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1 LA COMUNICAZIONE EFFICACE IN CLASSE Di Francesco Dasara ed Emma Ricci “Il mestiere dell’insegnante ha questo come primo obiettivo: tenere sveglie le persone che ascoltano”. Massimo Recalcati “Nessuno ha mai detto che quella dell’insegnante sia una professione facile”. Patrizia Selleri Come condurre una lezione efficace: le tecniche per realizzare una comunicazione efficace che agevola la creazione di una buona relazione insegnante-studenti. ABSTRACT: L’articolo, dopo aver indicato le differenze tra “comunicazione” e “relazione”, vuole offrire un modello della comunicazione in classe, utile a ideare tecniche che, oltre a rendere efficace la comunicazione, agevolino la relazione insegnante-studenti. Nella presentazione del modello e dei fattori che lo caratterizzano vengono proposti alcuni semplici esempi pratici e tecniche utili alla creazione di una comunicazione efficace e funzionale alla creazione di una buona relazione con gli alunni. TECNICHE COMUNICATIVE E RELAZIONE IN CLASSE Occorre, innanzitutto, distinguere tra tecniche comunicative e relazione insegnante-studente in classe. Per fare ciò, può essere utile partire dalle caratteristiche della relazione insegnante-alunno indicata, in modo plastico, da Mario Polito “Non si può insegnare bene se non si ha una buona relazione emotiva con gli studenti. Gli studenti non possono apprendere bene se non apprezzano e valorizzano i contenuti della materia insegnata, se non la amano. Non possono essere attenti se i docenti non hanno credibilità. Non possono essere aperti con i docenti se non hanno fiducia e non li stimano.” Come si vede, la relazione insegnante -alunno ha a che fare con le emozioni, con la credibilità, con la stima che unisce o divide due persone. La comunicazione, invece, si riferisce al modo in cui parole (appartenenti a una specifica lingua, per esempio la lingua italiana) e messaggi (prodotti con la voce e con il corpo) sono inviati dall’insegnante agli alunni e viceversa. Gli insegnanti, quindi, regolarmente, in ogni lezione comunicano con gli alunni attraverso parole e messaggi, ma non regolarmente utilizzano tecniche comunicative, come è verosimile che non le usino neanche gli alunni: potremmo dire che, in questo caso, siamo di fronte ad una

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LA COMUNICAZIONE EFFICACE IN CLASSE

Di Francesco Dasara ed Emma Ricci

“Il mestiere dell’insegnante ha questo come primo obiettivo: tenere sveglie le persone che ascoltano”. Massimo Recalcati “Nessuno ha mai detto che quella dell’insegnante sia una professione facile”. Patrizia Selleri

Come condurre una lezione efficace: le tecniche per realizzare una

comunicazione efficace che agevola la creazione di una buona relazione

insegnante-studenti.

ABSTRACT: L’articolo, dopo aver indicato le differenze tra “comunicazione” e

“relazione”, vuole offrire un modello della comunicazione in classe, utile a ideare

tecniche che, oltre a rendere efficace la comunicazione, agevolino la relazione

insegnante-studenti. Nella presentazione del modello e dei fattori che lo caratterizzano

vengono proposti alcuni semplici esempi pratici e tecniche utili alla creazione di una

comunicazione efficace e funzionale alla creazione di una buona relazione con gli

alunni.

TECNICHE COMUNICATIVE E RELAZIONE IN CLASSE

Occorre, innanzitutto, distinguere tra tecniche comunicative e relazione

insegnante-studente in classe. Per fare ciò, può essere utile partire dalle caratteristiche

della relazione insegnante-alunno indicata, in modo plastico, da Mario Polito

“Non si può insegnare bene se non si ha una buona relazione emotiva con gli studenti. Gli

studenti non possono apprendere bene se non apprezzano e valorizzano i contenuti della

materia insegnata, se non la amano. Non possono essere attenti se i docenti non hanno

credibilità. Non possono essere aperti con i docenti se non hanno fiducia e non li

stimano.”

Come si vede, la relazione insegnante -alunno ha a che fare con le emozioni, con la

credibilità, con la stima che unisce o divide due persone.

La comunicazione, invece, si riferisce al modo in cui parole (appartenenti a una

specifica lingua, per esempio la lingua italiana) e messaggi (prodotti con la voce e con il

corpo) sono inviati dall’insegnante agli alunni e viceversa. Gli insegnanti, quindi,

regolarmente, in ogni lezione comunicano con gli alunni attraverso parole e messaggi, ma

non regolarmente utilizzano tecniche comunicative, come è verosimile che non le usino

neanche gli alunni: potremmo dire che, in questo caso, siamo di fronte ad una

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comunicazione docente-alunno spontanea o non mediata da tecniche. Invece, perché un

insegnante utilizzi tecniche comunicative è necessario che conosca un modello o almeno

alcuni fattori della comunicazione, controlli le emozioni e decida coscientemente e

consapevolmente di inviare parole e messaggi determinati, per raggiungere specifici scopi.

In questo breve articolo, parleremo di tecniche comunicative, ponendoci nella

prospettiva dell’insegnante che comunica (invia parole e messaggi) con i suoi alunni,

tralasciando il tema dell’interpretazione di parole e messaggi inviate dagli alunni al

docente e l’altro importantissimo tema della relazione insegnante-alunno; con la

consapevolezza, però, che una comunicazione efficace in classe accresce la stima per

l’insegnante e la sua credibilità, agevolando, di conseguenza, la costruzione di una buona

relazione insegnante- studenti.

