La Comunicazione nelle Squadre di Rugby

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Anteprima del libro edito da PLS, Firenze.http://www.psicolab.net/PLS/

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LAPO BAGLINI    

LA COMUNICAZIONE  NELLE SQUADRE DI RUGBY

                       

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                          Edizioni PLS – Firenze www.psicolab.net – [email protected] 

 © 2008 PLS – Firenze © 2008 Lapo Baglini Prima edizione Giugno 2008  ISBN: 978‐88‐903‐098‐0‐9  Stampato presso Global Print, Gorgonzola (MI)  

 I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull’insieme delle attività edito‐riali di PLS possono consultare il sito www.psicolab.net  Se  desideri  riprodurre  parzialmente,  distribuire,  comunicare  al  pubblico,  e­sporre  in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare quest'opera, devi attri­buirne la paternità all'autore in modo tale da non suggerire che essa avalli te o il modo in cui tu usi l'opera. 

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PREMESSA  Negli  ultimi  anni,  grazie  anche  alle  prove  convin‐

centi e alle vittorie della Nazionale Azzurra, da sport da troppo tempo “emergente”, il rugby si è trasformato in fenomeno  di  costume,  quasi  di  moda,  con  opportuna copertura  mediatica.  E  lo  abbiamo  visto  negli  ultimi mondiali in Francia, con appendici scozzesi e gallesi. 

La pubblicità si è resa conto, in maniera ormai rile‐vante, di come il rugby e i suoi interpreti siano un otti‐mo  veicolo  di  comunicazione  per  i  brand  rappre‐sentati.  

Ci  si  è  anche  accorti  di  come  i  principi  di  questo sport  (motivazione,  avanzamento,  sostegno,  lavoro  di squadra,  leadership…  fra  gli  altri)  siano  fondamentali anche nel mondo del lavoro: il risultato è che si fa for‐mazione per manager sui campi da rugby, dopo avergli fatto indossare magliette a righe e scarpe da gioco. 

Si  è  assistito  in questi  anni a una progressiva pro‐fessionalizzazione  di  tutti  i  ruoli  e  le  competenze  che ruotano  intorno a una  squadra.  Fra  gli  argomenti non ancora  trattati  in maniera  approfondita,  e  lo dimostra la scarsità di pubblicazioni in lingua italiana, vi sono le problematiche  relative  alla  comunicazione  all’interno della  squadra  di  rugby.  Si  è  fatta  molta  attenzione  a come comunicare verso l’esterno, verso il pubblico, gli stakeholders1, gli addetti ai lavori, e poca su come rela‐ 1 Con il termine stakeholder si individuano i soggetti "portatori di interessi" nei  confronti di  un'iniziativa economica,  sia essa un'azienda o un progetto. La definizione  fu  elaborata nel 1963 al Research  Institute  dell'università di Stanford, intendendo i soggetti senza il cui supporto l'impresa non è in grado di sopravvivere. Ne fanno, ad esempio, parte: i clienti, i fornitori, i finanziato‐

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zionarsi all’interno dei  team. Una delle regole storiche della  materia,  anche  se  riferita  alle  imprese,  dice  che non ci può essere buona comunicazione esterna senza un’adeguata  e  altrettanto  valida  comunicazione  inter‐na. 

Eppure in altri sport si è visto un sempre maggiore interesse per  i  fattori psicologici e relazionali come si‐curi  responsabili  del  successo.  La maggior  parte  degli allenatori  di  squadre  sportive  concordano  su  come l’unità   del  team, e quindi  la  coesione  interna dei  suoi membri, sia un fattore  fondamentale per  i buoni risul‐tati. 

Oltre a questo non va dimenticato che una squadra, o meglio  le  squadre  che vanno dalle Under 7  alle Old, non  sono  certo  formate  solo  da  allenatori  e  giocatori, ma anche da dirigenti, accompagnatori, genitori  (assai importanti nei settori giovanili) e appassionati. Ognuno con un suo ruolo e ognuno importante per raggiungere la coesione del gruppo. 

In  senso  psicologico  la  coesione  è,  fra  l’altro,  un “processo dinamico che si riflette nella tendenza di un gruppo a stare assieme e a restare unito nella ricerca di obiettivi concreti”2. 

Proprio  tale  coesione appare  fondamentale nell’in‐fluenzare  la  prestazione  nell’attività  sportiva,  e  in  ge‐nerale  nel  raggiungimento  degli  obiettivi  del  gruppo stesso. 

