La Cosmologia Di Massimo Confessore

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La cosmologia di Massimo il Confessore di Rosanna Gambino In «Cosmogonie e cosmologie nel medioevo, Louvain 2008 Nei Capita theologica et oeconomica (IV) I, 10 vi è un’affermazione importante, non solo per la metafisica, ma anche per la cosmologia e la cristologia di Massimo il Confessore che così suona:«Dio è principio, mezzo e fine degli esseri, in senso attivo e passivo […]. Infatti, è principio in quanto è il Creatore, mezzo in quanto Provvidenza, fine come limite, poiché “da Lui – come dice San Paolo – e per mezzo di Lui e in Lui è tutto”» 1 . Per Massimo, il principio non indica una “condizione” che ha realmente preceduto l’esistenza presente, nella quale la perfezione dello stato finale abbia avuto un totale e reale compimento; piuttosto il principio, e con esso anche l’inizio, sono l’eterna decisione creatrice di Dio che precede l’esistenza concreta. La decisione comprende non solo l’intenzione di Dio di creare questo determinato essere particolare , ma anche la finalità propria dello stesso Dio. Secondo Massimo, Dio, come si legge in Mystagogia XIV, ha un modo d’esistere semplice e sconosciuto, a tutti inaccessibile e totalmente in - indagabile, «[…] al di là di ogni affermare e negare[…]» 2 , in una sorta di «coincidentia oppositorum» ante litteram. In particolare, Massimo, spiegando allegoricamente la Trasfigurazione di Cristo sul Tabor, presenta la luminosità del suo volto come metafora della teologia apofatica in cui, «il fatto stesso di non conoscere nulla, è un conoscere superiore all’intelletto, come hanno detto in qualche luogo i teologi Gregorio e Dionigi» 3 . «Lo splendore del volto del Signore è un’immagine della teologia mistica negativa, secondo cui la beata e santa Divinità è, per sua natura, superineffabile e superinconoscibile, infinite volte più irraggiungibile di ogni infinito e agli esseri che si trovano al di sotto non concede assolutamente la minima traccia di comprensione, né permette di giungere ad una cognizione di come essa possa a un tempo essere Unità e Trinità poiché alla creatura non spetta comprendere l’Increato, né al limitato è possibile abbracciare col pensiero l’Illimitato» 4 . 1 MASSIMO IL CONFESSORE, Capita theologica et oeconomica, (IV), I, 10, MIGNE, (8), 90, 1085 D – 1088 A. 2 Idem, Mystagogia, XIV, MIGNE, (8), 91, 664 C. 3 Idem, Capita de caritate, (III), I, 100, MIGNE, 90, 984 A. 4 Idem, Ambiguorum liber, I, 10, MIGNE, 91, 1168 A-B. 1

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La cosmologia di Massimo il Confessore

di Rosanna Gambino

In «Cosmogonie e cosmologie nel medioevo, Louvain 2008

Nei Capita theologica et oeconomica (IV) I, 10 vi è un’affermazione importante, non solo per la

metafisica, ma anche per la cosmologia e la cristologia di Massimo il Confessore che così

suona:«Dio è principio, mezzo e fine degli esseri, in senso attivo e passivo […]. Infatti, è principio

in quanto è il Creatore, mezzo in quanto Provvidenza, fine come limite, poiché “da Lui – come dice

San Paolo – e per mezzo di Lui e in Lui è tutto”»1.

Per Massimo, il principio non indica una “condizione” che ha realmente preceduto l’esistenza

presente, nella quale la perfezione dello stato finale abbia avuto un totale e reale compimento;

piuttosto il principio, e con esso anche l’inizio, sono l’eterna decisione creatrice di Dio che precede

l’esistenza concreta. La decisione comprende non solo l’intenzione di Dio di creare questo

determinato essere particolare , ma anche la finalità propria dello stesso Dio.

Secondo Massimo, Dio, come si legge in Mystagogia XIV, ha un modo d’esistere semplice e

sconosciuto, a tutti inaccessibile e totalmente in - indagabile, «[…] al di là di ogni affermare e

negare[…]»2, in una sorta di «coincidentia oppositorum» ante litteram.

In particolare, Massimo, spiegando allegoricamente la Trasfigurazione di Cristo sul Tabor, presenta

la luminosità del suo volto come metafora della teologia apofatica in cui, «…il fatto stesso di non

conoscere nulla, è un conoscere superiore all’intelletto, come hanno detto in qualche luogo i teologi

Gregorio e Dionigi»3. «Lo splendore del volto del Signore è un’immagine della teologia mistica

negativa, secondo cui la beata e santa Divinità è, per sua natura, superineffabile e

superinconoscibile, infinite volte più irraggiungibile di ogni infinito e agli esseri che si trovano al di

sotto non concede assolutamente la minima traccia di comprensione, né permette di giungere ad una

cognizione di come essa possa a un tempo essere Unità e Trinità poiché alla creatura non spetta

comprendere l’Increato, né al limitato è possibile abbracciare col pensiero l’Illimitato»4.

1 MASSIMO IL CONFESSORE, Capita theologica et oeconomica, (IV), I, 10, MIGNE, (8), 90, 1085 D – 1088 A.2 Idem, Mystagogia, XIV, MIGNE, (8), 91, 664 C.3 Idem, Capita de caritate, (III), I, 100, MIGNE, 90, 984 A.4 Idem, Ambiguorum liber, I, 10, MIGNE, 91, 1168 A-B.

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PIERO
Highlight
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PIERO
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Accanto agli attributi presenti in questo passo, riguardanti la sublime infinitudine di Dio, «Monade

divina e ineffabile» (Qei;a kai; a[rrhto~ monav~) sono da ricordare, per la teologia apofatica,

gli appellativi introdotti dall’ av privativa come i seguenti, che si leggono in una splendida

sequenza degli Ambigua (I),: «del tutto indivisibile» (ajmerhv~ pavnth‘), «totalmente senza

quantità» (pantelwÖõ a[poso~), «totalmente senza qualità» (pantelwÖõ a[poioõ), «del tutto

infinito» (pavnth‘ a[peiro~), «totalmente imprincipiato» (pantelwÖõ a[vnarcoõ), «del tutto

ingenerato» (ajge;nnhtoõ panth‘), «assolutamente ineffabile e inconoscibile» (panta;pasin

a[rrhtovõ te kai; a[gnwstoõ).

Tutte queste espressioni indicano inoltre l’assoluta trascendenza dell’oujsi;a di Dio che, oltre ad

essere imperscrutabile, è anche espressione di definizioni antitetiche come: «La Trinità è, infatti,

veramente Monade, perché così è; e la Monade è veramente Trinità, perché così sussiste[…]»5. Si

trova in Massimo anche l’uso di ejpevkeina per cui ricordiamo, fra tutte le Quaestiones ad

Thalassium (VIII), «infinite volte […] al di là di tutto» (ajpeira;kiõ ajpei;rwõ ....ejpe;keina

pa;ntwn)6.

