La città marca

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Considerazioni sul kitsch. A cura di Gianni Cardone e Ilaria Montanari La Città marca

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La nostra analisi sul tema del kitsch vuole indagare sull'identità delle città e capirne le dinamiche di costruzione con l'intento di delineare le fasi e i motivi che hanno portato sempre più la città ad essere progettata per divenire marca e/o brand (attività di comunicazione molto diffusa di recente). Intendiamo procedere analizzando sia gli interventi architettonici che in seguito quelli di comunicazione di alcune tra le città brand più recenti: Astana e Valencia. La prima è una città programmata interamente a tavolino dall'architetto Kurokawa, invece che sbocciata naturalmente dal libero aggregarsi degli individui, per essere una grande capitale. La seconda una città progettata per somigliare e imitare la vicina e nota Barcellona. a cura di Gianni Cardone e Ilaria Montanari

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Considerazioni sul kitsch. A cura di Gianni Cardone e Ilaria Montanari

La Città marca

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[...] Ci si addentra per vie fitte d’insegne che sporgono dai muri. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose: la tenaglia indica la casa dei cavadenti, il boccale la taverna, le alabarde il corpo di guardia, la stadera l’erbivendola. […]

Italo Calvino, Le città inesistenti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1972

Sì, Calvino aveva proprio ragione, quando negli anni Settanta descriveva in maniera originale il rapporto tra uomo e città, luoghi sempre uguali ma in continua evoluzione: megalopoli contempo-ranee, città qualsiasi, nonluoghi che potrebbero esistere veramente in ogni parte del mondo.“Il mondo è un’immensa città. E’ un mondo città. Tuttavia, è altrettanto vero che ogni grande città è un mondo e persino che ognuna di esse è una ricapitolazione, un riassunto del mondo, con la sua diversità etnica, culturale, religiosa, sociale ed economica.” 1

La realtà oggi non è altro che questa!

1. Marc Augè, Non luoghi, Elèuthera, 1997

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Grandi città, la cui principale attività in questi casi è quella di importare ed esportare prodotti: immagini e messaggi, e persino uomini.Così la città in quanto tale scompare davvero, scompare tutti i giorni.Il rapporto con l’esterno e la sua esistenza si de-termina nel momento stesso in cui i centri storici diventano oggetto d’attrazione. In tutte le abita-zioni, dalle ville alle case popolari, la televisione e il computer hanno sostituito l’antico focolare.La città è un prodotto da vendere, una multinazio-nale, macchina per far soldi, un’ agenzia di comu-nicazione che promuove il proprio non-essere, il proprio brand.

Se entriamo a Venezia e camminiamo tra le calli, ci rendiamo conto che essa non è una città, ma la rap-presentazione di una città. Come dichiara Debray il visitatore si immerge in una irrealtà teatrale. “Ve-nezia gioca a fare la città e noi giochiamo a sco-prirla.” 2 La laguna la isola dal mondo, la rende un palcoscenico. L’entrata costa cara, è una passerella che ti porta in scena. Gli edifici sono scenografia, sembra non essere abitata. Ogni visitatore deve in-terpretare una parte, si sente osservato come un

2. Régis Debray, Contro Venezia, Baldini&Castoldi, 1995

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protagonista sotto i riflettori. Lo spettacolo dalla sala passa in strada, anzi in calle. È l’esempio più eclatante di città che diventa opera d’arte, presen-tata come l’unica autentica in tutto il mondo. Guai a noi se paragoniamo Amsterdam a Venezia, lei è l’originale!Il suo essere spettacolo fa in modo che lo spettacolo stesso la desideri, diventa prima donna. Romantica e sdolcinata attira le più grandi produzioni cine-matografiche, solo per citarne alcune: Tutti dico-no I love You, Agente 007 - Casinò Royale, Indiana Jones - l’ultima crociata, The italian job (ma non l’originale). Risulta chiaro quanto il cinema sia così attratto dalla sua identità definita e progettata: una vera marca. Venezia è un set perfetto, una sce-nografia allettante per ogni tipo di film, cosa c’en-trano allora le auto di The italian job con Venezia? Jean-Luis Comolli in Vedere e potere, sostiene che il cinema debba tornare alla città “guerillera”, quella che sfugge allo spettacolo, che rimane in disparte, quella filmata dal cinema documentario. “Ci vorrebbe un desiderio libero da ogni marke-ting. Marsiglia e Napoli, se volete.” 3 Entrambe sono sicure di sé, autentiche, sonore e chiassone, vivono nella propria identità, schietta

