LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE Indicazioni ...

29
LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE Indicazioni teologico-pastorali BRUNO ZOMPARELLI “Quello che esce dall’uomo e ciò che contamina l’uomo. Infatti, dal di dentro, dal cuore degli uomini escono i cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri... Sono tutte queste cose, che escono dal di dentro e contaminano l'uo- mo" (Me. 7,20-23). “Chiunque guarda una donna in cuor suo, desiderandola, ha già commesso adulterio in cuor suo" (Mt. 5,28). La morale evangelica è, soprattutto, interiorità e sostan- za, giudica l’atto umano nella sua fonte: nelle disposizioni in- teriori dell’uomo. Quando Gesù dice che l’azione e il vincolo morale devono scaturire dal di dentro, dal cuore, implici- tamente afferma che la coscienza è la base decisiva di ogni comportamento morale. Essa è paragonata, con efficace immagine, alla luce dell’occhio: "La lucerna del tuo corpo è il tuo occhio; se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se il tuo occhio è torbido, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è oscurata, quanto grandi saranno le tenebre” (Mt. 6,22ss.). Illuminante la sintetica esposizione conciliare sulla co- scienza: "Nell'intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre, ad amare e fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa’ questo, fuggi quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore, obbedire ad essa è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella Teresianum 43 (1992/2) 359-387

Transcript of LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE Indicazioni ...

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE Indicazioni teologico-pastoraliBRUNO ZOMPARELLI

“Quello che esce dall’uom o e ciò che contam ina l’uomo. Infatti, dal di dentro, dal cuore degli uom ini escono i cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri... Sono tutte queste cose, che escono dal di dentro e contam inano l'uo­mo" (Me. 7,20-23). “Chiunque guarda una donna in cuor suo, desiderandola, ha già commesso adulterio in cuor suo" (Mt. 5,28).

La morale evangelica è, soprattutto, in teriorità e sostan­za, giudica l’atto um ano nella sua fonte: nelle disposizioni in ­teriori dell’uomo. Quando Gesù dice che l’azione e il vincolo m orale devono scaturire dal di dentro, dal cuore, implici­tam ente afferm a che la coscienza è la base decisiva di ogni com portam ento morale.

Essa è paragonata, con efficace im m agine, alla luce dell’occhio: "La lucerna del tuo corpo è il tuo occhio; se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se il tuo occhio è torbido, tu tto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è oscurata, quanto grandi saranno le tenebre” (Mt. 6,22ss.).

Illum inante la sintetica esposizione conciliare sulla co­scienza:"N ell'in tim o d e lla co sc ien za l’u o m o sc o p re u n a legge che

n o n è lu i a d a rs i, m a a lla q u a le invece deve o b b e d ire e la cui voce che lo ch iam a sem p re , ad a m a re e fa re il ben e e a fugg ire il m a le , q u a n d o o cco rre , c h ia ra m e n te d ice a lle o re c c h ie del cu o re : fa ’ q u es to , fuggi q u e s t’a ltro . L’u o m o h a in r e a l tà u n a legge sc ritta d a Dio d e n tro al su o cu o re , o b b e d ire a d essa è la d ig n ità s tessa d e ll'u o m o , e seco n d o q u e s ta egli s a rà g iu d ica to . L a co sc ien za è il n u c leo p iù seg re to e il s a c ra r io d e l l’u o m o , dove egli si trov a solo con Dio, la cu i voce r isu o n a n e ll’in tim ità p ro p ria . T ram ite la cosc ienza si fa co n o sce re in m o d o m irab ile q u e lla legge, ch e trov a il su o co m p im e n to n e ll’a m o re d i D io e d e l p ro s s im o . N e lla fe d e ltà a lla c o s c ie n z a i c r is t ia n i si u n isco n o agli a ltr i u o m in i p e r c e rc a re la v e r ità e p e r riso lvere secon do v e rità ta n ti p ro b lem i m o ra li, ch e so rg o n o ta n to n e lla

Teresianum 43 (1992/2) 359-387

3 6 0 BRUNO ZOMPARELLI

vita dei singoli quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato” (GS. 16).Tuttavia, non è difficile rilevare, oggi — sia nel campo

teologico e, soprattutto, pastorale — le varie, contrastanti e, addirittura, contrarie voci della coscienza che ciascuno dice di seguire e alle quali si appella con fermezza, rich iam an­done la dignità, quasi eludendo o em arginando la legge. Su singole questioni concrete le opinioni divergono: teologi, sa ­cerdoti, collaboratori laici e, perfino, vescovi danno interpre­tazioni diverse, p.e. circa la questione dei rapporti p rem a­trimoniali, la regolazione della natalità, l’am m issione ai sa ­cram enti dei divorziati risposati, l’om osessualità, la fecon­dazione artificiale, l’impiego politico della violenza, l’aborto, l’eutanasia, ecc.

E’ un fenomeno che non può essere disatteso e che va a t­tentam ente esaminato: tu tti parlano di coscienza, tu tti asse­riscono di seguire la propria coscienza con scrupolo e corret­tezza, la parola ‘coscienza’ torna in tu tti i discorsi e da un tono di serietà e liceità a ogni scelta che viene fatta o si sta per fare. Ma in nome della coscienza si fanno le cose più di­verse, contrastanti e contrarie, "...non di rado nella storia, per periodi di tem po più o meno lunghi e sotto l’influsso di molteplici fattori, succede che viene gravem ente oscurata la coscienza morale in molti uom ini. Abbiamo u n ’idea g iusta della coscienza?... Non vive l’uomo contem poraneo sotto la m inaccia di un’eclissi della coscienza? di una deformazione della coscienza? di un in torp id im ento o di un 'anestesia della coscienza? Troppi segni indicano che nel nostro tempo esiste una tale eclissi, che è tanto più inquietante, in quanto questa coscienza, definita dal Concilio 'il nucleo più segreto e il sacrario dell’uom o' è stre ttam ente legata alla libertà dell’uom o”1.

1 GIOV. PAOLO II, Reconciliatio et paenitentia, esortazione apostolica,2 dicembre 1984, in “EV" IX (1983-85) 1128.

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 6 1

D’altra parte, non può essere disatteso, soprattu tto nel campo pastorale, un altro aspetto del problem a: la fatica, spesso, il dram m a di tanti cristiani che, non ben illum inati e di fronte ad atteggiam enti di in transigenza o di indulgen­za, rim angono dubbiosi e incerti e vanno avanti per la loro strada.

Una correzione di rotta e necessaria; m a un puro ritorno a posizioni di severità sarebbe tu tt’altro che aiuto. E’ in gioco la sostanza stessa della morale cristiana e due diverse pro­spettive di essa, da non contrapporre ma da coniugare.

Ritengo che solo una sintesi vitale, teologico-pastorale, tra le esigenze della vita in Cristo e la rea ltà concreta dell’uom o storico situato potranno dare una risposta soddi­sfacente a tu tti gli essenziali requisiti della vocazione c ri­stiana e, nello stesso tempo, se non elim inare totalm ente, almeno limitare, attraverso il confronto con la fede e la vita della Chiesa i rischi ancora presenti e derivanti dall’accen­tuazione unilaterale di uno o l'altro di questi due elementi: l’oscillare continuo tra il soggettivismo -con lo spettro del relativismo — e l’oggettivismo — ritenuto più saldo perché esente da tale spettro.

Mi pare, allora, che sia precisam ente nella coscienza, là dove avviene l’incontro tra l’unicità di ogni vocazione p er­sonale e l’unicità di Cristo — presente in ogni persona — e la m anifestazione delle esigenze della sua legge che si possa trovare la strada giusta dell'autentica oggettività della teo­logia morale e la salvezza sia dal soggettivismo arbitrario e suicida che dall’oggettivismo dogmatico e paralizzante.

1- La coscienza centro della vita moraleGià nella morale m anualistica per stabilire la serietà e la

gravità di alcuni atti e peccati si enum eravano tre requisiti: m ateria grave, piena avvertenza e deliberato consenso. H prim o elemento, la m ateria, riguardava l'oggetto dell’agire morale, gli altri due, piena avvertenza e deliberato consenso, il soggetto. Tutto ciò è e rim ane valido; solo vogliam o in si­stere, nella scia della più saggia tradizione m orale cristiana, sulla centralità della persona, del soggetto, della coscienza.

3 6 2 BRUNO ZOMPARELLI

Questo perm ette di ricondurre gli a tti singoli al centro dell’uomo, al suo cuore, cogliendoli in unità.

Prendiam o il problem a spinoso e delicato della con trac­cezione. La Chiesa, attraverso i responsabili del m agistero, continua a porgere e proclamare, giustam ente, i valori e lo fa nella fedeltà all’insegnam ento di Cristo e nel rispetto della dignità dell’uomo. I coniugi, non ben illum inati, con tinua­no ad essere perplessi, dubbiosi, incerti e vanno avanti per la loro strada. Il richiam o alla coscienza e una seria form a­zione ed educazione di essa rim angono più obiettivi verbali che mete sempre presenti verso le quali faticosam ente m a gradualm ente cam m inare.