All’ousia di Dio spettano, altresì, secondo il Confessore, tutti gli attributi e gli appellativi introdotti

da uJpevr come : «al di sopra della bontà» (ujpera;gaqoõ), «al di sopra della

potenza» (ujperdu;namoõ) «al di sopra della sostanza» (ujperou;sioõ), «al di sopra della

Sapienza» (ujperso;foõ), «al di sopra di ogni essenza» (pa;shõ oujsi;aõ ujpere;keina).

Infine, ricordiamo numerosi appellativi composti con aujto;, fra i quali sono da rilevare:

«autologos» (aujtolo;goõ), «autoessenza» (aujtoousi;a), «autosapienza» (aujtosofi;a). Questi

ultimi appellativi esprimono propriamente l’affacciarsi di Dio, il “traboccare” di Dio fuori di sé, il

tracimare di Dio: ovvero quello che Dionigi Aeropagita chiama teologia positiva o catabatica, la

pròodos di Dio. In quanto tali, questi attributi possono essere intesi come opere (e[rga) di Dio.

Il “traboccare” (volontario e conseguente alla Bontà) di Dio fuori di Sé è, nel contempo, Dio stesso

e opera di Dio stesso: è la prima “opera” (dal punto di vista ontologico) dell’esistente reale che può

in qualche modo essere afferrato e compreso dalla mente umana.

5 Idem, Ambiguorum liber, MIGNE, 91, 1036 C.6 Idem, Quaestiones ad Thalassium, (VII), 63, MIGNE 90, 673 D.

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Ne consegue che tutti gli appellativi (sapienza in sé, bontà in sé etc) esprimono ciò che Dio «più

primariamente è» (ta; prw;toõ o[nta): quindi si possono considerare e chiamare “enti”,

distinguendosi in qualche modo dall’ousìa di Dio che, rimanendo sempre e comunque nascosta

dietro le opere o manifestazioni dell’ousìa stessa di Dio, né si può in alcun modo nominare né si

può in alcun modo considerare come un ente.

Ne consegue che, mentre l’ousia di Dio non è un ente ed è un non-ente (perché al di sopra e oltre

ogni “entità” e sostanza), le opere più immediatamente prossime all’ousia di Dio, invece sono enti,

anzi, come dice Massimo, «enti primissimi»: non nel senso che queste opere abbiano una qualche

ipostasi propria, ma semplicemente perché in qualche modo noi possiamo cogliere l’esistenza di

essi e perché possiamo dire in maniera affermativa ciò che sono, contrariamente a quanto avviene

nei confronti dell’ousia di Dio, della quale non possiamo dire né in maniera positiva, né in maniera

negativa ciò che non è.

Le opere ( o enti) più «prossimamente immediate» all’ousia di Dio stesso, che sono Dio e

manifestazioni di Dio e che Massimo chiama con l’espressione dionisiana «i primissimi enti»,

corrispondono con ciò che Dionigi Areopagita chiama «nomi» e «partecipazioni in sè»: quindi sono

enti (o opere) increati. E’ attraverso queste Sue opere e “primissimi enti” che Dio : «…dal nulla

portò all’essere degli esistenti…»; ed Egli è personalmente e perennemente presente in ogni

sensibile particolare; offre all’uomo una scala dalla quale poter risalire, gradualmente e

ordinatamente alla Sua non conoscenza.

Il motivo per cui Dio, nella Sua Onnipotenza, crea, è la sua Bontà: «Dio, sussistendo dall’eternità

come Creatore, quando vuole crea col Verbo consustanziale e con lo Spirito per infinita bontà»7.

Accanto all’opera creatrice di Dio, la teologia catafatica considera la Sua attività provvidenziale :

«Unica, semplice, una, senza qualità, piena di pace e di stabilità è la Sostanza Infinita, onnipotente e

creatrice di tutto. Ogni creatura, invece, è composta di sostanza e accidente, e ha sempre bisogno

della divina provvidenza, non essendo libera da mutevolezza»8.

In un passo molto significativo degli Ambigua (I) Massimo spiega che, considerando gli enti per

mezzo di un metodo razionale, gli uomini sono giunti a cogliere, a partire dagli effetti, la loro

Causa. In particolare i concetti di sostanza, differenza, movimento sono molto utili come iniziazione

alla conoscenza di Dio: « […] Dio diviene conoscibile agli uomini, che colgono dagli enti i segni di

Lui come Creatore, Provvidente e Giudice […]. Poiché la sostanza è maestra di teologia, cercando

per mezzo di essa, la causa degli enti, veniamo a sapere, per mezzo di loro, che la Causa esiste,

senza tuttavia giungere a conoscere cosa sia sostanzialmente codesta Causa, perché tra gli enti non

vi è nemmeno un barlume di immagine, che ci permetta in alcuna maniera di risalire dal causato alla 7 Ibidem, Capita de caritate, (III), IV, 3, MIGNE, 90, 1048 C.8 Ibidem, Capita de caritate (III) , IV, 3, MIGNE, 90, 1049 B.

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Causa. Il movimento è poi un segno della Provvidenza degli enti, per mezzo del quale,

contemplando l’identità essenziale, immutabile di ogni ente generato nella sua specie e nel suo

orientamento costante e senza deviazione, riconosciamo Colui che conserva e mantiene in un’unità

ineffabile tutte le cose, che sono state saggiamente delimitate le une rispetto le altre, conformante ai

logoi secondo i quali ciascuna sussiste. La differenza è poi un segno del Giudizio; […] non parlo

qui di una Provvidenza che converte e , per così dire, dirige il ritorno di quelli di cui si cura da ciò

che è proibito a ciò che è dovuto, ma della Provvidenza della Mente che mantiene l’universo e lo

conserva in modo conforme ai logoi originari del suo essere. Né si parla di un Giudizio che educa e,

per così dire, castiga coloro che peccarono, ma della divisione che mantiene gli enti nella loro

delimitazione. Per essa ciascun ente generato, in uno stretto legame con il logos secondo il quale fu

creato, mantiene inviolabilmente la conformità alla legge immutabile della sua identità naturale, nel

modo in cui il Creatore ha distinto e determinato da principio il suo essere, la sua essenza, il suo

modo e la sua qualità […]. E avendo inteso, per mezzo di un metodo razionale, che la Causa in

diversi modi si offre alla contemplazione nei causati, compresero pienamente che esiste e che è

saggia e vivente»9.

Ora, se ogni essere particolare è espressione sensibile di un logos divino, ne consegue che tra

mondo sensibile e mondo intellegibile si instaura un rapporto di mutua correlazione : il mondo

intelligibile in qualche modo è “contenuto” in ogni singolo particolare ed ogni singolo particolare è

“precontenuto” nel mondo intellegibile.