I MODELLI DELLA COMUNICAZIONE: UN PO’ DI STORIA

Nel 1949 due ingegneri e matematici, Claude Ewood Shannon e Warren Weaver,

si erano preoccupati di descrivere con un semplice modello (il modello Shannon-Weaver) il

passaggio meccanico di informazioni, anche tra macchine, da una fonte a una destinazione

mediante un messaggio. Si trattava del primo modello che intendeva descrivere il processo

comunicativo.

Più tardi, alla fine degli anni cinquanta, in uno scritto intitolato Linguistica e

poetica, il grande linguista russo Roman Jakobson, prendendo spunto dal modello dei due

ingegneri, elaborò un modello con sei fattori avente lo scopo di dar conto della

“comunicazione verbale umana”. Da quel momento non c’è manuale di linguistica o di

semiotica, né manuale scolastico di educazione linguistica, che non riporti un modello

della comunicazione con una illustrazione più o meno ampia dei fattori che concorrono a

caratterizzarla.

Il modello della comunicazione in classe qui proposto nasce da questa corrente di

studi e, in particolare, dalla diretta esperienza in classe degli autori del presente articolo. Il

modello proposto è caratterizzato da 10 fattori, ritenuti utili per ideare tecniche

comunicative che migliorino la comunicazione e la qualità della relazione insegnante-

alunni.

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I FATTORI DELLA COMUNICAZIONE

IN CLASSE

“L’uomo non sceglie se essere o meno comunicante, ma può scegliere,

intenzionalmente, ogni volta, se comunicare e in che modo comunicare” (Anolli, Ciceri, Elementi di Psicologia della comunicazione, Led, Milano, 1995)

Come? Attraverso la conoscenza e il controllo dei 10 fattori che intervengono nel

processo comunicativo in classe, in altre parole: sviluppando una consapevolezza

metacomunicativa. Ecco i dieci fattori che dobbiamo conoscere e controllare.

EMITTENTE

SCOPO

REFERENTE

DESTINATARIO

CONTESTO

CONTATTO PSICOLOGICO

CANALI

ILCODICE VERBALE

ILCODICE PARAVERBALE

ILCODICE NON VERBALE

CCoommuunniiccaattoorrii ssii nnaassccee,, mmaa ……ccoommuunniiccaattoorrii eeffffiiccaaccii

ssii ddiivveennttaa!!

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“Solo i superficiali non badano alle apparenze”

(Oscar Wilde)

Immaginiamo di entrare in aula per condurre una lezione interattiva in una classe

della scuola dell’obbligo scolastico, per esempio una seconda della scuola superiore.

EMITTENTE

Noi siamo gli EMITTENTI (primo fattore del modello della comunicazione in

classe), coloro cioè che inviano messaggi e parole agli alunni, cioè i contenuti della

lezione. E, come già detto, per proporre con efficacia i contenuti della lezione dobbiamo

prima di tutto conoscere e controllare i fattori della comunicazione: in questo caso,

conoscere e controllare l’emittente, cioè noi stessi (chiaramente fin che ciò ci è possibile).

Gli studi condotti dalla PNL (programmazione neurolinguistica) hanno mostrato

quanto sia determinante l’identità personale nella strutturazione di ogni atto comunicativo:

chi siamo, in termini di personalità (intelligenza, introversione o estroversione, dominanza

o dipendenza …), di status sociale, di valori, di grado di cultura, ecc., condiziona ogni

nostro atto comunicativo. Tutto parla di noi.

Perciò, dobbiamo costantemente essere in ascolto di noi stessi; avere

consapevolezza delle nostre emozioni, al fine di conservare sempre un equilibrio emotivo

(un tema importante su cui riflettere, ma che va oltre gli obiettivi dell’articolo). In

generale, dobbiamo conoscere quali sono i nostri bisogni, i nostri valori, le nostre risorse,

il ruolo che ci attribuiamo rispetto al progetto di vita degli alunni, le ragioni che ci hanno

spinto a fare questo mestiere: sapendo che tutto ciò ci influenza nella comunicazione e

PPeerr ccoommuunniiccaarree ccoonn eeffffiiccaacciiaa iinn ccllaassssee ii

ccoonntteennuuttii ddeellllaa nnoossttrraa lleezziioonnee,, ddoobbbbiiaammoo ccoonnvviinncceerrccii ddeell

ffaattttoo cchhee èè iimmppoorrttaannttee cchhee ccoossaa ddiicciiaammoo ,, mmaa èè

iimmppoorrttaannttee aanncchhee ccoommee lloo ddiicciiaammoo!!

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nella relazione con gli studenti. Ma, sapendo, anche, che quando entriamo in classe non

siamo più garantiti da una sociale e tradizionale autorevolezza, come accadeva nella scuola

del passato: l’autorevolezza, la credibilità dobbiamo costruircela giorno per giorno, con la

nostra persona, con la nostra professionalità, mettendoci costantemente in gioco.

