La città senza dimora di Simone Hardin e Angelo Romano

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Skilled Vision – La città senza dimora di Simone Hardin e Angelo Romano Il nostro intervento concentra l’attenzione sul processo che ha portato alla realizzazione dei film e dei documentari da parte di cinque senza fissa dimora che hanno partecipato ai laboratori del progetto INUIT. Per la brevità di questa presentazione, ci limitiamo a presentare degli sketches esplicativi di una riflessione più ampia su un progetto sperimentale che ha messo in gioco e sottoposto a negoziazione più aspetti contemporaneamente: l’uso del mezzo audiovisuale, l’incontro etnografico, il concetto stesso di spazio pubblico. Nelle righe che seguono cerchiamo di contestualizzare l’esperienza laboratoriale, luogo in cui è avvenuto l’incontro tra esperti e soggetti informanti, in cui ognuno ha messo in gioco quegli aspetti sottaciuti e allo stesso identificativi di se stessi e, in un processo di reciproco riconoscimento e formazione, sono stati realizzati i video. La processualità del progetto informa i contenuti dei video. Le rappresentazioni prodotte non possono essere distinte da tutto il lavoro che c’è dietro. Tra tutti, abbiamo scelto di mostrare i video realizzati da Franco e da Ibra, l’uno perché pur rappresentando, nella sua modalità narrativa, quello che più ci si aspetterebbe da un lavoro di antropologia visuale sui senza fissa dimora, consente di mettere a questione alcune questioni rispetto allo spazio pubblico dell’antropologia urbana e di riflettere sul ruolo del ricercatore rispetto ai soggetti informanti; l’altro, perché meglio di altri fa capire come il prodotto filmico non si esaurisca nei suoi titoli di inizio e di coda e in quel che racconta, ma è inscindibile da tutto quello che ha portato alla sua realizzazione e dalle sue code inaspettate, sia nel momento della visione del pubblico sia nel suo farsi capitale simbolico da giocare nel proprio vissuto quotidiano. CONTESTO CONTATTO: Il contesto in cui è avvenuto il contatto con il gruppo di persone che si è reso disponibile a collaborare con il progetto INUIT è il centro diurno AREA51 di Bari. Le attività del centro sono quelle tipiche di un centro diurno di bassa soglia che vanno dal servizio

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Articolo presentato a VISUALSCAPES Pratiche visuali di ricerca urbana, Università IUAV di Venezia

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Skilled Vision – La città senza dimora !!di Simone Hardin e Angelo Romano !

Il nostro intervento concentra l’attenzione sul processo che ha portato alla realizzazione dei film e dei documentari da parte di cinque senza fissa dimora che hanno partecipato ai laboratori del progetto INUIT. Per la brevità di questa presentazione, ci limitiamo a presentare degli sketches esplicativi di una riflessione più ampia su un progetto sperimentale che ha messo in gioco e sottoposto a negoziazione più aspetti contemporaneamente: l’uso del mezzo audiovisuale, l’incontro etnografico, il concetto stesso di spazio pubblico. Nelle righe che seguono cerchiamo di contestualizzare l’esperienza laboratoriale, luogo in cui è avvenuto l’incontro tra esperti e soggetti informanti, in cui ognuno ha messo in gioco quegli aspetti sottaciuti e allo stesso identificativi di se stessi e, in un processo di reciproco riconoscimento e formazione, sono stati realizzati i video. La processualità del progetto informa i contenuti dei video. Le rappresentazioni prodotte non possono essere distinte da tutto il lavoro che c’è dietro. Tra tutti, abbiamo scelto di mostrare i video realizzati da Franco e da Ibra, l’uno perché pur rappresentando, nella sua modalità narrativa, quello che più ci si aspetterebbe da un lavoro di antropologia visuale sui senza fissa dimora, consente di mettere a questione alcune questioni rispetto allo spazio pubblico dell’antropologia urbana e di riflettere sul ruolo del ricercatore rispetto ai soggetti informanti; l’altro, perché meglio di altri fa capire come il prodotto filmico non si esaurisca nei suoi titoli di inizio e di coda e in quel che racconta, ma è inscindibile da tutto quello che ha portato alla sua realizzazione e dalle sue code inaspettate, sia nel momento della visione del pubblico sia nel suo farsi capitale simbolico da giocare nel proprio vissuto quotidiano. !CONTESTO CONTATTO:  

