Senza fissa dimora - WebDiocesi

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Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 2 DCB Vicenza LA GIOIA DEL VANGELO PER UNA TRASFORMAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA/1 “VOLIAMO LA PACE” A VICENZA LA MARCIA NAZIONALE DELLA PACE EBOLA IN SIERRA LEONE MISSIONARI E VOLONTARI IN CAMPO PERCHÉ VINCA LA VITA DICEMBRE 2014 12 numero VICENZA IN MISSIONE

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Anno XLIX

n. 12/2014Redazione: Piazza Duomo 2 • 36100 VicenzaTel. 0444 226546/7 - Fax 0444 226545Portale Internet: www.missioni.vicenza.chiesacattolica.itE-mail: [email protected]. 001006251514 intestato a “Diocesi di Vicenza - gestione missioni”

In copertina: Madonna con Bambino, metà sec. XVII, primo stile di Gondar, mons. Silvano Maria Tomasi

Rivista di informazione e animazione mis-sionaria e diocesana, destinata soprattutto alle famiglie, che possono dare una offerta per le Opere Missionarie ed il Seminario (si propongono circa 10,00 euro).

Direttore responsabile: Lucio MozzoIn Redazione:Direttore: Arrigo GrendeleSeminario: Andrea DaniPagina dei ragazzi: Massimiliano BernardiMigrantes: Mauro Lazzarato

Aut. Trib. di Vicenza n. 181 del 4/12/1964Iscr. reg. naz. della stampa n. 12146 del 9/10/1987

Progetto grafico/Impaginazione: Dilda Design - VicenzaStampa: Gestioni Grafiche Stocchiero - Vicenza

diCembre

Senza fissa dimoraIn queste settimane di dicembre, che ci conducono al Natale, faccio mie – e ne faccio dono ai lettori di Chiesa Viva – queste parole di Alberto Degan, un fra-tello comboniano che ha vissuto a lungo come missionario tra Colombia ed Ecua-dor:

“Anche Dio è in viaggio, alla ricerca di una dimora. Non sempre la trova: ‘Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno

accolto’. Un Dio senza fissa dimora sta cercando un tetto per mettere su casa con chi è disponibile ad accoglierlo e ad amarlo.Il nostro è un Dio che si mette in viaggio e cammina. Non si accontenta di una vita tranquilla nei cieli, e si mette in viaggio, - zaino in spalla, uno zaino leggero – alla ricerca di una dimora, o almeno di uno spazio in cui piantare la sua tenda: uno spazio di umanità, qualcuno con cui con-dividere il desiderio di vivere in modo divinamente umano.E dove cerca questo spazio? Dappertutto, anche nei luoghi più impensati. Non ci sono infatti posti in cui Dio non desideri entrare – o pensi che non sia possibile entrare - per depositarvi un seme di uma-nità. E’ lo spazio di cui tutti, nel profondo del cuore, siamo alla ricerca” (Alberto Degan, Cercatori di bellezza).

Viaggiare oggi, è più facile di una volta. Bastano poche ore di aereo e ti ritrovi all’altra parte del mondo. Si viaggia per le ragioni più disparate. C’è chi si mette in viaggio per evadere, per fuggire da qual-cosa, da qualcuno, da se stesso. C’è chi invece si mette in viaggio per incontrare, per conoscere, per trovare altrove ciò che manca alla sua completezza.Ma come non pensare soprattutto ai molti - troppi – che si mettono in cam-mino portando con sé quasi nulla, non per lusso, ma per questioni di sopravvi-venza. Questi sì senza fissa dimora. E’ impressionante nel mondo il numero di persone che ogni giorno, affrontando rischi incredibili, tentano di fuggire da situazioni disumane di guerra, di ingiu-stizia, di povertà, intraprendendo viaggi che spesso finiscono in tragedia, nella speranza di trovare migliori possibilità di vita.Per tutti, esistere è mettersi in cammino, non da vagabondi senza méta e senza

amore, ma da cercatori di bellezza, inse-guendo sogni luminosi come stella. Cessa di vivere veramente chi non fa della sua vita un cammino. Questo è vero ancor di più per i discepoli di Gesù, uno che ha lasciato tutto e si è fatto viandante per amore, per venire ad incontrare noi e aiutarci a recuperare quell’umanità che da soli faremmo così fatica a trovare e a vivere.In mezzo alle tante oscurità del nostro tempo, luci di speranza continuano ad accendersi finché esistono persone che, uscendo da se stesse, si mettono in viag-gio verso l’altro, amando per davvero.Come i missionari (ma non solo!) che non si accontentano di fare dei viaggi, ma fanno di tutta la loro vita un viaggio, per diventare una cosa sola con popoli e per-sone che, per i più, sono soltanto gli scarti della storia.Ad essi, soprattutto, il nostro grazie e i nostri auguri. don Arrigo

Questo mese

L'intenzione del mese

Perché i genitori siano autentici evangelizzatori, trasmettendo ai figli il prezioso dono della fede

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La “Scuola del lunedì”, proposta a preti e laici per una formazione permanente, sta offrendo in questi mesi di novembre e dicembre occa-sioni di approfondimento teologico e pastorale del progetto di Chiesa espresso da papa Francesco nell’E-sortazione Apostolica “La Gioia del Vangelo”. Prezioso tra gli al-tri l’intervento del prof. France-sco Grasselli, già caporedattore dell’Editrice Missionaria Italiana e responsabile dei Centri Missio-nari dell’Emilia Romagna. Ne ri-portiamo alcuni spunti, a beneficio dei lettori e dei Gruppi missionari.

Tutti i commentatori dell’Evan-gelii gaudium sono d’accordo nell’affermare che dall’Esorta-

zione di papa Francesco emerge un di-segno complessivo di trasformazione in senso missionario della Chiesa, a livello universale, locale (diocesi e parrocchie) e familiare. Ovunque c’è Chiesa deve esserci Missione, e non c’è Chiesa se non c’è Missione. Se vogliamo accogliere questo invi-to pressante, è necessario provare a scendere nel concreto e domandarsi: come dobbiamo cambiare noi stessi e le nostre comunità perché siano mis-sionarie e quindi più autenticamente evangeliche?Dagli scritti e dai gesti del Papa emer-gono con chiarezza “le mosse” di una strategia evangelica, che proverò a elencare in 10 proposizioni sulle quali sarà utile per tutti confrontarsi.

1. Una comunità si fa missio-naria quando, scrutando il proprio territorio, scopre le

povertà, le debolezze, le emar-ginazioni, le solitudini e si fa presente abitualmente e pri-mariamente fra loro.

Andare alle periferie è un punto di partenza. E’ necessario anzitutto mettersi pastoralmente nelle condi-zioni di vedere, di accorgersi, e poi stabilire delle relazioni permanenti con quanto scoperto, senza accon-tentarsi di contatti occasionali. Quante “periferie” umane della no-stra realtà: malati, famiglie di disoc-cupati, stranieri, disabili, anziani soli, case di riposo, carceri. E inoltre rifugi di barboni, zone di prostitu-zione e di accattonaggio…

Le conosciamo? Chi ci va? E come? E’ necessario un piano programma-tico di “uscita” che riguarda ciascuno personalmente e il modo di organiz-zare la comunità.Perché è importante “andarci”? Per-ché la Missione parte da lì e non possiamo dirci in Missione se non le abbiamo “fisicamente” incontrate. Bisogna toccare con mano la carne dei poveri. Non basta un’offerta o

Spiritualità missionaria

Leggendo “La Gioia del Vangelo”per una conversione missionaria della chiesa

una parola di circostanza. Occorre coinvolgersi nella loro vita. E’ il pas-so più difficile, perché ci obbliga ad abbattere i recinti che ci creiamo con-tinuamente attorno.

