La civiltà delle buone maniere

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1 UNITÀ 1 La civiltà delle buone maniere APPROFONDIMENTO A Cortesia e civiltà Nel XII e nel XIII secolo, a partire dalla Francia, si diffuse in tutta Europa, nel mondo ca- valleresco, un nuovo stile di vita che fu denominato cortese. Con tale espressione si vole- va precisare quali atteggiamenti erano considerati corretti all’interno delle corti, cioè ne- gli ambienti aristocratici. L’obiettivo era quello di distinguere nettamente i modi dei ca- valieri da quelli dei contadini. Al primo posto, tra i comportamenti giudicati cortesi (o cavallereschi) stava il rispetto per le donne, o meglio la capacità di tenere sotto controllo le proprie passioni sessuali. Con il passar del tempo, vennero fatte numerose altre precisazioni, su tanti altri ambiti dell’e- sistenza, al fine di mettere in evidenza i comportamenti giusti e bandire quelli sconvenienti. Su questi argomenti, fiorì un vero nuovo filone letterario; all’inizio del Cinquecento, tut- tavia, per opera soprattutto dell’intellettuale olandese Erasmo da Rotterdam, il termine medievale cortesia lasciò il posto al latino civilitas, da cui nacquero il francese civilité e l’i- taliano civiltà, opposto a barbarie, “comportamento selvaggio e ripugnante”. Erasmo compose la sua opera De civilitate morum (Sulla civiltà dei costumi) nel 1530, con l’intento di censurare severamente, e di respingere, una serie di azioni che nessun indivi- duo del XXI secolo penserebbe mai di compiere in pubblico. Proprio i rimproveri di Era- smo, invece, sono il segno evidente che, a quell’epoca, erano ancora molto diffusi tra gli adulti numerosi comportamenti che la sensibilità moderna rifiuta oggi senza mezzi termini. Storicamente parlando, la soglia della ripugnanza si è decisamente spostata, è mutata, al punto che situazioni per noi impensabili si verificavano regolarmente in pubblico. In li- nea di massima, si potrebbe sinteticamente affermare che il processo di civilizzazione (cioè l’assunzione e la diffusione delle cosiddette buone maniere) è consistito nel rifiuta- La civiltà delle buone maniere L’amor cortese, miniatura tratta da un calendario francese del XV secolo (Parigi, Biblioteca Nazionale). Una sensibilità diversa da quella moderna CULTURA, CIVILTÀ E RELIGIOSITÀ F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

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Cortesia e civiltàNel XII e nel XIII secolo, a partire dalla Francia, si diffuse in tutta Europa, nel mondo ca-valleresco, un nuovo stile di vita che fu denominato cortese. Con tale espressione si vole-va precisare quali atteggiamenti erano considerati corretti all’interno delle corti, cioè ne-gli ambienti aristocratici. L’obiettivo era quello di distinguere nettamente i modi dei ca-valieri da quelli dei contadini. Al primo posto, tra i comportamenti giudicati cortesi (o cavallereschi) stava il rispetto perle donne, o meglio la capacità di tenere sotto controllo le proprie passioni sessuali. Conil passar del tempo, vennero fatte numerose altre precisazioni, su tanti altri ambiti dell’e-sistenza, al fine di mettere in evidenza i comportamenti giusti e bandire quelli sconvenienti.Su questi argomenti, fiorì un vero nuovo filone letterario; all’inizio del Cinquecento, tut-tavia, per opera soprattutto dell’intellettuale olandese Erasmo da Rotterdam, il terminemedievale cortesia lasciò il posto al latino civilitas, da cui nacquero il francese civilité e l’i-taliano civiltà, opposto a barbarie, “comportamento selvaggio e ripugnante”. Erasmo compose la sua opera De civilitate morum (Sulla civiltà dei costumi) nel 1530, conl’intento di censurare severamente, e di respingere, una serie di azioni che nessun indivi-duo del XXI secolo penserebbe mai di compiere in pubblico. Proprio i rimproveri di Era-smo, invece, sono il segno evidente che, a quell’epoca, erano ancora molto diffusi tra gliadulti numerosi comportamenti che la sensibilità moderna rifiuta oggi senza mezzi termini. Storicamente parlando, la soglia della ripugnanza si è decisamente spostata, è mutata, alpunto che situazioni per noi impensabili si verificavano regolarmente in pubblico. In li-nea di massima, si potrebbe sinteticamente affermare che il processo di civilizzazione(cioè l’assunzione e la diffusione delle cosiddette buone maniere) è consistito nel rifiuta-

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L’amor cortese,miniatura tratta da uncalendario francese del XV secolo (Parigi,Biblioteca Nazionale).

