazione del carico fiscale valevole solo ai fini della votazione sulla proposta

di concordato, e della successiva fase esecutiva: in altri termini, il peso del voto da

riconoscere all'Agenzia ed al concessionario sarà commisurato all'ammontare del

debito d'imposta indicato nella proposta di transazione, da coniugare con quello

“fotografato” nelle certificazioni rilasciate e nelle liquidazioni effettuate

dall'Amministrazione, con l'ovvia conseguenza che, in mancanza di queste, al

creditore pubblico sarà preclusa solo la possibilità di votare in adunanza, e

successivamente di essere soddisfatto, per importi maggiori rispetto a quelli

quantificati unilateralmente dal proponente. Ma il fatto che, in tale ultima evenienza,

non si tenga conto del reale carico tributario complessivo, in ipotesi più elevato

rispetto a quello determinato dal debitore concordatario, non può essere considerato

pregiudizievole per la ragioni dell'Erario: trattasi di una sorta di sanzione implicita

274

per il mancato assolvimento degli adempimenti di cui al comma 2, o comunque trova

la propria giustificazione nell'esigenza di fondo di garantire maggiore certezza in

merito all'entità delle pretese da soddisfare in moneta concordataria, onde evitare

tardive rinvenienze di crediti d’imposta che pregiudicherebbero la fattibilità del

piano, minandone la trasparenza e la stabilità.

Pertanto, la tesi secondo cui il consenso del creditore pubblico sarebbe

necessario per ottenere il consolidamento del debito tributario non sembra avere

molto fondamento.

Anche con riferimento all'effetto di cessazione della materia del contendere, di

cui qui si discute, apparirebbe eccessiva un'interpretazione che subordini l'estinzione

delle liti pendenti all'assenso del Fisco, sempre al fine espresso di non ledere i suoi

diritti di difesa, laddove gli altri creditori sarebbero comunque garantiti dalla norma

di cui all’art. 176. Occorre riconoscere, infatti, che l'Erario sarebbe in ogni caso

avvantaggiato dall'estinzione del contenzioso in atto, indipendentemente dalla

circostanza di essere favorevole o meno alla soluzione transattiva. Ciò, infatti, si

evince dalla considerazione dei possibili esiti del contenzioso pendente: la

prosecuzione del giudizio, infatti, potrebbe sfociare nell'accoglimento del ricorso del

contribuente, e nella conseguente riduzione o totale eliminazione della pretesa

contenuta nell'atto impositivo impugnato, oppure nel rigetto dell'impugnazione, con

la conseguenza che la pretesa erariale rimane in vita nella sua interezza, anche se

comunque sarà destinata a scontare la falcidia concordataria. A ben vedere, questa

seconda evenienza è identica a quella che si verificherebbe nel caso in cui il

contenzioso si estingua per cessazione della materia del contendere: tale ipotesi,

infatti, presuppone il riconoscimento della pretesa impositiva da parte del

contribuente, il quale si obbliga conseguentemente a soddisfarla, seppur non

interamente ma solo in misura ridotta e/o dilazionata.

Con il proprio voto, dunque, l'Amministrazione non farebbe altro che accettare

o meno la percentuale, nonché le altre condizioni di soddisfazione, offerte dal

debitore, piuttosto che esprimere il proprio assenso sull'estinzione del contenzioso in

atto, cosa alla quale, come visto, sarebbe in ogni caso interessata: si pensi ancora alla

circostanza che l’accoglimento del ricorso, all'esito del giudizio tributario

eventualmente non estinto per effetto dell’omologazione, comporterebbe l'obbligo di

275

rimborsare al debitore quanto da lui precedentemente corrisposto all’Erario in

esecuzione del piano concordatario, in relazione alla pretesa impositiva poi

annullata, oltre al probabile addebito all’ufficio delle spese processuali secondo il

principio della soccombenza.

È evidente, dunque, che la cessazione del contenzioso in atto non è mai

suscettibile di pregiudicare né le ragioni creditorie né i diritti di difesa dell'Erario.

Sicché, ritenere che tale effetto discenda dalla mera omologazione del concordato,

indipendentemente dall'assenso del Fisco, non sembrerebbe ledere la posizione di

quest'ultimo. Viceversa, potrebbe essere proprio l'interesse dell'Amministrazione

finanziaria all'estinzione dei contenziosi tributari pendenti ad indurla a votare a

favore della proposta, in modo tale da agevolare il raggiungimento delle

maggioranze di cui all'art. 177, ponendo le basi per la successiva omologazione del

concordato, da cui quell'estinzione, appunto, deriva.

In conclusione, dunque, si potrebbe affermare che l'Amministrazione non vota

sulla rinuncia ai propri poteri impositivi o sull'estinzione del contenzioso in atto,

quanto piuttosto sulla percentuale di pagamento offertale dal debitore. Pertanto, non

si potrebbe affermare che sia il voto favorevole dell’Erario a determinare il

“perfezionamento” della transazione fiscale ed il conseguente verificarsi di detti

effetti “tipici”, posto che il primo non si produrrebbe in nessun caso, laddove il

secondo discende in via automatica dall'omologazione del concordato, prescindendo

dal consenso del creditore pubblico516.

È evidente come tale lettura si concili maggiormente con le regole generali che

governano la procedura concordataria, ed in particolare con il carattere endo-

procedimentale della transazione fiscale, destinata a “vivere” esclusivamente in seno

a quella procedura come mera articolazione interna, e secondo l’orientamento

maggioritario anche eventuale.

516

O, al limite, l'effetto processuale estintivo potrebbe ritenersi subordinato a tale consenso solo e

nella misura in cui il voto favorevole dell'Erario risulti essere determinante per il raggiungimento

delle maggioranze indispensabili per l’approvazione della proposta del debitore.

276

4. Gli effetti dell'intervenuto annullamento o della risoluzione del

concordato preventivo.

Uno fra i profili maggiormente dibattuti in dottrina è quello relativo agli effetti

che l'eventuale risoluzione o annullamento del concordato omologato producono

sulle liti tributarie precedentemente estinte ai sensi del comma 5.

Occorre premettere che la questione ha un senso solo con specifico riferimento

ai crediti tributari, gli unici ad essere interessati dall'effetto estintivo di cui trattasi:

per quanto attiene alla restante parte dei crediti ammessi al passivo concordatario,

infatti, il relativo accertamento giudiziale non risentirà delle vicende “patologiche”

che possano travolgere il concordato, proseguendo parallelamente ed

autonomamente rispetto a quella procedura, alla luce della più volte citata regola

generale di cui all'art. 176, comma 1. L'unica conseguenza che potrebbe scaturire dal

venir meno del concordato, semmai, sarebbe la riemersione del credito nella sua

interezza, alla luce del carattere non novativo dell'effetto esdebitatorio di cui all'art.

184, che sarà illustrato meglio nel prosieguo.

Fatta questa opportuna premessa, in ordine agli effetti scaturenti dalla

successiva risoluzione o annullamento del concordato sulle controversie tributarie

precedentemente estinte per cessazione della materia del contendere è dato

riscontrare una molteplicità di opinioni difformi.

Secondo l'orientamento maggiormente accreditato in dottrina gli eventi

patologici sopravvenuti alla chiusura del concordato non potrebbero far rivivere gli

originari giudizi di merito cessati per effetto dell'omologazione, con la conseguenza

che le pretese erariali, da soddisfarsi in misura integrale e non più falcidiata, come

qualsivoglia altro credito, rimarrebbero definitivamente fissate nella misura fatta

valere dall'Amministrazione finanziaria nell'atto impositivo originariamente

emanato517.

Tale conclusione viene prospettata come l'unica compatibile con la natura

517

Il più convinto assertore della definitiva stabilizzazione delle originarie pretese impositive è L.

DEL FEDERICO: cfr. ex multis Profili processuali della transazione fiscale, cit., 3663. Secondo

questo Autore si consoliderebbero le pretese cristallizzate nelle certificazioni emesse dall'ufficio

finanziario e dal concessionario della riscossione. In senso conforme cfr. anche M. POLLIO, La

transazione fiscale, cit., 1852.

277

impugnatoria del processo tributario518. Ancora, vi è chi ne giustifica la fondatezza

ora facendo leva sul carattere assoluto e non eliminabile della cessazione della

materia del contendere, posto che la medesima sarebbe assimilabile ad un giudicato,

nel senso di non essere più rimuovibile519, ora richiamandosi alla difficoltà pratica di

ripristinare controversie già intraprese e poi cessate, anche per il probabile

intervenuto decorso dei termini decadenziali previsti dalla normativa tributaria per la

proposizione del ricorso in Commissione520. Del resto, quand’anche i termini per il

ricorso non fossero ancora scaduti, la precedente impugnazione dell'atto impositivo,

poi caducata per effetto dell'estinzione del giudizio, avrebbe comunque comportato

la consumazione del potere impugnatorio in capo alla parte privata, per effetto del

principio generale del ne bis in idem.

Nell'ambito di questo filone di pensiero, inoltre, vi è chi fa leva sulla pretesa

non autonomia della transazione fiscale: dal momento che l'istituto non avrebbe una

“vita propria” al di fuori della procedura di concordato, la risoluzione o

l'annullamento di quest'ultimo comporterebbero, come necessaria conseguenza, il

venir meno anche dell'accordo transattivo siglato al suo interno, destinato

irrimediabilmente a perdere ogni residua efficacia, con la conseguente inevitabile

cristallizzazione degli importi originariamente pretesi dall'Amministrazione521.

Dello stesso avviso sembrerebbe essere anche la prevalente giurisprudenza di

merito. In verità, nessuna delle pronunce che si sono occupate dell'istituto di cui

all'art. 182ter individua nello specifico i possibili effetti che l'intervenuto

annullamento o la successiva risoluzione del concordato potrebbero determinare

sulla transazione fiscale in esso contenuta: tuttavia la massima oramai consolidata,

secondo cui “la transazione inserita in un piano di concordato preventivo ne

condivide gli effetti e le sorti”522, nella quale viene sintetizzata la noto teoria

518

Cfr. L. DEL FEDERICO, Profili evolutivi della transazione fiscale, cit., 1229.

519

Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, cit., 3022.

520

Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 213 e 214.

521

Cfr. P. PAJARDI, Transazione fiscale (a cura di A. SOLIDORO), cit.,1802, il quale, sotto questo

profilo (che potremmo definire strutturale o procedimentale), equipara la mancata omologazione

del concordato alla sua successiva caducazione per effetto di risoluzione o annullamento.

522

Cfr. ex multis Trib. Mantova, 26 febbraio 2009, decr., cit., e Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, decr., cit.

278

pubblicistica o endo-procedimentale dell'istituto di cui all’art. 182ter, sembrerebbe

lasciar trapelare che il convincimento dei giudici sia per la caducazione dell’accordo

transattivo, di pari passo con il venir meno del concordato (il termine “sorti”, infatti,

alluderebbe proprio agli eventi “patologici” della risoluzione e dell'annullamento,

che finirebbero dunque per riverberarsi sulla transazione fiscale).

Del resto, anche chi muove da premesse opposte giunge alla medesima

conclusione. Per i fautori della tesi negoziale, infatti, il ripristino della situazione

pregressa ottenuto per effetto del venir meno del concordato, e quindi la reviviscenza

del debito tributario anteriore alla proposizione della domanda di transazione, con

l'annullamento delle reciproche concessioni raggiunte all'esito dell'accordo bilaterale

fra Amministrazione e contribuente, rappresenterebbe “la soluzione più conforme ai

principi”523.

Gli stessi assertori della sopravvivenza dell'originaria pretesa impositiva,

comunque, non mancano di rilevare criticamente le perplessità che tale lettura

interpretativa finirebbe per sollevare, soprattutto sotto il profilo della violazione dei

diritti di difesa del contribuente, che sarebbe costretto a subire in via definitiva la

quantificazione operata dall'Amministrazione: si tratterebbe di un profilo di indubbio

vantaggio per il Fisco, che qualcuno tuttavia giustifica con l'esigenza di attenuare le

verosimili resistenze degli uffici finanziari ad avvalersi dell'istituto524.

Secondo altra dottrina, all'opposto, il venir meno del concordato omologato per

effetto di uno degli eventi patologici di cui trattasi comporterebbe una ripresa del

contenzioso originariamente pendente, senza tuttavia precisare il modo in cui, in

concreto, i giudizi dovrebbero essere nuovamente incardinati525.

523 Così P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 904.

524

Cfr. L. DEL FEDERICO, Profili evolutivi della transazione fiscale, cit., 1230.

525

Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di

ristrutturazione dei debiti, cit., 35; ID., E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato

preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riforma fallimentare. Lavori

preparatori e obiettivi, a cura di M. VIETTI - F. MAROTTA - F. DI MARZIO, Itaedizioni,

Torino, 2008, 319. Sulla ripresa del contenzioso cfr. da ultimo G. GAFFURI, Aspetti problematici

della transazione fiscale, cit., 1125, secondo cui, una volta rispettato il paradigma impugnatorio

proprio delle liti fiscali, non sarebbe necessaria la riproposizione di un ulteriore atto reintroduttivo,

ed il processo riprenderebbe vita per effetto della rimozione della causa della sua cessazione,

continuando nello stato in cui versava.

279

Dello stesso avviso è anche l'Amministrazione finanziaria, che nella circolare

n. 40/E si limita ad affermare che “la cessazione della materia del contendere è

conseguenza dell'intervenuto accordo fra le parti”. E' interessante notare come la

soluzione qui delineata si discosti nettamente rispetto a quella prospettata dalla stessa

Agenzia delle Entrate con riferimento all'abrogata transazione esattoriale, rispetto

alla quale era stata ammessa la possibilità di avvalersi dello strumento della

risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1976 c.c., con conseguente ripristino

delle posizioni creditorie preesistenti526.

Qualcuno, ancora, ha prospettato una lettura restrittiva della disposizione di cui

al comma 5: considerato che la reviviscenza di un giudizio estinto per cessata

materia del contendere appare pressoché improponibile, e rilevato che l'altra

soluzione ipotizzata, comportando la cristallizzazione dell'originaria pretesa

impositiva, priverebbe il contribuente di ogni tutela giurisdizionale avverso la

medesima, questa dottrina ritiene che la chiusura del concordato non potrebbe essere

motivo di cessazione della materia del contendere per tutte le liti in corso, ma la

medesima opererebbe solo con riferimento alle controversie per le quali in sede

concorsuale sia stata superata ogni contestazione sull'entità del credito fiscale527. In

altri termini, l'effetto estintivo dovrebbe riguardare solo le liti di pronta soluzione,

per le quali il mantenimento in vita del giudizio apparirebbe improduttivo e vano. La

dottrina in esame, pur ammettendo che la propria lettura sia fortemente svalutativa,

ritiene tuttavia che essa sia l'unica in grado di conformarsi al precetto di cui all'art. 24

Cost.: la salvaguardia del fondamentale diritto del contribuente alla tutela

giurisdizionale dei propri interessi, a fronte dell'attività impositiva dell'Erario,

verrebbe garantita solo se siano state precedentemente eliminate le dispute in merito

all'an e al quantum del debito d'imposta sub iudice. Senza contare che l'effetto

estintivo di cui al comma 5 rischierebbe di alterare la par condicio creditorum a tutto

526

Cfr. circolare n. 8/E del 4 marzo 2005, p. 4. Secondo L. DEL FEDERICO, Profili evolutivi della

transazione fiscale, cit., 1229, quella individuata nella circolare n. 40/E del 2008 è una soluzione

in palese contrasto con la natura impugnatoria del processo tributario, ma volta intenzionalmente a

stemperare il radicale favor fisci.

527

Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 842

e ss.

280

vantaggio del Fisco, poiché l'estinzione del giudizio potrebbe portare al

consolidamento di una pretesa fiscale maggiore di quella che si sarebbe determinata

all'esito di un ordinario processo, soprattutto laddove le ragioni prospettate dal

ricorrente apparissero serie e fondate.

Ancora, è stato proposto di applicare alla fattispecie di cui trattasi la soluzione

elaborata dalla giurisprudenza di legittimità prima, e dal legislatore poi, in materia di

conciliazione giudiziale, muovendo dal presupposto che la transazione si inserirebbe

in quel sistema di valorizzazione dei moduli consensuali nell'attuazione del prelievo

fiscale in cui rientrerebbe, appunto, anche l'istituto di cui all'art. 48 del d. lgs. n.

546/1992528. Pertanto, troverebbe applicazione, in via analogica, la massima

giurisprudenziale secondo cui “dall'effetto novativo della conciliazione discende che,

qualora il contribuente abbia versato solo la prima rata delle somme

complessivamente pattuite, senza corrispondere il residuo e né chiedere l'ulteriore

dilazione di pagamento, l'inadempimento non fa rivivere l'obbligazione originaria e

l'Amministrazione creditrice deve esigere il versamento delle somme ancora dovute

in base all'accordo conciliativo, attraverso una procedura di riscossione anche

coattiva”529. Del resto, l'efficacia novativa dell'accordo conciliativo è stata

riconosciuta anche dal legislatore, che ha inserito nell'art. 48 un nuovo comma, il

3bis, il quale dispone che, in conseguenza del mancato pagamento anche di una sola

delle rate successive alla prima, l'ufficio dovrà provvedere all'iscrizione a ruolo delle

somme a carico del contribuente e del garante limitatamente all'importo determinato

a seguito di conciliazione. Ne deriverebbe, con riferimento all'istituto di cui all'art.

182ter, che la definizione contenuta nell'accordo transattivo non verrebbe meno

nemmeno a fronte della caducazione del concordato preventivo, posto che la

transazione determinerebbe comunque la definitiva estinzione dell'obbligazione

tributaria originaria, salva la possibilità per l'ufficio di procedere alla riscossione

coattiva delle somme precedentemente definite con la controparte che risultino

ancora dovute.

528

Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2329 e 2330.

529

Cfr. Cass., 19 giugno 2009, n. 14300, in Mass., 2009, 812, e Cass., 20 settembre 2006, n. 20836, in

Dir. e giust., 2006, 35.

281

Altra dottrina, invece, giustifica la “sopravvivenza” della transazione, e la sua

pretesa valenza novativa, facendo leva sull'autonomia dell'istituto di cui all'art.

182ter e sul suo ipotizzato carattere negoziale: trattandosi di un accordo di natura

fiscale, che accerta il rapporto giuridico d'imposta con efficacia novativa rispetto a

quanto costituisce oggetto del giudizio pendente, la transazione sarebbe insensibile

alle vicende caducatorie del concordato530. La bontà di tale soluzione poggerebbe

anche sul disposto di cui all'art. 1976 c.c., secondo cui la risoluzione della

transazione per inadempimento non può essere richiesta se il preesistente rapporto è

stato estinto per novazione, il che sarebbe indice della volontà legislativa di tener

fermi gli effetti novativi della transazione civilistica, che determinerebbe la

sostituzione del rapporto originariamente dedotto in giudizio con un titolo diverso, in

grado di regolare la medesima materia sub iudice: in applicazione della citata

disposizione codicistica, dunque, sarebbero fatti salvi il contenuto e gli effetti della

transazione fiscale. Tale soluzione interpretativa, a giudizio dei suoi fautori, da un

lato eviterebbe la lesione dei diritti di difesa del contribuente, che deriverebbe

altrimenti dalla cristallizzazione dell'originaria pretesa impositiva contenuta nell'atto

impugnato, e dall'altro ovvierebbe all'esigenza di ipotizzare l'improbabile

reviviscenza di un processo ormai estinto.

Infine, vi è chi ricerca la soluzione della querelle nei meccanismi processuali.

Esclusa ogni possibilità di reviviscenza degli accertamenti originariamente

impugnati, e fermo restando che l'Amministrazione non ha la possibilità di notificare

tali atti una seconda volta, tale dottrina giunge ad ipotizzare una sospensione del

processo tributario, con istanza di riassunzione rimessa all'iniziativa degli uffici

finanziari nel caso in cui il piano di concordato non venisse attuato; oppure, viene

prospettata la possibilità di impugnare per revocazione la sentenza (o il decreto

presidenziale) che ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, facendo

valere il motivo di cui al n. 1 dell'art. 395 c.p.c., ossia il “dolo di una delle parti in

danno dell'altra”531. Tale ultima soluzione deriverebbe dalla circostanza che la norma

530

Cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., cit., 849.

531

Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 627. L'A. precisa anche

che dovrebbero considerarsi irrevocabili i pagamenti posti in essere sino al momento della

pronuncia della risoluzione per inadempimento, anche alla luce del disposto di cui all'art. 67,

282

in materia di risoluzione ed annullamento del concordato fallimentare di cui all'art.

138, applicabile anche al concordato preventivo in forza del richiamo espresso

contenuto nell'art. 186, attribuisce un rilievo determinante all'atteggiamento

fraudolento del debitore, disponendo che “il concordato omologato può essere

annullato [...] quando si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo, ovvero

sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo”.

Prima di tentare l'individuazione, invero non agevole, di una possibile chiave di

lettura, occorre premette che il problema degli effetti della risoluzione o

dell'annullamento del concordato non si pone per le pretese definitive, ossia quelle

contenute in atti impositivi non più impugnabili, accertate con sentenza passata in

giudicato, oppure ancora iscritte a ruolo a titolo definitivo: in tali ipotesi, infatti, il

venir meno del concordato comporta la reviviscenza della pretesa nella sua

interezza, assodato il carattere non novativo dell'omologazione. In particolare,

dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che il concordato omologato non

comporti l'estinzione delle preesistenti obbligazioni per novazione o remissione del

debito532: ne deriva, da un lato, che la porzione di credito eccedente la percentuale

concordataria è oggetto di un’obbligazione naturale, cioè sarebbe sfornita di azione

ma connotata da soluti retentio ex art. 2034533, mentre, dall'altro lato, la risoluzione o

l’annullamento del concordato determinano il venir meno dell'effetto parzialmente

esdebitatorio del decreto di omologazione534. Ciò, dunque, dovrebbe portare al rigetto

comma 3, lett. e), e gli uffici finanziari non potrebbero ritenersi vincolati all'attività endo-

procedimentale svolta nell'ottica dell'accordo transattivo, recuperando appieno i propri poteri di

verifica, accertamento e riscossione.

532

È questa, infatti, la tesi maggiormente accreditata in dottrina: cfr. ex multis G. LO CASCIO, Il

concordato preventivo, cit., 655, e S. SATTA, Diritto fallimentare, cit., 393. Alcuni, viceversa,

ravvisano nell'esdebitazione conseguente all'omologazione un effetto estintivo riconducibile alla

remissione del debito (cfr. App. Milano, 19 novembre 1985, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, II,

303, e U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., 1022), o ad una

transazione (cfr. F. FERRARA - A. BORGIOLI, Il fallimento, cit., 164), o una perdita dell'azione

sostanziale (cfr. G. RAGUSA MAGGIORE, Diritto fallimentare, cit., 834). Dubbia è la lettura

prospettata da G. BONELLI – V. ANDRIOLI, Del fallimento, cit., 24, secondo cui la sistemazione

del rapporto creditorio nella maggioranza dei concordati sarebbe provvisoria, perché difficilmente

il creditore si indurrebbe a rinunciare alle risorse che il tempo può apportare al debitore dissestato.

533

Cfr. ex multis A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, cit., 733.

534

Cfr. ex multis A. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, cit., 513.

283

di quelle tesi che fondano la sopravvivenza dell'accordo transattivo sulla sua pretesa

valenza novativa: il carattere endo-procedimentale dell'istituto, infatti, comporta che

esso partecipi della stessa natura giuridica del concordato, e conseguentemente la

falcidia del credito erariale non può avere valore diverso da quello attribuibile

all'effetto esdebitatorio di cui all'art. 184, comma 1.

Senonché, sempre muovendo dall'esclusione del carattere novativo

dell'omologazione, non sembrerebbe fondata nemmeno la tesi che propende per

l'applicazione analogica della disposizione di cui all'art. 48, comma 3bis del d. lgs. n.

546/1992, dal momento che, come si è visto sopra, tale norma presuppone,

viceversa, l'efficacia novativa della conciliazione giudiziale535.

Non sembra essere fondata nemmeno la tesi secondo la quale il processo

estinto dovrebbe “rivivere”. Soccorrono, a questo riguardo, due obiezioni

difficilmente superabili: da un lato, occorre rilevare l'intervenuta consumazione

dell'azione, stante il principio del ne bis in idem; dall'altro, anche a voler ammettere

una conservazione del potere di impugnare in capo al contribuente, è assai probabile

che sia decorso medio tempore il relativo termine di decadenza.

Del resto, la natura meramente endo-procedimentale della transazione fiscale,

che si è visto essere la tesi oggi maggiormente accreditata sia in dottrina che in

giurisprudenza, impedirebbe di attribuire all'istituto una sua “autonomia” rispetto alla

procedura concordataria in cui esso è inserito, dovendo viceversa condividerne gli

535

La menzionata disposizione è stata introdotta allo scopo di risolvere la querelle relativa alla sorte

dell'accordo conciliativo nell'ipotesi in cui il contribuente non avesse versato le somme dovute: se

una parte della dottrina propendeva per la risoluzione di diritto dell'accordo, ferma restando

l'intervenuta estinzione del processo tributario, con conseguente automatica reviviscenza

dell'originario avviso di accertamento (cfr. S. MENCHINI, Commento all'art. 48 del d. lgs. n.

546/1992, in AA.VV., Il nuovo processo tributario. Commentario, a cura di T. BAGLIONE – S.

MENCHINI - M. MICCINESI, Giuffrè, Milano, 2004, 548), altri ritenevano che sarebbero venuti

meno gli effetti sostanziali della conciliazione, ivi compreso l'effetto processuale estintivo, con la

conseguente ripresa del processo tramite reclamo avverso il decreto presidenziale di estinzione

(cfr. F. BATISTONI FERRARA, Conciliazione giudiziale (diritto tributario), in Enc. dir.

Aggiornamento, Giuffrè, Milano, 1998, II, 237, e circolare del Ministero delle Finanze n. 235

dell'8 agosto 1997). Altri, ancora, reputavano che, ferma restando l'intervenuta estinzione del

giudizio, l'Amministrazione avrebbe dovuto procedere in executivis, iscrivendo a ruolo gli importi

ancora dovuti, risultanti dal processo verbale di conciliazione (cfr. L. TOSI, La conciliazione

giudiziale, in AA.VV., Il processo tributario – Giurisprudenza sistematica di diritto tributario,

diretto di F. TESAURO, Utet, Torino, 1998, 903. In giurisprudenza cfr. Comm. Trib. Prov.

Treviso, 18 gennaio 2000, in banca dati Il Foro italiano online).

284

effetti e, per quanto qui interessa, le sorti: ne consegue che le vicende “patologiche”

che dovessero porre nel nulla un concordato omologato, secondo la disciplina di cui

all'art. 186, non potrebbero non incidere anche sulla annessa proposta di transazione

fiscale, che finirebbe per essere parimenti travolta.

Non resta, dunque, che abbracciare la tesi secondo la quale l'annullamento o la

risoluzione del concordato farebbero “rivivere” la pretesa originaria536: ne deriva,

dunque, il potere dell'ufficio di iscrivere a ruolo tutte le somme (a titolo di maggiore

imposta, sanzione ed interessi) quantificate nell'atto impositivo che era stato

precedentemente impugnato, al netto, ovviamente, di quanto eventualmente già

riscosso in sede di esecuzione del concordato.

Va da sé che tale lettura, muovendo dal disconoscimento del carattere novativo

dell'omologazione, porterebbe anche a respingere la tesi, cui si è accennato nel

paragrafo 1 del presente capitolo, che ravvisa nella cessazione della materia del

contendere ex comma 5 una vicenda legata al venir meno dell'oggetto del giudizio,

ossia alla caducazione del titolo originario, che verrebbe ad essere sostituito da una

nuova fonte di regolamentazione dei rapporti fra privato ed ente impositore,

incarnata dall'accordo transattivo.

Ovviamente non può essere disconosciuto che la definitiva cristallizzazione

degli importi contenuti negli atti impositivi originariamente impugnati rappresenta

un pericolo per i diritti di difesa della parte privata. Senonché, la portata del vulnus

inferto all'art. 24 Cost. potrebbe essere ridimensionata operando “a monte” una

selezione delle controversie da ricomprendere nell'ambito di applicazione della

transazione fiscale: in altri termini, come si è visto in precedenza, sarebbe

pienamente condivisibile quell'opinione dottrinale secondo cui la transazione

potrebbe anche essere “parziale”, con la conseguenza che il debitore avrebbe la

possibilità di escludere dalla proposta transattiva quelle pretese sub iudice

eccessivamente gravose, o comunque palesemente illegittime537, rispetto alle quali

536

La quale, del resto, non si è mai veramente estinta, stante il carattere non novativo

dell'omologazione di cui si è detto supra.

537

Cfr. da ultimo E. STASI, Obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale?, in Fall., 2011,

87, nt. 1. L'A. prospetta l'esempio di una pretesa fondata su un accertamento fiscale annullato dai

giudici tributari con sentenza non ancora passata in giudicato: secondo i fautori dell'obbligatorietà

della transazione fiscale e della necessaria definizione di tutte le pendenze sulla scorta delle cifre

285

egli avrà tutto l'interesse a proseguire il contenzioso già in essere, o ad instaurare un

nuovo giudizio.

Ancora, in una prospettiva de iure condendo, il problema potrebbe essere

aggirato tramite un ritocco della disposizione di cui al comma 5, che subordini

l'estinzione del contenzioso in corso non alla mera omologazione del concordato,

quanto piuttosto all'integrale pagamento del quantum fissato nell'accordo transattivo.

Analoga soluzione, del resto, è stata ampiamente accolta dalla giurisprudenza di

legittimità in tema di condono ex art. 9bis della l. n. 289/2002: ad avviso della

Suprema Corte, infatti, l'efficacia della sanatoria è condizionata al versamento

integrale delle somme dovute, sicché l'omesso versamento delle rate successive alla

prima precluderebbe la definizione della lite pendente538.

Peraltro, nell'ipotesi in cui la proposta ex art. 182ter abbia previsto la

prestazione di garanzie a favore dell'Erario539, è da ammettersi che l'iscrizione a ruolo

del debito d’imposta residuo possa avvenire anche a carico del garante. Va detto che

tale facoltà presuppone che sia data soluzione affermativa ad una questione sulla

quale, almeno in passato, non vi era unanimità di vedute né in dottrina né in

giurisprudenza: ossia la sorte delle garanzie prestate da terzi nell'ambito di un

concordato preventivo successivamente risolto o annullato. La querelle traeva

origine dalla circostanza che la normativa in tema di concordato preventivo non

conteneva alcuna disposizione analoga a quella dettata dall'art. 140, comma 3, in

materia di concordato fallimentare540: peraltro contrariamente ad un orientamento,

comunicate dagli uffici finanziari, senza alcuna possibilità di far valere azioni o proseguire quelle

già attivate, per accedere alla procedura concordataria il debitore sarebbe costretto a pagare una

parte del tributo illecitamente accertato, rinunciando alla prosecuzione di un contenzioso a lui

totalmente favorevole.

538

Cfr. Cass., 6 ottobre 2010, nn. 20745 e 20746, ord., in Mass. Foro. it, 2010, 907. Nella seconda

delle menzionate pronunce la S.C. ha addirittura escluso la definizione del contenzioso anche in

caso di tardivo versamento delle rate successive alla prima.

539

Ipotesi, questa, tutt'altro che infrequente, anche se non necessaria, posto che il comma 1 dell'art.

182ter parla di “eventuali garanzie”. Fra gli autori che ammettono la possibilità per l’ufficio di

imporre garanzie all'interno del medesimo accordo transattivo, in modo tale da cautelarsi contro

l'eventuale inadempimento del debitore, cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla

transazione fiscale, cit., 626.

540

Tale norma dispone che “I creditori anteriori conservano le garanzie per le somme tuttora ad essi

dovute in base al concordato risolto o annullato e non sono tenuti a restituire quanto hanno già

riscosso”.

286

rimasto però minoritario, secondo cui il mancato rinvio espresso a tale disposizione

presupponeva la volontà del legislatore di far estinguere le garanzie originariamente

prestate541, la dottrina maggioritaria aveva attribuito alla citata norma portata di

principio generale, valido anche per il concordato preventivo, nonostante mancasse

un esplicito richiamo alla medesima542.

Quanto all'orientamento della giurisprudenza di legittimità, se in un primo

momento la Suprema Corte aveva optato per l'estinzione delle garanzie prestate per

l'adempimento del concordato preventivo nel caso di una successiva risoluzione o

annullamento del medesimo, escludendo l'applicazione analogica dell'art. 140,

comma 3543, successivamente ha ritenuto che, seppur in mancanza di una

disposizione analoga a quella dettata in materia di concordato fallimentare, le

garanzie non perdono efficacia, sia pur nei limiti della percentuale concordataria per

cui sono state offerte544. Il contrasto fra la cosiddetta tesi “civilista” e quella

“fallimentarista” è stato ricomposto dalle Sezioni Unite, che si sono pronunciate per

la conservazione delle garanzie, sul presupposto che esse divergono dalla ordinaria

fideiussione civilistica: mentre questa si ricollega ad una vicenda contrattuale

fondata sul principio di autonomia delle parti, le prime vengono prestate nell'ambito

di un procedimento destinato a realizzare finalità pubblicistiche545.

541

Cfr. R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, cit., 2361, secondo cui l'obbligo del

garante, condizionato all'approvazione del concordato, non poteva sussistere in caso di risoluzione,

in quanto era strettamente legato alla causa del medesimo concordato, che coinvolge il

provvedimento di omologazione e i suoi effetti.

542

Cfr. U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., 1575, e A.

BONSIGLIORI, Concordato preventivo, cit., 517.

543

Cfr. ex multis Cass., 10 novembre 1978, n. 5161, in Giur. comm., 1980, II, 162, e Cass., 17 ottobre,

1977, n. 4438, in Giur. Comm., 1978, II, 317.

544

Cfr. ex multis Cass., 22 febbraio 1993, n. 2174, in Fall., 1993, 726, e Cass., 3 aprile 1978, n. 1500,

in Giur. comm., 1978, II, 317.

545

Cass., SS.UU., 18 febbraio 1997, n. 1482, in Fall., 1997, 722, confermata da Cass., SS. UU., 18

maggio 2009, n. 11396, in Fall., 2009, 1390. Cfr. da ultimo Cass., novembre 2011, n. 22913, in

www.ilcaso.it, II, 6723, secondo cui in presenza di garanzia prestata da un terzo in relazione ad

una proposta di concordato preventivo, nel caso di successivo fallimento del debitore a seguito

della risoluzione del concordato, la legittimazione ad agire nei confronti del garante spetta ai

singoli creditori, quali titolari del rapporto obbligatorio conseguente alla prestazione della

garanzia.

287

La querelle, dunque, sembrerebbe essere stata definitivamente risolta a favore

della tesi fallimentarista della conservazione delle garanzie prestate da terzi: tale

lettura interpretativa, del resto, si concilia pienamente con la valenza non novativa

dell'omologazione, di cui si è detto sopra546.

5. Il rapporto fra l'effetto estintivo di cui al comma 5 e la regola

generale di cui all'art. 176, comma 1. Problemi di legittimità costituzionale.

La dottrina non ha mancato di sottolineare che l'effetto processuale estintivo

previsto dal legislatore in tema di transazione fiscale comporterebbe una deroga alla

regola generale di cui all'art. 176, comma 1, secondo la quale eventuali ammissioni

provvisorie di crediti contestati non pregiudicano le pronunzie definitive sulla

sussistenza dei crediti stessi, rilevando ai soli fini del voto e del calcolo delle

maggioranze547: sotto questo profilo non sono mancate pesanti critiche, al punto che

la disposizione di cui al comma 5 è stata bollata come “disarmonica e di difficile

collocazione sistematica”.

Come già accennato nel precedente capitolo la ratio della norma di cui all'art.