Esistono due aspetti del problem a, entram bi im portanti e vitali: un aspetto teologico: la fedeltà a Dio, e un aspetto propriam ente morale: la fedeltà all’uom o storico situato. Oc­corre fare m olta attenzione a non barattare per fedeltà a Dio atteggiam enti di chiusura ostinata, di to tale e rigida m ate­rialità. D’altra parte, non si può intendere la fedeltà a ll’uom o con posizioni di apertu ra sm oderata, alienante perm issiv i­smo e sfacciato soggettivismo che induce ad un relativismo senza alcun punto di riferim ento valoriale che non sia la si­tuazione attuale vissuta dalla persona. E ’ qui, credo, che sorgano tutti gli equivoci. Occorre, invece, una sintesi nella pastoralità: della fedeltà a Dio e della fedeltà all’uom o situa­to.

Ridare centralità alla coscienza m orale, nella fedeltà a Dio e all’uomo storico situato, vuol dire, da una parte, far emergere con chiarezza il progetto di vita cristiana proposto da Cristo, e, dall'altra, cogliere tutta la situazione della perso­na (cosa fa, come vive, che cosa pensa...) rilevandone tutte le motivazioni e le finalità, soprattutto quelle prevalenti, e a iu ­tando a conformare il proprio progetto con quello proposto dal Vangelo. Per es. nel caso specifico della contraccezione — ma il discorso è valido con le dovute modifiche per tutti gli altri campi della morale —: hai avuto o stai avendo un sereno e leale confronto con i valori cristiani espressi dalla fede e dalla vita della Chiesa come fondam entali esigenze della vita morale? quale è il tuo atteggiam ento di fronte ai valori essenziali del m atrim onio cristiano e della famiglia e come cerchi di viverli? quale il tenore della tua vita sacra­mentale? cosa ti muove e quali i fatti realm ente oggettivi che ti spingono, eventualmente, a prendere una decisione con­

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 6 3

traria all’insegnamento m orale della Chiesa? è una decisio­ne unilaterale o presa dai due coniugi? e così via.

Se tutto questo lo si fa — ed è un com pito im m ane ma vitale ed assolutam ente centrale della vita m orale cristiana — è chiaro che esisteranno sem pre dei m argini di rischio, perché ineliminabili dalla vita; pero, illum inati, si può deci­dere in coscienza. Potrebbe risultare un giudizio di coscienza falso o erroneo ma profondam ente retto; m erita tu tto il r i ­spetto. Potrebbe risultarne una coscienza vera m a negligente o, è proprio il caso di dirlo, incosciente (perché non illum ina­ta a dovere); di ciò bisognerebbe preoccuparsi. Qui si rivela tu tta la ricchezza, l’originalità, la dignità, la v ita lità e la centralità della coscienza m orale e per ciò stesso dell’uomo che è non un robot ma un essere che “vive”.

Certo, a nessuno sfugge “la delicatezza e la gravità di tale giudizio pratico sia nel caso di un’azione da com piere che nel caso di un’azione compiuta. Si tra tta di po ter assicu­rare a se stessi, di fronte a Dio, in una lealtà assoluta, che si accetta la norm a in tu tta la sua esigenza e si fa tu tto il pos - sibile per attuarla nella concreta circostanza in cui si vive"2. Un’im presa vertiginosa e non esente da rischio m a assolu­tam ente necessaria se non si vuole ridurre la coscienza a semplice esecutrice e ripetitrice m ateriale di valori e di norme. Un’impresa, però, che ha sempre e costantem ente b i­sogno di ricerca, di confronto, di verifica; di graduale ed adeguata formazione.

E' ovvio, innanzitutto, che s’im pone la ricerca di valori universali ed oggettivi che nascono non dal capriccio di qualcuno né dalle m ode che si susseguono nel tem po, ma dalla natura stessa dell’uomo. E’ questo il punto centrale ed oggi il più scomodo e lontano dalla nostra m entalità: ipotiz­zare una ‘na tu ra ’ dell'uom o, qualcosa che p receda ogni uomo e lo renda tale, qualcosa che l'uomo si trova ad essere e che lui non inventa, m a scopre; qualcosa che gli è stato dato come dono e come responsabilità. E questo, nel campo della morale cristiana, è da leggersi alla luce della fede.

La coscienza, allora, sarà: non "l’autodeterm inazione in ­dividuale da nessuno norm abile, con la quale il singolo de­

2 MAGGIOLINI, S., Legge della gradualità non gradualità della legge, in “Riv.Cl.lt.” 62 (1981) 408.

3 6 4 BRUNO ZOMPARELLI

cide ciò che per lui è morale in una data situazione’’3, m a la capacità di leggere e giudicare l’agire um ano alla luce della Parola di Dio e del messaggio evangelico. "La coscienza è il giudizio pratico o il dettato della ragione col quale uno giudica che cosa debba essere fatto, qui e ora, in quanto è bene, e che cosa debba essere evitato in quanto è m ale’’4. E’ il giudizio morale sull’onestà di una m ia azione concreta, cioè sulla conform ità di questa azione determ inata con la volon­tà di Dio. Cioè: il contegno del cristiano dipende to talm ente e decisamente dalla volontà di Dio: “il ruolo della coscienza è quello di un dettato pratico, e non di m aestra di dottrina’’5; “La coscienza non è legge in se stessa, e nel form are la p ro ­pria coscienza si deve essere guidati dalle norm e della mo - rale oggettiva, incluso l’au ten tico in seg nam ento della Chiesa’’6; “La coscienza da sola, non illum inata da principi trascendenti e guidata da un m agistero com petente, non può essere arb itra infallibile della m oralità dell’azione; è un occhio che ha bisogno di luce’’7.

E questa luce è data dal suo costante confrontarsi con l’oggettività della legge m orale, in tesa come sintesi vivente della legge interiore ed esteriore. Il cristiano, infatti, non è sottoposto ad una legge morale il cui obbligo sarebbe neces­sariam ente im personale ed uniform e e in rapporto al quale sarebbero tu tti uguali; m a è sotto l’azione dello Spirito Santo, come figlio del Padre, al quale deve som igliare se­condo la m isura della propria vocazione in Cristo. Da qui la necessita di ben com prendere, innanzitu tto , la coscienza come norm a m orale in situazione e, successivam ente, l’altrettanto fondam entale necessità di educarla a giudicare, nelle concrete situazioni dell’esistenza, il bene e il male se­condo gli ‘occhi’ di Cristo.

3 RATZINGER, J., Difficoltà di fronte alla fede oggi in Europa, in "Regno-Doc." 34 (1989-17) 543.

4 CONGR. CLERO, Caso Washington, in "EV” IV (1971-73) 695.5 CONGR. CLERO, I.e., 696.6 CONGR. CLERO, I.e., 697.7 PAOLO VI, Discorso, 7 ottobre 1970.

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 6 5

2- La coscienza: norma morale in situazioneIl carattere della decisione personale è insostituibile ed il

posto della coscienza nella vita um ana e cristiana è centrale. “Bisogna (tuttavia) riconoscere che tu tta una educazione corrente ci ha insegnato più a rispettare la legge che ad ob­bedire alla coscienza, e che un certo culto della legge, dell’ordine, dell’au to rità ci ha indotti a m isconoscere in pratica l’assoluto della coscienza”8.

Dovendo parlare di coscienza come norm a m orale in s i­tuazione, cioè: del giudizio norma che in ogni uom o respon­sabile affiora alla coscienza psicologica, ed implica quello che si deve o è meglio fare in situazione, è bene subito chiarire che cosa intendiam o per situazione ed etica della situazione al fine di evitare qualsiasi equivoco.

L’etica della situazione giunge a dire che non esistono affatto norme oggettive ed assolute, m a esiste una m oltepli­cità di situazioni concrete, ciascuna delle quali contiene un appello particolare e irripetibile di Dio, non im porta se con­trastante con norm e assolute o con gli appelli che provenis­sero da altre situazioni. In questo senso, essa è indubbia­m ente inam missibile.

D’altra parte, non si può negare, anzi si deve ch ia ra ­mente dire, che la situazione concreta personale — fatti salvi sempre quegli imperativi assoluti — è un tram ite attraverso il quale Dio ci com unica la sua volontà. Così, in tanti nostri com portam enti non ci sarà possibile arguire e sapere quale sia la volontà di Dio se non m editando a tten tam ente sulla situazione nella quale ci troviamo e analizzandone le varie com ponenti come indizi di ciò che siam o chiam ati a fare. Nella situazione — in quanto condizione-individuale-per­sonale-esistenziale — (e, quindi, come tale, da distinguersi dal cosiddetto caso morale che è ipotetico, im personale, e s ­senziale, universale) è richiesto un giudizio ultim o-pratico: che cosa in questo momento reale e irripetibile sia da farsi.