Dio, quindi, in primo luogo vuole singolarmente ogni esistente particolare; nel volere le cose, Dio

“assegna” ad ogni esistente particolare una determinazione (proorismo;õ) propria, che contiene la

quiddità della cosa e la sua collocazione e funzione nel cosmo; ad ogni logos, inteso come

definizione e come concetto di ogni singolo particolare, corrisponde un logos proprio, cui, a sua

volta, corrisponde un essere particolare proprio. Viceversa: ad ogni essere particolare proprio

corrisponde un logos (parola), cui corrisponde un logos (concetto) e, quindi, una precisa volizione,

esistente nel Logos (Mente) di Dio. In definitiva: i sensibili particolari sono espressioni (rh;mata)

del Logos (della Mente/ Volontà/Intenzione di Dio) realizzate o se, vogliamo, confluenza nei singoli

particolari logoi (pensieri/volizioni) in Lui ab aeterno preesistenti.

Intesi come pensieri, i logoi presuppongono un carattere personale: tra il Logos (di Dio), Persona

per eccellenza e il logos di ogni singola persona umana, viene quindi ad instaurarsi un dia-logos,

che si fonda sui nomi delle cose e si sviluppa a partire da essi. Prerogativa indispensabile, quindi,

per il retto agire dell’uomo è la conoscenza dei logoi degli esseri particolari che, pertanto, può

avvenire solo attraverso una rivelazione divina. E dal momento che tutti i logoi riposano nel Logos

9 Ibidem, Ambiguorum liber, (I), 10, MIGNE, 91, 1133 B – 1136 B.

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divino, ne consegue che la conoscenza dei singoli logoi conduce direttamente al Logos, ovvero alla

conoscenza di Dio.

Per Massimo i logoi non sono identici all’essenza di Dio, dato che non sono essere attuale e

infinito; nello stesso senso: seguendo Dionigi, che aveva identificato i paradeivgmata e logoi

preesistenti, definendoli voleri divini e buoni, il Confessore afferma che questi logoi , preesistenti

nel Consiglio divino, principi della creazione, sono volizioni. Così scrive: «Non è, infatti, possibile

che Ciò che è al di sopra delle cose esistenti le conosca a partire dal loro esistere, ma diciamo

piuttosto, aggiungendo anche ciò che è stato convenientemente osservato, che conosce le cose

esistenti come proprie volizioni. Se, infatti, ha creato tutto di propria volontà, e nessuno confuterà

che Dio conosca il proprio volere, e che sia secondo pietà e giustizia ammettere che ha fatto

volontariamente ciascuna creatura, dunque Dio conosce le cose esistenti come proprie volizioni,

poiché le ha create volontariamente»10.

Nello stesso tempo, i logoi e le Idee non coincidono con l’esistenza delle cose nel mondo creato11:

queste non sono state condotte all’esistenza simultaneamente alle loro Idee, ma vengono create al

momento opportuno, in modo conforme ai loro logoi, secondo la Sapienza divina. «E in Lui sono

saldamente fondate le Idee di tutte le cose, secondo le quali si dice che Egli le conosce tutte, prima

della loro genesi, poiché sono in Lui e da Lui, nella verità stessa di tutto. Ciò vale anche se tutte le

cose stesse nel loro insieme, sia quelle che sono, che quelle che saranno, non sono state condotte ad

esistere simultaneamente alle loro Idee, e al loro essere conosciute da Dio, bensì vengono create,

secondo la Sapienza creatrice, ciascuna al momento opportuno, in conveniente conformità con la

propria Idea, e ciascuna ottiene l’esistenza per se stessa. In verità, il Creatore è sempre in atto,

mentre quelle sono in potenza, non ancora in atto; invero, non è neppure possibile che siano insieme

l’Illimitato e il limitato, né si potrà presentare nessun ragionamento che dimostri che possano essere

condotti ad identità l’Incommensurabile con il commensurabile, l’Assoluto con il relativo, che è Ciò

di cui non si predica nessuna specie di categoria sia associato a ciò che è costituito dall’insieme di

esse»12. Inoltre, precisa Massimo riguardo il rapporto fra Idee e cose esistenti: «…le cose della cui

essenza presso Dio preesistono le Idee, sono invero precisamente quelle che, secondo il divino

decreto, vengono all’esistenza…»13, tale affermazione esclude una concezione delle Idee come

mondo di meri possibili.

Nella dottrina di Massimo sul rapporto fra Idee, logoi, Logos, accanto agli elementi che abbiamo

appena presentato ed alla riaffermazione dell’assoluta trascendenza del Creatore nei confronti della

10 Ibidem, Ambiguorum liber, (I), 7, MIGNE, 91, 1085 B11 Cfr, M. L. GATTI, Massimo il Confessore, saggio di bibliografia ragionata e contributi per una ricostruzione scientifica del suo pensiero, ed. Vita e Pensiero, Milano 1987, pp.361-362.12 MASSIMO IL CONFESSORE, Ambiguorum liber, I, 7, MIGNE, 91, 1081 A – B.13 Ibidem, Ambiguorum liber, (I), 7, MIGNE 91, 1329 B.

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creatura, è da segnalare anche l’unificazione di tutti i logoi nel Logos, fondata sul mistero

dell’Incarnazione del Verbo, concezione grazie alla quale viene corretta e inverata la dottrina

alessandrina del Logos. Secondo questa dottrina, in Massimo si ha una triplice Incarnazione del

Logos:

• Quella che si verifica nei logoi dei singoli particolari,

• Quella che si riconosce nei logoi (parole) della Sacra Scrittura,

• Quella in cui il Logos Cristo assume la carne umana.

In questo modo il Logos costituisce il punto di incontro di tutti i logoi particolari; benché di numero

infinito i logoi che si riconducono al Logos di Dio non implicano una pluralità o composizione ma:

«Come al centro la posizione delle linee rette che sono tratte da esso si scorge del tutto indivisa,

così risultano trovarsi tutti i principi degli esseri preesistenti in Lui con una conoscenza semplice e

indivisa»14. Il problema dell’unificazione dei logoi nel Logos viene risolto da Massimo

nell’ajsuvgcutoõ e[vvnwsiõ del dogma calcedoniano dell’Incarnazione del Verbo, centro del

cosmo e della storia, per il quale rimangono pertinenti i principi della teologia catafatica e apofatica:

in questa relazione non si ha una semplice identificazione, perché vengono serbate identità e

differenza, dato che proprio nella loro distinzione i logoi sono tenuti insieme dal Logos, loro Causa,

e tale unità, preesistente nel buon Consiglio divino, viene considerata uJpartikwvõ solo in

prospettiva escatologica.

Contro Origene che vedeva la creazione come risultato del Movimento delle anime in quanto

stanche di stare impassibili in Dio (ki;nesiõ - ge;nesiõ- sta;siõ), Massimo antepone il

movimento alla creazione del mondo, considerandolo come un’apparenza naturale del creato

(ge;nesiõ -ki;nesiõ- sta;siõ). In quanto tale, il movimento è anch’esso creato assieme col

mondo, è intrinseco alla creazione e, quindi, non è conseguenza del peccato né qualcosa di per sé

negativo: in quanto creato da Dio, il movimento è un bene. Finalità dell’uomo non è quella di

annullare il movimento ma di “pilotarlo”in maniera conforme (eJnergopoieiÖn).