Il contesto in cui è avvenuto il contatto con il gruppo di persone che si è reso disponibile a collaborare con il progetto INUIT è il centro diurno AREA51 di Bari. Le attività del centro sono quelle tipiche di un centro diurno di bassa soglia che vanno dal servizio

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mensa al deposito bagagli o documenti, alla possibilità di doccia e servizi sino alla consulenza psico-sociale e al reinserimento lavorativo. 

La relazione instauratasi tra ricercatori e informanti risponde a determinate variabili, la cui considerazione non risulta scontata nel momento della produzione in sé di contenuti audiovisuali. Il contesto in cui avvengono i primi contatti assume una rilevanza fondamentale nella stipula del patto filmico fra gli attori del processo, ovvero di quel protocollo di intenti tacito piuttosto che esplicito, il quale determina l’occasione di rappresentare/si visualmente. Nell’ottica progettuale rendere visibile l’impronta di questo incontro risponde alla necessità di non considerare le rappresentazioni visuali dei partecipanti come oggettive manifestazioni culturali. A tale scopo è stato posto costantemente l’accento sul processo attraverso il quale i contenuti didattico-culturali dell’intero flusso di lavoro sono sorti dai momenti assembleari o da singole occasioni, spesso informali, di apprendimento o confronto fra soggettività. L’interposizione di queste soggettività costituisce il core della metodologia utilizzata nei laboratori. !SOGGETTI INFORMANTI: CENNI SULLE CARATTERISTICHE DEL GRUPPO !

Il gruppo di lavoro stabile si è definito a circa un mese dall’inizio dei lavori. Le caratteristiche di emergenza delle necessità e di fugacità di utilizzo dello spazio hanno permesso di estendere la fase di contatto e conoscenza iniziale del gruppo grazie all’impegno degli operatori del centro per il regolare funzionamento del laboratorio. Lo scorrere del tempo ha permesso di scremare il gruppo secondo il criterio di costanza di presenza ai laboratori ponderandolo per il reale interesse mostrato in fase di realizzazione dello stesso. Tale processo ha portato alla creazione di un gruppo composito di persone interessate a produrre una propria rappresentazione audiovisuale. 

 Il gruppo è composto da Vito, dalla fam. Vaccaro, da Lucian, da Franco e da Ibrah. L’eterogeneità della costituzione è facilmente intuibile dai nomi dei componenti. Vito, da subito il più brillante fra i realizzatori ha ricoperto un ruolo fondamentale nella scelta del soggetto di “Very very different”. La famiglia Vaccaro composta da

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Giuseppina, Antonio e Margherita ha vissuto pressoché quotidianamente l’intero processo di produzione del film. Lucian che viene dalla Moldova romena ripercorre per le strade della città che abita il suo desiderio di semplicità ed onestà ed apre le porte ad una dimensione intima difficilmente scrutabile. Franco il mentore dall’istinto protettivo e dagli occhi esperti, attenti al particolare traghetta il gruppo in un’atmosfera di tragicomica concretezza che solo la strada permette. Ibrah hausa in Bari, dedicato costantemente ad un silente apprendimento fa di questa attitudine l’espressione del suo desiderio di vita.    Le differenze, le posizioni mantenute, quelle concesse hanno reso intensa e ricca di contenuti la fase assembleare soprattutto in vista della definizione del soggetto: esprimere i propri desideri di vita e le reali condizioni riflettendo rispetto ad un fatto di cronaca locale, ovvero una vincita milionaria. !CONTESTO ESPERIENZIALE !