176 riposa sulla struttura stessa della procedura di concordato preventivo: a

differenza del fallimento, il concordato non prevede una fase di accertamento del

passivo a carattere autenticamente giurisdizionale. In altri termini l'autorità

giudiziaria, sotto la cui supervisione si svolge l'intera procedura concordataria, non

ha il potere di decidere in via definitiva, con plena cognitio, le questioni relative

all'esistenza e all'ammontare dei crediti ammessi al passivo; eventuali contestazioni

che dovessero essere sollevate su tali profili in sede di adunanza verranno decise

soltanto provvisoriamente, con decreto avente efficacia esclusivamente ordinatoria o

endo-procedimentale, essendo la sua funzione limitata a quantificare l'entità del

credito contestato da ammettere al voto, ai fini del computo delle maggioranze di cui

546

In tal senso cfr. anche G. LO CASCIO, Il concordato preventivo, cit., 728.

547

Cfr. ex multis E. STASI, La transazione fiscale, cit., 740; L. DEL FEDERICO, Commento sub art.

182ter, cit., 2578; L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1090. Cfr. anche le sentenze della

Cassazione del 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, cit., le quali sottolineano che l'effetto

processuale estintivo non si verifica per gli altri creditori, e rappresenterebbe il “costo” del ricorso

all'opzione transattiva.

288

all'art. 177548.

In tale contesto la disposizione di cui all'art. 176, comma 1 acquista

un'innegabile valenza garantista: indipendentemente da quale sia la decisione assunta

in seno alla procedura concordataria, infatti, le parti avranno pur sempre la

possibilità di instaurare o proseguire un parallelo giudizio di cognizione in via

ordinaria, di mero accertamento o di condanna, finalizzato ad acclarare, questa volta

in via definitiva, l'an ed il quantum della pretesa creditoria vantata nei confronti

dell'imprenditore concordatario.

Del resto, in punto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. la giurisprudenza di

legittimità ha precisato che l'esercizio dell'azione di accertamento e/o di condanna

non è precluso dall'espresso riconoscimento del credito da parte del debitore

concordatario, né dall'inserimento del creditore fra quelli ammessi al voto in sede di

adunanza, attesa la natura meramente amministrativa dell'attività di verifica

dell'elenco dei creditori svolta dal commissario giudiziale ai sensi dell'art. 171, e dei

provvedimenti del giudice delegato concernenti la legittimazione al voto549.

Ancora, sotto il vigore della disciplina previgente era stato anche riconosciuto

che la legittimazione ad agire sarebbe spettata indipendentemente dall'inclusione del

credito nell'elenco di cui all'art. 161, con la precisazione che, qualora la sentenza di

omologazione fosse passata in giudicato prima della proposizione dell'azione del

creditore, l'accertamento giudiziale comunque avrebbe dovuto concernere il credito

nella sua globalità, mentre la condanna doveva essere limitata alla percentuale

proposta con il concordato, posto che l'omologazione comporta l'estinzione delle

ragioni di credito eccedenti detta percentuale; quanto invece al concordato con

cessione dei beni, poiché il soddisfacimento dei creditori si realizza nei limiti del

ricavato risultante dalla liquidazione dei cespiti ceduti, si riteneva che anche la

condanna dovesse essere pronunciata per la completezza del credito azionato, in

quanto l'effetto estintivo parziale avrebbe potuto verificarsi solo in fase di

548

Cfr. Cass., 23 gennaio 1964, n. 161, in Dir. Fall., 1964, II, 52 e ss.

549

Cfr. Cass., 14 aprile 1993 n. 4446, in Fall., 1993, 1237. La giurisprudenza di merito, viceversa,

aveva negato l'esistenza di un interesse ad agire, successivamente all'omologazione, in capo ad un

creditore inserito nell'elenco di cui all'art. 171, qualora non vi fossero state contestazioni in ordine

all'ammontare o al rango del credito: cfr. Trib. Vigevano, 23 marzo 1988, decr., in Fall., 1988,

1235.

289

esecuzione, e non per effetto del giudicato intervenuto sulla sentenza di

omologazione del concordato550.

Tali considerazioni sono da reputarsi valide ancora oggi. Alla luce della

normativa attualmente in vigore, dunque, la condanna pronunciata nei confronti

dell'imprenditore concordatario all'esito di un ordinario processo di cognizione non

può risolversi in una lesione della par condicio creditorum, né comporta una deroga

al principio della obbligatorietà del concordato omologato per tutti i crediti anteriori

di cui all’art. 184: ne deriva che il credito giudizialmente accertato nella sua

integrità, con sentenza passata in giudicato in data successiva all'omologazione del

concordato, potrà essere soddisfatto soltanto nei limiti della percentuale

concordataria551. L'assoggettamento di detto credito al vincolante e generalizzato

effetto esdebitatorio potrà essere fatto valere dal debitore sia nell'ambito del giudizio

di cognizione552, sia mediante lo strumento dell'opposizione all'esecuzione (qualora il

creditore abbia agito in executivis per l'intero)553.

Fatte queste doverose premesse risulta piuttosto arduo, quantomeno prima

facie, conciliare la regola generale di cui trattasi con la disposizione di cui all'art.

182ter, comma 5, che all'opposto collega all’omologazione del concordato la

chiusura, tra l'altro in via automatica ed indefettibile, di ogni controversia tributaria

in atto.

Sicuramente quella da ultimo citata configura una norma di carattere

eccezionale, sicché la deroga all'art. 176, comma 1 è da intendersi limitata ai soli

crediti fiscali contestati oggetto di una proposta di transazione. Ma in ogni caso non

si comprende agevolmente il motivo per cui la “sorte” dell'estinzione riguardi i soli

giudizi instaurati dinanzi ad una Commissione tributaria, laddove ogni altro processo

procederà parallelamente alla procedura di concordato preventivo, a meno che non si

intenda aderire a quella chiave di lettura, ribadita di recente anche dalla Corte di

Cassazione, secondo la quale la cessazione del contenzioso rappresenta per

550

Cfr. Cass., 24 giugno 1995, n. 7169, in Fall., 1995, 1220.

551

Cfr. Cass., 30 marzo 2005, n. 6672, in Fall., 2005, 1319.

552

Cfr. Cass., 3 novembre 1989, n. 4595, in Fall., 1990, 579.

553

Cfr. Cass., 26 luglio 1990, n. 7562, in Gius. civ., 1990, I, 1942.

290

l'imprenditore concordatario il “costo” da sostenere per fruire del vantaggio

costituito dal consolidamento del debito d'imposta.

Del resto, si è argomentato in precedenza che l’estinzione dei giudizi in atto

renderebbe comunque definitiva l'originaria pretesa impositiva554, seppur questa sia

destinata ad essere soddisfatta solo in misura percentuale, ma si è visto che la

medesima percentuale di soddisfazione si applicherà anche nell'ipotesi di

prosecuzione del contenzioso pendente, conclusasi con il rigetto del ricorso del

contribuente, posto che la pretesa, essendo sorta anteriormente alla domanda di

concordato, è comunque destinata a scontare la falcidia ivi prevista, alla luce dell'art.

184, comma 1. Sicché il pregiudizio che l’effetto processuale estintivo arrecherebbe

all’Erario è solo apparente, ed anzi si potrebbe obiettare che l’Amministrazione

tragga comunque vantaggio dalla chiusura delle controversie tributarie.

Ne deriva che, se si volesse cercare un plausibile temperamento al carattere

assoluto ed indefettibile dell’effetto estintivo de quo, non avrebbe molto senso

ricorrere a quella teoria, suggerita da una certa dottrina, che ricollega tale effetto

all'assenso prestato dall'Amministrazione finanziaria, reputando che la sola

omologazione del concordato sia condizione comunque necessaria, ma di per sé sola

non sufficiente: secondo questa opinione la soluzione opposta, che ricollega

l'estinzione delle controversie pendenti alla mera omologazione, indipendentemente

dal consenso della parte pubblica, finirebbe per lasciare quest'ultima in balia della

maggioranza dei creditori “privati”, sicché l’estinzione dei giudizi in atto finirebbe

per tradursi in una sorta di abdicazione forzosa ai propri diritti555.

In realtà questa tesi, come si è già visto, omette di considerare gli effetti che, in

concreto, deriverebbero dall’immediata chiusura delle liti tributarie in corso, e che

sarebbero sempre e comunque favorevoli per l’Amministrazione finanziaria. Ne

consegue che il pregiudizio, in realtà, riguarderebbe piuttosto la parte privata, l'unica

ad essere realmente avvantaggiata dalla prosecuzione delle controversie pendenti,

554

Cfr. P. RUSSO, L'estinzione del processo tributario, in Dir. prat. trib., 1994, I, 434: l'A. afferma

che l'estinzione determina l'incontestabilità dell'atto impugnato.

555

Del medesimo avviso è anche la Corte di Cassazione, che nelle citate pronunce del 4 novembre

2011 ha statuito che gli effetti della transazione fiscale non possono prescindere dall'adesione del

Fisco, il quale rimarrebbe altrimenti pregiudicato nei propri diritti.

291

nella misura in cui l'accoglimento delle proprie doglianze determinerebbe la

caducazione dell'atto impositivo, o quantomeno una riduzione del quantum dovuto,

oltre all’addebito alla controparte delle spese di lite, che nel caso di cessazione della

materia del contendere rimarrebbero invece compensate.

Ad essere in ballo, dunque, non sarebbero tanto i diritti di difesa del creditore

pubblico, quanto piuttosto quelli del debitore, come del resto è stato rilevato anche

dalla dottrina maggioritaria: far discendere la cessazione del contenzioso tributario

dalla chiusura del concordato, come effetto ispo iure del decreto di omologazione

(oppure, secondo alcuni, dell'omologazione preceduta dall'assenso

dell'Amministrazione), equivarrebbe a privare il contribuente di ogni tutela

giurisdizionale in ordine alla pretesa tributaria oggetto di contestazione, rendendo

quest'ultima definitiva e non più contestabile. Pertanto, se l'Amministrazione sarebbe

in ogni caso avvantaggiata dalla cessazione del contenzioso, o comunque, come

ritiene la dottrina poc’anzi citata, potrebbe essere adeguatamente tutelata da

un'interpretazione del comma 5 che reputi indispensabile il suo consenso preventivo

sulla proposta di transazione ai fini dell'effetto estintivo ivi contemplato, la

salvaguardia dei diritti di difesa della parte privata necessita invece che sia

individuata un'altra possibile chiave di lettura della disposizione in esame.

Va rilevato che il problema della potenziale illegittimità costituzionale della

disposizione di cui al comma 5 per violazione dell'art. 24 Cost., dal lato del

contribuente, è particolarmente avvertito in dottrina556, anche se non manca qualche

isolata opinione tendente a ridimensionarne la portata557, o comunque a

disconoscerne una valenza decisiva, posto che chi propone una transazione

556

Cfr. G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del concordato

preventivo, cit., 714, e F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella

transazione fiscale, cit., 844 e 845.

557

Si allude, in particolare, alla posizione espressa da C. ATTARDI, Inammissibilità del concordato

preventivo in assenza di transazione fiscale, cit., 6441, secondo cui in realtà la disposizione di cui

all'art. 182ter, comma 5 sarebbe pleonastica, in quanto riproduttiva della norma di cui all'art. 46

del d. lgs. n. 546/1992, il quale prevede che “il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di

definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni caso di cessazione della materia

del contendere”: quest'ultima conterrebbe infatti una formulazione piuttosto ampia, capace di

ricomprendere tutte le definizioni di fonte legale, ivi comprese quelle contemplate dalla legge

fallimentare. Secondo l'A., dunque, anche in assenza della disposizione di cui all'art. 182ter

l'effetto estintivo per i giudizi in corso, relativamente ai tributi oggetto di transazione, sarebbe

comunque derivato dall'art. 46.

292

disporrebbe di tutti gli elementi per poter valutare liberamente se addivenire o meno

ad una composizione bonaria dei contenziosi in corso558.

La scelta legislativa di prevedere l'automatica estinzione del contenzioso in

corso è stata criticata anche per l'assenza di un contraddittorio fra le parti in merito

alla determinazione del quantum dovuto, posto che, secondo un'autorevole opinione,

il consolidamento che segue all'estinzione del giudizio dovrebbe avvenire sulle cifre

indicate nella certificazione rilasciata dall'ufficio, per sorte capitale, sanzioni ed

interessi, senza che al debitore in disaccordo sia consentito di interloquire od

opporsi; qualora l'ufficio non provveda nei termini al rilascio della certificazione,

invece, dovrebbero rimanere definitivamente fissati gli importi fissati

unilateralmente nel piano concordatario, che la parte pubblica sarebbe forzata ad

accettare in ragione della vincolatività del concordato omologato. Con riferimento ad

entrambe le ipotesi si è detto che la coercizione che l'una o l'altra parte è costretta a

subire appare eccessiva ed inaccettabile, finendo per confliggere con i principi della

tutela giurisdizionale559.

Nell'ambito dello stesso filone dottrinale, poi, vi è chi rileva come la norma in

questione potrebbe persino avere conseguenze contrarie al buon senso, in quanto di

fronte ad un accertamento d'imposta abnorme il contribuente si troverebbe in bilico

fra due conseguenze ugualmente indesiderabili: da un lato, la proposizione di un

concordato con transazione fiscale, la cui omologazione comporterebbe anche la

rinuncia al contenzioso e la conseguente accettazione della pretesa impositiva

originariamente contestata, e, dall'altro, il fallimento dell'impresa, che tuttavia

salverebbe il giudizio di impugnazione eventualmente instaurato avverso l'avviso di

accertamento reputato illegittimo. Ne deriva la necessità di una lettura restrittiva e

fortemente svalutativa della disposizione in esame, secondo la quale l'effetto

estintivo dovrebbe prodursi solo per quelle liti rispetto alle quali il mantenimento in

vita del giudizio apparirebbe oramai vano e improduttivo, perché in sede

558

Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, in Trattato di

diritto delle procedure concorsuali, cit., 607.

559

Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 212 e 213, nonché

A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1449 e 1450: l'A. rileva che l'unico caso a

non porre problemi sarebbe quello in cui le certificazioni e le liquidazioni dell'ufficio coincidono

con le risultanze del piano proposto dal debitore.

293

concordataria è stata superata ogni contestazione sull'entità del credito fiscale in

concorso560.

Non manca, inoltre, chi ha sottolineato che l'effetto processuale de quo

finirebbe per alterare anche la par condicio creditorum a tutto vantaggio del Fisco, in

quanto la cessazione della materia del contendere porterebbe al consolidamento, in

via definitiva ed irretrattabile, di una pretesa fiscale maggiore di quella che potrebbe

essere determinata all'esito di un ordinario giudizio di cognizione, laddove per gli

altri creditori l'ammissione al passivo non comporta alcun effetto sul piano

sostanziale, in quanto la quantificazione delle relative pretese opera esclusivamente

ai fini del voto561. In altri termini l'automatica chiusura del contenzioso fiscale, con la

conseguente cristallizzazione degli importi dovuti, avrebbe l'effetto di sottrarre

risorse potenzialmente destinate al soddisfacimento degli altri creditori, rendendo

deteriore la loro posizione.

Per salvaguardare la tenuta “costituzionale” dell'istituto, pertanto, parte della

dottrina fa leva sul carattere facoltativo della transazione fiscale: la sterilizzazione

del diritto di difesa del contribuente contro atti impositivi potenzialmente illegittimi

si giustificherebbe solo considerando la transazione alla stregua di una mera opzione

a disposizione dell’imprenditore concordatario, cui sarebbe rimessa la scelta se

avvalersene o meno, sulla base di una sua personale valutazione di convenienza562.

Negli stessi termini si è espressa, di recente, anche la Corte di Cassazione, con le

citate pronunce nn. 22931 e 22932.

Ancora, una “scappatoia” analoga sarebbe quella di valorizzare la potenziale

560

Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 842

e ss. Secondo questa lettura, cui si è già accennato in precedenza, l’effetto estintivo potrà

predicarsi solo con riferimento alle contestazioni di pronta soluzione, tra cui, ad esempio, quelle

aventi ad oggetto un debito erariale discendente da dichiarazioni fiscali (anche integrative) sulle

quali sia inizialmente insorto un giudizio, ma che poi hanno trovato agevole soluzione in sede

concordataria. Tale interpretazione, fortemente riduttiva, viene tuttavia prospettata come l'unica in

grado di salvare la norma sotto il profilo costituzionale.

561

Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 845;

M FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit., 1453; anche S. LA ROCCA, Il concordato

preventivo e la transazione fiscale, cit., 189 e 190, sottolinea la peculiarità della posizione del

Fisco rispetto a quella degli altri creditori.

562

Cfr. ex multis G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del

concordato preventivo, cit., 714, secondo cui tale valutazione consiste in una ponderazione fra

costi e benefici dell’opzione.

294

parzialità della transazione fiscale, nel senso di ricomprendere nella relativa proposta

soltanto alcune delle liti attualmente pendenti, sulla scorta di una libera scelta del

debitore: sicché egli, in base ad una valutazione di convenienza analoga a quella

compiuta all'atto della decisione se proporre o meno una transazione fiscale, avrà la

facoltà di selezionare quali controversie definire transattivamente e quali, invece,

lasciare al di fuori della procedura di cui all'art. 182ter (come già visto, di regola

queste ultime sono quelle in cui la pretesa impositiva risulti particolarmente onerosa

o manifestamente infondata, ragione per la quale egli potrebbe ritenere di gran lunga

più conveniente attendere l'esito di un giudizio che spera essere a lui favorevole).

6. Ipotesi di lettura. Sulla presunta violazione dell'art. 24 Cost. dal lato

del proponente.

Certamente sono condivisibili le conclusioni cui la dottrina è giunta,

relativamente al carattere solo facoltativo ed eventualmente parziale della

transazione e del connesso effetto processuale estintivo. In particolare, la tesi che

riconosce al medesimo la facoltà di scegliere quali controversie inglobare nella

proposta di transazione sembrerebbe “ricucire”, o almeno ridurre, lo strappo rispetto

alla regola generale di cui all'art. 176, comma 1: le liti non ricomprese nella proposta

di transazione, infatti, proseguiranno il loro regolare iter processuale, alla pari di

ogni altro giudizio di cognizione attualmente pendente.

Anche la stessa formulazione letterale del comma 5 sembrerebbe non ostare a

tale possibile chiave di lettura: la disposizione, infatti, circoscrive l'effetto estintivo

alle sole controversie “aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma”, e non a

tutte le liti tributarie attualmente pendenti alla data di attivazione del sub-

procedimento transattivo, o meglio alla data del decreto di omologazione del

concordato. Pertanto il rinvio al comma 1, che disciplina il contenuto della proposta

di transazione fiscale, lascerebbe intendere che la cessazione della materia del

contendere riguardi i soli giudizi contemplati in quella proposta: qualora il

contribuente intenda contestare, o continuare a contestare, una certa pretesa, potrà

limitarsi a non includerla nella domanda di transazione, lasciando che il relativo

giudizio prosegua nella speranza di ottenere l'annullamento, totale o parziale,

dell’atto impositivo.

295

Tale lettura sembrerebbe armonizzarsi perfettamente con la normativa dettata

in tema di concordato, in quanto tornerebbe ad applicarsi, in tale evenienza, non solo

il menzionato art. 176, comma 1, bensì anche la disposizione di cui all'art. 180,

comma 6: pertanto il processo tributario non si estinguerebbe, proseguendo il suo

iter ordinario fino alla pronuncia di merito, cui è demandato l’accertamento in via

definitiva dell'esistenza e dell’ammontare del credito erariale contestato. Ne

deriverebbe anche che fino alla conclusione del giudizio le somme eventualmente

spettanti al creditore pubblico sarebbero accantonate nei modi stabiliti dal Tribunale,

che fisserà altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo563.

Del resto, l'art. 90, comma 2 del d.P.R. n. 602/1973 prescrive l'inserimento

provvisorio dei crediti tributari contestati nell'elenco dei crediti della procedura564.

Pertanto, anche tali pretese andrebbero comunque incluse nell'elenco di cui all'art.

161, lettera b): al riguardo, ed in via più generale, è unanime, sia in dottrina sia in

giurisprudenza, il convincimento che anche i crediti contestati o incerti debbano

comunque essere inseriti nell'elenco nominativo dei creditori da allegare al piano

concordatario, pena la possibile revoca dell'ammissione al concordato per la dolosa

omissione di un credito ex art. 173565. Qualora poi si contesti solo l'ammontare del

563

Anche la Cassazione, con le pronunce nn. 22931 e 22932 più volte menzionate, prevede che il

contribuente che intenda contestare la pretesa erariale certificata possa proseguire l'eventuale

contenzioso in atto, mantenendo inalterata la propria proposta e limitandosi ad appostare una

congrua riserva.

564

Tale disposizione ricalca quella dettata in materia di fallimento dall'art. 88 del medesimo d.P.R. n.

602/1973, che sancisce l'ammissione al passivo con riserva dei crediti erariali contestati: la

giurisprudenza è unanime nel ritenere che i crediti erariali opposti dinanzi alle Commissioni

tributarie, per imposte sia dirette sia indirette, sono assimilabili ai crediti condizionali di cui all'art.

55, comma 3 legge fall., e devono essere ammessi al passivo con riserva, senza che, in attesa

dell'esito definitivo del procedimento tributario, sia legittimabile la sospensione del giudizio

dinanzi al Tribunale fallimentare (cfr. Cass., 13 marzo 1998, n. 2736, in Riv. giur. trib., 1998, 623,

e Trib. Trani, 14 marzo 1992, decr., in Fall., 2003, 88).

565

Cfr. Trib. Milano, 24 aprile 2007, decr., in Fall., 2007, 1441, Trib. Torino, 12 novembre 1991,

decr., in Fall., 1992, 95, nonché Trib. Roma, 11 aprile 1990, decr., Fall., 1991, 83. In dottrina cfr.

ex multis A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, cit., 674 e 702, e P.

LICCARDO, Commento sub art. 161, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 2061,

secondo il quale l'inclusione nell'elenco delle poste creditorie potenziali, in quanto legate ad

esempio a giudizi in corso ovvero ad accertamenti fiscali, deriverebbe non soltanto dalla funzione

di detto elenco, che sarebbe quella di fotografare la consistenza qualitativa e quantitativa del ceto

creditorio, bensì anche dalla sua continuità rispetto alle poste di bilancio, ed in particolare alle

poste relative ai debiti, ai fondi rischi ed oneri, ed ai conti d'ordine. Sull'esigenza di provvedere

alla formazione dell'elenco sulla base delle regole che presiedono alla normale iscrizione di un

debito in bilancio cfr. ancora P. LICCARDO, Commento sub art. 173, in La legge fallimentare

296

credito occorrerà precisare sia la somma pretesa che quella riconosciuta566.

Né risulta condivisibile quell'isolata opinione giurisprudenziale che equipara

l'inserimento nell'elenco al riconoscimento del debito da parte dell'imprenditore

concordatario, finendo per attribuirvi valenza sostanziale567.

Con riferimento, viceversa, ai giudizi tributari estinti per effetto dell'inclusione

delle somme sub iudice nella proposta di transazione, l'effetto non è molto dissimile

da quello che si verificherebbe per ogni altro credito contestato ab origine

dall'imprenditore, e poi dal medesimo riconosciuto: anche in tale evenienza, infatti, il

riconoscimento da parte del debitore dell’avversa pretesa determinerà l'estinzione del

giudizio ordinario per intervenuta cessazione della materia del contendere568.

In altri termini sembrerebbe che nemmeno con riferimento alle liti tributarie

estinte ai sensi del comma 5 sia realmente profilabile un autentico strappo rispetto

alle regole ed ai principi generali che governano la procedura concordataria.

Giova poi aggiungere un'altra considerazione, utile per salvaguardare la

“tenuta” costituzionale dell'istituto sotto il profilo dell'ipotizzata lesione dell'art. 24

Cost.

Si è visto che la dottrina pressoché unanime concorda nel ritenere che

l'intervenuta conclusione di una transazione fiscale, con o senza l'assenso

dell'Amministrazione finanziaria, comporterebbe l'integrale accettazione, da parte

del contribuente, della pretesa impositiva contenuta nell'atto originariamente

impugnato. Sarebbe questo uno dei “costi”569 che la parte privata sarà tenuta a

dopo la riforma, cit., 2170.

566

Cfr. G. M. BERTACCHINI, Commento sub art. 161, in U. TEDESCHI, Le procedure concorsuali,

cit., 58.

567

Cfr. App. Milano, 8 ottobre 1976, in Mon. Trib., 1977, 18. Contra cfr. Cass., 14 aprile 1993, n.

4446, in Fall., 1993, 1036.

568

Sul riconoscimento della pretesa come causa di cessazione della materia del contendere cfr. Cass.,

29 aprile 1974, n. 1216, e Cass., 9 maggio 1975, n. 1809, in banca dati Il Foro italiano online. Lo

stesso principio è stato ribadito anche da Cass., SS.UU., 28 settembre 2000, n. 1048, in banca dati

Il Foro italiano online. Cfr. anche B. SASSANI, voce Cessazione della materia del contendere. I)

Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1999, 2.

569

Cfr. da ultimo Cass., 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, cit. L'altro “costo” dell'istituto sarebbe

rappresentato dall'obbligo di pagamento integrale del debito Iva e di quello per le ritenute operate

e non versate, che secondo la giurisprudenza di merito potrebbero invece essere falcidiati, alla

stregua di ogni altro credito, qualora il debitore si limitasse a presentare soltanto una domanda di

297

valutare al momento di optare o meno per la presentazione di una proposta di

transazione fiscale: tale costo andrebbe ponderato con i pretesi “benefici”

dell'istituto, consistenti nella possibilità di garantirsi l'assenso del Fisco

(indispensabile qualora risulti decisivo per il raggiungimento delle maggioranze

prescritte dall'art. 177), e nella definitiva cristallizzazione del carico tributario, che

secondo alcuni comporterebbe la rinuncia agli ordinari poteri di controllo sulla

posizione sostanziale del contribuente570.

La fondatezza di quest'ultimo assunto è stata già contestata nel precedente

capitolo. Ne deriva che il reale beneficio che la transazione garantirebbe al privato,

sotto il profilo della “cristallizzazione” del debito fiscale, andrebbe ravvisato negli

obblighi, che l’ufficio è tenuto ad espletare nel ridotto lasso temporale previsto

dall'art. 182ter, di liquidare il debito emergente dalle dichiarazioni presentate dal

contribuente e certificare il complessivo ammontare degli altri carichi tributari che

risultino essere già accertati alla data di presentazione della proposta di transazione

fiscale, allo scopo di ottenerne l'ammissione al passivo concordatario; la

conseguenza del mancato adempimento di dette incombenze sarebbe, lo si ribadisce,

l'impossibilità di ammettere al passivo somme ulteriori rispetto a quelle quantificate

nella proposta, una volta che siano decorsi i trenta giorni dalla presentazione della

stessa.

Occorre in questa sede concentrarsi sul rilievo relativo alla presunta ed

inevitabile “soggezione”571 del debitore concordatario alle pretese contenute negli atti

impositivi originariamente impugnati, che discenderebbe dall'intervenuta cessazione

della materia del contendere e lederebbe il suo diritto, costituzionalmente garantito,

alla tutela giurisdizionale dei propri interessi.

Ora, assodato che l'effetto estintivo di cui al comma 5 determina una qualche

concordato preventivo senza un’annessa proposta di transazione fiscale, dovendo in tal caso

limitarsi a rispettare la condizione generale prevista dal comma 2 dell'art. 160: cfr. ex multis Trib.

La Spezia, 2 luglio 2009, decr., cit.

570

Cfr. ex multis V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 261 e 262. Va detto comunque che

per tale A. la cessazione della materia del contendere rappresenterebbe non solo un costo per la

parte privata, ma anche un ulteriore elemento di stabilità del piano concordatario, eliminando le

incertezze di un contenzioso dagli esiti a volte dirompenti sui conti.

571

Il termine è utilizzato da V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 262.

298

cristallizzazione del debito d'imposta gravante sul proponente, occorre chiedersi

quale sia esattamente l'importo che verrebbe a cristallizzarsi: si è visto che secondo

la dottrina maggioritaria verrebbero ad essere consolidati in via definitiva gli importi

originariamente pretesi dall'Amministrazione con l'atto impositivo impugnato, così

come riepilogati nella certificazione di cui al comma 2.

Senonché una tale lettura non sembra avere fondamento. La certificazione,

infatti, non è nient'altro che la “fotografia” delle pendenze tributarie

complessivamente esistenti alla data di presentazione di una proposta di transazione,

siano esse già definitive, oggetto di contenzioso pendente o ancora potenzialmente

impugnabili: lo scopo della medesima è quello di evitare che taluni debiti d'imposta

possano “sfuggire” alla procedura di concordato, perché non ricompresi nella

proposta originaria del debitore. Questo spiegherebbe l'obbligo di trasmettere la

certificazione al proponente: nell'ipotesi in cui il debito tributario certificato risulti

maggiore rispetto a quello da lui inizialmente quantificato, infatti, egli potrà

procedere alle necessarie modifiche ed integrazioni. Pertanto la cristallizzazione

riguarderà non tanto gli importi certificati dall'ufficio, bensì piuttosto quelli indicati

nella proposta di transazione, eventualmente modificata prima che le operazioni di

voto abbiano inizio, ai sensi di quanto previsto dall'art. 175, comma 2, proprio allo

scopo di tener conto del reale carico tributario risultante da quella certificazione.

Basti pensare che votazione ed omologazione riguardano la proposta del debitore, e

non certo la certificazione rilasciata dall'ufficio: è sugli importi contenuti nella

domanda di cui all'art. 182ter, e sulla rispettiva percentuale di soddisfazione, che il

Fisco, alla pari degli altri creditori, sarà chiamato a formulare il proprio voto in

adunanza, ed è sempre sui medesimi che il Tribunale è tenuto ad esprimere l'ultima

parola in sede di omologazione.

Ma vi è di più. Lungi dal limitarsi a recepire il risultato della certificazione

trasmessagli dall'ufficio, il contribuente potrebbe anche modificare la propria

proposta iniziale semplicemente per incrementare la percentuale da offrire in

pagamento all'Amministrazione, in modo tale da garantirsene il voto favorevole. Si

profila, in altri termini, la possibilità di addivenire ad una sorta di compromesso con

la controparte pubblica.

Quanto detto, com'è ovvio, presuppone che nell'ambito del sub-procedimento

299

di transazione vi sia la possibilità di intavolare una trattativa fra Amministrazione

finanziaria e proponente, volta, tra l'altro, proprio a concordare l'ammontare della

pretesa (attualmente oggetto di contenzioso pendente) che il contribuente si impegna

a soddisfare in moneta concordataria. Pertanto, si ritiene di dissentire da quella tesi572

che esclude del tutto ogni ipotesi di contraddittorio in seno alla procedura di

transazione fiscale, ravvisando in essa solo una successione di atti unilaterali,

dapprima del proponente e poi degli uffici fiscali, i quali, lungi dall'accettare

tecnicamente una proposta negoziale all'esito di un'interlocuzione diretta con la

controparte, sono tenuti soltanto ad esprimere un voto, da valutarsi alla pari con

quello degli altri creditori in virtù del principio maggioritario. Tale opinione esclude,

dunque, che la procedura possa sfociare nella stipula di un atto di transazione

separato rispetto alla procedura di concordato573.

Condivisibile, all'opposto, sembra essere quel diverso orientamento

dottrinale574 e giurisprudenziale575 che ammette l'esistenza di una fase preventiva di

trattative, ovviamente in via informale, fra l'imprenditore e l'ufficio: e ciò sarebbe

valido non soltanto nell'ipotesi di transazione proposta in seno ad un accordo di

ristrutturazione ex art. 182bis, che rappresenta sicuramente la sede privilegiata per

572

Cfr. A. LA MALFA, Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo, cit., 710 e 711;

ID., La transazione dei crediti fiscali, cit., 1443, nt. 42: l'A. interpreta il “consolidamento del

debito fiscale” come cristallizzazione dell'importo certificato unilateralmente ed autoritativamente

dall'ufficio, sia pure ai soli fini del voto. Trattando dell'effetto di cessazione della materia del

contendere, poi, l'A. afferma che la definizione “dovrà avvenire sulle cifre per sorte, interessi e

sanzioni stabilita dagli uffici senza che al privato sia consentito interloquire” (cfr. p. 1449).

573

Cfr. S. GOLINO, La transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 6708.

574

Cfr. L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1083 e 1086, secondo cui tale fase di contraddittorio non

sarebbe dissimile da quella che caratterizza l'istituto dell'accertamento con adesione, L.

TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 593 e ss., nonchè P.

PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 654, secondo cui “La transazione fiscale altro

non è che una forma di determinazione dell'intera debitoria fiscale imputabile all'imprenditore in

crisi che deve avvenire nel contraddittorio fra le parti. Il legislatore ha inteso ricercare

preventivamente un accordo, una composizione amichevole del contrasto che possa insorgere fra

l'Ente impositore ed il soggetto passivo dell'imposta”. Parla di “contraddittorio fra contribuente ed

Amministrazione finanziaria, finalizzato alla “contrattazione” della proposta di transazione

fiscale”, anche D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 16.

575

Cfr. Trib. Messina, 29 dicembre 2006, decr., cit., che parla di “accordo negoziale bilaterale”,

laddove per gli altri creditori privilegiati la defalcazione sarebbe decisa unilateralmente dal

debitore. V. anche Trib. Venezia, 27 febbraio 2007, decr., cit., il quale afferma che l'istituto di cui

all'art. 182ter “autorizza le parti a concordare [...] la altrimenti indisponibile riduzione del credito

erariale”.

300

l'instaurazione di un negoziato, bensì anche nell'ambito di una procedura di

concordato, in quanto anche in tale contesto verrebbe comunque ricercata una

mediazione con l'ufficio competente.

L'unica criticità, rilevata da tale corrente dottrinale, sarebbe rappresentata dalla

eccessiva brevità del termine di trenta giorni previsto dal legislatore per addivenire

ad un accordo con l'ufficio576. Senonché, indipendentemente dalla natura perentoria o

ordinatoria di detto termine, questione su cui non vi è ancora unanimità di vedute in

dottrina, si ritiene che tale assunto non sia pienamente condivisibile: il comma 2,

infatti, assegna tale termine esclusivamente per il rilascio della certificazione, la

quale dovrà attestare “l'entità del debito derivante da atti di accertamento ancorché

non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati, ma non

ancora consegnati al concessionario”. La disposizione, pertanto, si limita a

prescrivere un'attività meramente ricognitiva dell'ammontare (da indicare per intero,

cioè comprensivo di imposta, sanzioni ed interessi) delle pretese attualmente

esistenti a carico del debitore, così come risultanti dagli atti impositivi già notificati,

ivi compresi, per quanto qui interessa, quelli oggetto di un’impugnazione tuttora

pendente, con la precisazione che, in quest'ultimo caso, la certificazione rilasciata

dall'ufficio dovrà riepilogare la sola porzione di debito d’imposta non ancora iscritta

a ruolo. Gli importi già iscritti, infatti, andranno certificati a cura del concessionario,

sicché nella propria certificazione l'ufficio dovrà aver cura di indicare soltanto la

restante parte del debito d’imposta.

Pertanto, escluso che il termine massimo entro cui condurre le trattative con

l'ufficio possa essere ravvisato nei trenta giorni di cui al comma 2 dell'art. 182ter,

riferendosi quest'ultimo al solo rilascio della certificazione dell'intero carico

tributario esistente e non ancora iscritto a ruolo, occorrerà individuare un diverso

dies ad quem. Ora, considerato che le trattative non sono destinate a sfociare in un

atto ad hoc, posto che l'ufficio, nel caso di esito positivo delle medesime, si limiterà

ad esternare il proprio consenso tramite il voto favorevole espresso in adunanza577, è

576

Cfr. ancora P. PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 654.

577

Nel capitolo II si è visto che l' “atto del direttore dell'Ufficio” di cui parla il comma 3 è da

intendersi come atto meramente interno, non destinato ad essere notificato al debitore. In senso

contrario cfr. L. TOSI, La transazione fiscale, cit., e S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit.,

301

evidente che l'esito di tali negoziati è destinato a confluire nel documento su cui tale

voto viene formulato, ossia la proposta del debitore; del resto, come è stato già

ricordato, tale proposta è suscettibile di subire modifiche in corso di procedura

proprio allo scopo di recepire le indicazioni dell'Erario, o comunque di adeguare il

riparto delle risorse complessivamente disponibili alla quantificazione del carico

fiscale contenuta nella certificazione trasmessa dall'ufficio.