Il movimento del cosmo è, nella sua esistenza terrena, una passività; il cosmo si muove verso Dio;

sicchè nella passività c’è movimento, e nel movimento passività. Così scrive Massimo:«Quanto è

creato possiede passivamente il movimento, poiché non è movimento in sé, dinamismo in sé. Se

dunque anche gli spiriti sono creati, vengono mossi necessariamente, in quanto, allontanati

naturalmente da un’origine in forza della loro ex-sistenza (diav to; ei\nai), sono spinti verso una

meta, e ciò volitivamente, per amore dell’esistenza ricca di valori (diav to; eu \ei\nai). Il fine,

14 Ibidem, Ambiguorum liber, II, 4, MIGNE, 91, 1077 C

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invero, del movimento, rispetto a coloro che sono mossi, risiede nell’esistenza eterna e buona (ajei;

eu \ei\nai);;;;;; così l’origine è l’esistenza in generale ed è Dio. Egli, infatti, è il datore

dell’essere, così come è il donatore della grazia d’essere nel bene, in quanto è origine e fine»15.

Occorre osservare che la concezione che Massimo ha del cosmo è fondata sulla triade ousìa –

dyvnamis – energheia: un essere è, è capace di agire, agisce.

Si tratta di un universo triadico, ma la triade di cui è costituito non è quella neoplatonica di mone,

pròodos, ed epistrophè: il movimento non è caratterizzato da uscita e ritorno, ma è semplicemente

un anello di congiunzione tra essere e compimento.

Questa innovazione è possibile perché, mentre nella concezione plotiniano-procliana pròodos ed

epistrophè appartengono alla categoria della quiete, le posizioni si invertono nella dottrina di

Massimo, secondo la quale solo la dyvnamis spetta alla categoria del movimento ed invece ousìa e

enèrgheia rientrano in quella della quiete.

«A partire dalla dottrina aristotelica del movimento come passaggio dall’essere in potenza all’essere

in atto, inverata e rifondata dalla concezione biblica creazionista, il Confessore dimostra che la

kinesis non è la conseguenza di una caduta e di una ribellione, bensì la positiva caratteristica della

realtà creata, che tende verso la realizzazione della propria natura»16.

Attraverso la suddivisione in triadi, non sempre formulate con coerente precisione terminologica,

Massimo afferma che Dio è il Principio, il Creatore del divenire. La sostanza, la natura degli enti

creati si realizza nel movimento, che tende all’atto, fino a raggiungere Dio che può essere detto

Principio e Fine, Creatore, Provvidenza, Meta: «Invero, principio di ogni movimento naturale è la

genesi di ciò che viene messo in moto, ma il principio della genesi di ciò che viene messo in moto è

Dio come Creatore. Fine del divenire naturale degli esseri creati è la quiete, che viene creata

dall’infinitudine, quando supera del tutto ciò che è finito; in essa, essendovi distanza, viene

trasformato ogni moto di ciò che viene mosso naturalmente, non rimanendo né luogo, né modo, né

oggetto verso cui muovere, avendo Dio, che termina anche la stessa infinitudine, che tende ad un

termine, di ogni movimento, come Fine e Causa. Dunque, Dio è Principio e il Fine di ogni genesi e

movimento degli esseri, poiché da Lui derivano, per mezzo di Lui si muovono, e in Lui avranno

quiete. Invero, prima di ogni movimento naturale degli esseri si considera la genesi, e prima di ogni

stasi per natura si pensa il movimento. Se dunque si pone per natura prima del movimento la

genesi, mentre la stasi viene pensata per natura dopo il movimento, è evidentemente impossibile che

15 Ibidem, Ambiguorum liber, MIGNE 91, 1073 BD16 M. L. GATTI, Massimo il Confessore, saggio di bibliografia generale ragionata e contributi per una ricostruzione scientifica del suo pensiero metafisico e religioso, Milano 1987, p. 365.

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genesi e stasi sussistano simultaneamente, avendo entrambe il movimento come medio che separa

naturalmente»17.

E proprio in un passo di Ambigua (I), che ha esercitato un profondo influsso su Scoto Eriugena, che

Massimo ha presentato e spiegato cinque distinzioni fondamentali:

1. fra natura creata e natura increata

2. fra mondo intelligibile e mondo sensibile

3. fra cielo e terra

4. fra Paradiso e mondo abitato dall’uomo

5. fra uomo e donna.

«La cinque tappe di questa divisione si inseriscono nello schema della processione e del ritorno,

della moltiplicazione e dell’unificazione; le fasi del movimento di ritorno sono in senso inverso,

quelle percorse dalla processione, a partire dalla divisione uomo-donna». 18

L’uomo, essenzialmente affine, per gli elementi da cui è costituito, a tutti gli estremi, avrebbe

dovuto essere l’anello di congiunzione naturale di tutti gli opposti, riconducendo il Tutto a Dio;

dato che non ha realizzato questo compito, Dio stesso ha intrapreso l’opera di unificazione in modo

straordinario nell’ipostasi del Cristo-Logos, in cui la natura umana e quella divina si sono unite,

senza “mescolanza”.

«I santi che hanno ricevuto la maggior parte dei divini misteri da coloro che sono stati seguaci e

ministri del Logos, e che quindi hanno ottenuto immediatamente la conoscenza dei misteri

trasmessa loro per successione dai predecessori, dicono che la sostanza di tutto ciò che è stato fatto

è distinta in cinque divisioni. Dicono che la prima di esse è quella che distingue la Realtà increata

da quella creata nella sua totalità. […] Invece, la seconda divisione in base alla quale si distingue

tutta la natura che ha ricevuto l’essere da Dio nella creazione, è quella tra intelligibile e sensibile.

La terza, è quella secondo cui la natura si distingue in cielo e terra. La quarta, poi, è quella secondo

la quale la terra si divide in paradiso e terra abitata, e la quinta è quella secondo cui l’uomo, che sta

sopra tutti come crogiuolo che contiene in sé la totalità»19.

Accanto ad osservazioni più dettagliate sulla cosmologia, quali l’affermazione che la terra è il

centro di tutto, che al di sopra di essa si eleva la volta dell’etere, la descrizione del divenire, della

composizione degli enti di materia e forma, la presentazione della sua concezione del tempo, del

movimento del rapporto tropos-logos, è da sottolineare nel pensiero di Massimo soprattutto la

dialettica di distinzione ed unità. Così scrive Massimo: «…nei molti vi sono differenze, alterità, e

diversità; in Dio, invece, che è veramente uno e solo, vi sono soltanto identità e semplicità ed

17 MASSIMO IL CONFESSORE, Ambiguorum liber, (I), 15, 91, 1217 C-D.18 M. L. GATTI, Massimo il Confessore, saggio di bibliografia generale ragionata e contributi per una ricostruzione scientifica del suo pensiero metafisico e religioso, Milano 1987, p. 366.19 MASSIMO IL CONFESSORE, Ambiguorum liber, (I), 41, MIGNE, 91, 1304 D, 1308 D.

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uguaglianza»20. Negli Ambigua Massimo mostra come nel cosmo abbia luogo un’unità senza

mescolanza, in cui viene conservata la peculiarità degli individui, dato che vi dominano nello stesso

tempo diavkrisi~ e ajsuvgcuto~ e}vnwsi~.