Questa situazione è com prensiva di tu tti gli im perativi etici, delle radicali esigenze della m orale evangelica e di tu tte le circostanze di vita (sesso, età, condizioni fisiche, psi­chiche, ecc.), quindi, delle qualità individuali del soggetto,

8 CLEMENCE, J., Le mystère de la conscience à la lumiere de Vatican II, in “NRT” 94 (1972) 69.

3 6 6 BRUNO ZOMPARELLI

del suo rapporto alle circostanze esterne, della vocazione della singola persona, e anche, perché no, di un ipotetico in ­tervento straordinario di Dio. In tu tti questi elementi, presi contem poraneam ente, è fondata la legge morale della situa­zione. Essa dice, in concreto, non solo cosa debba o non debba farsi, m a anche le m odalità espressive della posizione o non posizione di una certa azione. Tale legge m orale della situazione è talm ente in trinseca alla persona e al cam po m orale che se si volesse prescindere da essa o add irittu ra elim inarla la persona e il suo impegno m orale finirebbero per apparirci delle semplici astrazioni o pure divagazioni.

Parlando di coscienza morale come norm a in situazione va tenuta presente un ’altra annotazione riguardante la mo­ralità oggettiva e la responsabilità soggettiva. “La stessa tra ­dizione m orale cristiana... ha pure sem pre afferm ato la di­stinzione — non la separazione né tanto meno la contrappo­sizione — tra il disordine oggettivo e la colpa soggettiva. Per questo quando si tra tta di giudicare il com portam ento m o­rale soggettivo, n e ll’im p resc in d ib ile r ife rim e n to alla norma..., è del tu tto legittimo prendere nella dovuta consi­derazione diversi fattori e aspetti dell’agire concreto della persona, non solo le sue intenzioni e motivazioni, m a anche le varie circostanze della sua vita, in prim o luogo tu tte le cause che possono intaccare la sua conoscenza e volontà li­bera. E questa situazione soggettiva, m entre non può mai m utare in ordine ciò che è intrinseco disordine, può incidere in vario grado sulla responsabilità della persona che ag i­sce”9. E ’ una faticosa opera di discernim ento, questa, non solo legittim a, m a assolutam ente necessaria, dalla quale, però, non ne può e non ne deve conseguire una indebita ge­neralizzazione. Generalizzare, infatti, è teologicamente scor­retto, in quanto sarebbe ancora confondere i due aspetti; e, quindi, pastoralm ente dannoso.

Questa distinzione tra moralità oggettiva e responsabilità soggettiva m erita da parte del teologo m orale e del pastore una particolare attenzione, sia per uscire da un oggettivismo che costituirebbe una ricaduta nel formalismo di una certa etica giudaica già respinto da Gesù, sia per uscire da ogni forma — anche se debole — di relativismo che distruggereb­

9 La nonna morale di ‘Humanae vitae' e il compito pastorale, in "Oss. Rom.”, 16 febbraio 1989, p. 1.

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 6 7

be la serietà del discorso m orale. E’ una distinzione che va sempre tenuta presente come la sola capace di salvare, da una parte, la serietà e il gravissim o peso specifico della scelta libera, e dall’altra, la esistenza di quadri oggettivi en ­tro cui essa avviene e da cui è giudicata. Oggettività e sog­gettività devono fare sintesi nella personalità vera.

Alla luce di queste considerazioni così potrebbe essere descritto il giudizio della coscienza m orale in situazione:

La regola ultima e imprescindibile del comportamento di una persona è opera del giudizio della loro coscienza morale. Tale giudizio non è l’applicazione automatica e sillogistica di una norma universale alla situazione particolare, ma la conclusione di un discernimento prudenziale che avviene all’interno di una correlazione fra norma e situazione.Configurare il giudizio di coscienza, come norm a in si­

tuazione (questo io devo fare, questo io non devo fare nella presente situazione), della singola persona quale risu ltato di un rag ionam ento sillogistico (applicazione delle norm e universali alle particolari situazioni) può significare due cose. Primo: certam ente questa m aniera di configurare il giudizio di coscienza m ette al sicuro una verità fo n d am en ­tale: la coscienza non è m aestra di dottrina, non 'pone' la verità. Secondo: essa potrebbe com portare rischi abbastanza seri: deresponsabilizzare il singolo affidandosi unicam ente ed esclusivamente alla rigida e m ateriale interpretazione ed esecuzione del contenuto della norm a. Se il giudizio di co­scienza si restringesse a questo, la form azione della co­scienza m orale si ridurrebbe ad u n ’opera di inform azione della stessa m ediante la comunicazione di verità e di p r in ­cipi morali. L’errore non sta nel dire questo, ma nel ridursi a dire solo questo.

Configurare, invece, il giudizio di coscienza, come la r i ­sultante di una mediazione vitale tra norm a e situazione si­gnifica illum inare e guardare la situazione alla luce della norm a, e com prendere meglio la norm a esplorandola alla luce della situazione. La form azione della coscienza sarà, allora, una progressiva illum inazione del credente nell'espe- rienza globale di fede, illum inata dalla Parola di Dio, in te r­pretata autenticam ente dal M agistero che guida anche la necessaria lettura razionale del vissuto umano. E ciò non è e non può essere il puro risultato di un ragionam ento teori-

3 6 8 BRUNO ZOMPARELLI

co e impersonale, ma il prodotto di una progressiva m atu ra ­zione all’in terno di una specifica vocazione alla crescita continua in Cristo.

Così inteso, un retto giudizio di coscienza dovrebbe p re ­vedere e presentare, contem poraneam ente e im prescindi­bilmente, i seguenti due momenti:

a — raccogliere e accogliere fedelmente e m editare nel proprio cuore l’insegnam ento della Chiesa, com e criterio oggettivo e norm a di vita evangelica per discernere le prassi vere e quelle false relative alla esplicitazione della fede, im ­pegnandosi e sforzandosi di giungere, per quanto u m an a­mente possibile, ad una com prensione corretta, adeguata e veram ente illum inata;

b — attendere con cura all’atto com piuto o progettato — al suo valore e al suo significato — alle circostanze in cui è avvenuto o avviene, alle conseguenze facilmente previste o prevedibili, alla ‘bontà’ della intenzione.

Alla luce di tale accoglienza-m editazione dei criteri og­gettivi e di questa attenzione all’atto in situazione, si forma e si emette il giudizio ultimo di coscienza “sub instinctu Spirìtus Sancti", come risposta concreta e specifica al Padre che chiama il cristiano ad essere in Cristo, e ci si affida radicalmen­te al giudizio di Dio. E in tale giudizio conclusivo “la coscien­za è inviolabile e nessuno può essere forzato ad agire in m aniera contraria alla propria coscienza, come a ttesta la tradizione morale della Chiesa”10.

Cioè: il giudizio della coscienza m orale come norm a in situazione che deve trasferire il valore espresso nel contenu­to della norm a (la maggiore) nella situazione concreta della persona (la minore), non è conseguenza autom atica di un freddo ragionare m a è frutto e sintesi di trascendenza e provvisorietà che dom anda realtà e realismo. La verità certa che deve essere in tu ita e detta dalla coscienza per mezzo della prudenza in situazione è precisam ente questa: dire l’assoluto nel provvisorio. Qui deve emergere tu tta la r ic ­chezza e il dinam ismo dell'intenzione retta: come in tenzio­ne di chi — veramente persona in Cristo per accogliere la vo­lontà di Dio che opera con il suo Spirito nella Chiesa-miste­ro — sta esprimendo il giudizio sotto lo sguardo di Dio. E

10 CONGR. CLERO, l.c., 699.

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 6 9

questa sintesi e questo giudizio li possono e li devono fare solo le persone interessate; nessun altro al di fuori.

Configurare il giudizio di coscienza in questa seconda m aniera significa anche am m ettere delle scelte personali che, pu r essendo contro il contenuto espresso nei principi e nelle norme, possono essere non colpevoli soggettivamente o non gravemente colpevoli: "Le particolari circostanze che intervengono in un a tto um ano oggettivam ente cattivo, m entre non possono trasform arlo in oggettivamente v irtuo­so, possono renderlo incolpevole o meno colpevole o sogget­tivamente difendibile’’11. E’ questa un ’osservazione da tenere ben presente nelle successive riflessioni.

3- Giudizio di coscienza vita, atti, intenzionePorre l’accento sull'aspetto soggettivo (finis operantis):

vita, atti, intenzione, ecc. non vuole affatto significare svuo­tam ento o relativizzazione del contenuto dell’a tto (finis operis), ma solo collocarlo nella sua giusta e reale prospet­tiva. Ciò è molto im portante, soprattu tto quando si nota la tendenza a scivolare dall’eccessiva m aterialità al puro sog­gettivismo. E’, com unque, fondam entale ed essenziale che questo discorso sia visto e considerato nel suo insiem e e non per affermazioni separate e fuori del contesto generale di ciò che si sta dicendo.