Una sensibilitàdiversa da quellamoderna

CULTURA, CIVILTÀ

E RELIGIOSITÀ

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DOCUMENT I

re, cancellare, o per lo meno nascondere e relegare dietro le quinte, tutta una serie di azio-ni che in altri contesti erano svolte in pubblico senza eccessivi problemi.Non sempre questo processo di rimozione o nascondimento è avvenuto sulla base di cri-teri razionali, primi fra tutti quelli dettati dall’igiene (concetto tutto sommato moder-no, imprecisabile prima della scoperta dei virus e dei batteri) o da pericoli oggettivi. Bastipensare al fatto che, nel Medioevo, era prassi normale cuocere gli animali allo spiedo e ser-virli in tavola interi. Il padrone di casa, pertanto, doveva essere un abile macellaio, capacedi tagliare i pezzi di carne, che poi serviva ai convitati; dato che, in altre occasioni, questoonore era lasciato a un ospite illustre, tutti i nobili dovevano possedere questa competen-za ed essere in grado, in pubblico, di fronte ai loro pari, di svolgere con disinvoltura e al-legria quella singolare mansione. Con il passar del tempo, il taglio dei pezzi di carne fu ef-fettuato dai cuochi, nelle cucine, dietro le quinte; in questo caso, l’igiene o il pericolo nonc’entrano. Era un problema di prestigio e di immagine: non parve più dignitoso, ai si-gnori, mostrarsi intenti in un’azione evidentemente giudicata bassa e servile.

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Le maniere cortesi a tavolaIl poeta tedesco Tannhäuser compose questi versi nel XIII secolo. Si tratta di consigli offerti a un ca-

valiere, per non farlo sfigurare a un banchetto di pari, cioè di nobili come lui. Comportarsi in modo scon-veniente, da contadino, avrebbe messo l’individuo in cattiva luce nella buona società.

Pare a me uomo bene educatoColui che ben conosce le buone maniereChe mai ha usato cattive maniereE mai ha trasgredito le regole. […]Un uomo nobile non deve servirsiCon un altro dello stesso cucchiaio;quando uomini cortesi lo fannoperdono la loro nobiltà.Non si addice succhiare dal piattoAnche se molti lodano quest’usoLodano il modo sgarbato in cui l’afferraE ingurgita, come se fosse impazzito.E quegli che a tavola afferra un piattoE divora come se fosse un maiale.E sbava in modo così sudicioE dalla bocca fa udire rumori…Alcuni addentano un boccone di paneE poi lo rituffano nel piattoCome sogliono fare i contadini;ma l’uomo cortese si astiene dal farlo.Qualcuno trova anche comodo,quando ha spolpato un osso,di rimetterlo giù nel piatto;ma questa è una usanza scorretta. […]Non dovete pulirvi i dentiCon il coltello, come molti fanno,e come molte volte si vede fare;chi usa farlo, non è ben educato. […]Chi sulla tavola si soffia il nasoE poi col dito strofina il moccio,è un animale, ve lo assicuro,che non conosce le buone maniere.Sento dire da molte persone(e se è vero, mi sembra disgustoso)che sogliono mangiare senza essersi lavate;possano paralizzarsi le loro dita.

N. ELIAS, Il processo di civilizzazione, il Mulino, Bologna 1988, pp. 216-220, trad. it. G. PANZIERI

Qualicomportamenti sono corretti, a tavola, secondoTannhäuser?

Esiste, per il poeta,una sostanzialedifferenza traanimali e contadini?Giustifica la tuarisposta.

Commensali a tavola, miniatura tratta da un codice del XIV secolo.

Un problema di dignità

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Comportarsi bene a tavolaCome fonte per ricostruire gli usi e i costumi seguiti a tavola, possiamo utilizzare sia i qua-dri in cui si presenta una scena evangelica ambientata durante un banchetto, sia i numerositesti che davano consigli di buone maniere ai signori.Nei pasti dei ricchi, spesso prevaleva la carne che – tramontato l’uso di portare in ta-vola gli animali interi – era offerta su grandi piatti da portata. Ognuno si serviva conle mani; ma il pezzo prescelto non era depositato su un piatto privato, bensì sopra unatavoletta di legno o, più spesso, su una grossa fetta di pane detta quadra. Questa si im-pregnava di sugo di carne e, alla fine del pasto, veniva distribuita ai poveri. Dopo averspolpato un osso – si raccomandano vari autori – non bisognava rimetterlo nel piat-to comune; così, se ci fosse stato un altro recipiente per le salse, usato da tutti i com-mensali, non si doveva intingere un boccone di pane che in precedenza era già statoportato alla bocca. Il bicchiere spesso non era collocato di fronte al convitato, ma gli era fornito, colmo, arichiesta, di volta in volta; non sempre si trattava di un bicchiere privato: di qui la fre-quente raccomandazione, nei manuali, di pulirsi la bocca, prima di accostarla al recipiente,e di pulire quest’ultimo, dopo aver bevuto. Stesso discorso vale per i cibi liquidi; non erada cavalieri portare direttamente alla bocca il recipiente comune servito in tavola. Ci sidoveva servire del cucchiaio, che progressivamente si accostò al coltello come seconda po-sata; in genere, però, era presente un solo cucchiaio per tutta la tavolata e quindi era usa-to a turno: dopo averlo pulito con un tovagliolo, si precisa nei manuali. Quel medesimotovagliolo, però, non doveva essere usato per soffiarsi il naso, così come, a maggior ragione,per questo scopo non si doveva usare la tovaglia…La forchetta individuale arrivò per ultima, tant’è che non la troviamo dipinta prima del1599. A lungo si trattò, come le altre posate, di uno strumento comune, usato solo perprendere i pezzi dal piatto da portata. Si diffuse con molta lentezza, nel Cinquecento, a