Inoltre, le ricerche condotte dagli studiosi di PNL hanno mostrato come ognuno di

noi è effetto dei suoi atti comunicativi: se ci percepiamo come docenti noiosi, tenderemo

a considerare solo i messaggi, verbali, paraverbali e non verbali, degli alunni, che

rinforzano questa immagine di noi e scarteremo, inconsapevolmente, i messaggi che

sottolineano il contrario. Per questo, imparare a controllare i fattori della comunicazione

ci permette di produrre parole e messaggi efficaci che innalzano la nostra autostima, che, a

sua volta, come in un circolo virtuoso, incrementa il senso di benessere nel nostro stare in

classe.

Infine, dobbiamo controllare e curare l’abbigliamento e il nostro aspetto fisico:

come diceva Oscar Wilde “Solo i superficiali non badano alle apparenze”. Le

sperimentazioni sul campo condotte dagli psicologi hanno dimostrato senza ombra di

dubbio che la stessa persona vestita in maniera differente genera reazioni diverse: positive

o negative. L’abito che indossiamo, la nostra igiene personale, che lo si voglia o no,

provocano nei nostri alunni diverse sensazioni. Così come gonne troppo corte, scollature

troppo pronunciate o pantaloni super strappati delle nostre alunne/i (o peggio, da parte di

colleghe/i) provocano in noi docenti non solo specifiche sensazioni di fastidio, ma, spesso,

la nostra immediata reazione. Un'immagine trascurata spesso sollecita l’idea, negli alunni,

che abbiamo poca cura anche negli altri aspetti del nostro lavoro, facendoci scontare gli

effetti del cosiddetto effetto alone (l’effetto alone è un fenomeno di distorsione cognitiva

tra i più comuni nell’ambito della psicologia, infatti lo possiamo osservare con una certa

frequenza nella vita di tutti i giorni. Consiste nel generalizzare una sola caratteristica o

qualità di un oggetto o di una persona, ovvero, estendere il giudizio positivo o negativo

relativo ad una caratteristica a tutto ciò che riguarda la persona in questione). Tutto ciò,

chiaramente, non significa che sia sufficiente controllare la nostra immagine o la nostra

igiene personale (pensiamo ai fenomeni di alitosi e sudorazione delle ascelle) per condurre

una lezione in modo efficace. Ma è sicuramente un buon punto di partenza.

SCOPO

Iniziamo, quindi, la nostra lezione avendo chiaro qual è il nostro SCOPO (secondo

fattore del nostro modello). Detto in altri termini, ogni lezione deve avere un orizzonte

verso cui tendere; fuor di metafora, dobbiamo sapere quale o quali delle otto competenze

chiave di cittadinanza vogliamo promuovere (ricordiamo che nel nostro esempio siamo

nella scuola dell’obbligo), e, quindi, quali contenuti vogliamo che i ragazzi apprendano e

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quali abilità vogliamo sviluppare con quella specifica lezione.

REFERENTE

Per motivare gli alunni e costruire con essi una buona relazione è importante

comunicare costantemente agli alunni perché proponiamo loro quel REFERENTE (terzo

fattore del modello), cioè quel problema, quell’argomento, quell’esercizio, quella attività

ecc. .

DESTINATARI

Fin qui, abbiamo parlato di un emittente (il docente) che, avendo maturato una certa

conoscenza e un certo controllo di sé e avendo ben chiaro lo scopo della sua lezione,

propone agli alunni, i DESTINATARI (quarto fattore del modello), un determinato

referente. I destinatari delle nostre lezioni, gli studenti di una determinata classe, vanno

anch’essi conosciuti e studiati nei loro punti di forza e di debolezza e nelle loro dinamiche

di gruppo. Come abbiamo sottolineato parlando del referente, è importante che il docente

si preoccupi di motivare gli alunni ad entrare in comunicazione con lui rispetto a quel

problema, quell’argomento, quell’esercizio, quella attività ecc. . Se l’alunno non è

minimamente interessato a quel tipo di informazione o attività, e non è dunque disponibile

ad ascoltare e partecipare, tutti gli sforzi del docente saranno vani.

CONTESTO

Ora dobbiamo introdurre il fattore CONTESTO (quinto fattore del modello).

IL contesto non va inteso come uno sfondo indistinto e generico, un contenitore di

ciò che accade: è invece, un fattore determinante per regolare il funzionamento sociale

degli individui. Il fattore contesto, quindi, è importantissimo, spesso dai docenti trascurato,

perché circoscrive le regole del gioco: fuor di metafora le regole che organizzano i

comportamenti di tutti.

Il docente deve sempre far presente a se stesso e agli alunni che l’aula scolastica è

un luogo istituzionale ove esistono modalità comunicative e regole di comportamento

legate al proprio ruolo. Regole che i docenti conoscono bene e che, con buon senso,

rispettano e fanno rispettare. Ciò che, però, occorre aver chiaro è che far rispettare o

trascurare alcune regole piuttosto che altre comunica agli studenti chi siamo, di che pasta

siamo fatti, che cosa è per noi importante e che cosa non lo è. Per fare un semplice

esempio: l’aula e i banchi.

Il docente che entra in aula e non ha cura della pulizia dell’aula, della posizione e

della pulizia dei banchi (i banchi non si pasticciano) deve sapere che sta comunicando agli

alunni che per lui tutto ciò non è importante. Gli alunni recepiscono, e spesso si

comportano di conseguenza. E ciò vale per tanti altri piccoli dettagli (avere il materiale, le

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penne, i quaderni, il libro. Ma anche come si sta seduti ecc.) che parlano di noi e di come

interpretiamo il nostro lavoro.