Dal rapporto di continuità –successione dipende quello di unità-molteplicità delle creature. Il fatto

che gli esseri creati ex nihilo siano contingenti e individuati nei limiti del loro essere, fonda il

duplice registro nel quale esistono:

• la molteplicità delle manifestazioni create dell’unico Logos nei logoi secondo i quali è stato

creato l’universo provoca la relazione dinamica tra unità esemplare e quella risultante dalla

diversità particolare in ogni specie e in ogni natura creata;

• la convergenza verso l’unità. E’ il movimento di tutti gli esseri verso il Logos, causa della

loro esistenza e loro telos; è tale movimento che li fa crescere autenticamente

nell’espressione della propria creaturalità e nella tensione alla perfezione (tevleion).

L’unificazione è resa possibile dal movimento percettivo che orienta la libera volontà

creaturale verso la causa comune di tutti gli esseri.

Il grado di perfezione dipende dal grado dell’espressione sempre più perfetta dell’archetipo comune

nel modo di esistenza dell’essere particolare. Ogni essere contingente, più è perfetto, più manifesta

nella sua esistenza la causa prima, più diventa simile al Logos esemplare nella sua identità

particolare.

Massimo sottolinea che la differenza (diafora;) e la molteplicità (poikili;a) sono caratteristiche

del mondo creato. L’unico Logos può essere riconosciuto nella molteplicità dei logoi, attraverso la

loro indivisibile differenza, in seno all’unica creazione. In questa indivisibile differenza, i molti

logoi possono essere considerati espressione dell’unico Logos grazie alle relazioni che esistono tra

il Logos e l’inconfondibile (ajsu;gcuton) particolarità di ogni individuo. Da una parte il Logos

viene espresso nella molteplicità dei logoi degli esseri particolari; dall’altra, gli esseri particolari

esistenti nella molteplicità indivisa sono uniti nell’unico Logos. La generalità costitutiva di tutte le

cose si muove attraverso la volontà creatrice di Dio nella direzione della diastolhv, cioè della

dilatazione, dell’espansione dall’idea esemplare fino all’essere concreto.

L’archetipo non si esaurisce negli esseri particolari, diversamente si distruggerebbe e non si

rivelerebbe. Questo fenomeno della manifestazione del Logos generale ed increato delle creature

attraverso la sua immagine creata (la persona umana), l’unione attraverso di essa degli esseri

particolari, prima di essere un processo logico, è un evento ontologico. In questo movimento, la

relazione tra contenuto e contenente non è frutto di astrazione mentale. 20 MASSIMO IL CONFESSORE, Ambiguorum liber, (I), 10, MIGNE, 91, 1192 A-B.

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Il Logos di tutte le creature contiene in sé tutti i logoi molteplici in una relazione di indivisibile

differenza. Diverse dal Logos, le creature particolari non sono separate dal loro archetipo, ma hanno

una funzione strettamente iconica e sono da Lui attratte secondo il logos della natura di ciascuno.

Da una parte l’Archetipo fonda il particolare nella molteplicità e distinzione, lo attira a sé; dall’altra

viene partecipato al particolare che diventa perfetto nella somiglianza con l’originale.

La libertà creatrice dell’Archetipo fonda l’esercizio della libertà dell’immagine. La persona umana,

creata a immagine della persona di Cristo incarnato e in vista di Lui, è immagine dotata di

aujtexousi;a per volere liberamente la relazione con l’Ipostasi divina, come immagine divina è

anch’essa padrona dei propri atti liberi e volontari21 . Con essi può corrispondere al dinamismo

essenziale del suo essere. Così scrive Massimo: «Se l’uomo è stato fatto ad immagine della

benedetta e sovraessenziale divinità e la divina natura è per essenza autopotestà, certo che anche

l’uomo è per natura autopotestà»22.

L’autopotestà che scaturisce dalla natura iconica dell’uomo ha già di per sé una sua dignità. La

morale ortodossa, essendo teologica, non considera l’uso dell’ aujtexousi;a se non nella

dimensione spirituale della fede, che sono il fondamento e il fine dell’agire cristiano. La facoltà

autopotestativa della persona umana nella sua realtà iconica non può mai essere neutra.

In questa relazione l’immagine di Dio non è l’idea di una natura o di una specie, ma la totalità

dell’essere creato. In questo senso si parla di volontà creatrice dell’Ipostasi di Cristo, che

concepisce le idee di tutte le cose prima della loro venuta all’esistenza, e che per mezzo di essa crea.

L’Incarnazione di questa Ipostasi, l’unione ipostatica della natura increata con il mondo degli esseri

particolari, ha segnato l’inizio dell’eschaton, il nuovo eone nella realtà del creato.

Da questo deriva l’indivisibile diversità23nel mondo degli esseri concreti e particolari contenuti nel

logos comune. “Essere particolare” non significa separato dalla totalità della creazione. La diversità

viene relazionata all’unità del cosmo è fondata nell’unico Logos della creazione. Il concetto di

diversità (diafora;) era già stato utilizzato da Cirillo d’Alessandria per esprimere il tipo di unione

delle due nature nella sola persona di Cristo, immagine della relazione tra il Logos increato e i logoi

delle nature create.

Queste due nature, -divina e umana – in Cristo sono descritte come distinte ma non separate

nell’Ipostasi di Cristo24. Dionigi Areopagita usa questo termine in un contesto cosmologico, quando

parla di diaforav come caratteristica di tutte le cose create nella loro mutua relazionalità , sia tra di

21 Cfr, P.EVDOKIMV, Èglise et société. La dimension sociale de l’ecclésiologie orthodoxe, in «Contacts» 19 (1967), p.210.22 MASSIMO IL CONFESSORE, Disputatio cum Pyrrho, MIGNE, 91, 304 C23 Per l’uso di questo termine da parte di Massimo il Confessore si veda, L. THUNBERG, Microcosm and Mediator. The Theological Antrhopology of Maximus the Confessor, Chicago & La Salle 1995, pp.51-55.24 Crf, CIRILLO D’ALESSANDRIA, Scholia de incarnazione Unigeniti, PG 75, 1385 C.

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loro che in riferimento alla totalità del creato e quando analizza le diversità generali tra gli esseri

creati25.

In questo modo viene superata la diffidenza greca verso il particolare e la ricerca esasperata

dell’universale tramite l’astrazione logica e la negazione del mondo visibile: l’essere concreto

riceve la sua importanza, ma non viene isolato dalla sua totalità del mondo creato. Dall’altra parte

viene superata la tendenza neoplatonica di far procedere tutto da un’emanazione dell’essenza

divina, con le inevitabili conseguenze di panteismo.