La raffigurazione di unbanchetto, pannello dicassone del XV secoloattribuito ad Apolloniodi Giovanni (Venezia,Museo Correr).

Né posate né stoviglie

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partire da Venezia, dall’Italia e dalla Spagna. Ma, intorno al 1580, il regno di Francia nonla conosceva ancora; anzi, secondo alcuni studiosi, l’uso della forchetta diventò genera-le, in Europa, non prima del 1750. Durante un banchetto era necessario – e doveroso, precisano i manuali – sciacquarsipiù volte le dita; era invece considerata una mancanza di stile gravissima, secondo gliscrittori che si occupano di buone maniere, sedersi a tavola senza essersi lavati oppu-re, durante il banchetto, grattarsi il collo o le orecchie, e poi subito attingere un boc-cone dal piatto di tutti.

I bisogni elementari dell’essere umanoSecondo il sociologo tedesco Norbert Elias, la rigida regolamentazione del comportamentoa tavola – collegato, ovviamente, ai bisogni primari del mangiare e del bere – fa parte diuna più vasta strategia a largo raggio, finalizzata a ottenere un ferreo controllo sulla com-ponente animale dell’essere umano. Dai quadri e da varie altre testimonianze, emer-ge che, nel Medioevo, erano svolte in pubblico diverse attività che oggi, invece, avven-gono in segreto, nel riserbo più completo. Alludiamo in primo luogo ai bisogni fisiolo-gici, che spesso erano svolti in pubblico, all’aperto, dove capitava, senza eccessivi problemidi riservatezza. L’uomo moderno è in imbarazzo persino a nominare in pubblico le fun-zioni dell’apparato urinario o l’espulsione delle feci: al massimo, si concede l’uso di ter-mini medici, considerati neutri, o meglio capaci di neutralizzare la ripugnanza e il disa-gio che la menzione consapevole di quelle attività produce in una conversazione condottada gente civile. L’unica licenza – cioè eccezione, almeno parziale, alla regola generale – èconcessa ai bambini: nel loro caso, in mancanza di alternative, si accetta che svolgano inpubblico funzioni che invece sarebbero severamente censurate nel mondo adulto.Nel Medioevo, la differenza di comportamento tra adulti e bambini è praticamenteignota; tutti si comportano, in pubblico, in modo, per così dire, infantile. E questo

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Maestro del Castellodella Manta,

La fontana della gioventù,affresco del XV secolo

(Manta, Cuneo,Castello).

Nel Medioevo i bagnipubblici erano una realtà

piuttosto diffusa.

