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La cooperazione internazionale nelle aree di crisi: esiste un contributo specifico ai processi di pace dell’approccio decentrato?

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La cooperazione internazionale nelle

aree di crisi: esiste un contributo

specifico ai processi di pace

dell’approccio decentrato?

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Cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario: dilemmi e contraddizioni

La cooperazione internazionale e gli interventi umanitari in aree di conflitto possono avere ricadute

negative sulle popolazioni locali, fomentando la violenza diretta e strutturale e gli antagonismi.

Il furto degli aiuti o il loro uso a favore dei gruppi combattenti possono protrarre le ostilità.

Attraverso il controllo del flusso di aiuti, i belligeranti possono aumentare la propria influenza nei

confronti di rifugiati e gruppi di opposizione indeboliti dalla mancanza di risorse.

L’afflusso di aiuti può determinare distorsioni nell’economia locale, pregiudicando la sua ripresa.

L’aiuto umanitario può portare in sé anche dei messaggi impliciti, come l’accettazione dei termini

di guerra, la legittimità di gruppi estremisti e organizzazioni criminali/mafiose, l’impunità per i criminali.

L'assenza di coordinamento negli interventi può limitare l'autonomia degli attori umanitari nei

confronti di gruppi e mafie locali.

Il frequente turnover tra gli operatori e la scarsa continuità degli interventi in fasi post-conflittuali

con la cooperazione di lungo periodo rischia di frammentare l'esperienza di accreditamento e

confidence building maturata a livello locale nelle prime settimane di azione.

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Conflict sensitivity e conflict analysis

Gli agenti esterni dovrebbero quindi possedere una valida conflict sensitivity, così da “intervenire

senza nuocere”, evitando che gli aiuti favoriscano l’escalazione del conflitto.

La sensibilità al conflitto include la capacità di capire il contesto conflittuale in cui si opera, al

fine di evitare conseguenze negative e supportare la trasformazione del conflitto. Il che implica un

lavoro in stretta collaborazione con la società civile e le istituzioni locali.

Da qui, l'importanza che, negli approcci conflict sensibility, rivestono l’analisi del conflitto e la

human security, che sposta l'attenzione dalla sicurezza

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dello Stato a quella di popoli e persone.

Il nodo della conflict sensitivity riguarda direttamente sia

chi opera direttamente in zona di conflitto (working in

conflict) e deve quindi riconoscere il legame tra

interventi e conflitto per evitare effetti negativi, sia chi è

impegnato direttamente nel lavoro sul conflitto (working

on conflict) col fine esplicito di prevenire il ricorso alla

violenza e costruire la pace, lavorando quindi SULLE

dinamiche conflittuali (peacebuilding).

Laboratorio per la risoluzione dei conflitti tenuto dall'organizzazione Catholic Relief Services con rappresentanti del governo e delle comunità locali, nel Sudan meridionale.

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Peacebuilding

L'espressione peacebuilding si riferisce alla “struttura della pace”, alla trasformazione del conflitto

sradicandone le cause, lavorando su tutti i livelli e favorendo processi di pacificazione. È un

processo di medio-lungo periodo che coinvolge parimenti attori locali e internazionali a un livello

di base o anche intermedio. Diversi sono gli strumenti di intervento:

S'intusice come le azioni per la trasformazione dei conflitti e la costruzione della pace possano

portare a risultati tangibili attreverso sinergie con la cooperazione allo sviluppo e gli interventi

umanitari.

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Strumenti ad

ampio raggio

Nella fase di

polarizzazione

Nella fase post-

conflittuale

Cultura dei diritti umani, cultura democratica e dell’informazione, tutela dei

diritti delle minoranze, rafforzamento delle strutture multietniche

Laboratori per la soluzione di problemi, training in risoluzione dei conflitti,

tavole rotonde, sviluppo di legami trasversali o di comunità

Monitoraggio elettorale, facilitazione di incontri per la riconciliazione,

rimpatrio dei rifugiati, educazione alla pace

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UE e conflict sensitivity

L'UE pone una forte enfasi sul collegamento tra

sicurezza e sviluppo e ribadisce l’attenzione a non

nuocere attraverso interventi diretti e strutturali.

Se il primo Programma per la Prevenzione di Conflitti

Violenti risale al 2001, nel tempo strumenti e risorse a

disposizione sono aumentati. Notevole è l'impegno

UE nella gestione civile dei conflitti, con 18 missioni

dispiegate, alcune ancora in corso.