Il giudizio m orale elaborato dalla coscienza deve r i ­guardare gli ‘abiti’ prim a che gli atti, le scelte di fondo e perm anenti prim a e più che le singole azioni, la direzione costante di vita prim a e più che i distinti com portam enti. Troppo spesso ci si è limitati e ci si limita tu ttora a valutare i singoli e distinti com portam enti senza collocarli nel conte­sto concreto di vita in cui si pongono e dall’opzione di fondo da cui scaturiscono e di cui sono conferm a o sm entita. Al contrario, suggerimenti positivi 'e costruttivi in tal senso si possono chiaram ente cogliere dalle indicazioni pastorali su vari temi e problem i m orali, frequentem ente toccati dal magistero.

11 CONGR. CLERO, I.e., 698.

3 7 0 BRUNO ZOMPARELLI

Nel docum ento “Persona hum ana”, parlando della m a ­sturbazione, si dice:

"Nel ministero pastorale, per formarsi un giudizio adegua­to nei casi concreti, sarà preso in considerazione nella sua to­talità, il comportamento abituale delle persone, non soltanto per ciò che riguarda la pratica della carità e della giustizia, ma anche circa la preoccupazione di osservare il precetto partico­lare della castità. Si vedrà specialmente, se si fa ricorso ai mezzi necessari, naturali e soprannaturali, che l'ascesi cristia­na, nella sua esperienza di sempre, raccomanda per dominare le passioni e far progredire la virtù”12,La stessa cosa viene detta nella “Lettera ai Vescovi della

Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone om oses­suali”:

“...è necessario rifarsi alla saggia tradizione morale della Chiesa, la quale mette in guardia dalle generalizzazioni nel giudizio dei casi singoli. Di fatto in un caso determinato pos­sono essere esistite nel passato e possono tuttora esistere cir­costanze tali da ridurre o addirittura da togliere la colpevolez­za del singolo; altre circostanze possono al contrario accrescer- la”13.Il senso di queste affermazioni, mi pare, sia il seguente:

atti m aterialm ente identici possono avere significato e va­lenza etica diversa. Ogni scelta com portam entale della per­sona va inserita nel contesto morale generale che deve esse­re il prim o e più im portante criterio di valutazione. Cioè: non si devono giudicare le singole scelte separatam ente, isolandole dal contesto nel quale esistenzialm ente vengono progetta te e dal quale derivano. E ’ m olto im portan te l’atteggiam ento di fondo dell'esistenza di un uom o e di un cristiano, secondo che esso è un atteggiam ento reale e reali­stico di crescita nell’amore di Dio e degli altri oppure un a t­teggiam ento di chiusura e di egoismo. Le singole scelte prendono forma, luce, consistenza m orale da questi atteg­giamenti di fondo.

12 CONG. D. FEDE, Persona hum ana, d ichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale, 29 dicembre 1975, in "EV” V (1974-76) 1734.

13 CONG. D. FEDE, Homosexualitatis Problema, lettera ai vescovi della chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1 o t­tobre 1986, in "EV” X (1986-87) 928.

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 7 1

Un riferim ento alla morale giovanile può chiarire questa affermazione: penso alla casistica che spesso si è fatta sul com portam ento dei fidanzati. Non saprei e non potrei dare che un principio molto generale: resta chiaro e fermo che la "sessualizzazione” consum ata dell’am ore reciproco è pro­pria del m atrim onio (perché solo nel m atrim onio questo amore è definitivo e può debitam ente aprirsi al dono della vita). Le espressioni esterne dell’am ore tra due fidanzati dovranno ispirarsi con sincerità e sem plicità a questo p rin ­cipio e alle varie fasi di crescita di questo amore; il quale — è ovvio — non è la semplice attrazione fisica m a è la decisione spirituale di appartenersi in m aniera esclusiva e definitiva. Nella m isura che questa decisione spirituale in teriorm ente cresce, essa potrà anche esprim ersi esteriorm ente, fermo re­stando che l’esperienza sessuale sarà il sigillo nel m atrim o­nio di questo graduale processo di m aturazione. "I fidanzati sono ripetutam ente invitati dalla parola di Dio a nu trire e potenziare il loro fidanzam ento con un amore casto...” (GS. 49).

Ecco, allora, l’im portanza di non ferm arsi alla casistica dei singoli gesti ma saper cogliere e penetrare a fondo il con­testo di crescita della com prensione e dedizione personale reciproca in cui questi gesti vengono a collocarsi. Ciò vuol dire che l’atteggiam ento affettivo dei due fidanzati non può essere valutato pienam ente ed adeguatam ente senza questo sguardo globale e tenendo conto che l’arm onizzazione tra integrazione spirituale e vicinanza fisica non è facile e, senz'altro, bisognerà m ettere in preventivo qualche m om en­taneo insuccesso o qualche occasionale sm arginatura.

In questo contesto acquista particolare im portanza l’in­tenzione, come elem ento principale della m oralità di una scelta concreta. E’ essa che fa di un gesto un vero atto um ano e, quindi, morale. Si com prende così perché il Van­gelo insiste tanto sulla purità di cuore e perché l'autenticità morale di una scelta dipende in grandissim a parte dall’in ­tenzione che la sorregge.

Sia chiaro che “non si tra tta qui di una intenzione, che può accendersi emotivamente come episodio, anche in una personalità che non ha profondità; che non vive di fede-cari- tà-speranza, non vive di volontà di Dio. Con queste in ten­zioni episodiche si può anche cadere in relativismo morale; in m achiavellismo che con un fine buono, porta to da un

3 7 2 BRUNO ZOMPARELLI

fragile sentim ento, ten ta di giustificare mezzi cattivi. La in ­tenzione retta di chi è veramente persona in Cristo, è tensio­ne di volontà anim ata dalla tensione della volontà di Dio, in quanto opera con la sua forza: la forza del Cristo risorto che col suo Spirito si pone come chiesa-m istero, protesa verso la beata speranza”14. Tutto questo deve assolutam ente emerge­re in una intenzione che voglia essere e dirsi retta.

D’altra parte sappiam o molto bene che ogni atto morale, in quanto um ano, è una realtà unica: complessa e polivalen­te nello stesso tem po. Ciò che si m anifesta all'esterno, ciò che si vede e si può controllare è solo una parte della realtà, che ha o può avere, contem poraneam ente, sorgenti multiple e significati diversi. Per verificare se alla base di un giudizio di coscienza personale su un determ inato atto ci sia vera­m ente una intenzione retta non è necessario passare in ra s­segna tutte le possibili motivazioni presenti o pretendere di avere una intenzione assolutamente pura ; è sufficiente im pa­rare ad individuare con sincerità e chiarezza le motivazioni prevalenti delle proprie scelte, sm ascherando innanzitutto le motivazioni false, e raggiungere quel grado di bontà della propria intenzione sufficiente ad agire rettam ente. "Melius est cum 'intentione bona’ m ulta bona facere, quam propter inopportune desideratam ‘intentionem puram ’ nihil realiza-

are .Questi criteri, è vero, in un certo senso sono più duttili

ma, a lungo andare e certam ente, più im pegnativi perché non fanno dipendere la bontà e la malizia di un com porta­m ento solo e unicam ente dalla m aterialità del gesto, ma an­che e principalm ente dal valore um ano e cristiano totale di cui esso si carica o è privo a ttraverso quelle esigenze dell 'intenzione retta, come sopra accennate.

Assolutamente decisivo per formare ed em ettere un retto giudizio di coscienza in situazione il ruolo e il compito della prudenza, così come descritti da S. Tommaso.

14 CAPONE, D., La coscienza come norma morale in situazione, in "Pres. Past." 42 (1972) 155

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 7 3

4- Il ruolo della prudenza nel giudizio di coscienza"Per conoscere la volontà di Dio, san Paolo dice che oc­

corre una m etanoia , un rinnovam ento 'radicale del m odo di sentire che sia contrario alla form a del secolo. Chi è così rinnovato, può, in situazione, cercare, verificare e quindi a p ­provare (dokimazein) il volere di Dio, buono, piacevole, per­fetto. Il termine dokimazein è il termine classico, per indicare l’atto specifico della prudenza; l’atto che, per mezzo della co­scienza dice dove è la verità in situazione”15.