Il  rugby  poi  è  definito  tradizionalmente  come  uno 

ri (banche e azionisti),  i collaboratori, ma anche gruppi di interesse esterni, come i residenti di aree limitrofe all'azienda o gruppi di interesse locali. 2 Carron A. V., Brawley L. R., Widmeyer W. N., The measurement of cohesive­ness in sport groups 

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sport  di  “contatto”  e  di  “situazione”.  La  prima  carat‐terizzazione  necessita  di  poche  spiegazioni,  bastano venti secondi di qualsiasi partita per rendersene conto. La  seconda  invece  acquista  sempre  maggiore  impor‐tanza:  nel  gioco moderno  infatti  la  comprensione  im‐mediata del contesto in continuo divenire è un requisi‐to  determinante  per  ogni  giocatore  di  qualità.  Al  di  là dei  ruoli predeterminati  che  si  resettano a ogni  ripar‐tenza da situazione statica, è proprio la capacità e la ve‐locità di adattamento alle situazioni che fanno la diffe‐renza. La flessibilità e la duttilità sono requisiti  impre‐scindibili come la capacità di adattarsi a qualsiasi posi‐zione in campo ed a qualsiasi fase di gioco. 

Nel  rugby moderno è diventato perciò  importante, oltre a una preparazione fisica di altissimo livello, esse‐re in grado di pensare velocemente e reagire altrettan‐to rapidamente. 

Fra  l’altro  la  sublime  assurdità  del  rugby,  conqui‐stare  spazio  passandosi  la  palla  all’indietro,  presup‐pone  una  fortissima  capacità  di  comunicazione  fra  i giocatori. 

Lo  stesso  rapporto  con  l’arbitro,  con  il  quale  può comunicare soltanto il capitano, e nei dovuti modi, pre‐suppone il rispetto assoluto delle regole. Il che necessi‐ta  forte disciplina e autodisciplina, ma anche orgoglio, spirito di squadra, solidarietà e senso di appartenenza, di amicizia, così come il valore della condivisione, della comunicazione condivisa. 

Visti questi presupposti allenare la mente dei gioca‐tori, ma anche degli allenatori, dei dirigenti e di tutti gli stakeholders,  nel  senso  ampio  visto  in  precedenza,  è importantissimo.  E  uno  dei  primi  passi  è  comunicare 

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all’interno delle squadre. Comunicare meglio per gioca‐re meglio, per analizzare meglio una partita, per diver‐tirsi di più, tutti. 

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LA COMUNICAZIONE VERBALE  Il codice comune della comunicazione verbale (CV) 

è chiaramente la lingua. Lo stesso Roman Jakobson (ve­di  nota  4)  muove  da  una  concezione  funzionale  della lingua per sviluppare il suo modello del 1956, elabora‐to in particolare in Linguistica e poetica9, e ispirato pe‐raltro a quello proposto da Karl Bühler già nel 193410. 

Lo psicologo tedesco nella sua Sprachtheorie, aveva infatti  già  distinto  tre  funzioni  fondamentali  esplicate dal linguaggio: 

 1)  una  funzione  rappresentativa,  o  simbolica,  in 

quanto  il  linguaggio  fa  riferimento  ad oggetti  o  eventi del mondo circostante ed orientata sull’oggetto (“oggi sta piovendo e il pallone è scivoloso”; 

2) una funzione espressiva, o sintomatica, in quan‐to  il  linguaggio  veicola  stati  d’animo  ed  espressioni emotive di un parlante ed orientata sull’emittente (“mi state facendo arrabbiare”;   

3) una funzione di appello, o segnale, in quanto, at‐traverso il linguaggio, il parlante cerca in vario modo di coinvolgere l’interlocutore, ed orientata sul destinata­rio  (”devi chiudere meglio in difesa”). 

 Jakobson va oltre. Parlare  serve per  comunicare,  e 

comunicare è un fatto complesso, che nasce di volta in volta  in  rapporto  a  funzioni  diverse:  si  comunica  per esprimersi, per raccontare o descrivere un aspetto del‐

9 R. Jakobson, Linguistica e poetica, in Saggi di linguistica generale (cit) 10 K. Bühler, Sprachtheorie 

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la  realtà,  per  assicurarci  che  il  nostro  interlocutore  ci capisca, per spiegare il significato di una parola, per da‐re un ordine, per creare qualcosa di esteticamente bel‐lo. 