2. Una comunità si fa missiona-ria quando, scrutando la pro-pria realtà concreta, si sforza di scorgere in essa i “germi” del Regno di Dio che viene per tante strade diverse - che non passano sempre e solo attraverso le iniziative e le opere delle comu-nità cristiane - e si mette al servi-zio di questo Regno che viene.

La comunità si apre così alla collabo-razione con tutti gli uomini di buona volontà e si unisce alle iniziative, agli impegni, alle opere buone anche de-gli altri, senza voler essere sempre al centro, senza voler sempre mettere la propria firma su tutto ciò che si fa di bello e d buono nel proprio ambien-te, nel mondo.Il Papa ci chiede di uscire anche dalle iniziative che sono solo nostre, per unirci agli altri. Dovunque c’è qual-cosa di bello e di buono, là è lo Spi-rito Santo che opera e noi dobbiamo metterci al suo servizio. È innanzi-tutto Dio che va in missione, e va in missione ovunque, senza aspettare noi. Allora, attraverso un discerni-mento possibilmente comunitario, bisogna saper riconoscere ciò che di bello e di buono fiorisce attorno a noi, nel campo ambientale, nell’im-pegno per la pace, per la giustizia, per nuovi stili di vita…, e collabora-re, senza dire: “Ah… ma quello non è cattolico”.

Francesco Grasselli (1–continua)

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Chiesa di Vicenza - 1

Fidei donum vicentini: una strada “in uscita” che può continuare?È consuetudine a Vicenza che alme-no una volta all’anno i preti si in-contrino in assemblea per affronta-re assieme argomenti riguardanti la loro vita o quella della Chiesa. Quest’anno l’appuntamento, tenu-tosi nella mattinata di giovedì 23 ottobre, trattava del servizio ‘fidei donum’ dei preti diocesani.

L’Assemblea è stata vissuta con in-tensa partecipazione, certamente favorita dal tema che si andava a

trattare: il servizio fidei donum dei sa-cerdoti diocesani. Il vescovo Beniami-no aveva, infatti, convocato i preti per capire con loro se e come continuare questa “esperienza” che dura da qua-si cinquant’anni. L’urgenza di questa domanda si era imposta in seguito al rapimento di don Gianantonio, don Giampaolo e suor Gilberte e al con-seguente rientro dal Camerun di tutti i nostri presbiteri. Questi eventi han-no scosso profondamente ciascuno di noi e la nostra Chiesa tutta, e ci hanno “costretto” ad interrogarci sul senso del nostro servizio fidei donum oggi. Nella prima parte, tre interventi han-no aiutato l’Assemblea ad entrare nel-la riflessione. Don Maurizio Bolzon, missionario in Camerun fino a pochi mesi fa, con una breve ma incisiva meditazione su un brano tratto dagli Atti degli Apostoli (At 13,1-3.14,26-28), ci ha “riportati” all’Antiochia dei tempi apostolici quando quella co-munità, messasi in ascolto dello Spi-rito, comprese che non poteva tenere per sé tutti i ministri della Parola. «E’ lo Spirito – sottolinea don Mauri-zio – che le fa allargare il cuore verso una più equa distribuzione dei mini-stri. Che bella è la Chiesa che non si chiude, che non si ripiega su se stessa, che si sente parte del progetto vasto di Dio di far risuonare la Parola fino agli estremi confini del mondo, che sa assumersi la sua parte di responsa-bilità». Antiochia, inoltre, era anche una Chiesa capace di accogliere i doni che venivano dalla missione, dedican-do «spazio e tempo per conoscere e gioire di quanto lo Spirito Santo sta-va compiendo in giro per il mondo». Di seguito don Arrigo, direttore dell’Ufficio Missionario, ha riper-corso la storia dei fidei donum (nata ufficialmente per iniziativa di Pio XII

nel 1957), soffermandosi su quel-la che è stata l’esperienza di Vicenza. Mentre don Arrigo parlava, venivano proiettate le immagini dei nostri fidei donum e dei luoghi del loro servizio missionario. Vedere scorrere quei vol-ti e quei luoghi non ha lasciato indif-ferenti i presenti. In quel momento ci si rendeva conto di quanti tra noi avessero vissuto parte del loro mini-stero in missione. A partire dal 1966 ad oggi, infatti, ben sessantacinque dei nostri preti hanno dedicato una parte del loro ministero a servizio di Chiese sorelle in America Latina (Bra-sile, Colombia, Ecuador) Africa (Ca-merun) e Asia (India e Thailandia).Assai stimolante è stato pure il con-tributo di don Luigi Fontana, attual-mente in servizio presso la Diocesi di Roraima in Amazzonia (Brasile). Nel

suo contributo – un video realizzato ai primi di ottobre durante un breve periodo di riposo trascorso a Vicen-za – don Luigi ha riletto l’esperienza “fidei donum” attraverso le tre parole che – suggerite da papa Francesco – sa-ranno il filo conduttore del Convegno Missionario Nazionale di novembre:- “uscire” con Gesù e al modo di Gesù, imparando da lui ad assume-re una prospettiva pastorale nuova- disponibilità ad “incontrare” gli al-tri con stupore e senza schemi preclu-

sivi, ma sapendone valorizzare i doni. - “donare” Gesù e la gioia del Vange-lo, prima ancora che portare aiuti e re-alizzare strutture.

Nei lavori di gruppo è emersa una con-divisa volontà di continuare nel servi-zio fidei donum, riconoscendo che l’esperienza missionaria continua ad essere valida e attuale, una grande ri-sorsa non solo per la Chiesa che acco-glie i missionari, ma anche per quella che li invia. Sono stati sottolineati con lucidità anche alcuni limiti. In parti-colare, il rischio che quella dei fidei donum sia percepita come una inizia-tiva personale e non una scelta condi-visa e sostenuta da tutti gli altri preti e dalla comunità diocesana. In secondo luogo, il rischio che l’eccessiva ridu-zione del numero dei preti impegna-

ti in missione renda insignificante la ricaduta del loro servizio in Diocesi.Con la scelta di continuare nel servi-zio fidei donum, l’Assemblea del 23 ottobre ha fissato un punto fermo per il cammino della nostra Dioce-si negli anni futuri. Una simile de-cisione ci rilancia una grande sfida: rimanere una Chiesa aperta e capa-ce di donare, anche quando si ini-zia a fare i conti la propria povertà.

Don Enrico Massignani

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È’ il tema che il papa desidera consegnarci per la prossima Giornata mondiale della Pace. Il 31 dicembre la Marcia nazionale per la Pace si svolgerà a Vicenza Il Messaggio non è ancora uscito dalla pen-na del papa. Lo stesso tema ci è consegnato anche dai vescovi italiani, da Pax Christi, dalla Caritas italiana e dall’Azione cattoli-ca, che ogni anno organizza una Marcia per la Pace il 31 dicembre. In questo anno 2014 la Marcia nazionale coinvolge Vicenza.

L’ultimo giorno di questo anno, mercoledì 31 dicembre, dal Piazzale della Vittoria di Monte Berico partirà un cammino di 4 tap-pe per le vie della nostra città.

Nella prima tappa faremo memoria del-la prima guerra mondiale (iniziata proprio 100 anni fa) e combattuta anche nei nostri territori. Dal Piazzale di Monte Berico si vede uno spettacolare paesaggio che fu te-atro di una “inutile strage”, come la definì il papa di allora (Benedetto XV). E da quel Piazzale si vede bene e grande anche l’ulti-ma base militare americana, segno che gli uomini non hanno ancora “disarmato gli animi” come auspicava Giovanni XXIII nel-la Pacem in terris.