Da quanto detto è giocoforza ritenere che le trattative potranno essere condotte

sino al termine massimo previsto per poter apportare modifiche alla proposta di

concordato, ravvisabile nell'inizio delle operazioni di voto di cui al comma 2 dell'art.

175. Del resto nulla vieta che un primo contatto con l'ufficio, in via assolutamente

informale, possa essere ricercato anche prima della presentazione della domanda di

cui all'art. 160, e dell'annessa istanza di transazione fiscale: ciò avrebbe l'effetto di

dilatare l'arco temporale che le parti hanno a disposizione per addivenire ad un

accordo578.

Dubbio, invece, sembrerebbe essere l'oggetto delle negoziazioni. Al riguardo

autorevole dottrina ritiene che l'accordo possa riguardare solo i profili acquisitivi,

con esclusione degli aspetti relativi all'accertamento ed alla determinazione

quantitativa dei tributi579; altri, ancora, ritengono che le eventuali trattative aperte con

l'Amministrazione finanziaria (e con gli Enti previdenziali) dovrebbero avere ad

oggetto non già l'esistenza e l'ammontare del debito d'imposta (o contributivo), bensì

il quid pluris che tali creditori otterrebbero dall'apporto di risorse aggiuntive da parte

di terzi580.

L'ultima soluzione sembra eccessivamente riduttiva: si pensi all'ipotesi di

concordati meramente liquidatori, o comunque non connotati dall'apporto di “nuova

202, secondo i quali invece tale atto è destinato ad essere sottoscritto anche dal contribuente.

578

Cfr. ad es. quanto sostenuto da E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e

negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 766, nt. 77.

579

Cfr. M. T. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma

tributaria, cit., 331. Tale opinione è stata successivamente sostenuta anche da L. DEL

FEDERICO: cfr. ad es. La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, cit.,

224.

580

Cfr. E. STASI, Obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale?, cit., 89, nt. 19.

302

finanza”, per i quali non avrebbe senso limitare il negoziato alle somme che il

creditore pubblico potrebbe ottenere da un soggetto terzo. Pertanto si ritiene

condivisibile la prima interpretazione, con la precisazione che per “profili acquisitivi

del tributo” non si dovrebbe intendere solamente la determinazione della percentuale

dell'imposta sub iudice da corrispondere all'Erario, nonostante tale profilo

rappresenti sicuramente il principale oggetto delle trattative condotte con l'ufficio, e

l’aspetto più delicato delle medesime, alla luce della circostanza che manca del tutto

una predeterminazione in via legislativa di detta percentuale581: oltre che sugli

immancabili aspetti “quantitativi”, infatti, il negoziato verterà sicuramente anche sui

tempi di pagamento e sulle eventuali garanzie offerte dal debitore582.

Ovviamente la trattativa riguarderà non solo il tributo, bensì anche i relativi

interessi moratori e le connesse sanzioni: anzi, non è infrequente che l'ufficio sia più

propenso a “cedere” proprio sugli accessori del tributo, rispetto ai quali sembrerebbe

essere meno profondo il vulnus che la transazione infliggerebbe al preteso principio

fondamentale di indisponibilità dell'obbligazione tributaria.

È evidente che, così intesa, la cessazione della materia del contendere non

sembrerebbe suscettibile di pregiudicare i diritti di difesa di alcuna delle due parti in

gioco. Tramite la procedura di cui all'art. 182ter, infatti, le medesime pervengono ad

una definizione concordata, potremmo dire pseudo-negoziale, del giudizio pendente,

assimilabile, come si vedrà meglio fra un momento, ad una conciliazione giudiziale.

Sicché la cristallizzazione, lungi dal riguardare l'intera pretesa impositiva

originariamente impugnata, si verificherebbe sul diverso, ed eventualmente più

ridotto, ammontare concordato nel corso della procedura transattiva583.

Le considerazioni sopra svolte rendono del tutto evidente come la transazione

si differenzi nettamente rispetto ad altre ipotesi legislativamente previste di

581

Cfr. App. Milano, 14 maggio 2008, decr., in www.ilcaso.it, I, 1240/2008.

582

In tal senso cfr. anche L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1083, secondo cui la trattativa “verterà

non solo sul quantum dell'obbligazione tributaria residua, ma anche sulla tempistica di “rientro”

e sulle garanzie rilasciabili”, nonché L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione

fiscale, cit., 593.

583

In tal senso cfr. anche L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 596, nt.

43.

303

“definizione delle pendenze tributarie” di cui all'art. 46, comma 1 d. lgs. n. 546/1992.

In particolare, è netto il divario rispetto agli istituti premiali, in primis le varie

tipologie di condono che si sono susseguite nel corso degli anni, da ultimo quella

prevista dalla legge n. 289/2002: in tali ipotesi, infatti, la cessazione della materia del

contendere nelle liti in corso conseguiva al pagamento di un importo rigorosamente

predeterminato dal legislatore, alle scadenze e con le garanzie da questo imposte,

senza che vi fosse spazio per intavolare alcuna trattativa di tipo negoziale con

l’Amministrazione finanziaria.

L'istituto di cui all'art. 182ter, all’opposto, quando abbia ad oggetto crediti

fiscali oggetto di un contenzioso ancora pendente sembrerebbe piuttosto assimilabile

ad una conciliazione giudiziale ex art. 48 del d. lgs. n. 546/1992, come affermato

anche da una nutrita corrente dottrinale584. In effetti anche quest’ultimo istituto

presuppone un accordo avente ad oggetto la determinazione del quantum da

corrispondere all'Erario in vista della definizione di una controversia pendente, senza

che il legislatore abbia previsto alcuna percentuale minima di pagamento: la

disciplina dettata dal citato art. 48, infatti, si limita a statuire che il processo verbale

deve indicare “le somme dovute a titolo di imposta, sanzioni ed interessi”, laddove

per “somme dovute” dovrebbero intendersi proprio quelle concordate fra il ricorrente

e l'ufficio585.

Ancora, l'analogia con la conciliazione giudiziale riposerebbe anche sugli

aspetti della controversia suscettibili di essere discussi con la controparte: così come

la transazione può vertere esclusivamente sui profili acquisitivi del tributo sub

iudice, la conciliazione atterrà sempre e soltanto al quantum dell'obbligazione

584

Cfr. però M. GIORGETTI – F. CLEMENTE, Commento all'art. 182ter, in La legge fallimentare

commentata, a cura di M. GIORGETTI – F. CLEMENTE, FrancoAngeli, Milano, 2008, 572,

secondo i quali sembrerebbe che la transazione, dato l'effetto di cessazione della materia del

contendere nelle liti in corso, debba essere assimilata piuttosto ad una conciliazione stragiudiziale:

“con l'introduzione nella legge fallimentare dell'istituto in esame è stata attribuita una valenza

giuridica a quegli accordi con i quali si regolava in via stragiudiziaria la ristrutturazione dei

debiti”.

585

Solo per le sanzioni è prevista una percentuale minima obbligatoria: il comma 6 dell'art. 48, infatti,

dispone che in caso di avvenuta conciliazione della vertenza le sanzioni sono pari al 40% delle

somme irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione, e comunque

non possono essere inferiori al 40% del minimo edittale previsto per le violazioni più gravi relative

a ciascun tributo.

304

tributaria, non potendo mai riguardare l'an della medesima. Tale interpretazione,

avallata da unanime dottrina, deriverebbe dal comma 3 del citato art. 48, che, nel

dettare le modalità di riscossione dell'importo dovuto, presuppone comunque il

pagamento di una somma, anche se minima, da parte del contribuente; del resto,

qualora l'Amministrazione finanziaria ritenga del tutto infondata la pretesa fiscale

oggetto del giudizio, dovrebbe ricorrere al diverso strumento dell'autotutela e

revocare unilateralmente il provvedimento impositivo, con conseguente estinzione

del processo per cessata materia del contendere ex art. 46586.

Le pretese analogie tra transazione fiscale e conciliazione giudiziale

dovrebbero arrestarsi ai profili appena accennati. Non è questa la sede adatta per

soffermarsi sulle molteplici differenze fra i due istituti, afferenti la diversa

collocazione sistematica, l'oggetto, i presupposti, la procedura e gli effetti, non da

ultimo quello novativo della conciliazione, che si è visto non poter essere esteso

anche alla transazione fiscale: a ciò infatti osterebbero i principi generali che

governano la procedura di concordato preventivo, ed in particolare l'interpretazione

pressoché unanimamente condivisa concernente gli effetti esdebitatori che l'art. 184,

comma 1 riconnette all'omologazione.

In particolare, è proprio l'asserito carattere non novativo dell'omologazione a

rappresentare un potenziale pregiudizio per i diritti di difesa del contribuente: l'art.

24 Cost., che in un primo momento sarebbe sufficientemente salvaguardato dalla

possibilità di una trattativa informale avviata in sede concordataria, che sostituisca

agli importi originariamente pretesi dall’Agenzia (e contestati dal debitore) quelli

concordati fra le parti, verrebbe ad essere leso in un secondo, ed eventuale,

momento, quando cioè l'inadempimento o la scoperta di episodi fraudolenti

comportino la caducazione del concordato e l’automatica riemersione del debito

d’imposta originario, senza nemmeno la possibilità di contestarlo nuovamente.

Si è già visto sopra che una delle possibili soluzioni al problema potrebbe

essere quella di non includere talune controversie nella proposta di transazione, in

modo tale da escluderle anche dal perimetro dell'effetto estintivo di cui al comma 5,

586

Cfr. S. MENCHINI, Commento sub art. 48, cit., 541, nonché F. BATISTONI FERRARA,

Conciliazione giudiziale (diritto tributario), cit., 233.

305

operando una sorta di “selezione a monte” delle liti da estinguere. Oppure, ancora,

sarebbe auspicabile una modifica normativa che subordini tale effetto all'integrale

pagamento delle percentuali concordate, possibilmente accompagnato da una

sospensione medio tempore del giudizio tributario pendente.

Senonché un'altra “scappatoia” potrebbe essere quella di concludere una

conciliazione giudiziale per le stesse controversie oggetto della proposta di

transazione fiscale: in tal caso l'estinzione del giudizio sarà riconducibile non già al

comma 5 dell'art. 182ter, quanto piuttosto all'art. 48 del decreto sul contenzioso

tributario. Pertanto il processo pendente si concluderebbe con la stesura di un

processo verbale di conciliazione, in cui le parti concordano il quantum dovuto, che

andrebbe poi a confluire nella parallela procedura concordataria: nel senso che la

domanda di transazione dovrà menzionare l’esistenza del giudizio in corso e

l’intenzione di conciliarlo, mentre, in caso di intervenuta conciliazione, la

certificazione rilasciata dall'ufficio dovrà tener conto del relativo verbale (in luogo

dell'atto impositivo che era stato impugnato ab origine), con la conseguenza che la

percentuale offerta in pagamento dall'imprenditore concordatario andrà commisurata

all'importo fissato in quel documento. Il vantaggio di questa soluzione sarà che

l'eventuale successiva caducazione del concordato omologato determinerebbe la

reviviscenza dell’integrale debito d'imposta quantificato nel verbale di conciliazione,

che avrà sostituito definitivamente il quantum originariamente preteso

dall'Amministrazione con l’atto impositivo impugnato: tale conclusione deriverebbe

dal carattere novativo dell'istituto di cui all'art. 48.

E' evidente, tuttavia, la complessità di tale meccanismo, che sembrerebbe

richiedere tempi che andrebbero ben oltre i trenta giorni assegnati dall'art. 182ter;

senza contare che tale soluzione non potrà essere azionata nel caso in cui difettino le

condizioni per poter conciliare la controversia, in quanto la conciliazione può

riguardare le sole controversie pendenti in primo grado, e non oltre la prima udienza.

A ben guardare, tuttavia, anche le altre soluzioni astrattamente ipotizzabili non

sembrano essere pienamente soddisfacenti.

La prima (selezione a monte delle controversie da ricomprendere nella

proposta di transazione fiscale, e dunque nel perimetro dell’effetto processuale

estintivo) sembrerebbe muoversi al di fuori della transazione, nel senso che per

306

salvaguardare i diritti di tutela giurisdizionale del soggetto privato imporrebbe allo

stesso di operare al di fuori della procedura di cui all'art. 182ter, ammettendo

implicitamente che tale istituto, e segnatamente il comma 5 di tale disposizione,

potrebbero arrecare un vulnus a quei diritti.

La seconda (estinzione del giudizio solo a seguito del pagamento delle somme

concordate) si ispira a considerazioni de iure condendo, che come tali rimarrebbero

mere suggestioni teoriche, sicuramente degne di apprezzamento ma concretamente

inapplicabili, a meno che le parti non optino per l’inserimento, nel testo della

proposta, di una condizione sospensiva.

Ne deriva, in conclusione, che i dubbi sollevati dalla dottrina maggioritaria in

relazione alla potenziale lesione dei diritti di difesa del privato, discendente

dall’effetto processuali estintivo di cui al comma 5, risulterebbero dotati di

fondamento solo nell’ipotesi, tutto sommato circoscritta, di una successiva

caducazione del concordato.

7. (Segue). Sulla presunta violazione dell'art. 24 Cost. dal lato

dell'Amministrazione finanziaria.

È stato dunque chiarito che non vi è motivo di ravvisare nell'effetto

processuale estintivo alcuna concreta lesione dei diritti di difesa della parte privata,

se non nell'ipotesi di una successiva risoluzione o annullamento del concordato

omologato. Al di fuori di tali episodi “patologici” la transazione fiscale è

indubbiamente vantaggiosa per il contribuente: la possibilità di concordare con

l'ufficio l'entità da pagare, rispetto all’iniziale ammontare della pretesa fatta valere

con l’atto impositivo oggetto di impugnazione, comporta che il medesimo non sia

costretto a subire le determinazioni unilaterali dell'Amministrazione senza avere, sul

punto, alcuna voce in capitolo.

Ancora, si è visto che di potenziale lesione dell'art. 24 Cost. non può parlarsi

nemmeno nei confronti della parte pubblica, comunque avvantaggiata dall’estinzione

del contenzioso pendente.

In ogni caso il creditore pubblico sembra essere sufficientemente garantito

anche dagli ordinari strumenti di tutela previsti dalla disciplina del concordato

307

preventivo per qualsivoglia creditore.

Sotto quest’ultimo profilo giova qui esaminare le due ipotesi “patologiche” che

potrebbero presentarsi nella realtà: si allude al rilascio di una certificazione da cui

risulti un debito d'imposta più alto rispetto a quello quantificato dal debitore, e questi

non si sia adeguato al quantum determinato dall'Amministrazione, nonché al

mancato rilascio della certificazione per inerzia dell'ufficio competente. In entrambi i

casi è stato prospettato in dottrina il pericolo che la cristallizzazione conseguente

all'estinzione del contenzioso pendente possa operare sugli importi unilateralmente

indicati dall'imprenditore nella propria proposta, che potrebbero essere inferiori

rispetto a quelli “reali”.

Ora, quanto alla prima ipotesi occorre richiamare quanto precedentemente

detto a proposito della facoltà di contestare pretese erariali che l'imprenditore ritiene

manifestamente illegittime o eccessivamente gravose: si è rilevato che le medesime

devono comunque essere ricomprese nell'elenco nominativo dei crediti di cui all'art.

161, lettera b) 587, pur non formando oggetto di transazione, considerata l'esigenza di

tener conto della reale esposizione debitoria verso l'Erario. Detta esigenza trova

adeguata tutela nei correttivi che la legge fallimentare predispone per la totalità dei

creditori concorsuali, posto che anche per questi si potrebbe verificare l’eventualità

che la proposta di concordato non rifletta la reale misura delle loro pretese.

Viene in rilievo, in primis, il ruolo “garantista” del commissario giudiziale, cui

l'art. 171 attribuisce il potere di procedere alle “necessarie rettifiche” dell'elenco dei

creditori allegato alla proposta di concordato: sul punto, come si è già avuto modo di

constatare nel precedente capitolo, si ritiene di condividere quell'orientamento

dottrinale secondo cui il potere rettificativo di cui trattasi non sia limitato alla mera

correzione di errori matematici o di calcolo emergenti dall'esame della contabilità

d'impresa, ma concreti un controllo più approfondito ed incisivo, potendo il

commissario includere o escludere taluni crediti dall'elenco di cui all'art. 161,

587

Sulla completezza dell’elenco ai fini dell’ammissibilità della proposta di concordato, nel senso che

esso “si sostanzia in un elenco nominativo completo di tutti i creditori, comprensivo sia dei

chirografari che dei prelatizi (non esclusi i creditori per tributi e contributi previdenziali, ai quali

si proponga una “transazione fiscale” ex art. 182ter, legge fallimentare), che riporti per ciascuno

l’ammontare del credito […]”, cfr. Trib. Roma, 2 agosto 2010, decr., in www.ilcaso.it, I,

2405/2010.

308

ovvero, più semplicemente, modificarne l'entità. Ciò vale anche per i crediti tributari,

in relazione ai quali, tra l'altro, il commissario può contare, oltre che sulle scritture

contabili, anche sulle certificazioni di cui al comma 2 dell'art. 182ter, che i relativi

soggetti predisponenti dovranno aver cura di trasmettergli.

Del resto, anche a voler circoscrivere alla semplice emendabilità di errori

aritmetici le competenze che in questa fase spetterebbero al commissario giudiziale,

in adesione all'opposta interpretazione prospettata da altra corrente dottrinale, non va

sottovalutato lo strumento di cui all'art. 173, che accorda al medesimo organo il

potere di chiedere al Tribunale le revoca dell'ammissione al concordato: anche tale

disposizione, che unanime orientamento giurisprudenziale circoscrive alle ipotesi più

gravi, nelle quali è ravvisabile in capo al proponente un atteggiamento dolosamente

preordinato ad arrecare un pregiudizio agli interessi del ceto creditorio, alterandone

la valutazione di merito588, può essere invocata per tutelare le ragioni dell'Erario, nel

caso in cui il debitore abbia scientemente omesso di indicare nell'elenco allegato alla

proposta la reale entità del carico tributario complessivo, ivi compreso, per quanto

qui interessa, l'effettivo ammontare dei debiti d'imposta sub iudice589.

Altra disposizione degna di nota, sempre sotto il profilo della tutela dei diritti

di difesa dell'Amministrazione finanziaria, è l'art. 172, comma 1. E’ stata già

sottolineata, nel precedente capitolo, l'importanza che riveste la relazione stilata ai

sensi della citata norma: occorre precisare solo che il commissario giudiziale sarà

588

In tal senso cfr. ex multis Cass., 15 giugno 2011, n. 13818, in www.ilcaso.it, I, 5783/2011, secondo

cui “gli atti elencati (dall’art. 173, comma 1, n.d.r.) non sono accomunati, ad esempio,

dall'attitudine a creare un danno al patrimonio, posto che tale attitudine non ha l'esposizione di

passività inesistenti, mentre invece un minimo comune denominatore è dato dalla loro attitudine

ad ingannare i creditori sulla reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione,

sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far

apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare. In altri

termini, si tratta di comportamenti volti a pregiudicare la possibilità che i creditori possano

compiere le valutazioni di competenza avendo presente l'effettiva consistenza e la reale situazione

giuridica degli elementi attivi e passivi dei patrimonio dell'impresa”. Cfr. anche Trib. Mantova, 22

giugno 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 5782/2011.

589

Sulla revocabilità dell'ammissione al concordato in caso di circostanze sopravvenute che alterino i

presupposti di fattibilità del piano, quali ad esempio il disvelarsi di ingenti crediti, come quelli

tributari, prima sottostimati o sconosciuti, cfr. Trib. Sulmona, 2 novembre 2010, decr., cit. Contra

Trib. Perugia, 15 luglio 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 6545/2011, secondo cui “tra le ipotesi di

revoca il legislatore, al comma 1 dell'art. 173 L.F., contempla espressamente l’esposizione delle

passività inesistente e non l'omessa indicazione di passività esistenti”.

309

tenuto ad indicare nella propria relazione, fra l'altro, anche eventuali crediti

d'imposta contestati che il debitore abbia omesso di considerare nella proposta o

nell’elenco allegato, al fine di illustrare l'effettiva esposizione debitoria dell'impresa

e offrire ai creditori una base realistica su cui fondare le loro valutazioni di

convenienza all'atto della votazione.

Ancora, non va trascurato il ruolo di garanzia che l'autorità giudiziaria riveste

in seno alla procedura di concordato, nella duplice figura del giudice delegato e del

Tribunale.

Quanto al primo, soccorre la previsione di cui all'art. 176, comma 1, che

dispone, come si è visto, la provvisoria ammissione con decreto di crediti contestati,

con la precisazione che, quanto ai crediti tributari, tale potere andrà conciliato con la

riserva di giurisdizione a favore delle Commissioni tributarie di cui all'art. 2 del d.

lgs. n. 546/1992: pertanto, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai

consolidato, il giudice delegato dovrà limitarsi a verificare l'esistenza del titolo

(dichiarazione, accertamento, ruolo) da cui scaturisce il credito tributario di cui si

chiede l'ammissione al passivo, senza poter sindacare il merito della pretesa590.

Quanto al Tribunale, occorrerà tener conto delle previsioni concernenti lo

strumento dell'opposizione all'omologazione, che può essere proposta da

qualsivoglia creditore, ivi compreso indubbiamente anche l'Erario. In particolare, il

riferimento è agli artt. 176, comma 2, e 180, comma 4: la prima disposizione prevede

che i creditori possono opporsi per l'avvenuta esclusione di uno o più crediti dalla

votazione in adunanza, qualora la loro partecipazione al voto sarebbe stata

determinante per il raggiungimento delle maggioranze, sicché anche l'Erario potrà

avvalersi di tale rimedio per denunciare la mancata ammissione al voto di pretese

certificate, magari derivante dalla non inclusione delle stesse nell'elenco di cui all'art.

161, purché fornisca la “prova di resistenza” richiesta dal legislatore. L'art. 180,

comma 4, poi, consentirebbe all'Amministrazione dissenziente di contestare il merito

della proposta, quando ad esempio reputi che le risorse reperite siano insufficienti a

soddisfare adeguatamente il complessivo debito d'imposta risultante dalla

certificazione.

590

Cfr. L. DEL FEDERICO, Profili processuali della transazione fiscale, cit., 3657.

310

Inoltre, anche nel caso in cui non siano state proposte opposizioni, ed a

prescindere dall’annosa disputa relativa al potere del Tribunale di valutare la

fattibilità del piano concordatario in sede di omologazione, si ritiene che l’autorità

giudiziaria, all'esito del giudizio diretto a valutare “la regolarità della procedura e

l'esito della votazione” ai sensi dell'art. 180, comma 3, potrebbe rifiutare

l'omologazione per mancato adeguamento della proposta agli importi certificati,

nell'ipotesi in cui il credito erariale ammesso al voto risulti essere inferiore rispetto a

quello effettivamente certificato591.

Da ultimo, qualora il concordato sia stato comunque omologato, la non

coincidenza fra il passivo d'imposta quantificato dal proponente e quello certificato

dall'Amministrazione finanziaria potrà essere fatta valere a mezzo del reclamo

proposto avverso il decreto di omologazione, ai sensi di quanto disposto dall'art. 183.

Trattasi, dunque, di un articolato e nutrito strumentario che dovrebbero

garantire adeguata tutela alle ragioni creditorie dell'Erario, impedendo il

consolidamento di importi determinati unilateralmente dal proponente e non

conformi alla realtà.

Quanto invece alla seconda ipotesi patologica che potrebbe profilarsi in

concreto, ossia il mancato rilascio della certificazione da parte dell'ufficio, va dato

atto dell'esistenza, in dottrina, di una molteplicità di letture contrastanti. Mentre

secondo alcuni dall'inerzia dell'ufficio deriverebbe l'impossibilità di partecipare

all'adunanza ed esprimere il proprio voto sulla proposta592, secondo altri, invece, tale

inerzia andrebbe configurata in termini di silenzio – rifiuto, dunque rigetto della

proposta di transazione593; all’opposto, altra dottrina ha sostenuto che essa avrebbe

valore di silenzio – assenso, non tanto sulla proposta di transazione tout court ma,

più limitatamente, sull’ammontare del carico tributario indicato dal proponente,

591

Sui poteri spettanti al Tribunale in caso di assenza di opposizioni cfr. ex multis App. Roma, 18

settembre 2010, decr., in Dir. fall., 2011, II, 18, e Trib. Novara, 6 giugno 2011, decr., in

www.ilcaso.it, I, 5566/2011. Quanto all'esclusione di un credito dalla votazione cfr. Trib. Brescia,

31 marzo 2010, decr., e Trib. Cremona, 21 maggio 2009, decr., entrambe in banca dati Il Foro

italiano online.

592

Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2575.

593

Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale: la procedura, cit., 3188 e ss.

311

fermo restando che comunque l'Amministrazione resta assolutamente libera di non

addivenire ad un accordo transattivo594. In una prospettiva simile, altri hanno ritenuto

che l'omissione della certificazione comporterà il consolidamento del debito

unilateralmente indicato dal contribuente nella propria proposta595.

Si ritiene condivisibile quest’ultima soluzione interpretativa, per le ragioni

ampiamente illustrate in precedenza. È intuitivo che in tale evenienza il pregiudizio

alle ragioni creditorie non deriva tanto da un difetto connaturato alla stessa procedura

di transazione, quanto piuttosto dall'atteggiamento inerte del Fisco: ne deriva che la

cristallizzazione degli importi unilateralmente indicati dal proponente suonerebbe

come una sorta di implicita sanzione per la colposa inerzia del creditore pubblico, i

cui adempimenti sono prescritti come obbligatori e non meramente facoltativi.

Né si potrebbe far leva sulla tesi, da taluno proposta, che àncora la cessazione

delle liti in corso all'assenso dell'Amministrazione espresso in adunanza: al di là dei

rilievi che sono stati mossi in precedenza contro tale lettura interpretativa, preme qui

rilevare che l'ipotesi in cui l'ufficio non abbia provveduto alle liquidazioni e

certificazioni previste dal comma 2, e poi, tramite voto contrario, abbia potuto

evitare il perfezionamento della transazione ed il connesso effetto processuale

estintivo, nonostante l'esito positivo della procedura concordataria, offrirebbe

all'Erario una comoda scappatoia, incentivandone l'atteggiamento inerte.

Pertanto, la cristallizzazione del quantum indicato dal proponente non

dovrebbe essere intesa in termini di pregiudizio per le ragioni creditorie del Fisco,

bensì piuttosto andrebbe letta come stimolo per il tempestivo adempimento delle

incombenze che il legislatore pone a carico del creditore pubblico.

594

Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 611, secondo il quale tale

tesi si armonizzerebbe con le recenti novità della legge generale sul procedimento amministrativo,

ed in particolare con il novellato art. 20, comma 1 l. n. 241/1990 il quale dispone che “Fatta salva

l'applicazione dell'art. 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti

amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di

accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima

amministrazione non comunica all'interessato [...] il provvedimento di diniego” (del resto,

l'applicabilità della legge n. 241 anche al procedimento tributario è stata propugnata da autorevole

dottrina: cfr. F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Utet, Torino, 2006,

216). Inoltre, continua ancora l'A., se la certificazione fosse stata ritenuta indispensabile, sarebbe

stato molto più logico imporre la presentazione, da parte del contribuente, di un'istanza di

certificazione, e soltanto dopo, sulla base di quest'ultima, predisporre la proposta di transazione.

595

Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 2010.

312

Per concludere sul punto, dunque, nemmeno dal lato dell'Amministrazione

finanziaria sembra ravvisabile una violazione dei diritti di difesa costituzionalmente

garantiti dall'art. 24 Cost.

8. L’impugnabilità delle certificazioni e degli “avvisi di irregolarità”.

Vi è, tuttavia, un ulteriore situazione patologica che potrebbe astrattamente

verificarsi, che va tenuta distinta dall'ipotesi di omesso adeguamento della proposta

di transazione (o meglio, dell'elenco nominativo dei creditori da allagare al piano

concordatario) al contenuto della certificazione rilasciata dall'ufficio: si allude al

caso in cui il contribuente non condivida la quantificazione operata

dall'Amministrazione finanziaria, ritenendo che il debito d'imposta certificato o

liquidato sia eccessivo o infondato.

In tal caso è lecito chiedersi se il contribuente abbia la possibilità di contestare,

in qualche modo, il contenuto di quelle liquidazioni o certificazioni, e se, ammesso

che tali atti siano impugnabili, il comma 5 non rappresenti un qualche ostacolo

all'impugnazione.

Recentemente è stato argomentato che il debitore sarebbe comunque

legittimato a proporre ricorso al giudice tributario, qualora non condivida le

determinazioni dell’Amministrazione596: in tal caso il credito tributario sarà trattato,

nell’ambito della procedura concorsuale, alla stregua delle regole generali fissate per

simili evenienze.

Qualcuno, viceversa, ha escluso l'impugnabilità delle certificazioni di cui al

comma 2 relativamente agli atti impositivi in esse riepilogati, già notificati in

precedenza, dal momento che contro i medesimi il contribuente avrebbe dovuto far

valere le proprie ragioni illo tempore, nell'ordinario termine di decadenza di 60

giorni dalla notificazione; il ricorso, invece, sarebbe ammissibile avverso gli avvisi

di irregolarità e la certificazione dell'Agenzia relativa ai ruoli non ancora

596

Cfr. G. GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1124: “Il contribuente – che

resta tale, con le garanzie e gli strumenti di difesa apprestati dall’ordinamento, ancorché versi in

una condizione conclamata d’insolvenza e abbia avviato la procedura concordataria – non è

destinato a subire impunemente del determinazioni dell’agenzia, sollecitata dalla proposta

transattiva, ma può agire secondo le regole stabilite dall’ordinamento”.

313

consegnati597.

Ancora, vi è chi nega anche l'impugnabilità degli “avvisi di irregolarità”, vuoi

per mere ragioni pratiche, derivanti dal concreto atteggiarsi della procedura

transattiva, connotata da ritmi a dir poco serrati598, vuoi, soprattutto, per ragioni

schiettamente giuridiche, ravvisabili nella carenza di un interesse ad agire concreto

ed attuale599: l'impugnazione dell'avviso, infatti, finirebbe per configurare una vera e

propria rinuncia alla proposta di transazione, posto che i tempi necessari per ottenere

una pronuncia da parte del giudice tributario impedirebbero di procedere ad una

determinazione definitiva del carico fiscale prima dell'omologazione del concordato.

L'esclusione di un interesse ad agire è stata ravvisata soprattutto nel carattere

meramente endo-procedimentale dei medesimi atti, nel senso che gli stessi sarebbero

validi ai soli fini dell'accordo transattivo: sicché il mancato perfezionamento della

transazione, ad avviso di questa dottrina, comporterebbe anche il venir meno degli

esiti dei controlli contenuti negli avvisi600.

Quanto ai rilievi in punto di non impugnabilità della certificazione, essi

sembrano essere assolutamente condivisibili: detta certificazione, infatti, non

configura di per sé un atto autonomamente impugnabile, bensì rappresenta soltanto il

riepilogo degli atti impositivi già notificati alla parte, che avrebbero dovuto essere

impugnati a tempo debito. Potrà verificarsi l'ipotesi in cui per uno o più di tali atti

siano ancora pendenti i termini di impugnazione: in tale evenienza il debitore avrà la

possibilità di ricomprendere anche tali pretese nella propria domanda di transazione,

o, all'opposto, impugnarle dinanzi alla Commissione tributaria competente, qualora

597

Cfr. S. PACCHI - L. D'ORAZIO – A. COPPOLA, Il concordato preventivo, cit., 1809.

598

Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale: la procedura, cit., secondo cui i rigidi vincoli

temporali posti dalla norma precluderebbero al contribuente la possibilità di fornire

all'Amministrazione i necessari chiarimenti.

599

Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 608.

600

Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 608 e 609, secondo cui

“non si può di certo pensare che, ad accordo non raggiunto, il carico fiscale in capo al

contribuente resti quello determinato dalla proposta del contribuente oppure dai certificati e/o

dagli avvisi di irregolarità, non fosse altro per il fatto che la certificazione del carico tributario e

gli avvisi di irregolarità non sono previsti in via generale per il concordato preventivo, ma restano

istituti tipici, relegati all'ipotesi in cui, ad esso, si accompagni la proposta di un accordo

transattivo con gli uffici finanziari.”

314

intenda contestarne la fondatezza. In questa seconda evenienza la regola di cui al

comma 5 non avrebbe valore ostativo all’instaurazione del giudizio, posto che, come

si è visto in precedenza, l'esigenza di salvaguardare l'art. 24 Cost. dal lato del

debitore concordatario imporrebbe un'interpretazione che escluda l'assolutezza ed

omnicomprensività dell'effetto estintivo ivi contemplato.

Più complesso è il discorso da farsi con riferimento agli “avvisi di irregolarità”.

Occorre tenere a mente, infatti, quel recente orientamento giurisprudenziale che,

preso atto dell'evoluzione dei diritti del contribuente e dell'emersione di nuovi

modelli di attuazione del tributo, propende per un'estensione dei confini della

giurisdizione tributaria, propugnando il superamento dei suoi limiti “interni” o

“verticali”, in deroga al tradizionale principio di tipicità degli atti impugnabili: l'area

di impugnabilità è stata progressivamente estesa anche ad atti “atipici”, intendendo

come tali quelli non ricompresi nell'elencazione di cui all'art. 19 del d. lgs. n.

546/1992, quali gli atti di natura discrezionale, espressione del potere di autotutela

tributaria601, gli atti di natura paritetica602, nonché ancora quelli di natura preparatoria,

fra i quali rientrano essenzialmente gli avvisi “bonari” di pagamento che precedono

l'iscrizione a ruolo603.

Quanto alle comunicazioni di irregolarità di cui agli artt. 36bis del d.P.R. n.

600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972, fatta salva un'isolata pronuncia di merito604,

la giurisprudenza di legittimità tende ad escluderne l'impugnabilità, posto che esse

601

Cfr. Cass., SS.UU., 10 agosto 2005, n. 16776, in Rass. trib., 2005, 1732, e Cass., SS.UU., 27

marzo 2007, n. 7388, in Giur. trib., 2007, 479 e ss.: entrambe le pronunce hanno riconosciuto

l'impugnabilità dei provvedimenti di diniego di autotutela, devolvendo la relativa giurisdizione alle

Commissioni tributare.

602

Cfr. Cass., SS.UU., 2007, n. 17526, in Corr. trib., n. 45/2007, 3865: la pronuncia aveva ad oggetto

la fattura emessa per il pagamento della tariffa di igiene ambientale.

603

Trattasi di atti con cui si richiede il pagamento di somme già iscritte a ruolo, ma per le quali non si

è ancora provveduto alla notifica della cartella di pagamento, ed il cui referente normativo è

rappresentato dall'art. 32, comma 2, lett. b) del d. lgs. n. 46/1999. Sull'impugnabilità di tali atti cfr.

Cass., SS.UU., 24 luglio 2007, n. 16293, e Cass., SS.UU., 26 luglio 2007, n. 16428, entrambe in

Corr. trib., n. 45/2007, 3687. Contra cfr. Cass., 28 gennaio 2005, n. 1791, in Rass. trib., 2005,

937.

604

Cfr. Comm Trib. Reg. Lazio, 4 maggio 2006, n. 123, in Riv. giur. trib., 2007, 351: tale pronuncia

ha ritenuto che le comunicazioni di irregolarità, pur non essendo incluse nell'elenco di cui all'art.

19, costituiscono comunque atti autonomamente impugnabili, avendo natura sostanzialmente

impositiva.

315

“costituiscono anche un invito a fornire eventuali dati o elementi non considerati o

valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, quindi manifestano una volontà

impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di

autotutela (o attraverso l'intervento del Giudice)”605.