La forchetta e le mani

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vale anche per altre azioni che, nel mondo adulto, sono di solito sottratte alla vista ealla vita comune. Si pensi, in primo luogo, all’atto dello sputare (che tantissime fon-ti medievali ci descrivono come normale in tutti gli ambienti, non escluse le chiese)e a quello del dormire.Nelle case e nelle locande del Medioevo, era normale che diverse persone dormissero nel-la stessa stanza e nello stesso letto, pur essendo estranei. Si pensi invece, per contrasto, al-l’uso linguistico che si impose a partire dal Settecento, in virtù del quale le dame e i gen-tiluomini «si ritiravano», cioè letteralmente scomparivano e si dissolvevano, per così dire,nel momento in cui andavano a dormire. Ai nostri giorni, si pensi all’imbarazzo che pro-viamo a mostrarci in pigiama o al diffuso disagio che molte persone dimostrano, ancoroggi, nei treni notturni dotati di cuccette. Rispetto al Medioevo, l’atto del dormire ha su-bito, più di tante altre attività umane, uno straordinario processo di privatizzazione o, sesi preferisce, di intimizzazione.Secondo Elias, per quanto ci possa apparire strano, anche nei confronti della nudità edel sesso il Medioevo era molto più libero delle età successive; in molte località, funzionaronoa lungo bagni pubblici, frequentati da tutti, a cui si andava nudi o seminudi. In moltiromanzi cortesi, il cavaliere errante accolto in un castello da signori ospitali riceve, in-sieme a una cena ristoratrice, un bagno caldo in cui il guerriero è assistito da ancelle pri-ve di ogni imbarazzo e di ogni malizia; nonsi tratta di prostitute, ma di serve, che svol-gono con estrema naturalezza quel parti-colare compito, anche se di fronte a lorohanno un maschio del tutto privo di in-dumenti.Inoltre, è per noi sconcertante la facilità concui Erasmo a Rotterdam, ancora all’iniziodel XVI secolo – quando il processo di civi-lizzazione è già in fase relativamente avan-zata – parla in un libro destinato a bambi-ni di 6-8 anni, che ha come argomenti cor-teggiamento, verginità, amore e persino ilcomportamento da tenere nei confronti del-le prostitute.L’obiettivo di Erasmo è di tipo morale e quin-di nelle sue parole non c’è nulla di osceno;anzi, i giovani sono invitati a sapersi domi-nare, le ragazze a mantenersi vergini fino almatrimonio, le prostitute a redimersi ecambiare vita. Il dato sorprendente, dunque,non è il contenuto morale dei consigli del-l’intellettuale olandese, ma la straordinarianaturalezza (e delicatezza) con cui tuttiquesti argomenti “scabrosi” sono espo-sti a bambini. È segno del fatto che essi, mal-grado la tenera età, erano già a piena cono-scenza dei meccanismi legati al sesso e allaprocreazione, secondo modalità che scom-pariranno totalmente nei secoli seguenti etoccheranno il vertice della repressione neidecenni a cavallo tra Ottocento e Novecento.

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Sosta di un gruppo di pellegrini in una taverna, particolare di pala d’altare,1446 (chiesa di St. Jakob, Rothenburg do der Tauber).

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DOCUMENT ILa celebrazione della guerra e del combattimento

Dante collocò l’autore di questo testo, il trovatore Bertran de Born (1140-1215), all’inferno. In ef-fetti, la sua esaltazione della lotta, del combattimento e della gioia che si prova nel momento dell’as-salto, non ha nulla di cristiano: è proprio per regolare una simile aggressività dei cavalieri che furonomesse a punto le buone maniere.

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Molto mi piace la lieta stagione di primaveraChe fa spuntar foglie e fiori,E mi piace quand’odo la festaDegli uccelli che fan risuonareIl loro canto pel bosco,E mi piace quando vedo su pei pratiTende e padiglioni rizzati,Ed ho grande allegrezzaQuando per la campagna vedo a schieraCavalieri e cavalli armati.

E mi piace quando gli scorridoriMettono in fuga le genti con ogni lor roba,E mi piace quando vedo dietro a loroGran numero d’armati avanzar tutti insieme,E mi compiaccio nel mio cuoreQuando vedo assediar forti castelliE i baluardi rovinati in breccia,E vedo l’esercito sul valloChe tutto intorno è cinto di fossatiCon fitte palizzate di robuste palanche

[grossi pali conficcati nel terreno, n.d.r.].

Ed altresì mi piace quando vedoChe il signore è il primo all’assalto,A cavallo, armato, senza tema [paura, n.d.r.],Che ai suoi infonde ardire Così, con gagliardo valore;E poi ch’è ingaggiata la mischiaCiascuno dev’essere prontoVolonteroso a seguirlo,Ché niuno è avuto in pregioSe non ha molti colpi preso e dato.

Mazze ferrate e brandi [spade, n.d.r.], elmi divario colore,

Scudi forare e fracassareVedremo al primo scontrarsiE più vassalli insieme colpire,Onde erreranno sbandatiI cavalli dei morti e dei feriti.E quando sarà entrato nella mischiaOgni uomo d’alto sangue Non pensi che a mozzare teste e braccia:Meglio morto che vivo e sconfitto!

Io vi dico che non mi dà tanto gustoMangiare, bere o dormire,Come quand’odo gridare «all’assalto»Da ambo le parti, e annitrire Cavalli sciolti per l’ombra,E odo gridare: «aiuta, aiuta!»E vedo cader pei fossatiUmili e grandi tra l’erbe,E vedo i morti che attraverso il pettoHan tronconi di lancia coi pennoncelli.

Baroni, date a pegnoCastelli, borgate e città,Piuttosto che cessare di guerreggiarvi l’un

l’altro.

R. CESERANI, L. DE FEDERICIS,Il materiale e l’immaginario. Laboratorio di analisi

dei testi e di lavoro critico, II. La cultura della societàfeudale, Loescher, Torino 1979, pp. 210-211

Spiegal’espressione «Ché niuno è avutoin pregio / Se nonha molti colpi presoe dato».