La seconda tappa a Campo Marzo vuole fermarci sulla conflittualità presente nel mondo di oggi, una “guerra mondiale a pezzi” l’ha definita papa Francesco. E i pez-zi di questa guerra arrivano fino ai piccoli spazi di tutti i giorni. Campo Marzo è un nome significativo, che deriva dall’abbon-danza di acqua, e starebbe a significare campo “marcio”. La violenza è come un’al-luvione silenziosa che rende molti luoghi della vita di tutti i giorni un “campo mar-cio”.

Poi una terza tappa nella chiesa di S. Lo-renzo, e qui saremo fermati dalla testimo-nianza dei missionari rapiti i Camerun (d. Gianantonio e d. Giampaolo), che sono come una reliquia di tutte le persecuzioni religiose, in aumento nel mondo.Infine l’ultima tappa nel cortile del semi-nario diocesano, e lì la Marcia accoglierà i giovani (una schiera!) che passano l’ultima sera dell’anno con le persone “dei margini”, perché questi giovani che da anni vivono questa iniziativa sono un segno di una fra-ternità, piccola forse ma bella.Dal seminario poi l’ultimo tratto fino alla Cattedrale, dove il vescovo Beniamino pre-

siederà l’Eucaristia, e raccoglierà attorno alla Parola, al Pane consacrato e alla Comu-

nità il frutto di un cammino che ci auguria-mo coinvolgente?

don Matteo Pasinato

Chiesa di Vicenza - 2

“Non più schiavi ma fratelli”A Vicenza la Marcia nazionale della Pace

Cinque proposte per

preparare la Giornata

1. VEDERE LA PACE DA ORIENTE.

Testimonianza di Abuna Raed responsa-

bile della Caritas di Gerusalemme

venerdì 5 dicembre – Palazzo Opere sociali

2. “TORNERANNO I PRATI” – film di Er-

manno Olmi sulla prima guerra mondiale

giovedì 11 dicembre – Cinema Araceli

3. LA PACE SCORDATA. «Anche l’Italia

vende armi» (Turoldo). Cantano i Crodaio-

li di Bepi de Marzi

giovedì 18 dicembre - Ridotto Teatro

Comunale Vicenza

4. CONVEGNO PAX CHRISTI.

30-31 dicembre – Villa San Carlo

(Costabissara)

5. MARCIA NAZIONALE PER LA PACE

Vicenza – 31 dicembre 2014

Un giovane soldato della prima guerra mondiale ha lasciato scritto in una trincea «VOLIAMO LA PACE!». È uno splendido errore di ortografia, perché significava «Vogliamo la pace!», ma ci invita anche a «Volare … la pace». L’angelo nell’immagine, simbolo del volo alto e libero di quel soldato, è artisticamente composto con schegge della prima guerra mondiale, opera di don Adriano Campiello, parroco di Castelvecchio di Valdagno (VI), che dalla “tragica materia” continua a trarre “scene di vita”.

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Missionari e volontari nell’Ebola, perché vinca la vita!

Dalle Missioni

Dentro all’immane tragedia di alcuni Paesi dell’Africa Occidentale, missio-nari, medici, infermieri, animatori e volontari continuano instancabilmente a lavorare negli ospedali, nei centri sa-nitari improvvisati, nei villaggi, nelle chiese, lungo le strade per portare sol-lievo e speranza. Persone straordinarie che non fuggono e si prendono cura di chi vive loro accanto ed è malato. Noi possiamo e dobbiamo aiutarli.

L’Africa occidentale sembra sprofon-data nel Medio Evo. In quei secoli nei quali la peste nera decimava le popo-lazioni delle città e delle campagne. Al suo posto c’è l’ebola, un virus che è stato scoperto 38 anni fa e che dalle foreste pluviali del Congo si è diffuso, con suc-cessivi e imprevisti focolai, fino al Golfo

di Guinea. Nel febbraio di quest’anno il virus ha colpito la Guinea, nelle set-timane successive si è esteso alle vicine Liberia e Sierra Leone. Ed è scattata su-bito l’emergenza. L’epidemia è ancora in corso e quindi non esistono statistiche definitive, ma secondo recenti rappor-ti dell’Organizzazione mondiale della Sanità, a fine ottobre erano morte 5000 persone e si erano registrati almeno die-cimila casi. Il diffondersi del virus non

è solo diventata un’emergenza sanitaria, ma ha avuto un forte impatto economi-co e sociale.

Pur non essendo una patologia sco-nosciuta, l’ebola ha preso di sorpresa i fragili sistemi sanitari dell’Africa occi-dentale. Negli ospedali, nelle cliniche e negli ambulatori, il personale sanitario non è riuscito a riconoscere fin da subito il virus. Quindi molti pazienti infettati sono stati ricoverati nelle normali corsie e hanno contagiato gli altri pazienti e soprattutto il personale sanitario. Tutto questo ha avuto anche un’altra conse-guenza nefasta: la carenza di assistenza medica ha causato morti e sofferenze anche tra chi non era stato colpito dall’e-bola. Le donne non sapevano più dove andare a partorire, chi aveva una crisi

acuta di malaria non sapeva a chi rivol-gersi, ecc. Così ai morti di ebola si sono aggiunti quelli di altre malattie che, nor-malmente, vengono curate. Una tragedia nella tragedia.

La diffusione del virus non ha messo a dura prova solo i sistemi sanitari e la struttura sociale dei Paesi colpiti, ma ha anche minato le loro fragili economie. Quelle della Liberia e della Sierra Leone in particolare. Entrambe da poco uscite

da guerre civili devastanti, le due nazio-ni si stavano lentamente riprendendo da distruzioni e spoliazioni. L’ebola ha però affossato un rilancio che sembrava promettente.Il primo impatto è a livello domesti-co. Per evitare il contagio le famiglie non riescono più a portare avanti le attività che garantiscono un’entrata, seppur mo-desta. Mercati e negozi sono stati chiusi. I contadini hanno smesso di coltivare i campi perché il virus si è diffuso soprat-tutto nelle aree rurali. Ma è l’intera eco-nomia a risentirne. Gli investitori stra-nieri stanno scappando dal Paese, alcu-ne compagnie aeree hanno sospeso i voli da e per la Sierra Leone, altri arrivano vuoti, alcune Ong hanno fatto rientrare il loro personale, gli alberghi sono prati-camente vuoti … Con la parziale chiu-sura di porti e aeroporti i prezzi stanno crescendo in modo esponenziale. Si è fortunati se si riesce a trovare qualche bene di prima necessità nei mercati. Il riso, alimento base delle popolazioni lo-cali, ha raggiunto prezzi fuori dalla por-tata della gente comune. Molte medicine sono sparite dalle farmacie. Il rischio che la Sierra Leone scivoli nuovamente nella spirale della miseria è tutt’altro che remoto.

Paradossalmente, il virus ha usato i se-gni d’amicizia, di socialità, di accoglien-za – così forti ed essenziali nella vita delle popolazioni africane – per portare morte e sofferenza; ha usato quanto di più bello esiste nella vita per togliere la vita. Da Lunsar, in Sierra Leone, ci scrive p. Mario Zarantonello: “Per l’africano l’accoglienza non è solo formale ma di obbligo; in famiglia la donna mette da parte un piatto di riso per l’ospite im-provviso che, anche se arriva all’ultimo minuto, trova sempre un po’ di cibo per-ché l’accoglienza è benedizione.”Così, a cedere sotto i colpi dell’ebo-la sono stati anche i rapporti sociali. In Sierra Leone, dove erano molto diffusi gli abbracci e le strette di mano fra ami-ci e parenti, la gente ormai è diventata diffidente. Le persone si salutano senza segni di affetto ed evitano di frequenta-re posti affollati. Anche la tradizionale cura dei corpi dei morti è sempre meno praticata. “Tutto questo – ci dicono - la-scerà i segni anche nel futuro e ci vorrà

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tempo perché i rapporti interpersonali tornino quelli di prima. Se mai torne-ranno quelli di prima”.