In questo contesto, negli anni è cresciuta la

cooperazione tra attori statali e non, anche perché

parte del personale distaccato dall’UE proviene da re-

Riconoscere potenzialità e limiti degli

agenti esterni a svolgere azioni a favore della

pace.

Essere trasparenti e coinvolgere i partner

locali e tutte le categorie sociali al fine di

garantire l’ownership delle iniziative.

Tenere in considerazione i legami pervasivi

tra le differenze di genere e i conflitti violenti e

la loro prevenzione e risoluzione.

Lavorare in modo flessibile, guidati da una

prospettiva a lungo termine e valide analisi

politiche e socioeconomiche della situazione

a livello regionale, nazionale e locale.

Rafforzare le capacità locali di influenzare

le politiche pubbliche.

altà non-governative,

segno che l'UE sta

progressivamente

valorizzando il ruolo

della società civile e il

suo know-how.

Le indicazioni dell'OECD

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Cooperazione decentrata: multi-attorialità e diversità di contributi

Quello decentrato è un “nuovo modo” di fare cooperazione allo sviluppo, caratterizzato da una

sinergia tra attori non-statali, come amministrazioni locali e attori della società civile: un

approccio inclusivo aperto al coinvolgimento di tutti i soggetti e i livelli istituzionali potenzialmente

interessati di un territorio, in un’ottica processuale caratterizzata da molteplici ruoli e attività.

Sono i territori i protagonisti del cosiddetto partenariato territoriale, che qualifica la

cooperazione decentrata non solo per l’ampliamento dei soggetti protagonisti della cooperazione,

ma soprattutto per il valore riconosciuto alla diversità degli apporti di tutti gli attori e la capacità di

tessere relazioni di dialogo e interazione con comunità e paesi anche lontani geograficamente.

Nell'ambito della cooperazione decentrata si distingue il ruolo degli animatori di relazioni tra

territori: agenzie e organizzazioni con il compito di animare e stimolare il partenariato, catalizzando

le energie presenti in una comunità territoriale, e creare connessioni tra Nord e Sud del mondo,

contribuendo così alla creazione di un capitale sociale transnazionale. Un compito più politico

che tecnico, che richiede buone capacità di mediazione, sia all’interno della propria comunità che

con le comunità partner per favorire l’incontro tra diversi interessi e componenti.

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Partenariato territoriale: quale contributo alla

democrazia?

Creando un rapporto di corresponsabilità e reciprocità tra comunità del Nord e del Sud del

mondo, le politiche di sviluppo promosse a livello di partenariato territoriale, se basate

sull’ownership delle iniziative, il coinvolgimento di attori pubblici e privati e la sussidiarietà,

possono favorire l'incontro tra gruppi sociali diversi e ridurre il rischio di conflitti per le risorse.

Il modus operandi delle strutture di collegamento, concertazione e gestione messe in atto dai

governi locali in rapporto coi propri territori illustra il nesso tra le nuove forme della

cooperazione e il contributo di queste all'esercizio della democrazia: infatti, mediante nuove

forme di governance che allargano lo spettro degli attori coinvolti, portatori di interessi eterogenei

se non confliggenti, può aprirsi lo spazio per la ricerca di un consenso negoziale. La creazione di organismi per la programmazione e la gestione dei

progetti di partenariato territoriale e la negoziazione, al loro interno,

degli interessi e delle prospettive, ma anche dei piani di sviluppo e

dell’erogazione dei servizi locali, inducono una tendenza al

confronto e al dialogo che può favorire la coesione sociale e la

fiducia reciproca tra cittadini e istituzioni e limitare il ricorso della

violenza.

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Partenariato territoriale: partecipazione e dialogo

con la societàImportanti le istituzioni di partenariato, luoghi di condivisione e confronto, per “elaborare insieme”

obiettivi e strategie per lo sviluppo locale, l’inclusione sociale e la trasformazione dei conflitti, in

un'ottica relazionale fondata sull’ascolto e il dialogo reciproco. Il coinvolgimento di tutti gli attori della società civile ai

partenariati e ai programmi di cooperazione costituisce

quindi una valida opportunità di sostegno ai processi di

democratizzazione e riconciliazione. Nei paesi partner il

sostegno alle espressioni associative autonome dal potere

politico/militare ha una funzione fondamentale.