Individua nel testole espressioni in cuila passione per lalotta e la mischiaprovoca nell’autoreun’esaltazionesimile a quellaprovocata daldesiderio amoroso.

Sulla parte sinistra della miniatura è raffigurato un combattimentotra cavalieri.

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Il controllo dell’aggressivitàTutti i meccanismi che abbiamo descritto avevano come finalità la limitazione dell’a-nimalità umana. Le fiere selvagge, infatti, non si nutrono di pezzi di carne prece-dentemente preparati da qualcun altro, bensì sbranano a morsi la propria preda, stac-cando i bocconi direttamente dalla carcassa intera: proprio come faceva il padrone dicasa in un banchetto medievale (sia pure con l’aiuto di un coltello, e dopo la cotturadella bestia). Questa prassi e tutti gli altri comportamenti, che renderebbero l’essereumano molto simile agli animali, vennero sempre più nascosti e/o tenuti sotto stret-to controllo.In certi campi, il contributo della Chiesa al processo di civilizzazione fu determinante. Ep-pure, dietro all’intera operazione, troviamo soprattutto una motivazione di tipo politico.L’intero disegno aveva come obiettivo ultimo il controllo dell’aggressività, in un mondoviolento – quello feudale – contro cui lo Stato e il potere centrale cercavano via via di ri-servare a sé il monopolio della forza. Quando si esprimono liberamente, i cavalieri del XII e del XIII secolo non esitano a di-chiarare che, per loro, la guerra e l’esercizio della violenza sono una straordinaria fon-te di piacere e di gioia. Combattere, uccidere, torturare e mutilare i prigionieri generain molti di loro non disgusto e orrore, ma eccitazione; tali azioni vengono condotte qua-si in stato di ebbrezza e producono brividi di soddisfazione. Nel corso del Medioevo, attivando strategie di vario genere, le autorità cercarono diinibire, o almeno di porre sotto stret-to controllo, questa sfrenata ag-gressività. Innanzi tutto, la violenzafu regolamentata; in certi momentidell’anno, ad esempio, alcune cittàpermettevano a bande di giovani dicompiere stupri di gruppo a danno diprostitute o di altre donne di bassaestrazione sociale. Era violenza isti-tuzionalizzata e ritualizzata, cioè ac-curatamente delimitata: quelle me-desime azioni, tollerate in un tempopreciso e definito, erano invece seve-ramente punite in tutto il resto del-l’anno. Seguendo una strategia complemen-tare, si concesse agli individui diguardare la violenza nel suo realiz-zarsi, ma vietando di prendervi par-te attiva. I supplizi pubblici e le esecuzioni svolsero fino al Settecento inoltrato que-sta funzione. Ancora in pieno XVI secolo, a Parigi era prassi normale bruciare vivi unao due dozzine di gatti, nel corso della popolare festa di San Giovanni; in tale occasione,«la gioia di tormentare un essere vivente si manifestava allo stato puro, scopertamen-te, senza alcuno scopo o giustificazione razionale» (N. Elias). La folla doveva limitar-si a guardare lo spettacolo della violenza, senza prendervi parte attiva, mentre il pri-vilegio di accendere il rogo era lasciato al re o al principe ereditario. Al livello sociale più alto, però, il potere centrale si sforzò di bloccare gli istinti più bru-tali e animaleschi disseminando l’intera esistenza di freni inibitori; a tutti i livelli e intutti i campi, l’individuo doveva essere sempre all’erta e sforzarsi di reprimere la pro-pria dimensione animale, col risultato che in alcuni ambiti – primo fra tutti quello ses-suale – è stato necessario, per l’uomo del tardo XX secolo, riscoprire la naturalità di unaserie di funzioni e di gesti, per poterli vivere serenamente e parlarne senza imbarazzo,ma con saggezza, come a suo tempo era riuscito a fare Erasmo da Rotterdam.

Due ribelli dopo la cattura vengonocondotti al patibolo,miniatura del XV secolo.Nel Medioevo erapossibile assistere aipubblici supplizi, maera vietato partecipareattivamente alla lororealizzazione.

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Naturalezza e disinvoltura verso la sessualità nel Medioevo

Nell’Ottocento, i pedagogisti che si occupavano di storia dell’educazione erano sorpresi e sbalordi-ti quando si imbattevano nei Colloquia, composti da Erasmo da Rotterdam nel 1522. In quell’opera, in-fatti, il celebre intellettuale olandese parlava con estrema franchezza e naturalezza di numerose que-stioni legate al sesso, all’amore e alla procreazione, rivolgendosi senza imbarazzo alcuno perfino ai bam-bini più piccoli. Questa disinvoltura sta a indicare che, all’inizio del Cinquecento, il processo di civilizza-zione era ancora in corso. Nei secoli XVIII e XIX, invece, si sarebbe arrivati al completo nascondimento die-tro le quinte di tutti le componenti animali dell’uomo (a cominciare dalla sessualità); da quel momento,parlare in pubblico di determinati argomenti sarebbe diventato sconveniente, ripugnante o scandaloso.