Ecco allora che ai sei elementi della comunicazione vengono collegate altrettante funzioni: 

  la funzione referenziale (contesto)   la funzione emotiva (mittente)   la funzione conativa (destinatario)   la funzione fàtica (contatto)   la funzione poetica (messaggio)   la funzione metalinguistica (codice)  La funzione referenziale, informativa e  denotativa, 

comunica  dati,  notizie;  l’attenzione  è  centrata  sull’ar‐gomento, sul contesto quindi. Tramite  il contenuto del messaggio il parlante fa riferimento al mondo e assolve lo  scopo  di  fornire  informazioni.  Un  esempio  è  il  lin‐guaggio scientifico o i dati di una partita  “il nostro me‐diano su dieci palloni ne ha calciati sei, passati tre e ha corso palla in mano un volta”. 

La  funzione  emotiva,  espressiva,  s’impernia  sulle manifestazioni  linguistiche  degli  stati  d’animo,  delle emozioni,  delle  sensazioni.  L’attenzione  è  centrata sull’emittente che, attraverso  il messaggio, manifesta  i propri stati d’animo; si traduce quindi in elementi for‐mali  quali  le  interiezioni  e  l’intonazione.  Il  linguaggio dell’allenatore, del coach, in special modo nel preparti‐ta o alla fine del primo tempo, ne è spesso ricco e in ta‐luni casi sovrabbondante. 

La  funzione  conativa,  o  imperativa,  si  produce 

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quando  si  danno  ordini,  inviti,  si  cerca  di  persuadere; l’emittente infatti, inviando un messaggio, si propone di norma, di influenzare dal punto di vista emotivo, intel‐lettivo  o  comportamentale,  il  destinatario  sul  quale  è centrata.  Si  esprime  linguisticamente  nel  vocativo  e nell’imperativo,  nell’esortativo  e  nelle  interrogazioni. Un esempio è il linguaggio impositivo, tipico degli alle‐natori: “corri negli spazi, fai il sostegno…”. 

La  funzione  fàtica  serve  per  rafforzare  il  legame, tener viva  la  comunicazione,  verifica  il  funzionamento del canale (ed è centrata su questo) sul quale viene vei‐colato  il messaggio  e  assicura  la  continuità  dell’atten‐zione del destinatario. Ne sono un esempio  le  formule di saluto ma anche il Pronto? ripetuto nel corso di una telefonata. 

La  funzione  poetica  rivolge  la  sua  attenzione  al messaggio in quanto tale, di cui esalta  l’elaborazione e la  struttura,  e  riguarda quindi  le  situazioni  nelle  quali chi lo produce, l’emittente, assegna una pari importan‐za alla  forma rispetto al contenuto: classico esempio il linguaggio letterario. Quasi mai viene usata su un cam‐po da rugby. 

La  funzione metalinguistica,  centrata  sul  codice, permette  al  linguaggio  di  parlare  di  sé  (si  può  infatti parlare di  linguaggio  solo  attraverso  l’impiego del  lin‐guaggio  stesso)  e  tende  ad  evidenziare  le modalità  di funzionamento della  lingua: ne è un esempio  la  gram‐matica. 

 Tutto questo non significa che in ogni comunicazio‐

ne  ci  sia  una  e  una  sola  funzione,  anzi  nella  maggior parte  dei  casi  le  succitate  funzioni  sono  compresenti 

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secondo  una  certa  gerarchia,  la  quale  si  modifica  in rapporto agli scopi che il messaggio stesso persegue. 

 Circa  le funzioni del  linguaggio sono stati  fatti altri 

studi  e  sono  state  formulate  diverse  proposte.  Halli‐day11  individua  nel  linguaggio  dell’adulto  tre  funzioni fondamentali: 

  funzione  ideativa,  che  serve  agli  individui  per 

parlare della propria esperienza del mondo reale, com‐preso il proprio mondo interiore;  

funzione  interpersonale,  che  permette l’interazione tra gli uomini ed è adeguata alla definizio‐ne  delle  relazioni  intercorrenti  tra  gli  individui.  Serve ad instaurare le relazioni definendo “i ruoli che le per‐sone possono adottare quando comunicano tra loro (af‐fermare,  fare  domande,  dare  ordini,  disapprovare,  e‐sprimere consenso, manifestare dubbi etc…)”; 

 funzione testuale,  che serve per costruire  testi ben  formati e adatti alle particolari situazioni comuni‐cative al  cui  interno gli  individui  si  trovano a vivere e ad agire.    