Pertanto, la cooperazione decentrata di province e comuni

che si lanciano in progetti di cooperazione senza

un’adeguata verifica delle garanzie minime di rappresenta-

tività e di legittimità delle entità omologhe di paesi terzi può avere effetti negativi.

D’altro canto la partecipazione di attori della società civile italiana è un ottimo antidoto alla

“deresponsabilizzazione” dei funzionari amministrativi e alla tentazione di manipolazione e

strumentalizzazione da parte dei politici.

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Il Potenziale per la Pace dei governi localiNelle aree di intervento, un’attenta analisi è fondamentale per individuare portatori di interessi

impegnati nel perseguire la pace e la difesa dei diritti umani. Un primo passo in questa direzione è il

riconoscimento e l’eventuale sostegno, da parte degli attori esterni, al Potenziale Locale per la

Pace, costituito dalle risorse materiali, umane e simboliche di una società che sono disponibili per

contribuire alla composizione pacifica del conflitto.

Le parti esterne possono favorire le capacità di attori locali portatori di un potenziale di pace in vari

modi:

istituendo un sistema di incentivi e disincentivi materiali;

svolgendo un ruolo di catalizzatore o addirittura di empowerment;

o ancora fornendo opportunità di organizzazione e mobilitazione.

Le autorità locali possono rappresentare un fattore centrale non solo per erogare con efficacia

servizi ai cittadini e costruire istituzioni democratiche, ma anche in quanto catalizzatori del

cambiamento e della costruzione di fiducia tra le parti, così da creare una visione di lungo termine

inclusiva e mobilitare gli attori del territorio.

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In Bosnia-Erzegovina, la cooperazione decentrata italiana ha

scelto di appoggiare leader locali in grado di influenzare i loro

concittadini in difesa dei diritti umani e della democrazia, come

nel caso della cooperazione instaurata tra le due città di

Bologna e Tuzla negli della guerra e del dopoguerra.

Nel caso di Mostar, invece, dato il rischio che una scarsa

conoscenza delle dinamiche locali porti a legittimare i sostenitori

dell'intolleranza, la decentrata italiana ha preferito lavorare

direttamente con interlocutori della società civile.

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Un pregio degli enti partenariali è stata la capacità di accrescere la fiducia locale verso la

cooperazione internazionale, grazie alla presenza continua di focal point nelle sedi locali,

l’impegno pluriennale per garantire la continuità delle iniziative, la capacità di organizzare le istanze

del territorio abbinata a una certa flessibilità dei finanziamenti.

Da sottolineare la funzione di mediazione svolta dagli enti partenariali tra territori, istituzioni e

società civili italiane e bosniache per garantire coerenza e complementarietà tra gli interventi

grazie alla conoscenza delle dinamiche locali e ai rapporti anche personali coi decisori locali.

Partenariati territoriali tra Italia e Bosnia-

Erzegovina

Visione dall'alto della città di Tuzla.

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Gli strumenti di governance economica locale introdotti dagli enti partenariali hanno permesso di

attivare momenti di dialogo per la risoluzione dei problemi, così favorendo:

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un maggiore accesso alle informazioni,

un rafforzamento degli attori di base

coinvolti nei processi decisionali

il consolidamento della governance locale,

la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica

il miglioramento dei servizi.

La strategia perseguita da molte organizzazioni attive nel settore socio-economico è stata quella di

concentrarsi sui problemi comuni ai diversi gruppi nazionali senza esplicitare l’argomento del

dialogo e dell’integrazione, con il doppio vantaggio di lavorare per lo sviluppo e di ottenere un

impatto diretto sulla convivenza democratica, quanto meno nel breve periodo.

Tuttavia, ignorare la tripartizione etnica deliberatamente, puntando a costruire relazioni dirette coi

cittadini, ha determinato una scarsissima integrazione economica tra i gruppi nazionali.

Nei fatti, la decentrata italiana non è riuscita a svolgere attività chiaramente dedicate alla

trasformazione delle dinamiche conflittuali, per una serie di cause:

la delicatezza delle questioni legate alla riconciliazione e all’integrazione interetniche, che

richiedono competenze specialistiche,

le strategie di sopravvivenza degli attori locali, che tendono a rimuovere la questione etnica,

l'ingenuità con cui programmi e progetti pensavano di contribuire alla “stabilizzazione dei

Balcani”.

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La durata del mandato è stata troppo lunga, non

limitandosi solamente al periodo dell’emergenza ma

esercitando una funzione di coordinamento delle ONG

e di altri enti anche nel medio e nel lungo periodo.