A quell’epoca, il saggio di Erasmo [Colloquia, n.d.r.] dovette costituire per un gran nu-mero di persone un’opera fondamentale. Come possiamo spiegare la divergenza tra que-sta accoglienza positiva e l’atteggiamento dei critici del XIX secolo?

In questo saggio, Erasmo parla in effetti di molti argomenti che, con l’avanzare della ci-viltà, vengono sempre più eliminati dall’orizzonte dei bambini, e che nel XIX secolo non sa-

rebbero stati mai e poi mai oggetto di letture per essi, contro ildesiderio di Erasmo espresso con vigore ed esplicitamente dalladedica al suo figlioccio di sei-otto anni. Come sottolinea il cri-tico del XIX secolo, in questi Colloquia egli presenta un giovaneche corteggia una fanciulla; presenta una donna che si lamentadel cattivo comportamento del marito e, inoltre, il saggio con-tiene anche il colloquio di un giovane con una prostituta.

Cionondimeno tali colloqui dimostrano, come il De civilitatemorum, quale sia la sensibilità di Erasmo per tutti i problemiche riguardano la regolamentazione degli istinti, anche senon corrispondono affatto alle norme da noi oggi accettate;anzi, rispetto alle norme della società secolare del Medioevoe perfino a quelle della società secolare del suo tempo, co-stituiscono un notevole passo avanti verso quella repressionedegli istinti che, successivamente, il secolo XIX giustificò so-prattutto ricorrendo alla morale. […]

Per l’osservatore moderno è veramente sorprendente chenei suoi Colloquia Erasmo possa parlare ad un bambino delleprostitute e delle case in cui vivono. Nell’odierno stato di civiltà,ci sembra immorale anche soltanto accennare a tali istituzioniin un libro scolastico. Senza dubbio esse esistevano come en-claves, luoghi appartati, anche nella società del XIX e del XX se-colo. Ma il sentimento di angoscia-pudore che fin dalla nostra

infanzia circonda il settore sessuale dell’economia degli istinti, così come molti altri, il bandodel silenzio con cui lo si colpisce nella vita sociale sono praticamente totali. Nei rapporti socialinon è permesso neppure alludere a certe opinioni e a certe istituzioni; riferirsi ad esse quandosi parla con i bambini è un delitto, una profanazione dell’animo infantile, o perlomeno un imper-donabile errore di condizionamento.

All’epoca di Erasmo, era invece altrettanto naturale che i fanciulli conoscessero l’esistenzadi tali istituzioni. Nessuno si sognava di nasconderle loro. Certamente si cercava di metterliin guardia contro di esse, ed è appunto quanto fa Erasmo. Leggendo i testi di pedagogiadell’epoca, potrebbe sembrare che l’allusione a tali istituzioni rappresentasse la trovata diun singolo scrittore. Ma quando si osservi come i fanciulli vivessero in stretto contatto congli adulti e quanto limitato fosse il muro dell’intimità tra gli adulti, e quindi anche tra adulti ebambini, allora ci si rende conto del fatto che colloqui come quelli di Erasmo […] si richia-mavano direttamente alla realtà della loro epoca. Essi dovevano tener conto del fatto che ibambini erano al corrente di tutto: era del tutto ovvio. Quindi il compito dell’educatore eradi mostrar loro in che modo comportarsi nei confronti di tali istituzioni. […]

Le donne pubbliche, o come venivano chiamate in Germania le schöne Frauen (belle donne)o Hübscherinnen (belle figliole), costituivano in seno alla città, al pari di ogni altra professione,

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Quentin Metsys,Erasmo da Rotterdam,1517 (Roma, Galleria

Nazionale d’Arte Anticadi Palazzo Barberini).

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una corporazione con diritti e doveri ben precisi. E, come ogni altro gruppo professionale, a volteentravano in conflitto contro la concorrenza sleale. Ad esempio, nel 1500 in una città tedescaesse andarono dal borgomastro per lamentarsi di un’altra casa nella quale si praticava in se-greto quel commercio per il quale soltanto la loro casa era pubblicamente autorizzata. Il bor-gomastro diede loro il permesso di entrare nella casa in questione, ciò che esse fecero met-tendo tutto a soqquadro e bastonando la tenutaria. Un’altra volta si impadronirono di unaconcorrente strappandola alla sua casa e costringendola a vivere nella loro.

In una parola, la loro posizione sociale era analoga a quella del carnefice, cioè infima espregiata ma totalmente pubblica e non circondata dalla segretezza. Anche questa formadi relazione extraconiugale tra uomo e donna non era ancora stata relegata dietro le quinte.