  Sin da subito l’intento del progetto INUIT è stato quello di stimolare, a tutti i livelli di partecipazione, un’esperienza sociale completa e complessa. Considerando equipollenti tutte le fasi che hanno portato alla costruzione di un discorso tanto comune sulla città quanto personale sulle vite dei partecipanti. L’approccio del gruppo è andato maturando, favorendo un interessante fenomeno di redistribuzione dei saperi rispetto alle poche risorse presenti sul territorio. La funzionalità della conoscenza si è da subito configurata come traccia nascosta e costante di tutte le fasi della produzione di “Very Very Different”. La fase laboratoriale che ha previsto sia una formazione tecnica riguardo il mezzo audiovisuale e le sue potenzialità che una orientata all’autobiografia e lo storytelling, ha portato a risvolti narrativi molto differenti al loro interno. La scelta fra tutti di Franco di evidenziare l’aspetto delle proprie condizioni materiali di vita, risponde a precise e consapevoli scelte narrative maturate durante i laboratori, sottolineando la necessità di mostrare, di lasciare un messaggio alla cittadinanza attraverso segnali visivi di percorsi inusuali, fatti di carenze e condivisione. 

 Allo stesso modo ma con esiti totalmente differenti Ibrah ha preferito utilizzare la messa in scena per proiettare la sua aspirazione di vita e le sue posizioni, che lo portano a considerare

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la possibilità di accesso all’istruzione come la via da percorrere in un’ottica di riscatto politico per sé e per il paese d’origine. Lo ha fatto utilizzando e mostrando spazi ed ambiti urbani, come quelli universitari, conosciuti attraverso l’esperienza filmica.  Il processo di condivisione degli sguardi sulla città o sulle città che man mano si concretizzano nelle necessità e nei desideri di chi le abita ha coinvolto in egual misura i partecipanti ai laboratori quanto il gruppo proponente INUIT. La riflessività dello sguardo sul contesto urbano ha permesso di considerare la città dall’interno dei parametri descrittivi, costruendo rappresentazioni e non assimilandole passivamente. In questa direzione di concetto il lavoro del gruppo ha portato ad un evento pubblico di presentazione e proiezione di “Very Very Different” nel quale, oltre il naturale entusiasmo collettivo, Vito e Lucian hanno continuato ad utilizzare la camera per completare il processo filmico, interrogandosi sulla ricezione della propria rappresentazione da parte della cittadinanza. Tale gesto rende manifesta la volontà di essere partecipi ed autori delle proprie rappresentazioni culturali a tutti i livelli di produzione e fruizione non delegandole ma utilizzandole. E’ questo il feedback più rilevante del progetto che completa l’esperienza sociale dell’intero gruppo partecipe ai lavori, stimolando uno sguardo collettivo sulla città che diviene continuamente più maturo ed esperto.  !SKILLED VISION: GLI ESPERTI, I SOGGETTI INFORMANTI E LA MACCHINA DA PRESA !

Come detto, ogni incontro ha costituito un momento di mutuo apprendimento: l'organizzazione degli incontri, la stesura delle sceneggiature, la realizzazione dei video, il loro editing ha sempre visto la partecipazione di tutti i partecipanti, in uno scambio reciproco di saperi, conoscenze tecniche degli esperti chiamati in causa, conoscenza locale (Geertz, 1983), sapere minuto maturato nella frequentazione quotidiana di spazi pubblici dei senza dimora che hanno deciso di partecipare al laboratorio, in un continuo slittamento del rapporto noi/loro, ora più ossificato ora più sfumato, in un continuo gioco di sguardi e controsguardi, di economie del capitale (materiale e simbolico), di aspettative che ognuno proiettava sugli altri.