Il fattore contesto è importante perché deve ricordare al docente (che ha cura poi di

insegnarlo agli alunni) che il rispetto per l’insegnante (naturalmente il rispetto vale per

tutti) discende dal ruolo non paritario che distingue chi insegna da chi deve imparare. La

relazione docente alunno, infatti, è una relazione “complementare”, nella quale il docente

sta “al di sopra” (posizione one-up), mentre l’alunno sta “al di sotto” (posizione one-

down). Il docente, però, non deve dimenticare che il rispetto dei ruoli non è scontato e il

potere dell’insegnante va costruito con la propria autorevolezza e, quindi, con la

partecipazione e il consenso degli studenti.

L’asimmetria dei ruoli tra docenti e alunni non va considerata come un fatto che

ostacola la qualità della relazione (come spesso sostengono alcuni giovani docenti);

piuttosto, essa è indispensabile all’alunno che non ha sviluppato un sufficiente

autocontrollo e abbisogna di qualcuno che dall’esterno lo aiuti a progredire. Ma, anche

questo è un tema importante che, però, va oltre gli obiettivi del presente articolo.

CONTATTO PSICOLOGICO

Il CONTATTO PSICOLOGICO (sesto fattore del modello) è quella connessione

psicologica che consente al docente di stabilire e mantenere attiva la comunicazione con

gli alunni. La connessione psicologica il docente la mantiene viva usando gli occhi.

Durante la lezione, gli occhi e lo sguardo del docente devono incontrare costantemente

quelli degli alunni: di tutti gli alunni, per almeno qualche secondo. In questo senso, si può

dire che la testa del docente si muove a destra e a sinistra dell’aula, incontrando gli occhi

degli alunni, come una campana che risuona. L’alunno distratto può essere richiamato

all’attenzione semplicemente ristabilendo con lui il contatto psicologico attraverso gli

occhi ed uno sguardo intenso accompagnato da un lieve sorriso (sorridere spesso durante la

lezione aiuta la comunicazione e la relazione).

Gli occhi, come vedremo più avanti, hanno una funzione importantissima

nell’inviare messaggi non verbali, e quindi mettere in atto tecniche comunicative.

CANALE

Stabilito il contatto psicologico con gli alunni si può dire che la lezione è iniziata;

ma, il docente, prima di iniziare a parlare, prima di pronunciare la prima parola deve aver

cura che i CANALI (settimo fattore del modello) siano adeguati. Che cosa vuol dire ciò?

Tecnicamente, in un processo comunicativo il canale è il mezzo fisico che permette

alle parole ed ai messaggi di raggiungere il destinatario. Nel nostro caso, prima di tutto il

docente deve assicurarsi che la luce (canale) che permette ai messaggi (per esempio, allo

sguardo del docente) di raggiungere gli allievi sia adeguata; secondo, che ci sia assoluto

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silenzio: l’aria (canale), che è il mezzo fisico che permette alle parole dell’insegnante di

raggiungere gli alunni, non deve essere popolata da rumori (voci e parole degli alunni in

sottofondo). Aver cura che il “silenzio onori la parola”, le parole giungano “pulite” alle

orecchie di tutti gli alunni è un dovere per l’insegnante, che deve utilizzare qualche tecnica

comunicativa (come vedremo più avanti) quando si accorge che il rumore disturba il canale

e non permette una serena comunicazione.

Quindi, stabilire e mantenere il contatto psicologico con i gli alunni e assicurarsi che

i canali permettano alle parole e ai messaggi di giungere agli allievi senza interferenze o

disturbi sono attenzioni che non vanno dimenticate né trascurate durante tutta la lezione.

A questo punto entrano in gioco i fattori del nostro modello sui quali si innescano le

tecniche comunicative: i codici.

Parliamo di tecniche comunicative ogni qualvolta il docente decide di inviare

messaggi e parole agli alunni in modo intenzionale, controllato, con un obiettivo

comunicativo e relazionale preciso; e non sotto la spinta di emozioni che suscitano reazioni

istintive o processi di comunicazione spontanei e naturali. In altre parole, le stesse parole e

gli stessi messaggi possono essere definiti in un caso “reazione istintiva e spontanea” e in

un altro “tecnica comunicativa”.

Le tecniche comunicative hanno lo scopo, soprattutto, di sollecitare l’attenzione

degli alunni rispetto ai contenuti della lezione, quindi rispetto al referente, ma anche

rispetto a tutte le parole e i messaggi che l’insegnante decide di inviare ai suoi allievi.

I CODICI.

Tecnicamente, i codici sono insiemi di segni e regole, condivisi, che permettono il

transito di significati dall’emittente al destinatario. Nel nostro caso, le parole della lingua

italiana (codice verbale), il volume della voce (urlando “silenzio!!!”, gli alunni capiscono

che devono stare zitti, ma anche che siamo adirati) e il gesto della mano alzata (codice non

verbale) trasmettono significati che gli alunni comprendono chiaramente perché condivisi

nella nostra cultura.