3. Jean-Luis Comolli, Vedere e Potere, Donzelli, 2006

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e articolata. I contrasti sociali qui non sono di certo nascosti.In conclusione pensiamo che nell’identità della città-mondo ci sia un contrasto interno come quel-lo tra sistema e storia, riscontrabile nella sua strut-tura architettonica, urbanistica e paesaggistica. Il sistema-globale prevale sulla storia-locale gene-rando cambiamenti estetici nell’ambito delle arti e dell’architettura.Le città che vogliono entrare nel circuito interna-zionale commissionano sempre più spesso opere ad architetti famosi, chiamati a lasciare la firma sulla loro scultura.All’ archistar viene richiesto un progetto capace di elevare la città all’onore delle cronache interna-zionali, e il suo stesso nome apposto sul progetto ne fornisce autenticità. Un opera da esporre che nasconde la realtà mediocre dell’architettura per tutti, creazione slegata dal suo contesto, figlia di un’unica mano, sistemata in un angolo di una cit-tà qualsiasi. Così le architetture di Renzo Piano al Beaubourg o a Nouméa, Gehry a Bilbao, Calatrava a Valencia, Norman Foster ad Astana, sono tutti esempi di locale-globale, sculture in mostra che potremmo vedere anche nel comune di Voghera.

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Abraham Moles parla del “far bello”. Agli archi-tetti e ai comunicatori viene chiesto di creare ca-polavori per rendere la città stessa un capolavoro. Si segue un ricettario razionalistico e definito per estetizzare la realtà, renderla kitsch. “La terrificante bellezza del Kitsch è la realtà ar-tificiale del mondo moderno restituita non come è ma come mondo bello, come sovrappiù estetico, forma naturale dell’arte.”4

4. Abraham Moles, Le kitsch. L’art du bonheur, Maison Mame, Paris, 1971

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valenciaincredibile ma vera!

Tutti conoscono l’antica rivalità tra Barcellona e Madrid. Da sempre Barcellona si è presentata al mondo come una città internazionale, dinamica, moderna ma soprattutto catalana e non spagnola.La grande voglia di sviluppo e di internazionalità è giunta prima in questa grande città che nel re-sto della Spagna. Già nel 1992 vennero inaugurati a Barcellona i Giochi Olimpici che la portarono sul palcoscenico internazionale ben prima di Madrid.Con lo crescita economica dell’intera nazione mol-te città cambiarono aspetto. Nei progetti dello stato centrale nacque un’idea: creare una nuova Barcel-lona, anzi, una anti-Barcellona. L’aspirazione era avere una città giovane, dinamica, internazionale,

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ricca, ma soprattutto interamente spagnola!Per fare tutto ciò fu deciso di replicare Barcellona circa 350 km a sud-ovest, esattamente a Valencia.Sì iniziò dal logo: per pubblicizzare la città turi-sticamente si scelse di abbreviare il nome in VLC, proprio come venne fatto anni prima per il sistema di trasporti di Barcellona con BCN, ora simbolo ri-preso sulle magliette proprio come l’ underground londinese. Venne, inoltre, aggiunto uno slogan che oggi ci fa sorridere: Valencia, incredibile ma vera!

Valencia è sempre stata una città con un discreto traffico portuale, però il suo centro storico, a diffe-renza di Barcellona non si affaccia sul mare. Venne costruito nei secoli passati a circa 5 km dalla costa proprio per proteggersi dalle invasioni che provenivano dall’acqua.La deviazione del fiume che attraversava la città fino agli anni ‘90 dello scorso secolo, e che in pas-sato portò numerose inondazioni, offrì una oppor-tunità eccezionale: numerosi ettari di terreno che si estendevano dal centro città fino al mare, tutti edificabili. Questa era l’occasione per trasformare Valencia in una città affacciata sull’acqua proprio come Barcellona.

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Nessuno meglio del famosissimo architetto Santiago Calatrava, valenziano di nascita, poteva prendere in mano quel terreno ed erigere le sue sculture, frutto del suo unico pensiero e destinate a diven-tare il nuovo simbolo della città, il nuovo centro.Così in pochi anni, in un’area decisamente ristret-ta rispetto all’intera estensione della città, si sono concentrati la Ciutat de les Arts i les Ciències, l’Acquario, il Palazzo della Musica. Opere simboli-che, enormi, sculture più che edifici. La loro forma estrosa e organica affascina al primo sguardo, at-tira lo scatto fotografico del turista che poi le farà viaggiare per il mondo.Sempre sul greto del fiume, ora prosciugato, sor-gono due famosissimi ponti. È paradossale il fat-to che questi non servano ad attraversare nessun corso d’acqua, ma si trattano di sculture, opere dalla forma espressiva e attraente per soddisfare una esigenza visiva più che funzionale, grandiosi capolavori fine a se stessi, studiati per diventare simboli riconoscibili. La loro funzione è essere semplicemente belli.Presto sorgerà un nuovo quartiere a completa-mento dell’area portuale, una serie di grattacie-li imponenti e con un forte carattere espressivo,