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Ogni storia personale ha costituito uno spicchio di vita fortemente localizzata nel quale si intrecciavano dinamiche globali e storie minute. Mostrandoci Bari dal lato della strada, dello stare in strada, ogni video si è fatto controcanto di valori, immaginari, significazioni spaziali, mostrandoceli nei loro usi inaspettati (De Certeau, 1980), in alcuni casi contestativi rispetto alle interdizioni cui far fronte.

In quanto realizzazione finale, i video si sono fatti sintesi delle problematiche metodologiche e delle domande di ricerca e di didattica che l'intero ciclo del laboratorio ha presentato e che potremmo indicare in tre punti tematici. Nei video e nella realizzazione degli stessi gli esperti hanno cercato di dare spazio alla voce dei partecipanti al laboratorio. La loro voce è assente, tentativi di interpretazione che potessero informare le sceneggiature tenuti nascosti. Qualcosa di molto simile per certi versi a quello che Pierre Bourdieu nella Misere du monde chiamò “grado zero dello sguardo”.

Tuttavia, l'intero progetto mette in discussione questo assunto che si fonda sulla postura del ricercatore detentore dell'autorità di poter interpretare vite di altri, che si fonda su un bagaglio conoscitivo superiore a quello delle persone che raccontano a lui storie. Senza queste storie, senza questo sapere minuto, questa conoscenza locale, questa conoscenza che il ricercatore prende in prestito, non ci sarebbero interpretazioni. Più che di grado zero dello sguardo, parliamo in questo caso di skilled vision, di una conoscenza che i partecipanti del laboratorio hanno messo in gioco usando la telecamera, operando un ribaltamento di prospettiva e per certi versi di autorità: chi di solito non parla, ora si fa protagonista del racconto delle proprie storie.

Diverse sono le questioni in campo: lo sguardo del soggetto informante azzera l’autorità del ricercatore?

Se sul campo etnografico, come scrive Palumbo (1991), citando Bourdieu, «l’antropologo, come lo scienziato, adopera armi che deve mantenere sempre affilate, proprio perché consapevole della parzialità della visione, della verità che egli consegue in ogni momento di indagine, deve costantemente tentare di vedere il punto di vista a partire da chi (tale verità) viene enunciata, e dunque il gioco nel suo complesso», per mettere costantemente in discussione le proprie categorie, quel filtro pre-comprensivo che indirizza i nostri sguardi e il dialogo con la propria tradizione di

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studi, e il campo stesso si configura come “campo di lotta”, che coinvolge i rapporti teoretici (etnografo e tradizione disciplinare), strategici (scena locale ed etnografo), sociali (interni alla scena etnografica) e quelli storici (antropologia, potere e realtà studiate), nel nostro caso, nella realizzazione dei video, il primato dell’esperienza sul campo dei soggetti informanti, che acquisiscono ruolo autoriale, cancella il filtro prismatico dell’interpretazione antropologica dei ricercatori? !VISUALSCAPES: IL CORPO COME LOCALIZZAZIONE DI RELAZIONI E IL LUOGO COME SPAZIO DI INTRECCIO DI STORIE PERSONALI !

Seguire le fasi del laboratorio ci ha consentito, infatti, di cogliere passo dopo passo i diversi passaggi attraverso i quali si è arrivati alla costruzione di un personale visualscape, se per esso intendiamo un orizzonte visuale, e per visuale una postura dello sguardo, carica delle proprie estetiche, del personale sedimentato storico (e indissolubilmente biografico), del proprio senso di sé e dell’immagine di sé che ognuno ritiene di proiettare e di voler trasmettere a chi osserva, interpreta, inevitabilmente giudica. In questo senso intendiamo visualscape come un momento in cui si cristallizza – anche temporaneamente – un particolare presente culturale (Scarpelli, 2007), in cui il luogo è il risultato del fissarsi di una relazione – al momento ritenuta immutabile e data per naturale – tra spazio e tempo. Due dimensioni processuali – quella dello spazio e quella del tempo – che, a seconda del posizionamento del soggetto parlante, assumono una forma tipizzata distinguibile all’esterno. In questo caso, per le particolari storie dei soggetti informanti, focalizzata su una dimensione urbana: la strada. Non solo oggetto di analisi, ma luogo di confronto tra esperti e soggetti informanti, tra le loro storie, tra i loro orizzonti culturali. I video non si limitano a elaborare una teorizzazione dello spazio pubblico. Non ci troviamo di fronte a dei tentativi di costruire una rappresentazione degli spazi che si consolidi intorno alla congiunzione di forme generali dello spazio e del tempo (Williams, 1973). La costruzione delle rappresentazioni spaziali è performativa. Rappresentare camminando implica una continua creazione dello spazio. La rappresentazione si fa momento dell’incontro tra esposizioni di sé, tra orizzonti culturali “pre-giudicati” come reciprocamente alieni, in cui l’altro rappresenta