Nello stesso senso si è espressa anche la dottrina maggioritaria606. In

particolare, è stato detto che le comunicazioni di irregolarità si situerebbero in una

fase preliminare, in cui la pretesa impositiva ancora non si è manifestata in un atto a

rilevanza esterna, sicché la loro funzione dovrebbe essere soltanto quella di stimolare

l'adempimento spontaneo del contribuente, in modo da evitare l'iscrizione a ruolo

delle somme dovute: in altri termini tali comunicazioni si limiterebbero ad anticipare

i contenuti, ma non anche gli effetti, degli atti impugnabili, che in tal caso sarebbero

i successivi atti esattivi, con il risultato di rallentare e non certo anticipare l'accesso

alla giurisdizione. Ne deriverebbe l'inammissibilità dell'impugnazione proposta

avverso i medesimi avvisi, posto che da un lato la pretesa impositiva non si è ancora

manifestata, mentre dall'altro l'immediata impugnazione sarebbe in contrasto con

l'intima ratio deflazionistica che li sorregge607; ad essere impugnabile sarebbe

soltanto la cartella di pagamento in cui è stato successivamente trasfuso il contenuto

degli stessi.

Se la validità generale di tali considerazioni non può essere contestata, preme

però sottolineare che le medesime, “calate” nello speciale contesto della transazione

fiscale, creerebbero alcune criticità.

L'art. 182ter, infatti, costituisce una deroga all'ordinario iter procedimentale

605

Cfr. le sentenze n. 16428 e 16293 del 2007, cit.: in entrambe le pronunce, dunque, la S.C.

disconosce che tali comunicazioni contengano una pretesa impositiva compiuta ed incondizionata,

nonostante la sollecitazione a pagare spontaneamente le somme richieste. Questo giustificherebbe

la non impugnabilità di tali atti. Va detto, per la verità, che tali affermazioni rappresentano un

obiter dictum, posto che ambedue le pronunce affrontano il problema dell'impugnabilità degli

avvisi bonari di pagamento.

606

Cfr. G. TABET, Una giurisdizione speciale alla ricerca della propria identità, cit., 35 e ss; G.

INGRAO, Prime riflessioni sull'impugnazione facoltativa nel processo tributario (a proposito

dell'impugnabilità di avvisi di pagamento, comunicazioni di irregolarità, preavvisi di fermo di

beni mobili e fatture), in Riv. dir. trib., 2007, I, 1089. Contra L. FERLAZZO NATOLI – G.

INGRAO, Autonomamente impugnabili le comunicazioni di irregolarità sulle dichiarazioni, in

Riv. giur. trib., 2007, 351.

607

Cfr. ancora G. TABET, Una giurisdizione speciale alla ricerca della propria identità, cit., 40 e

41.

316

dell’attività liquidatoria, secondo il quale la comunicazione di irregolarità è seguita,

nel caso di mancato pagamento nei trenta giorni dalla notifica, dall'iscrizione a ruolo

delle somme risultati dal controllo automatizzato: nell'ambito del procedimento di

transazione fiscale, infatti, l'esito delle liquidazioni, dopo essere stato notificato al

contribuente, andrà comunicato al commissario giudiziale, ai fini dell'inserimento del

relativo debito di imposta nell'elenco di cui all'art. 161. Il maggior debito d’imposta

liquidato, dunque, è destinato a partecipare al concorso anche senza essere trasfuso

in un ruolo: del resto, proprio con riferimento a tale evenienza non è mancato chi, in

dottrina, ha ravvisato nell'art. 182ter una deroga al principio generale di cui all'art. 90

del d.P.R. n. 602/1973, che impone la previa iscrizione a ruolo ai fini della

partecipazione del credito tributario alla procedura di concordato preventivo.

Da quanto detto, tuttavia, deriva che al contribuente che intenda contestare

l'esito di quelle liquidazioni sarebbe preclusa in radice la possibilità di attivarsi in

giudizio, in assenza di un atto “tipico” impugnabile.

Sotto questo limitato profilo, dunque, riemergerebbe la compressione dei diritti

di difesa della parte privata, lamentata in dottrina. Un possibile correttivo per le

denunciate “storture” potrebbe essere quello di superare il sistema chiuso di cui

all'art. 19, sull'onda del citato indirizzo giurisprudenziale che tende ad attenuare il

principio di tipicità degli atti impugnabili: in altri termini si potrebbe riconoscere al

debitore la facoltà di impugnare anche gli avvisi di irregolarità contenenti l'esito dei

controlli automatizzati di cui al comma 2, provvedendo medio tempore

all'accantonamento delle somme in essi quantificate secondo le modalità di cui

all'art. 180, comma 6, in attesa della pronuncia definitiva della Commissione

tributaria adita.

Ancora una volta, tuttavia, si tratta di una soluzione “azzardata”, che lascia

trapelare un senso di insoddisfazione per l'infelice formulazione della norma di cui

all’art. 182ter, la quale non sembra aver tenuto in adeguata considerazione le

complesse problematiche che l'intreccio fra normativa tributaria e disciplina

concorsuale pone.

317

9. Effetto processuale estintivo e natura giuridica della transazione

fiscale.

Riassumendo, si è cercato di proporre un'interpretazione dell'effetto estintivo di

cui al comma 5 che salvaguardi, o meglio tenti di salvaguardare, i diritti di difesa

delle parti protagoniste del sub-procedimento di cui all’art. 182ter.

Si è detto che se il soggetto pubblico, cioè l'Amministrazione finanziaria, non

risulta essere concretamente pregiudicato dall'estinzione del contenzioso pendente,

dal lato del soggetto privato l'art. 24 Cost potrebbe essere “salvato” riconoscendo al

contribuente la facoltà di selezionare le controversie da estinguere, laddove le altre

saranno destinate a proseguire secondo le regole ordinarie. Per le liti interessate dalla

proposta di transazione è stata anche riconosciuta la possibilità di un intavolare un

negoziato informale fra le parti, destinato a sfociare in un accordo sul quantum da

corrispondere ovvero sui tempi e sulle modalità di pagamento.

La lettura sin qui proposta renderebbe anche giustizia dal linguaggio impiegato

dal legislatore: il nomen iuris “transazione” sembrerebbe alludere proprio al

compromesso raggiunto fra le parti all'esito di una trattativa condotta in via del tutto

informale nell'ambito della procedura di concordato, avente ad oggetto la

rimodulazione del debito d'imposta originariamente preteso dall’Amministrazione.

Giova sottolineare, tuttavia, che quanto qui rilevato non vale ad attribuire

all'istituto di cui all'art. 182ter carattere negoziale, né, a fortiori, autenticamente

transattivo.

Si è già avuto modo di rilevare che la transazione fiscale altro non è che un

procedimento di carattere amministrativo e concorsuale al tempo stesso, data la

natura ibrida della fattispecie, a metà fra diritto tributario e normativa fallimentare.

Tale iter procedurale si è visto essere connotato dal contraddittorio fra le parti, posto

che il contribuente, ad esclusiva iniziativa del quale, del resto, la procedura prende

avvio, non è relegato al ruolo di mero spettatore “passivo”, potendo all'opposto

interloquire con l'Amministrazione per la determinazione dell'importo da

corrispondere in moneta concordataria, sino a modificare la proposta iniziale per

recepire le indicazioni dell'ufficio e garantirsene il voto favorevole.

Ancora, se talvolta si è parlato di “accordo” fra contribuente e Fisco,

l'espressione è stata impiegata in modo atecnico, sicuramente non con l'intento di

318

alludere ad un vero e proprio contratto di diritto privato, di cui difetterebbero in

primo luogo gli elementi strutturali: se il contratto si perfeziona, nella normalità dei

casi, tramite l'incontro fra proposta ed accettazione, nell'ipotesi di cui all'art. 182ter,

di contro, vi è solo una proposta unilaterale del debitore, eventualmente modificabile

sino al termine ultimo di cui all'art. 175, comma 2, mentre dall'altro lato si colloca il

voto, che qui si ipotizza essere favorevole, dell'Amministrazione finanziaria,

soggetto alla regola maggioritaria e al principio della par condicio creditorum, oltre

che alle restanti norme che disciplinano la procedura di concordato preventivo, non

da ultimo il comma 4 dell'art. 180.

La natura negoziale della transazione fiscale andrebbe esclusa anche sotto un

diverso punto di vista: se il contratto di diritto privato è basato sull'autonomia

negoziale delle parti contraenti, libere di disporre dei propri interessi individuali, in

capo all'Amministrazione difetterebbe la disponibilità dei diritti di cui la medesima è

titolare, dovendo pur sempre orientare il proprio operato in direzione del

perseguimento di fini legislativamente precostituiti. In altri termini il soggetto

pubblico non gode di libertà, da intendersi come libera scelta delle finalità e degli

interessi da perseguire, quanto piuttosto di discrezionalità, intesa come

funzionalizzazione dell'agire al raggiungimento di fini ed interessi pubblici

predeterminati dalla legge.

Pertanto la “trattativa” con l'ufficio non è destinata a sfociare in un atto ad hoc,

avente natura negoziale, dovendo pur sempre incardinarsi nell'alveo della procedura

concordataria, dove trova il suo “sbocco” naturale nella votazione e nella successiva

omologazione della proposta di concordato. Ne deriva che l'effetto processuale

estintivo non deriverà da un accordo autonomo siglato dalle parti, bensì piuttosto

dall'esito positivo di quella procedura.

319

320

321

CAPITOLO V.

IL PROBLEMA DELLA CRISTALLIZZAZIONE DEL DEBITO DI

IMPOSTA NEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI E

NELLA “TRANSAZIONE PREVIDENZIALE”

1. La Transazione fiscale in sede di trattative precedenti la stipula di un

accordo di ristrutturazione dei debiti.

1.1. Accordi di ristrutturazione, consolidamento e cessazione della

materia del contendere.

Occorre ora esaminare nel dettaglio la problematica relativa agli effetti della

transazione fiscale conclusa nell'ambito delle trattative che precedono la stipula di un

accordo di ristrutturazione dei debiti.

Si tratterà di stabilire, cioè, se la cristallizzazione del complessivo carico

tributario, sotto il duplice profilo del consolidamento del debito fiscale, comunque si

voglia intendere tale locuzione, e dell'estinzione delle controversie pendenti per

cessazione della materia del contendere consegua anche alla transazione siglata in

sede di accordi ex art. 182bis. Come si è brevemente accennato in precedenza,

infatti, il problema scaturisce dalla formulazione letterale del comma 6, il quale

opera un riferimento non generalizzato, bensì alquanto circoscritto ai precedenti

commi dell'art. 182ter (che, come visto, disciplinano la fattispecie della transazione

proposta in sede di concordato preventivo), senza richiamare esplicitamente alcuno

dei due menzionati effetti “tipici”.

Se si muovesse dall’analisi del rapporto intercorrente tra la transazione

“concordataria” e quella conclusa in sede di accordi ex art. 182bis, non potrebbe

essere sottaciuta la profonda differenza intercorrente fra le due fattispecie, potendosi

quasi ravvisare un’ideale linea di demarcazione fra le due “parti” (commi da 1 a 5 da

un lato, e commi 6 e 7 dall'altro) in cui può essere scomposto l'art. 182ter.

Tale conclusione trova l'avallo della migliore dottrina, la quale non ha mancato

di rilevare che l'unitarietà dell'istituto è “spezzata” dal diverso atteggiarsi dello stesso

322

nell'ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti608,

come riflesso dell'assunto più generale, oggi pressoché unanimamente accolto vuoi

in dottrina vuoi in giurisprudenza, dell'autonomia della fattispecie degli accordi di

ristrutturazione rispetto alla procedura disciplinata dagli artt. 160 e ss: sono state

infatti definitivamente accantonate quelle tesi, inizialmente sostenute da una parte

dei commentatori che si sono occupati dell'istituto di cui all’art. 182bis, che

ricostruivano l'accordo di ristrutturazione dei debiti in termini di “costola” del più

ampio concordato preventivo, nel senso di ravvisarvi soltanto una peculiare modalità

attuativa dello stesso609, oppure una forma di “concordato semplificato”610 o

“concordato stragiudiziale omologato”611.

Sicché, la tesi autonomista oramai imperante ha indotto la migliore dottrina a

valorizzare il carattere contrattuale, o comunque in senso lato negoziale, degli

accordi di ristrutturazione: l'ampia autonomia negoziale che li contraddistingue

porrebbe in secondo piano i pur immancabili elementi pubblicistici della

fattispecie612, anche se non mancano letture contrastanti, che ne rimarcano il

prevalente carattere procedimentale, o “giudiziale”.

608

Cfr. ex multis A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 2011, 1427, in cui viene

sottolineata la “doppia anima” dell'istituto; negli stessi termini A. LA MALFA – L. MARENGO,

Transazione fiscale e previdenziale, cit., passim; A. CONTRINO, Procedure concordatarie

(vecchie e nuove), riduzioni di debiti e sopravvenienze attive, in Rass. trib., 2011, 49 e ss.; V.

FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel concordato

preventivo, cit., 610 e ss.

609

In tal senso cfr. G. VERNA, Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182bis legge fallimentare, cit.,

865 e ss., M. FERRO, Art. 182bis, la nuova ristrutturazione dei debiti, cit., 56, e ID., Art. 182bis,

in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, cit., 1420, in cui l'accordo viene definito

come “sottotipo del concordato preventivo”. In giurisprudenza cfr. Trib. Milano, 15 dicembre

2005, decr., in Dir. fall., 2006, II, 674, nonché Trib. Milano, 21 dicembre 2005, decr., in Fall.,

2006, 670.

610

L'espressione è stata impiegata per la prima volta da L. PANZANI, Il D.L. 35/3005, la legge 14

maggio 2005, n. 80 e la riforma della legge fallim., cit., 10; in senso conforme cfr. P.

VALENSISE, Art. 182bis, cit., 2253.

611

Cfr. E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182bis legg. fallim.),

e gli effetti per coobbligati e fideiussori del debitore, in Dir. fall., 2005, I, 849; in senso conforme

cfr. A. PEZZANO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis legge fallimentare: una

occasione da non perdere, in Dir. fall., 2006, II, 678.

612

In giurisprudenza cfr. ad esempio Trib. Roma, 5 novembre 2009, decr., cit. Contra G. GAFFURI,

Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1126, secondo cui “l’aspetto negoziale è

comunque cedevole rispetto agli obblighi procedimentali”.

323

Una plausibile conferma della natura negoziale della transazione conclusa

nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti può essere ricavata dalla

possibilità, pacificamente ammessa in dottrina613, che in quella sede siano intavolate

autentiche trattative tra l'imprenditore in crisi e l'Amministrazione finanziaria. Si è

sostenuto infatti che l'ufficio periferico, e prima ancora la Direzione Regionale

dell'Agenzia delle Entrate (cui l'art.182ter attribuisce un ruolo determinante, che la

medesima dottrina ha definito di play maker, posto che il relativo assenso

fungerebbe da condizione di perfezionamento ed efficacia dell'accordo sui crediti

fiscali), non sarebbero costretti ad accettare o rifiutare in blocco la proposta del

debitore, potendo benissimo suggerirne integrazioni e modifiche614. Ne deriva la

possibilità, per l'imprenditore, di presentare una seconda bozza di accordo

transattivo, conforme alle indicazioni ed ai suggerimenti espressi dall'ente pubblico.

Tali considerazioni indurrebbero a ritenere che la transazione siglata in sede di

accordi, se da un lato presenta i tratti tipici del procedimento amministrativo, che

sono stati già ravvisati a proposito della transazione concordataria (in particolare,

sarebbero presenti le medesime fasi di impulso, istruttoria e decisoria), sul distinto

versante concorsuale non verrebbe ad atteggiarsi come autentica “procedura”,

appunto perché nella fattispecie di cui all’art. 182bis gli elementi di giurisdizionalità

risulterebbero essere recessivi.

Quanto detto consente di comprendere al meglio quella che è sicuramente la

distinzione più rilevante fra le due tipologie di transazione fiscale: ossia la

condizione da soddisfare per la falcidiabilità dei debiti erariali. Se in sede di

concordato preventivo sarà all’uopo sufficiente l’approvazione della proposta ad

opera della maggioranza dei creditori ammessi al voto, seguita dall’omologazione

del Tribunale, in sede di accordi di ristrutturazione il trattamento remissorio e/o

dilatorio delle obbligazioni tributarie sarà ammissibile solo con l'assenso espresso

613

Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel

concordato preventivo, cit., 617 e 618.

614

Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel

concordato preventivo, cit., 618: “La chiara funzione di risanamento della transazione fiscale

induce a ritenere che la DRE possa indicare al singolo ufficio modifiche e integrazioni alla

proposta di accordoe chiarimenti che, se inserite e illustrate, meglio permettano di appurare, ad

es., la fattibilità del piano di risanamento oppure garantire l'effettività di un pagamento”.

324

dell’ufficio, non trovando applicazione il principio maggioritario e la connessa

regola della vincolatività del decreto di omologa di cui all’184615. Sicché, se la

funzione precipua della transazione concordataria è stata ravvisata nella

cristallizzazione del debito d’imposta, nella duplice prospettiva del consolidamento

delle pretese erariali e della cessazione della materia del contendere nelle liti in

corso, lo scopo primario di una transazione proposta nell'ambito delle trattative

finalizzate alla stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti, invece,

sembrerebbe risiederebbe proprio nella stessa falcidiabilità dei debiti tributari.

E’ legittimo domandarsi, pertanto, se oltre a questo risultato l'accordo

transattivo ex comma 6 sia suscettibile di produrre anche gli effetti che si è visto

essere “tipici” della transazione concordataria.

La questione troverebbe alimento anche dall'orientamento interpretativo che

risulta essere oggi assolutamente prevalente, il quale esclude cha alla fattispecie de

qua siano applicabili in via analogica le norme che disciplinano la procedura di

transazione fiscale nell'ambito del concordato preventivo, alla luce della disciplina

appositamente dettata dai comma 6 e 7, che comunque ricalca essenzialmente quella

di cui ai precedenti commi616.

Senonché, la problematica dell’estensione alla transazione conclusa in sede di

accordi di ristrutturazione degli effetti “tipici” della transazione concordataria

potrebbe avere soluzioni diverse, a seconda che si opti per un’interpretazione

615

Il punto è pacifico in dottrina: cfr. ex multis G. B. NARDECCHIA, Gli accordi di ristrutturazione

dei debiti ed il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Fall., 2008, 709, il quale

sottolinea la necessità, nel caso in cui venga proposto un accordo di ristrutturazione, di un assenso

esplicito alla transazione da parte dei soggetti legittimati ad esprimere la volontà dell'Erario,

laddove nel concordato preventivo la transazione fiscale non costituisce un accordo autonomo e

separato, ma si inserisce a pieno titolo nel piano, con la conseguenza che “il creditore fiscale è

vincolato, al pari di tutti gli altri creditori, al principio maggioritario che regola la fase di

approvazione del concordato”. In termini analoghi si è espresso anche E. STASI, La transazione

fiscale, cit., 109. Da ultimo cfr. G. GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit.,

1126, che parla di “alternativa di fondo” che “intercorre tra, da un canto, il tentativo di convenire

con le agenzie fiscali l’abbattimento, quantitativo o qualitativo, del credito vantato o vantabile da

esse e, d’alto canto, il pagamento integrale dei debiti nei loro confronti”.

616

Sull'applicazione estensiva della disciplina procedurale dettata per la transazione concordataria,

prima delle modifiche apportate dal decreto n. 78/2010, cfr. A. LA MALFA, La transazione dei

crediti fiscali, cit., 1454. Contra G. GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit.,

1126, che parla di “inevitabilità delle regole concernenti la transazione fiscale”, il cui rispetto

sarebbe prescritto anche in uno scenario spiccatamente consensuale.

325

letterale della normativa, ovvero si prediliga una lettura di ordine logico-sistematico.

Attenendosi al solo dato testuale si potrebbe ritenere che l'accordo

autonomamente siglato con l'Amministrazione finanziaria non produca alcuno dei

menzionati effetti tipici, posto che la formulazione letterale del comma 6 non

contiene nessun rinvio espresso né al consolidamento del debito fiscale, né

all'estinzione delle liti pendenti.

La dottrina assolutamente prevalente, tuttavia, opta per una soluzione

interpretativa logicamente e sistematicamente orientata, che estende in via analogica

i menzionati effetti tipici anche alla transazione siglata in sede di accordi di

ristrutturazione dei debiti617.

La bontà di tale lettura, quanto alla cessazione della materia del contendere, è

stata argomentata affermando che il mancato rinvio al comma 5 sia da imputare solo

ad un difetto di coordinamento fra le due parti dell'art. 182ter618. Ancora, si è detto

che, nonostante il silenzio della legge, l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione

determinerebbe comunque la cessazione delle liti aventi ad oggetto i tributi transatti,

rientrando tale effetto nella logica propria del contratto di transazione619. Con

riferimento all’altro effetto tipico, poi, è stato affermato che, nonostante manchi un

rinvio esplicito al “consolidamento del debito fiscale”, esso sia comunque da

rinvenirsi implicitamente nel rimando generico al comma 2 dell’art. 182ter620.

Qualcuno, ancora, nella prospettiva di un’imminente estinzione del contenzioso

pendente ai sensi del comma 5 sostiene che il debitore, dopo aver provveduto al

deposito dell'accordo di ristrutturazione presso il Registro delle imprese, dovrà

617

Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, in Il diritto fallimentare riformato. Appendice di

aggiornamento, a cura di G. SCHIANO DI PEPE, Cedam, Padova, 2008, 118; P. PAJARDI,

Transazione fiscale (a cura di A.. SOLIDORO), cit., 1803, e E. STASI, Profili istituzionali della

transazione fiscale, cit., 1211; M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 2009, 288;

S. PACCHI - L. D'ORAZIO – A. COPPOLA, Il concordato preventivo, cit., 1813; MATTEI,

Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, in S. ABROSINI, Le nuove procedure

concorsuali, 597 e ss. Cfr. anche L. DEL FEDERICO, Profili processuali della transazione, cit.,

3662 e 3663, il quale puntualizza che la cessazione della materia del contendere sia relativa alle

sole controversie relative alle ragioni creditorie di coloro che hanno aderito all'accordo, e giammai

si verificherebbe per i creditori ad esso estranei.

618

Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2329, nt. 44.

619

Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit.,742.

620

Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1452.

326

presentare al giudice tributario, dinanzi al quale penda una controversia fiscale, la

richiesta di sospensione del processo ex art. 39 d. lgs. 546/1992, al fine di evitare

che, prima del decreto di omologa, il contenzioso si chiuda con una sentenza

negativa per il medesimo debitore o per l'Amministrazione, o comunque non

conforme al contenuto sostanziale dell'accordo omologato, con l'effetto di modificare

il debito d'imposta ivi quantificato e rendere così impossibile la cessazione della

materia del contendere621. La medesima dottrina ritiene anche che il termine di trenta

giorni per addivenire ad un'intesa con il creditore pubblico non possa considerarsi

perentorio, data la sua eccessiva brevità; del resto, ritenere che il suo inutile decorso

impedirebbe il perfezionamento della transazione sarebbe incompatibile con la ratio

legis della norma, che è quella di favorire la composizione negoziale della crisi.

Sarebbe comunque auspicabile che gli uffici evitino risposte tardive.

Vi è anche chi propone una soluzione più articolata, che limita l'effetto

estintivo delle liti pendenti ai soli atti impositivi (cartelle e/o avvisi di accertamento)

che il contribuente abbia ricompreso espressamente nella proposta di accordo

transattivo, con l'esclusione di quelli di cui egli intenda contestare (o meglio

continuarne a contestare) il fondamento: in tal caso l'impugnazione proseguirebbe il

suo normale iter processuale, sicché la definitiva determinazione dell'an e/o del

quantum dell'obbligazione tributaria continuerebbe ad essere rimessa all'esclusivo

apprezzamento del giudice tributario, e non alla concorde determinazione delle

parti622. A giustificazione di tale assunto si è detto che a fronte di un consistente

ammontare di debiti fiscali, di cui alcuni relativi a cartelle o avvisi già impugnati, il

contribuente potrebbe non avere alcuna intenzione di pagare alcunché, neppure a

titolo transattivo, in quanto potrebbe assumere del tutto illegittima ed infondata la

pretesa tributaria nel suo complesso: la soluzione proposta, allora, sembrerebbe

essere la più razionale, in quanto consentirebbe al debitore di selezionare, volta per

volta, quali controversie estinguere e quali meno, rimettendo a lui la scelta tra correre

il rischio di un contenzioso dall'esito potenzialmente infausto, con eventuale

621

Cfr. E. MATTEI, Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, cit., 604 e 605.

622

Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel

concordato preventivo, cit., 619.

327

addebito delle spese processuali, oppure sostenere nell'immediato un costo

aggiuntivo, accollandosi una parte almeno delle pretese oggetto di contestazione.

Quanto all’ulteriore effetto di consolidamento, la medesima dottrina non

scioglie i dubbi in merito alla possibile efficacia preclusiva rispetto ad accertamenti

futuri che interessino le annualità e i tributi oggetto del’accordo transattivo: si è

rilevato, tuttavia, che la probabilità che le certificazioni di cui all'art. 182ter non

impediscano affatto controlli successivi, se non vanifica del tutto la funzione della

transazione, ne potrebbe senza dubbio raffreddare l'appetibilità. In ogni caso tali

certificazioni non avranno sicuramente alcuna valenza impegnativa per

l'Amministrazione qualora, nonostante le trattative avviate dal debitore, l'accordo

non venga concluso623.

Ancora, sempre con riferimento all'effetto di consolidamento, vi è chi ritiene

che la rinuncia da parte dell'Erario all'azione accertatrice, se non potrebbe essere

ipotizzata nell'ambito di un concordato preventivo, alla luce della formulazione

letterale della norma (e nonostante le criticità che tale soluzione porrebbe)624, può

comunque aver luogo in sede di accordi di ristrutturazione, dato il maggior lasso

temporale a disposizione delle parti per addivenire ad un accordo sulla debitoria e su

tutti i rapporti pendenti, ivi compresi quelli ancora oggetto di possibili accertamenti:

proprio in relazione a questi ultimi l'Amministrazione, una volta acclarati i costi-

benefici dell'opzione entro termini più estesi rispetto a quelli di cui dispone

nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, potrebbe decidere di

rinunciare all'esercizio dei suoi poteri accertativi625.

623

Cfr. sempre V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel

concordato preventivo, cit., 619.

624

Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, cit., 746, nt.

36: “è evidente come il mantenimento di tale potere accertativo in capo all'amministrazione

finanziaria possa risultare dirompente in tema di concordato preventivo, potendo tale maggior

onere sopravvenuto sovvertire gli esiti di una procedura concordataria che è stata omologata

sulla scorta di condizioni precedenti accertate dagli organi giudiziali e dalla maggioranza dei

creditori. D'altro canto la norma così com'è decisamente non lascia presupporre deroghe alla

normativa sull'accertamento, lasciando intatti i poteri officiosi in capo alla amministrazione

finanziaria, la quale oltre al potere avrebbe anche il dovere di procedere ove ne ricorrano i

presupposti”.

625

Cfr. sempre E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, cit.,

746, nt. 36: “la questione, in tema di accordi, viene agevolmente superata dal maggior tempo a

disposizione delle parti per raggiungere un accordo”.

328

L'Amministrazione finanziaria non sembra aver preso una posizione precisa ed

esplicita sul problema dell'estensione degli effetti consolidatori ed estintivi anche alla

transazione conclusa in sede di accordi di ristrutturazione. La circolare n. 40/E del

2008, al par. 5.4, si limita infatti ad affermare che “l'ultimo comma dell'art. 182ter

prevede adempimenti analoghi a quelli contemplati dai commi precedenti”, e che

l'ufficio competente è “tenuto alla liquidazione dei tributi risultanti dalle

dichiarazioni ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità”. Ancora, la circolare

n. 14/E del 10 aprile 2009, nel commentare le novità introdotte con il d.l. n.

185/2008, riconosce la possibilità di proporre un pagamento dilazionato dell'Iva

anche in sede di accordi ex art. 182bis, e puntualizzare che l'aggiunta dell'incipit “Ai

fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale” al comma 2 dell'art.

182ter avrebbe “lo scopo di chiarire che le procedure necessarie al perfezionamento

della transazione fiscale trovano applicazione anche nell'ambito delle trattative che

precedono la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti”.

Non sembra azzardato, tuttavia, proporre una lettura estensiva delle istruzioni

dettate dai menzionati documenti di prassi, inferendone che, oltre agli

“adempimenti” ed alle “procedure” dettagliatamente illustrati nella circolare n. 40/E,

e successivamente richiamati dalla circolare n. 14/E, debbano trovare applicazione

alla transazione conclusa in sede di accordi di ristrutturazione anche i “criteri” cui

l'ufficio dovrà attenersi nel valutare la proposta626, e soprattutto gli “effetti tipici” che

derivano dall'accettazione della medesima: poiché le attività di liquidazione e

certificazione di spettanza dell'ufficio hanno come fine la cristallizzazione

dell'esposizione debitoria del proponente verso l'Erario, ne conseguirebbe che un

rinvio esplicito alle medesime non potrebbe non estendersi anche alle relative

finalità. Si potrebbe ritenere, dunque, che anche nell'ipotesi di transazione accedente

ad un accordo ex art. 182bis l'Agenzia delle Entrate non escluda aprioristicamente né

il consolidamento del complessivo debito tributario, ovviamente nei limiti in cui, a

giudizio della medesima, il menzionato effetto avrebbe luogo nell'ambito del

626

Per altro ribaditi anche dalla circolare n. 20/E del 16 aprile 2010, che invita a “contemperare

l'interesse pubblico alla riscossione dei tributi con l'egualmente rilevante interesse alla

conservazione di imprese in grado di rappresentare realtà ancora produttive, salvaguardando nel

contempo i livelli occupazionali”.

329

concordato preventivo627, né la cessazione della materia del contendere628. Quanto

all’effetto da ultimo citato, del resto, è frequente la prassi di inserire negli atti di

transazione fiscale apposite clausole che prevedano espressamente l’estinzione dei

contenziosi in atto.

Anche la scarsa giurisprudenza di merito reperibile al giorno d’oggi

sembrerebbe estendere alla transazione in sede di accordi gli effetti “tipici” della

transazione concordataria, quanto meno quello di consolidamento di cui al comma 2:

in particolare il Tribunale di Ancona, chiamato ad omologare un accordo di

ristrutturazione in cui il 98,95% dell'intero indebitamento della società proponente

era rappresentato da debiti d'imposta, quantificava il credito tributario complessivo

in € 2.401.511,03, così come risultante dal “consolidamento del debito erariale non

iscritto a ruolo ricostruito dall'Agenzia delle Entrate [...] e dal consolidamento del

debito erariale iscritto a ruolo coma da certificazione rilasciata dall'agente della

riscossione”629.

1.2. Proposta di soluzione interpretativa.

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte si ritiene che anche la transazione

siglata in sede di accordi ex art. 182bis sia suscettibile di produrre gli effetti “tipici”

della transazione concordataria, intesi nel senso che si è cercato di chiarire nei

precedenti capitoli.

Pertanto non sembra condivisibile quell'opinione dottrinale che, sulla scorta

della pretesa valenza sostanziale da attribuirsi al “consolidamento del debito fiscale”

627

Alla luce di quanto chiarito con la circolare n. 40/E non potrà ritenersi preclusa l'ulteriore attività di

accertamento sui tributi e sulle annualità d'imposta oggetto dell'accordo transattivo. Anche in caso

di accordi di ristrutturazione l'ufficio dovrebbe procedere solo alla liquidazione dei tributi risultanti

dalle dichiarazioni presentate dal debitore, alla notifica delle relative comunicazioni di irregolarità

e degli avvisi di accertamento, nonché al rilascio della certificazione attestante il complessivo

debito tributario, considerando anche eventuali processi verbali di constatazione e inviti al

contraddittorio già notificati al contribuente, prima di addivenire alla stipula dell'accordo.

628

Anche la Guida pubblicata dalla Direzione Regionale Sicilia, dal titolo Il Fisco a sostegno delle

imprese in crisi. La transazione fiscale, cit., nel disciplinare la transazione conclusa in sede di

accordi di ristrutturazione dei debiti rimanda alle modalità procedurali di cui al comma 2,

“mediante le quali pervenire al consolidamento del debito fiscale”, ed inoltre ricollega

all'omologazione dell'accordo la cessazione della materia del contendere nelle liti oggetto della

proposta del debitore.

. 629

Cfr. Trib. Ancona, 12 novembre 2008, decr., cit.

330

di cui al comma 2, ritiene che la conclusione di un accordo transattivo, in seno ad

un’operazione di complessiva ristrutturazione del passivo d’impresa, abbia l'effetto

di privare l'Erario dei suoi ordinari poteri di controllo630.

Nemmeno si potrebbe aderire a quella tesi secondo la quale l'Amministrazione,

magari con apposita clausola inserita nell'atto di transazione, possa rinunciare

espressamente e definitivamente ai propri poteri accertativi, muovendo dal

presupposto che la procedura di cui all'art. 182bis non imporrebbe il rispetto di

termini invalicabili, quali invece sarebbero quelli previsti dalla normativa in tema di

concordato preventivo, i quali rischierebbero di costringere l'Erario ad intervenire in

adunanza senza tutti gli elementi valutativi a disposizione631: secondo questa tesi,

infatti, la transazione ex comma 6 verrebbe conclusa prima che l'accordo di

ristrutturazione sia depositato presso il Registro delle imprese, e pertanto l'ufficio

avrebbe a disposizione tutto il tempo necessario per attivare gli opportuni controlli di

merito ed eventualmente rinunciare ai residui poteri accertativi, all'esito di un'oculata

ponderazione dei costi e benefici dell'opzione. Tale opinione non tiene in adeguata

considerazione la circostanza che una rinuncia di tal fatta costituirebbe

un’inammissibile violazione del principio di indisponibilità dell’obbligazione

tributaria, potendo esporre il singolo funzionario al rischio di denuncia per danno

erariale.

Pertanto, si ritiene che anche in questo caso l'intervenuta stipula di un accordo

transattivo non sortirebbe alcun effetto di congelamento degli ordinari poteri di

accertamento: al riguardo sono perfettamente valide tutte le argomentazioni

prospettate nel capitolo III con riferimento al consolidamento del debito fiscale sul

versante “tributario” della transazione perfezionata in sede di concordato preventivo.

In primis, lo stesso linguaggio adoperato dal legislatore nel descrivere gli

630

In tal senso cfr. ex multis D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale cit., 8, secondo cui “la

transazione fiscale può essere funzionale ad accordo stragiudiziale di sistemazione del debito solo

a condizione che per effetto della medesima si raggiunga quell'accertamento dell'effettività entità

del credito erariale che pare costituire presupposto necessario per la stessa operatività

dell'accordo”: in altri termini secondo l’A. la funzione dell'istituto sarebbe da ravvisare nel

definitivo accertamento del debito fiscale, precludendo ulteriori attività accertative, al pari di

quanto avviene in sede di concordato preventivo.

631

Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di

ristrutturazione dei debiti, in Trattato delle procedure concorsuali, cit., 755.

331

adempimenti a carico dell'Agenzia delle Entrate sembrerebbe alludere alla sola

attività liquidatoria in senso stretto, intesa come controllo automatizzato delle

dichiarazioni, anche integrative, da allegare alla proposta di transazione, con notifica

dei relativi ed eventuali esiti di irregolarità. Ancora, la certificazione dell'ufficio

riguarderebbe le sole pretese scaturenti da atti impositivi (quali, a titolo

esemplificativo, avvisi di accertamento, avvisi di rettifica e liquidazione, atti di

recupero di crediti di imposta indebitamente erogati all'impresa) che risultino già

notificati al contribuente alla data di presentazione dell'istanza.

Al di là di queste considerazioni di ordine testuale, ed esaminata la questione

sotto un profilo logico-sistematico, anche un raffronto con le disposizioni dettate

dalla l. n. 212/2000 escluderebbe che l'ufficio abbia l'obbligo di procedere

all'emanazione di un avviso di accertamento, o semplicemente all'attivazione ex novo

di una verifica fiscale, in un lasso temporale eccessivamente ridotto rispetto al

termine ordinario a tal fine accordato dal legislatore tributario, con efficacia

preclusiva di ogni successivo ed ulteriore controllo di merito: tale interpretazione,

infatti, urterebbe contro le disposizioni che lo Statuto del contribuente detta a tutela

del contribuente sottoposto a verifica fiscale o destinatario di un atto impositivo, la

cui portata è stata sinteticamente illustrata nel capitolo III.