Massimo, descrivendo il movimento di perfezione degli esseri apersonali attraverso la libera

autodeterminazione umana, così afferma: «…secondo il logos particolare di ogni creatura Dio opera

con la sua Provvidenza la crescente assimilazione degli esseri all’universale, fino a conformarli

nell’essere razionale del loro logos generale, tramite la forza di autoterminazione di questa, che

unisce i singoli esseri nel movimento verso la realizzazione dell’essere-bene, li armonizza tra di

loro e con la totalità, facendone un unico movimento, poiché avendo unificato la diversità gnomica

degli esseri razionali nella loro orientazione verso l’universale è presso la totalità che contemplano

la ragione ultima della propria esistenza26»27. Il movimento universale di sustolhv» è presentato

come la realizzazione del logos particolare di ogni essere creato attraverso la somiglianza

dell’essere umano, che è anche il loro logos generale, con il suo Archetipo. Così la divinizzazione

dell’essere umano comporta la trasfigurazione di tutto il cosmo.

Questa idea della perfezione presentata come armonizzazione degli esseri con il Creatore e tra di

loro attraverso aujqai;resiõ umana è centrale anche nel pensiero di Evdokimov. La sua teologia

della bellezza, la riflessione sulla realtà dell’icona, la sua ecclesiologia e morale, gravitano attorno a

questa realtà. L’essere creato inabitato dal suo Archetipo è costituito come realtà iconica e opera

come tale solo attraverso la libera autodeterminazione in Cristo.

Questo processo della volontà personale tende verso l’unificazione con la volontà universale nella

teandria ipostatica a immagine di quella di Cristo. Tale movimento viene chiamato da Massimo

sunstolhv» . Grazie ad esso gli esseri particolari «ottengono la loro permanenza e continuità»28. A

differenza della filosofia neoplatonica, secondo cui la scelta umana è soppressa a favore del

movimento ontologico, determinista, verso l’unità finale, nella riflessione di Massimo, invece,

l’essere differenziato, nel suo movimento percettivo, non perde le sue caratteristiche personali.

25 DIONIGI AEROPAGITA, De ecclesiastica hierarchia, PG, 3, 473 C.26 Cfr, H. U. VON BALTHASAR, Massimo Il Confessore, liturgia cosmica, Jaca Book, Milano, 2001, p.139.27 MASSIMO IL CONFESSORE, Quaestiones ad Thalassium, PG 90, 272 AB28 MASSIMO IL CONFESSORE, Ambiguorum liber, PG. 91, 1189 D – 1192 A.

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L’Archetipo, il Logos, non muta in sé quando è manifestato nella pluralità dei logoi. L’essere

concreto resta pienamente se stesso con tutte le caratteristiche particolari, ma divinizzato: diventa

simile al suo esemplare.

Questo processo non è né automatico né evolutivo. Se nella creazione del cosmo, nella diastolhv» dell’Archetipo, è sottolineata la libera volontà creatrice divina, la quale ha circoscritto ogni essere

nella sua essenza, nel processo di perfezione e unificazione della sunstolhv», un ruolo primario

appartiene alla libera volontà ipostatica umana, che attua in se la sinergia con quella divina.

Massimo illustra la tensione tra la sunstolhv» e la diastolhv» come un movimento cosmico tra

la volontà e libertà umana; tale dinamismo si basa su tre fattori:

1. Lo stato originario del movimento. E’presentato come una caduta dall’unità originaria e

dalla vita ipostatica della persona umana nel peccato originale. La persona umana, quale

immagine del Logos creatore, è il centro di tale unità orientata verso il suo Creatore. Ma

l’abuso della volontà originale provoca il disordine di questo movimento e la disgregazione

dell’unità sia umana che cosmica. A causa della perdita dell’orientamento perfettivo della

persona «verso Dio»29, tutto il cosmo perde la spinta iniziale del suo movimento “orientato”

e unificante «questa forza movente (intendo l’anelito naturale dello spirito verso Dio) il

primo uomo, non appena venuto all’essere, la rivolse verso il sensibile»30.

2. La cessazione del disordine. Nell’Incarnazione di Cristo, attraverso la volontà umana della

Persona divina di Gesù è fondato il ritorno del cosmo verso il Creatore. La sinergia delle due

volontà – divina e umana – unite secondo l’Ipostasi ha influsso sulla restaurazione del

cosmo nella direzione unificatrice.

3. Il ricongiungimento dell’unità dell’inizio e la tensione verso la fine: la Parusia del mondo di

Dio. La volontà personale dell’uomo, con le sue potenzialità è stata rigenerata in Cristo-

Logos, diventa potenzialmente volontà universalizzata e universalizzante. Nella sinergia

teandrica attua nell’Ipostasi di Cristo, partecipa alla sua azione salvifica e, quando agisce

rettamente, orienta il cosmo verso la sua perfezione.

Per questo motivo l’attività morale incide non soltanto sulla persona, ma anche sull’umanità e

sull’intera creazione31, in quanto nella libertà del volere che è contenuto l’appello e la tensione

verso Dio.

Il logos della natura umana non condiziona in alcun modo la persona ma la “chiama” a scoprire la

pienezza in sé, a scoprirsi nel suo Archetipo.

29 NT, Gv 1,1-A30 MASSIMO IL CONFESSORE, Quaestiones ad Thalassium, PG 90, 628 AB31 Cfr, H. U. VON BALTHASAR, Liturgia cosmica, l’immagine dell’universo in Massimo il Confessore, Roma, 1976. p. 180

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Il nesso fondamentale che lega l’essere umano al resto della natura creata consiste nel dato

creaturale. Le creature sono legate dal fatto che tutte partecipano all’esistenza che viene loro data da

Dio. Perciò, secondo Massimo, deve esistere un logos comune a tutte le creature, un piano divino

globale su tutta la creazione, una Saggezza divina che circoscriva la realtà stessa della creaturalità.

L’uomo può avere la potestà partecipativa nella realizzazione di questo logos creaturale universale

solo nella misura corrispondente al suo posto in questo progetto divino, secondo il ruolo che compie

il suo logos della natura umana in riferimento al fondamento ontologico della creazione.

E’ la teologia russa che fonda e risolve questo problema posto da Massimo del logos universale del

cosmo creato, nelle linee portanti del pensiero sofiologico di autori come Evdokimov, Bulgakov,

Solov’ev.

La Sofia per questi autori è come un’entità di mezzo che trasmette le energie divine al mondo,

elevandolo dallo stato di caos a quello di cosmo. In questo processo l’uomo gioca un ruolo centrale

in quanto è il tramite con cui la Saggezza di Dio si conquista la realtà creata.

Evdokimov distingue tra la Sofia increata , espressione della volontà creatrice di Dio, dalla Sofia

creata, sfera ideale del mondo «eternità eonica increata», unità dei principi reali, condizione e

struttura di ogni concreta unità. La Sofia si trova ad un livello più profondo dell’aspetto

fenomenico, mutevole dell’essere; essa ne è il fondamento ideale, «che lega il multiplo in

cosmo»32in un tutto che vive nei suoi aspetti multiformi: cosmologico, logico, etico, estetico,

antropologico. La visione «sofiologica afferma il legame organico tra l’aspetto ideale e l’aspetto

empirico del mondo, constatando le perversioni dovute alla libertà della creatura di violare le sue

norme»33. Il cosmo fondato sulla realtà della Sofia creata è l’immagine della Sofia celeste che

racchiude le idee, i logoi di Dio sul mondo. Le due concezioni teologiche dell’uomo, come

immagine dell’Ipostasi di Cristo e della Sofia creata e come immagine della Sofia celeste, si trovano

in stretta relazione. La Sofia terrestre, radice ideale creata del mondo, deve pervenire alla sua

somiglianza con la Sofia celeste attraverso la libertà dello spirito umano.