Il secondo elemento non convenzionale è la natura

ibrida di esecutore-finanziatore che la Protezione

Civile ha svolto in questa emergenza.Primi soccorsi in Sri Lanka dopo il terremoto.

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La valutazione del conflitto avrebbe potuto evitare dispendi di energie e cambi di programma, oltre

ad evitare effetti collaterali come favorire gruppi violenti o aumentare la conflittualità sociale.

Anche il coinvolgimento delle Regioni italiane nelle attività di ricostruzione e seconda emergenza

ha peccato di una dimensione strategica in grado di focalizzare gli obiettivi degli interventi di medio-

lungo periodo sui temi della guerra civile e della lotta alla povertà.

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Nelle prime settimane dell'ermegenza si sono

registrati ritardi e lentezze politiche e operative da

parte del Governo, oltre a divisioni e

competizioni tra Protezione Civile e Ministero

degli Affari Esteri per la gestione dell’intervento.

L'azione italiana è stata limitata anche da:

la non competenza del Comitato di Garanti di

nomina governativa per gli interventi umanitari,

l'assenza di una società di revisione esterna,

la completa mancanza di analisi del conflitto prima di procedere alla fase di ricostruzione, il

che non ha permesso di prevedere la successiva dispersione di risorse e le modifiche ai progetti

promossi dalle ONG italiane a causa della guerra civile.

Visita della delegazione guidata dall'on. Emma Bonino, membro del Comitato dei Garanti per i soccorsi allo Sri Lanka.

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Conclusioni e piste di lavoro futureDa entrambi gli studi di caso si nota uno scarso uso di strumenti sensibili al conflitto.

Se in Bosnia la cooperazione italiana ha lavorato nel conflitto ma non sul conflitto, consapevole cioè

di operare in una condizione conflittuale o post-conflittuale, senza implementare attività

esplicitamente dedicate alla trasformazione delle dinamiche conflittuali, in Sri Lanka è emersa

un’incapacità di lettura del contesto che ha portato a operare intorno al conflitto, cioè ad evitarlo

e non riconoscerlo, come se la guerra civile non esistesse e non influenzasse il soccorso umanitario.

Oltre a questo, i due interventi italiani hanno evidenziato la mancanza di:

un’adeguata capacità analitica di cogliere attori e dinamiche conflittuali contestuali;

una necessaria attenzione ai temi trasversali (questioni di genere, vulnerabilità socio-economica);

una valida prospettiva strategica.

E' infine possibile delineare un quadro sintetico su limiti e potenzialità della decentrata italiana:

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Potenzialità

Ruolo di mediazione e confidence-building che

possono svolgere gli enti partenariali

Sostegno al Potenziale Locale per la Pace

Limiti

Possibile carenza di competenze di mediazione e

riconcializiaone interetnica

Rischio che attività unilateralmente organizzate dai

donatori accrescano la conflittualità sociale

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Per migliorare la qualità della cooperazione allo sviluppo e umanitaria italiana, potrebbero essere

implementate alcune proposte di lavoro:

realizzare una mappatura delle varie competenze esistenti nei diversi territori italiani per

appoggiarle nella mobilitazione in ambito internazionale;

introdurre in Italia strumenti di analisi del conflitto da inserire nella gestione ordinaria dei

progetti;

proseguire con esercizi valutativi in grado di cogliere aspetti intangibili e relazionali dei processi

di cooperazione e cogliere connessioni tra differenti livelli e settori delle attività svolte.

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Potenzialità

Sostegno delle iniziative di governance economica

locale a risoluzione del conflitto e cultura democratica

Attenzione posta, più che sulla questione etnica, sulle

questioni socio-economiche riguardanti l'intera

comunità

Approccio basato sul dialogo in grado di accrescere la

fiducia tra cittadini e istituzioni

Limiti

Iniziative di sviluppo promosse non sempre

sostenibili

Rischio che gli interventi di sviluppo non

mirino all'integrazione economica tra gruppi

nazionali

Possibilità che i modelli di sviluppo promossi

non siano istituzionalizzati a livello locale

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Il presente power point, realizzato da Davide Berni,

costituisce una sintesi del discussion paper elaborato da

Bernardo Venturi e Karl Giacinti nel maggio 2009,

scaricabile al seguente link:

http://www.cirpac.it/pdf/pace/pace4.pdf

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