Ne consegue che l'Amministrazione finanziaria conserverà inalterati i propri

poteri di accertamento in ordine ai tributi e ai periodi d’imposta oggetto dell'accordo

transattivo, nel rispetto degli ordinari termini di decadenza all'uopo previsti dalla

normativa tributaria: il che, del resto, potrebbe essere anche espressamente

contemplato, come di regola accade, in apposita clausola da inserire nell'atto di

transazione, avente appunto la funzione di salvaguardare detti poteri al di là di ogni

possibile dubbio interpretativo.

Nulla vieta che, durante la fase delle trattative volte alla conclusione di una

transazione con il Fisco, il contribuente possa optare per la definizione di avvisi di

accertamento precedentemente notificati ovvero di pretese impositive ancora in fieri,

quali quelle quantificate in processi verbali di constatazione o inviti al

contraddittorio già consegnati, onde avvalersi del beneficio della riduzione delle

relative sanzioni, per poi proporre all'Erario, in sede di accordo transattivo, un

pagamento in misura percentuale e/o dilazionata delle somme così definite: ma si

332

tratterà, com'è ovvio, di una soluzione fattibile solo nei limiti in cui sussistano le

condizioni previste dalle relative disposizioni di diritto tributario. Pertanto con

riferimento agli avvisi già notificati occorrerà valutare se il contribuente sia ancora

nei termini per proporre istanza di definizione dell'accertamento con adesione (cioè

se non siano già decorsi 60 giorni dalla notifica), e se l'avviso non sia stato

eventualmente già impugnato, secondo quanto prescritto dall'art. 6 del d. lgs. n.

218/1997. Nell'ipotesi di invito a comparire le condizioni da rispettare sono quelle di

cui al comma 1bis dell'art. 5 del medesimo d. lgs.: sicché, l'adesione all'invito

presuppone la relativa comunicazione al competente ufficio, accompagnata della

quietanza di versamento della prima o unica rata, entro il quindicesimo giorno

antecedente la data fissata per la comparizione. Infine, qualora trattasi di un pvc i

presupposti per l'adesione, così come definiti dall'art. 5bis del decreto in questione,

sono la circostanza che il verbale sia prodromico all'emissione di un accertamento

parziale ex art. 41bis del d.P.R. n. 600/1973 ed il decorso di un termine non

superiore a 30 giorni dalla notifica del verbale.

La disciplina tributaria di cui al menzionato d. lgs. n. 218/1997 troverà dunque

integrale applicazione: ne deriva che, qualora successivamente all'omologa

dell'accordo di ristrutturazione, ed entro il termine di decadenza legislativamente

imposto per l'esercizio di ulteriore attività accertatrice, sopravvenga la conoscenza di

elementi nuovi, che lascino trasparire un maggior imponibile rispetto a quello

“accertato con adesione”, sarà sempre possibile per l'ufficio procedere

all'emanazione di un nuovo avviso di accertamento, secondo quando previsto dal

comma 4 dell'art. 2.

Anche per quanto attiene al coordinamento sul piano temporale fra la

normativa tributaria appena esaminata e l'art. 182ter, comma 6, il quale prevede che

la certificazione del complessivo carico tributario dovrà essere rilasciata nei trenta

giorni dal deposito della proposta di transazione, valgono le considerazioni già

formulate nel capitolo III: in estrema sintesi, se l'imprenditore abbia manifestato la

volontà di aderire (all'avviso, al verbale o all'invito) con comunicazione separata o

con apposita clausola inserita nell’istanza di transazione, anche il debito d’imposta

scaturente dai menzionati atti dovrà essere ricompreso nella certificazione, e andrà

333

soddisfatto secondo le percentuali e i tempi concordati con l'ufficio632.

Anche nel caso in cui i trenta giorni per il rilascio della predetta certificazione

scadano prima che il contribuente abbia espresso la propria volontà di aderire ad un

pvc o ad un invito, ma siano ancora pendenti i termini all'uopo previsti dal decreto n.

218, il relativo debito d'imposta, che comunque dovrebbe essere qualificato in

termini di credito condizionale633, andrebbe inserito nella certificazione rilasciata

dall'ufficio, come del resto è previsto dalla circolare n. 40/E delle Entrate. Quanto al

trattamento da riservare alle pretese contenute nei menzionati atti, esse andrebbero

considerate alla stregua di “crediti estranei”, e quindi dovrebbero essere soddisfatte

per l'intero, ed alle scadenze ordinariamente prescritte dalla normativa tributaria, nel

momento in cui intervenga l'adesione del contribuente o, in mancanza di questa, nel

momento in cui siano state recepite in un successivo avviso di accertamento.

Se le considerazioni da ultimo svolte si sforzano di conciliare la disciplina

tributaria di cui al decreto n. 218/1997 con la normativa applicabile agli accordi di

ristrutturazione, va tuttavia precisato che le medesime sembrano destinate a rimanere

confinate ad un livello squisitamente teorico: in concreto, infatti, è molto probabile

che l'ufficio subordini il proprio assenso sulla proposta di transazione all'adesione del

debitore ad un verbale o ad un invito che risultino pendenti. In via generale, infatti,

l’adesione implica l'integrale ed incontestata accettazione della pretesa erariale

contenuta in tali atti, risultando dunque vantaggiosa per l'Erario, che eviterebbe così

di dover procedere alla successiva emanazione di un avviso di accertamento, pur

sempre suscettibile di impugnazione: l'ufficio, dunque, eviterebbe il rischio di un

estenuante contenzioso dagli esiti incerti, dovendo accettare la sola decurtazione

delle sanzioni irrogate, che il legislatore ha previsto come misura premiale per il

632

Tuttavia, nel caso in cui l'accordo transattivo contenga anche l'adesione ad un invito al

contraddittorio, non è chiaro se, ai fini del perfezionamento della predetta adesione, il contribuente

dovrà necessariamente procedere anche al contestuale pagamento della prima o unica rata, così

come previsto dall'art. 5, comma 1bis del d. lgs. n. 218/1997: cfr. sul punto le considerazioni svolte

nel capitolo III. Il problema, in realtà, sembra essere solo teorico, posto che è altamente probabile

che l'ufficio sottoscriverà l'accordo transattivo solo previa verifica dell'avvenuto pagamento.

633

Come si è visto nel capitolo III, infatti, gli importi contestati in un pvc o in un invito a comparire

diverranno liquidi ed esigibili solo con l'adesione del contribuente, per effetto della quale il verbale

o l'invito assurgeranno al rango di titoli esecutivi per l'iscrizione a ruolo delle somme in essi

quantificate. In caso di mancata adesione, invece, sarà necessario procedere alla successiva

emissione di un ordinario avviso di accertamento.

334

contribuente che abbia aderito.

Inoltre, si porrà il problema di stabilire se le pretese contenute in inviti al

contraddittorio o processi verbali, essendo ancora in fieri, debbano concorrere alla

formazione della maggioranza qualificata prevista dal comma 1 dell'art. 182bis.

La risposta non è agevole. Ovviamente nessuna indicazione può trarsi dalla

scarna formulazione letterale dei commi 6 e 7 dell'art. 182ter, né soccorre lo stesso

art. 182bis, il quale, nel prevedere che l'accordo debba essere stato stipulato “con i

creditori rappresentanti almeno il sessanta percento dei crediti”, non contiene

indicazione alcuna su come debba essere calcolata detta maggioranza.

L'orientamento oramai unanime concorda nel ritenere che nella base di calcolo

debbano essere computati sia i crediti privilegiati sia quelli chirografari634, ma non vi

è un’interpretazione consolidata relativa ai crediti condizionali635. Qualcuno in

passato, valorizzando la tesi dell'assimilazione degli accordi di ristrutturazione al

concordato preventivo, aveva prospettato la possibilità di un'applicazione analogica

dell'art. 180636: secondo tale opinione si potrebbe ritenere che per il raggiungimento

della soglia limite del 60% debbano essere conteggiate anche tali pretese, al pari dei

crediti non ancora scaduti, dovendosi procedere ai necessari accantonamenti per

l'ipotesi in cui la condizione sospensiva si avveri.

Più semplice è l'ipotesi in cui i termini per l'adesione siano inutilmente decorsi

al momento del rilascio della certificazione: in tal caso, come si è visto nel capitolo

III, la condizione sospensiva cui è subordinata la pretesa contenuta nel verbale o

nell'invito può considerarsi non avverata, sicché l'ufficio dovrà necessariamente

emanare un successivo atto di accertamento per rendere definitivi gli importi

contestati in tali atti istruttori. Il credito scaturente da quell'avviso, ovviamente, andrà

634

Cfr. ex multis P. VALENSISE, Art. 182bis, cit., 2264, nonché E. FRASCAROLI SANTI, Gli

accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 128 e 129. In giurisprudenza cfr. Trib. Brescia, 22

febbraio 2006, cit., nonché Trib. Roma, 20 maggio 2010, decr., in www.ilcaso.it, I, 2238/2010.

Sempre il Tribunale di Roma, in un decreto del 16 ottobre 2006, cit., ha sostenuto che sarebbe

erroneo limitare il calcolo della maggioranza ai soli crediti muniti di titolo esecutivo.

635

Dubbioso sul punto è D. BENINCASA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis l.f.,

in Le procedure concorsuali, cit., 1400, nt. 12.

636

Cfr. A. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis legge fallimentare: una occasione

da non perdere, cit., 689 e ss., il quale solleva anche il dubbio relativo all'inclusione dei crediti

contestati nel montecrediti su cui calcolare la maggioranza del 60%.

335

trattato alla stregua di un credito estraneo sopravvenuto all'omologazione

dell'accordo, e conseguentemente dovrebbe essere soddisfatto per l'intero ed alle

ordinarie scadenze, salva la possibilità di impugnare l'atto impositivo. In ogni caso,

sembra opportuno che anche le pretese scaturenti dagli inviti o verbali su cui non sia

intervenuta l'adesione del contribuente siano ricomprese nella certificazione da

rilasciare a cura dell'ufficio, magari con l'avvertenza che l'adesione non si è

perfezionata: anche tali importi, infatti, dovrebbero essere tenuti in considerazione

dal professionista incaricato di valutare l'attuabilità dell'accordo di ristrutturazione,

considerato che il contribuente dovrebbe procedere agli accantonamenti necessari per

far fronte a queste future passività.

Salvo ritenere che proprio in tale evenienza l’ufficio potrebbe procedere, nei

trenta giorni successivi al deposito della proposta di transazione, all’immediata

emanazione e notifica di un avviso di accertamento, da ricomprendere nella

certificazione da rilasciare all’imprenditore: questi, allora, potrebbe impugnare

l’avviso nelle sedi giurisdizionali competenti (ed allora il relativo debito tributario

sarà trattato alla stregua di credito estraneo, dovendo essere soddisfatto per intero nel

caso di rigetto del ricorso), ovvero alternativamente modificare la propria proposta

per ricomprendervi anche tali pretese (le quali, nel caso di adesione dell’ufficio,

andrebbero considerate alla stregua di crediti aderenti, da soddisfare nella misura e

alle scadenze previste nell’accordo transattivo omologato).

Se, come si è visto, l'Amministrazione conserva inalterati i suoi ordinari poteri

accertativi, l'unica preclusione che discenderebbe dall'intervenuta conclusione di una

transazione fiscale ex comma 6 atterrebbe alle attività liquidatorie in senso stretto,

intendendosi come tali le procedure automatizzate di controllo delle dichiarazioni,

finalizzate ad appurare eventuali errori commessi in sede di compilazione, ovvero

sanzionare omissioni o ritardi nel pagamento delle imposte dichiarate: tali attività

dovranno essere espletate inderogabilmente nei trenta giorni dalla presentazione

della proposta. Ne deriva che, una volta decorso quel lasso temporale, si dovrebbe

ritenere definitivamente preclusa per l'Agenzia delle Entrate la possibilità di

notificare comunicazioni di irregolarità, ovvero procedere ad un ulteriori liquidazioni

delle dichiarazioni già presentate, con la conseguenza che il maggior debito di

336

imposta che eventualmente ne scaturirebbe dovrebbe restare definitivamente

insoddisfatto.

Pertanto, l'unica deroga alla normativa tributaria derivante dall'art. 182ter

riguarderebbe i soli artt. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972,

e tra l'altro sarebbe circoscritta soltanto ai termini contemplati da quelle disposizioni

per procedere alla liquidazione automatizzata delle dichiarazioni dei redditi e della

dichiarazione Iva637.

La logica del “consolidamento”, così inteso, sarebbe simile a quella che

sottende l'analogo effetto preclusivo che si verifica in seno alla procedura di

concordato preventivo: come in quel contesto l'intento è quello di evitare

sopravvenienze tardive, che potrebbero inficiare la fattibilità dell'intero piano

concordatario, limitando però la definitiva determinazione dell'esposizione debitoria

verso il Fisco alle sole pretese quantificabili in modo semplice ed in tempi

abbastanza rapidi, quali sarebbero appunto quelle emergenti dal controllo

automatizzato delle dichiarazioni fiscali, ovvero alle pretese che siano oggetto di atti

impositivi già emanati, da riepilogare nella certificazione di cui al comma 2, analoga

esigenza è ravvisabile nell'eventualità in cui l'imprenditore intenda proporre un

accordo di ristrutturazione dei debiti che coinvolga anche l'Erario. Anche in questa

sede, dunque, il consolidamento è finalizzato a cristallizzare la complessiva

posizione fiscale del proponente alla data di stipula dell'accordo con il Fisco,

comprensiva anche del maggior debito di imposta eventualmente derivante dalla

liquidazione delle dichiarazioni presentate sino a quella data, ad eccezione però delle

ulteriori pretese eventualmente scaturenti da più complessi ed articolati controlli

sostanziali, che potrebbero essere sempre condotti in un secondo momento.

La cristallizzazione delle pendenze tributarie, intesa entro questi limiti,

consentirà di valutare con più oculatezza l'attuabilità dell'accordo di ristrutturazione,

ossia la sufficienza delle risorse a disposizione per soddisfare tutti i creditori

(parzialmente o per l'intero, a seconda che costoro abbiano aderito o meno alla

637

Entrambe le disposizioni, infatti, prevedono che l'Amministrazione procederà alla liquidazione

delle dichiarazioni “entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno

successivo”. Il termine, comunque, è da intendersi come ordinatorio. Perentorio, viceversa, è il

termine previsto dall’art. 25, lettera a) del d.P.R. n. 602/1973 per la notifica della cartella di

pagamento con cui vengono contestate le somme scaturenti dal controllo automatizzato ex art.

36bis (31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione).

337

proposta del debitore). Anche in questo caso, dunque, l’intento è quello di mettere

costoro nelle condizioni di esprimere un “consenso informato”.

Quanto al versante schiettamente “concorsuale” dell'istituto, è doverosa una

precisazione, tra l'altro di intuitiva evidenza.

Trattando del consolidamento del debito fiscale in seno ad una procedura di

concordato preventivo si è argomentato che quell'effetto, connesso al rilascio delle

certificazioni ad opera dell’Agenzia e del concessionario, nonché alla notifica degli

esiti dell'attività liquidatoria, avrebbe valore meramente endo-procedimentale, nel

senso che consisterebbe esclusivamente nel determinare il credito erariale da

ammettere alla votazione in sede di adunanza, da un lato, e da soddisfare in misura

percentuale o dilazionata in sede di esecuzione del concordato, dall'altro. Ora, dal

momento per gli accordi di ristrutturazione dei debiti non è prevista una fase di

votazione, non avrebbe senso interpretare il consolidamento in funzione della

determinazione del voto spettante al creditore pubblico; pertanto, la cristallizzazione

atterrebbe alla sola fase esecutiva dell'accordo, nel senso che la certificazione

dovrebbe dare esclusivamente la misura dei crediti fiscali da soddisfare, sicché

eventuali pretese già contestate ma non incluse in quella certificazione non

potrebbero più essere soddisfatte, né come crediti aderenti né tantomeno come crediti

estranei. Va ribadito che resta comunque salvo il debito d'imposta emergente da

avvisi di accertamento, o altri atti impositivi in senso stretto, notificati

successivamente all'omologazione dell'accordo.

Tale soluzione suona come sanzione implicita per il non corretto espletamento

delle incombenze che la normativa concorsuale pone a carico dell’Amministrazione,

e che la formulazione letterale dell’art. 182ter sembrerebbe considerare come

adempimenti doverosi: l’ufficio, dunque, dovrebbe aver cura a non lasciarsi

“sfuggire” nulla.

E ciò dovrebbe valere anche nell'ipotesi in cui il Fisco abbia manifestato il

proprio dissenso sulla proposta di accordo transattivo: in tal caso infatti, fermo

restando l'obbligo di pagamento integrale delle pretese erariali, detto pagamento

dovrebbe comunque essere limitato ai soli importi certificati e/o liquidati. Il che, lo si

ribadisce, è funzionale a garantire una corretta valutazione in merito all’attuabilità

338

del complessivo accordo di ristrutturazione, da parte sia del professionista attentatore

sia degli altri creditori: è evidente, infatti, che il giudizio di merito di tali soggetti

potrebbe risultare significativamente alterato per effetto della successiva emersione

di crediti tributari già liquidi, ma dagli stessi non conosciuti perché non ricompresi

nella certificazione dell’Agenzia o del concessionario.

Resta salva, per l’ufficio, la possibilità di opporsi all'omologazione

dell'accordo: al riguardo, la lettera dell'art. 182bis non chiarisce se lo strumento

dell'opposizione sia a disposizione dei solo creditori non aderenti, oppure possa

essere proposta da tutti i creditori. La dottrina maggioritaria propende per la prima

soluzione interpretativa, precisando che gli aderenti potranno impugnare l'accordo

solo avvalendosi degli ordinari rimedi previsti dalla normativa codicistica per

l'impugnazione dei contratti638.

Quanto ai creditori estranei, la medesima dottrina precisa che l'opposizione

sarà ammissibile solo qualora il creditore vanti un interesse ad agire concreto ed

attuale, ex art. 100 c.p.c., ad esempio lamentando che l'accordo non sia suscettibile di

assicurare l'integrale pagamento delle proprie ragioni di credito, contrariamente a

quanto attestato dal professionista (ad esempio, perché gli stanziamenti all'uopo

previsti non sono sufficienti, o le risorse complessivamente a disposizione troppo

scarse); ancora, con l'opposizione sarà possibile contestare anche che l'accordo non

abbia ottenuto l'assenso della maggioranza qualificata639.

Ne deriva che l'Erario, purché abbia rigettato con il proprio diniego la proposta

di transazione fiscale, potrebbe contestare con l'opposizione all'omologazione del

complessivo accordo di ristrutturazione vizi sia di legittimità che di merito.

638

Dunque anche azione di nullità ex art. 1218 c.c. o annullamento per errore, dolo o violenza: cfr. G.

SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali (ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i

piani di risanamento delle esposizioni debitorie), cit., 543. Sulla possibilità per il creditore

aderente di proporre un’azione di risoluzione cfr. Trib. Terni, 4 luglio 2011, decr., in

www.ilcaso.it, I, 6730/2011, che esclude l’ammissibilità di interventi dell’autorità giudiziale

durante la fase esecutiva dell’accordo già omologato, a meno che non vi sia un’apposita iniziativa

del creditore che rilevi l’inadempimento e agisca per la risoluzione dell’accordo.

639

Cfr. G. SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali (ovvero gli accordi di ristrutturazione dei

debiti e i piani di risanamento delle esposizioni debitorie), cit., 543.

339

1.3. Il mancato rilascio della certificazione.

Ci si potrebbe interrogare, poi, su quale sia la sorte del credito erariale

nell'ipotesi in cui il termine di trenta giorni prescritto dal comma 6 per l'espletamento

delle incombenze ivi previste (liquidazione e certificazione) sia decorso inutilmente,

ed il debitore abbia provveduto comunque alla stipula e al successivo deposito di un

accordo di ristrutturazione con la restante parte del ceto creditorio, ottenendone

anche l'omologa.

La tematica in esame, com'è evidente, si intreccia con la problematica della

natura perentoria o meramente ordinatoria del menzionato termine, posto che dalla

qualificazione nell'uno o nell'altro senso potrebbero discendere conseguenze diverse.

In particolare, si potrebbe ritenere che se quel termine è da considerarsi

perentorio, allora il suo mancato rispetto comporterebbe il consolidamento degli

importi unilateralmente quantificati dal proponente. Senonché, una certa dottrina,

muovendo dalla mancanza di un'indicazione normativa espressa di perentorietà del

lasso temporale accordato dal comma 6, e data l'eccessiva brevità ed incongruenza

del medesimo, se rapportato ai tempi tecnici propri degli uffici, esclude tale

soluzione, in quanto in mancanza dell'assenso dell'Amministrazione nessun accordo

potrebbe dirsi raggiunto, ed in concreto il consolidamento degli importi

unilateralmente indicati nella proposta dell'imprenditore non sarebbe in grado di

dispiegare alcun effetto, posto che l'intero accordo è destinato a venir meno, salvo

un'apposita clausola di salvataggio640.

Una tale soluzione interpretativa, tuttavia, sembra francamente eccessiva, nella

misura in cui di fatto assoggetta il progetto di ristrutturazione alla volontà del Fisco:

in altre parole, reputare che, con il dissenso di questo, venga meno l'”intero accordo”

(intendendosi come tale il complessivo piano di ristrutturazione del passivo, tale da

coinvolgere la totalità dei debiti d’impresa), equivarrebbe a riconoscere al creditore

pubblico quel potere di veto che unanime dottrina e giurisprudenza escludono

decisamente nell'ipotesi di una transazione proposta in sede di concordato

preventivo, svilendo l’intento di fondo che anima l’attuale disciplina, consistente nel

valorizzare il ricorso a soluzioni concordate della crisi.

640

Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1455.

340

Pertanto, l'interpretazione più conforme alla ratio dell’istituto sembra essere

quella che àncora il consolidamento agli importi indicati dal proponente: in

particolare, il quantum da corrispondere all'Erario sarà quello di cui all'elenco

nominativo dei creditori di cui all'art. 161, lettera b), che l'art. 182ter, comma 6

prescrive venga allegato alla proposta unitamente agli altri documenti ivi previsti, e

che l'esperto dovrà considerare al fine di valutare l'attuabilità dell'intero accordo di

ristrutturazione.

Ne deriva che il mancato rilascio della certificazione, così come l'ipotesi, già

vista, di una certificazione “difettosa al ribasso”, pur non essendo espressamente

punito dal legislatore, verrebbe implicitamente sanzionato proprio con la

cristallizzazione degli importi quantificati unilateralmente dall'imprenditore.

Né si potrebbe ritenere che l'Erario, dopo essere rimasto inerte, possa opporsi

all'omologazione di un accordo nella misura in cui esso non consideri alcuni dei

propri crediti, facendoli valere per la prima volta solo in sede di opposizione: tale

soluzione, se da un lato potrebbe evitare atteggiamenti fraudolenti da parte del

debitore, altrimenti incentivato a comprimere il quantum indicato nella proposta

sperando nella mancata attivazione dell'ufficio, tuttavia potrebbe alimentare,

dall'altro lato, atteggiamenti colposamente inerti ed omissivi da parte del creditore

pubblico, contrari al dovere di buona fede che deve improntare i rapporti fra le parti

del rapporto tributario. Inoltre, una siffatta lettura sembrerebbe non tener conto

proprio dell'effetto di consolidamento del debito fiscale che conseguirebbe anche alla

transazione fiscale conclusa in sede di accordi di ristrutturazione.

Del resto, l'esigenza di tutelare l'Erario contro possibili omissioni fraudolente

commesse dal debitore ha indotto il legislatore a prevedere un apposito strumento:

infatti, con il recente d.l. n. 78/2010 è stato introdotto l'obbligo di allegare alla

domanda di transazione ex comma 6 una dichiarazione sostitutiva, con la quale il

proponente attesta che la documentazione da lui prodotta rappresenta fedelmente ed

integralmente la situazione dell'impresa641. L'infedeltà di quella documentazione,

oltre a rendere probabile, se non doverosa, la mancata omologazione dell’accordo di

641

Si è già visto che con l'introduzione di tale obbligo il legislatore ha inteso ovviare all'assenza della

figura del commissario giudiziale: cfr. capitolo II, par. 10.

341

ristrutturazione, comporterà anche l'applicazione delle sanzioni penali di cui al

novellato art. 11 del d. lgs. n. 74/2000, che dovrebbero rappresentare un efficace

deterrente nei confronti di condotte dolosamente omissive.

Ancora, altri possibili strumenti di tutela delle ragioni creditorie dell'Erario

potrebbero essere individuati nella normativa dettata dall’art. 182bis, ed in

particolare nel ruolo dell'esperto attestatore e nei poteri spettanti al Tribunale in sede

di omologa dell'accordo di ristrutturazione dei debiti.

Quanto alla figura del professionista incaricato di attestare l'attuabilità

dell'accordo, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare

pagamento dei creditori estranei, sembra condivisibile quell'orientamento dottrinale e

giurisprudenziale che, superando il mero dato testuale642, reputa indispensabile che

l'esperto sia in possesso dei requisiti di indipendenza ed imparzialità di cui all'ultimo

comma dell'art. 28643. Ancora, un'attenta e sensibile dottrina, seppur non richiamando

espressamente la disposizione da ultimo citata, sottolinea il ruolo cruciale che il

professionista è chiamato a svolgere nell'ambito delle varie soluzioni negoziali della

crisi d'impresa: la delicatezza dei compiti ad esso devoluti postula una sua più

elevata qualificazione professionale, ed una necessaria posizione di indipendenza

642

L'art. 182bis, comma 1, stabilisce che il professionista deve essere in possesso dei requisiti di cui

all'art. 67, terzo comma, lettera d), il quale a sua volta opera un rinvio all'art 28 (Requisiti per la

nomina a curatore), limitatamente alle lettere a) e b) di detta disposizione, e non anche all'ultimo

comma, il quale, nel disporre che “Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli

affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto

dell'impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi

in conflitto di interessi con il fallimento”, sancisce il principio di indipendenza del curatore.

643

Cfr. S. AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il nuovo diritto fallimentare,

diretto da A. JORIO e M. FABIANI, cit., 1145, e P. CELENTANO, I requisiti del professionista

che attesta i piani concordatari, in Fall., 2010, 828 e ss. In giurisprudenza cfr. Trib. Torino, 20

maggio 2009, citata da quest’ultimo autore, che sottolinea la centralità del ruolo dell'esperto, sia

pure con riferimento al professionista incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la

fattibilità del piano di concordato ex art. 161: il collegio propone un'interpretazione sistematica

dell'art. 161, così come novellato a seguito del d. lgs. n. 5/2006, nella parte in cui opera un rinvio

all'art. 67, lettera d), il quale , a sua volta, rinvia alle sole ipotesi di cui alle lettere a) e b) dell'art.

28. A giudizio del Tribunale “le situazioni di incompatibilità ad assumere la carica di curatore

devono operare anche per il professionista chiamato a svolgere la relazione di cui all'art. 161,

trattandosi di condizioni essenziali e funzionali a garantire il necessario livello di indipendenza e

serenità di giudizio del professionista”. Contra però cfr. Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706, in banca

dati Il Foro italiano online, che propende per un'interpretazione testuale dell'art. 161, stabilendo

che la relazione può essere redatta anche da un professionista che abbia già prestato la sua attività

professionale in favore del debitore. La medesima massima è sancita da Cass., 29 ottobre 2009, n.

22927, in Fall., 2010, 822 e ss.

342

rispetto all'imprenditore644.

In ogni caso, anche a voler negare l'applicabilità dell'art. 28, ultimo comma, la

responsabilità civile dell'esperto attestatore, passibile di un'azione risarcitoria per le

conseguenze pregiudizievoli derivanti da sue dichiarazioni inveritiere, non corrette o

comunque inficiate da conflitti di interesse, dovrebbe costituire un efficace incentivo

per attestazioni realistiche ed indipendenti645. Senza contare anche i profili di

responsabilità penale del medesimo.

Tali considerazioni, “calate” nel contesto della transazione fiscale, comportano

che fra i compiti dell'esperto vi sia anche quello di valutare che la proposta abbia

tenuto in considerazione la reale misura dell'esposizione debitoria verso l'Erario, o

almeno quella rinvenibile sulla scorta delle scritture contabili dell'imprenditore646, e

che le risorse offerte siano adeguate ad un pagamento integrale dei crediti erariali

rinvenuti anche senza la certificazione dell'ufficio.

Quanto al ruolo del Tribunale, va premesso che in sede di accordi di

ristrutturazione il ruolo del giudice risulta fortemente ridimensionato rispetto a

quello che esso riveste nell'ambito del concordato preventivo: se questa procedura,

644

Cfr. A. PATTI, Quale professionista per le nuove soluzioni delle crisi di impresa: alternative al

fallimento, in Fall., 2008, 1070 e 1073.

645

Sulla responsabilità civile dell'esperto attestatore cfr. BREGOLI, La responsabilità civile del

professionista attestatore e del professionista stimatore, in S. BONFATTI, Le procedure di

composizione negoziale delle crisi d'impresa, Map Servizi, Torino, 2008, 124 e ss. La dottrina

maggioritaria ritiene che quella dell'esperto sia una responsabilità professionale di tipo

contrattuale, essendo lo stesso chiamato a rispondere del danno cagionato con dolo o colpa grave:

cfr. P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 919; PATTI, Quale

professionista per le nuove soluzioni delle crisi di impresa: alternative al fallimento, cit., 1073; S.

FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi

d'impresa, in Fall., 2009, 894.

646

Del resto, la dottrina maggioritaria concorda nel ritenere che l'esperto, nella sua relazione, debba

anche attestare la veridicità dei dati aziendali, che costituirebbe il presupposto logico per il

giudizio sull'attuabilità dell'accordo: cfr. C. PROTO, Accordi di ristrutturazione dei debiti, tutela

dei soggetti coinvolti nelle crisi d'impresa e ruolo del giudice, in Fall., 2007, 191; G. PRESTI, Gli

accordi di ristrutturazione dei debiti, in S. AMBROSINI (a cura di), La riforma della legge

fallimentare, Zanichelli, Bologna, 2006, 398; P. VALENSISE, Gli accordi di ristrutturazione dei

debiti, in La riforma della legge fallimentare, cit., 1091. Negli stessi termini si è espresso anche il

Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, in un documento del 19

febbraio 2009 dal titolo “Osservazioni sul contenuto delle relazioni del professionista nella

composizione negoziale della crisi di impresa”, in Fall., 2009, 749 e ss. L'obbligo dell'esperto di

attestare la veridicità dei dati aziendali è stato sostenuto anche in giurisprudenza: cfr. ex multis

Trib. Udine, 22 giugno 2007, decr., in Fall., 2008, 701 e ss, nonché Trib. Milano, 10 novembre

2009, decr., in Fall., 2010, 195 e ss..

343

infatti, si connota per un marcato intervento, sin dall'inizio, dell'autorità giudiziaria,

nella duplice veste del giudice delegato e del Tribunale, cui si aggiunge la figura,

fortemente garantista, del commissario giudiziale, in un accordo di ristrutturazione

ex art. 182bis l'intervento dell'autorità giudiziaria è destinato ad operare soltanto ex

post, al momento dell'omologazione di un accordo già approvato dalla maggioranza

qualificata di creditori, e già pubblicato nel Registro delle imprese.

Secondo l’unanime orientamento interpretativo il Tribunale, in assenza di

opposizioni, non potrebbe esercitare alcun controllo di merito sull'accordo, che si

spinga a valutarne la convenienza. Non va trascurato, tuttavia, che una parte rilevante

delle pronunce che si sono occupate dell'istituto è restia a circoscrive i poteri del

Tribunale ad una funzione meramente certificativa o “notarile”, da circoscrivere ad

una pura e semplice verifica del rispetto dei requisiti legislativamente previsti per

l'omologa: al Collegio, infatti, spetterebbe un controllo di “legittimità sostanziale”,

teso ad accertare che la relazione del professionista attestatore abbia la completezza,

la chiarezza espositiva e la coerenza logico-argomentativa necessarie a fornire ai

creditori e ai terzi interessati tutti gli elementi utili per valutare l'attuabilità

dell'accordo, verificando che le analisi e le valutazioni svolte dall'esperto siano

accurate, logiche ed esaustive647.

Nello stesso senso si è espressa anche la migliore dottrina648, dopo alcune

iniziali prese di posizione propense a circoscrivere l'ambito del controllo giudiziale

ad una semplice verifica del raggiungimento della maggioranza qualificata e

dell'esistenza della relazione del professionista, corredata dai documenti di cui all'art.

161649. Del resto, già i primi commenti all'istituto di cui all'art. 182bis sostennero che

647

Cfr. Trib. Piacenza, 2 marzo 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 4804/2011. La massima è consolidata

soprattutto nella giurisprudenza del Tribunale di Roma: cfr. decreto del 4 novembre 2011, in

www.ilcaso.it, I, 6712/2011, nonché decreto 20 maggio 2010, cit. Anche la giurisprudenza

meneghina è orientata nello stesso senso: cfr. Trib. Milano, 25 marzo 2010, decr., in www.ilcaso.it,

I, 2143/2010, nonché 15 ottobre 2009, decr., in www.ilcaso.it, I, 1979/2010.

648

Cfr. ex multis S. AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione nella più recente giurisprudenza

romana e milanese, in www.ilcaso.it, II, 180/2009, 4; P. VALENSISE, Art. 182bis, cit., 1102.

649

Cfr. S. AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella nuova legge fallimentare:

prime riflessioni, in Fall., 2005, 949, G. FAUCEGLIA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti

nella legge n. 80/2005, in Fall., 2005, 1451; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti,

in Fall., 2006, 138.

344

il controllo esercitato dal Tribunale in sede di omologa dovesse avere comunque lo

stesso oggetto, posto che la delicata valutazione circa l'attuabilità dell'accordo non

avrebbe potuto essere lasciata al caso, ossia alla circostanza (del tutto eventuale) che

fosse proposta l'opposizione da parte dei soggetti interessati, il cui termine di

esercizio decorre, fra l'altro, da un evento (la pubblicazione nel Registro delle

imprese) la cui conoscenza non è affatto agevole per chi non abbia le competenze e

le risorse necessarie per tenere costantemente sotto controllo il Registro: il Tribunale,

dunque, dovrebbe sempre valutare l'attuabilità dell'accordo, sia in presenza che in

assenza di opposizioni, con particolare riguardo alla sua idoneità ad assicurare il

regolare pagamento dei creditori estranei, se del caso anche ricorrendo ad

un’apposita consulenza tecnica650.

Ne deriva che l'autorità giudiziaria, nell'ambito della propria valutazione sulla

coerenza logica e sull'esaustività della relazione dell'esperto attestatore, dovrà

accertare, tra l'altro, se quella relazione consenta di ritenere fondatamente e

ragionevolmente attuabile l'accordo anche con riferimento ai crediti, ivi compresi

quelli erariali, rimasti ad esso estranei: in altri termini, il giudice sarà tenuto ad

appurare se, effettivamente, le risorse stanziate per l'integrale soddisfacimento anche

di quelle pretese siano sufficienti651.

1.4. La cessazione della materia del contendere nelle liti pendenti.

Si è visto che la dottrina assolutamente prevalente concorda nell'estendere alla

transazione perfezionata nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti anche

l'ulteriore effetto processuale estintivo di cui al comma 5 dell'art. 182ter. E si è anche

visto, del resto, che gli uffici sono soliti inserire negli atti di transazione apposite

clausole che prevedano espressamente la cessazione della materia del contendere

nelle liti in corso.

Sul punto valgono le considerazioni già formulate nel capitolo IV a proposito

650

Cfr. G. PRESTI, L'art. 182bis al primo vaglio giurisprudenziale, cit., 175; ID., Gli accordi di

ristrutturazione dei debiti,.cit., 400.

651

In tal senso si è espressa di recente anche la Corte d'Appello di Milano: in un decreto del 21 giugno

2011, in www.ilcaso.it, I, 6197, il Collegio ha respinto l'omologazione di un accordo di

ristrutturazione per la sua eccessiva genericità e per l'inadeguatezza della relazione del

professionista, non reputandola circondata da alcuna garanzia.

345

dell'effetto processuale de quo nell'ambito di una procedura di concordato

preventivo.