In questo contesto è facile compren-dere quanto siano preziose la presenza e l’opera di missionari e volontari, im-pegnati soprattutto nell’informazione e nel sostegno, anche attraverso le proprie strutture sanitarie di base, come ambu-latori e piccoli ospedali.Ci scrive ancora p. Mario, missionario giuseppino di Montecchio: “Amici ita-liani ci hanno chiesto se non abbiamo paura, nessuna difficoltà nel dire che anche noi missionari conviviamo con l’ansia e la paura, e alla domanda perché siamo rimasti, do delle ragioni che forse non fanno parte di una logica pensata, ma fanno parte di una vita donata che nel bene e nelle difficoltà ci si aiuterà comunque. La nostra presenza qui non solo è importante ma è una garanzia, una specie di “tranquillante” per molte persone, siamo un punto di riferimento per chi ci conosce e che ora si preoccu-pano se stiamo bene, se abbiamo cura di noi e se abbiamo bisogno di qualcosa, questo testimonia che l’essere qui, aiuta. Forse tutto questo per un certo tipo di ragionamento non ha nessun significa-to, ma se la nostra presenza aiutasse ad evitare il disastro anche a una sola per-sona, ha ottenuto il suo scopo. La vita è un dono per tutti e nessuno desidera perderla e noi continueremo a lavarci le mani spesso, non andremo in zone a rischio, non toccheremo nessuno ma resteremo accanto alla gente perché an-che la presenza è Provvidenza. Dietro questo non c’è eroismo, solo la consape-volezza che ognuno di noi essendo un dono, se non lo è più, non ha più vita”.

Intanto la natura, in silenzio, non risen-te del virus, non si risparmia nel mostra-re il colore intenso dei suoi fiori, il verde dalle molte intensità, i frutti sulle pian-te, il riso nelle paludi, la natura comun-que è in festa e invita a rinascere nella fiducia, nella speranza e nella gioia. Nello stesso silenzio della natura, lonta-ni dalle cronache dei giorni, uomini di Dio, missionari e non, continueranno a mostrare l’amicizia e l’accoglienza di un Dio che si è fatto uomo per condividere le tragedie di una umanità ferita e sof-ferente. T.S.G.

Coraggioso e prezioso il servizio del CUAMM

Medici con l’Africa Cuamm è impegnato in Sierra Leone dal febbraio 2012 e più precisamente a Pujehun, uno dei distretti più remoti del Paese, in un intervento finalizzato ad aumentare la copertura e la qualità dei servizi di salute neona-tale e materno-infantile, attraverso il rafforzamento dei servizi sanitari sui tre livelli ospedaliero, territoriale e comunitario.Pur impegnati a garantire i servizi sanitari di base, come l’emergenza chirur-gica, ostetricia e pediatria e a sostenere i centri sanitari periferici (“Il sistema sanitario deve dare segnali concreti che i servizi funzionano, sono efficaci e sicuri, nonostante l’epidemia”) anche gli operatori del Cuamm si sono gettati a capofitto nella lotta all’Ebola. Ci scrive don Dante Carraro, direttore del Cuamm: “Ebola è un’emergenza che avanza e che non risparmia nessuno. E questo ci spinge ancora di più, nonostante la fatica, la stanchezza e la paura, a rinforzare la nostra presenza lì, a garantire il nostro impegno, mettendo a disposizione le forze e le risorse che abbiamo. Non possiamo – non dobbia-mo – abbandonare quelle popolazioni lasciandole all’indifferenza. È un dovere che sentiamo di avere nei confronti di tutti coloro per i quali ogni giorno ci spendiamo nel tentativo di garantire il diritto alla salute. È questa gente che ci chiede di restare, di non andare lasciandola sola, perché da sola non potrebbe farcela”.

E il dottor Giovanni Putoto aggiunge: “È come un’ossessione insopprimi-bile che non ti abbandona e non ti dà pace. Non la vedi, ma è dappertutto che ti insegue e ti perseguita. L’epidemia dell’Ebola ha sequestrato le vite e le menti della gente della Sierra Leone. I dati si rincorrono uno dopo l’altro e sono sempre più negativi. I casi di Ebola aumentano anche se in uno stato di perfetta equità. Non ci sono disuguaglianze sociali, di genere o di generazione in questa malattia. Le vittime sono lo specchio dell’umanità di sempre: uomini e donne, bambini e anziani, laici e chierici, ricchi e poveri, contadini o abitanti delle città. In una dimensione esistenziale che non è più la stessa di prima, tutti indistintamente cercano un segno di speranza, un segno positivo, una prospettiva semplice: tornare ad una vita normale, dignitosa, pacificata con la natura”.

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Missione è sempre partire, per aprirsi agli altri come a fratelli e scoprirli e incontrarli

Volontariato Missionario - 1

Chiara è una dei tanti giovani che a Rio de Janeiro, durante la Gior-nata mondiale della Gioventù 2013, ha ascoltato l’invito di papa Fran-cesco, tutto riassunto in tre parole: “Andate, senza paura, per servire”.Quelle parole hanno fatto strada dentro di lei, e così ha deciso di partire, come tanti altri. Accolta da suor Margherita Dalla Benetta, da metà ottobre è a Ca-labanga, nelle Filippine, a servizio dei ragazzi della grande scuola delle suo-re Domenicane della Beata Imelda..

Sono a Calabanga per davvero: non vi nascondo che mi sembra ancora strano quando ci penso!

Le prime due settimane infatti ero abba-stanza confusa per il cambio dei ritmi, degli orari, del clima e ho avuto biso-gno di un po’ di tempo per dare al mio corpo gli orari della nuova quotidiani-

tà che sto vivendo. Ma sento che essere qui, ora, è una grazia per me, e ne sono contenta e onorata. Di giorno sono a scuola: aiuto i bam-bini che hanno varie difficoltà special-mente in inglese e matematica e hanno bisogno di essere seguiti al di fuori del contesto della classe, dove, per via dei numeri elevati degli alunni, l’insegnante non ha la possibilità di prendersi cura

di chi fatica a seguire le lezioni. Per il resto vivo con le suore e le due giovani aspiranti, nella stessa casa, in una con-vivenza molto serena che non mi impe-disce di avere alcuni spazi miei, diversi dai loro. Qui la vita delle persone è molto diffici-le, eppure mi sembra di respirare gioia, una gioia autentica, quella che purtrop-po si sperimenta poche volte nel “no-stro mondo”. Il mio essere straniera in mezzo a que-ste persone suscita molta curiosità: mi vedono molto alta - neanche fossi un gigante! - ma, vista la media, è la prima cosa che notano sorridendo. Mi scru-tano spesso, come certamente faccio anch’io, ma sentire tutti quegli sguardi su di me è per me qualcosa di comple-tamente nuovo: sono io la straniera! E allora penso allo sguardo che abbiamo noi verso gli stranieri che vivono nel no-

stro Paese. Fa bene sentirsi stranieri! Ma lo straniero qui è sacro, e questo popolo mi ha fatto sentire a casa fin dal primo momento. Stupendo e imbarazzante allo stesso tempo: che cosa ho fatto io per meritarmi tutto questo rispetto, tutti questi gesti di attenzione, tutte queste cure?Meraviglia, stupore, gratuità, umiltà e semplicità! Ecco quello che sento e

che respiro, e mi sembra questa la vita! E allora ripenso ai tanti gli amici che, comprensibilmente spiazzati di fronte al mio “Parto”, mi chiedevano quale co-raggio mi spingesse a fare questo tipo di scelta e mi facevano l’elenco di tutte le cose che sarebbero dovute venire prima di questa esperienza.Il “sì” che mi ha fatto partire è uno dei frutti di quel cammino di ricerca e for-mazione con il quale ho cercato di con-cretizzare quell’ “Andate, senza paura, per servire”, che con grande emozione ho potuto ascoltare direttamente dalla voce di Papa Francesco in occasione del-la Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro lo scorso anno. Lì ho co-minciato a capire che dovevo smettere di non sentirmi all’altezza e che con en-tusiasmo potevo fare della mia vita una vita con gli altri, per gli altri.Qui, a servizio degli altri, nonostante il

rumore della città, sento che c’è più spa-zio per me e anche per Dio, cosa che nel nostro complicatissimo mondo occi-dentale è così difficile, perché abbiamo sempre dell’altro per la testa. Grazie Gesù, grazie per questo rega-lo, per aver reso tutto questo possibile, vero!Tu si che fai le cose da Dio!