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una forma riconoscibile e attraente capace di con-ferire al nuovo centro una identità ancora più defi-nita, spazzare via l’antica Valencia.Già oggi è più facile che i turisti riconoscano le sculture di Calatrava piuttosto che i vecchi palazzi del Carmen. La Ciutat de les Arts i les Ciències è divenuta, grazie alla sua forma estrosa, set cine-matografico ideale per numerose pubblicità.Anche Valencia, come Barcellona, ha voluto por-tare all’interno della città manifestazioni sportive internazionali per dar lustro e visibilità alla sua nuova identità.Dal 2007 gli investimenti economici l’hanno resa la sede della America’s Cup, la più importante competizione mondiale di vela, nonostante i dubbi sulla qualità del vento. E’ stato realizzato un nuovo porto e di nuovo grandissimi architetti sono stati chiamati ad operare, lasciare la loro firma.Anche nel mondo automobilistico Valencia ha vo-luto mettersi in mostra: nonostante ci sia una fa-mosa pista poco fuori città, nel 2008 venne per la prima volta realizzato il GP di Spagna su un circu-ito cittadino, proprio tra i nuovi edifici del porto.Imitando quindi il rinomato GP di Montecarlo la città ha voluto mettersi in mostra, farsi ripren-

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dere in tutta la sua spettacolarità facendo corre-re al suo interno il campionato automobilistico più famoso al mondo. La vecchia pista non pote-va essere altrettanto scenografica per dare risalto e fama alla città.Senza dubbio ci troviamo davanti a una sequenza di azioni ben calcolate e studiate per modificare anzi creare una città che non esisteva prima.Sembra che si sia voluto intraprendere un proces-so chiaro e deciso per definire l’identità di Valen-cia, con uno scopo utilitaristico: studiarne un’iden-tità, una forma e un’apparenza al fine di emergere ed entrare nel circuito internazionale.La città è un prodotto, programmato e imbellettato, pronto per essere consumato dai turisti stranieri, luogo ideale per investitori internazionali.Valencia sembra semplicemente la rivalsa di Madrid su Barcellona. E’ stata creata un’antagonista, una rivale, una copia: Valencia è diventata Barcellona!Ma cosa è rimasto del vecchio centro lontano dal mare, della sua identità araba e delle sue mura che la proteggevano dall’acqua? Oggi Valencia e il capolavoro studiato e programmato oltre che le sue immagini sono opere di un’unica mano, quella di Santiago Calatrava.

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astanacapitale degli illuminati!

Se un luogo può definirsi come identitario, rela-zionale, storico, uno spazio che non puo definirsi né identitario né relazionale né storico, definirà un nonluogo. 5

Nel 1997 qualcuno ha deciso di erigere uno di questi luoghi senza storia e senza identità, com-missionando una città a tavolino: la nuova capita-le del Kazakistan. Astana. Situata nel bel mezzo della steppa kazaka, dove l’inverno garantisce ai suoi abitanti temperature polari da -40°C, mentre l’estate li arrostisce con +40°C. Se non fosse che quel qualcuno si chiama Nursultan Nazarbajev, presidente della nazione quanto della ca-pitale eretta a sua immagine e somiglianza, per un

5. Marc Augè, Non luoghi, Elèuthera, 1997

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solo interesse di potere, la costruzione e il dispen-dio economico, per edificare una città invivibile ai suoi abitanti, sarebbe stato inutile ed esagerato. Ma dalle stesse parole del presidente il Kazakistan: “Ha potenzialità per accedere al gruppo dei mag-giori Paesi produttori del globo: abbiamo molti depositi auriferi che hanno bisogno di investitori”, non abbiamo di che temere, quindi!Al quiete vivere dei cittadini ci ha pensato l’archi-tetto Kurokawa ed altri dopo lui, che hanno sapu-to dar vita ad una città, giusto compromesso tra Ottawa e Las Vegas. La capitale si sta costruendo da zero e il risultato che ne determina è una città occulta e futurista, frutto della visione di un fanatico che celebra la più antica religione conosciuta dall’uomo: il culto del sole. La città si sviluppa in settori, tanti quartieri uno in fila all’altro. Una passerella in cui sfilano le prin-cipali attrazioni turistiche. Architetture bardate di strascico e perle preziose, firmate dai più in voga stilisti del momento. Il baronetto inglese Norman Foster, è il più impor-tante esempio. Ideatore della Piramide della Pace, un’insolita piramide costruita nel deserto “dedica-