In particolare, si ritiene che anche in caso di accordo ex art. 182bis l'estinzione

non debba riguardare indefettibilmente tutti i contenziosi tributari pendenti, ma solo

quelli ricompresi nella proposta di transazione, in relazione ai quali il debitore

ottiene, come contropartita dell'accettazione della pretesa contenuta nell'atto

impositivo originariamente impugnato, l'assenso da parte dell’ufficio su un

pagamento parziale e/o dilazionato della medesima: ciò, come qualcuno ha posto in

luce, sembrerebbe maggiormente conforme alla logica propria del contratto di

transazione, cui è coessenziale il requisito delle reciproche concessioni652. Viceversa,

non si estingueranno le liti alla cui prosecuzione il debitore sia interessato, in quanto

aventi ad oggetto pretese eccessivamente gravose o manifestamente infondate653.

Pertanto, ogniqualvolta la transazione sia proposta in pendenza di controversie

tributarie si imporrebbe al proponente la valutazione tra due diverse opzioni:

sostenere nell'immediato un costo, che potrebbe risultare anche ingente, ma

comunque certo e definitivo (pari all'ammontare della pretesa impositiva

originariamente contestata che il proponente si obbliga a soddisfare, sia pure in

misura percentuale e/o dilazionata), oppure non sostenere nessun onere, con il rischio

però di vedersi dichiarato soccombente all'esito del contenzioso tributario ed essere

così costretto a corrispondere l'intera pretesa impositiva, da qualificarsi come credito

estraneo all’accordo ex art. 182bis, con l'ulteriore addebito delle spese di lite.

Ovviamente un'analoga ponderazione di costi e benefici si impone anche per

l'ufficio: l'Amministrazione finanziaria, infatti, all'atto di valutare una proposta di

transazione comprendente crediti d'imposta sub iudice, sarà chiamata ad optare fra

una soluzione (assenso alla domanda di transazione) che nell'immediato appare

onerosa ma comunque certa, perché implicante un pagamento ridotto ma pur sempre

sicuro delle proprie pretese, ed una soluzione (rigetto della proposta) che

conserverebbe il credito nella sua integrità, ma risulta essere assai meno certa, in

quanto il proprio rifiuto implica la prosecuzione del contenzioso in atto, il quale

652

Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1211.

653

Cfr. sopratutto V. FICARI, Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” del debiti

tributari, cit., 77.

346

potrebbe sfociare nell'annullamento, parziale o integrale, della pretesa contestata.

Non possono essere disconosciute le difficoltà che una simile valutazione

implica per l'Erario: l’ufficio sarebbe costretto ad effettuare, volta per volta, un

giudizio prognostico, in termini probabilistici, sulle prospettive di buon esito del

contenzioso pendente, dovendo considerare svariati elementi che incidono sulla

“tenuta” della pretesa erariale (quali, a titolo esemplificativo, l'eventuale intervenuta

decadenza dal potere impositivo, che si verifica allorquando l'atto sia stato notificato

dopo la scadenza del termine all’uopo imposto dal legislatore tributario, la

completezza ed esaustività della motivazione, l'assenza di vizi formali, ecc.). Trattasi

di un giudizio certamente non agevole, soprattutto se deve essere necessariamente

contenuto entro il termine ridotto di cui al comma 6 del’art. 182ter, e che potrebbe

essere reso ancora più difficoltoso dall'assenza di una giurisprudenza consolidata sui

profili contestati dinanzi al giudice tributario.

Tali criticità riflettono, sullo specifico terreno dei crediti fiscali, la più generica

difficoltà che qualsiasi creditore incontra nel misurare la convenienza di un accordo

di ristrutturazione, giudizio questo che implica necessariamente valutazioni di tipo

economico654.

Sotto questo profilo risultano evidenti le differenze che intercorrono fra

concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione dei debiti. Nel primo caso la

pretesa impositiva contestata sarebbe comunque oggetto di falcidia, tanto nell'ipotesi

in cui la controversia si estingua immediatamente, per effetto della sola

omologazione del concordato (eventualmente anche all’esito di un giudizio di cram

down, volto a superare il dissenso dell’ufficio), tanto nel caso in cui il giudizio

prosegua e si concluda con il rigetto del ricorso del contribuente: in ciascuna delle

due ipotesi, infatti, l'obbligatorietà del concordato omologato per tutti i crediti

anteriori alla proposta non tollererebbe eccezioni. Pertanto, l'Amministrazione

avrebbe tutto l'interesse all'immediata estinzione del giudizio, onde evitare

l'eventualità che lo stesso si concluda con l'accoglimento delle ragioni della

controparte ed il conseguente annullamento dell'atto impositivo, cui si aggiungerebbe

anche l'addebito delle spese processuali; ne deriva che la valutazione in merito

654

Sul punto cfr. G. SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali (ovvero gli accordi di

ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle esposizioni debitorie), cit., 538.

347

all'accoglimento o meno dell'istanza di transazione, contenente anche la pretesa

fiscale in contestazione, sarà più agevole.

Nel caso di transazione inserita in un accordo di ristrutturazione dei debiti,

invece, il rigetto della proposta implica che l'Erario dovrà essere trattato alla stregua

di un creditore estraneo, con il conseguente obbligo di regolare pagamento di tutte le

pretese impositive vantate dallo stesso, ivi comprese quelle sub iudice: sicché,

nell'ipotesi in cui il giudizio si concluda con il rigetto del ricorso, tali pretese

dovranno essere soddisfatte per intero, laddove l'accoglimento dell'istanza di

transazione, con la conseguente immediata estinzione del processo pendente, implica

l'accettazione di un loro pagamento parziale e/o dilazionato. Non è detto, dunque,

che l'Amministrazione sia sempre e comunque avvantaggiata dall'accoglimento della

proposta del debitore e dalla conseguente cessazione del contenzioso in atto, potendo

risultare preferibile la prosecuzione della lite nella speranza che essa si concluda

favorevolmente per l'Erario, con la conseguente soddisfazione integrale, e non

falcidiata, delle proprie ragioni di credito. Ne deriva, come già detto, l'esigenza di

procedere ad un giudizio prognostico di certo non agevole per l'ufficio, dovendo il

medesimo tener conto delle molteplici variabili che potrebbero influenzare l'esito

della controversia.

In conclusione, si dovrebbe ritenere che l'effetto processuale estintivo attenga

ai soli giudizi attualmente pendenti aventi ad oggetto i tributi e le annualità d'imposta

espressamente ricompresi nell'accordo transattivo siglato con l'ufficio, salvo

l’inserimento di apposita clausola che preveda la generica estinzione di ogni

contenzioso pendente. Giova precisare che la cessazione della materia del

contendere, al pari di quanto previsto dal comma 5 in materia di concordato

preventivo, consegue solo all'omologazione dell'intero accordo di ristrutturazione,

non essendo altrimenti sufficienti né l'assenso dell'ufficio, né la pubblicazione

dell'atto di transazione nel Registro delle imprese.

1.5. La mancata omologazione dell'accordo di ristrutturazione

contenente una transazione fiscale.

La precisazione che chiude il paragrafo precedente introduce un'altra rilevante

348

problematica, relativa alla sorte della transazione fiscale nell'ipotesi di mancata

omologazione dell'accordo di ristrutturazione che la contiene. Considerato che la

lettera del comma 6 sembrerebbe collegare il perfezionamento della transazione

all'assenso espresso dai responsabili degli uffici coinvolti, equivalente alla

sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, e non alla successiva

omologazione di quest'ultimo ad opera del Tribunale, occorre chiedersi se tale

disposizione vada interpretata in senso letterale, oppure se ai fini dell'efficacia

dell'accordo transattivo sia comunque indispensabile l'omologa.

Ovviamente, a seconda della soluzione che si intende dare al quesito,

varierebbe la sorte del debito d'imposta oggetto della proposta di transazione, dal

momento che, accogliendo la seconda interpretazione, la mancata omologazione ad

opera del Tribunale comporterebbe la reviviscenza, o meglio la sopravvivenza,

dell'originaria obbligazione tributaria nella sua interezza, laddove secondo la prima

lettura interpretativa l'assenso dell'Amministrazione renderebbe definitive le

percentuali indicate nell'accordo transattivo, alla luce di una supposta efficacia

novativa, dunque estintiva, dell'accordo medesimo. Occorre considerare, infatti, che

l'assenso del Fisco viene espresso sempre prima del deposito dell'accordo di

ristrutturazione nel Registro delle imprese e presso la cancelleria del Tribunale

competente per l'omologa655.

Parte della dottrina, muovendo proprio dalla formulazione testuale del comma

6, propende per l'efficacia della transazione fiscale anche in caso di mancata

omologa dell'accordo di ristrutturazione, salvo ammettere la possibilità di inserire

nell'atto di transazione una clausola risolutiva espressa che ne subordini l’efficacia

all'intervenuta omologazione656. Qualcuno, ancora, reputa che la mera pubblicazione

655

Sul punto cfr. Trib. Milano, 25 marzo 2010, cit., che appunto afferma che al momento della

pubblicazione l'Erario deve avere già formulato il proprio assenso sulla proposta di transazione.

Nello stesso senso cfr. anche G. LO CASCIO, Ulteriori aggiustamenti normativi

all'amministrazione straordinaria e al concordato preventivo, in Fall., 2009, 261.

656

Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, in Trattato di

diritto delle procedure concorsuali, cit., 586: secondo l’A. l'inserimento di siffatte clausole,

finalizzate a paralizzare gli effetti di un accordo transattivo non omologato, sarebbe doveroso. Tale

opinione è stata confermata anche successivamente: cfr. La transazione fiscale nel concordato

preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato delle procedure concorsuali,

cit., 748, in cui egli sostiene che l'apposizione di una clausola risolutiva di tale tenore risulterà

tanto più necessaria in presenza di crediti erariali derivanti da iscrizioni a ruolo divenute definitive.

349

dell'accordo transattivo nel Registro delle imprese sia condizione sufficiente di

efficacia del medesimo, sulla scorta del disposto di cui all'art. 182bis, comma 2,

applicabile anche alla transazione fiscale in assenza di contraria disposizione di

legge: sicché l'omologazione sarebbe richiesta solo ai fini dell'esenzione da

revocatoria ex art. 67, comma 3, lettera e)657.

Altri, all'opposto, ritengono che, nonostante la transazione vanti una sua

autonomia rispetto al più generale accordo di ristrutturazione dei debiti, essa sia pur

sempre funzionale al raggiungimento di un obiettivo più generale, rappresentato

della sistemazione della complessiva esposizione debitoria dell'impresa: pertanto

l'accordo ex art. 182bis fungerebbe da condicio iuris di efficacia della transazione

fiscale, con la conseguenza che la mancata omologazione del primo determinerebbe

la caducazione della seconda, salvo diversa pattuizione fra le parti658.

L'atteggiamento generalmente adottato dagli uffici finanziari è piuttosto cauto:

nel silenzio della circolare n. 40/E, e persistendo tali incertezze interpretative, la gran

parte degli atti di transazione contengono clausole risolutive ad hoc, con le quali

l'Agenzia delle Entrate si premura contro il rischio di una mancata omologa

dell'accordo di ristrutturazione, prevedendo l'inefficacia della transazione in una

siffatta eventualità (come anche nell'ipotesi in cui l'atto di transazione non sia

depositato nel Registro delle imprese o in Tribunale).

Il problema è più generale, poiché si pone anche con riferimento alla sorte delle

pretese di ogni altro creditore aderente ad un accordo di ristrutturazione non

omologato. L'orientamento interpretativo che sembrerebbe essere oggi prevalente

subordina l'efficacia dell'accordo alla sua omologazione, posto che in assenza della

medesima mancherebbero i presupposti per operare una ristrutturazione dei debiti

d'impresa659: pertanto, a decorrere dal decreto giudiziale che respinge l'istanza di

Nello stesso senso cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 741.

657

Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 108.

658

Cfr. M. FABIANI, Diritto fallimentare, Zanichelli, Torino, 2011, 711 e 712.

659

Cfr. ex multis G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 402, che attribuisce

all'omologazione efficacia retroattiva, nonché G. SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali

(ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle esposizioni

debitorie), cit., 542.

350

omologazione verrebbero meno gli effetti prodotti medio tempore (sospensione delle

azioni esecutive e cautelari già instaurate, e divieto di acquistare titoli di prelazione

validi), né si produrrebbero quelli attesi (divieto di revocatoria fallimentare per gli

atti esecutivi ed ora anche per i finanziamenti funzionali alla predisposizione ed

attuazione di un accordo di ristrutturazione).

Non mancano tuttavia letture diverse. Qualcuno infatti propende per la piena

efficacia inter partes dell’accordo sin dalla sua stipulazione, conservando il

medesimo una sua autonomia660. Ancora, in assenza di una clausola risolutiva

espressa, che subordini la perdurante efficacia dell'accordo pubblicato

all'omologazione ad opera del Tribunale, una certa dottrina ha proposto di fondare la

soluzione del problema sull'interpretazione della volontà delle parti contraenti:

sicché gli effetti già prodotti decadranno ex tunc solo nell'ipotesi in cui la

complessiva architettura dell'accordo di ristrutturazione consenta di ritenere che

l'intento effettivo dei contraenti era di vincolarne le statuizioni all'esito favorevole

del giudizio di omologazione661.

1.6. L’inadempimento dell'accordo transattivo e la tutela del creditore

pubblico.

Con le recenti modifiche introdotte dal d. l. n. 78/2010 il legislatore ha inteso

colmare una grave lacuna lasciata aperta dall'originaria formulazione dell'art. 182ter,

e che residua tuttora per la generalità degli accordi di ristrutturazione dei debiti non

contenenti una transazione fiscale: trattasi della disciplina delle conseguenze

dell'inadempimento del debitore.

La soluzione appositamente individuata per i soli accordi transattivi omologati

è la revoca, che ha luogo nel caso di mancata esecuzione dei pagamenti previsti entro

90 giorni dalle scadenze pattuite. Si è già accennato, nel capitolo II, alle perplessità

suscitate dal linguaggio impiegato dal legislatore, posto che lo strumento della

660

Cfr. M. FABIANI, “Competizione” fra processo per fallimento e accordi di ristrutturazione e

altre questioni processuali, in Fall., 2010, 213, nonché E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di

ristrutturazione dei debiti, cit., 121, secondo la quale la mancanza dell'omologazione riporterebbe i

contraenti alle regole di diritto privato.

661

Cfr. U. APICE - S. MANICHETTI, Diritto fallimentare, Giappichelli, Torino, 2008, 388.

351

“revoca”, se inteso nel senso proprio del termine, implicherebbe una caducazione

automatica dell'accordo transattivo, che potrebbe risultare eccessiva nell'ipotesi in

cui l'inadempimento abbia scarsa importanza; senza considerare che in diritto privato

la revoca non è contemplata per gli atti negoziali già perfezionati.

In realtà, sembrerebbe più corretto intendere tale rimedio in termini di vera e

propria risoluzione dell'atto di transazione, cui andrebbero applicate le disposizioni

dettate dal codice civile agli artt. 1453 e ss.

Questa, del resto, è la soluzione ampiamente accolta dalla dottrina

maggioritaria in materia di accordi di ristrutturazione tout court: a colmare il vuoto

normativo di cui si è detto soccorrerebbero le disposizioni codicistiche che

disciplinano l'azione di risoluzione per inadempimento contrattuale, stante anche la

natura marcatamente negoziale dell'istituto di cui all'art. 182bis, la cui assodata

autonomia rispetto alla procedura di concordato preventivo escluderebbe che possa

trovare applicazione in via analogica il disposto di cui all'art. 186662.

L'inadempimento che legittimerebbe la risoluzione di un accordo di ristrutturazione

dei debiti, pertanto, sarebbe soltanto quello non avente scarsa importanza ai sensi

dell'art. 1455 c.c., e secondo una certa dottrina dovrebbe essere connotato anche da

colpa in capo al debitore663.

Tale lettura, nonostante sia stata contestata da coloro che propendono per il

carattere giudiziale dell'istituto di cui all'art. 182bis, che precluderebbe l'esercizio

delle azioni contrattuali664, è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza di merito,

che ha ammesso la risoluzione dell'accordo omologato nel caso di inadempimento

delle obbligazioni assunte dall'imprenditore, ritenendo pienamente applicabile la

disciplina codicicistica665.

662

Cfr. S. AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il nuovo diritto fallimentare,

diretto da A. JORIO e M. FABIANI, cit., 1167.

663

Sostengono l'irrilevanza dell'inadempimento incolpevole S. AMBROSINI, Il problema della

fattibilità del piano nel concordato preventivo, in ID., Le nuove procedure concorsuali, cit., 534, e

M. VITIELLO, L'esecuzione del concordato, in S. AMBROSINI - P. DEMARCHI - M.

VITIELLO, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, cit., 243.

664

Cfr. E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 173: l'A. ritiene che i

rimedi di natura contrattuale riguarderebbero i soli accordi stragiudiziali non omologati.

665

Cfr. Trib. Milano, 18 luglio 2009, decr., in Dir. fall., 2011, II, 158.

352

Dello stesso avviso è anche l'Amministrazione finanziaria, che già con

riferimento all'abrogata transazione esattoriale aveva affermato la piena esperibilità

del rimedio della risoluzione del contratto di transazione per inadempimento della

controparte privata, secondo il disposto di cui all'art. 1976 c.c. Quanto alla

transazione fiscale, la circolare n. 40/E del 2008 non dice nulla al riguardo, ma come

detto più volte è consolidata la prassi di inserire clausole risolutive espresse, che

prevedono la risoluzione di diritto dell'atto di transazione in caso di mancato

pagamento delle somme dovute entro un certo termine, e la conseguente reviviscenza

dell'intera obbligazione tributaria.

Va precisato che, secondo l'indirizzo interpretativo assolutamente prevalente,

la risoluzione potrebbe essere legittimamente chiesta soltanto dai creditori aderenti

all'accordo: quanto ai creditori estranei, posto che per i medesimi l'accordo sarebbe

res inter alios acta, i rimedi esperibili per l'adempimento delle proprie pretese

opererebbero al di fuori dell'ambito contrattuale, potendo far valere le propri ragioni,

come si vedrà, per mezzo dell'esazione coattiva individuale o con istanza di

fallimento666.

Quanto alle conseguenze dell'intervenuta risoluzione dell'accordo transattivo,

analogamente alla soluzione interpretativa adottata per la vecchia transazione

esattoriale667, si ammette incontestabilmente la reviviscenza dell'originaria

obbligazione tributaria, soprattutto per il tramite, come detto, di apposite clausole

che prevedono in capo all'imprenditore inadempiente l'obbligo di corrispondere

l'intero debito d'imposta originario, al netto delle somme già pagate in esecuzione

dell'accordo transattivo.

Il che, del resto, è conforme sia all'orientamento interpretativo assolutamente

prevalente in dottrina prima delle recenti modifiche legislative che hanno interessato

la sola transazione fiscale, sia all'indirizzo oggi maggioritario relativo più in generale

agli accordi di ristrutturazione dei debiti: in entrambi i casi il vuoto normativo, che

666

Cfr. P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 934, e S.

AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 1167 e 1168.

667

Cfr. circolare n. 8/E del 2005, pagg. 4 e 19.

353

come si è già detto ancora residua per i secondi, è stato colmando applicando in via

analogica i principi generali vigenti in materia di transazione civilistica. Pertanto se

le parti non hanno previsto che l'accordo costituisca novazione, dunque estinzione,

dei crediti preesistenti, la relativa risoluzione fa salve le pretese originarie, ai sensi di

quanto previsto dall'art. 1976 c.c.. L'eventuale volontà di estinguere i preesistenti

rapporti per novazione deve essere espressa chiaramente, magari con l'inserimento

nell'accordo di ristrutturazione di una clausola apposita: troverà infatti applicazione

la regola dettata in materia di novazione oggettiva dall'art. 1230, comma 2 c.c., il

quale appunto dispone che“la volontà di estinguere l'obbligazione precedente deve

risultare in modo non equivoco”. Solo nel caso in cui l'accordo di ristrutturazione

abbia un esplicito contenuto novativo, dunque, i crediti preesistenti risulteranno

definitivamente estinti: in tale ipotesi, non potendo essere invocata la risoluzione

dell'accordo per inadempimento, stante la preclusione di cui all'art. 1976 c.c., i

creditori insoddisfatti potranno solo chiedere il risarcimento del danno ex art.1453

c.c.668.

Per salvaguardare la “sopravvivenza” delle obbligazioni originariamente

dedotte in un accordo di ristrutturazione, del resto, non sono mancate nemmeno

letture alternative dell'istituto di cui all'art. 182bis: sicché, si è detto che la moratoria

nel pagamento dei debiti scaduti, ovvero la modifica dei termini contrattuali del

debito originario (es. l’importo dovuto a titolo di interessi), che rappresenterebbero

la più comune operazione di ristrutturazione del passivo, concreterebbero

sostanzialmente un pactum de non petendo, il quale non determina di per sé

l'estinzione dell'originario rapporto obbligatorio, ma solo la temporanea inesigibilità

del debito che ne è oggetto669.

668

Favorevole ad un'applicazione dei principi generali è G. SCARSELLI, Le sistemazioni

stragiudiziali (ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle

esposizioni debitorie), cit., 547.

669

Favorevole alla riconducibilità dell'accordo di ristrutturazione alla figura del pactum de non

petendo è Trib. Bari, 21 novembre 2005, in www.ilcaso.it., I, 409/2005, secondo cui “la funzione

del pactum de non petendo si risolve nell'incidere sulle modalità di esecuzione dell'obbligazione

preesistente, senza alcuna alterazione dell'oggetto e del titolo”. L'assimilazione ad un pactum de

non petendo è stata sostenuta anche da Trib. Milano, 23 gennaio 2007, decr., in Fall., 2007, 701 e

ss., con nota critica di F. DIMUNDO, Accordi di ristrutturazione dei debiti: la “meno incerta” via

italiana alla “reorganization”?.

354

Ve segnalato, comunque, quell'indirizzo dottrinale che propende per

l'estinzione in ogni caso dell'obbligazione originaria, nonostante il successivo

“naufragio” dell'accordo di ristrutturazione seguito dal fallimento del debitore670, alla

luce di un asserito e generalizzato effetto novativo dell'accordo transattivo671.

Il problema della “sorte” del credito tributario a fronte dell'inadempimento del

debitore in sede di esecuzione di un accordo di ristrutturazione non si pone

nell'ipotesi in cui il Fisco sia rimasto estraneo all'accordo medesimo.

Occorre ricordare, al riguardo, che l'obbligazione tributaria resta salva nella sua

interezza, come le pretese di qualsiasi altro creditore non aderente ad un accordo di

ristrutturazione: infatti risulta oggi definitivamente accantonata la tesi, proposta

duranti i lavori preparatori della commissione Trevisanato da alcuni esponenti del

mondo professionale (quali Abi, Assonime e Confindustria), ed avallata in un primo

momento anche dal Tribunale fallimentare di Milano, in una pronuncia rimasta

tuttavia isolata672, secondo cui anche i creditori estranei avrebbero dovuto essere

soddisfatti secondo le regole del concorso. Sicché, è ora assolutamente pacifico che

con la locuzione “regolare pagamento” di cui al comma 1 dell'art. 182bis il

legislatore abbia inteso imporre al debitore l'obbligo di soddisfare i creditori non

aderenti per intero ed alle rispettive scadenze, senza che in caso di un loro dissenso

gli sia concesso di incidere sui relativi rapporti obbligatori: anche perché una

670

Cfr. G. PRESTI, L'art. 182bis al primo vaglio giurisprudenziale, cit., 174, il quale si mostra

dubbioso in merito all'affermazione contenuta nel decreto del Tribunale di Bari del 21 novembre

2005, da lui commentato, secondo la quale la riduzione del debito per interessi o addirittura per

capitale (che rappresentano il “corrispettivo” per l'esenzione da revocatoria dei relativi pagamenti,

in caso di successivo fallimento dell'imprenditore) debbano essere considerate come semplici

pattuizioni di inesigibilità, destinate a venir meno con il naufragio dell'accordo.

671

Cfr. U. DE CRESCENZIO – L. PANZANI, Il nuovo diritto fallimentare, Ipsoa, Milano, 2005, 67 e

ss., nonché E. STASI, La transazione fiscale, cit., 741.

672

Cfr. Trib. Milano, 21 dicembre 2005, decr., cit.: secondo questa pronuncia, per “pagamento

regolare dei creditori estranei” il legislatore avrebbe inteso un pagamento da effettuarsi secondo

le medesime percentuali e scadenze previste per i creditori aderenti. Lo stesso Collegio, tuttavia,

ha successivamente aderito alla tesi interpretativa oramai consolidata: cfr. ad es. il decreto del 25

marzo 2010, cit., secondo il quale con l'avverbio “regolarmente” si vuole intendere che “il

soddisfacimento debba avvenire secondo il regolamento negoziale, il quale attiene evidentemente,

oltre che al quantum ed alle modalità, anche ai tempi del pagamento, che quindi non possono

essere rimodulati senza l'adesione dei creditori [...] rimasti estranei agli accordi”.

355

falcidia o dilazione forzata equivarrebbe sostanzialmente ad un esproprio senza

indennizzo dei diritti di credito dei dissenzienti, in contrasto con l'art. 41 Cost.673.

Assodato ciò, ne deriva che l'inadempimento nei confronti dell'Erario verrà ad

atteggiarsi come omesso pagamento integrale dei debiti d'imposta alle scadenze

previste dalla normativa tributaria, diverse a seconda della “fonte” dell'obbligazione

fiscale674. Ciò dovrebbe legittimare l'ufficio a procedere con gli strumenti ordinari a

sua disposizione, quali l'invio di una comunicazione di irregolarità, nell'ipotesi in cui

si tratti debiti scaturenti da dichiarazioni, anche integrative, presentate dal

contribuente675, l'iscrizione a ruolo delle somme oggetto di atti impositivi già

notificati, ovvero la riscossione coattiva dei ruoli scaduti e non pagati.

Tale ultimo assunto, tuttavia, richiede un'ulteriore precisazione, alla luce

dell'attuale formulazione dell'art. 182bis, comma 3, novellato per effetto del decreto

correttivo del 2007: con la menzionata disposizione il legislatore, recependo gli

auspici espressi da una certa corrente dottrinale676, ed adeguando l'istituto ai

corrispondenti modelli in vigore in altri ordinamenti stranieri677, ha accordato al

673

Cfr. P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 909. La conclusione

secondo cui il “regolare pagamento” deve intendersi come pagamento integrale, alle scadenze

contrattualmente convenute, è unanimamente condivisa sia in dottrina sia in giurisprudenza: cfr. ex

multis D. BENINCASA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis l. f., cit., 1400, e

App. Trieste, 4 settembre 2007, decr., in Dir. fall., 2008, II, 297.

674

Quanto ai debiti per imposte dirette (Irpef, Ires ed Irap) emergenti da dichiarazioni presentate dal

contribuente, il termine per il versamento del saldo sarà il 16 giugno (o 16 luglio, con

maggiorazione dello 0,4%) dell'anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce, salva la

possibilità di rateizzazione delle somme dovute; nel caso in cui si tratti di Iva, il saldo andrà

versato entro il 16 marzo dell'anno successivo, salva anche qui la possibilità di rateizzarlo ovvero

differirne il pagamento alle scadenze previste per il versamento delle imposte dirette nell'ipotesi di

presentazione della dichiarazione Iva in forma unificata. Qualora si tratti di debito scaturente da

comunicazioni ex art. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633/1972, o ex art. 36ter

del d.P.R. n. 600/1973, il termine di pagamento per poter fruire di una riduzione delle sanzioni

irrogate (rispettivamente, ad un terzo e due terzi del minimo edittale) è 30 giorni dal ricevimento

della comunicazione. Nel caso di avvisi di accertamento, avvisi di rettifica e liquidazione, nonché

atti di recupero, il termine è 60 giorni dalla notifica. Analogo termine è previsto per i debiti

d’imposta scaturenti da cartelle esattoriali.

675

Con la precisazione che se la dichiarazione è tardiva, cioè presentata oltre i 90 giorni dalla

scadenza, l'ufficio dovrà procedere all'immediata iscrizione a ruolo della relativa imposta, con

sanzioni al 30% ed interessi di mora, senza previo invio della “comunicazione bonaria”.

676

Cfr. G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 403 e 404.

677

Si allude, ad esempio, alla procedura stragiudiziale di conciliation, di cui all'art. L611-7, comma 5

del code de commerce, nonché agli Individual Voluntary Agreements, disciplinati dall'Insolvency

Act britannico del 1986, sections 252 e 253, ed ai Company Voluntary Agreements, introdotti con

356

patrimonio dell'imprenditore un “ombrello protettivo” contro possibili azioni

esecutive e/o cautelari intraprese dai creditori anteriori alla pubblicazione

dell'accordo nel Registro delle imprese, analogo al rimedio contemplato dall'art. 168

in materia di concordato preventivo. Trattasi di una protezione che, seppur

temporanea, in quanto avente una durata non superiore ai sessanta giorni dalla

pubblicazione dell’accordo678, opera in via generalizzata ed automatica679: sicché

l'effetto “paralizzante” di automatic stay precluderà anche all'ufficio la possibilità di

agire in executivis nei confronti del debitore entro quel lasso temporale, quantunque

abbia rigettato la proposta di transazione. L’Amministrazione finanziaria dovrà

dunque attendere 60 giorni prima di procedere all'iscrizione a ruolo o alla riscossione

coattiva degli importi scaturenti da atti di imposizione già definitivi.

Resta comunque salva anche la possibilità di richiedere il fallimento

dell'imprenditore inadempiente680. Con la precisazione che, qualora l'inadempimento

delle obbligazioni tributarie sia emerso immediatamente dopo la pubblicazione di un

accordo di ristrutturazione nel Registro delle imprese, occorrerà attendere anche in

tale evenienza l'esaurimento dell'effetto di automatic stay, ossia il decorso dei 60

giorni dalla pubblicazione: secondo la migliore dottrina, infatti, il fallimento rientra

nel concetto di “azioni esecutive” di cui al comma 3 dell'art. 182bis, con la

conseguenza che anch'esso resterebbe temporaneamente congelato681.

Occorre dar conto, tuttavia, di una recente pronuncia del Tribunale meneghino,

la quale ritiene che “l'effetto protettivo previsto dall'art. 182bis [...] non si estenda

anche ai ricorsi di fallimento, con la conseguenza che essi restano suscettibili di

la riforma del 2000: in tali ipotesi il giudice può sospendere le procedure esecutive in corso

(nell'ordinamento britannico, tuttavia, se il debitore è una società tale facoltà è limitata alle small

companies).

678

Va inoltre ricordato che, a seguito delle modifiche apportate dall'art. 48 del d.l. 78/2010, il divieto

di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore può essere

concesso, su istanza del debitore, anche durante la fase delle trattative con i creditori, dunque

prima della formalizzazione dell'accordo di ristrutturazione.

679

Cfr. ex multis P. VALENSISE, Art. 182bis, cit., 2281.

680

Cfr. Trib. Udine, 22 giugno 2007, decr., cit.

681

Cfr. M. FABIANI, “Competizione” fra processo per fallimento e accordi di ristrutturazione e

altre questioni processuali, in Fall., 2010, 207 e ss.

357

istruttoria, pur in presenza della richiesta di omologazione di un accordo; in tal

caso, però, vi sarebbe pregiudizialità della decisione su tale richiesta rispetto a

quella di cui all'art. 15 l. fall., essendo gli accordi di ristrutturazione uno strumento

chiaramente alternativo al fallimento, e quindi tale da escluderlo quando gli accordi

siano ritenuti idonei a superare l'addotto stato di crisi”682.

È da escludersi, invece, la legittimazione dell'ufficio, rimasto estraneo ad un

accordo di ristrutturazione dei debiti, a proporre un'azione di risoluzione per

inadempimento, rimedio questo che, come visto, sarebbe esperibile unicamente da

parte dei creditori aderenti.

2. La transazione dei contributi e premi dovuti ad enti gestori di forme

di previdenza ed assistenza obbligatorie (“transazione previdenziale”)

2.1. La disciplina generale dei crediti contributivi ed assistenziali.

Il d.l. n. 185/2008, come più volte accennato, ha esteso l'istituto della

transazione anche ai crediti vantati da enti gestori di forme di previdenza ed

assistenza obbligatorie.

Tale estensione è stata salutata con favore dalla migliore dottrina, considerato

che, a fronte di una situazione largamente diffusa, in cui il debito privilegiato delle

imprese in crisi era (ed è tuttora) costituito, per una buona parte, da quello

accumulato nei confronti degli enti previdenziali (soprattutto l'Inps)683, questi ultimi

in passato ne avevano sempre negato la ristrutturabilità, quantomeno con riferimento

alla sorte capitale, attesa l'indiscussa indisponibilità dell'obbligazione contributiva: si

assumeva infatti che il dato normativo non garantisse ai singoli uffici periferici la

copertura legislativa necessaria per poter acconsentire a trattamenti remissori o

semplicemente dilatori delle proprie pretese creditorie684. Non erano state sollevate

682

Cfr. Trib. Milano, 25 marzo 2010, decr., cit.

683

Cfr. P. PAJARDI, Codice del fallimento, cit., 1791.

684

Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel

concordato preventivo, cit., 612, con particolare riferimento alle istanze di transazione

previdenziale proposte nell'ambito di accordi di ristrutturazione.

358

particolari preclusioni, invece, in ordine alla possibilità di falcidiare il credito

relativo alle sanzioni previdenziali irrogate, essendosene ammessa la rinuncia, totale

o parziale, sia in sede di concordato preventivo sia nell’ambito di un accordo di

ristrutturazione ex art. 182bis685.

La possibilità di transazione per i crediti previdenziali, in quest’ottica,

dovrebbe agevolare la buona riuscita dei piani concordatari, in linea con il generale

intento di agevolare il ricorso a soluzioni concordate della crisi di impresa.

L'estensione di cui trattasi era auspicabile anche sotto un diverso punto di vista.

La dottrina maggioritaria è propensa ad attribuire ai crediti previdenziali natura

pubblicistica, qualificandoli alla stregua di una prestazione patrimoniale imposta ex

art. 23 Cost., posto che la loro funzione è quella di fornire agli enti erogatori delle

prestazioni contributive i mezzi finanziari necessari per far fronte ai compiti loro

attribuiti dalla legge nell'interesse pubblico686: ne deriva, dunque, una sostanziale

assimilazione dei medesimi ai crediti d'imposta, tanto che analoghi sarebbero sia gli

strumenti di riscossione coattiva, sia le garanzie che li assistono. Tali analogie,

pertanto, renderebbero perfettamente giustificabile, se non addirittura doverosa sotto

il profilo del rispetto del principio costituzionale di uguaglianza, una disciplina

similare anche per quanto attiene al trattamento da riservare a tali pretese all’interno

delle procedure concorsuali, ed in particolare, per quanto qui interessa, nell'ambito

dei meccanismi di soluzione concordata della crisi d'impresa.

Quanto alle garanzie che assistono i crediti previdenziali, l'art. 2753 c.c.

riconosce un privilegio generale mobiliare, che il successivo art. 2778 c.c. qualifica

685

Prima delle novità apportate dal decreto anticrisi di fine 2008 la possibilità per l'Inps di aderire ad

un accordo di ristrutturazione dei debiti, che prevedesse la falcidia dei soli crediti derivanti

dall'applicazione delle sanzioni, era stata sostenuta da G. NARDECCHIA, Gli accordi di

ristrutturazione dei debiti, in Inf. Prev., 2008, 372: secondo l'A. tale adesione avrebbe dovuto

seguire le forme proprie di qualsiasi altro credito, con la conseguenza che il soggetto legittimato ad

esprimere la volontà dell'ente previdenziale doveva materialmente sottoscrivere l'accordo di

ristrutturazione.

686

Va dato atto dell’esistenza di una corrente dottrinale minoritaria che, assimilando il rapporto di

previdenza ad un contratto di assicurazione di diritto privato, qualifica i contributi alla stregua di

premi assicurativi, sottolineandone la natura sinallagmatica di corrispettivo di una prestazione: cfr.

B. QUATRARO, Il procedimento di verificazione dei crediti, in Studi in memoria di Umberto

Azzolina, Giuffrè, Milano, 2004, 619. La giurisprudenza di legittimità, invece, condivide la tesi

dottrinale maggioritaria, che sostiene la finalizzazione dei contributi previdenziali alla

realizzazione di un interesse pubblico: cfr. nota successiva.