Interessante notare come, e nel linguaggio com une e in una certa ottica etica, un concetto di tanto rilievo nel campo della vita, non solo m orale, di fatto venga espropriato del suo vero nucleo: dire la verità in situazione. Così, da una parte, si identifica la prudenza con il calcolo, la furbizia, (è prudente, perciò, chi sa m isurare bene le cose in vista dei propri interessi); dall’altra, per una sorta di idealism o mai sopito, si è portati a vedere la prudenza come grettezza in te ­riore, incapacità di slancio nei grandi ideali, intorpidim ento e appiattim ento (è prudente, allora, il mediocre e il tiepido): “Si pensi per es. alla convinzione secondo cui se non l’unica, certo la più autentica espressione di m oralità, non è quella che si vive e si costruisce nella quotidianità, in linea con la fedeltà concreta ed effettiva all’opzione di fondo, ma è quella ideale, tanto più nobile quanto più so ttra tta all’in q u in a ­m ento delle situazioni contingenti... E ’ ciò che avviene quando la proposta privilegia ciò che concerne le leggi e le norm e di com portam ento e non accentua debitam ente la crescita nella virtù, il consenso, convinto e coerente, con il fine ultim o del vivere”16.

Questa difficolta di accezione e di com prensione del term ine "prudenza” non è nuovo. Già S. Tom maso, in un lucido articolo della S.Th., lo rilevava espressam ente, d i­stinguendo una prudenza falsa, una prudenza vera ma im ­perfetta e una prudenza vera e perfetta. Alla dom anda se la virtù della prudenza possa essere presente anche nei pecca­tori, in coloro, cioè, che decidono male ciò che va fatto in o r­dine al fine ultimo, così risponde:

15 CAPONE, D., a.c., p. 151.16 MONGILLO, D„ Prudenza, in "NDTM”, 1049.

3 7 4 BRUNO ZOMPARELLI

“Ci sono tre tipi di prudenza. C’e infatti una prudenza falsa, così chiamata per analogia. Poiché siccome è prudente chi dispone bene le cose da fare per un fíne buono, colui che dispone con abilità quanto occorre per un fine cattivo ha una falsa prudenza, perché ciò che prende per fine non è un bene vero, ma presunto: come quando si parla di un buon ladro. Infatti per una certa analogia si può dire che è prudente quel ladro, il quale ha indovinato la via adatta per rubare...Il secondo tipo è una prudenza vera, perché scopre le vie adatte per un fine veramente buono; ma è imperfetta per due motivi. Primo, perché il bene che prende per fíne non è il fine universale della vita umana, ma quello di una particolare at­tività: come quando uno trova le vie adatte per il commercio, o per la navigazione, merita di essere chiamato commerciante o navigatore prudente. Secondo, perché manca nell’atto princi­pale della prudenza: come quando uno delibera e giudica ret­tamente proprio quanto interessa tutta la vita, ma non sa im­porselo, o comandarlo efficacemente.Il terzo tipo è, invece, la prudenza vera e perfetta, che deli­bera, giudica e comanda rettamente le cose ordinate al fine di tutta la vita”17.

Altra ragione, più sottile m a non m eno pericolosa di questa incomprensione, è la tendenza a una certa confusio­ne tra la prudenza e la coscienza, con il rischio di vanificare il ruolo e l’essenza stessa della prim a. Per evitare questa confusione bisogna im parare a distinguere nettam en te e chiaram ente le due funzioni dell’intelletto pratico, le quali in nessun modo possono confondersi tra di loro. Una cosa è conoscere il singolare o la situazione concreta esprim endo un pensiero o un giudizio anche di ordine pratico (questa cosa alla luce del mio progetto di vita e nella linea dei co- m andam enti di Dio è bene o è male per me), e a ltra cosa è conoscere l’opportunità o la non opportun ità di u n ’azione com andandone l’esecuzione o la non esecuzione in un de­term inato momento: questo è com pito specifico della p ru ­denza che dice la verità per mezzo della coscienza:

"La prudenza invece importa ben più della scienza pratica; poiché alla scienza pratica appartiene un giudizio universale sulle azioni da compiere, p.e., che la fornicazione è riprovevole, che il furto non va fatto, ecc... Invece è compito della prudenza

17 S. I h . , n-II, q. 47, a. 13.

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 7 5

giudicare rettamente delle singole scelte come da farsi in quel dato momento: il quale giudizio viene distrutto da qualsiasi peccato. Perciò finche c’è la prudenza l’uomo non pecca; e quindi essa non un poco ma molto conferisce alla virtù; anzi è essa stessa a causarla”18.In un certo senso, potrem o dire, che la coscienza ha un

campo di azione più vasto di quello della prudenza, m a è proprio e specifico della prudenza sapere, dire e efficacemen­te deliberare ciò che è bene fare nella condizione concreta e irripetibile in cui la persona si trova. “La coscienza ha un cam po d ’azione m olto vasto. Influisce su ll’o rien tam ento della persona, sugli atteggiam enti fondam entali del credere, sperare, amare, essere giusti. Verifica la logica che ispira i comportamenti; le solidarietà che, effettivam ente, incidono sulle decisioni; la portata e il valore delle azioni... La co ­scienza risvegliata deve concretizzarsi nel discernim ento in ­telligente e retto delle situazioni e nell’azione fedele, pronta, gioiosa, perseverante. Tutto ciò esige rettitudine e abilitazio­ne specifica dell’intelligenza pratica: è il ruolo della p ruden ­za” 19.

Da questo punto di vista la prudenza è non solo la virtù più ordinaria m a anche la più necessaria della vita um ana, in quanto il suo compito è regolare secondo ragione tu tte le altre virtù morali:

“La prudenza è la virtù più necessaria per la vita umana. Infatti, il ben vivere consiste nel ben operare. Ma perché uno operi bene non si deve considerare solo quello che compie, ma in che modo lo compie; e cioè si richiede che agisca non per impulso o per passione, ma secondo una scelta o decisione retta... (e questo) richiede il diretto intervento di un abito della ragione: poiché deliberazione e scelta, aventi per oggetto i mezzi, appartengono alla ragione... Perciò è necessario che nella ragione vi sia una virtù intellettuale, che le conferisca una predisposizione retta nei riguardi dei mezzi ordinati al fine. E codesta virtù è la prudenza”20.I m aestri di spirito insistono nel consigliare alle persone

la perfezione delle cose ordinarie, secondo l'adagio “age quod agis”. E’ questo l’indirizzo più incoraggiante per l'eser­

18 De virtutibus in com muni, a. 6, ad 1.19 MONGILLO, D„ a.c., p. 1051.20 S. Th. , I-II, q. 57, a. 5.

3 7 6 BRUNO ZOMPARELLI

cizio della prudenza, perché essa costituisce la regola con­creta, la giusta m isura dell’agire virtuoso. La prudenza, a l ­lora, conserva o recupera tu tto il suo significato e il suo ruolo nella vita m orale quando “l’annunzio m orale so tto li­nea la chiam ata delle persone a rendere vera la propria sto ­ria, a plasm arla in modo che il rapporto con Dio, nel suo po ­polo e nella famiglia um ana, si qualifichi in un crescendo di fedeltà che si costruisce nel quotidiano e rifugge dalle situa­zioni che rendono disumano il vivere”21.

Ma perché possa esserci un perfetto agire prudenziale occorrono alcuni requisiti (parti integrali)-, S. Tom m aso ne elenca otto: cinque appartenenti alla prudenza come virtù conoscitiva, tre in quanto virtù operativa:

“Sono parti (integrali) della virtù quelle funzioni che sono indispensabili all’atto perfetto di essa. E in tal senso tra tute le cose enumerate si possono determinare otto parti della pru­denza... Di queste otto parti cinque appartengono alla pruden­za in quanto è una virtù conoscitiva, e cioè: memoria, ragione, intelletto, docilità, sagacia ; le altre appartengono alla prudenza in quanto comanda, applicando la conoscenza all’operazione, e cioè: previdenza, circospezione, cautela. Il motivo della loro distinzione risulta evidente dal fatto che nella conoscenza si devono considerare tre cose. Primo, la conoscenza stessa: la quale se riguarda il passato è memoria, e se riguarda il presen­te, necessario o contingente che sia, si denomina intelletto o intelligenza. Secondo, l'acquisto della conoscenza: acquisto che può farsi o mediante 1 insegnamento, e allora abbiamo la docilità-, oppure con la ricerca personale, ed ecco Xeustochia che é il ben congetturare. Fa parte di questa la solerzia... Terzo, si deve considerare l’uso della conoscenza: cioè il passaggio che uno fa dalle cose che conosce alla conoscenza di altre cose. E questo appartiene alla ragione. Perché poi la ragione possa ben comandare, deve badare a tre cose. Primo, a ordinare ciò che é proporzionato al fine: e allora abbiamo la previdenza. Secondo, a osservare le circostanze dell’impresa: e allora abbiamo la cir­cospezione. Terzo, a evitare gli ostacoli: ed ecco la cautela'22.Tutti questi elementi, parti integrali, della virtù della

prudenza sono ripresi da S. Tom maso nella questione suc­cessiva23 e vengono uno per uno chiaram ente e lucidam ente descritti. Sarebbe interessante ai fini di una maggiore com ­

21 MONGILLO, D., a.c., p. 1049.22 S.Th., II-II, q. 48.23 cf. S. 77?., II-II, q. 49, aa.1-8.

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 7 7

prensione dell’essenza stessa e del ruolo della p rudenza analizzare in dettaglio e singolarm ente queste cara tte risti­che, ma ritengo sufficiente ai fini del presente lavoro quanto sinora detto, con u n ’ultim a im portan tissim a annotazione, sempre seguendo il pensiero di S. Tommaso.