Entro certi limiti, questa situazione valeva anche per le relazioni sessuali in generale, com-prese quelle all’interno del matrimonio. Basterebbero le consuetudini in occasione dei ma-trimoni per darcene una prova. Il corteo giungeva alla camera nuziale preceduto dalle da-migelle d’onore. La sposa veniva da esse svestita, e doveva deporre tutti i suoi ornamenti.Quindi i due sposi dovevano mettersi a letto sotto gli occhi dei testimoni, affinché il matri-monio fosse considerato valido. Li mettevano a letto insieme. «Una volta entrati a letto, il di-ritto è acquisito», si diceva. Nel tardo Medioevo le usanze mutarono gradatamente, cosic-ché i due sposi potevano sdraiarsi sul letto vestiti. Chiaramente, le usanze non erano lestesse in tutti gli strati sociali e in tutti i paesi. Tuttavia sappiamo che, ad esempio a Lubecca,gli antichi costumi perdurarono fino al primo decennio del XVII secolo. Ancora nella societàassolutistica francese di corte, lo sposo e la sposa venivano condotti a letto dagli ospiti, sisvestivano e gli ospiti porgevano loro la camicia. Tutti questi esempi provano quanto fossedifferente lo standard del pudore riguardo ai rapporti tra i sessi, e ancora una volta mettonoin luce il carattere specifico delle norme sul pudore che lentamente si affermarono nel XIX enel XX secolo. Da quel momento, anche tra gli adulti tutto ciò che concerne la vita sessualevenne in larga parte privatizzato e relegato dietro le quinte; ciò rese possibile e anche ne-cessario tenere a lungo nascosto ai bambini, con maggiore o minore successo, questoaspetto della vita. Nelle fasi precedenti, i rapporti tra i sessi, al pari di tutte le altre istituzioniad essi connesse, erano assai più strettamente inseriti nella vita pubblica; per questo è piùche mai comprensibile che fin da piccoli i bambini avessero familiarità con questo aspettodella vita. Anche rispetto al condizionamento, cioè alla necessità di adeguarli alle norme divita degli adulti, non c’era nessun bisogno di circondare questo aspetto della vita di tanti tabùe di tanta segretezza come divenne invece necessario nelle fasi successive della civilizza-zione, in conformità alle diverse norme di comportamento affermatesi.

N. ELIAS, Il processo di civilizzazione, il Mulino, Bologna 1988, pp. 323, 328-331, trad. it. G. PANZIERI

Medioevo: una diversa sensibilità, rispetto alla nostra

Lo storico olandese Johan Huizinga ha più di altri sottolineato che, per capire davvero il Medioevo,l’uomo moderno deve fare un sforzo, perché deve avvicinarsi a una sensibilità molto diversa da quel-la che ci è familiare. Quest’ultima si è forgiata molto lentamente, nel corso dei secoli, all’insegna del-l’autocontrollo e della moderazione degli impulsi: due atteggiamenti del tutto ignoti all’uomo medievale.

Quando il mondo era più giovane di cinque secoli, tutti gli eventi della vita avevano forme benpiù marcate che non abbiano ora. Fra dolore e gioia, fra calamità e felicità, il divario appariva piùgrande; ogni stato d’animo aveva ancora quel grado di immediatezza e di assolutezza che lagioia e il dolore hanno anch’oggi per lo spirito infantile. […] L’uomo moderno non ha general-mente alcuna idea della sfrenata stravaganza e infiammabilità dell’animo medievale. Chi consultiunicamente i documenti ufficiali, giustamente ritenuti come le più sicure fonti per la conoscenzastorica, sarà tentato di farsi di quel periodo della storia medioevale un’immagine poco diversain fondo da una descrizione della politica di ministri e ambasciatori del secolo decimottavo. Matale rappresentazione è difettosa in un punto essenziale: vi manca la crudezza di colore della vio-lenta passionalità che animava popoli e principi. Senza dubbio c’è anche oggi un elemento pas-sionale nella politica; ma, tranne nei giorni di rivoluzione e di guerra civile, esso urta i più controfreni e ostacoli; è in certo modo costretto entro i limiti fissi del complicato meccanismo della vitasociale. Nel XV secolo l’affetto immediato prorompe ancora in tal misura, che il calcolo utilitarione è completamente alterato. Se poi all’affetto si accompagna il senso della propria potenza,come nel caso dei principi, allora esso opera con doppia potenza. […]

L’attaccamento al principe aveva un carattere infantile e impulsivo; era un dovere spontaneodi fedeltà e di solidarietà, un allargamento dell’antico forte sentimento che univa i soci nel giu-

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Che cosa significal’espressione«bando delsilenzio»? Qualiambiti della vitariguarda, nel XIXsecolo e, a lungo,anche nelNovecento?