Chiara Veronese

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Volontario è essere PortAperta

La storia di Riccardo Giavarini in Bo-livia da quasi 40 anni. Lavorare nelle “periferie esistenziali” tanto in quelle del Sud del mondo come in quelle di casa nostra

“Il bene ostinato” ha definito Paolo Rumiz la storia di tanti volontari italiani impegnati – come afferma

Papa Francesco - nelle “ periferie esi-stenziali”, tanto nel Sud del mondo come in Italia. Qui si parla di uno di loro, Riccardo Giavarini, che arriva-to ventenne sull’altipiano boliviano, identificandosi con la sua gente, vi è presente da quarant’anni, operando nel quadro di progetti in favore del-le giovani donne vittime della tratta e dello sfruttamento della prostituzio-ne, e delle minorenni detenute negli istituti penitenziari. Il suo percorso è raccolto da Gisella Evangelisti in uno splendido libro-testimonianza “PortAperta a La Paz” (MLAL, Ve-rona 2014). Riccardo è originario di Bergamo. Come lui, sono tantissimi i volontari che provengono da territori italiani dove spesso emergono rigur-giti xenofobi contro immigrati e pro-fughi.

Che Italia è mai questa?E’ una domanda che si pone Paolo Rumiz e che viene riportata nel libro sopra citato: “Come mai il cuore del volontariato italiano … corrisponde territorialmente al nucleo forte della protesta leghista e, al primo sguardo, anche all’Italia più chiusa nella psi-cosi da invasione extracomunitaria? Come si coniugano o si confrontano altruismo e sospetto? Da quali oscure radici proviene, in un paese da sempre campanilista, aggrappato all’opportu-nismo e alla gestione del “particula-re”, questa voglia di darsi a genti di terre lontane? Che rapporto ha questa cultura del fare, ma del fare e restare, col mondo effimero del mordi e fug-gi? E come mai l’Italia, che all’estero gode di così scarsa considerazione dal punto di vista politico, si riscatta pro-prio in questo campo?”

Perché ci sono migliaia e migliaia di giovani che scelgono di mettere le proprie competenze professionali in un servizio volontario?Qualche cifra. I volontari in Italia

sono 826 mila, circa l’1,37% degli abi-tanti, mentre si contano 21 mila as-sociazioni di volontariato impegnate per lo più nel settore socio-assisten-ziale, ma anche in ambiti come la pro-tezione civile e la tutela dell’ambien-te. “Prendiamo il caso del Nordest di casa nostra, prima della crisi celebrato quale esempio del boom della picco-la industria, della cultura del lavoro, dell’ideologia capitalista convertita a livello familiare. In questa terra, che vanta i redditi medi più alti d’Italia, ci si attenderebbe di incontrare gente os-sessionata dal lavoro e dal guadagno, che passa il tempo a parlare di schei. In parte è senz’altro così, ma proprio

qui, nella patria della famiglia trasfor-mata in azienda, si riscontra la più elevata concentrazione di attività di volontariato. In una società che sem-bra aver collocato l’ideale del guada-gno e dell’ottimizzazione del profitto in cima alla propria scala dei valori, ritroviamo numerose testimonianza di un impegno che non ha nulla di remunerativo, se analizzato in chiave utilitaristica. Che cos’è il volontariato

se non un dono sotto forma di servi-zi? Stima e orgoglio per tutti loro, che l’autrice del libro, Gisella Evangelisti, esprime citando una famosa canzone di Francescio Guccini: “ W l’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura,/ viva l’Italia, l’Italia che non ha paura. Viva l’Italia, l’Italia che è in mezzo al mare, / l’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare, l’Italia metà giardi-no e metà galera,/ viva l’Italia, l’Italia tutta intera. Viva l’Italia, l’Italia che lavora, / l’Italia che si dispera, l’Italia che si innamora, l’Italia metà dovere e metà fortuna,/ viva l’Italia, l’Italia sulla luna. Viva l’Italia, l’Italia del 12 dicembre,/ l’Italia con le bandiere, l’I-talia nuda come sempre, l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste,/ viva l’Italia, l’Italia che resiste”

E perché i volontari che vanno al Sud, come Riccardo, non riescono più a staccarsene? Per chi fa una prolungata esperienza di volontariato nei paesi del Sud, le cose sono molto complicate: dal Sud non ti stacchi mai. “ Dopo che l’hai conosciuta, la vita diventa un pendolarismo tra mondi infinitamente lontani che pure stan-no lì, sotto di noi, a tiro di un viaggio che comporta solo salti di fusi orari. E sempre il riadattamento più diffici-le è quello con il Nord, così come il desiderio più testardo abita sempre a Sud. Un desiderio difficile da spiegare a che vede arrivare in Europa migranti in fuga sui barconi della disperazione. A Nord la ricchezza, ma anche le facce annoiate, un eterno coprifuoco sorve-gliato da videocamere, l’invasione del superfluo, una frenesia che non lascia più spazio al pensiero e al sentimen-to. A Sud la miseria e lo sfruttamento, ma anche la solidarietà, il sorriso, il piacere dimenticato della pigrizia, le strade piene di vita e di gente. E poi lo spazio immenso, la luce, i colori. Il solo pensiero di essere utile ti fa dimenticare il peggio del Sud: la di-pendenza dagli aiuti umanitari, la mortalità dei bambini, la fuga dalle campagne, la corruzione della bu-rocrazia, il tradimento di una civiltà tribale antichissima in nome di fasulli valori occidentali. Nulla di tutto que-sto è sufficiente a spegnere il desiderio di tornare…”(p.147)

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Volontariato in America Latina e in Italia

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“Popoli”, la rivista missionaria dei Ge-suiti italiani, ha annunciato che con il numero di dicembre 2014 interrompe-rà le pubblicazioni. Nata nel 1915, du-rante la prima guerra mondiale, muo-re mentre è in corso quella che il papa chiama la “terza guerra mondiale com-battuta a pezzi”. Sanissima quanto a idee, progetti e visione, muore per falli-mento economico, strozzata dai debiti.

Fa riflettere il fatto che non sia l’unica vittima nel settore della stampa missio-naria italiana. Altre pubblicazioni hanno chiuso o stanno chiudendo, come “Ad Gentes” dell’EMI (Editrice Missionaria Italiana), “l’unica rivista in lingua italia-na che espressamente tratta della missio ad gentes”; altre ancora si sono viste co-strette a ridurre il numero delle pagine o la periodicità, o si sono fuse tra loro. Quelle ancora in circolazione, nonostante il grande sforzo di rinnovamento e di ri-qualificazione a servizio del Vangelo e dei poveri, non scoppiano certo di salute. La prima domanda che sorge spontanea è:

quale sarà la prossima? E il pensiero corre anche a questa nostra piccolissima “Chie-sa Viva”, che l’anno prossimo taglierà il traguardo dei cinquant’anni di vita: quan-ta strada potrà avere ancora davanti a sé?