Trattando della necessità della prudenza, alla difficoltà che la prudenza può sbagliare e, quindi, per questo non può essere virtù intellettuale, così risponde :

“La verità dell’intelletto pratico si deve giudicare diversa- mente dalla verità dell'intelletto speculativo... Infatti la verità d ell’in telletto speculativo si m isura dalla con form ità dell’intelletto con la realtà. E poiché l’intelletto non può con ­formarsi con esattezza alla realtà in cose contingenti, ma sol­tanto in quelle necessarie, nessun abito speculativo che s’interessi del contingente può essere una virtù intellettuale, ma solo quegli abiti che riguardano il necessario. Invece la ve­rità deH’intelletto pratico si desume dalla conformità col retto volere. La quale conformità non esiste nel campo del necessa­rio, il quale non dipende dalla volontà umana; ma solo nel campo delle cose contingenti, le quali possono essere compiute da noi, siano esse azioni da compiersi o opere esterne da farsi . Ecco perché la virtù dell’intelletto pratico si limita alle sole cose contingenti: virtù che rispetto alle cose fattibili è arte; e rispetto alle azioni da compiere è prudenza”24.La prudenza, perciò, è v irtù in te lle ttuale che dirige

l’intelligenza nell’intuire e nel ragionare intorno alla prassi morale, non in teoria, m a in ordine all’a tto da porre in si­tuazione. E come tale deve sempre dire la verità delle scelte morali, per mezzo della coscienza: “la bontà del volere è es - senziale per la prudenza”25, per questo essa “presuppone le virtù morali che rendono buona la volontà”26.

D 'altra parte, proprio perché virtù dell’intelletto pratico che riguarda le cose contingenti, la prudenza può sbagliare; può, pur correttam ente deliberando e rettam ente eseguendo, non usare o scegliere il mezzo idoneo per raggiungere il fine. Infatti, "nel discorso di scienza speculativa si assum ono i principi in quanto sono veri sul piano del conoscere; nel discorso o deliberazione pratica i principi sono costituiti da

24 S. Th. , I-II, q. 57, a. 5, ad 3.25 S. Th. , I-II, q. 57, a. 4.26 ib.

3 7 8 BRUNO ZOMPARELLI

valori assun ti come fini... Sicché la volontà dirige se è finalizzata rettam ente"27; “la verità dell’intelletto pratico si desume dalla conformità col retto volere”.

Ma questa rettitud ine di intenzione, elem ento so stan ­ziale della prudenza, come già ho avuto m odo di dire nel punto precedente, dipende innanzitu tto dalla buona rela­zione nei confronti del fine ultim o e allo stesso tem po dal rapporto con gli altri fini:

“Ora, per avere il retto procedere della prudenza è assai più richiesta la buona disposizione rispetto al fine ultimo, prodotta dalla carità, che non la buona disposizione rispetto agli altri fini, prodotta dalle virtù morali: così in campo specu­lativo la retta ragione ha bisogno soprattutto del primo princi­pio indimostrabile, e cioè che le 'cose contraddittorie non pos­sono essere simultaneamente vere’. Perciò è evidente che non possono esistere senza la carità, né la prudenza infusa, né, di conseguenza, le altre virtù morali, incapaci di esistere senza la prudenza”28.Tuttavia, questa m aturità prudenziale non si im provvi­

sa; può essere solo il frutto di un costante, graduale, faticoso e paziente apprendistato; e inoltre deve sem pre accom pa­gnare l’uom o nelle sue scelte; altrim enti è un discorso vuoto di senso.

5- La legge della gradualitàIn questo vastissimo am bito di riflessioni sul tem a della

coscienza si è sviluppato, non solo nel settore della teologia morale e pastorale m a anche negli interventi del Magistero, il discorso sulla legge della gradualità23, come: mediazione pedagogica tra la ‘verità’ e la 'storicità'. Senza tradire, da una parte, il messaggio evangelico trasm esso dalla Chiesa e, dall'altra, senza astrarre dalle situazioni concrete delle per­sone che tale messaggio stanno accogliendo e devono vive­

27 CAPONE, D., Le.28 S. Th. , I-II, q. 65, a. 2.29 Vasta eco ha avuto questo tema nel Sinodo del 1980 "M atrimonio e

famiglia nel mondo contemporaneo". Molto utilm ente si possono consul­tare i vari interventi dei Padri sinodali in CAPRILE, G., Il sinodo dei Ve­scovi 1980, Ed. La Civ. Catt., Roma, 1982.

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 7 9

re. "In realtà, non si può accettare un ‘processo di g rad u a lità ’ se non nel caso di chi con anim o sincero osserva la legge divina e cerca quei beni che dalla stessa legge sono custoditi e promossi. Perciò, la cosiddetta ‘legge della g radualità ' o ‘cammino graduale’ non può identificarsi con la 'gradualità della legge’, come se ci fossero vari gradi e varie form e di precetto nella legge divina per uom ini e situazioni diverse"30; “...l'autentica pedagogia ecclesiale rivela il suo realism o e la sua sapienza solo sviluppando un impegno tenace e corag­gioso nel creare e sostenere tu tte quelle condizioni um ane, psicologiche, morali e spirituali, che sono indispensabili per comprendere e vivere il valore e la norm a m orale”31.

Il cristiano deve aprirsi alla piena dim ensione della cari­tà: è questa la condizione di base e l’elemento pregiudiziale per una retta comprensione della legge della gradualità. Ma nel cam po della vita m orale c’e una gerarchia di valori e una progressiva acquisizione ed integrazione di essi. Non si tratta, quindi, di ritardare l’annuncio del Vangelo, né di r i ­durne l’integrità, né di nascondere le esigenze della vita cristiana, ma di partire dalle acquisizioni di valori già p re ­senti, orientandoli verso la loro pienezza. “L’uom o chiam ato a vivere responsabilm ente il disegno sapiente ed am oroso di Dio, è un essere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue num erose libere scelte; per questo egli conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita”32; “... la Chiesa, il cui compito è dichiarare il bene totale e perfetto, non ignora che vi sono delle leggi di crescita nel bene, e che talora si passa per dei gradi ancora imperfetti, m a con il fine di superarli lealmente, in una tensione costante all’ideale”33.

La legge della gradualità è legata intim am ente alla di­mensione escatologica della vita cristiana; è essa che m ette in luce il carattere progressivo della m aturazione della p e r­sona, nonché delle tappe di avanzata sia nella vita persona­le che sociale. Ciò va tenu to partico larm ente presen te nell’applicazione pastorale della vita morale: questa avanza­

30 GIOV. PAOLO II, Familiaris consortio, esortazione apostolica, 22 novembre 1981, in "EV" VII (1980-81) 1632.

31 GIOV. PAOLO II, I.e., 1628.32 GIOV. PAOLO II, I.e., 1631.33 CEI, L ’enciclica ‘Humanae vitae ' , notificazione e com unicato del

consiglio di Presidenza, 10 settembre 1968, in "E. GEI” I (1954-72) 1779.

3 8 0 BRUNO ZOMPARELLI

ta e la m aturazione della persona vanno sollecitate e fomen­tate attraverso la genuina applicazione del Vangelo, fonte di buona novella. Infatti, il vangelo libera il c ristiano dalla schiavitù della legge; attenti, quindi, a non ripo rta re nel cuore delle persone tale schiavitù, m a cercare di portarvi la gioia del vangelo.

G arantita questa tensione escatologica, la prudenza dirà al cristiano come comporre nel concreto della vita quotidia­na la legge della totalità con la legge della gradualità in m a­niera tale che questa composizione rispecchi veram ente la volontà di Dio come percepita dalla propria coscienza.

Ecco, allora, tu tta l'im portanza — e non solo pastorale — della legge della gradualità nello scrutare quale sia la vo­lontà di Dio, il progetto di Dio nella costruzione e nella c re ­scita della persona um ano-cristiana. Si capisce anche il ruolo determ inante che abbia la prudenza cristiana nell’ap- plicazione di tale legge: è la voce stessa della carità di Cristo che vive nel cuore della persona come ‘eschaton’ a suggerire alla coscienza la volontà di Dio. E’ il novissimum che si pone dentro l’uomo come principio vitale, come valore dinamico. E gli atti morali, prim a di essere 'mezzi' al raggiungim ento di un term ine felice, sono espression i di u n a v ita in com unione sacram entale col Cristo e col suo Spirito. Non, dunque, una morale degli atti singoli, m a una morale della persona che si esprime in a t t i . Ed esprim endosi, cresce in Cristo e fa crescere il Cristo dentro di se.