La conoscenza e il controllo dei codici ci permettono di utilizzare tecniche

comunicative che rendono efficace la comunicazione in funzione di una buona relazione

con gli alunni. Il primo passo, ripetiamo, è quello di conoscere e possedere un modello

teorico della comunicazione: ciò, da una parte, produce nel docente maggiore

consapevolezza e soprattutto maggiore sicurezza professionale; dall’altra, conoscere e

controllare i fattori della comunicazione, e in particolare i codici, permette al docente di

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utilizzare tecniche sperimentate e di inventarne di nuove, dando sfogo anche alla propria

creatività.

Ma, sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: le tecniche comunicative

non sono pozioni magiche; spesso funzionano, ma a volte non raggiungono gli effetti

sperati; sono comunque frecce per il nostro arco che arricchiscono le nostre possibilità di

scelta e di comunicazione.

IL CODICE VERBALE (ottavo fattore del modello)

Come abbiamo detto, il codice verbale che utilizziamo con i nostri alunni è,

soprattutto, la lingua italiana e le sue parole. Attraverso il codice verbale comunichiamo i

contenuti logici della nostra lezione, ma stabiliamo anche relazioni. Vediamo alcune

tecniche comunicative che possiamo utilizzare controllando il codice verbale.

Chiamare per nome l’alunno.

“Soltanto l’uomo di cui viene pronunciato il nome è vivo”(anonimo)

La psicologia insegna che sentirsi chiamati con il proprio nome, ovviamente senza

esagerazione, ci fa sentire in qualche modo maggiormente riconosciuti e considerati; siamo

abituati a sentirlo pronunciare fin da quando eravamo bambini e questo contribuisce a

renderlo capace di catalizzare la nostra attenzione in un instante. Rivolgersi all’alunno

chiamandolo per nome durante una spiegazione - “ Matteo sei d’accordo?”, “ Matteo è

chiaro quello che ho detto? mi sono spiegato?”, perché è distratto, o semplicemente perché

riteniamo che Matteo debba essere incoraggiato e vogliamo rafforzare la relazione con lui -

è un modo per farlo sentire a noi presente, per richiamare tutto il suo essere. L’intenzione

deve essere positiva, la voce e i messaggi non verbali (che poi impareremo a conoscere)

devono essere coerenti con le nostre buone intenzioni. Questa semplice tecnica

comunicativa oltre ad avere un effetto positivo per la relazione con l’alunno Matteo (ma,

durante la lezione avrò cura di “chiamare” anche altre alunni) ha un effetto positivo di

richiamo dell’attenzione anche su tutti gli altri alunni. Chiaramente, se Matteo era distratto

aggiungiamo alla tecnica del nome quella del feedback.

Il feedback

Tecnicamente, il feedback è l’informazione di ritorno o, se si vuole essere più

precisi, designa il processo per cui l’effetto risultante dall’azione di un sistema

(meccanismo, circuito, organismo, ecc.) si riflette sul sistema stesso per variarne o

correggerne opportunamente il funzionamento. Nel nostro caso, durante la lezione, in

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particolare durante una spiegazione, è importante chiedere agli alunni se ci capiscono, se

siamo stati chiari, se è necessario che ripetiamo un concetto, una informazione ecc. In

questo caso stiamo utilizzando la tecnica del feedback generico. Ma, possiamo essere più

precisi chiedendo se quel concetto specifico è stato chiaro, per esempio “Ragazzi, è chiaro

perché i contadini hanno venduto la loro piccola proprietà e sono andati a vivere a Roma?

Vi è chiaro il rapporto di causa effetto?” Viceversa, chiediamo, al contrario, quale tra due

concetti, due informazioni, due passaggi della lezione è il più difficile, il più complicato

ecc. . Oppure, chiamo l’alunno distratto con il suo nome e utilizzo il feedback specifico.

Con la tecnica del feedback, da una parte ci assicuriamo che tutti gli alunni siano al

passo con la spiegazione, ma, dal punto di vista della relazione, stiamo dicendo agli alunni

che noi siamo interessati al loro apprendimento. Anche in questo caso, i messaggi

paraverbali e non verbali devono essere positivi come le nostre intenzioni.

Frasi motivanti

Ogni tanto, durante la lezione, occorre creare un po’ di suspense per rompere il

ritmo e riattivare l’attenzione. Lo possiamo fare in tanti modi, anche con semplici frasi

motivanti del tipo “Ora, ragazzi, state attenti, perché viene il bello!” oppure “ Attenzione,

perché questo concetto è bellissimo” oppure “ … è nuovo” “ … è eccezionale”.

Oppure, la frase motivante va a sollecitare l’autostima dei ragazzi. “Quello che sto

per presentarvi adesso è per voi, che siete ragazzi svegli e intuitivi, un concetto (una

spiegazione, una informazione ecc.) molto semplice”.

Chiaramente, le frasi motivanti vanno rinforzate con i codici paraverbale e non

verbale. Lo scopo è quello di creare aspettative o far leva sull’autostima per preparare i

ragazzi ad accogliere un passaggio importante della lezione o semplicemente per

richiamare l’attenzione. Questa tecnica possiamo utilizzarla anche se in realtà il concetto

o il fatto che spieghiamo è tutt’altro che interessante o importantissimo, ma con

l’obiettivo, come detto, di riattivare l’attenzione.