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contestualmente l’altrove. Spazi pubblici rappresentati nel precipitato di esperienze personali.

I video, infine, disegnano nuove geografie, consentono di mostrare una Bari altrimenti sconosciuta: i registi ci conducono per strada in aree poco frequentate a piedi o in zone centrali, mostrandoci utilizzi inaspettati, usi creativi, per certi versi esito non solo di una contestazione degli usi previsti da chi quegli stessi spazi gestisce, ma di un sapere maturato sul posto, di quella che potremmo definire competenza degli spazi pubblici. E nel farlo, i video mettono in discussione alcuni concetti diventati centrali nell'ambito degli urban studies.

Innanzitutto, viene messa in discussione tutta la retorica costruita intorno al fare strada, a una sorta di romanticizzazione dello stare per strada che trova la sua massima espressione nei testi di Jane Jacobs (1961) e Rebecca Solnit (2000). La strada diventa luogo di interazioni codificate, la cui economia a somma zero si gioca sulla parola data, bene intangibile che diventa tangibile. Luogo carico di vita senza usare espressioni vitali, della strada non si tematizza il mescolarsi, l'incontrarsi, ma l'essere accorti, il suo farsi cornice di incontri non filtrati. La strada diventa il minestrone, spazio dove ci sono tutti gli ingredienti e ne devi provare i sapori per poterti muovere e riconoscere chi la frequenta.

Viene messo in discussione, infine, il concetto di non luogo, come formulato da Marc Augè (1992). Alcuni video sono ambientati in aree industriali, strade a lungo scorrimento, centri commerciali, stazioni, spazi prodotti dalla surmodernità e pongono una serie di domande che mostrano i limiti della teoria di Augé: i non luoghi sono non luoghi per tutti? Ci sono utenti abituali che li usano per passare il tempo? Vengono in contatto con alcuni operatori? Stringono rapporti di amicizia? Vivono il non luogo come un luogo? ! Bibliografia !Augé, M., Non-lieux. Seuil, Paris, 1992 (trad. it. Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano 1993). De Certeau, M. L’invention du quotidien. I, Arts de faire, Éditions Gallimard, Paris, 1990 (trad. it. L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2001).

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Geertz C., Local Knowledge. Further Essays in Interpretive Anthropology, Basic Books, New York, 1983 (trad. it. Antropologia interpretativa, il Mulino, Bologna, 1988). Jacobs, J, The Death and Life of Great American Cities, Random House, New York, 1961 (trad. it. Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Edizioni di Comunità, Torino, 2000). Palumbo, D., “You are going really deep: conflitti, pratica e teorie in etnografia. Alcune riflessioni a partire dal caso Nzema”, in L’Uomo, 4, 1991. Scarpelli, F., La memoria del territorio. Patrimonio culturale e nostalgia a Pienza, Pacini, Pisa, 2007. Solnit, R., Wanderlust. A History of Walking, Penguin Books, 2000 (trad. it. Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano, 2002). Williams, R., The Country and the City, Oxford University Press, Oxford-NewYork, 1973.