D’altra parte, pur dovendo il cristiano assimilare e vivere in m aniera personale la fede, essa presuppone sempre il r i­m ando ad una norm a scritta o orale e il rim ando alla co­m unità ecclesiale che la esprim e, la controlla e la dirige; quindi, la persona deve sempre verificare la sua fede e la m aniera di esprimerla e, se necessario, rettificarla.

6- Legge e coscienzaIl discorso m orale sulla legge è senz’altro necessario;

personalm ente ritengo che sia fondam entale e insostituibile. Ma la necessaria enfasi su regole e norm e non dovrebbe far dim enticare “la legge dello Spirito di vita in Cristo Gesù ”. Oc­corre costantem ente ricordare che la m orale cristiana non significa soltanto la fedeltà al catalogo dei com andam enti,

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 8 1

ma, principalm ente, la non catalogabile dinam ica vivacità dell’uom o buono, mosso e ispirato dallo Spirito, che con fine intuito e per una certa 'connaturalità ', scopre le o p p o r­tunità per il bene e che, soprattutto, non ha tanto a che fare col ‘devi’ dei com andam enti m a sta so tto l’im pulso del ‘puoi’ dell’amore.

Il cristiano è diventato in Cristo ‘nuova creatura’ (cf. Gal. 6,15; Ef. 2,4). Questa novità radicale è dono di Cristo. E Cri­sto, è la 'legge nuova’ del cristiano. “La legge dello Spirito non si distingue dalla legge m osaica — e, a fortiori da ogni altra legge non rivelata, anche se considerata espressione della volontà di Dio — solam ente per il fatto che essa p ro ­porrebbe un ideale più elevato o im porrebbe delle esigenze più grandi. Neppure se ne distingue, al contrario , perché essa offrirebbe una salvezza a m inor prezzo, come se Cristo avesse sostituito al giogo insopportabile della legge sinaitica una ‘morale facile’, ciò che costituirebbe piuttosto uno scan­dalo. No, la legge dello Spirito ne differisce radicalm ente per la sua stessa natura. Essa non è più un codice ‘dato dallo Spirito Santo’; ma una legge 'p rodotta in noi dallo Spirito Santo'; non da una semplice norm a di azione esterna, ma — ciò che evidentem ente nessuna legislazione in quanto tale potrebbe essere — un principio di azione, un dinam ism o nuovo interiore’’34.

Questa è la novità assoluta e radicale della nuova a l­leanza instaurata da Cristo ed è in questa prospettiva che occorre guardare e capire la legge, qualsiasi legge esterna. Se non si parte da questo presupposto sarebbe illusorio ogni progetto di novità e risulterebbe deludente qualsiasi ten ta ti­vo di sintesi vitale, nella fedeltà al Vangelo e alla storicità dell’uom o, del messaggio m orale cristiano. Si vanifiche­rebbe alla radice la buona novella e si rim arrebbe ancorati al 'giogo' della legge. In tale prospettiva, allora, quale il senso, lo scopo, la portata della legge? Mi limito unicam ente a suggerire una pista di riflessione m olto generale, m a che ritengo utile e im portante ai fini prefissi dal presente lavoro.

La legge nuova dello Spirito esige delle leggi esterne, come sue manifestazioni orali o scritte. Ciò non è illogico e contrario alla nuova legge, purché se ne capiscano i reali

34 LYONNET, S., Libertà cristiana e nuova legge, Milano, 1963, p. 3.

3 8 2 BRUNO ZOMPARELLI

motivi e se ne vedano chiaram ente i limiti. Se il cristiano storico fosse pienam ente e totalm ente fedele alla sua voca­zione non avrebbe bisogno di nessuna legge esterna; gli sa ­rebbe sufficiente la legge nuova. Ma egli è peccatore nel vero senso della parola. Come viator’ il cristiano si trova sempre nella terribile possibilità di peccare; può sem pre rito rnare sotto la 'carne'. La legge esterna, quindi, è di aiuto a m ante­nere lim pida la coscienza della sua appartenenza a Cristo, di essere ‘nuova creatura’; indica quale è la volontà Dio.

E su questo term ine indicazione che voglio insistere un momento. Con esso non si intendono affatto negare obbliga­zioni ultimative derivanti dalla legge, solo m etterne in evi­denza la loro vera finalità e l’autentica esigenza evangelica che vogliono esprimere. Infatti, quando il cristiano fa della legge una norm a rigida, assoluta, invalicabile risch ia di tornare alla situazione ‘vecchia’ facendosi dei nuovi ‘idoli’ dai quali Cristo lo ha liberato. Rischia di confondere la funzione della legge esterna, che è una mediazione, con un assoluto che non perm ette mediazioni. Se, invece, considera la legge esterna come una indicazione, nel senso detto e con le precisazioni apportate nel contesto di tu tto il discorso fatto finora, ha la possibilità di recuperare continuam ente e nuovam ente un nucleo centrale che, a volte esige rivesti­menti diversi, altre volte, nuove e più radicali in terpretazio­ni. Soprattutto, questo modo di considerare la legge e acco­starsi ad essa aiuta ad ovviare alla necessità in trinseca ad ogni codificazione di porsi come l’ultim a parola, venendo meno alla sua funzione m ediatrice nei confronti del valore. Una legge esterna, infatti, è sempre la traduzione di un valore, e vale in quanto veicola tali valori. In altre parole, essa, per quanto perfetta possa essere, deve veicolare Cristo; ed è il Cristo che bisogna cogliere in essa.

"In ogni caso, i precetti della legge nuova non sono che un'espressione della grazia, nella quale essa principalm ente consiste. Ne sono espressione essenziale : perché senza di essi la grazia non può regolare la vita cristiana ne può farle raggiungere il fine della carità... E ne sono un ’espressione secondaria, onde la sola osservanza dei precetti, necessari come limite minimo, non basterà mai a in terpretare e tra ­durre tu tta la potenza motiva e regolatrice della grada Spiri- tus Sancii : intere sezioni della vita spirituale si so ttrarranno sempre alla forza direttiva e imperativa dei singoli precetti, e

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 8 3

la loro regola rim arrà sempre l’in teriore e libera voce dello Spirito Santo”35.

In uno splendido com m ento al Vangelo di Matteo, que­sto afferma Giovanni Crisostomo:

"La nostra vita dovrebbe essere così pura da non aver bi­sogno di nessuno scritto: la grazia dello Spirito Santo dovreb­be sostituire i libri, e come questi sono scritti con l’inchiostro, così i nostri cuori dovrebbero essere scritti con lo Spirito Santo. Solo perché abbiamo perduto questa grazia, dobbiamo servirci degli scritti: ma quanto migliore fosse il primo modo, Dio stesso ce lo ha chiaramente mostrato... Ai suoi discepoli, infatti, Dio non lasciò nulla per iscritto, ma promise loro la grazia dello Spirito Santo: 'Egli — disse loro — vi suggerirà ogni cosa'; così come disse per bocca di Geremia: ‘Farò un’alleanza nuova, promulgherò la mia legge nelle loro anime, la scriverò nei loro cuori, e saranno istruiti da Dio’; ed anche Paolo, volendo affermare questa medesima verità, dice­va d’aver ricevuto la legge ‘non su tavole di pietra, ma su tavo­le di carne, cioè nel suo cuore’. La nostra vita, dunque, do­vrebbe essere pura, di modo che, senza aver bisogno degli scritti, i nostri cuori fossero sempre aperti alla guida dello Spi - rito Santo... E’ infatti lo Spirito Santo che discese dal cielo quando fu promulgata la nuova legge, e le tavole che egli inci­se in questa occasione sono ben superiori alle prime; poiché gli apostoli non discesero dal monte portando, come Mosé, delle tavole di pietra nelle loro mani; ma se ne venivano portando lo Spirito Santo nei loro cuori, divenuti mediante la sua grazia una legge e un libro viventi’’36.

7- Formazione della coscienza: criteri operativiForm are la coscienza morale significa, anzitutto, aiutare

a percepire e cogliere i valori oggettivi che costituiscono il punto di riferimento stabile, la m eta da raggiungere per una realizzazione piena dell’uomo e del cristiano e verso la qua­le ci si deve seriam ente impegnare. Quindi, perenne validità delle norme oggettive (criterio ontologico).

Le norme (anche quelle proibenti), nella loro ultim a fina­lità e alla luce della ‘legge nuova’, dirigono, segnano, in d i­cano obbligatoriam ente un cam m ino. La persona m orale non si crea dal nulla, m a da valori oggettivi e da tradizioni

35 VALSECCHI, A., Legge nuova, in "NDTM", 655-666.36 S. G. CRISOSTOMO, In Matth. hom. I, n. 1; PG., 57, 13-15.

3 8 4 BRUNO ZOMPARELLI

che l’hanno preceduta. Un uom o e, m aggiorm ente, un c ri­stiano non iniziano il loro cam m ino da soli, come se prim a di loro e accanto a loro non ci fosse alcuno e una com unità, la Chiesa, alle quali riferirsi. E' con esse: con la loro testim o­nianza e il loro annuncio che occorre onestam ente e ferm a­mente confrontarsi per aw iare un cam m ino morale reale.