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to a riunire insieme tutte le religioni del mondo”, come dice lo stesso Foster. Realizzata in 24 mesi, la monumentale struttura aspira a diventare centro di riconciliazione di tutte le etnie e religioni asiatiche. Se nel passato la piramide simboleggiava il potere e nasceva come monumento funebre, qui la si intende come celebrazione di ideali. La base poggia su una collina artificiale che aumenta l’altezza e la visibilità della struttura, un ampio podio interrato, che ospita l’Opera House, un’oscura caverna al livello del suolo dove l’ignara massa viene intrattenuta. Ogni tre anni duecento rappresentanti delle diver-se religioni di tutto il mondo si incontrano nell’am-pia sala circolare, posizionata sotto il vertice della piramide, nel piano intermedio, quello che ospita la Sala dei Congressi. I leader religiosi sono qui riuniti, intorno all’enorme figura del sole, per di-scutere come riconciliare le differenze religiose per la nuova era. Il simbolismo è abbastanza palese! L’ aula è molto più luminosa dell’Opera House, ed è collocato esattemente al di sopra di essa. Mentre la plebe viene intrattenuta, gli illuminati de-cidono come raggiungere la devozione, il rispetto, che ritroviamo nella disposizione gerarchica degli

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spazi a simboleggiare i ruoli sociali della città di Astana. Gli intellettuali esaltano il proprio potere avvicinandosi sempre di più verso il divino apice, il vertice più alto della piramide le cui pareti sono decorate dal disegno della colomba della pace. La struttura risulta così suddivisa: il mondo supre-mo (il Dio), il mondo superiore (gli illuminati) e il mondo inferiore (la povera gente). In altre parole questa architettura più che essere un’attrazione tu-ristica o una struttura funzionale, è la rappresenta-zione di un uomo qualunquista affamato di potere. L’ingenuo Norman Foster dichiara “La Piramide della Pace è un progetto dedicato alla rinuncia del-la violenza e alla promozione della fede e dell’ugua-glianza.”L’aspirazione si fa immediatamente pratica!Nel 2009 viene approvata una legge per la non li-bertà di religione. Tutti i gruppi religiosi devono essere autorizzati dall’autorità. Occorre il parere di un esperto per poter operare, ma nemmeno questo è sufficiente. Se si vuole stampare o importare te-sti religiosi è necessaria un’ulteriore supervisione. Una volta ottenuta il nullaosta, finalmente potrà rientrare nell’illusione di uguaglianza. Il monumento Torre Baiterek, firmato dallo stesso

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Norman Foster, incarna volutamente la leggenda popolare dell’uccello magico Samruk che depone-va le sue uova su alberi al di fuori della portata degli esseri umani. Il globo d’orato in cima al mo-numento rappresenta quell’uovo. Per volere del presidente dentro vi troviamo l’enig-matica impronta della sua mano, altro elemento di megalomania. Il monumento non poteva che collo-carsi nelle vicinanze del sistema direzionale della città, dalla terrazza panoramica infatti si domina tutto il complesso. Il paradosso sta nel fatto che per quanto affascinan-te possa essere il nuovo centro burocratico, la vita di Astana continua a pulsare sulla sponda opposta del fiume. La zona del vecchio centro. Il progetto ancor più sorprendente che testimonia quanto Astana sia una città estremamente costru-ita ed inventata, è la trionfale e gigantesca tenda Khan Shatyry. Realizzata per divenire il luogo dove i 530 mila abitanti possono intrattenersi nei vari servizi pensati per il loro divertimento. Dai centri commerciali, ai negozi di grandi marche; dalle terme ai servizi sportivi; dai cinema al fiume navigabile, inequivocabile allusione all’estrosa Ve-nezia, capitale dell’apparire e della finzione.

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La tenda, che nel suo appellativo cita il nomadi-smo del popolo kazako, non è nient’altro che que-sto: un rifugio dove trovar residenza, salvezza e riparo dalle condizioni atmosferiche esterne. Ma allo stesso tempo è una casa circondariale dove poter padroneggiare, e governare, attraverso i classici canali di consumo, la classe sociale dei non illuminati. Oggi le metropoli competono per attrarre investi-menti e talenti. La creatività kitsch diviene il terre-no sul quale si gioca questa concorrenza. Astana lo fa attraverso le molteplici sovrastrutture che si è tentato di descrivere, oltre divenire mar-chio finanziario sponsor della squadra di ciclismo internazionale. La capitale avrebbe tutte le carte in regola per divenire una grande multinazionale, un’agenzia di comunicazione, una vera e propria azienda così come l’avrebbe pensata Nazarbajev. Peccato che questa sua condotta la faccia sempre più divenire una città inesistente, al punto che gli stessi abitanti, solitamente parte fondante e neces-saria per la creazione e sviluppo della città, diven-tino qui dei fantasmi innominabili.

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scritto e impaginatoGianni Cardone Ilaria Montanari

composto in Gazette LH

Stampato il6 luglio 2010