Il ruolo chiave dell’uomo in questa somiglianza tra l’ideale e il reale si è rivelato nel fatto che

l’abuso della libertà gnomica dell’ipostasi universale umana del primo Adamo ha provocato lo

sconvolgimento della gerarchia sofianica del mondo, la falsificazione delle manifestazioni del logos

universale delle creature, «pervertendo i rapporti dell’essere con i principi sofianici. Il male si

insinua nelle falle dell’essere. Esso è il terreno di coltura del mondo parassitario, delle escrescenze

che costituiscono la parodia della Sofia, l’aspetto notturno delle creature, la loro maschera

32 S. ŠEVČUK, La vita trasfigurata in Cristo, saggio introduttivo, Roma 2001, p. 108.33 P. EVDOKIMOV, L’Ortodossia, Bologna 1981, p. 121.

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demoniaca»34. Nella visione sofianica del mondo, all’uomo viene dato un valore importantissimo:

egli diventa il protagonista della piena realizzazione della creaturalità del cosmo.

Nel celebre capitolo settimo della Mystagogia , in cui si spiega perché il cosmo, costituito da cose

sensibili ed intelligibili, sia detto «uomo» e l’uomo, composto di anima e corpo, sia detto «cosmo»,

Massimo afferma che: «…l’intellegibile è l’anima del sensibile, mentre il sensibile è il corpo

dell’intellegibile. E il mondo intellegibile sta nel sensibile come l’anima nel corpo; e il sensibile

nell’intellegibile come il corpo è congiunto all’anima; dai due insieme, poi, risulta un unico cosmo

come dall’anima e dal corpo si forma un unico uomo, senza che nessuno dei due elementi cresciuti

insieme respinga o allontani dall’altro, secondo la legge di colui che li unì insieme»35.

La visione sofianica dell’uomo e della creazione, anche se formulata con termini nuovi, esprime un

modo classico di concepire la relazione tra l’uomo e il cosmo, riflette l’idea diffusa tra i padri greci

sul fondamento di tale relazione. Per Massimo l’uomo come microcosmo (mikro;~ ko;smo~)36,

come essere intelligibile-sensibile, è centro, vertice e sintesi di un universo orientato bipolarmente

secondo l’asse orizzontale e verticale, nei due ambiti della creazione, ossia quello sensibile e

intelligibile: «se, infatti, tutta la natura degli esseri si divide in intelligibile e sensibile, e gli uni sono

detti e sono eterni, gli altri temporali, l’uomo, invero, costituito di anima e corpo sensibile, per la

relazione reciproca naturale con i due ambiti della creazione e per la sua peculiarità, e viene

circoscritto e circoscrive, il primo regno per essenza, il secondo, invece, per potenza, poiché è

diviso dalle sue parti che tendono verso questi, e li attira in sé nell’unità con le proprie parti. Infatti,

viene circoscritto dalle cose intelligibili e sensibili, poiché è costituito di anima e corpo, e le

circoscrive per potenza, perché è dotato di pensiero e sensazione…»37. Come si può notare dal

brano citato l’uomo è suvndesmo~, mediatore, «copula mundi», è un sunektikwvtaton

ejrgasthvrion, che contiene in sé e unifica gli opposti, grazie alla propria prov~ e{nwsi~

duvnami~.

Massimo rifiuta l’idea che la persona umana sia una persona sintetica, nel senso che unisce in sé

due nature diverse (sensibile e intelligibile). Se la natura umana costituisce un’unità nella sua

struttura ontologica, senza divisioni sopraggiunte in uomo celeste e terrestre, da questa divisione si

possono derivare due conseguenze:

34 Ibidem, p. 121-12235 MASSIMO IL CONFESSORE, Mystagogia, PG, 91, 685 A.36 MASSIMO IL CONFESSORE, Epistulae, VII, PG 91, 429 A B37 MASSIMO IL CONFESSORE, Ambiguorum liber, 10, PG 91, 1153 A-B

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1. tra l’immagine di Dio nell’uomo e il concetto di uomo-microcosmo non esiste

contraddizione. Il destino soprannaturale della persona umana è iscritto in essa come

l’immagine di Dio e il destino del mondo nell’uomo-microcosmo.

2. Senza essere creato ad immagine di Dio, l’uomo potrebbe essere un vero microcosmo a sé

stante, cioè non potrebbe riflettere il mondo nella sua relazione autentica con Dio, sua

Causa primaria. Questo significa che l’uomo rappresenta il legame (suvndesmo~) tra gli

elementi opposti della creazione, ma anche il punto centrale di contatto del cosmo con Dio.

La nozione di microcosmo rappresenta il cambiamento di visione di gerarchia degli esseri

del mondo creato.

Lo schema piramidale dell’ontologia degli esseri proposta da Dionigi Areopagita, secondo il quale

gli esseri inferiori partecipano alla gloria divina attraverso gli esseri inferiori, viene sostituita dallo

schema circolare di Massimo. L’uomo occupa il posto centrale in questo cerchio, forma il cuore

della creazione ed è il punto di contatto tra il mondo creato e quello increato.

Lo stesso Evdokimov incorpora nella visione sofianica le idee antiche coltivate in seno alla

tradizione teologica greca. Il problema della tensione tra l’immagine di Dio e l’immagine del

mondo nell’uomo, tra l’uomo celeste e l’uomo terrestre, trova il suo parallelo nella dottrina delle

due Sofie, creata e increata, le quali si incontrano nell’uomo senza contraddizione. Anche

Evdokimov colloca l’uomo al centro del mondo creato, secondo lo schema di Massimo. In questa

logica, riferendosi alla dottrina palamita, spiega che l’immagine di Dio è una caratteristica

tipicamente umana che lo diversifica persino dagli angeli: «…ciò che diversifica l’uomo dagli

angeli è il fatto che egli è a immagine dell’incarnazione…»38. Essere ad immagine dell’incarnazione

significa che, come nell’Ipostasi di Cristo non solo l’uomo è entrato nell’unione ipostatica con Dio,

ma anche tutto il cosmo creato, così attraverso l’ipostasi umana tutte le creature entrano nella

pericoresi con le energie divine. Attraverso l’uomo, il mondo visibile diventa simbolico, cioè

congiunto con Dio, capace di comunicare la grazia divina, di rivelare la presenza del mondo

invisibile, di essere veicolo del trascendente. Il fatto di essere microcosmo nella stessa struttura del

suo essere, conduce l’uomo ad agire come mediatore.