Ma ciò non basta; le norm e m orali non sono fine a se stesse. Il criterio precedente sarebbe controproducente, o comunque insufficiente, se applicato senza tener conto della storicità dell’uomo, senza curarsi delle condizioni necessa­rie per favorire un’autentica m aturità cristiana. In altre paro ­le: se ci si fermasse solo alle norm e avremo una ripetizione m ateriale, senza un ’autentica esperienza m orale. Le norm e che rispecchiano l’ordine m orale oggettivo, al di là della formulazione necessariam ente assoluta e con le quali la co­scienza dovrà sempre confrontarsi, nella m isura in cui sono rivolte ad una persona concreta in una situazione concreta (persona situata) devono essere adeguate a questa persona. Senza perdere di vista la loro oggettività, esse saranno sem ­pre appello concreto alla persona e finiranno spesso per in ­dicare più una direzione di m arcia che un confine. Il c r i ­stiano, nella sua coscienza, è chiam ato a superare se stesso, sforzandosi di andare oltre, a partire da dove si trova, nelle direzioni indicategli dalle norme.

Andare oltre; cioè: interiorizzare e personalizzare, — nella libera ubbidienza m atura ta da una ricerca di coscienza e con l’arricchim ento della propria esperienza m orale, con­formemente al cammino intrapreso o alla vocazione specifi­ca che si intende realizzare — la realtà oggettiva contenuta nelle norme. E’ qui tu tta la ricchezza del cam m ino morale della persona cristiana; cam m ino che, ovviamente e rea li­sticamente, non può non preventivare tappe e fasi in term e­die di crescita e di sviluppo.

Le norme, quindi, vanno applicate alla persona in modo da favorire il cammino reale — forse lento, m a effettivo — verso una m aturazione personale piena. Per questo le norm e non possono essere relativizzate nel loro rigore oggettivo; ma, allo stesso tempo, debbono esprim ere tale rigore con la condiscendenza propria della pedagogia divina, ad a ttan ­dosi al livello concreto della persona e chiedendole seria­m ente di andare avanti nella direzione segnata dalla norm a (criterio situazionale).

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 8 5

Alla luce di questi criteri l’impegno m orale fondam enta­le del cristiano, nella fedeltà al contenuto espresso dalle norme, sarà quello di usare i mezzi effettivamente a disposi­zione, operando un discernim ento spirituale che ricorrerà ai mezzi ascetici tradizionali ma terra anche conto dei p rinc i­pali approfondim enti dovuti alle scienze um ane.

Tutto ciò è decisivo e va tenuto costantem ente presente per cogliere la fondamentale im portanza e l’assoluta dignità del discorso sulla coscienza nel cam po della m orale cristia­na; che, principalm ente, è e si qualifica come morale della coscienza e della persona. Non nel senso che ognuno può scegliere e fare quello che vuole, non nel senso di un relati - vismo che rende addirittura impossibile la convivenza, m a nel senso che tu tto deve partire e rito rnare alla coscienza della persona dopo aver enucleato i tratti costanti e oggettivi dei valori e delle norm e, espressi e m anifestati dalla Chiesa e nella Chiesa.

Non solo, è anche illum inante in vista di una corretta ed adeguata (oggettiva) valutazione dell’atto morale, della sua im portanza e della sua gravità. “E’ giusto che ci sia un crite­rio che distingue i peccati secondo una maggiore o m inore gravità oggettiva (m ortali e veniali), m a non è sufficiente nella vita morale giudicare la serietà delle proprie trasg res­sioni (o scelte) unicam ente in base a questo criterio oggetti­vo e attraverso un confronto più o meno m eccanico con una lista di com portam enti già codificati. Si rischierebbe di ve­nirne fuori con una falsa coscienza, nonostante l’apparente legalità"37. Una coscienza formata è quella che è in grado di attribuire il giusto peso alle proprie scelte, positive o negative che siano; nel caso, attribuire a cose che per altri sono legge­rissim e e insignificanti o da niente, una im portanza e una gravità soggettiva.

Un discorso morale, quindi, che voglia realm ente favori­re la form azione della coscienza dovrà cercare di indicare uno spirito, un modo di essere, una m entalità. Non una se­quela di adesioni incapaci di atteggiarsi responsabilm ente in prim a persona, ma una vera e genuina sequela Christi, alla luce delle esigenze più radicali della m orale evangelica.

37 CENCINI, A., Vivere riconciliati, EDB, Bologna, 1988, p. 65.

3 8 6 BRUNO ZOMPARELLI

In questa prospettiva, specificam ente educativa, im pre­scindibile e, in un certo senso, de term inan te è il ruolo dell’educatore. Egli non può essere solo il guardiano della m oralità e preoccuparsi unicam ente di insegnare i corretti principi cristiani, m a dovrà anche cercare, proclam ando gli ideali proposti da Cristo, di favorire e prom uovere lo svilup­po integrale della persona suscitando un’adesione libera e responsabile. "Queste due posizioni dovrebbero andare di pari passo: da una parte, trasm ettere i valori del Vangelo senza sconti né ribassi e, dall’altra, avere la pazienza di far crescere progressivamente la persona affinché arrivi ad ac ­cettare in libertà quei valori”38. In altre parole, il com pito dell’educatore non è quello di essere intransigente (“la m o­rale cristiana dice questo, a me non interessa la tua s itu a ­zione, o ti adegui o sei fuori strada”) o indulgente fino al soggettivismo ("vista la tua situazione agisci secondo co­scienza”, che tradotto nella pratica, vuol dire: “puoi fare quello che vuoi”), ma comprendere e insieme esigere. Com­prendere senza esigere rende indulgenti; esigere senza com ­prendere rende intransigenti39.

Altrettanto precisa e insostituibile nel cam m ino form ati­vo ed educativo della coscienza la funzione che spetta all’esame di coscienza. Non semplice e pura introspezione psicologica né autoanalisi più o meno sofferte o compiacenti di sapore perfezionista, m a dispon ib ilità a raccogliersi e rientrare in se stessi sotto lo sguardo di Dio e in ascolto della sua parola proclam ata dalla Chiesa. Solo questa paro­la può dire ciò che è bene e ciò che è male; in assoluto, ma anche in riferim ento concreto alla vita e alla vocazione particolare di ciascuno40.

ConclusioneIl cristiano non può essere lasciato in balia del suo a rb i­

trio capriccioso m a neanche deve essere privato della sua ricchezza e personalità. Mi pare che il dilemma in cui spesso ci si è im battuti e contro il quale si è com battuto e con il qua­

38 MANENTI, A., Vivere gli ideali, EDB, Bologna, 1988, p. 185.39 cf. ib.40 cf. CENCINI, A., o.c., p. 37-51.

LA COSCIENZA MORALE E LA SUA FORMAZIONE 3 8 7

le tante volte ancora ci si im batte e si combatte: o tradire la coscienza e la personalità in nome della legge o affermare la coscienza e la personalità abbandonando la legge sia un d i­lemma falso; nasca, cioè, da un cattivo m odo di intendere la coscienza e, soprattutto, la coscienza cristiana.

Coscienza e legge: entram be valide e nessuna deve esse­re sacrificata. La posta in gioco è grande: rischiare di perdere la coscienza e la personalità per la ‘legge’ è male, ma rischiare di perdere la ‘legge’ per la coscienza e la personalità è ancora peggio : si rischia di perdere l’uomo e di rendere inoperoso e insignificante il cristiano. E ogni sistem a contro l’uom o e il cristiano — anche il più ardito e affascinante, a prim a vista — è senza uom o e senza cristiano. E senza uom o e senza cristiano nessun sistem a è valido: verrebbero a m ancare i destinatari stessi del sistema.

Alla luce e nella prospettiva di quanto esposto nel corso del presente articolo i due criteri indicati per la form azione della coscienza — quello ontologico e quello situazionale, con tutte le implicazioni che com portano — sono am bedue necessari, ma anche insufficienti. Insufficienti, se presi iso ­latam ente e separatam ente; ma necessari tu tti e due: infatti, ignorare o anche solo accentuare enfaticam ente l’uno o l’altro è a scapito dell'essenza stessa della morale cristiana.

Per questo, solo una sintesi vitale e sempre nuova, ardua ma affascinante e che non elimina tutti i rischi di eventuali errori, operata dalla coscienza della persona rettam ente il­lum inata può, in definitiva, consentire che si evitino le due forme ugualm ente esiziali della m orale cristiana: oggettivi­smo materiale e paralizzante o soggettivismo spiritualistico e anarchico e fornire un criterio retto ed adeguato, oggettivo, di com portamento morale personale e responsabile.

Ma questa sintesi non può essere semplice opera dell’u o ­mo: è il risultato della grazia, l’anticipazione del giudizio operato da Cristo.