 Il  linguaggio dunque produce e  comunica agli  altri 

le nostre diverse e svariate rappresentazioni del mon‐do.    

11 M. A. K. Halliday, Explorations in the Functions of Language 

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LA GESTIONE PSICOLOGICA DEL GRUPPO  Comunicare  in pubblico di  fronte ad un gruppo, co‐

me una squadra, è poi ancora più difficile. Ma cosa si intende per gruppo? Secondo il pensiero 

di Lewin43, un gruppo esiste quando due o più  indivi‐dui si percepiscono come membri della stessa categoria sociale. Un soggetto che entra a far parte di un gruppo modifica  la  percezione  di  sé  in  relazione  agli  altri.  I membri del gruppo devono comprendere che la soddi‐sfazione del bisogno, il raggiungimento di un obiettivo, non è perseguibile in maniera autonoma, ma attraverso l’interazione e lo scambio con gli altri. 

La squadra sportiva può essere considerata un pic‐colo  gruppo  orientato  al  compito  e  alla  prestazione,  i cui membri sono interdipendenti, vogliono raggiungere un  fine  condiviso  e  sviluppano  un’identità  collettiva. Una  squadra è un gruppo di persone che  svolgono  in‐sieme delle attività per raggiungere un obiettivo comu‐ne.  

Un  insieme  di  individui  non  costituisce  necessaria‐mente  un  gruppo,  in  quanto  ciò  che  lo  definisce  è l’interazione  tra gli  individui che  lo compongono nella piena consapevolezza l’uno dell’altro44. 

Il gruppo viene guidato dal proprio responsabile, nel nostro caso, anche se non da solo, dall’allenatore, attra‐verso un processo di influenze interpersonali orientato al raggiungimento di specifici obiettivi45.  43 Lewin K., A Dynamic Theory of Personality 44 McGrath  J.E., The  influence positive relations on adjustment and effective­ness in rifle teams 45 McGrath J.E., Groups: interaction and performance 

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Un  altro  elemento  fondamentale  nella  squadra  è  il concetto di coesione46 che rappresenta la caratteristica che definisce il legame tra i membri. Questa coesione è favorita anche dalla vicinanza fisica sul campo di gioco, nello spogliatoio e nei mezzi di trasporto utilizzati du‐rante le trasferte, grazie ad una maggiore prossimità ed ai  frequenti  scambi  comunicativi.  E  in  questo,  grande importanza hanno anche l’allenatore e i dirigenti. 

“Creare  lo spirito di squadra  e  costruire un buon team è perciò uno dei compiti più importanti per un al‐lenatore” ha detto Sven‐Göran Eriksson. 

L’allenatore deve  trasmettere direttive  tecnico  tat‐tiche e comportamentali alla squadra, per fare ciò deve riuscire  a  comunicare  efficacemente.  E  non  soltanto farlo in maniera ottimale faccia a faccia con un singolo giocatore, ma spesso di fronte a un insieme di persone, un gruppo, il che è diverso e più difficile. 

Non bisogna dimenticare  che  l’intelligenza colletti‐va,  come quella  di  una  squadra,  è  composta  da  un  in‐sieme  di  fattori  culturali  e  sociali  che  predispongono all’apprendimento  e  al  cambiamento.  Le  forme  orga‐nizzative  spesso  tendono  a  sottrarre  e  dividere l’intelligenza  anziché  moltiplicarla:  diventano  quindi sempre più importanti le qualità soft, relazionali, a fare la differenza47. 

 Più la realtà è complessa più necessita di intelligen‐

za,  una  squadra  composta  di  trenta  giocatori  riesce  a diventare  competitiva  quando  è  capace  di  creare  un  46  Carron  A.V.,  Cohesiveness  in  sport groups:  interpretations and  considera­tions 47 Rosanna Celestino, Team Building, Angelo Guerini, Milano 2005 

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ambiente nel quale sia possibile sviluppare e facilitare:  Diffusione della conoscenza Arricchimento del pensiero  L’abitudine alla complessità, ma non alla complica‐

zione, diventa quindi un vantaggio competitivo. Per  sviluppare  un  team  devono  poi  convivere  la 

dimensione  razionale  e  la  dimensione  emotiva,  in grado  di  sviluppare  sia  le  capacità/competenze  tecni‐che (dimensione orientata all’obiettivo), sia le capacità di farsi accettare/competenze relazionali comunicative (dimensione orientata al mantenimento del clima posi‐tivo all’interno del gruppo). 