In quale senso laposizione socialedella prostituta era,nel Medioevo, similea quella delcarnefice?

Che cosa significaaffermare che, nelcorso del tempo,diversi ambiti dellavita hanno subitoun processo diprivatizzazione? In che senso, nelMedioevo, eranopubblici?

Page 10: La civiltà delle buone maniere

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F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

ramento dinanzi al tribunale e i vassalli al loro signore, e che nella faida e nella lite divampava senzafreno e misura. Era solidarietà di partito, non solidarietà statale. Il tardo Medioevo è l’età dellegrandi lotte di parte. In Italia i partiti si consolidano già nel ’200, in Francia e nei Paesi Bassi sor-gono dappertutto nel ’300. Chiunque studi la storia di quei tempi, rimane colpito dal modo pococonvincente con cui la storiografia moderna cerca di far derivare quei partiti da cause econo-mico-politiche. I contrasti economici che si pongono a base di quella spiegazione, sono merecostruzoni schematiche che non si possono, colla migliore volontà, ricavare dalle fonti. Nessunovorrà negare l’esistenza anche di ragioni economiche in questi raggruppamenti dei partiti: tut-tavia, insoddisfatti del risultato di cotali dimostrazioni, si ha ben il diritto di domandarsi se, almenoper ora, per spiegare le lotte di parte del tardo Medioevo, un punto di vista politico-psicologiconon presenti maggiori vantaggi che non uno politico-economico. […]

La cieca passione con cui la gente si dava al partito, al signore, oppure anche alle propriequerele personali, era in parte anche la manifestazione di quell’inflessibile, rigido senso di giu-stizia che era proprio dell’uomo medioevale, quella convinzione incrollabile che ogni azione esigail suo guiderdone [contraccambio, retribuzione, ricompensa, n.d.r.]. Il senso di giustizia era an-cora per tre quarti pagano; era bisogno di vendetta. È vero che la Chiesa aveva cercato di rad-dolcire la coscienza giuridica insistendo sui sentimenti di mansuetudine, di pace, di perdono,ma con ciò non aveva modificato il vero senso del diritto. Lo aveva piuttosto esasperato, ag-giungendo al bisogno di ammenda l’odio per il peccato. E per gli spiriti turbolenti, il peccato pur-troppo spesso non è che [è soltanto, è unicamente, n.d.r.] ciò che fa il proprio nemico. […] Il delitto era una minaccia per la società e un insulto alla maestà divina. In tal modo la fine delMedioevo ha visto prosperare, in modo sbalorditivo, una giustizia atroce e la crudeltà giudizia-ria. Non si dubitava, nemmeno per un momento, che il malfattore avesse meritato la sua pena.Si risentiva un’intima soddisfazione per gli esemplari atti di giustizia eseguiti dallo stesso prin-cipe. Di quando in quando le autorità si davano a campagne di una severità atroce, ora con-tro masnade di briganti, ora contro streghe e fattucchiere, ora contro la sodomia. Ciò che cicolpisce nella crudeltà giudiziaria del tardo Medioevo, non è la perversità morbosa, ma il gau-dio bestiale e ottuso, il diletto da fiera che il popolo ci provava. I cittadini di Mons comprano uncapobanda di briganti a un prezzo altissimo per il solo piacere di vederlo squartare, cosa «dicui il popolo fu più gioioso, che se un nuovo corpo santo fosse risuscitato». Nel 1488, durantela prigionia di Massimiliano a Bruges, l’aculeo [il patibolo per il supplizio, n.d.r.] è posto su unpalco nel mercato sotto gli occhi del re prigioniero, e il popolo non si sazia mai di vedere tor-turare i magistrati sospetti di tradimento e, per quanto essi supplicano di essere giustiziati, visi oppone per poter godere più a lungo delle loro torture.

Fino a quali estremi, per niente cristiani, giungesse proprio la mescolanza di fede e de-siderio di vendetta, lo dimostra la consuetudine dominante in Francia e in Inghilterra, di ri-fiutare ai condannati non solo il viatico [l’ultima comunione, n.d.r.], ma anche la confessione:non si volevano salvare le loro anime; anzi, si voleva aggravare l’affanno mortale colla cer-tezza delle pene infernali.

J. HUIZINGA, L’autunno del Medioevo, Sansoni, Firenze 1985, pp. 3, 19-21, 25-26, trad. it. B. JASINK

In quale errore puòcadere lo storico checonsulti solo idocumenti ufficiali?

Spiega l’espressione«elementopassionale nellapolitica»?

Che cosa significaaffermare chebisogna studiare i conflitti tra i partitidel Tardo Medioevoda un «punto di vistapolitico-psicologico»?

Una scena di unabattaglia tratta

da pagina miniata di un codice del 1250.