Fare esempi concreti e sollecitare la creazione di immagini mentali

Sollecitare nei dettagli la creazione di immagini mentali durante una spiegazione,

per esempio di storia romana: “Immaginate, ragazzi, questo soldato romano, bello, alto,

robusto, vestito ancora con la sua tunica bianca lunga fino al ginocchio e con in mano la

spada, che arriva a casa sua, guarda il suo campo e lo vede pieno di ortiche ecc.”

chiaramente il tutto drammatizzato con il paraverbale e il non verbale, riattiva l’attenzione

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e rende più chiaro e comprensibile un processo storico caratterizzato da rapporti di causa

effetto.

Ma, invitare e abituare gli alunni a creare immagini mentali anche quando devono

studiare li aiuta a sviluppare un metodo di studio più efficiente e ad abbandonare lo studio

mnemonico di contenuti da apprendere.

L’umorismo affiliativo

Ridere fa buon sangue (anonimo).

Gli psicologi sostengono che un atteggiamento comico-umoristico all’interno del

gruppo, in generale, non può che instaurare un clima adatto allo sviluppo della curiosità,

dell’esplorazione, dell’attenzione e di conseguenza al predisporsi a dare risposte efficaci e

positive nei processi di apprendimento. Non solo. La battuta di spirito espressa in maniera

positiva e benevola incentiva le amicizie, la creazione di legami, la stabilità emotiva, il

benessere psicologico e sociale, maggiori e significativi livelli di autostima, migliora la

qualità delle relazioni.

In classe, la semplice battuta o storiella comico-umoristica, proposta dal docente,

permette di fare una pausa ricreativa; permette a tutti, docente e alunni, di scaricare le

possibili tensioni o, viceversa, di prepararsi ad una nuova fase di concentrazione e di

impegno scolastico. Non si tratta di apparire superficiali e frivoli, al contrario: si tratta di

utilizzare tecniche comunicative capaci di mutare l’umore stesso all’interno della classe.

Una battuta del docente può essere molto utile per indicare, con più leggerezza, errori e

comportamenti sbagliati: così, lo stesso rimprovero può indossare i panni dell’ilarità che, a

volte, incide con molta più efficacia di un vero e proprio diretto monito.

IL CODICE PARAVERBALE (nono fattore del modello)

Il codice paraverbale riguarda tutto ciò che concerne l’utilizzo della voce, quindi Il

tono, Il ritmo, Il volume, Il tempo, Gli intercalari, che chiamiamo sottofattori del codice

paraverbale. La voce comunica credibilità quando è perfettamente intonata con quanto

stiamo esprimendo. Come mai la voce può agevolare il processo comunicativo? Non

bastono le parole giuste per essere ascoltati e capiti? Forse nella comunicazione scritta si,

ma in quella orale, in una lezione in aula, no. Controllare il codice paraverbale significa,

quindi, controllare e utilizzare coscientemente i sottofattori e le possibilità comunicative

della voce.

Teniamo sempre presente, innanzitutto, che attraverso il codice paraverbale

comunichiamo la nostra intenzione comunicativa. Detto in altri termini, quanta voglia

abbiamo realmente di farci ascoltare; quanta voglia abbiamo di far si che gli alunni sentano

ciò che vogliamo dire; quanto ci crediamo. Attraverso il paraverbale comunichiamo in

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modo inequivocabile l’interesse, il calore, la passionalità o il disinteresse, la noia che

proviamo nel condurre la nostra lezione. Utilizzare la voce in modo efficace, quindi, vuol

dire aver consapevolezza di tutto ciò. Chi non conosce, non ha consapevolezza della forza

espressiva della voce, spesso, inconsapevolmente, è vittima di una voce “grigia”, una voce

non intenzionale, che non utilizza i sottofattori, non effettua variazioni di volume, di tono,

di ritmo: una voce “piatta” che non comunica emozioni. Una voce che non si fa ascoltare.

Ma, vediamo cosa sono questi sottofattori.

Il tono

Il tono o l’intonazione si riferisce all’altezza della voce, che può essere modulata

verso note acute, verso note medie o verso note gravi. Come nella musica, quindi, parliamo

di “tono alto” nel caso di una voce acuta e di “tono basso” nel caso di una voce grave. Il

tono della voce è molto importante perché è alla base della prosodia (il corrispettivo della

“melodia” in musica), cioè la capacità di far capire il senso del discorso attraverso la

modulazione di intonazioni diverse. Quindi, se vogliamo chiarire ai nostri alunni quanto

stiamo dicendo, dobbiamo sapere che possiamo far leva sulla espressività della nostra voce,

cioè sul tono della nostra voce per provare ad essere più chiari e convincenti. Non solo.

Modulare il tono della voce verso i toni alti e farla poi scendere verso i medi e verso i gravi,

per farla poi risalire, evita la monotonia della voce, che spesso crea apatia, noia e

disinteresse negli alunni. Anche da un punto di vista psicologico, il tono è fondamentale

perché più è basso – in particolar modo se associato ad un tempo lento – più sarà in grado di

generare uno stato di calma e rilassamento negli alunni.