In  sintesi  le  competenze  tecniche  hanno  una  fun‐zione  di  guida,  le  capacità  relazionali  una  funzione  di sostegno. 

Ecco  quindi  che  l’ascolto  è  il  tema  centrale  nello sviluppo  delle  capacità  del  buon  allenatore  che  do‐vrebbe sforzarsi di: 

  Sospendere il giudizio  Osservare attivamente  Esercitare la memoria  Non servirsi di punti di riferimento legati al qui ed ora 

Vivere il qui ed ora  Tutto questo permette di affrontare l’imprevisto, le 

premesse implicite frutto dell’esperienza, i nostri punti di  riferimento,  velocizzano  l’approccio  ma  bisogna sempre  ricordarsi  che  il  nostro  campo  percetti‐

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vo/valutativo non è  l’unico possibile.  Una delle prime differenze che saltano agli occhi ri‐

guarda l’emotività di un gruppo e il suo comportamen‐to. Innanzitutto vi è un’esagerazione, sia in positivo che in  negativo,  della  percezione  della  comunicazione  al‐trui. Questo può determinare in alcuni individui la rea‐zione del bambino ribelle che disturba, dà noia agli al‐tri,  fa  battute  e  così  via.  La  stessa  attenzione  infatti  è più  labile,  viste  le  maggiori  possibilità  di  distrazione che ci sono ascoltando  l’allenatore su un campo da al‐lenamento. Si assiste a un facile affaticamento da stasi, il restare impalati ad ascoltare, il che porta ad una ten‐denza  all’eclissi  mentale.  A  questo  si  risponde  con un’estrema  semplicità  nei  ragionamenti,  una  grande concretezza e una concisione di  fondo con una ridotta profondità razionale, specie durante il gioco. Le analisi si  fanno  in  una  stanza  apposta, magari  quella  dove  si vedono  le  partite  in  video,  possibilmente  con  la  squa‐dra seduta ad ascoltare. 

Le  soluzioni  a  queste  problematiche  sono  la  crea‐zione di un clima  favorevole, e qui entrano  in campo le  imprescindibili  capacità  relazionali  ed  empatiche di un buon allenatore, il saper coinvolgere ogni giocato‐re  sviluppando  l’interazione ma mantenendo  le  redini della discussione e  l’essere  in  grado di  sfruttare  i mo‐menti di maggiore  intensità emotiva per  trasmettere  i messaggi più importanti. 

Per  riuscire  in  questo,  un  allenatore  deve  essere credibile,  avere  un  buon  impatto  sui  giocatori,  dimo‐strare competenza e intento collaborativo.  

Ed equilibrio,  altrimenti  può  rischiare  di  inflazio‐

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nare degli atteggiamenti che potrebbero perdere di in‐tensità e di valore. Far tornare sempre la comunicazio‐ne  nell’alveo  di  una  transazione  simmetrica  adulto  – adulto dato  che spesso  in queste occasioni  si assiste a un ritorno alle situazioni scolastiche con il classico vis‐suto che portano con sé. 

È quindi necessario riuscire ad essere percettivi,  in grado di individuare il linguaggio corporeo dei membri del  tema per rendersi conto delle eventuali contraddi‐zioni e incongruenze, spie di una cattiva comprensione e rivelatori di potenziali problemi. 

Saper gestire  le eventuali,  si spera assai rare, situa‐zioni problematiche è un altro dei momenti importanti. Riuscire  ad  essere  efficaci  nella  comunicazione  senza far  percepire  un’esagerata  autoritarietà  è  un’arte  non facile, che si raggiunge ancora una volta con l’empatia, con  il sapersi  identificare  intellettualmente o emotiva‐mente con gli altri senza mai  lasciare che  le situazioni personali entrino in gioco.  

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  ARTICOLI ON­LINE  Alessandro Cerri, 2006, La Gestione Creativa dei Conflitti, www.psicolab.net/index.asp?pid=idart&cat=8&scat=95&arid=1782  Silvia Corridoni, 2007, Coaching Sportivo e Coaching Aziendale: la Motivazione, www.psicolab.net/index.asp?pid=idart&cat=8&scat=280&arid=2360  Francesco Perrotta, 2006, La Motivazione nella Pratica Sportiva,  www.psicolab.net/index.asp?pid=idart&cat=7&scat=243&arid=1878 

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