359

di primo grado, a favore dei crediti derivanti dal mancato versamento dei contributi

dovuti ad enti, istituti o fondi speciali (inclusi quelli sostitutivi o integrativi) che

gestiscono forme di assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i

superstiti; per effetto dell'art. 4, n. 3 della l. 7 dicembre 1989, n. 389, che ha

convertito, con modifiche, il d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, detto privilegio è stato esteso

anche ai crediti per i contributi relativi all'assicurazione per gli infortuni sul lavoro e

per le malattie professionali. I crediti relativi ai contributi dovuti ad istituti o enti

gestori di forme di tutela previdenziale e assistenziale diverse dall'assicurazione per

l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti godono invece di privilegio generale mobiliare

di ottavo grado, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2754 e 2778 c.c.687.

I soggetti passivi dei menzionati privilegi sono da individuarsi, in primo luogo,

nei datori di lavoro, per i crediti che scaturiscono dalle omissioni contributive

inerenti alla posizione dei propri lavoratori dipendenti. La Corte di Cassazione,

tuttavia, ha esteso la legittimazione passiva anche ai titolari di imprese artigiane e

commerciali per i crediti contributivi propri dei soggetti impiegati da questi ultimi

senza vincolo di subordinazione688: secondo la S.C., infatti, l'espressione “datore di

lavoro” di cui agli artt. 2753 e 2754 c.c. comprende tutti i soggetti tenuti al

versamento dei contributi previdenziali obbligatori, senza alcuna differenziazione

basata sulla natura, subordinata o autonoma, del rapporto di lavoro.

Soggetti attivi del privilegio di cui trattasi sono i competenti enti

687

La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ravvisare la causa del credito, in considerazione

della quale il legislatore ha accordato il privilegio generale di cui trattasi, nell'interesse pubblico al

reperimento ed alla conservazione delle fonti di finanziamento della previdenza sociale, fine cui,

invece, non sono diretti i rapporti di assicurazione privata: cfr. Cass., 23 dicembre 1998, n. 12821,

in Riv. dott. comm., 1999, 754.

688

Cfr. Cass, 23 dicembre 1994, n. 11115, in Giust. civ. mass., 1994, Cass., 6 settembre 1994, n. 7684,

in Inform. prev., 1994, 1270, e Cass., 18 luglio 1992, n. 8743, in Giur. it., 1994, I, 1288.

L'estensione del privilegio generale mobiliare di cui agli artt. 2753 e 2754 c.c. anche ai contributi

dovuti dai lavoratori autonomi, in relazione alla posizione dei relativi coadiutori familiari, soci

d'opera e soci cooperatori, prende le mosse da una pronuncia della Consulta (cfr. Corte Cost., 28

novembre 1990, n. 526, in Giust. Civ., 1991, I, 2235), la quale aveva affermato, appunto, che il

regime dettato dalle richiamate norme codicistiche fosse suscettibile di ricomprendere anche i

rapporti di impiego che artigiani e/o piccoli commercianti instaurano con tali soggetti: la causa del

credito contributivo, ammesso a godere del privilegio generale mobiliare, va identificata non già

nell'interesse individuale del lavoratore che collabora nell'impresa del soggetto obbligato, quanto

piuttosto nell'interesse pubblico al reperimento delle fonti di finanziamento della previdenza

sociale, come accade parimenti nell'area della subordinazione. Ciò dunque legittimerebbe

un'interpretazione estensiva delle citate disposizioni di legge.

360

previdenziali689, i cui crediti godono anche dell'ulteriore tutela rappresentata

dall'esonero dalla revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati per contributi

sociali obbligatori ed accessori, stante il disposto di cui all’art. 4 della l. 29 febbraio

1988, n. 48, di conversione con modificazioni del d.l. 30 dicembre 1987, n. 536.

Ancora, l'art. 2776, comma 2 c.c. prevede che nell'ipotesi di infruttuosa

esecuzione sui beni mobili del debitore tali crediti contributivi, al pari dei crediti di

lavoro, trovano sussidiaria collocazione sul prezzo degli immobili, con preferenza

rispetto ai crediti chirografari, ma in posizione subordinata rispetto ai crediti relativi

al trattamento di fine rapporto e a quelli per indennità sostitutiva di preavviso.

L’art. 2754 c.c. accorda agli “accessori” dei crediti contributivi ed assistenziali,

limitatamente alla metà del loro ammontare, un privilegio generale mobiliare, che

l'art. 2778, comma 1, n. 8) colloca all'ottavo grado; ne deriva che il residuo 50% avrà

natura chirografaria. In ordine all'individuazione degli importi riconducibili alla

nozione di “accessori” dei crediti contributivi, la dottrina concorda nel

ricomprendervi le sanzioni civili690; quanto agli interessi, se in un primo momento

l'orientamento giurisprudenziale prevalente li escludeva dall'ambito di applicazione

della prelazione di cui all'art. 2754 c.c., a seguito di un pronunciamento della Corte

Costituzionale691 il privilegio di cui trattasi va esteso anche a tali importi.

Peraltro occorre rammentare che l'art. 116, comma 16 della l. 23 dicembre

689

Trattasi degli enti pubblici gestori della forma assicurativa obbligatoria che i contributi sono

destinati ad alimentare, quali l’Inps (che gestisce l'assicurazione contro l'invalidità, vecchiaia e

superstiti), l’Inail (cui è devoluta la gestione dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le

malattie professionali), l’Enpals (cui è devoluta l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la

vecchiaia ed i superstiti in favore dei lavoratori dello spettacolo), e l’ex Inpdap (ora assorbito

dall’Inps), i cui crediti godono del privilegio generale mobiliare di primo grado di cui all'art. 2753

c.c. A questi si aggiungono gli enti privatizzati quali l'Enasarco, l’Inpgi, l’Enpam, ecc., che

gestiscono altre forme di assicurazione sociale obbligatoria e sono assistiti dal privilegio di ottavo

grado di cui all'art. 2754 c.c.

690

L'omesso o tardivo versamento dei contributi e premi dovuti alle scadenze prescritte comporta

l'applicazione automatica di una sanzione (secondo il cosiddetto “principio dell'automaticità”),

determinata in base a criteri prefissati dal legislatore. La giurisprudenza concorda nell'attribuire a

tale sanzione natura civilistico-risarcitoria (in quanto avrebbe la funzione di ristorare l'ente

previdenziale contro il danno derivante dal mancato o tardivo versamento contributivo), con

conseguente assoggettamento della medesima al regime delle obbligazioni di diritto privato: cfr.

Cass., 12 marzo 1965, n. 888, in Prev. soc., 1966, 221.

691

Trattasi della nota sentenza n. 162 del 28 maggio 2001, in banca dati Il Foro italiano online, con la

quale è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 54, comma 3 legge fall. nella misura in cui non

operava alcun richiamo, ai fini dell'estensione del privilegio agli interessi, all'art. 2479 c.c.

361

2000, n. 388 (Legge finanziaria 2001) prevede la riduzione delle sanzioni civili, sino

a raggiungere la misura degli interessi legali, irrogate nei confronti di imprese

ammesse ad una procedura concorsuale: sicché le percentuali offerte in pagamento

agli enti previdenziali andranno applicate sulle sanzioni calcolate in misura ridotta692.

2.2. I poteri ispettivi, l’accertamento e la riscossione dei contributi

previdenziali.

Gli enti previdenziali sono investiti dei poteri ispettivi di cui all'art. 3 del d.l. 12

settembre 1983, n. 463, convertito con l. 11 novembre 1983, n. 638.

Agli ispettori di vigilanza appartenenti agli uffici provinciali dell’Istituto o ente

pubblico, preposti al controllo del regolare pagamento dei contributi da parte delle

aziende operanti nella provincia ove è la sede dell'istituto previdenziale, è

riconosciuto il potere di: a) accedere presso tutti i locali dell'impresa, al fine di

ispezionare i libri matricola e i libri paga, i documenti equipollenti nonché ogni altra

documentazione, anche contabile, che abbia pertinenza diretta o indiretta con

l'assolvimento degli obblighi contributivi; b) assumere da datori di lavoro, lavoratori,

rappresentanze sindacali aziendali, organizzazioni sindacali dei lavoratori ed enti di

patronato dichiarazioni e notizie attinenti alla sussistenza dei rapporti di lavoro, a

retribuzioni, ad adempimenti contributivi ed assicurativi, ed all'erogazione delle

prestazioni; c) esercitare gli altri poteri spettanti agli ispettori del lavoro in materia di

previdenza ed assistenza sociale, ad eccezione di quello di contestare

contravvenzioni.

Occorre comunque tener conto delle novità introdotte dal d. lgs. 23 aprile 2004,

n. 124, relativo alla “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di

previdenza sociale e di lavoro”, varato al fine di garantire un maggior coordinamento

delle attività condotte dai vari soggetti coinvolti nel sistema ispettivo (si rammenti

che, oltre al personale del Ministero del Lavoro e degli Enti previdenziali ed

692

La circolare n. 15 dell’Enpals, che sarà meglio analizzata nel prosieguo, precisa tuttavia che la

riduzione delle sanzioni prevista dalla Finanziaria 2001 potrà essere concessa solo a seguito

dell'omologazione del concordato ad opera del Tribunale: pertanto, le sanzioni civili andranno

ricalcolate sino alla data dell'omologazione, e per il periodo successivo saranno dovuti solo gli

interessi legali sulle somme oggetto di transazione. Anche la circolare n. 38 dell'Inps precisa che

agli effetti della riduzione delle sanzioni “il piano di risanamento finanziario sarà predisposto con

riferimento alla data di omologazione da parte del Tribunale”.

362

assicurativi, anche la Guardia di Finanza, l’Arma dei Carabinieri e l’Agenzia delle

Entrate hanno competenza per l’accertamento delle violazioni degli obblighi

contributivi).

Nell'ipotesi in cui i funzionari ispettivi riscontrino delle irregolarità

provvederanno alla redazione di un verbale di accertamento delle infrazioni rilevate:

secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità693, recepito anche

dal legislatore694, tale documento, al pari del verbale di contravvenzione elevato dai

funzionari dell'Ispettorato del lavoro, ha valore di prova legale, con la conseguenza

che costituisce titolo per l'ammissione al passivo fallimentare (o concordatario) dei

crediti (per contributi e relativi accessori) in esso contenuti.

Per quanto attiene alle modalità di riscossione coattiva di tali importi, occorre

tener conto delle novità recentemente introdotte dall'art. 30 del d.l. n. 78/2010, il

quale prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2011, l'attività di riscossione relativa al

recupero delle somme a qualunque titolo dovute all'Inps, anche a seguito degli

accertamenti degli uffici, sarà effettuata mediante notifica di un “avviso di addebito”

avente valore di titolo esecutivo. Tale avviso dovrà contenere l'intimazione ad

adempiere l'obbligo di pagamento degli importi nello stesso indicati entro il termine

di sessanta giorni dalla notifica, nonché l'indicazione che, in mancanza di

pagamento, l'agente della riscossione procederà ad espropriazione forzata, con i

poteri, le facoltà e le modalità che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.

2.3. Il contenuto della proposta di transazione previdenziale.

Fatte queste opportune premesse in ordine al rango privilegiato dei crediti

previdenziali ed assistenziali, va ora analizzata la disciplina applicabile al caso in

cui, con l'istanza di transazione di cui all’art. 182ter, ne sia offerto un trattamento

remissorio e/o dilatorio.

La ristrutturazione delle pendenze nei confronti di Inps, Inail, Enarco e degli

altri enti operanti in ambito previdenziale ed assistenziale, al pari di quanto

693

Cfr. ex multis Cass., 9 marzo 2001, n. 3527 , Cass., 19 giugno 2000, n. 8323, e Cass., 17 febbraio

2000, n. 1786, reperibili nella banca dati Il Foro italiano online.

694

Cfr. l’art. 10 del citato d. lgs. n. 124, secondo cui “I verbali di accertamento redatti dal personale

ispettivo sono fonti di prova [...] relativamente agli elementi di fatto acquisiti e documentati”.

363

legislativamente previsto con riferimento alle passività fiscali, è possibile solo

nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo, ovvero in sede di trattative

finalizzate alla stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis695,

non essendo possibile proporre una rimodulazione delle obbligazioni contributive (in

termini di falcidia o proroga delle relative scadenze) tramite un accordo autonomo ed

isolato, cioè siglato al di fuori di una procedura concorsuale o comunque di un iter

che coinvolga la totalità o quantomeno una maggioranza qualificata dei creditori

dell'impresa.

Da un punto di vista procedurale le modalità di applicazione, i criteri e le

condizioni per il perfezionamento di una transazione previdenziale sono stati definiti

con decreto interministeriale del 4 agosto 2009, varato dal Ministro del Lavoro, della

Salute e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell'Economia e delle

Finanze, ai sensi di quanto previsto dal comma 6, art. 32 del d.l. n. 185/2008. Tali

previsioni di fonte regolamentare sono state successivamente integrate dai documenti

di prassi emanati da Inps, Inail ed Enpals: si tratta, rispettivamente, della circolare n.

38 del 15 marzo 2010, della circolare n. 8 del 26 febbraio 2010 e della n. 15 del 5

novembre 2011, con le quali i citati enti previdenziali hanno dettato le istruzioni

operative cui gli uffici periferici devono attenersi per la conclusione di accordi

transattivi696.

Ai sensi di quanto previsto dall'art. 1 del citato decreto possono essere

ricompresi nella proposta di accordo ex art. 182ter i crediti per contributi, premi e

relativi accessori di legge aventi natura sia privilegiata che chirografaria, siano essi

iscritti o non ancora iscritti a ruolo697. Ne restano invece esclusi i crediti oggetto di

695

Cfr. R. PESSI, Profili giuslavoristici nelle procedure concorsuali, in Lav. prev. oggi, 2010, 361.

696

Il decreto ministeriale del 2009 parla di “accordi su crediti contributivi”. Il che, tuttavia, non

dovrebbe indurre a ritenere che il legislatore di II grado abbia sposato la tesi della natura

privatistico – negoziale della fattispecie (tesi che si è visto essere minoritaria a proposito della

transazione conclusa con le Agenzie fiscali), quantomeno con riferimento all'ipotesi di “accordo”

perfezionato nell'ambito di una procedura di concordato preventivo.

697

Come già detto, a seguito delle modifiche introdotte con d.l. n. 78/2010, a decorrere dal 1° gennaio

2011 la riscossione dei contributi, sia nell'ipotesi di contributi denunciati ma non versati, sia nel

caso di obbligazioni contributive derivanti da accertamenti d'ufficio o verbali ispettivi, deve essere

operata tramite notifica di un avviso di addebito, avente valore di titolo esecutivo. Non è più

prevista, dunque, l'iscrizione a ruolo di contributi ed accessori e la successiva notifica della cartella

di pagamento: cfr. T. BUSSINO, Il punto sulla riscossione Inps, in Pianeta lavoro e tributi, 2011,

364

cartolarizzazione ex art. 13 della l. n. 448/1998, nonché quelli maturati a seguito di

decisioni assunte dagli organi comunitari in materia di aiuti di Stato.

Sotto il profilo soggettivo la medesima disposizione prevede, per la verità in

modo pleonastico, che legittimati alla presentazione di una proposta di accordo su

crediti contributivi sono gli imprenditori in possesso dei requisiti dimensionali

stabiliti dall'art. 1 della legge fall.

Alla proposta va allegata la documentazione di cui all'art. 161, nonché la

relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3,

lettera d), attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano

dell'impresa (art. 2). Anche questa previsione potrebbe considerarsi superflua,

almeno nel caso in cui la proposta di accordo contributivo sia inserita nell'alveo di

una procedura di concordato preventivo: in tale evenienza, infatti, la presentazione

della citata relazione è già prescritta dall'art. 161. Quanto invece all'ipotesi di istanza

di transazione contributiva presentata in sede di trattative finalizzate alla stipula di un

accordo di ristrutturazione, l'art. 182bis prescrive la presentazione di una relazione

attestante l'attuabilità dell'accordo: ci si potrebbe domandare, allora, quale delle due

relazioni sia da allegare all'accordo di ristrutturazione, se quella attestante la

veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, così come prescritto dall'art. 2

del decreto interministeriale, ovvero quella in cui viene certificata la ragionevolezza

dello stesso, secondo il disposto dell'art. 182bis, a meno che non si vogliano ritenere

necessarie entrambe (il che, francamente, sembrerebbe essere eccessivo).

Di preminente rilievo è l'art. 3 del decreto, che fissa le soglie minime di

soddisfazione dei crediti previdenziali e/o assistenziali oggetto dell’accordo

transattivo: per i crediti muniti di privilegio generale mobiliare di primo grado di cui

al n. 1, comma 1 dell'art. 2778 c.c. (ossia quelli aventi ad oggetto contributi da

versare ad enti gestori di forme di assicurazione obbligatoria contro l'invalidità, la

vecchiaia e i superstiti, nonché i premi Inail), la percentuale di pagamento deve

essere pari al cento per cento del loro ammontare, mentre per i crediti assistiti da

privilegio generale mobiliare di ottavo grado, di cui al n. 8 della medesima

79 e ss.

365

disposizione codicistica698, detta percentuale non può essere inferiore al 40%. Quanto

ai crediti chirografari699, la percentuale di pagamento deve essere almeno pari al 30%

del loro ammontare. Inoltre, l'ultimo comma del citato art. 3 regola anche l'ipotesi di

transazione contributiva dilatoria, stabilendo che la proroga non può eccedere le 60

rate mensili (con la conseguenza che la dilazione avrà una durata massima di 5 anni),

con applicazione degli interessi al tasso legale vigente.

Proprio le disposizioni da ultimo esaminate sono state criticate aspramente in

dottrina per la loro eccessiva rigidità e chiusura, andando ben oltre il disposto della

delega legislativa e lo spirito della riforma700, e risultando inoltre in contrasto con i

più recenti orientamenti giurisprudenziali, secondo i quali il dissenso delle Agenzie

fiscali, del concessionario della riscossione e/o degli enti previdenziali non

pregiudica, di per sé, l'omologazione dell'accordo701. Risultano anche tradite le

aspettative di chi propugnava un'omogeneità di trattamento tra crediti tributari e

crediti previdenziali, auspicando che l'emanando decreto ministeriale non avesse

tentato di stravolgere l'assetto legislativo, con le consuete invadenze e superfetazioni

698

Trattasi, come visto, dei contributi da versare ad istituti ed enti gestori di forme di tutela

previdenziale ed assicurativa diverse da quelle per invalidità, vecchiaia e superstiti di cui all'art.

2753 c.c. Rientrano in questa categoria anche la metà dell'ammontare degli accessori relativi ai

crediti contributivi di cui agli artt. 2753 e 2754 c.c: cfr. circolare Inps n. 38/2010, pt. I, par. 2.

699

Fra cui va ricompreso anche il restante 50% degli accessori relativi ai crediti di cui agli artt. 2753 e

2754 c.c., secondo quanto disposto dall’art. 2778, n. 8, comma 1 c.c.

. 700

Sul punto cfr. ex multis E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato

preventivo, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, cit., 576, il quale segnala “un

eccesso nell'utilizzo della delega da parte dell'Amministrazione, cui il legislatore chiedeva

solamente di “determinare le modalità di applicazione, nonché i criteri e le condizioni di

accettazione da parte degli enti previdenziali degli accordi sui crediti contributivi”, e non

l'introduzione di vincoli contrastanti con le regole proprie di tali accordi aprendo con ciò la

strada a provvedimenti giudiziali disapplicativi di tale disposizione o, comunque, a contenziosi”.

Nello stesso ordine di idee cfr. anche E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit.,

1195, e V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e proposta di concordato preventivo: riflessi

sull'ammissione alla procedura e sul voto dei creditori, in AA. VV., La crisi di impresa. Questioni

controverse del nuovo diritto fallimentare, a cura di F. DI MARZIO, Cedam, Padova, 2010, 399.

Ancora, la violazione dello spirito della norma, di cui pure il decreto costituisce attuazione, è

rilevata da A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1428.

701

Cfr. G. RIPA, La transazione fiscale, in Commentario sistematico al fallimento, Celt, Piacenza,

2011, 812 e 813: secondo l'A. la fattibilità di un accordo transattivo risulta seriamente pregiudicata

sia dalla normativa primaria, sia dal decreto attuativo, sia dai provvedimenti di prassi, rendendolo

sempre più complesso e di non facile applicazione, salvo però sottolineare come parte delle

interpretazioni giurisprudenziali siano favorevoli alla falcidia dei crediti tributari e previdenziali

anche in assenza di una proposta di transazione fiscale e/o previdenziale.

366

proprie dei regolamenti e della prassi amministrativa702.

Per risolvere le accennate incongruenze qualche autore ha ravvisato nelle

disposizioni di fonte ministeriale mere regole interne, rivolte esclusivamente agli enti

interessati e dunque prive di efficacia vincolante per il proponente703; alcuni, ancora,

ritengono che le medesime norme regolamentari siano illegittime, in quanto si

porrebbero in contrasto con le direttive impartite dalla delega legislativa, e dunque

dovrebbero essere suscettibili di disapplicazione ad opera del giudice ordinario, che

sarebbe tenuto a colmare il conseguente vuoto normativo tramite l'applicazione

analogica della disciplina prevista per i crediti tributari704.

La giurisprudenza di merito che sino ad ora si è occupata dell'istituto, una volta

escluso che quelle dettate dal decreto interministeriale siano mere “norme di azione”,

ossia rivolte alle sole Amministrazioni pubbliche interessate, ravvisa viceversa nelle

medesime autentiche norme imperative, che impongono, in funzione dell'interesse

pubblico ad esse sotteso, precisi limiti all'imprenditore che proponga un concordato

preventivo, ai fini del pagamento parziale delle proprie pendenze705. L’indirizzo,

702

Cfr. L. DEL FEDERICO, Il commento, in Fall., 2009, 1361.

703

Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1193, V. ZANICHELLI, I

concordati giudiziali, cit., 277, L. PANZANI, Creditori privilegiati, creditori chirografari e classi

nel concordato preventivo, in AA. VV., La crisi di impresa. Questioni controverse del nuovo

diritto fallimentare, cit., 376, e A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1461. In

giurisprudenza cfr.. Trib. Monza, 15 aprile 2010, decr., cit., secondo cui non potrebbe essere certo

un decreto interministeriale a modificare la legge primaria.

704

Cfr. V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e proposta di concordato preventivo: riflessi

sull'ammissione alla procedura e sul voto dei creditori, cit., 399, secondo il quale il regolamento

attuativo avrebbe dovuto limitarsi a stabilire quale fosse la documentazione necessaria e quali gli

uffici competenti a valutarla e ad esprimere il proprio voto nel concordato, mentre sono stati

introdotti vincoli sostanziali più stringenti di quelli previsti dal legislatore per i crediti tributari.

705

Cfr. Trib. Udine, 15 giugno 2011, decr., cit., il quale precisa che “tale conclusione appare del tutto

logica e coerente, in quanto sarebbe senza senso consentire all'imprenditore di proporre ad un

creditore “ente pubblico” ciò che l'ente stesso, per espresso divieto, non potrebbe accettare per

norma di regolamento. Deve ritenersi in definitiva che se il legislatore [...] ha ritenuto di stabilire

dei limiti, seppure con regolamento, alla possibilità di pagare parzialmente i crediti in questione

nell'ambito di un concordato preventivo (o di un accordo di ristrutturazione ex art. 182bis), ciò è

stato deciso per un evidente interesse pubblico connesso alla gestione delle forme di previdenza e

assistenza obbligatorie. Sarebbe illogico, prima di porre a detti enti, evidentemente per fini

pubblicistici, il divieto di dare il consenso a determinate condizioni e poi lasciare la soddisfazione

di tali interessi pubblici alla decisione della maggioranza dei creditori ammessi al voto che,

invece, è espressione di interessi privati”. Negli stessi termini si era precedentemente espresso

Trib. Roma, 2 agosto 2010, decr., cit.

367

tuttavia, non è del tutto pacifico706.

Se si volesse aderire a questa seconda linea interpretativa non potrebbe però

essere sottaciuta una criticità di non poco conto: un'applicazione pedissequa delle

disposizioni di fonte legislativa (art. 182ter, comma 1) e regolamentare (art. 3 del

d.m. 4 agosto 2009) limiterebbe fortemente la discrezionalità di cui il proponente

gode nel determinare il contenuto non solo dell'istanza di transazione

“previdenziale”, ma anche della proposta di transazione “fiscale”. Infatti il divieto di

accordare ai crediti tributari privilegiati un trattamento deteriore a quello concesso ai

crediti aventi posizioni giuridica ed interessi economici omogenei potrebbe

obbligarlo a riservare ai medesimi le stesse percentuali di soddisfazione (100% o

40%) previste per i crediti contributivi privilegiati (rispettivamente di primo ed

ottavo grado), posto che si tratterebbe di pretese aventi una natura giuridica simile,

laddove l'obbligo di attribuire ai crediti fiscali chirografari lo stesso trattamento

accordato agli altri crediti in chirografo, ovvero, nel caso di suddivisione in classi, la

medesima percentuale prevista per la classe cui è attribuito il trattamento più

favorevole, lo costringerebbe di fatto a soddisfare i primi nella misura minima del

30% delle loro complessivo ammontare707.

Se a ciò si aggiunge l'obbligo di corrispondere al concessionario della

riscossione l'intero ammontare degli aggi, delle spese e dei diritti maturati sulle

somme iscritte a ruolo, così come specificato dalle circolari di Inail ed Enpals, è

evidente che il peso economico della complessiva proposta transattiva sarebbe

ancora più gravoso e particolarmente difficile da sostenere.

Diversamente da quanto si è visto a proposito della transazione fiscale, per la

706

Cfr. Trib. Monza, 22 dicembre 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 6852, che reputa legittima la

disapplicazione, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 2248 del 1865, allegato E, del limite minimo di

pagamento del credito vantato dagli enti previdenziali di cui al D.M. 4 agosto 2009.

707

Del resto anche la circolare dell’Inail sembra equiparare i crediti tributari a quelli contributivi.

All'opposto, invece, la circolare n. 38 dell'Inps disconosce che vi sia un'identità di posizione

giuridica fra le due tipologie di crediti, in quanto i crediti contributivi sono assistiti da privilegio

legale di grado superiore rispetto a quello accordato ai crediti tributari: ne deriva che “ai fini

dell’accettazione della proposta transattiva dovrà verificarsi che le percentuali ed i tempi di

pagamento indicati per i crediti tributari non siano più favorevoli rispetto a quelli offerti dal

debitore per il pagamento dei crediti dell’Istituto”, aggiungendo però che “il pagamento dell’IVA

in misura intera non deve essere preso in considerazione ai fini dell’esame comparativo tra le

percentuali ed i tempi di pagamento dei crediti tributari con quelli relativi ai crediti contributivi”.

368

quale il legislatore ha omesso di definire i criteri sulla scorta dei quali le proposte

andrebbero valutate, l'art. 4 del decreto interministeriale detta parametri di

valutazione piuttosto precisi e rigorosi, quali: l'idoneità dell'attivo ad assicurare il

soddisfacimento dei crediti, anche mediante prestazione di eventuali garanzie; il

riconoscimento formale ed incondizionato del credito per contributi e premi, e la

rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sull'esistenza ed azionabilità dello

stesso; la correttezza nel pagamento dei premi e contributi dovuti per i periodi

successivi alla presentazione della proposta di accordo; il versamento delle ritenute

previdenziali ed assistenziali operate sui lavoratori dipendenti ai fini dell'accesso alla

dilazione di crediti; l’essenzialità dell'accordo ai fini della continuità dell'attività

dell'impresa e di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali, tenuto conto

dell'importanza che la stessa riveste nel contesto economico-sociale dell'area in cui

opera.

L’ultimo comma dell’art. 4, inoltre, statuisce che il mancato rispetto degli

obblighi previsti dall'accordo comporta la revoca del medesimo: a prescindere dalla

circostanza che il termine “revoca” sembrerebbe essere qui impiegato in senso

atecnico708, risultando più opportuno parlare di risoluzione per inadempimento, come

del resto ammettono anche le menzionate circolari di Inps ed Inail709, si potrebbe

708

La revoca è una categoria mutuata dal diritto amministrativo, ambito nel quale essa viene

impiegata per indicare il ritiro di atti unilateralmente predisposti da una pubblica Amministrazione

al verificarsi di circostanze sopravvenute, che incidono negativamente

sull'opportunità/convenienza dei medesimi. Nella transazione previdenziale, viceversa,

presupponendo questa necessariamente una proposta (pseudo-negoziale) dell'imprenditore, su cui

l'ente pubblico è chiamato formulare le sue valutazioni, i profili di unilateralità trascolorano a

fronte del carattere consensuale dell'istituto; il che, del resto, sembrerebbe essere chiaro anche allo

stesso legislatore regolamentare, che parla appunto di accordo (e non di provvedimento). Ne

deriva, dunque, che sarebbe più esatto parlare di risoluzione, e non di revoca unilaterale,

dell'accordo contributivo. Contra E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel

concordato preventivo, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, cit., 578, nt. 26, secondo

il quale la norma di cui al comma 7 avrebbe inteso conferire all'Amministrazione un diritto legale

di recesso unilaterale esercitabile anche in caso di parziale inadempimento, in deroga al principio

della vincolatività di cui all’art. 1372 c.c., il quale preclude la revoca del consenso

successivamente alla conclusione del contratto.

709

La circolare dell’Inail, dopo aver precisato che, a seconda che l'accordo riguardi un pagamento

parziale, dilazionato o entrambe le ipotesi, la revoca si verifica nel caso in cui si accerti,

rispettivamente, il mancato o inesatto pagamento delle somme stabilite nell'accordo o il mancato

rispetto del piano di rateazione, richiama l'art. 186 legge fall., nonché gli artt. 137 e 138. Anche la

circolare n. 38 dell'Inps rimanda alla disciplina dettata dal menzionato art. 186 in tema di

risoluzione del concordato per inadempimento, aggiungendo che per tale ragione sarà necessario

effettuare un costante monitoraggio sulla regolarità dei pagamenti e delle rate previste dal piano di

369

propendere per un'interpretazione della disposizione de qua non eccessivamente

rigida e più rispettosa della disciplina codicistica dettata appunto in tema di

risoluzione del contratto, ammettendo la rottura dell'accordo contributivo solo

nell'ipotesi in cui l'inadempimento non sia di scarsa, dunque trascurabile,

importanza.

2.4. Gli effetti della transazione previdenziale: sulla possibilità di estendere

il consolidamento e l'estinzione delle controversie pendenti anche a tale

fattispecie.

Nel silenzio del legislatore occorre stabilire se i pretesi effetti “tipici” della

transazione fiscale siano riferibili anche alla fattispecie qui in esame: in altri termini,

ci si chiede se le pendenze dell'impresa nei confronti degli istituti previdenziali ed

assistenziali siano suscettibili di cristallizzazione, sul duplice versante sostanziale

(consolidamento del debito contributivo e/o assistenziale) e processuale (cessazione

della materia del contendere nelle liti pendenti dinanzi al giudice ordinario710).

Il dubbio, come visto, trae alimento dalla formulazione letterale dell'art. 182ter:

l'incipit del comma 2 (“ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura

fiscale”) circoscrive l'ambito di applicazione delle disposizioni procedurali ivi

contemplate ai soli crediti tributari, e lo stesso può dirsi per la transazione siglata in

sede di accordi di ristrutturazione disciplinata dal successivo comma 6. Ne deriva

che, se interpretata restrittivamente, la norma circoscriverebbe soltanto ai crediti

fiscali l'effetto tipico discendente dai prescritti adempimenti procedurali, ossia il

“consolidamento” dell'esposizione debitoria complessiva dell'impresa. Anche con

riferimento alla cessazione della materia del contendere il testo del comma 5

continua a riferire l'effetto estintivo alle liti aventi ad oggetto i (soli) “tributi” di cui

al comma 1.

Del resto, il d.l. n. 185/2008, nell'estendere la transazione anche ai debiti

contributivi, ha volutamente rimesso alla normazione di secondo grado la previsione

ammortamento.

710

La giurisdizione, infatti, spetta al Tribunale ordinario anche nel caso in cui si tratti di obblighi

contributivi contestati con cartella di pagamento: cfr. ex multis Cass., SS.UU., ordinanza del 18

marzo 2010, n. 6539, reperibile in banca dati Il Foro italiano online.

370

delle modalità operative da rispettare per la stipula di un accordo transattivo con gli

enti previdenziali ed assistenziali (si veda il rinvio ad un successivo decreto

interministeriale contenuto nel comma 6 dell'art. 32): si tratta, dunque, di stabilire se

sia possibile rinvenire in quella disciplina regolamentare un riferimento alla

“cristallizzazione” dei debiti contributivi.

Ora, il citato decreto del 2009 non contiene alcuna esplicita menzione né

dell'effetto di consolidamento, né della cessazione della materia del contendere.

Sotto il primo profilo, il regolamento si limita a dettare i criteri da seguire per la

valutazione nel merito della proposta di transazione, e non anche gli adempimenti

procedurali a carico degli enti previdenziali, la cui individuazione viene invece

esplicitamente rimessa agli enti medesimi (art. 5, comma 1); quanto all'estinzione del

contenzioso pendente, non è dettata alcuna disposizione ad hoc.

Senonchè, la più recente giurisprudenza di merito sembra orientata ad

estendere anche alla transazione previdenziale i menzionati effetti tipici di cui all’art.

182ter. In particolare il Tribunale di Udine, in una recente pronuncia del 2011711,

riconosce all'imprenditore che proponga un'istanza di transazione la possibilità di

“ottenere il consolidamento della propria posizione debitoria e la definizione del

contenzioso anche relativamente ai debiti previdenziali”, chiarendo sul punto che il

legislatore avrebbe inteso offrirgli il vantaggio del “consolidamento” del debito

contributivo, sia pure nel rispetto dei limiti stabiliti con il regolamento

interministeriale del 4 agosto 2009. Anche la Corte d'Appello di Torino ha

riconosciuto al debitore concordatario “lo specifico vantaggio insito nella

transazione fiscale e – oggi, ex l. n. 2/2009 – contributiva, anche con riguardo a

quei debiti ancora in corso di accertamento e teoricamente suscettibili di essergli

opposti dopo la chiusura della procedura”712.

Dello stesso avviso è anche la dottrina maggioritaria, propensa al superamento

del dato testuale facendo leva sulla ratio legis che avrebbe ispirato la novella

legislativa di fine 2008, da individuarsi nella volontà di accordare all'impresa in crisi

711

Cfr. Trib. Udine, 15 giugno 2011, decr., cit.

712

Cfr. App. Torino, 23 aprile 2010, decr., cit.: il vantaggio cui il Collegio allude è, ovviamente, la

definizione della posizione fiscale, ed ora anche previdenziale, dell'imprenditore, con riguardo ai

tributi, e quindi anche ai contributi, già iscritti a ruolo ovvero ancora in corso di determinazione.

371

la possibilità di pervenire ad una rapida e definitiva cristallizzazione delle sue

pendenze anche nei confronti degli enti previdenziali (e non delle sole Agenzie

fiscali). Pertanto, ai crediti contributivi ed assistenziali sarebbe applicabile in via

analogica la disciplina procedurale di cui all'art. 182ter713, a cominciare dal comma 5:

sicché la locuzione “tributi di cui al comma 1”, che continua a figurare nella

menzionata disposizione, andrebbe piuttosto letta come “tributi e contributi di cui al

comma 1”714.

Non sono mancate, del resto, nemmeno argomentazioni di ordine testuale a

supporto di tale soluzione interpretativa. In particolare è stato detto che il

“riconoscimento formale ed incondizionato del credito per contributi e premi, e

rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sull'esistenza ed azionabilità dello

stesso”, di cui all'art. 4, comma 1, lettera b) del decreto interministeriale del 2009,

non significherebbe null'altro che l'abbandono del contenzioso previdenziale

eventualmente già instaurato, o la preventiva ed assoluta rinuncia dell'imprenditore

in concordato ad ogni futura impugnazione delle pretese contributive vantate nei suoi

confronti, al pari di quanto avverrebbe in sede di transazione fiscale715.