Il ritmo

Il ritmo della voce si riferisce agli intervalli fra una parola e l’altra, le pause. Il ritmo si

sviluppa sempre all’interno di un tempo veloce, medio o lento. Anche il ritmo è un

elemento espressivo che troviamo in musica. Nella lingua parlata, il ritmo dobbiamo

associarlo a particolari obiettivi: quindi, rallentiamo nel momento in cui vogliamo

sottolineare un concetto, una informazione; vogliamo creare una particolare attenzione su

ciò che stiamo dicendo. Viceversa, aumentiamo la velocità se vogliamo manifestare

eccitazione o coinvolgimento. Anche in questo caso, come abbiamo visto per il tono, le

variazioni del ritmo le decidiamo in funzione di obiettivi espressivi che di volta in volta ci

poniamo. Le pause, tra una parola e l’altra o tra una frase e l’altra, che danno ritmo al nostro

eloquio sono molto importanti. Abbiamo due tipi di pause che, a seconda di come le

usiamo, comunicano ai nostri alunni un senso di complicità o di autorevolezza.

La pausa “esitante”, che utilizziamo quando vogliamo creare una situazione di

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complicità con gli alunni, è caratterizzata dall’uso intenzionale di intercalari come ehm …

ecco … quindi … ecc. Questa pausa, se utilizzata con buona tecnica, crea complicità, ci

avvicina all’alunno che, in quel momento, ci percepisce come si percepisce generalmente

lui, cioè esitante e insicuro.

La pausa “netta”, che utilizziamo quando vogliamo comunicare autorevolezza e

padronanza dei contenuti che proponiamo.

Durante la nostra lezione, possiamo alternare la pausa “esitante” alla pausa “netta” a

seconda degli obiettivi espressivi e comunicativi che vogliamo raggiungere.

Il volume

Il volume si riferisce alla intensità dell’emissione della voce, che può essere

utilizzata con intensità forte o piano, o gradualità intermedie e, per intenderci, può essere

misurata in decibel. Ma, il volume non è solo un elemento fisico che ci dice con quanta

potenza stiamo parlando, è anche un importantissimo elemento psicologico che comunica

agli altri quanto siamo sicuri di noi stessi, su quanto crediamo alle cose che stiamo dicendo,

su quanto ci sentiamo a nostro agio in quella situazione. E per comunicare tutto ciò è

inevitabile che il volume sia alto, e,possibilmente, accompagnato dal sorriso.

Ma, raramente i docenti sfruttano la modulazione della propria voce ai fini di una

comunicazione efficace. Oltre a scegliere un volume adatto, che consenta a tutti gli alunni,

in particolare a quelli più lontani da noi seduti nei banchi dell’ultima fila, di percepire

correttamente ogni singola parola, è importante modulare l’intensità della nostra voce in

modo che questa non risulti noiosa. Infatti, gli stimoli costanti producono assuefazione, che

può produrre distrazione e/o noia, ed è per questo che, coscientemente, dobbiamo introdurre

nel nostro eloquio, sapientemente, variazioni di volume (per esempio: dando intensità ad

alcune parole chiave del nostro discorso) che permettano di mantenere alto il livello di

attenzione.

Il tempo

Il tempo corrisponde alla velocità con la quale pronunciamo le parole. Possiamo

parlare con un tempo lento, andante o veloce a seconda degli obiettivi che ci poniamo. Se,

per esempio, dobbiamo raccontare un evento, usiamo un tempo lento; lentissimo se

leggiamo una favola; veloce se se vogliamo dire qualcosa manifestando eccitazione e

coinvolgimento.

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Tenere sotto controllo, durante la lezione, i sottofattori indicati permette

all’insegnante di evitare la monotonia dell’eloquio, quindi di mantenere viva la lezione e

l’attenzione degli alunni variando, con un po’ di esperienza e creatività, di volta in volta, a

seconda delle circostanze e del bisogno, uno o più sottofattori. Per fare un semplice

esempio: se ci accorgiamo che stiamo perdendo l’attenzione degli alunni possiamo provare

a diminuire di colpo il volume della voce e contemporaneamente rallentare il ritmo

dell’esposizione … o combinare tra loro, a nostro piacimento, i sottofattori. L’ultimo

sottofattore indicato ci invita a tenere sotto controllo eventuali Intercalari che

danneggerebbero l’efficacia della comunicazione, scatenando, viceversa, la gioia dei nostri

alunni che si divertirebbero a contare quante volte, durante la lezione, abbiamo detto

“allora” o “ehm” ecc. , per vedere se abbiamo battuto il record.

In generale, possiamo concludere dicendo che se nelle nostre lezioni tendiamo ad

usare una voce flebile, sommessa, un ritmo lento, un volume basso e monocorde e

probabile che i nostri alunni ci percepiscano come insicuri, inadeguati e incompetenti; al

contrario, una voce troppo squillante, un tono acuto, un ritmo veloce e serrato, un volume

alto possono provocare disturbo nei nostri allievi: in entrambi i casi la lezione risulterà

poco ascoltata perché fagocitata dalle sensazioni di fastidio e disturbo provocati dagli

elementi paraverbali. La voce è sicuramente l’elemento comunicativo più difficile da

governare e ciò ci spinge a considerare l’opportunità di frequentare corsi o laboratori che ci

aiutino a controllarla ed a utilizzarla nel modo migliore.