Tutto questo ci dispiace. Non è un dram-ma, ma ci fa sentire più piccoli e poveri. Sono voci che ci mancheranno, perché le riviste missionarie raccontano della bel-lezza della missione, della dedizione di tanti missionari, del sogno di un mondo più fraterno, di una Chiesa viva che cresce nelle periferie del mondo, dello Spirito che suscita nuovi evangelizzatori in ogni angolo della terra, di germi del regno che fioriscono ovunque, anche là dove nes-suno se lo aspetterebbe. Nella loro diver-sità e nella loro piccolezza sono voci di speranza e testimonianza che un mondo più fraterno è possibile. Che siano ridot-te al silenzio non è certo un bel segno.

Gli esperti in materia non si nascondono che ci possano essere ragioni più com-plesse e profonde delle semplici difficoltà

economiche. Ci si chiede se si tratti solo di un necessario momento di ripensamento e di purificazione, oppure – come sostiene qualcuno – se la missione sia davvero in crisi e forse in via di chiusura d’esercizio. Forse la missione non interessa più ai cri-stiani delle antiche Chiese? Oppure la mis-sione è talmente cambiata da non avere più bisogno di missionari e tanto meno delle loro riviste? Il dibattito è aperto e acceso.Certo, oggi bisogna prendere atto che in un mondo profondamente cambiato va ri-pensata anche la missione, va ripensato il modo di viverla e di raccontarla. Ma le nuo-ve strade, si sa, fanno fatica a trovare nuovi percorsi e interpreti. Di sicuro, non serve vivere di nostalgia e rimpiangere i “tempi d’oro”, che non esistono più, se mai sono esistiti. Papa Francesco, che non perde oc-casione per rilanciare la missione, con pa-role e gesti, ci invita a guardare con fiducia e coraggio non al passato, ma al futuro.Noi intanto continuiamo a fare la no-stra piccola parte, sicuri che il Signo-re troverà il modo di stupirci ancora.

don Arrigo

Voci che ci mancheranno

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Informazione Missionaria in Italia

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Agenda & Appunti

Dicembre 13 dicembre RITIRO D’AVVENTO e Adorazione

eucaristica per le missioni e i missionari Villa San Carlo, Costabissara: ore 9.00-16.00 31 dicembre Marcia nazionale della Pace Fino al 6 gennaio 2015: Mostra del Presepe Missionario c/o Missionari Saveriani, Viale Trento 119, Vicenza

Da ricordare per il mese di Gennaio 2015

1 gennaio Giornata mondiale della Pace: “Non più

schiavi ma fratelli”

6 gennaio Festa dell’Epifania - Giornata Missionaria Mondiale

dei Ragazzi - Festa dei Popoli

17 gennaio Adorazione eucaristica per le missioni e i missionari

Villa San Carlo, Costabissara: ore 15.00-18.00

18 - 25 Settimana di Preghiera per l’unità dei gennaio cristiani: “Dammi un po’ d’acqua da

bere” (Giovanni 4, 7)

18 gennaio Giornata del migrante e del rifugiato 25 gennaio Giornata dei malati di lebbra

Ricordiamo con riconoscenzaFrate Giorgio Dalla Barbaè tornato alla casa del Padre all’età di 78 anni, di cui 46 trascorsi in Guinea Bissau, dove svolse un prolungato e generoso servizio, contribuendo a scri-vere alcune pagine della storia gloriosa della presenza dei Frati Minori Veneti nelle missioni francescane di quel Pae-se (uno dei più poveri al mondo) dove i Frati e le suore francescane fanno un lavoro grandissimo di sensibilizza-

zione, scolarizzazione, accanto ad una popolazione piegata dalla fame,l’aids,la tubercolosi, e tanti altri fattori politico-culturali... In Guinea Bissau, ex colonia portoghese, i missionari francescani sono presenti fin dal 1955, quando vi arrivarono i primi tre Mis-sionari, tra i quali p. Ferrazzetta, poi divenuto il primo Vescovo di Bissau. All’inizio fu loro affidato il Lebbrosario di Cumura e di una parte del territorio della Guinea Portoghese. Ora la Custodia ve-neta “S. Francesco d’Assisi” è responsabile di parrocchie (Cumura, Quihnamel e Blom), Case di formazione, scuole e ospedali, con ancora una forte presenza di missionari vicentini.

Sussidio catechetico-pastorale sull’Evangelii gaudium, con dieci schede per incontri formativi di gruppo.

MISSIONARI VICENTINIBREGANZE: GRUPPO MISSIONARIO 1.070,00 - CORNEDO VICENTINO: POSENATO BERTILLA 400,00 - COSTABISSA-RA: TONIOLO GIUSEPPINA 100,00 - MADONNA dei PRATI: GRUPPO MISSIONARIO 300,00 - MAGLIO di SOPRA: URBA-NI RINETTA 20,00 - MAROSTICA: NN 5.000,00 - MOLVENA: BATTAGLIN BRUNA in mem. del marito GIANNI 300,00 - S. PIETRO di MONTECCHIO MAGGIORE: GRUPPO MISSIO-NARIO 200,00 - U.P. ALTAVILLA – VALMARANA 2.500,00: VARI OFFERENTI 5.875,00 - VICENZA: CASA PROVVIDEN-ZA 15,00; SCARAMUZZA GIULIANA 50,00; M.G. 50,00; P.L. 100,00; CUNIAL don FRANCESCO 1.000,00; D. FEDERICA 50,00; FESTA degli AQUILONI 50,00.

LEBBROSIS. ANTONIO in MAROSTICA 240,00.

BORSE di STUDIO al CLERO INDIGENOMONTEBELLO: VALENTE MARIA ROSA 50,00 - S. ANTONIO in MAROSTICA: NN in mem. di GIUSEPPE, CLARA e OLGA 50,00 - SCHIO: BOLZAN don FILIPPO 520,00: NN 250,00 - TAVERNELLE: APOSTOLATO della PREGHIERA 100,00 - U.P. SOVIZZO: GRUPPO MISSIONARIO 200,00 - VICENZA: ABC 3.000,00.

OFFERTE A TUTTO OTTOBRE 2014

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Oltre la porta… La missionarietà come tema del cammino formativo della Comunità di Teologia

Settimana di Ferragosto, un con-senso quasi unanime, pochi sguar-di per scegliere il nuovo percorso

formativo per la nostra Comunità di Teologia, accerchiati e coccolati dalle amate montagne di Auronzo di Cadore (questa volta un po’ troppo bagnate!), dove ogni anno nei mesi estivi pren-dono il là tutte le varie comunità del seminario.La “missionarietà” è il tema del cam-mino formativo comunitario, le ragioni sono molteplici: dalle parole, e ancor di più dall’esempio di Papa Francesco, al rapimento dei nostri pre-ti fidei donum don Gianantonio, don

Giampaolo e suor Gilbert; dalla crisi economico-sociale e umana alle guerre disseminate nel mondo; dalle difficol-tà parrocchiali alla “crisi della nostra fede”, potrei continuare, ma non voglio fare un elenco perché ognuno di noi avrebbe molte altre motivazioni. A condire tutte queste è la chiamata di lasciare le reti per seguirLo, per seguire Gesù Cristo.La meta non è ben definita, se non

Mi chiedo quale forza sta spingendo migliaia di cristiani a resistere davan-ti alle persecuzioni, e noi vicentini (come diocesi) ne abbiamo fatta espe-rienza; quale forza porta una famiglia a farsi carico di altre persone; quale forza spinge a lasciare i propri agi, pro-getti, sogni per andare incontro… per farsi prossimi? Sarebbe scontato dire Gesù, la preghiera, la Parola di Dio, lo Spirito Santo, seppur risposte perfette credo non basti scriverle con una pen-na o pronunciarle a parole. Siamo in cerca di testimoni credibili che possa-no rispondere con la loro vita, siamo in cerca della nostra “persona” per

rispondere anche noi alla chiamata del Figlio.Una Chiesa Missionaria è ossigeno nel-le nostre case, perché ci apre gli occhi e li solleva dalle nostre pance, offrendoci la possibilità di guardare avanti, fuori, oltre, ci permette di guarire dalle nostre ferite attraverso quelle altrui. La missione allora inizia nelle nostre case… magari aprendo le porte!!!