L’uomo, visto come espressione del volto divino nel cosmo, come sua immagine, segue lo stesso

schema del movimento perfettivo. Massimo sottolinea il carattere volitivo di questa crescita nella

somiglianza divina. Così l’immagine diventa più simile alla Causa prima e sempre più chiaramente

occupa il centro metafisico della creazione. Dal momento che il microcosmo-microtheos 39è il punto

di contatto e di pericoresi con il Logos divino nella sua ipostasi, tutte le creature nel loro movimento

38 P. EVDOKIMOV, L’Ortodossia, Bologna 1981, p. 11439 E’ il termine che usa Evdokimov specificando il significato dell’immagine divina nell’uomo e citando Gregorio Nisseno. Cfr, L’Ortodossia, Bologna 1981, p. 91 e Gregorio di Nissa, De hominis opificio, PG 44, 180 A-B.

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perfettivo si muovono verso l’uomo e sono orientate, tramite lui, “verbo cosmico”, alla sua meta

finale.

Nel tempo intermedio della kinesis, della perfezione umana, Massimo distingue tre stagioni o livelli

della crescita nella somiglianza, attraverso le quali il microcosmo compie nella libertà ipostatica il

suo ruolo di mediatore: la vita pratica, quella contemplativa, quella mistica. È molto significativo

che Massimo ponga come fondamento per tutte le stagioni della perfezione umana la vita pratica o

praktikhv filosofi;a.40

La vita pratica è determinata da due fattori:

• La volontà gnomica determina il modo di essere del microcosmo che segue la triade di

essere – essere bene – essere bene per sempre. Lo stadio intermedio di essere bene è

determinato dalla volontà gnomica (actus secundus) della persona umana e da esso dipende

la possibilità di essere bene per sempre che corrisponde alla vita mistica o unione con Dio.

Nello stato di kinèsis, l’uomo usa la facoltà del movimento, e la volontà gnomica che le

corrisponde determina non solo il modo d’essere nella kinèsis, ma anche il modo di essere

nella stàsis finale. La persona attualizza questa facoltà attraverso il retto uso del libero

arbitrio e della scelta che viene espressa nello stadio di essere bene, frutto della vita pratica.

• Il secondo motivo di importanza della vita è dovuto al fatto che la volontà gnomica del

microcosmo qualifica il modo di essere non solo dell’uomo, ma anche del cosmo orientato

verso di lui. L’essere del macrocosmo (actus primus della nature particolari) è qualificato o

specificato nell’essere bene del microcosmo. Perciò, dalla volontà gnomica retta dell’uomo

dipende l’essere bene per sempre dell’universo, l’unione della natura creata con quella

increata senza confusione, divisione, mescolanza, separazione.

Attraverso l’equilibrio cristologico calcedonese dell’unione ipostatica, viene valorizzata

l’importanza della libera azione della volontà umana nell’opera salvifica del Cristo cosmico. Nella

discussione con i monoteliti, Massimo dimostra come sia importante il retto uso della volontà

umana nel dramma cosmico e come sia indispensabile la guarigione della volontà umana operata

nell’ipostasi del Verbo incarnato. Questa riflessione cristologica fonda l’importanza e l’universalità

dell’atto morale cristiano per il compimento finale del creato, la partecipazione della volontà umana

specificata secondo l’essere bene della natura, nella comunicazione dell’essere bene a tutte le nature

del macrocosmo.

Parlando dell’armonia cosmica che deve essere ristabilita attraverso la mediazione dell’uomo,

Evdokimov evoca la dottrina del Confessore sulla trasmissione dell’essere bene dalla persona

40 MASSIMO IL CONFESSORE, Ambiguorum liber, PG, 91, 1360 C, 1369 C.

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singola a tutto il macrocosmo. La natura di queste mediazioni consiste nel mediare il modo di

essere bene 41 e nell’unificazione di tutto quello che è separato, compreso Dio e la sua creazione.

Alla luce della profonda concezione di Massimo sul cosmo, in cui tutto è ricapitolato nella figura di

Cristo, in cui tutto consiste, acquista pieno valore la tematica della «liturgia cosmica» delineata da

von Balthasar, che mette in risalto la percezione massimiana dell’esistenza e del mondo come

“adorazione trasfiguratrice”.

Per Massimo, la Chiesa sta a metà tra il cosmo naturale e sovrannaturale; come la Chiesa è un

mondo, così il mondo è una «Chiesa cosmica», la cui navata è il mondo sensibile e il cui coro è il

mondo spirituale. Così afferma Massimo: «…la Chiesa di Dio è la figura e l’immagine dell’intero

cosmo, costituito di esseri visibili e invisibili, perché presenta in sé la stessa unione e distinzione.

Pur essendo infatti, questa, come sola casa per la costruzione, per una certa particolarità nella

disposizione della struttura ammetterà la distinzione, essendo divisa, sia in parte riservata

esclusivamente ai sacerdoti e ai ministri, chiamata santuario, sia in un’altra, accessibile a tutto il

popolo credente, detta navata. […] Così anche l’intero cosmo degli esseri, generato da Dio, è

suddiviso sia in un mondo intelligibile, formato da essenze intelligibili ed incorporee, sia in questo

mondo sensibile e corporeo, intessuto anche magnificamente da molte forme e nature. Si tratta per

così dire di un’altra natura Chiesa, non fatta da mani di uomo, rivelata sapientemente da questa,

fatta da mani d’uomo, e che ha, come santuario, il cosmo superiore, costituito dalle potenze

dell’alto e, come navata, questo di quaggiù, riservato agli esseri cui tocca in sorte la vita

sensibile»42.

Massimo, trasponendo le diverse fasi della liturgia dell’anima, afferma che l’uomo diviene vero

sacerdote del mondo e offre a Dio la parte più intima del proprio cuore, avviandosi alla conoscenza

dell’Assoluto nella meditazione mistica. Così afferma il Confessore: «L’uomo è una Chiesa mistica:

con la navata del corpo, illumina virtuosamente la parte attiva dell’anima con la potenza dei

comandamenti; secondo la filosofia etica, mentre con il santuario dell’anima conduce in Dio,

secondo la contemplazione naturale, per mezzo della ragione, le forme delle cose sensibili, tratte

nello spirito in modo puro dalla materia ed infine, con l’altare della mente chiama a sé il silenzio,

celebrato nei templi, dalla grande voce invisibile ed in conoscibile della Divinità, per mezzo di un

altro silenzio, loquace e dai molti suoni»43.

Il pensiero di Massimo è totalmente dominato dallo spirito cristiano della distinzione, unità, grazia,

partecipazione tra Dio e la realtà creata: in esso non si parla né di semplice «liturgia celeste», né di

41 P. EVDOKIMOV, L’Ortodossia, Bologna 1981, p. 37342 MASSIMO IL CONFESSORE, Mystagogia, (XIV), 2, PG, 91, 668 C – 669 B.43 Ibidem, Mystagogia, (XIV), 8, PG 91, 672 A-C.

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pura «gnosi cosmica», bensì di un’esistenza volta all’adorazione, offerta, in un tempio che ha come

navata l’intero cosmo, ossia di una trasfigurante «liturgia cosmica».

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