IL CODICE NON VERBALE (decimo fattore del modello)

Il codice non verbale riguarda tutti i messaggi che, durante la lezione, inviamo agli

alunni con Gli occhi, La mimica, La postura, La gestualità, La prossemica . In realtà,

comunichiamo ininterrottamente con il nostro corpo, senza soluzione di continuità; i

messaggi non verbali che inviamo con il nostro corpo sono tanti, compreso il ritmo e

l’intensità del respiro. Ma, per ciò che a noi interessa, cioè la comunicazione in classe,

tenere sotto controllo quelli indicati è più che sufficiente.

Vediamoli uno per uno.

Gli occhi

Gli occhi, come abbiamo già detto, sono importanti per stabilire e mantenere il

contatto psicologico con gli alunni. Guardare negli occhi l’alunno significa averlo presente,

confermargli il nostro interesse nei suoi riguardi. Mentre parliamo, dobbiamo posare lo

sguardo a turno su tutti gli allievi affinché tutti avvertano la sensazione di essere tenuti in

eguale considerazione. È importante che gli occhi sorridano e mandino messaggi positivi.

Ma, possiamo usarli anche per rimproverare, per comunicare il nostro disaccordo per un

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comportamento non adeguato. Uno sguardo, a volte, vale più di tante parole: nel bene e nel

male.

Lo sguardo accompagna coerentemente le espressioni del volto, cioè la mimica.

La mimica

Con questo termine si indicano tutti i movimenti del volto nel suo insieme o delle

sue singole parti. La mimica, quindi, ha a che fare con l’utilizzo dei muscoli facciali:

aggrottare le sopracciglia, sorridere ecc. , drammatizzare i significati che vogliamo

comunicare ci aiuta ad essere più efficaci nella comunicazione. Ricordiamo che le parti più

espressive del viso sono la bocca e gli occhi.

La postura

La postura del corpo, l’atteggiamento che il nostro corpo assume nello spazio

dell’aula, che può essere rigido o molle, aperto o chiuso, con le diverse gradazioni nel

continuum tra il primo e secondo termine, comunica il nostro livello di tensione nervosa.

Anche in questo caso, possiamo rendere più efficace la nostra intenzione comunicativa

utilizzando la tensione nervosa del corpo per raggiungere i nostri obiettivi comunicativi.

Senza dimenticare che una postura eretta e tonica trasmette un’impressione di

autorevolezza.

Il gesto

Il gesto delle mani, unite o disgiunte, vicine o lontane dal corpo, in alto o in basso,

aperte o chiuse ecc. devono sottolineare quanto dicono le parole, renderle più o meno

espressive e più facilmente interpretabili. Le mani devono sottolineare il parlato in modo

congruente. Bisogna parlare con le mani: ciò coinvolge l’alunno e chiarisce il contenuto del

discorso.

Pieghiamo gli avambracci e teniamo le mani mediamente alte e rilassate. I gesti

ampi danno un’enfasi positiva, dimostrano il nostro entusiasmo e interesse per quanto

stiamo dicendo.

La prossemica

La prossemica, cioè il controllo e l’uso dello spazio dell’aula è, al pari degli altri

sottofattori, molto importante. Dobbiamo fare attenzione alla nostra posizione nell’aula,

evitando posizioni defilate e privilegiando la posizione centrale rispetto ai banchi.

Per esempio: avvicinare, senza guardarlo, l’alunno, che durante la nostra

spiegazione sta parlando con il compagno, ci permette di raggiungere, generalmente, due

risultati: primo, farlo tacere. La semplice vicinanza del nostro corpo al suo banco, la sua

“zona intima”, lo indurrà a tacere; secondo, evitiamo che con un richiamo verbale del tipo

“Mario, per favore stai zitto”, Mario risponda con “ Ma io non stavo parlando”; e se Mario

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è polemico la serenità della lezione può essere compromessa dall’apertura di un conflitto

“Lei, professore, ce l’ha con me … mi rimprovera senza ragione … ecc.”.

Ma, l’utilizzo dello spazio è utile anche per richiamare una caduta generale dell’

attenzione. In questi casi, infatti, si può provare ad attraversare l’aula passando tra i banchi,

avvicinandoci così a tutti gli alunni e mettendo in moto lo stesso meccanismo sopra

descritto.

Usiamo lo spazio, quindi, per essere facilmente visibili da tutti; per interrompere la

monotonia percettiva; per riattivare l’attenzione degli alunni.

Tutti i sottofattori indicati sono strumenti che possiamo utilizzare per i diversi fini.

O per riattivare l’attenzione o per rendere più espressivo un concetto, un fatto ecc.

La conoscenza di tutti i dieci fattori, quindi, ci permette di utilizzare la

comunicazione in classe in modo strategico.

È tutto qui? Si, è tutto qui! Ma, tra dire è il fare … c’è di mezzo il mare!

Il mare, che c’è di mezzo, però, non è altro che conoscenza, sperimentazione in classe e

riflessione, sperimentazione in classe e riflessione, sperimentazione in classe e riflessione

… e così via.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

CIALDINI R., Le armi della persuasione, Giunti, 2018

IMPARATO C., La tua voce può cambiarti la vita, Sperling &Kupfer, 2008

NARDONE G., La nobile arte della persuasione, Ponte alle grazie,2004

NARDONE G., SALVINI A., Il dialogo strategico, Ponte alle grazie,2004