Luca Centomo

quella di incontrare l’altro e testimo-niare la gioia del Vangelo, una Parola che se accolta non lascia indifferenti, non fa fare “sogni tranquilli”, perché la miseria umana, sociale… è ancora stampata nei giornali, scorre nella rete, dà voce ai telegiornali, è impressa nei volti delle persone.Non vogliamo sentirci i salvatori del mondo, ma essere credibili nella fede in Gesù Cristo, sì, spendere, vivere una vita rivolta verso il prossimo, perché tutto questo non è utopia, ma reale possibilità, e ne vale ancora la pena. La famiglia non è forse uno dei più bei e difficili esempi di prossimità?

L’esortazione di Papa Francesco è imbe-vuta dal desiderio di vivere una Chiesa più missionaria, aperta e non rinchiu-sa nell’autopreservazione; molti fatti (interni ed esterni) hanno sconvolto e tutt’ora continuano a sconvolgere la Chiesa, eppure a piccoli e silenziosi passi continua a camminare, e questo è bene ricordarcelo, non per vanagloria, ma perché è bello vivere l’ottimismo del Vangelo.

La comunità di Teologia al lago di Braies.Missionarietà a porte aperte...

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“Ricevi il libro delle sante Scritture…”

“Ricevi il libro delle sante Scritture”: la Paro-la di Dio non è nostra, non possiamo usarla e abusarla come ne fossimo i padroni, non ce la prendiamo egoisticamente con le no-stre mani ma ci viene messa tra le mani dalla Chiesa, come un dono.“Trasmetti fedelmente la Parola di Dio”: que-sta Parola ricevuta non diventa un dono solo per noi, ma ci chiede di essere trasmessa e donata ad altri fratelli e sorelle...trasmessa fedelmente, con una doppia fedeltà, a Dio e agli uomini, senza annacquarne la ricchezza ma facendola intrecciare il più possibile con le no-stre vite.“Perché germogli e frut-tifichi nel cuore degli uomini”: scopo di tutto non è far bella figura da-vanti alla gente, ma piut-tosto diventare servi di quella Parola per esserne voce, testimonianza, per-

chè possa essere una Parola di benedizione e di vita per tutti.Ecco allora cosa significa per noi essere stati istituiti Lettori: farci custodi e annunciatori di una Parola che ci supera, che legge in ve-rità e profondità le nostre vite...perchè possa ancora oggi intrecciarsi con fecondità nella vita degli altri.Durante la S.Messa ci sono stati dei segni pic-coli ma di grande valore: una chiamata per nome a cui abbiamo risposto il nostro “Ecco-

mi”, consapevoli dei nostri limiti ma anche del desiderio di seguire quel Dio che ci guar-da con amore; una benedizione come segno della presenza di Dio in questa nuova tappa di sequela; il ricevere tra le mani il libro delle Scritture, con la frase di cui abbiamo detto prima. Infine un gesto semplice ma intimo e compromettente: il bacio alle Scritture...come per dire che tutta la nostra vita vuole spendersi in una relazione viva, che coinvol-ge la nostra intelligenza, i nostri affetti...non abbiamo baciato una dottrina o un’idea, ma

abbiamo deciso di lasciarci ancora conqui-stare da Dio e dalla sua Parola fatta carne nel Figlio.Il nostro grazie va al Signore e alla Chiesa, consapevoli di avere “un tesoro prezioso in vasi di creta”, alle nostre famiglie, ai fratelli seminaristi e preti, agli amici e a tutti colo-ro che come voi, cari Lettori di Chiesa Viva, ci tengono nella preghiera. Della vostra pre-ghiera abbiamo ancora bisogno, perchè la nostra relazione con la Parola che siamo chiamati a vivere e testimoniare, possa es-sere sempre all’insegna di quel bacio casto, segno di un cuore innamorato di Dio, perchè da Lui impariamo passo dopo passo a farci sempre più servi dei fratelli.

E...Luca che fine ha fatto?? Si sta riposan-do e curando, e quando sarà tornato in piena forma riceverà anche lui questo mi-

nistero...chissà che non sentiate presto anche la sua voce tra queste pagine!

Andrea Pernechele

Questa frase particolare ci siamo sen-titi rivolgere mercoledi 29 ottobre io e Stefano...ma andiamo con calma...

Siamo tre giovani del IV anno di teologia del seminario: Andrea Pernechele, Luca Cento-mo e Stefano Guglielmi. Oltre ad aver inizia-to l’esperienza del tirocinio pastorale, rispet-tivamente nelle parrocchie di Nove, Torri di Quartesolo e San Bonifacio, per noi è giunto il momento di un piccolo ma significativo passo nel cammino di sequela del Signore: abbiamo ricevuto il ministero del Lettora-to. Ma...guardando bene la foto vedrete che siamo solamente in due: ebbene si, il no-stro caro amico Luca ha pensato di farci uno scherzetto; si è ammalato proprio prima di partire per il ritiro a Barbarano, nel conven-to di S.Pancrazio dei Frati Minori. Io e Ste-fano siamo stati accolti in questa fraternità per un tempo di silenzio e di ascolto della Parola di Dio, accompagnati dalle riflessioni di fra’Antonio e fra’ Franco, e dalla presenza dei nostri educatori, d.Guido, d.Damiano e

d.Carlo, sempre con la speranza che il nostro caro compagno potesse rimettersi presto in salute...Durante la s.Messa nella parrocchia di S.Maria Ausiliatrice in Vicenza, il vescovo Beniamino ci ha conferito il ministero di let-tori, ma cosa significa? Ministero vuol dire servizio, ma per farvi comprendere meglio riprendo quella frase che il Vescovo ci ha ri-volto mentre ci ha fatto tenere tra le mani il Lezionario.

Andrea, Stefano, Luca

I nuovi lettori col vescovo Beniamino

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attività mozzafiato. È soltanto una carrellata veloce che spiega quanto il nostro Seminario abbia a cuore i ragazzi perché crede che in tutti i loro cuori è posto un seme buono.

Questo seme, ora, ha bisogno di uscire dal terreno, crescere e fiorire e occasioni come queste proposte vocazionali possono aiutare in questo desiderio.Un buon cammino nella scoperta di quello che il Signore ha in serbo per tutti.

P.S.: per informazioni e approfondimenti vi-sitate il nostro Sito: www.seminariovicenza.org

Don Alberto

loro coetanei (dalle 9.30 alle 16.00). Ecco alcune delle prossime date che ci stanno davanti: 21 dicembre, 11 gennaio 2015.

2. Un secondo appuntamento è il “Gruppo Sentinelle” rivolto ai giovanissimi dai 15 ai 19 anni che desiderano conoscere la figura di Gesù e approfondire la loro fede. Si ritrovano una domenica al mese in Seminario e alcune delle prossime date sono il 14 dicembre e il 18 gennaio 2015.