Del medesimo avviso sono anche gli stessi enti previdenziali. La circolare n. 8

dell’Inail statuisce che la proposta di accordo può interessare anche i crediti già

oggetto di contenzioso, con conseguente rinuncia alle controversie pendenti nel caso

in cui l'accordo transattivo venga approvato. Anche l'Enpals, nella citata circolare n.

15, dopo aver specificato che la proposta dovrà contenere l'indicazione di eventuali

contenziosi pendenti, precisa che la cessazione della materia del contendere attiene

solo alle controversie relative a contributi oggetto della proposta di transazione, e

713

Secondo V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 278, sarebbe possibile “richiamare in via

analogica per la gestione processuale dell'accordo sul debito contributivo le disposizioni

essenziali del regime del concordato tributario quale disciplinato nel secondo comma dell'art.

182ter; con conseguente necessità di una risposta degli enti previdenziali nello stesso termine

concesso alle Agenzie, nonché di un identico esito del contenzioso in corso, dovendo l'accordo

porre una pietra tombale sul rischio afferente ai crediti in questione”.

714

Cfr. A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, cit., 307.

715

La circolare dell'Inps prevede che la rinuncia al contenzioso con l’ente previdenziale deve essere

oggetto di apposita clausola contenuta nella domanda di transazione, con la quale il debitore

riconosce in modo formale ed incondizionato l'esistenza del credito contributivo. La circolare

Inail, analogamente, prevede che “per quanto riguarda il riconoscimento del debito, la relativa

dichiarazione dovrà essere contenuta nella proposta di accordo”.

372

non anche ai giudizi non riferiti a tale proposta.

Quanto ai processi esecutivi eventualmente già in atto, i menzionati documenti

di prassi distinguono a seconda che la proposta di transazione sia presentata in sede

di concordato preventivo o nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

Nel primo caso troverà piena applicazione l'art. 168 legge fall., con la conseguente

sospensione ex lege delle procedure esecutive già instaurate, a decorrere dalla data di

presentazione della proposta: l'ente, pertanto, non sarà tenuto ad emanare alcun

provvedimento formale di sospensione della riscossione forzata in atto, trattandosi di

un effetto automatico. Nella seconda ipotesi, invece, non potendo applicarsi in via

analogica l'art. 168, le circolari in esame dispongono che l'ente, a seguito della

presentazione dell'istanza di transazione, valuterà l'opportunità di sospendere la

riscossione, che sarà eventualmente disposta con apposito provvedimento, comunque

suscettibile di revoca nell'ipotesi in cui l'accordo non venga successivamente

raggiunto716.

Quanto all'effetto processuale estintivo, si ritiene siano perfettamente valide le

argomentazioni già prospettate nel capitolo IV con riferimento alla cessazione della

materia del contendere nei giudizi tributari in corso: pertanto, si concorda con la

circolare dell’Enpals nel ritenere che tale effetto dovrebbe riguardare le sole liti

previdenziali che siano state espressamente ricomprese nella proposta di transazione,

le quali verrebbero conseguentemente ad estinguersi per effetto della sola

omologazione del concordato preventivo, senza che sia all'uopo necessario anche

l'assenso dell'ente che vanta la pretesa contributiva contestata. Al debitore, quindi,

dovrebbe essere accordata la possibilità di escludere dall'ambito della cessazione

anticipata quei giudizi che, per l'eccessiva entità o la manifesta infondatezza della

pretesa vantata dall’ente previdenziale, egli abbia interesse a proseguire.

In merito all'effetto di automatic stay in sede di accordi di ristrutturazione dei

debiti, occorre poi prendere atto delle modifiche apportate dall'art. 48 della l. n.

122/2010: infatti, il nuovo testo dell'art. 182bis prevede che la sospensione possa

716

Le circolari di Enpals ed Inps prevedono che la revoca del provvedimento di sospensione

dell’esecuzione forzata comporterà anche l'aggravio delle sanzioni civili maturate a decorrere dalla

data della sospensione. Inoltre, l'Agente della riscossione potrà insinuarsi nel passivo della

procedura fallimentare successivamente aperta, al fine di ottenere l'ammissione dell'intero credito

iscritto a ruolo.

373

essere ottenuta anche prima della conclusione dell'accordo con la maggioranza dei

creditori, mercé il deposito di apposita istanza nel Registro delle imprese ed il

successivo decreto del Tribunale. Ne deriva che la sospensione delle azioni cautelari

ed esecutive potrà aver luogo anche prima del perfezionamento dell'intesa con gli

enti previdenziali.

In relazione al “consolidamento” del debito contributivo i documenti di prassi

più volte menzionati non contengono alcun riferimento esplicito né a tale effetto, né

al rilascio di una certificazione da parte dell'ente previdenziale al termine della fase

istruttoria (con la sola eccezione della circolare dell’Enpals).

In particolare, la circolare n. 38 dell'Inps prevede solo che la sede provinciale

dell'Istituto dovrà procedere alla “ricognizione sulla complessiva situazione debitoria

dell’azienda” nei 15 giorni successivi al ricevimento della proposta di transazione,

con analisi riguardante non la singola posizione (matricola aziendale), ma l’intera

azienda; successivamente il Direttore Provinciale procederà alla sottoscrizione

dell'accordo, previo parare favorevole della competente Direzione Regionale e

successiva delibera di accoglimento del Consiglio di Amministrazione dell'Ente717.

Un procedimento simile è contemplato dalla circolare n. 8 dell'Inail: questa

prevede che la Sede territoriale competente dovrà procedere alla ricognizione della

situazione debitoria dell'impresa, sulla base degli atti e delle informazioni esistenti;

una volta che l'istruttoria sia stata conclusa (nel più breve tempo possibile), la

proposta di accordo, e la documentazione a corredo, deve essere trasmessa al

Direttore Regionale, con apposita comunicazione nella quale si propone

l'accettazione o il diniego, unitamente ad una relazione nella quale sono indicate le

risultanze dell'istruttoria effettuata. Il Direttore Regionale, infine, esprime

l'accoglimento o il rifiuto della proposta con apposito atto di determinazione

motivato, che andrà immediatamente comunicato al debitore ed all'Agente della

riscossione con raccomandata, a cura della sede territoriale competente.

In entrambi i documenti di prassi una certificazione è prevista per i soli carichi

717

Va tuttavia precisato che l'art. 7, comma 7 d.l. 21 maggio 2010, n. 78, convertito con modifiche

dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, ha soppresso il Consiglio di Amministrazione dell'Inps, devolvendo

le relative funzioni al Presidente dell'Istituto.

374

contributivi iscritti a ruolo, purché si tratti di ruoli già consegnati alla data di

presentazione della proposta di transazione previdenziale: tale certificazione dovrà

essere predisposta dall'Agente della riscossione territorialmente competente, che avrà

cura di comunicarla al debitore e trasmetterla al commissario giudiziale per gli

adempimenti di cui agli artt. 171 e 172718.

Solamente la circolare n. 15 dell'Enpals, come accennato, dispone il rilascio, da

parte dell'ente, di una certificazione attestante il complessivo debito contributivo, da

trasmettere al debitore nei trenta giorni successivi alla data di presentazione della

domanda completa della prescritta documentazione (analogo adempimento è previsto

nell'ipotesi in cui la proposta di transazione sia stata presentata durante la fase delle

trattative che precedono la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti); inoltre

è previsto che sarà lo stesso debitore ad aver cura di richiedere al competente Agente

della riscossione la certificazione dei carichi contributivi iscritti a ruolo.

Tali considerazioni indurrebbero ad escludere che in sede di transazione

previdenziale possa verificarsi quell'effetto di consolidamento in senso sostanziale

che, come visto, una parte della dottrina riconnette alla transazione fiscale ex art.

182ter, comma 2: le incombenze istruttorie a carico degli uffici territoriali si

ridurrebbero ad un'attività meramente ricognitiva della complessiva esposizione

debitoria dell'impresa verso gli enti previdenziali/assistenziali, così come risultante

alla data di presentazione della proposta, sulla scorta dei dati a disposizione in quel

momento. La sede locale dovrebbe limitarsi a rilevare le infrazioni e le inadempienze

già accertate, o al massimo quelle ancora in fase di istruttoria719, avendo cura di non

718

In particolare, la circolare dell’Inps prevede che “Con la società Equitalia si è concordato che la

stessa provvederà a fornire tempestivamente la certificazione contenente tutti i debiti a carico

dell’interessato relativamente a tributi e contributi relativamente a tutti gli enti previdenziali ed

assistenziali [...]. Con atto separato, Equitalia fornirà all'Istituto la certificazione contabile

contenente il saldo debitorio e le specifiche sullo stato del recupero del credito e se vi sono

ipoteche o pignoramenti che tutelano il credito e le eventuali proposte di azioni tese alla

riscossione dell’intero credito. Tale certificazione sarà completa ed analitica tra capitale, mora,

aggi, spese, notifica”.

719

Come prevede la circolare dell’Inps, “La sede, prima di trasmettere la proposta di transazione e la

relativa documentazione alla competente Direzione regionale, dovrà provvedere a valutare tutta

la situazione debitoria dell’azienda, alla luce della documentazione in proprio possesso,

verificando tutte le inadempienze esistenti a carico dell’azienda stessa, siano esse presenti negli

archivi automatizzati o ancora in fase istruttoria”.

375

tralasciare nulla720, senza che gli sia inibita la possibilità di attivare, in futuro, nuovi

controlli di merito sulla posizione contributiva del debitore, con contestazione di

violazioni ulteriori.

Del resto, l'assenza di una certificazione contenente il riepilogo di quest'attività

ricognitiva, e la circostanza che nessuna delle circolari in materia assegna all'ufficio

un termine perentorio per portare a compimento i propri adempimenti721,

costituirebbero ulteriori elementi che farebbero propendere per l'esclusione di ogni

efficacia inibitoria rispetto ad ulteriori ed eventuali attività di controllo avviate

dall'ente interessato.

Ne risulterebbe, dunque, confermata la lettura interpretativa prospettata nel

capitolo III con riferimento alla transazione dei crediti tributari: anche per i crediti

previdenziali gli adempimenti a carico dell'ente sarebbero funzionali alla sola

determinazione del debito per contributi e/o premi dovuti da ammettere alla

votazione, o da soddisfare in misura percentuale o dilazionata in sede di esecuzione

del piano concordatario o dell'accordo di ristrutturazione, fermo restando che anche a

seguito dell'omologazione ad opera del Tribunale l'ente pubblico potrà procedere ad

ulteriori controlli di merito sulla posizione contributiva dell'impresa.

2.5. Eventi patologici e sorte dei crediti contributivi dopo la caducazione

del concordato o dell'accordo di ristrutturazione con transazione previdenziale.

La transazione previdenziale perfezionata in sede di concordato preventivo

presenta un carattere endo-corcorsuale del tutto simile a quello che connota la

transazione avente ad oggetto i debiti d'imposta: ne deriva che eventuali eventi

“patologici” che dovessero successivamente travolgere il concordato omologato

720

La circolare dell’Inps, infatti, prevede che l'accordo dovrà contenere “il coacervo di tutti debiti (in

fase amministrativa, legale e iscritti e ruolo)”. Negli stessi termini si è espressa la circolare n. 15

dell’Enpals.

721

La circolare dell’Inail prevede solo che “sia la fase istruttoria che quella decisoria devono essere

espletate celermente”. La circolare dell’Enpals, che, come visto, è l'unica a disporre il rilascio, da

parte dell'Ente, di una certificazione attestante la complessiva esposizione debitoria, assegna un

termine di trenta giorni per l'espletamento di tale incombenza, senza però specificarne la natura

perentoria o meramente ordinatoria. Solo l'Inps, prevedendo che “la ricognizione sulla

complessiva situazione debitoria dell’azienda deve essere effettuata non oltre i successivi 15

(quindici) giorni dal ricevimento della proposta”, sembrerebbe propenso ad attribuire a tale

termine natura perentoria.

376

determineranno anche il venir meno dell'accordo transattivo, con la conseguente

reviviscenza dell'originario credito per contributi, premi e relativi accessori.

A tal proposito si ritiene che siano pienamente valide le argomentazioni già

illustrate nel precedente capitolo III con riferimento all'ipotesi di annullamento o

risoluzione del concordato contenente una transazione fiscale: l'efficacia non

novativa dell'omologazione comporterebbe che il credito contributivo e/o

assistenziale ammesso al passivo concordatario, seppur soggetto all'effetto

esdebitatorio di cui all'art. 184 anche nel caso di voto contrario del relativo titolare,

verrebbe a “riespandersi” a seguito della successiva caducazione del concordato.

Del medesimo avviso, del resto, è anche la circolare n. 15 dell'Enpals, la quale

prevede che il venir meno del concordato omologato, travolgendo anche l'accordo

raggiunto con l'Ente, consentirà a quest'ultimo di esercitare il proprio diritto di

credito originario.

Qualora, invece, la transazione previdenziale sia stata stipulata nell'ambito di

un accordo di ristrutturazione dei debiti troverà applicazione il comma 7 dell'art.

182ter, la cui formulazione è analoga a quella del citato art. 4, comma 2 del d.m. 4

agosto 2009: ambedue le disposizioni, come già visto in precedenza, prevedono la

“revoca” dell'accordo a seguito dell'inadempimento delle obbligazioni concordate

con il creditore pubblico, e si è già argomentato che la revoca dovrebbe essere intesa

più propriamente in termini di risoluzione dell'accordo transattivo.

Ora, si tratta di stabilire se l'intervenuta caducazione del medesimo abbia come

conseguenza la reviviscenza delle obbligazioni contributive originarie. Anche con

riferimento a tale ipotesi, sembra sufficiente un richiamo alla soluzione interpretativa

avallata dalla dottrina maggioritaria con riguardo alla transazione fiscale in sede di

accordi ex art. 182bis: l'accordo transattivo, dunque, non ha efficacia novativa delle

preesistenti obbligazioni, salvo l'inserimento di apposita clausola che ne contempli

espressamente l'estinzione per novazione, ai sensi di quanto previsto dall'art. 1230,

comma 2 c.c (il che, comunque, suona assai improbabile, in ragione del fatto che

anche per i debiti contributivi vige il principio generale di indisponibilità, che

dovrebbe indurre l’ente previdenziale a non accettare una clausola di tale tenore). Ne

deriva che il successivo venir meno dell'accordo, anche in tale ipotesi, comporterà la

riemersione dell'intero debito originario.

377

Tale soluzione è analoga a quella prevista per l'ipotesi di mancata

omologazione dell'accordo previdenziale da parte del Tribunale: in tal caso, come è

stato chiarito anche dalle circolari di Inps ed Enpals, tornerà ad avere valenza il

credito originario iscritto a ruolo, che l'Agente della riscossione dovrà aver cura di

ammettere per l'intero al passivo della procedura di fallimento eventualmente

instaurata.

378

379

CAPITOLO VI.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Nel presente lavoro si è cercato di proporre un'interpretazione dell'istituto, e dei

suoi pretesi effetti “tipici” di consolidamento del debito fiscale e cessazione del

contenzioso tributario in atto, che si concili sia con i principi del diritto tributario, sia

con le regole che governano il diritto concorsuale in generale, e la procedura di

concordato preventivo in particolare.

Tale tentativo, lo si ribadisce, prende le mosse dalla natura “ibrida” dell'istituto

di cui all’art. 182ter legge fall.: trattasi, per un verso, di un procedimento di diritto

tributario (alla luce del suo particolare oggetto, nonché del soggetto cui è demandata

la valutazione della proposta di transazione), che si snoda attraverso un iter (istanza,

fase istruttoria, fase valutivo - decisoria) pressoché identico a quello di ogni altro

procedimento amministrativo tout court. Per altro verso, la collocazione del

medesimo nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, o in sede di

trattative antecedenti la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti, fanno

della transazione fiscale un procedimento (o meglio un sub-procedimento) di

carattere concorsuale, funzionale alla ricerca di una soluzione concordata della crisi

d’impresa, perfettamente aderente alla ratio sottesa al concordato preventivo ed agli

accordi ex art. 182bis.

Alla luce di tali presupposti si è cercato di attribuire al concetto, invero

alquanto atecnico ed impreciso, di “consolidamento del debito fiscale” un significato

che tenga conto, innanzitutto, della normativa tributaria. Si è visto dunque che il

consolidamento non può comportare l'estinzione dei poteri accertativi di cui

l'Amministrazione finanziaria è investita, ben potendo l'ufficio precedere,

successivamente all'omologazione del concordato ed in via pur sempre eventuale, ai

controlli di merito sui tributi e sulle annualità oggetto della proposta di transazione;

ciò, ovviamente, nel rispetto delle condizioni (rilevazione di fatti e circostanze che

indichino una base imponibile maggiore rispetto a quella dichiarata dal contribuente)

e dei termini decadenziali (i quali variano a seconda del tipo di imposta considerata)

contemplati dal legislatore tributario. La disciplina di cui all'art. 182ter, infatti, non è

suscettibile di apportare deroghe alle disposizioni legislative disciplinanti l'esercizio

380

dei menzionati poteri accertativi.

Sul versante concorsuale, poi, la norma di cui al comma 2 deve essere

interpretata in senso conforme al quadro in cui essa è inserita, ossia compatibilmente

con i principi generali che governano la procedura di concordato preventivo, di cui la

transazione fiscale costituisce una fase, o meglio un sub-procedimento, fra l'altro

solo eventuale ed accessorio. Pertanto, il “consolidamento del debito fiscale” finisce

per partecipare inevitabilmente del carattere procedimentale o endo-concorsuale

della transazione fiscale: nel senso di configurarsi come definitiva quantificazione

del complessivo credito erariale valevole ai soli fini della determinazione del voto

spettante all'ufficio nell’adunanza dei creditori, nonché del quantum da soddisfare,

sia pure in misura percentuale e/o dilazionata, in sede di esecuzione del concordato,

una volta ottenuta l'omologazione.

Ad analoghe conclusioni si è pervenuti per quanto attiene alla transazione

perfezionata in sede di accordi di ristrutturazione dei debiti, con la precisazione che

in tale evenienza la cristallizzazione del debito d'imposta deve essere intesa

esclusivamente nel secondo senso, mancando la fase della votazione: il

consolidamento, dunque, è da intendersi come quantificazione definitiva delle

pretese impositive già esistenti, che andranno soddisfatte in misura ridotta o per

l’intero, a seconda che l'Amministrazione abbia espresso o meno il proprio assenso

sulla proposta transattiva (e dunque a seconda della sua configurazione in termini di

creditore “aderente” all'accordo di ristrutturazione o creditore “estraneo”).

La “cristallizzazione” delle obbligazioni tributarie, dunque, dovrebbe essere

circoscritta in primo luogo al debito derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni

fiscali, intesa come controllo delle medesime effettuato per il tramite di procedure

automatizzate, finalizzate alla rilevazione di errori commessi dal contribuente in sede

di compilazione della dichiarazione, ovvero di ritardi e/o omissioni nel pagamento

del quantum dichiarato: la preclusione, in altri termini, riguarderebbe la sola attività

liquidatoria in senso stretto, ovvero quella disciplinata dagli artt. 36bis del d.P.R. n.

600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972, la cui portata è stata esaminata nel capitolo

III.

In secondo luogo, la cristallizzazione concernerebbe il debito d'imposta già

accertato, ossia le pretese risultanti da atti impositivi precedentemente notificati al

381

contribuente e riepilogati nella certificazione rilasciata dall'ufficio, fatti salvi

eventuali ed ulteriori controlli di merito.

L'intento del legislatore è stato quello di circoscrivere la definitiva

quantificazione dell'ammontare da ammettere alla procedura di concordato alle sole

pretese impositive già emerse a seguito di un'attività accertativa condotta

precedentemente all'instaurazione della procedura concorsuale, ovvero a quelle che

potrebbero emergere all'esito di controlli sulle dichiarazioni fiscali piuttosto rapidi e

non molto complessi, quali quelli svolti in sede di liquidazione automatizzata.

Stando così le cose, sembrerebbe a prima vista che tale lettura non si conformi

pienamente a quella tesi dottrinale722 che ravvisa la ratio della transazione fiscale

nella volontà di porre un argine al fenomeno, particolarmente diffuso in passato,

delle sopravvenienze dei debiti tributari nel corso di una procedura di concordato,

che alterava gravemente la fattibilità dei piani concordatari: la certezza della massa

passiva da soddisfare in moneta concordataria, infatti, era minata proprio dalla

lievitazione del debito fiscale conosciuto o conoscibile in base alle scritture contabili,

dovuta alla possibilità che entro i non brevi termini di decadenza contemplati dal

diritto tributario il debitore fosse raggiunto da accertamenti non preventivati, con il

loro inevitabile carico di interessi e sanzioni (spesso di importo rilevante). Tale

rischio, paradossalmente, sarebbe tanto maggiore quanto più grave è lo stato di

decozione dell'impresa, in quanto, pur a fronte di una situazione che generalmente

esclude la produzione di redditi tassabili, quantomeno nell'ultimo periodo, è un dato

di fatto generalmente assodato la tendenza dell'imprenditore a sottovalutare gli

adempimenti nei confronti di un creditore, qual è il Fisco, visto come lontano e

comunque non pressante nell'immediato723. Secondo tale corrente dottrinale, dunque,

il consolidamento, da intendersi in termini di definitiva cristallizzazione del debito

d'imposta esistente alla data di attivazione della procedura, o meglio nei trenta giorni

dall'avvio della medesima, avrebbe la funzione fondamentale di rimuovere uno dei

722

Cfr. ex multis V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e proposta di concordato preventivo: riflessi

sull'ammissione alla procedura e sul voto dei creditori, in AA. VV., La crisi di impresa. Questioni

controverse del nuovo diritto fallimentare, a cura di F. DI MARZIO, Cedam, Padova, 2010, 380.

723

Cfr. V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e proposta di concordato preventivo: riflessi

sull'ammissione alla procedura e sul voto dei creditori, cit., 380.

382

principali ostacoli alla soluzione concordata della crisi di impresa.

A tutto ciò si aggiungerebbe, sempre a detta di questa dottrina, l’intenzione di

osteggiare l'atteggiamento diffusamente adottato dai funzionari dell'Agenzia delle

Entrate, tradizionalmente arroccati su rigide posizioni di rigetto di ogni soluzione

transattiva, e dunque poco propensi alla rinuncia formale, sia pur solo parziale, ad un

credito da sempre qualificato come indisponibile.

Si consideri che tale problema sembra interessare soprattutto l’ordinamento

giuridico italiano, laddove in altre realtà il dogma dell’indisponibilità delle

obbligazioni fiscali sembra essere non così radicato, e l’azione dell’Amministrazione

finanziaria avviene con maggiore celerità. Si pensi all'ordinamento statunitense, in

cui i debiti per imposte sul reddito (income tax debts), siano essi statali o federali,

sono suscettibili di discharge sia nell'ambito della procedura di Liquidation

disciplinata dal Chapter 7 del Bankruptcy Code, sia nell'ambito della procedura di

Reorganization di cui al Chapter 11724, purché soddisfino determinati requisiti725. In

assenza di detti presupposti i debiti d'imposta godono di privilegio (priority) di

ottavo grado, ai sensi di quanto dispone il Chapter 5, Section 07726; in sede di

724

La proposizione di un'istanza di fallimento (filing for bankruptcy), infatti, è uno dei 5 modi per

ottenere la liberazione dai debiti d'imposta (getting out of tax debts). Gli altri 4 sono: a) installment

agreement (accordo per un pagamento a rate mensili); b) partial payment installment agreement

(accordo per un pagamento rateale parziale), c) offer in compromise (pagamento in unica soluzione

con riduzione dell'importo dovuto); d) not currently collectible (sospensione del pagamento

accordata dall'Internal Revenue Service, ossia l'Agenzia nazionale competente in materia di

imposizione fiscale). Prima che la procedura di Chapter 7 o 13 sia concessa il proponente deve

dimostrare di aver presentato all'IRS le ultime 4 dichiarazioni dei redditi: queste vanno presentate

al più tardi entro la data prevista per la prima riunione dei creditori. Inoltre è richiesta la copia

della più recente dichiarazione dei redditi, da fornire alla corte fallimentare e, su richiesta, anche ai

creditori.

725

In particolare, la data per presentare la dichiarazione dei redditi, da cui scaturisce il debito di

imposta, deve essere precedente di almeno tre anni la presentazione dell'istanza di bankruptcy; la

dichiarazione deve essere stata presentata almeno 2 anni prima la proposizione dell'istanza;

l'accertamento tributario (tax assessment) da parte dell'IRS deve essere precedente di almeno 240

giorni la proposizione dell'istanza; la dichiarazione non è fraudolenta; il contribuente non è

colpevole di evasione fiscale.

726

In particolare, il privilegio è accordato a: a) imposte sul reddito relative ad anni di imposta che

terminano con la presentazione dell'istanza di fallimento o prima, la cui dichiarazione, se dovuta,

scade (incluse eventuali proroghe) nei tre anni precedenti la presentazione dell'istanza, ovvero

imposte sul reddito accertate nei 240 giorni precedenti la presentazione dell'istanza, oppure ancora

imposte sul reddito ancora suscettibili di accertamento; b) imposte patrimoniali (property tax on

real estate) sorte prima dell'inizio della procedura, e pagabili entro l'anno precedente la

presentazione dell'istanza di bankruptcy; c) ritenute d'acconto trattenute dal debitore; d) imposte su

stipendi, salari e commissioni corrisposti dal debitore (employment tax), per le quali la relativa

383

reorganization tali crediti, insieme ai relativi interessi, andranno soddisfatti in sei

anni. Ancora, ai sensi del medesimo Chapter 5, Section 23, la falcidia non può aver

luogo qualora la dichiarazione, se dovuta, non è stata presentata, o è stata presentata

tardivamente.

Viceversa, l'Enterprise Act britannico del 2002 ha espunto dalla categoria dei

crediti privilegiati (preferential debts) i debiti per imposte e tasse, relegandoli al

rango di crediti chirografari.

Tornando alla realtà italiana, la validità della soluzione interpretativa che si è

tentato di prospettare potrebbe essere recuperata circoscrivendo il consolidamento, e

dunque la cristallizzazione del carico fiscale, alle sole pretese impositive già

accertate, o emergenti dalla liquidazione automatizzata delle dichiarazioni fiscali

presentate sino alla data di proposizione dell'istanza di transazione.

La ratio della norma di cui al comma 2 sarebbe quella di impedire che dopo il

rilascio della certificazione, o comunque dopo il decorso del termine di trenta giorni

all'uopo contemplato, l'ufficio possa pretendere l'ammissione al passivo

concordatario di debiti ulteriori, già esistenti o comunque derivanti da controlli

piuttosto rapidi e non molto complessi. In tal modo si impedirebbe

all'Amministrazione finanziaria, rimasta in un primo momento colposamente inerte,

di avanzare in un secondo momento pretese che avrebbero ben potuto essere fatte

valere nei termini previsti dal legislatore concorsuale: termini piuttosto ridotti, per la

verità, ma consoni rispetto alle serrate scadenze che connotano la procedura di

concordato, e concepiti essenzialmente allo scopo di garantire il debitore proponente

e gli altri creditori concorsuali. L'intento, infatti, è quello di rendere edotti tali

soggetti del reale ammontare del carico tributario già esistente, consentendo loro di

misurare su di esso le proprie valutazioni (concernenti dal lato del debitore il riparto

delle limitate risorse a disposizione, e dal lato dei creditori destinatari della proposta

concordataria la convenienza della medesima).

Ne consegue che la preclusione, così intesa, si concilierebbe con l'intento

dichiarazione scade nei tre anni anteriori alla presentazione dell'istanza di bankruptcy; e) imposte

sulle transazioni (excise tax) compiute prima della presentazione dell'istanza di fallimento, per le

quali è richiesta una dichiarazione entro i tre anni precedenti, oppure, se non è richiesta una

dichiarazione, concluse nei tre anni precedenti; f) dazi doganali (customs duty) applicati su merci

importate per il consumo nell'anno precedente la presentazione dell'istanza, coperti da un'entrata

liquidata o riliquidata nell'anno precedente.

384

legislativo di limitare al massimo l’emersione di nuovi carichi tributari in corso di

procedura, ponendo uno sbarramento temporale oltre il quale non sarà più possibile

per il creditore pubblico far valere pretese impositive già accertate, o agevolmente

accertabili.

Va rilevato, tuttavia, che se gli ordinari poteri accertativi restano salvaguardati

dal punto di visto giuridico, sembrerebbe piuttosto ravvisabile una preclusione di

tipo “pratico” o “fattuale” al proficuo esercizio dei medesimi in un momento

successivo alla chiusura della procedura di concordato. Si pensi all’ipotesi di

concordato societario con cessione di beni e successiva estinzione della società

istante: in tal caso non vi sarebbe più un soggetto nei confronti del quale far valere le

pretese accertate dopo la chiusura della procedura concordataria.

Tale considerazione si connette al problema più generale della sorte dei crediti

anteriori ad un concordato con cessione di beni, che non abbiano partecipato alla

procedura ma siano emersi solo successivamente all’omologazione ed all’esecuzione

del concordato. Nel silenzio del legislatore non è chiaro quale debba essere il

trattamento da riservare alle suddette pretese: qualcuno in dottrina ha sostenuto che

l’unica soluzione potrebbe essere quella di riconoscere una legittimazione passiva

pro quota in capo ai creditori cessionari, atteso che il concordato avrebbe nei

confronti del debitore una definitiva efficacia liberatoria727. Altri, invece, fanno leva

sulla distinzione tra concordato traslativo, che comporta l’immediato trasferimento in

capo ai creditori della titolarità dei beni d’impresa728, e concordato liquidatorio, in cui

ai creditori è attribuito la sola disponibilità dei medesimi: se nel primo caso le

ragioni dei creditori sopravvenuti potranno essere fatte valere nei confronti dei

cessionari, comproprietari dei beni ceduti, nel secondo sarà possibile agire nei

727

In tal senso cfr. MICCIO, La cessione dei beni nel concordato, Giuffrè, Milano, 1953, 279, nonché

F. DEL VECCHIO, Il divieto di azioni esecutive nel concordato preventivo, in Fall., 1995, 700,

secondo cui l’efficacia liberatoria deriva dalla sentenza di omologazione.

728

Sulla “cessione traslativa”, che devolve ai creditori la proprietà dei beni, nel senso che la titolarità

(e non la mera disponibilità) dei medesimi viene attribuita ai creditori, che costituiscono una

comunione indivisa caratterizzata dall’indeterminatezza dei soggetti e dall’elasticità delle quote,

cfr. F. FILOCAMO, Commento sub art. 168, in M. FERRO, La legge fallimentare. Commentario

teorico – pratico, cit.,1265. Negli stessi termini cfr. anche M. VITIELLO, Il concordato per

cessione dei beni, in S. AMBROSINI – P. G. DEMARCHI – M. VITIELLO, Il concordato

preventivo, cit., 359 e ss.

385

confronti del debitore, che conserva la titolarità dei beni fino alla vendita, ossia fino

all’integrale esecuzione della proposta729.

Le difficoltà pratiche di tale soluzione interpretativa indurranno

l’Amministrazione ad esercitare subito i propri poteri accertativi (specie in presenza

di processi verbali, inviti o ulteriori elementi istruttori già a disposizione

dell’ufficio), onde evitare la perdita di materia imponibile inevitabilmente connessa

alla successiva scomparsa del soggetto passivo d’imposta.

Quanto, poi, all'effetto estintivo di cui al comma 5, anche per esso si è cercato

di delineare una soluzione interpretativa che concili tale disposizione vuoi con la

normativa tributaria, vuoi con quella concorsuale.

Sotto il primo profilo, occorre considerare che l'Amministrazione finanziaria

sarà comunque interessata all'estinzione del contenzioso, posto che la cessazione

della materia del contendere per intervenuta conclusione di una transazione fiscale

rende definitiva la pretesa contenuta nell'atto impositivo impugnato, nonostante la

relativa falcidia. Il debitore, da par suo, avrà interesse all'immediata cessazione della

lite qualora l'esito del contenzioso si profili a lui sfavorevole, onde evitare l'addebito

delle spese processuali, in aggiunta all’onere di dover corrispondere il maggior

debito d’imposta, sia pure solo parzialmente; diversamente, nel caso in cui sia

prevedibile l'accoglimento del proprio ricorso, a fronte della manifesta infondatezza

o eccessiva gravosità della pretesa impositiva sub iudice, è naturale che

l'imprenditore opterà per un'esclusione della medesima dal novero delle obbligazioni

tributarie oggetto della proposta di transazione, al fine di ottenere la prosecuzione del

contenzioso in atto, che si concluderà con il probabile annullamento dell’atto

impositivo.

Inoltre, sul versante propriamente concorsuale, tale lettura consentirebbe di

conciliare la disposizione di cui trattasi con la regola generale della prosecuzione (o

instaurazione ex novo) degli ordinari giudizi di cognizione, di cui al comma 1

dell'art. 176: la possibilità di “selezionare” le controversie tributarie da estinguere,

729

Cfr. A. BONSIGNORI – E. FRASCAROLI SANTI – G. NARDO – M. ZOPPELLARI, Il

concordato preventivo e quello stragiudiziale, in Le procedure concorsuali. Procedure minori,

Trattato diretto da G. RAGUSA MAGGIORE e C. COSTA, Utet, Torino, 2001, I, 118.

386

infatti, permette di “salvaguardare” il residuo contenzioso, lasciando il debitore

libero di impugnare pretese non condivise nell'an o nel quantum, al pari di quanto

avverrebbe con qualsivoglia altra tipologia di credito ammesso a partecipare ad una

procedura concordataria.

Per concludere, lo scopo del consolidamento e dell'estinzione delle liti in corso

sarebbe dunque quello di quantificare il debito erariale in modo chiaro, rapido e

soprattutto definitivo, realizzando in seno alla procedura concordataria un assetto

stabile e trasparente dei rapporti fra l'imprenditore in crisi ed il Fisco.

Ciò anche al fine di consentire agli altri creditori concorsuali di esprimere un

“consenso informato” sulla proposta di concordato, partecipando alle operazioni di

voto nella piena consapevolezza delle reale situazione economica e finanziaria

dell'impresa e delle effettive possibilità di riuscita del piano di cui all'art. 160. E’

ovvio, infatti, che la successiva emersione di debiti d'imposta già accertati, di cui

costoro non erano ancora a conoscenza al momento della votazione, ridurrebbe le

risorse destinate al soddisfacimento delle loro pretese, pregiudicandone gli interessi,

e finirebbe così per determinare una situazione che, se conosciuta prima, ben

difficilmente li avrebbe indotti ad esprimere il loro assenso sulla proposta di

concordato.

Alla base delle disposizioni di cui all'art. 182ter vi sarebbe dunque una duplice

esigenza: da un lato, quella di assicurare una maggiore certezza, relativamente non

solo al complessivo ammontare dei debiti d’imposta da soddisfare nell'ambito del

concordato, ma anche al carattere privilegiato o meno degli stessi, alla definitività o

meno dei rispettivi titoli costitutivi, alla riferibilità del credito erariale al solo tributo

o anche ai relativi accessori. Dall'altro lato, si pone un'esigenza di celerità, in perfetta

aderenza con i caratteri propri della procedura concordataria, nell’ambito della quale

la necessità di una sollecita definizione consensuale della crisi è nettamente

prevalente su ogni altro interesse o valore: pertanto, la quantificazione del debito

tributario andrebbe effettuata entro il ridotto lasso temporale rigorosamente prescritto

dal legislatore (trenta giorni dalla presentazione della proposta di transazione), da

reputarsi perentorio proprio in considerazione dei tempi serrati che caratterizzano

l'intera procedura di concordato preventivo.

387

Se l'intento di garantire maggiore certezza e rapidità nella determinazione dei

crediti erariali ammessi a partecipare ad una procedura di concordato è

indubbiamente condivisibile, discutibili però sono le concrete modalità con cui il

legislatore ha inteso realizzarlo: il testo dell'art. 182ter, infatti, contiene soltanto un

accenno ai due effetti peculiari per mezzo dei quali si sarebbe inteso perseguire quel

duplice obiettivo, finendo per sollevare molteplici difficoltà interpretative, su cui

tuttora è serrato il dibattito in dottrina e giurisprudenza, come si confida di aver

illustrato nei capitoli precedenti.

388

389

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