3. Anche le ragazze non sono da meno e da qualche anno è nato “Insieme è più bel-lo”, incontri al femminile rivolto a ragaz-ze dai 10 ai 14 anni. Una domenica

al mese per vivere la gioia di stare insieme, conoscere meglio Gesù e imparare a raccontarlo.Le prossime date in program-ma sono l’11 gennaio 2015 e l’8 marzo. Per informazioni su questi incontri chiamare Sr Lucia Dalla Libera

(cell.: 340/1633557).

Un’ultima esperienza vocazionale di Chiesa che è rivolta a tutti i ministranti della nostra diocesi è il tradizionale Convegno Diocesa-no dei Ministranti, quest’anno in program-ma sabato 27 dicembre, prima in cattedrale attorno al nostro Vescovo Beniamino e poi in Seminario con il pranzo al sacco e diverse

Cari lettori di Chiesa viva,portiamo ancora nel cuore i tanti vol-ti di ragazzi e ragazze incontrati nelle

Giornate vicariali del chierichetto nei mesi di ottobre e novembre.Abbiamo percepito e gustato la gioia, la fe-sta, la passione di chi vive più da vicino l’a-micizia con Gesù attraverso l’esperienza del servizio all’altare.La forza di ritrovarsi insieme aiuta il cammi-no di tutti questi gruppi a crescere sempre di più nella scoperta di Gesù, loro Amico e Maestro.

Il Seminario, ora, sulla scia di questi eventi vicariali che hanno contagiato moltissimi ragazze e ragazzi di ogni età, vuole proporre un cammino dove conoscere ancora di più Gesù attraverso attività, condivisioni, film, proposte, giochi… e molto altro.Il grande valore aggiunto di questo percorso è che non si è soli, ma ci saranno tanti ragaz-zi che condivideranno l’esperienza assieme ai loro coetanei.Amicizie nuove che nasceranno, giornate di-vertenti e speciali, voi ragazzi protagonisti… e Gesù il Gran Direttore d’Orchestra sono l’occasione e l’opportunità da non perdere.E allora, come dice il titolo qui sopra, “In Se-minario ce ne per tutti i gusti”.

1. Un primo appuntamento sono i “Chiama-ti per nome”, rivolto ai ragazzi (maschi) dalla 4ª elementare alla 3ª media che de-siderano conoscere la famiglia del Semi-nario e scoprire più da vicino l’amicizia con Gesù. Sono incontri mensili, dove una domenica al mese i ragazzi vengono in Seminario e condividono una gior-nata di attività e di gioia assieme a tanti

In seminario ce n’è per tutti i “gusti”. Appuntamenti vocazionali per tutte le età: ragazzi, ragazze, giovanissimi… vi aspettiamo!

Seminario veScovile(minore e Teologico)

comuniTà del mandorloBorgo Santa Lucia, 43 - VicenzaTel. 0444 501177Indirizzo web: http://seminariovicenza.org

Semiraga, il momento del pranzo

Semiraga, la preghiera

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La Comunità “Il Mandorlo”: tre giovani in cammino…

Ciao, sono Nicola, ho 25 anni e vengo dalla parrocchia di Cal-dogno. Quest’anno ho deciso

di iniziare il cammino nella comu-nità “ il Mandorlo” del seminario di Vicenza. Ad Aprile o forse un po’ dopo dovrei laurearmi in ingegne-ria Meccatronica (Mecca-che?? :-D) dopo ormai 5 anni di studio. Ho sempre fatto l’animatore in parroc-chia e collaborato nei vari gruppi gio-vanili, mi piace cantare e suonicchio la chitarra. Quest’anno ho deciso, dopo un po’ di percorsi di discerni-mento come il cammino del Sichem e Scegli la Vita dei frati Minori, di darmi del tempo per riflettere e per lavorare sulla mia vocazione al sacer-dozio. Mi rendo conto sempre più, anche già dai primi giorni di comu-nità, che quest’anno sono chiamato a far verifica di me ma anche a cono-scermi a fondo. Voglio imparare ad affidarmi a quell’Amore che da un po’ di anni mi ha affascinato e questo mi chiede impegno, fatica ma anche bei momenti di comunità, scherzi e ancora studio. Non porto in cuore grandi aspettative ma solo la voglia di camminare. Quel “Non temere” tanto ripetuto nella Bibbia vorrei fos-se il mio slogan per quest’anno per-ché so che l’amore di Dio è così forte da farci sentire solo la letizia dello stare con Lui, senza pensare a scelte o a scadenze.

Sono Alberto, ho ventinove anni. Ho due genitori meravigliosi, Maurizio ed Ancilla, e ho la gioia

di due sorelle, Alessandra e Martina. La mia vita è ricca di bene. Un bene vissuto con gli amici e tra la gente in tante esperienze di vita. Queste han-no generato domande e situazioni che mi hanno spinto sul cammino di ricerca: il cammino di fede! Ricono-sco che questo bene è dono gratuito ricevuto dall’alto. (Da qualche tem-po) è sorta in me la consapevolezza di essere povero, infinitamente ama-to. L’adesione a Cristo mi provoca verso un’alta domanda: qual è il pro-getto di vita in cui concretizzare que-sta adesione? Qual è il modo con-creto in cui vivere il comandamento dell’amore?

Da qui il mollare (tutti) gli ormeggi, prendere il largo, abbandonarmi fiducioso in Cri-sto.

Nicolò, Nicola, Alberto

Le attività e i tempi comunitari del Mandorlo sono reiniziati ormai dal-la fine di settembre e quest’anno la comunità è formata da tre nuovi membri: Nicolò, Nicola e Alberto. Siamo certi che ci conosceremo presto nelle innumerevoli proposte, una fra tutte la preghiera mensile “Venite e Vedrete” le cui date le trovate anche sul sito internet www.seminariovi-cenza.org oppure la Lectio divina, ogni venerdì alle 18:00 nella nostra comunità. Intanto vi invitiamo a conoscerci leggendo una nostra picco-la presentazione qui sotto e speran-do di condividere presto un sorriso o una chiacchiera assieme!

Ciao a tutti, sono Nicolò Fra-marin, dell’U.P. di Gambella-ra e Sorio, ho ventidue anni e

sto ultimando gli studi in Economia Aziendale presso l’università degli stu-di di Verona, sede di Vicenza. La scelta di entrare al Mandorlo è stata per me frutto di un lungo cammino di ricerca vocazionale, iniziato in terza media con il primo dei sei anni in Seminario minore e passato l’anno scorso per il Gruppo Sichem (il gruppo vocazio-nale della Diocesi di Vicenza), sia di una presa di coscienza che da solo non sarei riuscito a capire a cosa Dio mi chiama all’interno della sia Chiesa. Se ho scelto di entrare al Mandorlo e non in convento o in un monastero, poi, è anche frutto del mio forte legame con la realtà parrocchiale in cui sono inserito: da sette anni, infatti, faccio catechesi ai bambini e da dieci anni sono a capo del gruppo ministranti. Dopo due mesi di vita comunitaria le domande a cui dare risposta sono ancora molte. Mi chiedo se ho fatto la cosa giusta nel buttarmi in questa avventura, se non è troppo per me unire la vita comunitaria al Mandor-lo, gli studi di Economia e le attività in parrocchia, se effettivamente la strada che il Signore mi chiama a percorre-re è quella del presbiterato e, in caso affermativo, se ne sari mai all’altezza. Come ho scritto prima, da solo so di non riuscire a rispondere a tutte que-ste domande e a capire a cosa Dio mi chiama. Non mi resta, dunque, che affidarmi alla vostra preghiera e alla bontà di Dio nostro Padre, che non tarderà a suggerirmi ogni risposta.

A sinistra Nicolò, Nicola, Alberto e don Andrea a cima Carega.

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